Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaiare

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CAINO E ABELE

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Perodi, Emma 3 occorrenze

I cani s'erano messi ad abbaiare e Alessio sfuggendo a Costanza, che lo aveva afferrato per la manica, retrocesse fino al cancello. Vieni, - gli ripetè lei impazientita. Non verrò; porta qui la mia nemica; in casa del padrone non voglio entrare. Costanza mandò una imprecazione, ma risali sola. Alessio, che era rimasto sul cancello, fu assalito da un vago timore e guardavasi intorno tremante. Se qualcuno mi vedesse! - pensava sgomento ed ebbe per un momento la tentazione di attaccarsi alla campana, di chiamare i guardiani dello stabilimento, d'impedire che si commettesse un'azione nefanda. Ma in quel momento vide Costanza comparire nel viale camminando a stento, curva sotto il peso che si era caricato sulle spalle. Era una notte scura; sopra alla villa scintillavano rare le stelle, ma verso il mare e dal lato di terra le nubi formavano un cerchio, che aveva la forma e l'aspetto della testa di un cappuccino. Da quei nuvoloni neri ogni tanto si sprigionava un lampo e allora come un fremito di luce biancheggiava dietro la cortina densa e nel punto ove s' era prodotto il lampo le nuvole acquistavano strane forme. Il tuono non si faceva udire, ma una raffica di vento; annunziante la burrasca, passava di tanto in tanto attraverso le palmette e gli alti palmizj, producendo un fruscio che somigliava allo scrosciar della pioggia. Sotto quelle raffiche il mare si agitava, mandava sordi mugolii e ogni tanto un'onda più forte delle altare infrangevasi con un colpo secco, quasi tagliente, contro la riva. Prendi, - disse Costanza abbassandosi, affinchè Alessio la liberasse dal peso di quel corpo. Il giovine lo sollevò nelle braccia poderose. Velleda era vestita di una sola camicia, sulla quale Costanza aveva gettato uno scialle. Quando Alessio sentì il contatto di quelle carni morbide, il profumo sottile che emanava da quel corpo delicato e vide quella testina riversa che a ogni passo che egli faceva inchinavasi all'indietro come la testa di un cadavere, fu preso di orrore e disse a Costanza: Riportiamola a letto, io non voglio essere il tuo complice. E troppo tardi; il cancello è chiuso, il duca ci aspetta, vieni! E fecero ancora alcuni passi in silenzio fra la sabbia coperta di piante e Alessio fermandosi di nuovo riprese : Costanza, perché vendicarci? Non sono libero forse? Vieni, - ripetè la donna a denti stretti afferrandolo per un braccio. - Sei libero, sì, ma per lei saresti in galera e io mi dannerei. Non parlarono più e quando penetrarono nel fondo della grotta Alessio depose il bei corpo bianco sulle alghe e, acceso un fiammifero, si mise a guardarlo. Franco non vi era ancora e Costanza, uscendo sulla spiaggia, non lo vide neppure al bagliore dei lampi che si facevano più fitti. Quando rientrò nella grotta sorprese il giovane in ammirazione. È bella? Ti piace? Godine, io non sarò gelosa, anzi la vendetta sarà più grande quanti più saranno gli uomini che l'avranno insozzata, la maledetta! Taci! Taci; strega, - diceva Alessio rivoltato da quel cinismo. Velleda era bella davvero col piccolo capo appoggiato sopra un mucchio di alghe e il corpo circondato dalle scure piante. La camicia sottile seguiva le curve del seno e delle anche e i piedi soltanto erano nudi. Pareva una giovinetta pudicamente coricata, una giovinetta composta e casta anche nel sonno. Eccolo! - disse Costanza udendo un rumore di passi sulla sabbia indurita dall'acqua. Alessio si alzò e usci, mentre il duca entrava. Perché così tardi? - gli domandò Costanza. Sono passati i doganieri e ho avuto paura di esser sorpreso. Hai scelto invero un luogo molto strano. Non dubitate; c'è chi veglia, - ella rispose. - Lei è là e dorme. Non v'indugiate troppo, - aggiunse con intonazione sarcastica. - Venite, - e presolo per la mano lo condusse accanto alla dormente. Ci vedi anche nelle tenebre! - osservò Franco. È l'odio che mi guida; voi non sapete odiare come me. Addio, - e uscì per andare in cerca d'Alessio. Franco, eccitato