Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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LE NOVELLE DELLA NONNA. Fiabe fantastiche

679045
Perodi, Emma 1 occorrenze
  • 1992
  • Newton Compton Editori s.r.l.
  • prosa letteraria
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Ma intanto la fame, e più il freddo, scemavano le forze del vecchio, e il Diavolo, abbandonandolo in quel modo a tutte le intemperie, aveva calcolato che alla fine il vecchio, sentendosi morire, lo avrebbe invocato, e così quell'anima sarebbe stata conquistata all'inferno. Ma il vecchio tenne saldo, e, finché ebbe fiato, invocò tutti i santi del Paradiso e per ultimo san Francesco, che aveva ricevute da Gesù le stimate sul fiero monte della Verna. Il gran Santo, che non aveva temuto il Diavolo sull'orlo del precipizio e si era abbrancato con fede al masso, il quale, fattosi molle come cera, gli aveva permesso di piantarvi le mani, non lo temé neppure in questa occasione, ed impietosito della sorte del vecchio, scese in terra sotto le spoglie di un fraticello cercatore del suo ordine, e salì il monte di Poppi. Giunto colassù, vedendo tutto il popolo radunato in piazza a mirare quel turbante posato sul merlo della torre, e udendo narrare le meraviglie avvenute a Montecornioli in quei due giorni, si diresse verso il castello e chiese del conte Guido. - Signore, - gli disse quando fu ammesso alla sua presenza, - odo che tu sei stato turbato da avventure soprannaturali; vuoi permettere a me, umil fraticello, di usare contro queste maraviglie il segno della salute? - Fa' ciò che ti aggrada, buon frate, - rispose il conte, - e se tu riesci a liberarmi da quel fagotto di cenci che s'è posato sul merlo della mia torre, io farò larghe elemosine alla Verna. San Francesco andò sotto la torre, e alzando le palme, in cui erano i segni gloriosi della passione di Gesù, disse: - San Luca ti ha mandato qual messaggio di dolore; io ti comando d'indicarmi la via che conduce al tuo padrone, per liberarlo dall'eterno nemico. Appena il Santo ebbe pronunziate queste parole, il turbante scese dinanzi a lui e incominciò a volare lentamente nell'aria come un augello. I due dardi conficcati nel turbante dal signor di Poppi e dal signor di Lierna, gli facevano da ali. Il Santo si pose in cammino dietro al turbante e il conte Guido, meravigliato del miracolo, seguì il fraticello e traversò il paese, scese all'Arno e poi andò su per i monti boschivi fino alla capanna del Diavolo. Il conte Guido non era stato solo a tener dietro a san Francesco. I suoi famigli, i suoi vassalli e la gente che incontravano per via, ingrossava il corteo. San Francesco pregava a voce alta, e tutti quelli che lo seguivano rispondevano a quella prece. Le fiere uscivano dai boschi e si prostravano dinanzi al Santo; dalle cime dei monti scendevano gli uccelli a stormi e formavano uno stuolo, che precedeva la processione gorgheggiando come se la terra fosse stata coperta di erbe novelle e di fiori, invece che di neve gelata. Il turbante si fermò a poca distanza dalla capanna, e così fecero gli uccelli, le belve, il conte Guido e tutti i suoi terrazzani. Il fraticello si avanzò solo, e con la sua dolcissima voce, disse: - Che in nome del Signore, morto in croce per il suo popolo, tu sia liberato! Subito dalla capanna uscì il vecchio che aveva miracolosamente riacquistato l'uso delle gambe e del braccio destro, e si prostrò dinanzi al Santo piangendo di gioia. In quel momento la capanna incominciò a crepitare ed arse come un fascio di paglia. Mentre il popolo, che era caduto in ginocchio come il conte Guido, pregava, una nuvoletta bianca scese dal cielo, avvolse il fraticello e lo sollevò nell'aria. Il vecchio dalla cappamagna riprese il suo turbante e se lo mise in testa piangendo di gioia, e alzando le palme verso la nuvola bianca, che si perdeva nel cielo, esclamò: - Gloria a san Francesco! - Gloria! - risposero i terrazzani in coro. Il conte Guido allora si accostò al vecchio e gli rivolse la parola nella lingua d'Oriente, che egli aveva appresa da un monaco di quel paese, e lo invitò ad esser suo ospite, assicurandolo che gli avrebbe fatto un onore abitando il suo castello, poiché un uomo per il quale san Francesco scendeva dal Cielo, era una benedizione per una casa. Il vecchio accettò l'invito, e la lunga processione si rimise in cammino cantando le lodi del poverello d'Assisi, del gran Santo che proteggeva il Casentino. Nel castello di Poppi, il vecchio fu accolto con ogni riguardo dalla contessa, che