Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Epistolario ascetico - Vol. IV

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Rosmini, Antonio 1 occorrenze

Il che è cosa sì chiara che ogni uomo può conoscerla; e se non la riconosce, è solo perchè volontariamente s' accieca, lasciandosi abbagliare al fulgore della propria eccellenza non vera, ma creatasi dall' orgogliosa immaginazione. Si pecca adunque di superbia in questi modi colla riflessione. Questo pericolo conviene ovviare contrapponendo il rimedio di un amore grande e dominante della verità e della virtù, il pensiero e la riflessione abituale dell' assoluta grandezza di Dio e dell' umana pochezza; e oltre a ciò quello della propria e personale infermità e deficienza, al che guida e dà lume e forza la grazia di Dio. Eccovi, mio caro Agar, la teoria: voi solo potete ora applicarla a risolvere quei due quesiti che mi proponevate; perocchè voi solo potete, al lume dell' eterna verità, fare una diligentissima indagine dei movimenti del vostro cuore. [...OMISSIS...] 1.54 Giunsero al sommo grati a tutti noi i vostri buoni augurii, e ve li ricambiamo di cuore. Ma non meno grate ci giunsero le notizie del vostro stato e del vostro esordire nel pastoral ministero, dal quale spero nel Signore che ritrarrete frutti abbondanti e per la perfezione dell' anima vostra e per la salute delle anime altrui. Confidate nel Signore, ed egli vi benedirà. Apprezzate ed amate grandemente il ministero, a cui siete stato chiamato; perchè è un ministero regale, anzi ministero del Re dei re, che fu costituito dal Padre suo sul monte della giustizia praedicans praeceptum Domini . Il zelo ardente del gran Pastore, che dà la sua vita per le sue pecore, vi sia guida e quasi stella nel vostro cammino, perchè nel fuoco del puro zelo luce la sapienza di Dio. Oh voi fortunato, mio caro Giuseppe, se questo fuoco zelatore della giustizia di Dio e diffonditore della santità sarà la vostra vita e l' anima dell' anima vostra! Di questo prego il Signore per voi di cuore, e questi sono gli augurii che io vi faccio per l' anno che abbiamo pur ora incominciato. [...OMISSIS...] 1.54 Rispondendo alle care vostre del 17 febbraio e 7 marzo corrente non mi sembra necessario, per vero dire, ch' io replichi ancora quello che voi già sapete e, conoscendo intimamente il fondo dell' animo mio, potete voi stesso attestare, e quello che tante volte ho già espresso in pubblico ed in privato sul mio figliale e devoto attaccamento alla Santa Sede, sulla mia sommessione ed obbedienza ad ogni suo desiderio e cenno. Iddio m' è testimonio, che non mento: non ho mai desiderato altro che la sana dottrina coll' edificazione del prossimo: e in conseguenza non ho e non ho mai avuta l' intenzione e la voglia di sostenere pertinacemente le mie opinioni, o il mio modo d' esprimerle: ma diffidando troppo giustamente di me stesso, le ho sempre sottomesse al giudizio dell' Apostolica Sede, pronto a cangiarle, ritrattarle, modificarle, esprimerle diversamente, come mi venisse insegnato da questa mia sicura ed amata maestra. Se talora ne' miei libri dimostrai delle persuasioni forti, quando ho creduto che ciò giovasse alla causa della verità, esse cesserebbero subito d' essere forti, e anche d' essere persuasioni per me, ove la legittima autorità parlasse in contrario. Quand' anco m' avvenisse, quello che può avvenire all' uomo, limitato com' egli è, di non intendere la ragione di ciò che mi si prescrivesse, questo non mi cagionerebbe la minima molestia e non mi darebbe il minimo ostacolo a professare la piena e sincera obbedienza; condannerei dunque il giudizio mio proprio, e abbraccerei con tutto il contento ciò che mi fosse insegnato, farei ciò che mi fosse comandato. Ma ora intendo da voi, e parmi di poter raccogliere da tutto quello che s' è fatto fin qui circa l' esame delle mie opere, che non si tratti più di dottrina, ma che, dissipati intorno a questa i timori, rimanga del dubbio sulle espressioni, quasi sentissero di pericolosa novità. Io vi prego primieramente di assicurare tutti, ma specialmente di mettere ai piedi del Santissimo Padre questa mia disposizione, che io non solo desidero, che la dottrina da me professata sia pienamente sana, ma bramo di più che anche le espressioni della medesima sieno immuni da ogni pericolo, e che per conseguente sono sempre pronto a cangiarle o a dichiarare e migliorare in esse tutto ciò che io potessi riconoscere esservi da cangiare, da dichiarare e da migliorare. E lo conoscerò tostochè, per mia gran ventura, il Santo Padre si degnasse di comunicarmi quali sieno le espressioni che meritano questa emendazione: lo conoscerò ancora, se altre persone autorevoli, anche persone private e dotte, avessero la carità di somministrarmi intorno a ciò dei lumi, avendo io sempre bramato d' imparare da tutti, e facendo io gran conto della opinione di persone benevole che conoscano la materia. E perciò appunto vi prego e v' incarico espressamente di raccogliere con ogni possibile diligenza tutte le osservazioni che si facessero costì sulle espressioni o frasi da me adoperate nelle varie mie opere. Raccoglietele da persone autorevoli e dotte, raccoglietele anche dagli indotti, dagli amici e dai nemici, e riferitemele diligentemente: io me ne farò carico, le metterò a profitto per emendare, dichiarare, migliorare comecchessia