dalla lunga attesa, si gettò come un pazzo su Velleda, ma appena sentì quelle carni ghiacciate dall'aria della notte e quella bocca che non rispondeva ai suoi baci, fu preso da un vago terrore. Non così aveva sognato di possederla; non così. Se l'era figurata nelle lunghe veglie, piena di ardori, di ribellione forse; aveva vagheggiato di lottare con lei, di domarla alla fine con l'impeto della sua passione, ma mai aveva pensato di stringerla a sé inerte, insensibile. Oh! non era quello il premio dopo un così lungo delirio : non era un premio! Velleda! Velleda! - le diceva scotendola, ma ella dormiva sempre sotto l'azione del potente narcotico, dormiva così profondamente che a Franco a momenti veniva il sospetto che fosse morta, ma quel sospetto si dileguava sentendola debolmente gemere. Allora la baciava di nuovo, l'accarezzava tutta, cercava di riscaldarla al contatto della sua carne, della sua carne ardente, fremente di desiderio e di brama, e per un istante illudevasi di averla scossa dal letargo, di averle comunicato il suo fuoco, di averla fatta fremere, ma l'illusione svaniva presto lasciandolo spossato e non pago. Ma poiché tutti i tentativi per destarla riuscivano vani, Franco si alzò dal giaciglio di alghe e, fattosi sull' imboccatura della grotta, chiamò Costanza. Nessuno rispose. Intanto il vento aveva rinforzato, i lampi eransi fatti più spessi e il mare s'infrangeva con fracasso sulla spiaggia, spingendo lingue listate di spuma sulla sabbia asciutta. Franco chiamò di nuovo e credè di sentire una voce die gli rispondesse : Vengo! Egli era così turbato, così scosso da quell'ora di amore senza corrispondenza, da quelle carezze smaniose prodigate a un corpo inanimato, sentiva tanto forte il disgusto di sé, che non vedeva il momento di fuggir lontano da Velleda e dal luogo che gli ricordava la sua ignominia. Gli pareva d'essere abbietto e vile, come quei satiri che vanno a scoperchiare le tombe delle giovinette per violarle. Ah! il freddo di quel corpo, lo sentiva ancora sulla carne, lo agghiacciava ancora, mentre il sudore della angoscia gli scendeva dalla fronte. Fuggire! Non voleva altro che fuggire! Egli si diede a correre sulla spiaggia, travergando quel terreno coperto di colonne infrante e di massi biancheggianti fra l'appio e le palme, che al chiarore dei lampi parevano tombe, ora inciampando, ora rialzandosi, preso da un terrore che toglievagli il respiro. E l'impressione di quelle carni gelide, di quella bocca che non si schiudeva a nessuna carezza, a nessun grido, lo perseguitò anche nella sua camera, ove appena giunto accese molti lumi, per scacciare i fantasmi che lo perseguitavano. Quando ebbe fumata una sigaretta e si fu alquanto calmato, esclamò con un ghigno di rabbia: Sono sempre un inetto, anche nel male! Ho forse goduto? L'ho forse umiliata? No, Velleda non saprà nulla e domattina, destandosi nel suo letto, ignara di tutto, correrà a stender le braccia, a offrire la bocca desiosa di baci a Roberto! No, non lo farà, si vergognerà di farlo; questo almeno voglio - e ubbidendo a un pensiero improvviso, andò alla scrivania e tracciò sulla carta queste parole: Velleda, mentre stanotte tu credevi di dormire nel tuo letto, giacevi nella grotta in riva al mare, su un letto d'alghe. Su quel letto, come una belva mi sono gittate sul tuo corpo nudo e ti ho fatta mia. Voglio che tu lo sappia affinchè il pensiero di quest'onta tu lo senta anche nelle braccia di mio fratello, affinchè tu lo respinga inorridita. Si, sei stata mia, rammentalo sempre. Tu arrossirai ora dinanzi a me, tu non potrai più trattarmi con disprezzo, poiché tu mi appartieni; ma non è inerte, insensibile che ti voglio ancora. Ti voglio, viva, animata, fremente; ti voglio subito, poiché il mio desiderio ,si è fatto più vivo, più imperioso. A quando? Il duca non firmò la lettera, ma dopo averla chiusa in una busta e avervi fatto l'indirizzo la sigillò con l'anello di smeraldo, che portava incisa la mano che spezza il pane, con lo stemma dei Frangipani. Domattina saprà tutto, - disse, e accesa un'altra sigaretta prese a fare con cura minuziosa la sua toilette toiletteda notte.

