Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Nanà a Milano

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Arrighi, Cletto 1 occorrenze

Da madre natura ella pareva creata indubbiamente e mollemente lasciva; i suoi occhi e le sue rotondità troppo chiaramente parlavano; non si poteva pigliar abbaglio. Quel giorno, dopo tanto erotico digiuno, ella sarebbe stata in gran vena di pazzie; e se Filippo avesse saputo fare, ella sarebbe tornata sua amante d'un giorno, con entusiasmo, malgrado la manifesta arsura di lui. Povero Filippo Marliani! Egli non s'accorse di essere un uomo perduto. Il presentimento non gli disse che fra il suo suscitato ardentissimo desiderio e la pur evidente condiscenza di Nanà, due elementi che sarebbero stati lì lì per intendersi tanto bene, si era elevato un ostacolo insormontabile nella mente e per ciò nei sensi di lei: il sentimento del ridicolo. Gli è in questo senso che i Francesi dicono che il ridicolo uccide. Egli non vedeva in quel punto che la difficoltà di rompere di nuovo il ghiaccio. Ebbe una sciagurata ispirazione. Si mosse verso l'uscio. - Che fai? - gli domandò Nanà. - Chiudo l'uscio - rispose Filippo con un sorriso tra l'ebete, il compiacente e il fatuo. - A chiave? - Sicuro a chiave. - Non voglio. - Perchè? - Perchè m'hanno veduta entrare e non voglio si dica che fui chiusa dentro a chiave con te. E poi del resto sai, debbo andarmene subito. - Che cosa sei venuta qui a fare allora se vuoi andartene subito? - Oh bella! Prima per domandarti un parere per un'idea che m'è venuta, cioè per una proposta che mi fu fatta da un impresario, che vorrebbe ch'io diventassi artista... poi per raccomandarti di non parlar di me a nessuno... poi.... - Poi che cosa? - Poi per vedere se tu mi potevi prestare un migliaio di franchi. Filippo si sentì come fulminato. Ma non si tradì. - E se io potessi prestartelo il migliaio di franchi che faresti tu per me? disse con voce leggermente tremula di emozione. - Nulla... cioè ti ringrazierei. - In che modo? - Colla bocca. - Null'altro? - Null'altro. - Perchè? - Perchè - rispose Nanà - non vorrei che tu credessi ch'io voglia ripagarti del favore che mi faresti. - Neppur un bacio? - No. Un mio bacio o non deve valer denaro o deve valere dei milioni. - Poumh? Filippo dalle sortite di Nanà era continuamente disorientato. Quello spirito pieno d'ordine, abitudinario, limitato e timido non capiva le eccentricità di Nanà. Lo facevano ammutolire. Allora quello sventurato, che teneva nel portamonete il danaro, col quale doveva pagare nelle ventiquattro ore il suo debito di giuoco della notte prima, trasse di tasca il portamonete e fece atto di cavarne il biglietto da mille. - No - disse Nanà alzando la mano verso di lui. - Ora non li voglio più. - Perchè non li vuoi più? - domandò con crescente esterefazione Filippo. - Sei sfortunato oggi - sclamò Nanà sorgendo in piedi e ridendo un poco sforzata. - Se tu mi avessi dati que' mille franchi senza dir parola, se invece di pensare al compenso tu mi avessi fatto vedere che non pensavi ad altro che a rendermi un servizio, puoi star sicuro che.... Capisci bene; tu mi conosci già! Così me ne vado. Addio. Filippo mise in tasca il portamonete. Lo sguardo con cui Nanà accompagnò quella ritirata nelle tasche, mentre stava per volgere le spalle al giovane, fu una piccola iliade di ironia e di disprezzo. - Nanà, fermati - le disse Filippo prendendole una mano. Ella si volse. - Io non ci capisco un bel nulla, di questi tuoi capricci. - Lo so bene che non capisci nulla. Se tu li avessi capiti, non ci saremmo annoiati l'uno dell'altro in soli otto giorni... ti ricordi, a Parigi. Oppure a quest'ora io sarei già stata tua di nuovo. - Ammetterai però d'esser un grande originale! - Sarà benissimo! Filippo le recinse la vita colle braccia, e Nanà le lasciò fare. La mossa, il gesto del giovane erano stati fatti abbastanza bene, e ciò era bastato perchè Nanà non se ne fosse schermita. Filippo curvò la testa sulla guancia di Nanà, la baciò ardentemente poi le disse in orecchio: - Che cosa dovrei fare per ridiventarti simpatico? Nanà ruppe a ridere. Filippo, abbassando