i miei scritti: che quantunque destinati sieno, pel loro argomento, nella loro maggior parte ai dotti, tuttavia da parte mia desidero di soddisfare a tutti, sapendo che siamo a tutti debitori, a' sapienti e insipienti. Non credo però di poter soddisfare con tutto questo alle persone passionate. Oltrechè io non posso certamente cavarne tutto il profitto che bramerei dicendomi soltanto in un modo indeterminato che alcune espressioni possono riuscire d' inciampo ai giovani e superficiali. Se mi si facesse la grazia di dirmi quali sono queste espressioni, io farei di tutto per soddisfare a tutti i giusti desiderŒ. Una sola espressione voi mi accennaste come notata da taluno, quella dell' essere in universale. Ma questa espressione è così comune in S. Tommaso e in tutti gli Scolastici, che non parmi prezzo dell' opera il parlarne, giacchè non se ne può far senza nè in filosofia, nè in teologia. Voi sapete che il « Nuovo Saggio » è lo sviluppo di questa sentenza di S. Tommaso che ho posta come epigrafe in principio al volume II: « Obiectum intellectus est ens vel verum commune (Summ. I, 55, 1) ». Se non si possono indicare come pericolose e nuove altre frasi che di questa natura, io mi consolo grandemente e ne ringrazio Iddio. Umiliate dunque, se voi lo credete, tutti i sentimenti espressi in questa mia (e sono quelli che ho sempre avuto) al Santissimo Padre, e sopratutto ripetetegli la mia disposizione a uniformarmi in tutto e sempre e con allegrezza ai suoi giudizi, e, se fa bisogno, il mio fermo proposito di correggere, per quanto si stia in me, ogni mio detto che conoscessi, per qualunque sia rispetto o delle cose o delle parole, difettoso. Io mi ricordo vivamente di quanto dice S. Agostino a proposito di un elogio che fa Cicerone di un cotale, scrivendo che « « non ebbe mai proferita parola che volesse revocare » ». S. Agostino soggiunge: [...OMISSIS...] . Non è dunque probabile che io aspiri ad un tanto elogio. [...OMISSIS...] 1.54 Intendo benissimo tutte le vostre pene e i vostri combattimenti, e nello stesso tempo che ve ne sento tutta la compassione, porto fiducia che siano altrettanti mezzi, che adopera con voi l' amorosa Provvidenza del Signore per umiliarvi e così santificarvi. Sarà facile che sulla fine di luglio o in agosto passi da Milano, e allora verrò sicuramente a vedervi; intanto raccomanderò ogni cosa al Signore. La prima cosa, di tutte la più importante, è di non lasciare che venga mai e poi mai meno la confidenza in Dio. Scolpitevi nella mente queste due massime: 1 che non c' è mai nessun motivo ragionevole di diffidare di Dio , nè pure il peccato ; chè anzi il peccatore deve sempre buttandosi nelle braccia di Dio dire: « voi vincerete la mia iniquità, e per occasione del mio peccato s' accrescerà la gloria della vostra misericordia »; 2 che chi conserva la confidenza e la speranza in Dio, non si può perdere : tutti quelli che sperano in Dio non possono essere da Dio abbandonati, e però si salvano. Conviene dunque che vi prefiggiate di fare frequentissimi ed anzi continui atti di speranza e di confidenza, rendendovi questa maniera di pregare abituale; con questi atti vi laverete di continuo nel sangue preziosissimo di Gesù Cristo. La seconda cosa che vi prescriverei, se fossi vostro direttore, si è di evitare che il vostro pensiero non ricada troppo spesso sopra voi stessa. E` meglio non cercar tanto di sapere come si stia, perchè tante volte è impossibile il saperlo; Iddio solo lo sa, perchè è quegli che scruta i reni e i cuori. Col pensare troppo a sè stessi s' arrischia di fare dei giudizi falsi, che ci portino o all' avvilimento o alla presunzione; ovvero, rimanendo nell' oscurità, ci troviamo agitati dalla stessa incertezza. E` meglio dunque dire al Signore: « Io non mi conosco, voi solo mi conoscete; togliete dunque da me tutto quello che vi dispiace, e mi basta, vivo confidata in voi ». E dopo di ciò pensare sempre avanti, pensare a far bene e meglio, senz' altro pensare al passato. Anche quando un' anima avesse la disgrazia di offendere Iddio gravemente, deve pentirsi e confessarsi, e poi ricominciare a far bene, senza pensare più troppo a quello che è accaduto, dicendo: « Vi ho offeso, o Signore, ma ora non voglio offendervi, e se mi accadesse di nuovo la stessa disgrazia, confiderò ancora in voi, risorgerò per la vostra misericordia, e ricomincerò sempre di nuovo ». L' assoluzione sacramentale ha un potere infinito, perchè è un' applicazione fatta al peccatore dei meriti della passione di Cristo; e avendo Gesù Cristo istituito questo Sacramento senza limiti e non per una volta sola, ha mostrato la sua intenzione di perdonare senza limiti. Evitate dunque in ogni caso la soverchia tristezza che abbatte, e consolatevi nella infinita bontà del Salvatore. Una soverchia tristezza toglie le forze e fa venire a noia la vita spirituale; una moderata allegrezza accresce le forze e la rende piacevole. Distinguete tra quello che è di preciso dovere, e quello che omettendolo, non costituisce peccato alcuno. Certe volte, permettendolo Iddio, non si sente l' affetto alla divozione; ma questo non è peccato, perchè tante volte non dipende da noi, ma da disposizioni fisiche. Allora non c' è da fare altro, che sopportare con pazienza e aspettare la visita del Signore. Coraggio adunque, e vincerete e sarete consolata. [...OMISSIS...]