Da quella vide chiudere le finestre della villa, spegnere i lumi e poco dopo udì abbaiare festosamente i cani, come se qualcuno li avesse sciolti. Dinanzi a Franco si stendeva il mare illuminato dalla luna e sulle onde si cullavano barche e vaporetti ancorati vicino alla gettata. Un silenzio solenne regnava su quella spiaggia deserta: nessun grido turbavalo, ora che i cani avevano sfogata la gioia di sentirsi liberi nel giardino. Capisco che Roberto possa viver qui, - pensava Franco, - egli si è procurata una esistenza comoda, signorile, allietata dalla presenza di una graziosa donnina; è molto molto abile quel caro fratello! E l'immagine di Velleda gli s'imprimeva negli occhi e la rivedeva ora a tavola, signorilmente composta, ora con Maria fra le braccia, sorridente e affettuosa, ora parlando eccitata della questione femminile, sempre carina sotto quegli aspetti diversi di dama, di madre e di pensatrice. Sapro chi è, conoscerò il mistero di quella esistenza, - disse fra sè Franco, invaso da una malsana curiositá. - Non è una donna comune e a Firenze non può esser passata inosservata. Il Signorini deve conoscerla certo, conosce tutti! E ruminando nella mente il disegno di scrivere a quello sfaccendato fiorentino, che lo distraeva quando passava per Firenze, Franco si coricò e dormì saporitamente.

In quel momento i cani si misero ad abbaiare e Velleda vide un' ombra sgattaiolare fra i palmizj a poca distanza da lei e perdersi sotto il fogliame scuro delle folte piante d'arancio. Ella tremò, ma vinta la paura, sciolse presto i cani dicendo : Cerca Lampo! cerca Etna! E i due cani, col muso in terra, abbaiando, s'allontanarono di corsa. Per Velleda fu quello un momento di suprema angoscia. Non sapeva che fare, se risalire in camera di Maria, o correre a suonar la campana per chiamare aiuto dallo stabilimento, quando un colpo di fucile ruppe l'alto silenzio della spiaggia, e uno solo dei cani tornò a lei spaventato latrando. I malandrini! - esclamò la signora atterrita, e senza riflettere più gettò un sasso contro la finestra della camera del cuoco e salendo a precipizio le scale si attaccò alla corda della campana. Costanza era andata sulle scale, pallida e tremante, il cuoco era corso su col fucile in mano, mezzo vestito; Maria sola dormiva placidamente. Velleda collocò Costanza accanto al letto della bambina, chiuse a chiave le porte e preso che ebbe un revolver di Roberto, incominciò a perquisire la casa, insieme col cuoco, premendo ovunque i bottoni della luce elettrica, affinchè se vi era qualcuno nascosto, fosse subito visto a quel chiarore vivo. Ella era ancora al piano superiore, allorché giunsero due guardiani armati, Saverio e il Varvaro. Quest'ultimo aveva in mano la lanterna e avanzandosi nel viale dei palmizj guardava a destra e a sinistra, proiettando in basso e in alto la luce e intanto gridava per annunziare il suo arrivo. Velleda udi quei gridi e scese incontro al direttore. Ma che cosa è avvenuto? - domandò questi. Non so precisamente" - diceva con voce interrotta cercando di ritrovare il filo delle idee, - mi ero un po' attardata prima di sciogliere i mastini e quando sono scesa per isguinzagliarli ho veduto un'ombra nera fra gli alberi. Allora immediatamente ho sciolto Lampo ed Etna. I cani certo debbono avere scoperto il malfattore, perché ho sentito un colpo di fucile e Lampo solo è tornato verso di me ed è rifuggito subito. Ponetevi a difesa della casa sulla terrazza e non lasciate avvicinare alcuno, - ordinò il Varvaro ai guardiani, - Saverio e il cuoco cercheranno insieme con me. Velleda risalì in camera di Maria e vi si rinchiuse ; Costanza, in preda a un cieco