Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbagliava

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Lo stralisco

208456
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Ora Gentile non guardava piú il sole: ancora basso sull'orizzonte, abbagliava tuttavia, e feriva gli occhi. Vagava il pittore con lo sguardo fra le progressive fasce di splendore che, sopra e sotto, allargavano la doppia immensità del mare e del cielo. Chissà da dove e quando spuntati, quattro gabbiani facevano strilli attorno al bordo alto della vela, pronti a tuffarsi sugli scarti di pesce che i marinai lanciavano in acqua: erano troppo rumorosi e vistosi per non distrarre Gentile dalla sua lontana contemplazione. Il suo sguardo passò dallo spazio a loro, e da loro al ponte della nave, adattandosi alla prossimità delle cose. Incontrò cosí lo sguardo di Marco, il mozzo della Santo Paolo, meno svelto degli altri a fingere di guardare altrove. Il pittore sorrise, e il ragazzo, incerto, con un sorriso gli rispose. — Che pesci sono? — disse Gentile a voce alta, scendendo il basso scalino da prua al centro del ponte, e avvicinandosi ai tre marinai, seduti al parapetto sinistro. — Lampughe, padron Bellini! — disse il piú vecchio, che si chiamava Volpe da Torcello. — E sono buoni? — Buoni per un marinaio, discreti per un capitano: ma il Doge li sputa! — disse Jacopo, cui toccava, nella gerarchia di bordo, di parlare per secondo: il burlone della barca. Tutti risero, anche il timoniere, lontano quattro passi dal gruppetto. Gentile, come spesso faceva, si fregò la corta barba appena ingrigita. — Per i gabbiani, sono buonissimi! — disse il mozzo, indicando il cielo con una smorfia, con voce strozzata. — Ma non sai che non sentono i sapori? — lo canzonò Volpe, che come marinaio anziano aveva il compito ufficioso di mortificare il ragazzo. Marco non rispose, e abbassò la faccia sul ventre biancastro e sfilacciato della sua Lampuga. — Questa non la so, Volpe! — disse Gentile, sedendo vicino al vecchio. — Come puoi dirlo? — Padron Bellini, è cosa che si dice, anche se non è scritta sui Vangeli, — disse Volpe da Torcello, voltando a metà la testa verso il pittore. — Il fatto è che i gabbiani hanno il becco duro, e la lingua troppo piccola per sentire i sapori, che sono tanti... — Forse è cosí, — disse Gentile. — Però, la pupilla di un occhio è anche più piccola di una lingua di gabbiano: e guarda quanti colori possiamo vedere! Spalancando la bocca, i tre sospesero la pulizia del pesce. Poi, a partire da Volpe, scoppiò una risata: e quella di Marco fu la piú sonora. — Vedi, sputacchio, quante cose si sanno a leggere i libri? — sbraitò sul mozzo Volpe, riprendendo il gioco crudele della persecuzione.

C'era una volta...

218803
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1910
  • R. Bemporad e figli
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Era così bella, che abbagliava. La Regina, come intese che Serpentina stava per tornare, montò sulle furie: — Se vien lei, partirò io! È la nostra. cattiva sorte! — Ma, saputo che quella recava l'unguento da far sparire le gobbe, le andò incontro col Re e con tutta la corte. Fecero grandi feste, e vissero tutti felici e contenti. E noi citrulli ci nettiamo i denti.