CHI VUOL FIABE, CHI VUOLE?

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

Lo videro appoggiarsi con le spalle alla parete; videro farsi un grande spacco dietro, di lui, e uscirne tale Splendore da abbagliare gli occhi. Fu un istante; la parete si richiuse. L'omo senza braccia era sparito, e il vecchio insieme con esso. Trascorsero parecchie ore di ansiosa aspettazione. Tutta quella gente non rifiatava. Si guardavano negli occhi interrogandosi. La mamma dell'omo senza braccia pareva istupidita da quel che aveva udito e visto. Con gli sguardi fissi verso il fondo della grotta, ripeteva sottovoce: - Figliuolo mio! Figliuolo mio! Tutt'a un tratto, la parete cadde giù e la folla si precipitò dentro le grotte che si internavano nelle viscere del monte in lunghissima fila illuminate da debole luce. Dapprima a tutti era parso di non vederci bene per la mezza oscurità. Poi la delusione fu immensa; quelle pareti che dovevano essere incrostate di oro e di pietre preziose erano rozze, affumicate, coperte qua e là di un po' di muschio verde, giallo, rossiccio che non poteva illudere nessuno. - E l'omo senza braccia? - Sarà in fondo, in fondo. Il tesoro è là certamente. Ne avrà già preso possesso. Ma più andavano innanzi e più la delusione cresceva. Nella grotta in fondo, neppure quel po' di muschio alle pareti! Rozzi massi sporgenti, buche fonde, e suolo umido e scivoloso ... - E l'omo senza braccia? E le pietre preziose del tesoro? - Sarà laggiù in fondo; il tesoro è là certamente. Ne avrà già preso possesso. E allora, proprio di laggiù, in fondo in fondo, videro avanzarsi l'omo ... non più senza braccia. Ne aveva due e le agitava trionfalmente, folle di gioia, e le gettava al collo di sua madre, stringendosela forte al cuore. Eran proprio le braccia che la Strega aveva segato a quell'altro. - E il tesoro? Il tesoro? - É questo: due belle braccia per lavorare! Avrebbe voluto abbracciare gli altri, ma tutti gli voltarono le spalle. - Tante spese, tante cure ... Ed era finita così! Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta; Chi non la vuole me la riporti.