lo sguardo sul seno turgido e semicoperto della voluttuosa creatura si sentì nelle vene un fenomeno, come se in esse fosse corso, non del sangue, ma della lava incandescente. - Che cosa dovresti fare per diventarmi simpatico? - rispose Nanà svincolandosi da lui. - È più facile ch'io ti dica quello che non dovresti fare. Vedi, Filippo, per me il cedere non è questione come per tante altre, nè di tempo, nè di fatti, nè di gratitudine, nè di compassione. A me gli uomini sono simpatici o sono antipatici a prima vista. Dopo due minuti che li ho veduti o che li ho intesi a parlare, io potrei dirti: di questo non sarò mai l'amante, di quello lo sarei stata in tre ore, s'egli mi avesse voluta. - Ma tu di me lo fosti già una volta! - Appunto perchè allora mi apparisti amabile. - Ed oggi no? - No. - Perchè? Nanà, parlando girandolava per la camera ed era giunta dinanzi al camino. - Ecco, per esempio - diss'ella alzando il coperchio della scatola fatta di lumachine e di conchigliette - ecco qua. A me sarebbe impossibile l'innamorarmi di un uomo, il quale tiene in casa sua di queste porcherie. - Che ne so io? C'era, l'ho lasciata e la mi serve. Nella scatola, Nanà vide delle fotografie. Ne levò una, la guardò con un sorriso pieno di ironia, poi domandò: - Chi è questa? - È la mia amorosa - rispose Filippo con un'alzata d'ingegno. - Davvero? Te ne faccio i miei complimenti. È molto bella. - Ti pare? - C'è mai pericolo che essa mi trovi qui? - No. Essa non viene qui. Vado io da lei. - Perchè non me l'hai detto subito che avevi un'amante di questa forza? - Perchè essa ama me, ma io non amo lei. - Chi ami tu? - Lo sai bene. - Vorresti darmi ad intendere che tu sei innamorato ancora di me? - Ora che ti ho riveduta, sono certo di esserlo, perchè tu sei sempre per me la più bella donna dell'universo. Nanà vibrò al giovine uno di que' suoi sguardi ben intenzionati, che avrebbero avuto la potenza di far rizzare i capelli in capo a un morto. Filippo spasimava. - Nanà, sii buona - le disse egli; e prendendole le mani se la attirò sul petto, la recinse col braccio, le disse all'orecchio parecchie frasi insensate e senza sintassi, ma che volevano dir tutte chiaramente la stessa cosa. Nanà lasciava fare e udiva con voluttà quel vaniloquio. Ad un tratto sclamò: - Mi hai detto che essa è innamorata di te? - Molto. - E soffrirebbe se tu la dovessi lasciare? - Credo che ne soffrirebbe assai. - Vuoi tu lasciarla per amor mio? - Me lo domandi? - rispose come gemendo lo sciagurato Filippo. - Me lo giuri? - Te lo giuro. - Che pegno, che sicurtà mi puoi dare che lo farai? - Quella che tu vorrai impormi. - Se io esigessi che tu non l'avessi a vedere mai più? - Obbedirei. - Se io volessi che tu stracciassi in mille pezzi questo suo ritratto? - Ecco - disse Marliani facendo il ritratto in pezzi. - Se io volessi che tu gettassi dalla finestra queste lumachine? - Ecco. E afferrata la scatola Marliani aperse le imposte, diè un'occhiata di sotto nel cortile e vi scaraventò la scatola. - Se io esigessi che tu non avessi più mai a portar le bretelle? - Ecco! E Marliani, raccolte le forbici che stavano a terra, e presi in mano i tiranti, li tagliuzzò in varî pezzi. - Sei contenta? - Sì. - Vuoi altro? - No. Adesso che sono persuasa, va pure a chiudere l'uscio a chiave. La mattina seguente al bel primo svegliarsi si affacciarono alla mente di Filippo Marliani due imagini e due idee importantissime, di cui l'una voluttuosamente splendida, l'altra sgarbatamente molesta. La prima era Nanà. Quella donna che tutti desideravano, che aveva prodotta nella gioventù dorata di Milano una insolita effervescenza, per posseder la quale molti avrebbero dato, se non la vita, gran parte dei loro averi, era ridivenuta senza farlo basire, la sua amorosa. La seconda idea, che attraversava e che smorzava quella superba gioia era la ripetizione di un fastidio e di un rimorso che già egli aveva risentito il dì prima, non appena Nanà lo aveva lasciato solo nella sua cameretta. Era prodotta da due fatti egualmente gravi e umilianti: quello di trovarsi senza più il becco d'un quattrino indosso, e quello di non aver potuto pagare