Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il cappello del prete

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

La paura che gli aveva fatto quel maledetto cane col suo improvviso abbaiare era rimasta come un senso di acuta trafittura tra le costole a sinistra. Dopo tre quarti d'ora di buon viaggio giunse in vista della stazione. Traversando un passaggio della strada ferrata, chiese al cantoniere se c'era molto tempo alla corsa per Napoli. - Un'ora e mezzo, cacciatore - disse l'uomo, che stava aggiustando uno scarpino di ragazzo seduto su un tronco presso il casello, da dove usciva la voce di una donna e il pianto d'un bimbo. Un gran silenzio ed una gran pace regnava intorno a quella casupola, tuffata nel chiaror roseo del tramonto, in mezzo alla grande solitudine. - Come sono felici questi pitocchi! - pensò l'ultimo dei Santafusca. La schietta confidenza con cui Giorgio della Falda ed il casellante gli avevano parlato, credendolo uno dei loro, lo aveva avvicinato a un mondo che di solito egli guardava troppo dall'alto; voglio dire, al mondo dei bisogni semplici e degli affetti semplici della natura. Solo in questo terreno vergine cresce l'erba della felicità. - Come sono felici questi pitocchi! - tornò a pensare, mettendosi a sedere sopra il parapetto di un ponticello, che traversava un torrentaccio, lontano cento passi dalla stazione. Aveva un'ora e mezzo da far passare, e poiché il luogo era quasi disabitato, e nessuno lo conosceva, pensò se non era il momento di nascondere il maledetto cappello in qualche cespuglio, in modo da farne scomparire la traccia e l'ombra per sempre. Tirato da questo pensiero, si lasciò condurre da un sentieruolo verso alcuni boschetti bassi di nocciuoli, che andavano a finire in una deserta sodaglia, di un aspetto squallido e vulcanico. Pareva proprio il regno della morte. Non una casa, non un'anima viva per quanto girasse l'occhio intorno. - Come sono felici questi pitocchi! - tornò a ripetere per la terza volta e quasi per una forza meccanica della glottide, mentre l'occhio ed il pensiero andavano in cerca di una buca per seppellire ciò che sopravviveva di prete Cirillo. Dopo aver gironzolato un pezzo, si pose a sedere sopra un mucchio di pomici, da cui uscivano poche ginestre e per la prima volta sentí una grande stanchezza alle gambe. Era stata una grande giornata, e un gran viaggio: ma la vittoria era sua. E dire che questa visione gli era venuta in un sogno! Aveva dunque ragione prete Cirillo di credere ai sogni. Se non fosse stato ridicolo d'ammettere certe ubbíe, c'era quasi da pensare che il suo prete gli avesse in sogno suggerito il pensiero di andare alla Falda. Non gli aveva promesso un giorno prete Cirillo di salvargli l'anima e il corpo? Le anime dei morti non conservano rancore, e se prete Cirillo poteva dal mondo di là tirare un'anima di questo mondo al porto della salute, perché non l'avrebbe fatto? Anche lui, il prete, non era senza peccati e aveva bisogno forse di molto perdonare. Che cosa sappiamo, in nome di Dio, delle cose di questo e dell'altro mondo? In tutto ciò che era accaduto intorno a lui non era egli quasi trascinato per necessità a credere alla forza di una pietosa provvidenza, che conduce le cose con una precisione meravigliosa? Il sole dalla linea bassa dell'orizzonte proiettava le ombre degli arbusti sul terreno arsiccio. Un gran cielo biancastro, troppo pieno di luce, ricopriva il vasto piano per cui si raggirava il nostro cacciatore in cerca di una buca. Ma non si trovavano buche già fatte, e quella sodaglia era troppo aperta, perché un uomo potesse scavarne una senza dare sospetto a qualcheduno. C'era anche troppo cielo di sopra. Visto un fossatello in cui stagnava ancora della vecchia acqua piovana, si abbassò con tutta la persona, trasse il carniere davanti, girò l'occhio intorno... Ma non osò buttar via il carniere. L'ombra sua ingrandita dal sole cadente era un troppo noioso testimonio. Quando si alzò, gli parve d'essere divenuto grande come un gigante, e temette quasi di dar la testa nella vólta del cielo... Allora pensò che era piú sicuro andare a casa, rinchiudersi nella sua stanza, tagliuzzare e distruggere a poco a poco questa noiosa reliquia. Si rimise in cammino, tornò sulla strada, fino al casello, raggiunse la piccola stazione, e quando arrivò il treno, saltò in un vagone di terza classe, contento di viaggiare coi buoni figli del popolo, tra cui trovò chi gli parlò a lungo di cani, di beccacce e di allodole. Nella dimestichezza col popolo, egli perdeva di vista il barone, e sentiva nascere la compiacenza di essere un cacciatore come se ne danno tanti, reo soltanto d'aver ucciso della selvaggina; un buon uomo innocente insomma, che in un bicchier di vino e in una buona pipa mette tutto il problema dell'umana felicità. Arrivò a Napoli ch'era già buio, e ripiegò verso i sobborghi coll'idea di giungere al mare in qualche sito deserto. Piú volte si arrestò preso dalla tentazione di lasciar cadere carniere e cappello in uno di quei tanti