terrore, aveva acceso tante candele a una immagine della Vergine, e balbettava : Maria, bedda matri aiutatemi! Salvatemi! Maria dormiva sempre e Velleda, con l' orecchio teso, spiava ogni lieve rumore. La camera di Maria, che era pure la sua, non guardava sul viale dei palmizj ne su quella parte del giardino in cui erasi svolta poco prima la rapida scena, e per questo ella non poteva seguire le indagini del Varvaro. Però a un certo momento sentì un rumore di passi nell'anticamera terrena e non reggendo più, corse sul pianerottolo, spenzolandosi nel vano della scala per veder chi era. Saverio! Saverio! che cosa è successo? - diceva scorgendo il cameriere, che correva verso la cucina. Lampo ha fatto il suo dovere! - rispose il servo nel passare. Poco dopo Saverio ripassava portando una spugna e una catinella piena d'acqua. Ma Saverio, per carità, spiegatevi! - diceva Velleda che lo aveva atteso trepidante. Signora, un malandrino ferito. Laconico nelle risposte come ogni siciliano, non disse altro e tornò verso i suoi compagni nel giardino. Suonate! - gridò Velleda ai guardiani affacciandosi al terrazzo. - Sparate i fucili, fate che vi odano dalla Casa dei Viaggiatori. Lo Carmine con i suoi ci verrà in aiuto. Oh se i carabinieri fossero in perlustrazione, se i doganieri accorressero; sparate! Partirono quattro colpi di fucile a breve intervallo e poi la campana suonò a distesa. A un tratto s'illuminò la Casa de' Viaggiatori, s'illuminò il " Selino " e da quello partì un colpo per avvertire che l'appello era stato udito. Lampo abbaiava furiosamente e i cani dello stabilimento pareva che gli rispondessero. Velleda correva ansiosa dalla camera di Maria alla terrazza e il suo pensiero volava a Roberto. Oh.' come lo invocava in quel momento; come sentiva il bisogno di averlo accanto a sé, a difesa della casa! A un tratto vide Costanza, che rompendo la consegna, scendeva le scale e le ingiunse di tornare dalla bimba. Sotto la chiara luce lunare, la signora scorse una lancia del " Selino " accostarsi alla banchina e vide dalla Casa de' Viaggiatori uscire un gruppo scuro, che correva in direzione della villa. Ma intanto che tutti quei soccorsi si avvicinavano, e Velleda ne affrettava col desiderio l'arrivo, più colpi di fucile erano sparati nel cortile dello stabilimento. I marinari del "Selino, che erano giunti al cancello della villa, retrocessero di corsa, i due guardiani che erano sul terrazzo della villa traversarono la sala; gridando a Velleda : Era una finta per allontanarci; il pericolo è là. Il pericolo! - ripeteva la signora atterrita. Dunque attentavano alla proprietà di Roberto, al frutto paziente del suo lavoro? Il Varvaro anch'egli s'era unito ai guardiani e correva verso il luogo più minacciato. Velleda non sapeva più che cosa fare e le fucilate che continuavano a turbare l'alto silenzio della notte, le ferivano dolorosamente gli orecchi. Ella scese incontro al Lo Carmine e ai due tedeschi e non seppe dire altro che : Maria! Lo stabilimento! Anche il sottodirettore degli scavi e i suoi due compagni erano armati di fucile e nella cintura portavano il revolver. revolver.Signori, - ella disse ai due giovani architetti tedeschi, conducendoli sulla porta della camera di Maria, restino qui, non si muovano, non lascino uscir nessuno, veglino per me. Io devo correr là. Non si muovano! Ella aveva preso in mano il revolver e trascinava seco il Lo Carmine verso il cancello, quando s'imbattè in Saverio e nel cuoco che portavano sopra un asse un uomo con la gola aperta e sanguinante. Velleda si fermò un momento, lo fissò con raccapriccio e poi esclamò: Alessio, il capo degli scioperanti di