nelle ventiquattr'ore il debito di giuoco di ottocento franchi, contratto la notte dianzi. Egli, infatti, di nascosto di Nanà, la quale - credeva. - non avrebbe voluto più accettare il suo dono le aveva scivolato nel portamonete il suo ultimo biglietto da mille franchi, che avrebbe dovuto servire a quell'ufficio indispensabile per chi voglia comparire ancora in una sala di giucco. E si trovava perfettamente al verde. E - ciò che non è indifferente a notarsi - non teneva più in casa neppur un filo con cui far danaro. L'abbiamo veduto fare la barba ai solini da collo sfilacciati. Segno di grande arsura! Se non che l'anima umana è così avida di felicità e si sottrae così volentieri al dolore e all'umiliazione, che sulle prime il pensiero di Filippo figgendosi ardentemente nell'imagine di Nanà gli fe' riprovare soltanto la gioia e l'estasi vivissima d'averla ancora posseduta. - Nanà, mia Nanà, bella Nanà terribile - andava egli dicendo mentre si vestiva; e non si saziava di ripetere quel nome come per tener occupata la mente e ributtar indietro le idee importune. - Che splendida creatura! Che occhi, che capelli, che denti, che profumo di donna sana! Ma l'orgasmo erotico durò poco. Bisognava pensar all'avvenire, e provvedere alla vita. Quell'ultimo biglietto da mille, che avrebbe dovuto servire, per tre quarti a pagar un debito di giucco, e pel resto ad essere arrischiato, e a produrre chissà che risorsa, sfumato in quel modo gli toglieva la speranza di potere la sera tentare di nuovo la sorte. Ad ogni modo in bisca egli non ci sarebbe andato che di sera. Ma intanto? I due piccoli problemi della giornata: la colazione ed il pranzo, come si risolveranno? "Potrei - cominciò passando in rassegna i mezzi leciti - potrei andar in cerca d'un amico e farmi invitare da lui dicendo di avere dimenticato a casa il portamonete. O potrei anche fingere al restaurant di averlo lasciato a casa. Ma questo stratagemma andrà bene un paio di volte! E poi? Chi me ne darà? Erano però i due espedienti più ragionevoli pel momento; risolse di metter in pratica l'uno o l'altro a seconda del caso, e uscì. Non trovando l'amico da cui farsi invitare fece colazione come il solito al suo caffè, ordinò al cameriere di fargli il conto, poi frugando in tasca colla più gran disinvoltura del mondo, finse d'aver lasciati a casa dei biglietti da mille, che ci avrebbero dovuto esser dentro, e si levò tutto turbato per paura che... la donna che rigoverna la camera... non si sa mai!... - Si figuri! - gli aveva già detto il cameriere, prima ch'ei fingesse quelle smanie. - Pagherà domani! Anche quel pagherà domani fece a Filippo un effetto singolare... "Chi è che mi insegna come si fa a guadagnar danaro?" - pensava avviandosi senza saper dove. - Domani se non pesco danaro non potrò neppur tornar qui a far colazione. Gli amici li ho già gonfiati tutti. Non c'è più da cavarne nulla. È terribile!" La farsa del portamonete lasciato a casa fu ripetuto da lui per il pranzo in altro luogo. Ma venne il vero punto tòpico, anche per Filippo Marliani; quello cioè di non poter più passare dinanzi a certi caffè nè a certe trattorie per non farsi vedere, e di non saper più quale albergo scegliere ancora da mistificare. Per capir bene questa situazione in tutta la sua verità, in tutti i suoi spaventevoli particolari, in tutti i suoi segreti inesplorati, è necessario saper bene che cosa voglia dire patir la fame per mancanza fin di un paio di soldi da comperarsi almeno del pane. E si badi! A questa fame, per mancanza di pane, non vanno soggetti che gli uomini della condizione di Filippo Marliani, a cui è vietato il guadagnar sia pure due soldi. Il miserabile, che vuol lavorare, non sa che cosa sia. Se non trova da guadagnar i due soldi, stende magari la mano all'elemosina e li raccatta. Marliani no. Per capir bene, ripeto, questa situazione, è necessario l'essere andato qualche volta a letto verso il tramonto, quando la fame più assaetta lo stomaco, a tentar di dormire per non provar gli spasimi e l'umiliazione. È necessario sapere qual grado di carattere e di probità abbisogni ad un uomo che veste di panno per affrontare