Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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SCURPIDDU

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Capuana, Luigi 3 occorrenze

E Scurpiddu buttava all'aria il bastone, facendo il grido del porcellino o saltellando o abbaiando: e i cani della masseria gli rispondevano di fuori abbaiando tutti a una volta. Quando però andava a chiudersi nel suo bugigattolo dove Paola lo attendeva sveglia nel paniere col fieno, quasi volesse accertarsi di non dormir sola, Scurpiddu da qualche sera in qua stentava ad addormentarsi. Pensava allo zi' Girolamo che gli aveva detto: - Tua madre tornerà! - Ed era tornata!. Chi gliel'aveva detto a lui? Le Nonne ? Fantasticava intorno al modo di accertarsi se era vero che il bovaro lasciasse sul corbello il suo giubboncino col cappuccio ritto e col bastone tra le maniche incrociate, come aveva raccontato di averlo visto una volta il Soldato , al lume di luna, verso la mezzanotte Pensava di uscir fuori zitto zitto e andare a verificare coi suoi occhi. Non lo avrebbe chiamato, se no il povero zi' Girolamo sarebbe morto, perchè coloro che vanno colle Nonne se sono svegliati all'improvviso, aveva detto un'altra sera il Soldato , cascano freddi sul colpo. Era lassù, a mezza costa dell'Arcura, dove la pastura pei tacchini abbondava, e si divertiva con Paola , facendosi inseguire abbassandosi in tempo quando Paola stava per posarglisi su la spalla, e allontanandosi presto dopo che quella era andata via col volo. Pareva che anche Paola prendesse gusto al gioco, perchè due volte che Scurpiddu non era stato lesto ad abbassarsi, essa non si era fermata, anzi era volata lontano verso i mandorli di Rossignolo. E fu per questo che Scurpiddu si accorse di quei due che con la mano gli facevano cenno di avvicinarsi, mezzi nascosti fra i tronchi dei mandorli. Aveva avuto paura vedendo luccicare le canne dei fucili che coloro tenevano in mano col calcio a terra. E siccome Scurpiddu intimorito, non si risolveva, quei due si mossero verso di lui. Allora egli vide che essi, oltre il fucile avevano le pistole ai fianchi infilate a traverso la cintura di cuoio. E in mezzo, una giberna, come quella dei carabinieri che giusto il giorno avanti erano passati di là e gli avevano domandato: - Hai visto nessuno? - Nessuno. - Coi fucili come noi? - Nessuno. Ed erano andati via, prendendo la strada del Monte, tra i fichi d'India. Più tardi, li aveva visti lassù, in cima al Monte, coi fucili che luccicavano e le striscie di cuoio bianco sul petto. Guardavano, con la mano su gli occhi per la via del sole. Erano passati, un mese addietro, due volte, ma allora non gli avevano domandato niente. Chi cercavano? Ladri, forse. E subito pensò che i ladri cercati dovevano essere quei due; perciò aveva paura. - Va' a dirgli: Ci sono due amici che vogliono qualche pagnotta e un fiasco di quello bono. Pel resto, si prenderanno un tacchino; e vi salutano tanto. Così devi dirgli. Va'? - E i tacchini a chi li lascio? - rispose Scurpiddu piagnucolando. - Li guarderemo noi, non aver paura. Digli: Ci sono due amici ... E colui che parlava - l'altro stava zitto - replicò le parole del messaggio, soggiungendo: - E digli: Devo portare tutto io e non altri. E non tardar troppo, va'! Scurpiddu si avviò subito, giacchè quell' amico comandava con modi bruschi; e di tratto in tratto si voltava indietro