quest' inverno! Proprio lui! - rispose Saverio. - Ma Lampo gli ha levato la voglia di ricominciare. Lo rinchiudo in camera mia e dopo frugheremo la casa. Lampo seguiva il ferito mandando latrati feroci annunzianti che non era soddisfatto dell'opera sua. La fucilata era cessata allo stabilimento e il Lo Carmine, che vedeva con dispiacere Velleda dirigersi verso quel punto più minacciato, la trattenne quando stava per varcare il cancello. Resti qui, - le disse. - Se Maria si destasse, non avrebbe forse bisogno della sua parola rassicurante? Pensi che questa bimba è quello che di più caro ha il signor Roberto. Là vi è il Varvaro, vi sono tanti uomini. A quel nome, invocato da un amico, Velleda non seppe resistere e dopo aver chiuso a chiave il cancello, disse : Frughiamo il giardino, Ella aveva preso nella sinistra la lanterna abbandonata da Severio e col revolver nella destra, coraggiosa e cauta, si avanzava sotto le piante di arancio e sulla sua testina piovevano i petali bianchi. A un tratto si fermò, In una pozza di sangue giaceva Etna, con la testa squarciata da una palla, gli occhi spalancati e vitrei e intorno, mescolati al sangue, i soliti fiori profumati. Povera bestia! - esclamò, - mi voleva tanto bene ed è andata incontro alla morte per ubbidirmi. Più là vi erano altre tracce di sangue; il sangue di Alessio e sempre fiori, ovunque fiori nivei. Una corda abbandonata era attaccata con un arpione alla sommità del muro del giardino. Velleda l'accennò al suo compagno, il quale la staccò. Camminavano in silenzio esplorando. In un altro punto era stata tagliata un'alta pianta di fico d'India, in terra trovarono un altra corda avvoltolata. Velleda e Lo Carmine andavano sempre avanti, senza scambiare una parola. Quando ebbero esplorato tutta la parte anteriore del giardino, passarono in quella a tergo della casa. Velleda alzò la lanterna e mandò un grido. Attaccata al davanzale della finestra di Costanza, attigua alla camera di Maria, stava una scala di corda, e in terra, sulle aiuole di margherite e di pelargoni si vedevano tracce di pedate e piante calpestate. Velleda impallidì. Ormai il complotto era palese. Volevano rubare Maria per esigere poi da Roberto una somma prima di restituirla. Sventato il colpo avevano tentato di penetrare nello stabilimento, per rifarsi, rubando i denari che vi erano sempre. Quando la signora ebbe la percezione esatta del pericolo corso dalla bambina, impallidì e rimase irrigidita senza poter fare un passo. Se i malandrini avessero avuto tempo di mandare ad effetto il rapimento, che sarebbe avvenuto di Maria? Come avrebbe lei, Velleda, sostenuto la vista di Roberto? Oh! si sentiva impazzire a pensarvi. Pochi momenti più che si fosse indugiata nella meditazione della lettera di Roberto, e il colpo era fatto. Posò la lanterna; strappò la scala con un atto repentino e poi invasa dal terrore di un nuovo pericolo, corse in casa, salì in fretta le scale e penetrata in camera di viaria s'inginocchiò accanto al letto di lei e pianse, pianse lungamente. Costanza, inginocchiata pure e con aspetto truce pareva pregasse. Così Franco vide Velleda giungendo, così la vide il Varvaro, che andava a dirle quello che era accaduto. Ella fece loro cenno di non fiatare per non turbare il sonno della bambina, e senza accorgersi dei due tedeschi che facevano sempre la guardia, come sentinelle, andò in sala e lasciandosi cadere sopra una poltrona; disse al Varvaro: Ora mi racconti tutto! L' attacco allo stabilimento non era preparato, disse il direttore, - ma appena i malandrini hanno udito il suo appello, hanno veduto che io mi dirigevo qui con i guardiani e che i marinari del " Selino " venivano pure alla villa, hanno dato la scalata al muro di cinta e senza esser visti dal solo guardiano che era rimasto là, si son diretti alla segreteria, ove sanno che vi sono danari. I cani hanno dato l'allarme, il guardiano ha incominciato a tirare schioppettate e s'è attaccato alla campana. Allora io, destato all' improvviso, - continuò Franco, ho preso il revolver e, spalancata la finestra, ho mirato su quello dei malandrini che stava dietro a tutti e gli ho messo due palle nella schiena. Gli altri - erano sette - hanno rivolto i fucili verso la mia finestra facendo un fuoco di fila. Io sono andato a quella accanto e di dietro la persiana ho continuato a tirare. I marinari del " Selino " allora sono entrati nel cortile insieme col signor Varvaro ed i guardiani ed hanno fatto fuoco. Due altri malandrini sono caduti, i quattro rimasti illesi, mettendo mano ai coltelli hanno attaccato i difensori per aprirsi un varco e fuggire. Due vi sono riusciti; due sono stati presi e legati. Velleda con gli occhi pieni di lagrime che le scendevano sul dolce visino coperto da un pallore mortale, narrò quello che era accaduto alla villa e come avesse acquistato la convinzione che il colpo era diretto contro Maria. Era una imprudenza di restar qui quasi sola, disse Franco, - da stasera in poi mi permetterà di occupare la camera di mio fratello, e Saverio ed io faremo una ispezione nel giardino prima di coricarci. Il Varvaro approvò quella risoluzione, ma Velleda che non dimenticava mai Roberto, rispose: Farò avvertire i carabinieri, grazie; essi veglieranno nella villa. Franco non rispose, e non insistè perché sapeva che era inutile. Intanto erano giunti i doganieri, i quali trovandosi in perlustrazione verso il porto di Palo, avevano udito la fucilata, e quando l'alba rosea già illuminava le imponenti rovine, la villa e lo stabilimento, nessuno pensava ancora a cercare il riposo, e Velleda, con gli occhi sempre pieni di lagrime vegliava onde sparisse dal giardino ogni traccia dell'assalto notturno e Maria potesse ignorare il pericolo che aveva corso. Alessio, il ferito, era vegliato da un guardiano, il cadavere di Etna era stato sotterrato nella sabbia, i due tedeschi e il Lo Carmine erano tornati alla Casa dei Viaggiatori, e quando Maria aprì gli occhi sorrise vedendo Velleda da un lato del suo letto e dall' altro Franco. Oh! zio che sorpresa! - disse e cinse con un braccio il collo del duca, mentre con l'altro attirava a sé Velleda. gàra sui capelli. Sì, amore, - le rispose, - la mattinata è tanto bella! Anzi faremo il primo bagno di mare. I carabinieri dovevano giungere presto e Velleda era impaziente di allontanare la bambina dalla villa. Non voleva che sentisse parlare di quell' eccidio, come non avrebbe voluto che quella notizia giungesse a Roma a Roberto. Ma come fare? Ella affidò Maria alla balia; che aveva ancora gli occhi rossi, e fatto cenno a Franco di seguirla nella sala, gli disse: I giornali di Roma avranno probabilmente stasera la notizia del fatto, suo fratello la leggerà; non sarebbe meglio avvertirlo con un lungo telegramma? Non so, - rispose Franco. - Forse è più prudente di avvertire le autorità di tener celato l'acccaduto. Certe cose non si nascondono; sono troppi i testimoni e a quest' ora una cinquantina di persone sanno tutto. Io non posso celar nulla al signor Roberto; egli ha diritto di saper quello che avviene in bene e in male e io non meriterei più la sua stima se tacessi. Telegrafi allora; ma gli dica che il pericolo è scongiurato, - rispose Franco il quale non pensava ad altro che ai suoi interessi che sarebbero rimasti abbandonati se Roberto fosse partito.