e cacciare indietro le idee invadenti, che fanno ressa e rivolta in faccia al senso morale, protestando rabbioso contro la ingiustizia distributiva, contro il sistema sociale, contro tutto ciò che i politici chiamano l'ordine stabilito. Filippo Marliani però non pensava che del suo trovarsi in quell'orrendo disagio aveva colpa lui stesso. Amava meglio prendersela contro l'ordine stabilito. Camminando alla ventura delle ore intere, resistendo all'idea di andar a trovare Nanà, alla quale non voleva presentarsi a mani e a tasche vuote, egli andava facendo, senz'accorgersi, una quantità di ragionamenti nuovi e di piccole operazioni strane, inusate, senza senso comune. Era capace di tener dei quarti d'ora gli occhi a terra, sperando di trovare sul cammino un biglietto da mille, smarrito da qualche banchiere distratto, o un brillante uscito fuori da un orecchino di donna, o una borsetta piena d'oro, perduta da qualche inglese in viaggio. E in quel momento l'idea dell'obbligo di portar queste cose al Municipio, non gli era nemmeno apparsa in ombra. Nella sua testa non sbucciavano che idee malsane, come in un campo sterile e dimenticato non germogliano che male erbaccie. Disperando a un tratto di trovare pe' sassi qualche oggetto di valore, alzò gli occhi a caso e si trovò accanto alla vetrina di un cambiavalute. Si fermò di botto ed ebbe anche la stupidità di credere che questo fosse un buon augurio. Là dinanzi, cogli occhi intenti sulle monete d'oro e sui biglietti di banca sciorinati nell'interno della vetrina, il povero affamato sentì svilupparsi nel capo dei miasmi di cupidigia morbosa, e nel pugno una smania di sferrar un colpo nella lastra di vetro. Cose tutte che non aveva mai provate di sua vita. "Se si potesse far un buco senza che nessuno se ne accorgesse? Lì c'è appunto un biglietto da mille. Andrei a pranzo, poi stasera pagherei il debito, poi cogli altri dugento... chissà!" Guardossi intorno come trasognato. Rinsavì; ebbe vergogna de' proprî pensieri; odiò quelle tentazioni; pure il suo sguardo, tra lo spaventato e il suppligante, pareva dire ancora: Chi mi dà un biglietto da mille? Si staccò da quella vetrina - già, per la intenzione, ladro! - proseguì il suo cammino sempre intontito e in preda al più desolante scoraggiamento. La fame aumentava. Intorno a' suoi pensieri scattavano, ondeggiando come in nebbia opaca, delle fantasticherie di delitto e di rapina. A un certo punto fece anche improvvisa comparsa l'idea del suicidio, ed ei l'accolse di fronte come un ospite che non si attende, ma che fa piacere a vederlo. "No - diss'egli dopo averci pensato su qualche poco - sono sempre in tempo per questo." "E Nanà?" Questo nome ch'egli aveva dimenticato dacchè il pùngolo della fame era incominciato e il suo amor proprio era stato messo a così dura prova dalla necessità di fingere parecchie volte la scena del portamonete dimenticato in tre o quattro restaurants dov'era conosciuto - gli portò al cuore un'angoscia intollerabile. "Ah, bisogna uscirne a ogni costo - pensò. - Io non posso lasciare Nanà. Essa mi abbisogna più che il pane da sfamarmi. Non vivo così! È troppo tormento! È necessario ch'io abbia molto danaro. Essa non mi ama al punto da volermi gratuitamente, per me solo. Essa fu mia ancora... senza interesse... è vero. Ma chissà... per temperamento forse. Ma non vorrei io stesso!" La risultante di tale ragionamento fu questa frase: "È necessario aver danaro." E fra tutte le mariuolerie di cui potesse avere in testa un'idea, andò cercandone qualcuna da metter subito in pratica. Tutt'a un tratto un'idea luminosa lo colpì. Gli tornarono in mente certe parole misteriose che aveva udite per caso, alcuni mesi prima... da un certo tale... parole a cui allora non aveva posto la più piccola attenzione e che ora gli comparivano, come ad un brick che naufraga, l'ancora di salvezza. Fu per lui un momento d'immenso sollievo; la speranza, la meretrice dell'anima, illuminò il suo volto che era divenuto a poco a poco emaciato, e senza pensarci sopra più che tanto, s'avviò. "Chissà che non sia in tempo io stesso a pigliar quel posto" - diceva fra sè. - "Il