per vedere se tutti e due erano ancora colà. Poi si era messo a correre, e alla masseria era arrivato ansante, in sudore. Chiamato in disparte il massaio, gli aveva fatto l'imbasciata, senza dimenticare una sillaba. Massaio Turi aggrottò le sopracciglia, increspò le labbra, stette un istante a riflettere, e rispose: - Va bene; aspetta qui. E dopo pochi minuti, ricomparve tenendo pel collo un fiasco di terracotta coi mànichi, e una salvietta con le pagnotte richieste. - Dirai a quegli amici: Dice il massaio: se vi occorre un tacchino, prendetelo. E dice: che da queste parti non c'è aria bona, perchè tira vento quasi ogni giorno. E dice che vi saluta tanto, e che il Signore vi aiuti. Tu poi non fiaterai di questo con nessuno; hai capito? - Sissignore. - E spicciati. Andava di corsa. Intanto pensava perchè il massaio mandava a dire a quegli amici: - Qui tira vento ogni giorno? - Non era vero. Che vento? Uh! Ma del tacchino voleva fingere di essersene scordato. Quale avrebbero preso? Notaio ? Don Pietro ? Scurpiddu ? Questo poi no. Gli piangeva il cuore all'idea che potessero portargli via il suo prediletto. Quando arrivò lassù, non trovò gli amici . I tacchini si erano un po' sbandati. Posò per terra il fiasco e le pagnotte, e li rincorse. Scurpiddu era là che faceva la ruota, ponzando, col bernoccolo rosso allungato sul becco! Respirò. Tutt'a un tratto si vide davanti uno di quei due, senza fucile nè pistole, quasi fosse uscito di sotto terra. E prima di prendere il fiasco e la salvietta col pane, colui si fregò in una tasca del panciotto. - Tieni, questi sono per te. Gli mise in mano dieci soldi. - Dice il massaio ... . E Scurpiddu ripetè quel che massaio Turi gli aveva dato incarico di dire. Quando ripetè: Qui tira vento quasi ogni giorno , l'amico fece una smorfiaccia che voleva essere una risata. - Gli dirai: Grazie anche di questo. Il tacchino lo mangeremo alla sua salute. E tu… Mise l'indice su le labbra; voleva dire: Silenzio! - Sissignore. Dunque il tacchino se lo erano già preso! E cercò con gli occhi tra il branco. Mancava Notaio ! Alzò le spalle, quasi avessero portato via proprio il notaio di Palagonía che lo aveva scacciato dal servizio per una tacchina perduta. Non gli poteva perdonare la fame e il freddo patiti, e l'elemosina che aveva dovuto chiedere e i maltrattamenti dei ragazzi di colà; tutto per cagione di quel birbante! E Paola ? Dov'era? Cominciò a chiamarla con la voce e col fischio, guardando attorno. Non si vedeva, ne si sentiva gracchiare. - Paola ! Paola ! Stava a grattarsi il capo con tutte e due le mani, impensierito, quando lo zi' Girolamo gli gridò da lontano: - È quiii! È quiii! Volava da un bue all'altro, beccandoli sul dorso; e i buoi la scacciavano con la coda o con le corna. Scurpiddu corse fino alla punta del ciglione e chiamò: - Paola ! Paola ! La tàccola accorse ad ali spiegate, gracchiando allegramente; gli fece un bel giro attorno, in alto, e poi tornò dai bovi. - È in collera, povera bestia, perchè l'ho lasciata sola. Scurpiddu e la tàccola s'intendevano così bene, ch'egli non fu meravigliato di quell'atto. - Ora viene, senza che io la richiami, - pensava. E infatti poco dopo la tàccola volò diritto verso di lui e gli si posò su la spalla. - Non ti lascierò più sola, mai più! L'accarezzava con una mano, e Paola gli beccava delicatamente l'orecchio. Lo ammoniva davvero di non lasciarla più sola?