era figlia di un altro Guido da Romena, signore di un forte castello verso Pratovecchio. La Contessa era giovine e molto bella e di un carattere così compassionevole che non poteva veder uccidere una mosca. Costei viveva in continue angustie a fianco del marito, uomo battagliero, che era sempre in guerra con i signori di Chiusi e Caprese, e con i castellani di altri luoghi forti sul versante dell'Appennino di Romagna. Ella non sapeva farsi intendere dal vecchio, perché non parlava la sua lingua, ma ponendogli sotto gli occhi il libro delle preghiere, che era scritto in latino, e accennandogli alcune parole, gli fece capire che sperava che egli riuscisse a distogliere il Conte dal guerreggiare di continuo ed a volger la mente del Signore, alle opere pacifiche dei campi e alle opere di carità, che meritano il Paradiso. Il vecchio promise il suo aiuto alla nobile dama e incominciò subito ad ammansire il Conte; ma questi, che già aveva dimenticato le sue promesse, noiato dalle prediche del vecchio, gli disse che nessuno aveva mai osato riprenderlo, e che, se continuava, gli avrebbe dato un bordone da pellegrino e lo avrebbe mandato con Dio. Al pio vecchio quelle parole arrivarono prima all'osso che alla pelle, e preso il bastone, come soleva per andare all'abbazia di San Fedele, scese al piano; quindi, mirando sempre il gran sasso della Verna, pian piano come glielo concedevano le sue gambe, alquanto intorpidite dall'età, salì a Bibbiena. Costì, fermatosi a pernottare in un convento, a giorno riprese l'aspra via. Ma il crudo inverno era stato cacciato dalla ridente primavera, e i boschi erano tutti coperti di erba fresca e di fiori odorosi. Il vecchio giunse senza intoppo alla Verna, e siccome fin lassù erasi propagata la fama del miracolo operato da san Francesco in favore del vecchio di Gerusalemme, come lo chiamava il popolo dei dintorni, così i frati lo accolsero festosamente e lo trattarono con ogni specie di riguardi. Ora avvenne che il conte di Lierna, che serbava sempre rancore al conte di Poppi, aveva riunito nel suo forte castello quanti uomini armati aveva potuto, e le sue fucine avean lavorato giorno e notte per preparare aste, lance, dardi ed altre armi. Quando credé di essere abbastanza forte per circondare d'assedio Poppi, fece alzare di nottetempo il ponte levatoio del castello, e, traversato l'Arno, salì quatto quatto con i suoi al forte dominio del conte Guido, e in quella notte stessa si diede a batter le mura e a lanciar dei sassi nell'abitato. I terrazzani si destarono sgomenti e corsero ad avvertire il conte Guido, il quale già era sveglio e armato, e disponeva i suoi uomini alla difesa. La Contessa pure era balzata dal letto, e, circondata dai figli, andava in cerca del marito; raggiuntolo, lo chiamò da parte e gli disse: - Signor mio, prima ancora che io fossi scossa dal sonno da questo trambusto, ho avuto una visione che debbo narrarti. - Non è tempo questo di ascoltare le parole di una femmina, - rispose il Conte con disprezzo, - ritirati nelle tue camere e lasciami fare. - Signor mio ascoltami, - insisté la Contessa. - Io ho veduto in sogno il poverello d'Assisi, il quale, mostrandomi le palme trafitte, mi ha detto: "Che ne ha fatto il tuo Signore del pio vecchio che gli avevo affidato? Sappi che egli era una benedizione per la vostra casa, e se il conte Guido non lo riconduce a Poppi, tutte le sventure si abbatteranno sulla sua famiglia, sulla sua casa, su tutti voi. Il conte Guido aveva promesso larghe elemosine alla Verna, e non ha mantenuto la parola. Io sono impotente a stornar da lui l'ira celeste". - Quando avremo battuto quel ribaldo conte di Lierna, penseremo ai tuoi sogni, - rispose il Conte, e spinse la moglie e i figli dentro una stanza, di cui tolse la chiave. La Contessa piangeva come una vite tagliata, ma nessuno l'udiva, perché ogni persona era intenta alla difesa del castello. L'infelice rimase in quella stanza fino a sera, ma in quel giorno il conte Guido vide cadere il fiore dei suoi soldati, e quando la moglie a notte lo rivide, egli non era più il baldo cavaliere della mattina, tutto infiammato dal desiderio della pugna. - Signor mio, - ella disse, - io non posso esserti di aiuto alcuno nella difesa del nostro castello. Lascia che, passando per il cammino sotterraneo, che è scavato nei fianchi del monte, io esca nell'aperta campagna e mi riduca alla Verna a portar le elemosine da te promesse al convento, e a supplicare il vecchio di Gerusalemme di tornar fra noi. - Va', e che Dio