Le Fate d'Oro

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Perodi, Emma 3 occorrenze

Comin- ciava a rassegnarsi a morire senza rivedere i suoi, sbranato forse dai lupi, quando udì abbaiare un cane, e poco dopo lo scòrse avvicinarsi alla sponda del fosso, insieme con una bambina. - Non vi sgomentate, - gli disse la bambina - corro a casa e torno con una fune per tirarvi su. - Il Conte riprese animo, e dopo un po' di tempo vide ricomparire la coraggiosa bambina, la quale, legata solidamente la fune al tronco di un albero, la lasciò ca- lare nella fossa. Aiutato dalla fune, il Conte potè salire insieme col cavallo sulla proda, sano e salvo. La bambina gli dette pure una boccettina di liquore per risto- rarlo, e lo guidò a casa sua, dove fu ac- colto affettuosamente e albergato dai ge- nitori di lei. - Vi potremmo dare di più, - disse il padre della bambina a cena, mettendo in tavola castagne e carnesecca - ma il Conte ci spolpa. Se sapeste che flagello è un padrone simile per noi! Bisogna soffrire e tacere; ma lui deve essere più infelice di tutti gl'infelici che fa. - Il Conte respinse il piatto, disse che era stanco, e chiese d’andare a letto. S'addormentò anche quella notte a stento, e in sogno vide la felicità che re- gnava nel suo castello riflessa in tanti quadri lieti, e vide che nessuno desiderava il suo ritorno. Si destò, fu preso da un grande sco- raggiamento e si mise a piangere. In quel momento sentì battere forte forte alle im- poste della finestra. Aprì e vide l'aquila. - Cògli un ramoscello del dittamo del buon cuore, che cresce qui sulla fine- stra della bambina; annaffialo di lacrime e portalo a casa tua; vedrai che non si sec- cherà più. - A. casa non ci torno; non ci posso tornare! - Perchè avresti fatto il viaggio? - gli domandò l'aquila. - Da' retta a me e parti subito. - Il Conte colse il ramoscello, si vestì e scese giù. Tutti erano già alzati e lavo- ravano. Il Conte sellò il suo cavallo, dette una borsa piena di danari al capoccia, baciò la bambina e ringraziando si al- lontanò. La famiglia lo accompagnò con sa- luti e benedizioni, ed egli si sentì sol vare il cuore. Il Conte, tornando al castello, vide spa- rire a un tratto l'allegria da tutti i volti, cessare i canti, cessar le risa, ma egli non si sgomentò per questo; voleva essere amato ad ogni costo. Egli piantò con cura il ramoscello di dittamo in un bel vaso, lo annaffiò ogni giorno, si mostrò umano e affabile con i sottoposti, dolce con la moglie, carezzevole col bambino, e da quel tempo il dittamo del buon cuore fiorì splendidamente nel castello, e il Conte diventò un signore fe- lice, meno temuto, ma molto amato.

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Quando suonò la mezzanotte, il Manovale mise la chiave nella serratura, ma appena andò per girarla, cento cani incominciarono ad abbaiare, e gli si scatenarono addosso. Il turco, con la scimitarra, tagliò la testa a tutti. Erano i cani del Nano. Dopo poco il Manovale, facendo uno sforzo terribile, spinse la porta, lasciando il compagno a guardia. Entrò dentro la fortezza. Camminava a tastoni per le stanze; c'era un buio come in gola al lupo, e il Manovale disperava di trovare la sua Miseria, quando dai larghi finestroni vide entrare un grande chiarore, che illuminò le sale ricchissime, tutte tap- pezzate di seta. In mezzo a una di quelle sale c'era un baldacchino d'oro, e sotto quel baldac- chino un letto. In quel letto dormiva Mi- seria. Sognava e chiamava la mamma, il babbo e i fratellini. Il Manovale se la prese in collo, l'av- volse nel suo lungo mantello bianco, e la portò via addormentata, uscendo con lei sano e salvo dal palazzo del Nano. Il suo compagno era sparito. Egli portò la bambina nella grotta dove si era vestito da turco, per riprendere i suoi panni, e ci trovò la Fata, alla quale espresse tutta la sua gratitudine, e restituì la chiave. La Fata fu commossa dall'affetto che aveva quel pover'uomo per la sua bam- bina. - Miseria non conoscerà la miseria - disse dandogli la chiave. - Questa ti servirà ad aprire una cassetta piena d'oro, che troverai sotto il sasso quadrato, che è nel tuo giardino; ma non te ne valere al- tro che quando ti manca il lavoro. - La Fata sparì dopo aver ordinato alle nuvole di trasportarlo al di là del fiume. Sparì nella luce dell'aurora, e il Ma- novale vide il Nano, che, montato sopra un cavallo, volendola inseguire, precipitò nel- l'acqua. Quel tenero padre tornò a casa con- tento come una pasqua con la sua cara Miseria, che si svegliò nel suo letto e credè d'aver sognato; e allora: Fecero un gran festino, Goderon proprio tutti; Io sol nel cantuccino Rimasi a denti asciutti.

