Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonandosi

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170362
Mantegazza, Paolo 3 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Anche l'uomo, che ha libato le gioie della gloria, non dimentica sempre le umili compiacenze della vanità, e, abbandonandosi ad un cinismo esagerato nel modo di vestire e di camminare, ride di cuore nel vedersi osservato e mostrato a dito. Più d'una volta anche i grandi uomini si pongono a studiare davanti allo specchio il disordine dei capelli e il ridicolo nodo della cravatta, e a bella posta sbagliano l'ordine dei bottoni nell'allacciare la giubba. La vanità morale è meno definibile della precedente, ma non è meno ricca di gioie e di colpe. Nei gradi minori l'uomo non fa che compiacersi in modo esagerato delle lodi che vengono tributate alle doti del suo cuore; mentre nei gradi massimi egli esagera il merito delle sue buone azioni, oppure le compie per il solo scopo della lode, arrivando ad una vera ipocrisia del sentimento. Ogni affetto buono o cattivo può avere le proprie vanità; e sebbene in questo campo le gradazioni per le quali si passa dal bene al male siano infinite, pure sappiamo benissimo determinare i confini che separano la fisiologia dalla patologia. L'uomo che al caffè getta con studiata indifferenza una carta moneta al povero che gli chiede l'elemosina, e si compiace della meraviglia che desta negli altri questa non comune liberalità, prova un piacere patologico. Così pure l'altro che tiene sul proprio tavolo le lettere che ha ricevute da forse un mese, per far credere che le ha tutte ricevute nella giornata, è colpevole dello stesso peccato del primo. Così l'uomo che fugge con orrore dall'innocente uccisione di un pollo, destinato forse a comparire sulla sua tavola, e l'altro che non vuol esser chiamato conte, e, quasi per dispregio, fa mostra del proprio blasone nel luogo più ignobile della sua casa.

Pagina 132

È la fantasia che, agitando il suo caleidoscopio, o abbandonandosi ad uno dei suoi giuochi di ottica, crea una nuova combinazione di colori. Ora è il rumore assordante dell'officina che tutta intera suda per generare una sola idea: ora è il silenzio più perfetto che arresta a un tratto l'attivo tempestar dei martelli e il rabbioso stridere delle ruote: la riflessione ha intercettata la luce, ha sospeso il lavoro; e gli operai, arrestati a un tratto e sospesi, rimangono silenziosi in mezzo alle tenebre non interrotte che dai sottili raggi e dalle scintille che escono dalle fenditure di un ardente fornello, dove forse si sta distillando una grande verità. Tutti questi mille accidenti si riflettono nello specchio della coscienza, dove l'io guarda e sorride. Non tutti quelli che pensano con voluttà esprimono nello stesso modo il piacere che pensano, ma tutti sentono che è una gioia indefinibile, che non si esaurisce mai e sempre si rinnova; gioia forse fredda e calma, ma che si può amare come una gioia del cuore. La massima differenza di questi piaceri è costituita dal grado di sensibilità e dalla forza del volere, più ancora che dal grado dell'intelligenza. Molti uomini di ingegno e fors'anche di genio sono trascinati dal pensiero, e, mirando alla meta, non guardano forse mai il sentiero che percorrono. Altre volte, impazienti e intolleranti delle piccole gioie, rimangono assorti nelle più sublimi speculazioni. Per godere del piacere primitivo del lavoro intellettuale bisogna arrivare alla pazienza di osservare quello che si compie, bisogna essere padroni e non servi del proprio pensiero; bisogna esser capaci della difficile impresa di mantenersi calmi in mezzo al movimento, tranquilli nel lavoro. Tra tutti gli intellettuali, quelli che in generale godono più degli altri del piacere di pensare, sono i filosofi e i letterati, quelli che ne godono meno, gli eruditi, che però sono quasi sempre rivenditori dei prodotti altrui e non dei propri. L'influenza di queste gioie è assai benefica. Esse ci rendono felici, o ci fanno capaci di aspirare alla felicità, ed elevandoci al disopra degli altri uomini, ci rendono quasi sempre degni dei piaceri caldi della gloria e dell'ambizione. Chi arriva a provare in vera voluttà del pensare, trova insipido e pallido ogni altro piacere intellettuale, e spesso trascura anche le gioie più o meno pericolose del sentimento. Quando si gode del piacere puro e semplice del pensare, si può esprimerlo col brillar degli occhi e con una maggiore animazione del volto: ma si può anche assorbirlo a poco a poco senza lasciarne trapelare una sola stilla.

Pagina 219

Molte razze di Indiani americani sono spente e alcune vanno spegnendosi, per l'uso degli alcoolici, al quale abbandonandosi con tutta la violenza irrefrenata dell'istinto, sotto i raggi di un sole tropicale, vanno miseramente consumando il telaio della vita. L'ebbrezza alcoolica è più pericolosa nel fanciullo, nella donna e nell'uomo selvaggio per la minore resistenza che li porta all'abuso. L'uso dei narcotici al solo fine del piacere è pericoloso assai, e solo chi ha una volontà ferrea può provarli senza correre il rischio di darsi al vizio. Essi ci procurano molti fra i maggiori piaceri; e chi ne ha usato, è ogni giorno più debole a resistervi, chè la ragione, oscurandosi, lo rende inetto a godere altri piaceri, e l'ebbrezza narcotica si va anzi facendo più voluttuosa quanto più è ripetuta e gustata. Chi ha una volta provato le allucinazioni di un narcotico, intende benissimo come tanta parte dell'umanità abusi dell'oppio, dell'haschisch e della coca. L'uso dell'oppio non è più pericoloso di quello degli alcoolici, e noi dobbiamo a questo riguardo ricrederci di un pregiudizio in che ci hanno indotto le narrazioni poco esatte dei viaggiatori. Quello che è vero è che l'abuso lascia conseguenze assai grave; ma gli abusi sono sempre da condannare. L'ebbrezza narcotica è più pericolosa nei fanciulli, negli uomini robusti e di temperamento sanguigno, e soprattutto in coloro che, per eredità, hanno tendenza all'apoplessia e alle allucinazioni mentali. L'ebbrezza caffeica, prediletta dagli uomini di squisito sentire e d'intelligenza vivace, è nociva soltanto in qualche rarissimo caso e specialmente nelle persone molto nervose e in paesi molto elevati o secchi, quali sono le province nordiche della Confederazione Argentina, Potosi, Chuquisaca, e in generale la parte alta della Bolivia. A concludere queste osservazioni di fisiologia suggerisco di non temer mai l'ebbrezza caffeica, di non passare i limiti del primo periodo dell'inebbriamento alcoolico, e di non provare le terribili gioie dei narcotici se non negli estremi casi di violenti dolori morali.

Pagina 98

Cerca

Modifica ricerca