Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbaglio

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Il divenire della critica

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Dorfles, Gillo 4 occorrenze

Un altro recente abbaglio, a proposito del rapporto arte-scienza, è quello, già ricordato più sopra, di alcuni artisti concettuali che ritengono si debba considerare «artistica» la loro operazione basata su precise trascrizioni matematiche (o fisiche, o astronomiche, o comunque scientifiche) soltanto perché in questo modo tali operazioni sono e rimangono «monosemiche», non sono, cioè, passibili di una lettura polisemica, non si prestano a diversità interpretative come di solito accade per la maggior parte delle opere d’arte. L’equivoco in questi casi è dei più scoperti: le sfilze di numeri di Hanne Darboven, gli sproloqui semiologici di art-language, non sono che modeste operazioni se considerate dal punto di vista scientifico, linguistico, semiotico, come lo sono le tavole di Venet e le carte topografiche di Fulton. Il fatto poi della loro monosemia è semmai quello che le rende meno adatte ad essere proposte come «opere d’arte» (mentre, ed è triste doverlo ricordare, è proprio da una considerazione polisemica che deriva il loro «indice di gradimento» da parte dei collezionisti, dei mercanti, del mercato in genere; poiché l’acquisto stesso di queste opere e la loro immissione entro un qualsiasi contesto che non sia quello scientifico al quale appartengono, fa sì che sia messo in atto un meccanismo polisemico di «decontestualizzazione», di ostranenje, che per questo solo fatto, li rende avvincenti e eventualmente «artistici»).

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Ed è qui, soprattutto, che occorre mettere le mani avanti e non incorrere nel facile abbaglio di coloro che potrebbero (o anzi vorrebbero) vedere in talune opere pop un’analogia o un «ritorno» a certo realismo-naturalismo, sia di tipo «sociale» che di tipo «alla Sciltian». Qual è la sostanziale diversità tra tali correnti? Sbarazziamo subito il campo dalla cosiddetta «pittura della realtà» alla Sciltian, che è costituita soltanto da un’abilità manuale scevra da qualsiasi impegno etico ed estetico, e vediamo piuttosto il caso dell’autentico realismo sociale. L’analogia non è che apparente: i realisti quasi sempre furono e sono (nei casi migliori) degli espressionisti (ce lo insegna Guttuso). Quelli la cui aderenza alla realtà fu più calligrafica e oleografica si rifacevano ovviamente a moduli dell’arte borghese fine-ottocento che nulla ha a che vedere con l’arte d’oggi. La resa minuziosamente veristica d’un Lichtenstein (l’imitatore e celebratore del fumetto americano) è la resa d’una «falsa realtà» già deformata ed emblematizzata dal fumetto; mentre la resa veristica d’un Oldenburg è paragonabile all’esibizione sistematica del fiore e del frutto artificiale (di gomma) al posto di quello vero. In altre parole, se è possibile ottenere un effetto di denuncia anche dipingendo «come se fosse vero» (e si vedano i tentativi di Pozzati, Recalcati, Festa), non si vede allora perché non convenga inserire addirittura la «fetta di realtà», come sta e giace, dentro il dipinto o la scultura; ed è appunto quello che hanno fatto Rauschenberg (tanto coi suoi combines che con le sue più recenti serigrafie fotografiche) che tutti gli altri da Dine a Oldenburg.

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