La stessa mattina, più tardi, si era saputo l'affare delle schioppettate, Calcapaglia e suo genero stati fino alla mezzanotte alla posta della volpe, - erano loro, in maniche di camicia, che si acquattavano, uscivano d'agguato, tornavano ad appostarsi, e Scurpiddu non aveva potuto riconoscerli, nonostante il lume di luna, per la distanza, - Calcapaglia e suo genero avevano finalmente visto arrivare la volpe, che andava abbaiando e uggiolando tra le macchie, e le avevano tirato addosso, sbagliandola prima, ammazzandola coi secondi colpi. - Un viaggio e due servigi! - disse ridendo massaio Turi. - Avete ammazzato la volpe, e spaventato i ladri! Calcapaglia aveva portato lassù la bestia col muso insanguinato e il fianco squarciato, perchè la massaia la cucinasse, come sapeva ben cucinarla lei. Se ne sarebbero leccate le dita domani, ch'era domenica, e lui e il genero sarebbero venuti anche per la santa messa. - Ah, ti hanno dato gli stranguglioni le due tacchine, brutta bestiaccia! - esclamò Scurpiddu , osservando la volpe intrisa di sangue, stesa per terra con le gambe irrigidite e la lingua mezza fuori tra i denti. - Ho pianto due volte per cagion tua, brutta bestiaccia! E le aggiustò una pedata, aspettando che Paola venisse a stuzzicarlo. - A Scurpiddu daremo a rodere la coda! Così erano trascorsi una quindicina di giorni, fino alla sera - No, massaia, la coda spetta a me; ne ornerò la giumenta per ricordo, - disse il Soldato che cavò di tasca il coltello. Scurpiddu volle almeno tenerla da cima mentre il Soldato la tagliava. E quando l'operazione fu terminata, sciorinò la coda per aria, trionfalmente, agitandola attorno, saltando, abbaiando, miagolando, chicchiriando; pareva ammattito dalla gioia, e tutti ridevano e battevano le mani: - Bravo, Scurpiddu ! Egli aveva confidato alla mamma come si era trovato fuori a quell'ora. La povera donna, ridendo, l'aveva ridetto alla massaia; la massaia a massaio Turi che ci si era divertito e cominciò a canzonarlo davanti a tutti: - Bada, Scurpiddu ! Con le Nonne non si scherza! - Se lo sa zi' Girolamo! - soggiungeva il Soldato , - viene a pizzicottarti nel sonno. No, delle Nonne non aveva più tanta paura, quanta degli amici . E stava tutta la giornata con l'animo sospeso, in mezzo al prato, tra i tacchini al pascolo. Respirava soltanto nei giorni che vedeva passare i carabinieri, parecchi ora, a due a due chi di qua per la strada del Monte, chi di là per le colline di Bardella e dell'Arcura, come tanti cani che ricercassero col fiuto. E si sentì rinascere il giorno che arrivò fino alla masseria la notizia che gli amici erano stati scovati e arrestati nelle campagne di Rammacca, lontano. Quel giorno Scurpiddu fece una diecina di capriole sul prato, e ordinò la banda dei tacchini, glù-glù-glù , e si sfiatò mezza giornata con lo zùfolo, Tiù! Tiù! Gli sembrava di essere diventato il re della contrada, libero da ogni timore; e si faceva rincorrere da Paola e la rincorreva su e giù, ruzzando su l'erba, sdraiandosi supino quant'era lungo, con le braccia aperte, e aspettando che Paola venisse a stuzzicarlo. Così erano trascorsi una quindicina di giorni, fino alla sera in cui vedendo che il tempo minacciava, egli avviò prima dell'ora, il branco dei tacchini verso la masseria. Il vento formava mulinelli, trasportando per aria pianticine strappate e polvere, e stornava i tacchini dalla via diritta. Parte di essi si era sbrancata dal lato della fontana e Scurpiddu borbottava: - Accidenti! - vedendo che non gli davano retta. Dovette spingere gli altri dietro loro. Alle prime gocce di pioggia che vennero giù, il branco prese la rincorsa. - Ooh, Ooh, ragazzo! Lasci indietro la tacchina coi pulcini! Scurpiddu credette che il mezzadro di Poggio Don Croce, venuto ad attingere acqua alla fontana, lo canzonasse a motivo della scenata della tacchina: e tirava diritto. - Ooh! Ooh! Che non senti? Scurpiddu si voltò. Per la china della strada, rasente al muricciuolo gli correva dietro, davvero, una tacchina seguìta da mezza dozzina di pulcini che pigolavano spauriti. La