signor Giacomino me ne saprà dire qualche cosa." Andò difilato in piazza del Duomo. Là cercò l'omnibus per Porta Garibaldi, e tutto infervorato nella sua idea, senza pensare che non teneva in tasca neppur il becco d'un quattrino, vi si cacciò dentro. L'omnibus si mosse e il conduttore gli stese la mano per avere il prezzo della corsa. Fu allora che Marliani si ricordò di non aver danaro. Ma avvezzo ormai a fingere quella manovra del portamonete, mise bravamente la mano destra nella tasca interna dell'abito, poi frugò di qua, frugò di là, fingendo una crescente inquietudine, e finì collo sclamare: - Cristo! M'han rubato il portafogli! - Màghero allora! - disse il conduttore dell'omnibus. - Sicuro. O me l'han rubato o l'ho lasciato in... quella bottega.... Oh povero me! - Scenda, scenda... non importa. Pagherà un'altra volta. Filippo non se lo fece dire due volte. Discese, fe' mostra di rifar la strada verso quella bottega, poi, quando l'omnibus fu scomparso, svoltò di nuovo verso Porta Garibaldi. Giunto a un centinaio di passi oltre il teatro Fossati, entrò in una bottega di parrucchiere - che oggi non c'è più - e ad un figuro di vecchietto che stava là seduto su uno sgabello col sedile a vite, ad aspettare forse qualche pratica, disse: - Lei è il signor Giovannino, non è vero? - Per servirla. Vuol fare la barba? - No, per ora. La faremo dopo, in caso. Io sono venuto da lei per vedere se.... Si ricorda lei di avermi veduto, sarà un paio di mesi, col signor Silvestre Bonaventuri? - Mi ricordo. Lei è il signor Filippo Marliani. - Bravo! Allora ella disse al mio amico che non gli era ancora riuscito di trovare un giovine un po' educato e vestito bene, che volesse assumersi quell'incarico, ancorchè avesse offerto cinquecento franchi al mese.... Si ricorda? - Altro che ricordarmi. - Ebbene, l'ha trovato? - domandò il Marliani col cuore in sospeso; giacchè quella risposta poteva forse decidere della sua vita. - No - rispose il signor Giovannino. - Tutti hanno paura di cader in trappola. - Si può sapere di che si tratta? Se si tratta di avere del coraggio, sono qua. Il signor Giovannino espose la faccenda a Marliani. Questi domandò se si poteva parlare coi signori che proponevano l'affare. - Sicuro che si può. Me ne parlarono giusto anche stamattina. La signora Bibiana sopratutti è scaldata e vorrebbe trovare un giovine come dice lei, che sarebbe certo di far fortuna. - Chi è la signora Bibiana? - È quella che ha il morto. Una vedovona, che ce ne voglion tre di noi per abbracciarla. - Potrei parlare a questi signori? - Lei? È pronto lei ad accettare? - Sì - rispose secco il Marliani. - È giusto l'ora che son riuniti in bottega - soggiunse il parrucchiere. - Andiamoci allora. - Andiamo pure. Cecco, dove sei? Cecco uscì dalla retro-bottega- Io vado un momento con questo signore, e torno subito. Così detto, uscì seguito da Marliani. Dati una ventina di passi parlando fra loro sottovoce, il parrucchiere svoltò dentro in una bottega da rigattiere. Una donnicciuola che se ne stava ebetamente seduta in un canto di quella uggiosa camera all'avvicinarsi dei due sconosciuti allungò il collo e ravvisato il signor Giovannino tornò a raggomitolarsi nella sua cretina immobilità. Il parrucchiere si avvicinò ad un uscio a due battenti socchiusi, che s'apriva nella parte di faccia all'entrata e che metteva in una tetanzuccia o retrobottega e fe' cenno a Marliani di fermarsi. Mise l'occhio allo spiraglio e pronunciò a voce melliflua: - È permesso? - Avanti - s'intese rispondere una voce secca; e sgarbata dal didentro. Il vecchietto si volse al suo compagno gli fè cenno di venir innanzi e schiuse l'uscio. Nella stanza dove erano per entrare il parrucchiere e Filippo Marliani stavano raccolte tre persone due uomini e una donna. Gli uomini erano entrambi in quell'età che non è giovinezza ma che non si potrebbe ancor dire maturità. La donna nei quarant'anni, che vestiva con volgare eleganza e mostrava un viso campagnuolo e rubicondo da farla giudicare per una fittavola o per la moglie d'un pizzicagnolo, era la signora Bibiana. Quelle persone se ne stavano sedute in silenzio a ridosso della