Pagina 234

Dalle fessure si vedeva uno splendore che abbagliava, e di tanto in tanto si sentiva la mamma: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! — E Tizzoncino che faceva l' uovo: — Se lo dicevano che erano ammattite! - Ogni notte così, fino alla mezzanotte: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! - La cosa giunse anche ali' orecchio del Re. Il Re montò sulle furie e mandò a chiamare le fornaie. — Vecchia strega, se séguiti, ti faccio buttare in fondo a un carcere, te e il tuo Tizzoncino! — Maestà, non è vero nulla. Le vicine sono bugiarde. - Tizzoncino rideva anche al cospetto del Re. — Ah!... Tu ridi? — E le fece mettere in prigione tutte e due, mamma e figliuola. Ma la notte, dalle fessure dell' uscio il custode vedeva in quella stanzaccia un grande splendore, uno splendore che abbagliava, e, di tanto in tanto, sentiva la vecchia: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! — E Tizzoncino faceva l' uovo. Le sue risate risonavano per tutta la prigione. Il custode andò dal Re e gli riferì ogni cosa. Il Re montò sulle furie peggio di prima: — La intendono in tal modo? Sian messe nel, carcere criminale, quello sottoterra. - Era una stanzuccia senz' aria, senza luce, coll' umido che si aggrumava in ogni parte; non ci si viveva. Ma la notte, anche nel carcere criminale, ecco uno splendore che abbagliava, e la vecchia: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! — Il custode tornò dal Re, e gli riferì la cosa. Il Re, questa volta, rimase stupìto. Radunò il Consiglio della Corona; e i consiglieri chi voleva che alle fornaie si tagliasse la testa, chi pensava che fosser matte e bisognasse metterle in libertà. — Infine, che cosa diceva quella donna? Se Dio vuole. O che male e' era? Se Dio avesse voluto, neppure Sua Maestà sarebbe stato buono d' impedirlo. — Gua'! Era proprio così. — Il Re ordinò di scarcerarle. Le fornaie ripresero il loro mestiere. Non avean le pari nel cuocere il pane appuntino, e le vecchie avventore tornarono subito. Perfin la Regina così saliva spesso le scale del palazzo reale, coi piedi scalzi e intrisi di mota. La Regina le domandava: volle infornare il pane da loro; il Tizzoncino Tizzoncino, perchè non ti lavi la faccia? — Maestà, ho la pelle fina e l'acqua me la sciuperebbe. — Tizzoncino, perchè non ti pettini? — Maestà, ho i capelli sottili, e il pettine me li strapperebbe. — Tizzoncino, perchè non ti compri un paio di scarpe? — Maestà, ho i piedini delicati; mi farebbero i calli. — Tizzoncino, perchè la tua mamma ti chiama Spera di Sole? — Sarò regina, se Dio vuole! - La Regina ci si divertiva; e Tizzoncino, andando via colla sua asse sulla testa e le pagnotte e le stiacciate di casa reale, rideva, rideva. Le vicine che la sentivan passare: — Tizzoncino fa l'uovo! - Intanto ogni notte quella storia. Le vicine, dalla curiosità, si rodevano il fegato. E appena vedevano quello splendore che abbagliava e sentivano il ritornello della vecchia, via, tutte dietro l'uscio: non sapevano che inventare. C'era una volta.... 2 — Fornaie, fatemi la gentilezza di prestarmi lo staccio; nel mio c' è uno strappo. — — Tizzoncino apriva l' uscio e porgeva lo staccio. — Come! Siete allo scuro l Mentre picchiavo e' era lume. — Uh! vi sarà parso. - — Fornaie, per cortesia, prestatemi un ago. Mi si son rotti tutti, e debbo finire un lavoro. - Tizzoncino apriva l' uscio e porgeva l' ago. — Come! Siete allo scuro? Mentre picchiavo, c' era lume. — Uh! vi sarà parso. — La cosa era arrivata anche all' orecchio del Reuccio che aveva già sedici anni. Il Reuccio era un gran superbo. Quando incontrava per le scale Tizzoncino, coll' asse sulla testa o colla cesta sulle spalle, si voltava in là per non vederla. Gli facea schifo. E una volta le sputò addosso. Tizzoncino quel giorno tornò a casa piangendo. — Che cosa è stato, figliuola mia? — Il Reuccio mi ha sputato addosso. — Sia fatta la volontà di Dio! Il Reuccio è padrone. — Le vicine gongolavano: — Il Reuccio gli avea sputato addosso; le stava bene a Spera di sole! — Un altro giorno il Reuccio la incontrò sul pianerottolo. Gli parve che Tizzoncino lo avesse un

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