Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonando

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Lo stralisco

208427
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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La potente e cieca forza della vita, quella che non mi ha permesso di diventare sordo mentre pronunciavano le parole, che ora non mi lascia impazzire per il tormento, sta abbandonando la sua carne leggera. Amico mio, io non ho mai conosciuto un dolore cosí grande: nemmeno quando mori Aviget, la sposa del mio cuore. Eppure ne vorrei uno maggiore, perché troppo piccolo mi sembra quello che è in me. Ganuan abbassò il volto e pianse, e Sakumat pianse con lui. Poi il pittore chiese: — Quanto potrà vivere ancora, signore? — Dicono non oltre un anno. — Desideri che io me ne vada? — Non ho desideri: ma questo è l'ultimo che potrei avere. Resta, se puoi. Sakumat tornò a cavalcare. Il suo giro si fece piú ampio, seguendo la strada che in rapida diagonale attraversava i campi magri e giungeva poco sotto il crinale settentrionale della vallata. Da qui, percorrendo in altezza il fianco settentrionale, usciva ed entrava in boschetti di basse querce tenaci e spinose, esponendosi a tratti di scarpata che il vecchio cavallo affrontava molto prudentemente. Compiendo una larghissima curva a ridosso dei monti, la pista piegava poi a sud, lungo il versante occidentale, incrociando sentieri appena accennati, scie scabre di greggi e di carovane. Da qualsiasi punto di quel percorso, tranne che nei brevi tratti alberati, si poteva scorgere il palazzo bianco del burban, giú in basso, stagliato come una pietra di primo rango nel pietrame del fondovalle. La discesa, lungo il lato sud, era meno diretta della salita, per un terreno dalla vegetazione aspra, interrotta da chiazze di fiori colorati e dai cespugli quasi azzurri di cupatja. Il giro si completava su una pista ben battuta che attraverso i pascoli piú ricchi della valle, dove brucavano quieti montoni abbandonati, riportava alle prime case del villaggio. Sakumat fece tre volte l'intero percorso, come se ad ogni ritorno dimenticasse di averlo compiuto, senza badare al passo sempre piú rotto del cavallo. Poi guidò la bestia alle stalle e rientrò nel palazzo, dove un alto silenzio regnava. Madurer era ancora addormentato. Ganuan sedeva a occhi chiusi presso il letto del bambino. Sakumat percorse le pareti dipinte, osservando le montagne e la pianura, la città assediata e il mare, il vascello pirata e il prato rigoglioso, in cui il segno sparso dello stralisco gli sembrò piú marcato ed evidente del solito. Per tre volte, lentamente, come aveva fatto attorno alla valle, percorse i paesaggi e notò cose che non sapeva, forme e gesti e colori che non ricordava di avere creato. Il burban, ai primi cenni di risveglio di Madurer, si allontanò come un'ombra. — Buongiorno, Sakumat, — disse il bambino. — Buongiorno anche a te, Madurer. — Ho fatto una gran dormita, vero? — Sí, un buon riposo. Ora stai bene? — Sì, bene. Un po' debole, come le altre volte. — Resterai a letto qualche giorno. Ti leggerò delle storie. — Benissimo! E poi continueremo a lavorare. Chiederò al burban mio padre di far terminare in fretta le nuove stanze. Non dovrebbe mancare molto. — Non molto. Ma abbiamo da lavorare ancora sulle nostre figure, Madurer. Ho delle idee, ma devo pensarci meglio. Come capitava a te prima di decidere il prato, ricordi? — Si. — Intanto, finché non ti alzerai, leggeremo delle fiabe, e guarderemo le figure dei libri. — E faremo qualche disegno sulla pergamena? — Se non ti stancherà troppo. Ti insegnerò a dipingere gli uccelli. Ma nei giorni seguenti le forze di Madurer non furono sufficienti a disegnare. Sakumat gli lesse molte storie, parlando con lui delle vicende e dei personaggi. Notava intanto come la forza stentasse, molto piú della volta precedente, a ritrovare le strade nell'organismo del piccolo. Ma il pensiero di Madurer, tra un riposo e l'altro, era rapido e desto. Soltanto, a tratti, lo prendeva una specie di distrazione, un momento di assenza, nel quale gli uscivano parole svagate, forse senza significato: come se il suo stesso pensiero, imprendibile, le facesse risuonare senza i legami del linguaggio. Anche i sonni diurni diventarono piú lunghi e insistenti. — Costruire nuove stanze è una buona idea, — disse Sakumat. — Ma io ne ho una migliore. — È quella a cui hai pensato in questi giorni? — Sí. E mentre ci pensavo diventava piú bella. — Allora dimmela, Sakumat. — Ecco: se noi continuiamo ad allargare le pareti, non potremo piú dominare il paesaggio. Voglio dire che diventerà troppo grande per giocarci davvero. Resterà per molto tempo uguale, e sarà meno vivo. Madurer taceva, attentissimo. — Insomma, credo che queste pareti ci. bastino, - disse Sakumat. — Ma sono complete! — osservò Madurer. — Il Tigrez è grande nel mare, e piú grande non potrebbe diventare. Il prato è completamente fiorito. C'è anche lo stralisco che brilla di notte. Che altro possiamo dipingere? Sakumat giocava parlando con le mani del bambino, come spesso faceva. — Ricordi come abbiamo dipinto le cose, Madurer? — disse, stringendogli un po' piú forte le dita, — come era piccola la nave, all'inizio? E com'era acerbo il prato? — Si, li abbiamo fatti poco a poco. Piano piano. — E ricordi una cosa ancora piú antica? Che il mondo non fa salti, e non si ferma? Madurer rimase in silenzio, soppesando fra le sue dita piccole quelle piú grandi del pittore. — Vuoi dire che i nostri paesaggi possono continuare? — disse. — Possono continuare, sí. E cambiare. Se noi vogliamo. — Cambiare come? Diventare più belli? — Sono già belli, Madurer. Ma possiamo andare avanti nella storia, aggiungere il resto della vita. Il bambino sembrò affaticato. Stava rientrando nel torpore. — Sí, facciamo cosí, — disse, — poi mi spiegherai, come... Anche per Sakumat era stata una conversazione faticosa. Ascoltò il respiro fragile del bambino assestarsi in cadenza piú regolare. Poi chiuse gli occhi. Come dalle ferite di un ramo, dalle palpebre chiuse uscivano lacrime chiare.

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