luce che entrava da due finestre a vetri smerigliati, a destra e a sinistra d'un altro uscio, che metteva nel cortile. In tal modo i tratti del loro viso restavano in ombra mentre essi avevano il destro di vedere perfettamente rischiarato il volto di chi fosse venuto a parlar con loro. Facevano come certe donne sul tramonto che vogliono nascondere le grinze ai loro visitatori. - Venga avanti signor Giovannino - disse un di coloro al parrucchiere, che aveva domandato licenza di entrare. Questi si fermò accanto all'uscio lasciando il passo a Filippo Marliani. Gli occhi dei radunati si fissarono curiosamente; nelle sembianze del giovane sconosciuto. - La chiuda l'uscio - disse la signora Bibiana al signor Giovannino. - E lei ripigliò volgendosi a Filippo con un sorriso - la tenga pure il suo cappello in capo e s'accomodi. - Comodissimo - rispose questi sedendosi sulla prima sedia che si trovò d'accanto. In questa il parrucchiere domandò licenza di andarsene, ma venne trattenuto dalla donna. - Che fretta! Stia qui un pò anche lei a sentire. Poi voltasi al Marliani: - Lei sarà già informato spero della cosa. - Gli ho spiegato io l'affare all'ingrosso - rispose il signor Giovannino. Egli è pronto a firmare il contratto basta che entro domani gli sieno sborsate due mila lire. - Andiamo adagio - sclamò uno dei tre uomini levando la mano verso il vecchio - una cosa per volta e senza alzar la voce che nessuno qui è sordo. La donna volgendosi allora al giovine riprese. - Capirà anche lei... signor... signor? - Marliani - rispose questi. - Signor Marliani, che prima di stringere un contratto importante come questo, bisogna conoscersi un poco, perchè dove c'è da obbligarsi in faccia ai terzi; le cautele dei galantuomi non sono mai bastanti. - Troppo giusto - disse Marliani piegando il capo in segno di assentimento. Ma i suoi occhi si socchiusero nello stesso tempo con una espressione di ironica malizia. Quel sorriso non isfuggì all'occhio della donna la quale dissimulando riprese. - Dica dunque lei le sue intenzioni su quello che già le comunicò il signor Giovannino. - Il signor Giovannino mi propose di entrare come socio e col mio nome in una ditta commerciale senza esposizione da parte mia di alcun capitale - rispose Marliani. - Va bene - rispose la signora Bibiana. - I signori che lei vede qui riuniti sarebbero appunto i soci fondatori di una casa in pannine, di cui ella assumerebbe la gerenza alle condizioni che forse già conosce. - Le condizioni sarebbero di firmare col mio nome le cambiali della ditta. - Primo. - Nel caso di fallimento ch'io sia pronto a subire tutte le conseguenze conservando il massimo segreto sugli affari della casa. - Va bene. - Che in caso fosse necessario per salvare la ditta di far in prigione l'anno ed il giorno, io debbo esser pronto a prestarmi, e nel caso invece che la ditta credesse meglio, ch'io sia pronto a fuggire. Il giovine si fermò per avere un segno di assentimento. Le tre persone che gli stavano di contro erano immobili come cariatidi. - Non credo si esigano da me altri sacrifizi - rispose il giovine con una espressione di mal celata amarezza. Uno dei due uomini che non aveva ancora aperta bocca, alla nuova intonazione con cui il Marliani aveva pronunciate le ultime parole gli ficcò in viso gli occhi e disse: - Non sono sagrifizî codesti; sono condizioni naturalissime in chiunque si assume obblighi di questa specie. Non c'è nulla che sia fuori del consueto, anzi non faceva neppur bisogno di parlarne, giacchè poi si spera di non aver bisogno di fallire o di andar in prigione o di scappare. - Ho voluto enumerarli! - rispose il Marliani per mostrare a loro signori che io conosco le eventualità a cui posso andare incontro mettendomi in questo affare e per togliere loro il sospetto che io possa essere un novizio o un guastamestiere. - Ora parliamo delle condizioni in favore - disse la signora Bibiana. - Il signor Giovannino ha parlato di due mila lire subito. - Mi sono indispensabili. - Due mila lire è una bella somma - sclamò uno dei tre - ci vorrebbe una piccola garanzia. Marliani si alzò in piedi. - Cari signori - disse - se