t'accompagni! Quella notte stessa la Contessa spogliò i ricchi guarnelli di seta, trapunti di oro, tolse le gemme che le ornavano il collo e i polsi e, indossata una gonnella di mezza lana e un busto di panno, scese nei sotterranei del castello senza nessuna scorta, varcò l'Arno e s'inerpicò sul monte. Ella aveva le bisacce ben guarnite di gigliati d'oro, ma sotto quelle umili vesti nessuno supponeva si nascondesse la nobile signora, che vedevano di tanto in tanto cavalcare da Romena a Poppi e fino ad Arezzo, sulla giumenta bianca, riccamente bardata, e con numerosa scorta di cavalieri, paggi, valletti ed armigeri. Senza esser molestata da alcuno, giunse la pia donna al convento, e dopo aver deposta sull'altare della Cappella degli Angeli la sua ricca elemosina, fece chiamare il vecchio di Gerusalemme e lo pregò umilmente di seguirla, facendogli capire coi cenni più che con le parole, il pericolo che minacciava la propria casa. Il vecchio accondiscese alle preci di lei e, indossato il saio dei Francescani per non dar nell'occhio alla gente, scese insieme con lei al piano, e per il cammino sotterraneo giunse al castello. Bisogna sapere che il vecchio non aveva lasciato alla Verna la sua cappamagna né il turbante, perché gli rincresceva molto di separarsi da quei ricordi della sua patria. Egli aveva nascosto l'una e l'altro in una bisaccia, come usano portare i frati che vanno alla cerca. Appena che la Contessa e il vecchio giunsero al castello di Poppi, appresero che la giornata era stata ancor più funesta agli assediati che quella precedente, perché molti altri soldati del conte Guido erano caduti, e il signore stesso era stato colpito da un dardo alla spalla sinistra. Pallido e affranto, questi stava nella sala d'armi del castello. Allorché vide la sua donna e il vecchio, li chiamò accanto a sé e li ringraziò con grande effusione. - Che cosa mi consigli di fare, saggio vecchio? - domandò quindi allo straniero. - Eccoti il mio turbante, - rispose questi. - Sai come il conte di Lierna fuggisse quando lo vide sul ponte che è a valico dell'Arno. Ordina che questo turbante sia posto a una delle finestre del castello. Quando il conte Odeporico lo vedrà, toglierà l'assedio. - Che tu possa dire il vero! - esclamò il conte Guido. E quella notte stessa fece issare un'asta alla finestra centrale del castello, e in cima a quella ordinò fosse infilato il turbante. Allorché le tenebre furono diradate dal sole nascente e il conte di Lierna vide quel turbante in cima all'asta, disse: "Povero me; qui si combatte con armi disuguali; io col ferro, e il mio nemico con gl'incantesimi!", e come aveva predetto il vecchio di Gerusalemme, Odeporico riunì le sue genti, e tolse l'assedio in un battibaleno. Da quel giorno nessuno osò più molestare il conte di Poppi, che si diceva in possesso di un talismano, e la Contessa visse tranquilla finché la morte non la colse. Il vecchio di Gerusalemme l'aveva preceduta nella tomba, e il conte Guido gli aveva fatto erigere un mausoleo nella cappella del castello. Il turbante poi era stato rinchiuso in una cassa d'argento di lavoro pregevolissimo, e i conti Guidi lo conservarono nel tesoro di famiglia finché il conte Francesco fu battuto da Neri Capponi, capitano de' fiorentini, il quale lo portò a Firenze con le altre robe. - E qui la storia del turbante è finita, - disse la Regina, e se mi sono scordata di qualche cosa, Cecco ve l'aggiunga. - Di nulla, mamma; voi la raccontate ora come vent'anni fa. - Come trentacinque! - ribatté Maso, - e io provo piacere a sentirvi ora, come quando ero alto quanto un soldo di cacio. - Anche noi ce l'abbiamo il nostro turbante, il nostro talismano, - disse Cecco battendo una palma sull'altra, - e non saranno di certo i fiorentini che ce lo porteranno via! - E qual è? - domandò la vispa Annina. - È la nostra vecchietta, la nostra mamma, che Iddio ce la conservi! Ora bevete un buon bicchieretto di vino, perché dovete aver la gola secca. - E preso il fiasco ne mescé prima alla Regina e poi agli altri. Quando tutti i bicchieri furono colmi, Maso per il primo alzò il suo e disse: - Alla salute del nostro talismano! I fratelli, i bimbi e le nuore fecero coro al capoccia, e dopo essersi trattenuti un altro po' a ragionare del più e del meno, i Marcucci se ne andarono a letto e tutti i lumi si spensero al podere di Farneta, sul quale vegliava la concordia e la pace, meglio che il turbante del vecchio di Gerusalemme sul castello del conte Guido di Poppi.

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