riconobbe subito. Era una di quelle sperdute, e si fermò, spalancando gli occhi dallo stupore quasi vedesse un portento incredibile ... Sì, sì, una delle due tacchine! E sei pulcini dietro, con la lanugine bianca listata di strisce scure, che il vento agitava: - Nè rubata, nè mangiata dalla volpe dunque? Uno scherzo della mezzadra, che così faceva un bel regalo alla massaia? Non trovava altra spiegazione. E si cacciò avanti i sopraggiunti, stimolandoli con la canna. Gli pareva mill'anni di arrivare alla masseria, e non si curava della pioggia incalzante, timoroso soltanto che tacchina e pulcini non gli sparissero sotto gli occhi, come aveva udito raccontare di chiocce e pulcini fatati. E quando fu in vista della masseria, si mise a correre, gridando: - Massaia, massaia! La tacchina! Non riusciva a dir altro. - E con sei pulcini, massaia! Il branco arrivava davanti al cancello, affollandosi per entrare e ripararsi nel pollaio, e Scurpiddu lo scompigliò per pigliare in mano due pulcini e mostrarli alla massaia. - Di chi sono? - Nostri. Il mezzadro di Poggio Don Croce mi ha gridato: - Ooh! Ooh! Lasci indietro la tacchina coi pulcini! - Mi pareva che canzonasse ... Invece. Li ha covati la tacchina in qualche siepe, tra le ginestre. E come sono belli! Grassi! La tacchina li conduceva qui. Hanno fame poveretti! Scurpiddu sorrideva. - Belli! Grassi! Sfido!- esclamò, - li ha allevati la mezzadra. - Chi te l'ha detto? - Eh! - fece. - Sei pulcini? Quell'arpia? Avrebbe piuttosto tirato il collo alla chioccia. Secondo la mamma di Scurpiddu , quello era un miracolo della Madonna, per giustificare il ragazzo. Chioccia e pulcini furono condotti in casa. La massaia mise un po' di crusca in un piatto, vi tritò su due cime di prezzemolo e intrise tutto con acqua. I pulcini beccavano golosamente, e la chioccia pure. - Se trovi l'altra covata, - disse massaio Turi a Scurpiddu , - te ne faccio un regalo. - Davvero, massaio? - Quando io do parola ... ! A Scurpiddu , dalla contentezza straluccicavano gli occhi. Pestava coi piedi, girava su se stesso stropicciandosi le mani. Sapeva lui dove andare a trovare l'altra covata! Gli pareva impossibile che la tacchina avesse ogni giorno deposto un uovo in qualche siepe e poi li avesse covati, come pretendeva la massaia. Se la mezzadra di Poggio Don Croce si era fatta coscienza di rendere una tacchina e con sei pulcini per giunta, avrebbe reso anche l'altra con altrettanti pulcini. Gli sembrava così naturale, che non vedeva l'ora di essere alla mattina appresso, e andare ad accertarsene. La giornata si levò nebbiosa e piovigginosa. Tanto meglio. Egli non doveva condurre i tacchini al pascolo. E si avviò verso Poggio Don Croce zitto zitto. La mezzadra, che stava pettinando la figlia su lo scalino della porta, fece il viso arcigno vedendolo spuntare dai melogranati che formavano quasi siepe attorno alla casa, Scurpiddu volle fare il malizioso. - Abbiamo trovato la tacchina! E fissava negli occhi la mezzadra. - Sì? Buon pro vi faccia! Scurpiddu si attendeva tutt'altra risposta. La mezzadra, con le sopracciglia aggrottate, riprese a pettinare la ragazza. - L'abbiamo ritrovata e con sei pulcini! - egli soggiunse. - Si vede che il Signore vuole aiutare le male lingue! E, dalla stizza, tirò in su le trecce posteriori, per fare la crocchia, con tanta mala grazia che la ragazza strillò: - Ahi! Vedendo che Scurpiddu restava là fermo, con le mani dietro alla schiena, la mezzadra gli si rivolse come una cagna arrabbiata: - E ora che vuoi? Scurpiddu avrebbe voluto rispondere: - L'altra tacchina. - Ma non n'ebbe il coraggio. - Niente voglio, - disse mortificato. Intanto non si risolveva ad andarsene. - L'altra tacchina,.. - biascicò. - Qual'altra tacchina? Sentiamo!- lo interruppe la mezzadra. - Quella sperduta il giorno dopo; dovrebb'essere ... da queste parti. Pronunziava le parole lentamente, e aveva sul labbro il lieve sorrisino di chi sa e intanto finge di non sapere. - Che intendi dire?