Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaia

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

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Fisiologia del piacere

170163
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
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L'intelligenza a questo riguardo non ha alcuna influenza sulla perfezione dei piaceri, perchè noi vediamo ogni giorno il merlo accompagnare allegramente col suo canto il suono dell'organetto, mentre il cane più intelligente abbaia indispettito ad un delizioso concerto. Fra tutti gli animali gli uccelli sono forse i soli che possano godere della musica, di cui essi stessi sono partecipi. I filosofi, che vogliono abbassare la dignità umana, come se noi non fossimo già molto in basso, pretendono che abbiamo imparato i primi elementi di musica dagli uccelli. Per quanto la fisonomia degli animali sia difforme dalla nostra, noi possiamo leggere la gioia e il dolore anche nei lineamenti di un uccello; e se abbiamo potuto solo una volta spiare da vicino l'usignuolo nelle sue esercitazioni musicali, dobbiamo aver veduto che esso gode assai, quando colla sua testolina intenta, cogli occhi lucidi e fissi ascolta il suo canto, col quale pare scherzare, ripetendo le note che lo dilettano, o studiando variazioni semplicissime. Quasi tutti gli uomini godono della musica; pochissimi vi sono indifferenti. Ma fra Cuvier, che doveva fare uno sforzo su se stesso per sentir suonare mirabilmente il cembalo dalla figlia prediletta, e Rossini che da quando nacque fino alla morte visse in un'atmosfera di armonia, della quale aveva bisogno come dell'aria, esistono infinite varietà di orecchi più o meno sensibili alle delizie della musica. A questo proposito gli individui si possono dividere in tre categorie: quelli che non sanno godere che della musica eseguita dagli altri; coloro che la possono ripetere; e gli ultimi che la sanno creare. È inutile dire che nel mondo dei suoni queste tre specie di persone sono diversamente privilegiate, e come soltanto i maestri possano pretendere ai piaceri più sublimi dell'udito. Nessuno ha il diritto di accusare di ottusità di mente chi rimane indifferente davanti ad un torrente impetuoso di armonia. La storia ci porge molti esempi di alti intelletti che non sapevano distinguere un accordo musicale da uno strillo; e l'osservazione ci mostra ogni giorno esecutori distinti di musica e dilettanti appassionati fra le persone di cervello più che mediocre. I piaceri dell'udito hanno invece un certo rapporto col sentimento, e spesso gli uomini egoisti e brutali sorridono di compassione a chi si commuove alle delizie di una melodia. La donna può godere più dell'uomo della musica, ma essa rimane assai al disotto nel godimento dei tesori intellettuali che spettano a questi piaceri, e che ne formano anche la parte più preziosa. Ben di rado poi essa può pretendere alla sublime voluttà della creazione, come lo prova abbastanza la statistica dei compositori di musica. L'uomo-bambino comincia a sentire i piaceri della musica, ma questi si riducono alla pura sensazione uditiva, che è anche incompleta e confusa. Divenuto fanciullo gode più assai di questi piaceri, ma la sua continua distrazione e l'imperfezione delle facoltà intellettuali gli impediscono di gustarli in tutta la loro pienezza. È nell'età della fantasia e del genio che la musica apre tutti i suoi tesori di armonia, portando al massimo grado di esaltazione tutte le facoltà cerebrali. Nell'età adulta l'esperienza supplisce, come nelle altre sensazioni, alla raffinatezza del piacere, per cui questo è più calmo, ma può essere ancora intenso e delizioso. Quando l'uomo scende per la curva della parabola, ritornando d'onde venne, allora l'udito si fa ottuso, la fantasia si fa opaca e i piaceri dell'udito impallidiscono.

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Sull'Oceano

171296
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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C'era infine un barbiere veneto che brillava per la sua abilità d'imitare la voce del can da pagliaio che abbaia alla luna: un ululato lamentevole che straziava i nervi, ma che avrebbe ingannato tutti i cani d'Italia. Ma già tutti gli "specialisti" eran stati scovati e costretti a dar saggio di sè: un vecchio giardiniere, fra gli altri, s'accoccolava dietro una stia e imitava l'anelito rabbioso d'uno per cui volere non è potere, con una perfezione insuperabile: un vero artista, dicevano, ed era tenuto in gran conto. Lì poi giocavano a tarocchi, a pila e croce e alla tombola, e cantavano per ore intere; giocavano perfino a mosca cieca, dei lanternoni coi capelli grigi, e a guancialin d'oro, come rimbambiti. Il grande spettacolo, poi, era quando ci veniva da prua, preso da un estro di mattoide, il saltimbanco tatuato, e camminava con le gambe per aria, faceva il serpente o la ruota, in mezzo a un subisso di applausi, sempre torvo nel viso, come se facesse quello per castigo; dopo di che se n'andava senza far parola, com'era venuto. Ma quell'allegria pareva spesso più voluta che spontanea, e quasi una specie di ubriachezza a digiuno che si procurassero per scacciare i ricordi tristi e i presentimenti cattivi; poichè era veramente un furore come coglievano a volo ogni minimo pretesto per stordirsi col baccano. Si gittavano alle volte in cento contro it parapetto o s'affollavano in cerchio precipitatamente, levando un rumor di grida, di fischi, di miagolli, di chicchiricchi, che si spandeva per tutto il piroscafo e faceva voltare il viso inquieto agli ufficiali: ed era per un cappello caduto in mare, o perchè un di loro s'era tinto il naso di nero, cadendo sopra la boccaporta d'una carboniera. E quando passava in mezzo a loro una ragazza o una donna che non appartenesse a nessuno, era un coro di schiocchi di lingua, di trilli d'uccelli, di voci onomatopeiche d'ogni intonazione e significato, che obbligava la disgraziata a darsela a gambe. La serva negra dei brasiliani, sopra tutto, quando passava di là per andar a mangiare o a dormire nelle terze, mostrando il bianco degli occhi e dei denti come per mordere, suscitava una tal musica di versi d'amore animaleschi, che pareva di sentire l'urlo d'un serraglio in calore. E avevamo il fatto nostro noi pure. E di fatti, tolta la vernice, a chi l'aveva, della buona educazione e della cultura, c'era poi una gran differenza tra il castello centrale e il cassero di poppa? Come si sarebbero trovati facilmente i tipi gemelli e le analogie delle conversazioni! E incredibile come ci conoscevano, e con quanto fondamento di vero spettegolavano alle nostre spalle scoprendo il lato ridicolo di tutt i noi. Per via indiretta lo venivamo tutti a risapere. Conoscevano qualche cosa dell'indole e delle abitudini di ciascuno, per mezzo dei camerieri di bordo e dei servitori privati dei passeggieri, ed erano al corrente della nostra piccola cronaca quotidiana, come segue nelle botteghe e nelle soffitte riguardo ai casigliani dei piani signorili, e quel che non sapevano indovinavano, e commentavano ogni cosa. Ad alcuni avevano messo dei soprannomi, di altri contraffacevano l'andatura e la voce. Voltandoci indietro all'improvviso quando si passava di là, sorprendevamo sempre tre o quattro che si ammiccavano, o ricomponevano in fretta il viso da una smorfia di canzonatura. Quelle eran le nostre Forche caudine.

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