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Un giorno che la caprina se ne era andata fuori, Briciolina sentì abbaiare fu- riosamente, e, affacciandosi, vide la caprina inseguìta da una muta di cani, che stavano per afferrarla. Dietro venivano di galoppo tre bellissimi cacciatori. Briciolina urlò, strepitò, ma i cani as- salirono la capra, l'uccisero e si accinge- vano a sbranarla. - Assassini! - disse Briciolina ai cacciatori. - Assassini! - ripeterono Lucia Maria, che erano sopraggiunte. E fra tutte e tre portarono in casa la caprina morta e l'adagiarono sopra un letto di fiori; e lì incominciarono a piangere da far compassione. I cacciatori erano rimasti tutti umi- liati e dolenti, e non osavano muoversi Ognuno di essi avrebbe dato la vita per rasciugare le lacrime di quelle tre belle ra- gazze. Briciolina era la più desolata e non si saziava di baciare la povera caprina. Una lacrima di Briciolina andò pro- prio a posarsi sulla ferita sanguinante del caro animale, e subito la caprina agitò le zampe; a poco a poco la pelle le cadde da dosso, e comparve davanti agli occhi delle fanciulle una bellissima Fata. - Chi sei? - le domandò Bricio- lina. - Sono la Fata dei bambini abban- donati: sono la vostra Fata! - Le tre bambine le saltarono al collo. Ora torniamo un bel passo addietro. Il mercante, rimasto solo, era andato a letto e si era addormentato profonda- mente; ma dopo poco incominciò a sognare pareva che i ladri gli rubassero suoi te- sori; gli sembrava di sentir rotolare le mo- nete sul pavimento; voleva urlare e non poteva. Si svegliò spaventato e andò in cantina per sincerarsi. I mucchi delle monete erano tutti a po- sto; soltanto quand'egli prendeva una mo- neta in mano ci vedeva sempre da una parte o dall’altra il viso piangente di una delle sue bambine, e dagli angoli bui della cantina sentiva partire gemiti ed ululati di lupi. Richiuse la cantina e tornò a letto, e lì riprincipiò a sognare i ladri e si ride- stò. Insomma, non aveva un momento di pace, tanto che dopo una settimana di quella vita avrebbe dato tutti i suoi tesori per riavere le sue bambine e riacquistare la tranquillità. Si mise una bisaccia in spalla, e via per il mondo a cercarle. Camminò sette anni, sette mesi e sette g'iorni, quando una sera arrivò stanco sfi- nito in riva ad un bellissimo lago. Sulla sponda del lago incontrò una vecchia. - Sapreste dirmi in che paese siamo? - Siamo nel reame di un Re poten- tissimo, che oggi fa sposo l'unico suo figlio; anzi vado al banchetto nuziale, e possiamo fare la strada insieme. - Il mercante s'incamminò, e per la strada seppe che la sposa era una povera ragazza, ma tanto mai buona e tanto mai bella che nessuna poteva starle a confronto, altro che le due sorelle di lei, che erano già spose di due Principi coronati. Al mercante venne voglia di vedere quella perla di principessa e di parlarle, perciò domandò alla vecchina se gli poteva ottenere un'udienza. La vecchina glielo promise, ma sul più bello la perse di vista e arrivò solo, stracciato e polveroso al palazzo reale. I servitori Io mandavano via, i cani stessi gli abbaiavano alle calcagna, ma lui tanto fece, tanto s'arrabattò che gli riuscì di mettersi in fondo allo scalone di dove doveva scendere la sposa, in mezzo al cor- teo, per andare al banchetto. Quando il mercante vide la sposa si sentì tremare le ginocchia e sussurrò: « Bri- ciolina! » Briciolina si voltò, riconobbe il padre e gli si buttò al collo. Costì il corteo do- vette fermarsi, perché Briciolina era sem- pre abbracciata a lui, e poi se lo mise al fianco, fece chiamare le sorelle e tutte gli fecero un'accoglienza, come se le avesse fatte crescere nel cotone. Il mercante, guarito dall'avarizia, con- solato dalle figliuole, dimenticò i patimenti sofferti, e tutti insieme fecero una festa coi fiocchi. E i tre cacciatori? Che non l'avete capito? Erano i tre Principi che sposarono le figliuole del mer- cante.

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