- strillò la mezzadra. - Niente, vado a cercarla - Va a romperti la noce del collo, tu e la tua massaia! - L'abbiamo ritrovata, e con sei pulcini, la prima tacchina! E le voltò le spalle serio, serio, quasi dopo questa frecciata si aspettasse di essere stato capito e di sentirsi richiamare. Udì borbottarsi qualcosa dietro, che non intese bene, e un po' deluso, scese verso le ginestre dalla parte della vigna, lungo il limite segnato dalle piante di àgave che incurvavano le larghe e acuminate foglie carnose, con un bel fusto ritto in mezzo che slargava in cima i rami fioriti, a guisa di braccia di candelabro Il cielo si rischiarava. Occhiate di sole facevano capolino, di fra le nuvole grigie velandosi subito e tornando a sorridere, qua e là, con vaste chiazze dorate, su le macchie luccicanti per la pioggia che le avea lavate nella nottata. E Scurpiddu , pur pensando che quella strega della mezzadra non avea voluto dargli la soddisfazione di confessargli che l'altra tacchina, era presso di lei, per scrupolo di coscienza, batteva coi piedi tra le ginestre, sciò! sciò! E guardava vicino, lontano fin dove poteva giungere l'occhio. Laggiù le ginestre finivano, il terreno si avvallava. Fitte macchie di rovi, vecchie piante di fichi d'India cingevano gli orli dove lo scoscendimento era maggiore. Tutt'a un tratto si fermò trattenendo il respiro. Gli era parso? Si udiva, ora sì, ora no, un pigolio, ma non si capiva bene da qual punto venisse. E tese l'orecchio. No, non s'ingannava, era pigolìo di tacchina. E corse verso la gran macchia di rovi che circondava un masso, a sinistra; tremava tutto dalla commozione. - Ah, birbona! Sei lì? E ficcò la testa fra i tralci del roveto, senza punto curarsi delle spine che gli graffiavano le mani e gli strappavano i capelli. - Ah, birbona! Sei lì? La chioccia, accovacciata in una buca sotto il sasso, si rizzò e i pulcini ch'ella copriva con le ali tentarono di nascondersi, pigolando in fondo alla buca. Afferrò la tacchina per un'ala e la trasse fuori. I pulcini accorsero dietro la madre. - Otto, Signore Iddio! Otto! - E l'ultimo covato aveva ancora appiccicato addosso un po' del guscio dell'uovo da cui doveva essere uscito poche ore addietro. Scurpiddu si strizzava le mani, si faceva piccino piccino; accarezzava la tacchina, palpava i pulcini. Come portarli via? Tirò fuori il davanti della camicia facendone una specie di borsa, e ve li cacciò dentro a uno e a due per volta, ridendo pel solletico che essi gli facevano con le ali e coi beccucci. La tacchina gli andava dietro a testa ritta, pigolando, quasi reclamasse i piccini. In quel punto un rovescione di pioggia cominciò a venir giù all'improvviso. Scurpiddu però non affrettava il passo, per non far male ai pulcini. Avrebbe potuto ricoverarsi sotto la tettoia del casotto delle api; ma che gl'importava di essere inzuppato dalla testa ai piedi? - Otto! E questi sono miei! ... Otto! ... Me li ha regalati il massaio! Se lo ripeteva, per confermare a sè stesso che il massaio avrebbe mantenuto la parola: - Otto! ... E miei! Tutti miei!

Due grossi cani erano mossi loro incontro, abbaiando e saltellando festosamente attorno al padrone. Visto il ragazzo, ringhiavano minacciosi. Massaio Turi li acchetò con la voce e col gesto, e prese per mano il ragazzo che indietreggiava dalla paura. - Impareranno a conoscerti, - gli disse. E rivolto allo zi' Girolamo soggiunse: - Ho trovato quest'anima del Purgatorio lassù. Sarà il nuzzaru . - Se vuoi mangiar pane, qui si sta bene, figliuolo mio, - fece lo zi' Girolamo. - È figlio di compare Pino Scagghiu, che morì cadendo da un albero di ulivo, l'anno scorso. - Requie materna ! - borbottò lo zi' Girolamo. I buoi e le vacche coi vitelli si erano fermati su lo spianato, ognuno al suo posto davanti il proprio cavicchio; e lo zi' Girolamo, prendendo una delle funi, cominciò a legarla alle corna dell'animale che le era più vicino. - Ora vi mando la minestra, - disse massaio Turi. - Santa notte, massaio. Davanti alla porta della casa, la massaia aspettava il suo uomo con la candela a olio già accesa. Dal camino della cucina salivano nugoli di fumo che si assottigliavano e si