avessi una garanzia non sarei venuto a esporre il mio nome ai pericoli d'una gerenza commerciale di cui non dovrò tenere la cassa, nè avere neppure una piccola parte nell'amministrazione. Se avessi una garanzia andrei a levar i denari al dieci o al dodici per cento dal primo onesto banchiere che passa in strada, e il signor Giovannino non sarebbe venuto ad offrirmi di fare il prestanome. - Lei s'inganna - rispose la signora Bibiana con voce insinuante. - Io le dirò che prima di tutto non è vero che lei dovrà servire soltanto di prestanome perchè invece dovrà trattare in persona con me gli affari della ditta, far qualche viaggio e avere la sua brava parte di utili nei dividendi. - Se ce ne saranno - osservò uno dei tre. - Sicuro già, se ce ne saranno! - sclamò la donna stizzosamente. - In secondo luogo lei s'inganna se al giorno d'oggi crede di poter trovar danaro al dieci o al dodici per cento, a mena che non porga la garanzia di un proprietario. - Vedo insomma che lor signori non sono disposti a sborsarmi le duemila lire di cui ho bisogno - disse il Marliani. - Caro signore - rispose la donna sempre più dolce. - Il commercio è arenato. Per vivere col decoro che porterà la di lei posizione di rappresentante la ditta Marliani e C. bisognerà che noi le fissiamo anche una bella mesata. Vede bene che farle oggi una anticipazione di due mila lire ci sarebbe impossibile. - Di quanto sarebbe questa mesata? - domandò il Marliani. - Di trecento franchi - rispose la donna. Marliani si alzò e mosse un passo verso la porta lisciando il pelo del suo cappello a tuba e disse: - Siccome i patti non sono quelli che m'aveva lasciato sperare il signor Giovannino, che mi parlò di cinquecento franchi al mese, così mi duole di non poter accettare, e mi tocca di rivolgermi ad altre offerte. - A un'altra volta - rispose uno dei due uomini. - E nel caso che la ditta si risolvesse a fare maggiori sacrifizî il signor Giovannino lo avviserà. Marliani uscì lasciando l'uscio socchiuso. Si capiva che la signora Bibiana era desolata. Un bel giovine di quella fatta! - La chiuda quell'uscio, Giovannino - disse ella. Poi voltasi ai compagni proruppe: - Non bisogna lasciarlo scappare. Sembra fatto a posta pel nostro affare. - Ritornerà. Scommettiamo che ritorna da sè senza mandarlo a chiamare? - Ora una notizia - riprese la signora Bibiana. Sapete che in casa O'Stiary ci ho messo il Giacomo come palafreniere. Egli mi ha dato nuove informazioni sullo stato delle sostanze del conte Enrico suo padrone, che ha firmata ieri un'altra cambiale di diecimila a fine novembre. - Sono buone queste notizie? - Eccellenti. I fondi valgono circa mezzo milione, il palazzo trecentomila, la rendita altri duecentomila. Con Bonaventuri a tutt'oggi è compromesso per quattrocentomila franchi, dei quali fatto il calcolo, gliene avremo sborsati a dir molto duecento. Egli ha poi perduto molto al giuoco dalla Luisa! È sfortunato! In casa della Luisa de' suoi danari ne saranno rimasti per circa cinquantamila. A noi di questi è toccata la metà, dunque bisogna detrarla dai duecento mila. Restano centosettantacinquemila. Sono dunque duecento venticinquemila lire nette in tre anni! Faccio il calcolo che in un paio d'anni ancora, lavorando con prudenza e con disinvoltura potremo portargli via il milione netto come il pomo di Tell. - Tanto meglio. - Ecco dunque il da farsi per domani. Lei Giovannino la cerchi di rivedere il signor Marliani e di indurlo ad accettare la rappresentanza della ditta. Gli dica che ci ha persuasi di portare la cifra della mesata a quattrocento. Gli dica anche che per garanzia della sua riputazione commerciale la ditta è pronta a depositare presso la Banca nazionale o presso la Banca Spagliardi una trentina di mila lire. Lei, signor Bonaventuri - continuò volgendosi ad uno dei due seduti - domani andrà a combinar l'affare con questa signora francese, che chiede cinquemila franchi a tre mesi. Si faccia mostrare le gioie, e se può cerchi di far il pegno. Lei, signor Paolino - ripigliò la signora Bibiana volgendosi all'altro, un uomo sui trentacinque anni, anche lui bene in arnese, con anelli di brillanti