canali di scolo che escono dalle case del popolo; ma anche qui pensò che poteva essere ripescato dai ragazzi, che guazzano nelle fogne come le rane nel pantano. Siccome "u prevete" aveva già creato a sé una piccola leggenda, bisognava evitare qualunque segno che potesse guidare la curiosità della gente sulle traccie del delitto. Anche il cappello aveva oramai la sua piccola leggenda. "U prevete" l'aveva pagato al cappellaio con un terno, che uscí tutto; ne aveva parlato tutta la città; tutti i gìornali vi avevano ricamati sopra i loro commenti: l'oste del "Vesuvio" l'aveva portato alla Falda in un sacco, poi l'aveva dato a un cacciatore... Alla Falda l'aneddoto del cappello doveva ora divertire i buoni avventori dell'osteria del "Vesuvio". Occorreva dunque la massima prudenza per non richiamare l'attenzione di nessuno su questo cencio mortuario che aveva in sé tanta forza di vita. Per Dio, pareva che lo spirito del prete vi si dibattesse dentro con impeti e convulsioni di uccellaccio agonizzante. Non l'avrebbe seppellito, nemmeno nella sabbia del mare, dove vanno i ragazzi a cercare nicchi e coralli. Non si poteva pensare nemmeno a bruciarlo. Come si fa un falò in mezzo alla via? Per il diavolo! era stato meno difficile sbarazzarsi del prete... "U barone" sentiva che la materia è dura, indistruttibile, mentre un uomo si spegne come a soffiare sopra una candela. Gli tornarono in mente molti aforismi del celebre dottor Panterre su questo argomento, mentre camminava nel buio, gesticolando come un forsennato, tra le ultime case dei pescatori lungo la marina. La difficoltà dell'impresa, la stanchezza del viaggio, il tedio che gli dava quel cappellaccio co' suoi impeti e col continuo battere sui fianchi in un rumore di noce fessa, tutto ciò misto alla paura delle ombre finí coll'irritare un uomo che nel buio, nel deserto, nella quiete profonda della notte sentiva troppo sé stesso. E si sarebbe forse buttato in mezzo alla via affranto e nauseato, se, uscendo da un vicoletto, non si fosse trovato davanti tutto il mare, con una immensa spiaggia aperta e deserta, colla sua bell'onda grossa e sbuffante, che veniva faticosamente sul lido e qui si scioglieva fremendo sulla ghiaia in un lieto bisbiglio di spume. A sinistra Napoli splendeva di mille lumi; nella notte mandava un ampio bagliore al cielo. La notte era chiusa, senza vento, senza stelle, e pareva fatta per un delitto. Dieci o dodici passi avanti c'era un piccolo promontorio di neri scogli e di ciottoli che si protendevano nell'acqua. "U barone" fu guidato da una mano invisibile (alla quale cominciava a credere fin troppo) verso gli scogli, e vi trovò una barcaccia da pesca coi remi dentro, legata a un masso con una catena e riparata dai flutti. Non c'era intorno anima viva. Entrò nella barca, la sciolse, prese i remi, e pigliato il momento che l'onda torna indietro, con quattro colpi si trovò al largo, avvolto nelle fitte tenebre, solo, tra un mare nero e un cielo nero, dimenticato da tutti, diviso dalla morte da sole quattro assicelle tarlate. Egli aveva data una grande battaglia alla natura, che inutilmente l'aveva fatto inseguire dai suoi fantasmi. Finalmente l'uomo forte e prudente l'aveva vinta! Socchiudendo gli occhi, come se avesse paura di vedere un capo di morto, cacciò le mani nel carniere, sentí il suo cappello, lo trasse fuori, buttò il carniere nel fondo della barca, con una cinghia legò il cappello stretto stretto al fucile, e ridendo gelidamente nel buio, tuffò il fucile nell'acqua, fino alla bocca, compiacendosi di tenerlo un momento nel pugno per assaporare piú lentamente il suo trionfo... poi aprí la mano. Il fucile e il cappello, precipitando senza rumore, si perdettero negli oscuri abissi del mare. - Ecco fatto, prete! - disse a voce alta "u barone" ridestando un piccolo suono nascosto tra gli scogli. Pareva che il prete rispondesse: amen. Un'ora dopo sotto un torrente di poggia "u barone" rientrava in città. Andò a casa difilato, si spogliò degli abiti da cacciatore, si cacciò nel letto e si addormentò di un sonno greve e senza pensieri. Ne aveva bisogno. La giornata era stata lunga e piena di scosse. Si sentiva le ossa fracassate, l'anima affranta: e dormí profondamente sulla sua vittoria. La mattina seguente, mentre sua eccellenza dormiva ancora profondamente sulla sua vittoria, i ragazzi strilloni correvano per le vie di Napoli a gridare coi foglietti in mano: - "U cappiello du prevete". - Grande scoperta, il cappello del prete. - "U cappiello du prevete Cirillo". - A un soldo il cappello del prete. La gente, specialmente il popolino, comperava i foglietti, e innanzi agli acquaioli e ai caffeucci si formavano dei crocchi. Uno leggeva e gli altri ascoltavano, e tutti ripetevano poi la storia del cappello arrivato a Filippino dentro una scatola, con quella naturale immaginazione della gente fantastica, che quando trova un bel caso vero, cerca di consolarsi in qualche maniera del dispiacere di non averlo inventato.

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