disperdevano per l'aria sul fondo incupito del cielo. Cap\ II La mattina dopo, la massaia aveva condotto Mommo nel pollaio, a lato del frantoio delle ulive, per fargli la consegna dei tacchini. All'apparire di lei con la sporta di giunco piena di becchime, le galline le si affollarono attorno chiocciando e starnazzando. Erano uscite nel vasto cortile insieme coi tacchini: ma questi restavano in disparte, quasi non si degnassero di mescolarsi con quei miseri polli che non potevano fare la ruota come loro, e forse anche perchè sapevano che quel becchime non era per loro. - Socchiudi il cancello e conta. Sai contare? - Sì, - rispose Mommo. - Tieni: questa canna ti servirà per guidarli. Li condurrai lassù, dov'è quel prato: sanno la via, vedrai. Domani verrà con te il massaio a insegnarti altri posti. Questa è la colazione: ti farò una bella sacca poi; per oggi metti il pane in una tasca e il companatico nell'altra, se avrai sete, guarda, sotto quel fico, tra le macchie di rovi, là, a dritta, c'è la fontana. E i tacchini, bada! tienli sempre raccolti, per non perderli di vista. Conta dunque. Spinti avanti dalla massaia, i tacchini cominciarono a sfilare a uno a uno, a traverso il cancello socchiuso, con gran stupore di Mommo. Erano sessantaquattro. - Il Signore ti benedica! Io do il becchime alle galline. I tacchini si avviarono. Mommo sollecitava con la canna quelli che si fermavano a leccare tra l'erba ai lati della strada. Arrivati sul prato, si sbrancarono a pascolare; e Mommo, che avrebbe voluto mangiare tranquillamente la sua colazione, doveva rincorrere i maschi che si allontanavano troppo; non voleva perderli di occhio. Le femmine pipiavano dimesse. Poi quando i maschi, ben pasciuti, cominciarono ad aprire le ali e a far la ruota. allungando il bernoccolo rosso pendente sul becco, egli trasse fuori dalle tasche il pane e il formaggio e cominciò a mangiare in piedi, appoggiato alla canna, dando occhiate intorno. Vedeva arrampicati su pei fianchi della vallata di rimpetto, i buoi e le vacche e lo zi' Girolamo seduto su un masso, immobile, quasi dormiente. - Chi sa se è vero, - pensava Mommo, - che egli va con le Nonne ? Laggiù, nella terrazza della casa, la massaia sciorinava i panni lavati, aiutata dalla vecchia serva. Il massaio, davanti a la stalla, faceva rimettere i ferri alle mule dal maniscalco venuto apposta la mattina. Le galline, sparse sul mucchio del concime, razzolavano al sole. Di lassù le persone sembravano piccine piccine. Mommo pensava alle scarpe che il massaio gli avrebbe comprato la domenica prossima, e alle camicie e al vestito promessogli dalla massaia. Era contento di avere un bugigattolo presso il pollaio, col pagliericcio e la coperta di lana. Quel bugigattolo gli pareva già cosa sua. Egli teneva in tasca la chiave dell'uscio. Colà poteva riporre quel che voleva, senza che nessuno venisse a toccargli niente. Era contento anche del coltellino col manico di ferro regalatogli dalla massaia per affettare il pane. Tagliava bene quel coltellino. Con esso si sarebbe fatto uno zùfolo di canna, come quello che aveva quando guardava i tacchini del notaio. Lo aveva venduto per un soldo a un ragazzo di Palagonía. Ora ne avrebbe costruito uno migliore. Per non stare disoccupato, mentre i tacchini, sazi di pascolare, riposavano accoccolati tra le erbe, s'era messo a inseguire farfalle, a chiappare grilli: e quando ne aveva pieno il pugno, li buttava ai tacchini che si azzuffavano per beccarseli. I tacchini rimessisi a pascolare, andavano verso la fontana, lentamente, disposti in larghe file di otto o dieci ognuna, frugando tra l'erbe, ingoiando insetti. Così potè ricontarli bene erano sessantaquattro, tre ventine e quattro, com'egli diceva. La fontana sotto il fico che quasi la nascondeva coi suoi rami e circondata da rovi, era piccola, limpidissima, una specie di conca riparata da una grotticella scavata nel tufo, con le pareti coperte di capelvenere. Per bere bisognava chinarsi e tuffarvi le labbra. Un merlo scappò via squittendo dalle macchie di rovi, appena Mommo vi battè su