al dito mignolo e un catenone d'oro al farsetto - lei, stasera, come siamo intesi, andrà in conversazione dalla Luisa, dove so che ci deve essere anche il conte O'Stiary e comincerà a parlare della vincita fatta in Borsa dal Marliani, e della sua intenzione di mettersi in commercio. Per ora non ho altro a dire. Io debbo andarmene. A domani qui, verso le due. Al domani il signor Giovannino andò a trovare il Marliani che si lasciò persuadere a tornar nel luogo infetto. La signora Bibiana, facendogli già l'occhio pio, trasse di tasca un foglio e cominciò a leggerlo sottovoce al giovane e a' suoi compagni. Era il contratto per la fondazione della società di commercio sotto la ditta Marliani e C.. C..Poi mise sul tavolo un biglietto da mille e una cambiale che il Marliani firmò. Furono fatte poche parole. Quando anche l'atto fu approvato e sottoscritto colla più grande serietà, come se fosse il più regolare e santo contratto del mondo, il signore dai brillanti in dito riprese la parola. - Andremo poi dal notaio per le altre formalità di legge. Prima però la permetta che le esponga qualche cosa. Lei non è un ragazzo e deve avere una certa pratica di mondo; sapere perciò che le parole sono parole e i fatti sono fatti. Noi facciamo sagrifizio di lire mille e le presentiamo inoltre un avvenire. Naturalmente la cambiale è in nostre mani e sarà rinnovata alla scadenza fino a che a lei non piaccia di pagarla... e basta così. Marliani strinse le labbra. - Dal canto suo lei dovrà informarsi alle nostre istruzioni. Prima di tutto ella dovrà sempre andar vestito all'ultima moda, come si conviene al gerente della ditta Marliani e C., che avrà depositato un capitale di trentamila lire presso la Banca. In secondo luogo è necessario che ella cominci a mettersi in buona vista presso i negozianti e presso i banchieri; e che non dia menomamente a supporre di conoscerci e di essere nostro socio, giacchè siccome, glielo dico francamente, noi tutti qui, qual più, qual meno siamo rimasti sotto a delle disgrazie, così è bene che alla Camera di Commercio e in piazza non si sospettino legami fra noi. - Ma - osservò Marliani - il contratto sottoscritto poc'anzi non deve essere noto? - No signore; questo sarà un contratto inter nos per garantire i nostri reciproci diritti e doveri in caso di contestazioni che speriamo non abbiano a sorgere mai. Per la Camera di Commercio v'è un'altra modula a cui penseremo più tardi; del resto lei deve persuadersi che adesso per fare e per ottenere tutto a questo mondo non c'è che l'apparenza. Per l'apparenza dunque le ripeto, ella ha bisogno di vestirai molto bene, di frequentare le migliori società, e se è possibile, di farsi credere conte, o per lo meno nobile. Marliani è un bel nome. Faccia stampare dei biglietti di visita colla corona di conte. Conte... il suo nome di battesimo è? - Filippo. - Conte Filippo Marliani andrebbe a maraviglia. - Le faccio osservare che io sono già molto conosciuto a Milano. - Bene, abbandoniamo la contea e lasciamo supporre che lei abbia fatta una vincita in lotto. - Ma io non mi presterò mai a gabbare il mondo così - disse il Marliani. - Lei non deve che lasciarlo credere - saltò su la Bibiana. - Ci penseremo noi a propalare la notizia come si deve. Lei non dovrà far altro che dissimulare e non dire di no. Questo è facile. - Manco male! - biascicò il Marliani che di transazione in transazione si lasciava persuadere a diventar un fior di briccone. - Fra quindici giorni esporremo la ditta al pubblico e cominceremo gli affari. Intanto dirameremo al commercio le circolari e scriveremo le lettere firmate da lei a tutti i corrispondenti. Il locale della ditta è già preso. È in via Valpetrosa. Se crede adesso possiamo andarvi insieme a vederlo. Su questo invito della signora Bibiana la congrega si sciolse e Marliani, colla grassona, entrarono in un brougham e a cortine calate si fecero portar in via Valpetrosa. Esaminato il locale, il Marliani corse difilato a pagar il suo debito di giuoco col biglietto da mille, per avere il quale aveva venduta la coscienza di galantuomo.

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