con la canna. - C'è un nido, - egli pensò. E volle accertarsene. Si graffiò le mani per rimuovere i tralci spinosi, ma scoprì il nido con le uova. - Prenderò poi la covata, - disse sorridendo. E accortosi che i tacchini erano sbucati su la strada li rincorse e li rimenò indietro nel prato. I quattordici tacchini del notaio egli li aveva battezzati tutti con nomi diversi. Uno, il più grasso, lo aveva chiamato Notaio ; un altro, Cionco , perchè gli mancavano due branche a una zampa e ciampicava; il terzo, Fra Giuseppe , dal colore delle penne somigliante a quello della tonaca del frate cappuccino che veniva in campagna, per la cerca del grano e delle ulive. A una delle tacchine aveva messo nome Signa Rosa (sora Rosa), come si chiamava la serva del notaio, e perchè era grigia come lei. Poi, c'erano la Rossa , la Monacella , la z'a Miseria , magra e malaticcia, e Senza-coda , ridotta tale dai figli del notaio che si erano divertiti a strappargliela. Quanti mai nomi ci volevano qui! Tre ventine e quattro! Intanto uno dei tacchini poteva benissimo chiamarlo pure Notaio ; era grosso e pettoruto proprio come il notaio. A quell'altro avrebbe rimesso il nome di Fra Giuseppe . Rosse c'erano più di sei tra le tacchine. Come fare? Quella più grassa, però, l'avrebbe nominata Massaia Al resto penserebbe poi. E, sul tardi, nell'avviare il branco verso la masseria, già adoprava quei nomi. - Sciò, Notaio ! Va diritto, Fra Giuseppe ! Lesta, Massaia ! Con la canna dietro il collo e le braccia accavalcate ad essa, visto che i tacchini andavano difilato, Mommo si era messo a zufolare. La massaia, che lo aveva scorto dalla terrazza, lo aspettava davanti al cancello del cortile per ricontare i tacchini. Di tratto in tratto, afferrava una tacchina, la tastava per accertarsi che la mattina dopo avrebbe fatto l'uovo, e le impediva di entrare con gli altri. - Queste le faremo salire sui corbelli con la paglia appesi al muro. Domani prenderai le uova. E le tacchine, già avvezze, appena ella spalancò l'uscio socchiuso, si avviarono verso l'uscio del pollaio, e con una volatina saltarono sui corbelli e si accovacciarono. Allora la massaia fece entrare gli altri tacchini, che andarono ad appollaiarsi sulle travi di agave conficcate agli angoli, uno accanto all'altro. - Paiono tanti canonici al coro! - disse Mommo ridendo. - Domattina, spazzerai il cortile. Quella è la granata. La spazzatura la butterai sul mucchio del concime, là. - Sissignora. Mommo intanto guardava un fascio di canne addossate a un angolo. - Posso prenderne una? - domandò. - Prendila. Scelse la più grossa, la spezzò a metà. E buttò via la parte superiore. - Mi faccio uno zùfolo. - Prima va' dal massaio, - rispose la padrona. - Quant'è che non ti pettini? Mommo alzò le spalle. Massaio Turi, seduto sullo scalino del portone del frantoio teneva sul braccio un grembiule di traliccio della serva e in mano una gran forbice. - Vieni qua, tu che sembri un gufo con quei capellacci! Se lo mise tra le ginocchia, gli avvolse attorno alle spalle e al petto il largo grembiule, e gli cacciò le forbici tra i capelli. Mommo, a ogni forbiciata, aggrinzava gli occhi, ritirava il collo tra le spalle, scoteva la testa per evitare il solletico dei peli che gli cascavano su la faccia. - Cheto! - lo sgridava il massaio. Mommo però non poteva star fermo, sentendo su la cute il freddo della lama delle forbici che gli rasavano i capelli fino alla radice. - Cheto! E il massaio con una mano gli teneva la testa, e con l'altra menava attorno le forbici, quasi tosasse una pecora. - Così non hai bisogno di pettine! - esclamò all'ultimo, soffiandogli su la faccia per mandar via i peli cadùtivi. Mommo si passò le mani sul cucuzzolo mondo, e si trasse indietro senza dir nulla, guardando compassionevolmente i mucchietti di capelli sparsi per terra. Tutt'a un tratto, preso da strana allegria, fece due capriole, poggiando le mani a terra e levando agilmente le gambe in aria. Gli sembrava di essere diventato un altro, tosato a quel modo.

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