SI CONTA E SI RACCONTA - Fiabe Minime

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Capuana, Luigi 2 occorrenze

Ma, quale non fu la loro maraviglia vedendo seduta accanto al Reuccio una giovinetta così bella da abbagliare gli occhi che la guardavano? Aveva in testa un diadema di perle e diamanti, seguo evidentissimo che era di sangue reale. In quel momento si sentì dalla piazza la voce tonante dello zoccolaio: - Passa lo zoccolaiooo! Donne, lo zoccolaiooo! E immediatamente il raglio dell'asino: - Ah! Ah! Ah! Il Re mandò subito un servitore che lo invitasse a salire su. Ora che aveva visto il portento di quella Reginotta non ce l'aveva più con lui, ed era curiosissimo di aver spiegato il mistero dello zoccoletto di argento. Ma lo zoccolaio era già sparito, e nessuno seppe dire che via avesse presa. Fatto a posta pel Reuccio! Fatto a posta pel Reuccio! - ripeteva spesso il Re. E morì senza aver saputo il mistero dello zoccoletto d'argento. Stretta la via, larga la foglia, Ne dica un'altra, chi n'ha la voglia!

La vecchia picchiò con la punta del bastone nel muro di faccia, e il Reuccio si sentì abbagliare gli occhi dalla vivissima luce che rischiarava la fila di stanzoni dilungantesi fino in fondo, a perdita di vista. Si presentarono tre giovani donne, una più bella dell'altra. - Io ripulisco. Comandi! - Io cucino. Comandi! - Io sprimaccio. Comandi! Il Reuccio passò oltre. Gli pareva di risognare il sogno di quella notte, e cercava ansiosamente con gli occhi la bellissima addormentata sul lettino d'oro e diamanti. La vecchia dietro a lui. - Reuccio, che volete? Che cercate? - Cerco il tesoro che in custodia avete. - Io tesoro non ho, voi v'ingannate. - Dunque la bella che sognai voi siete. Botta e risposta. Tutt'a un tratto si fece buio. Dopo pochi momenti, una luce azzurrognola cominciò gradatamente a rischiarare gli stanzoni, e il Reuccio si vide davanti l'addormentata più bella della luna e del sole; ma non pareva di carne e di ossa: pareva fatta d'aria e di luce, senza consistenza. - Ecco il tesoro che cercavo! E pareva anche come riflessa in uno specchio. Il Reuccio si voltò ... e che vide? Vide la vecchia ritta in piedi, che formicolava per tutta la persona. La pelle del viso si stirava, si coloriva, i capelli si agitavano al pari di tanti serpentelli e buttavano giù le scoglie, diventando biondi, di oro filato; i cenci che le coprivano il corpo prendevano aspetto di stoffe tramate d'oro e di argento e si adattavano maravigliosamente alla snella persona. - Fate la carità a una povera vecchia! Fate la carità! E stese la mano. Il Reuccio si levò da un dito il più ricco degli anelli che portava, e glielo diede. La bellissima giovane lo buttò sdegnosamente per terra, e riprese a dire: Fate la carità a una povera vecchia! Fate la carità! Il Reuccio, mortificato, si levò dalle dita tutti gli anelli che portava, e glieli mise nel palmo della mano. La bellissima giovane li buttò sdegnosamente per terra, e riprese a chiedere. - Fate la carità a una povera vecchia! Fate la carità! Il Reuccio si sentì mancare il cuore, e istintivamente ficcò le mani nelle tasche. In una di esse trovò un vecchio soldo, tutto incrostato di pàtina. Esitò un momento, vergognandosi di non aver altro; poi glielo porse, dicendo: Più bella della luna, Soldo della fortuna! Più bella assai del sole Soldo che vale un cuore! - Grazie, Reuccio! Ora è rotto l'incanto. E la bellissima donna, più bella della luna e del sole, baciò il vecchio soldo e se lo nascose in seno. Si ripresentarono le tre giovani donne. - Reuccio, ho ripulito! - Reuccio, ho cucinato! - Reuccio, ho sprimacciato! Il Reuccio era così sbalordito di quel che avea visto e vedeva, da più non distinguere se era sveglio o se sognava. Non ricevendo nessun ordine le tre giovani donne sparirono. Ed egli intanto stava ad ascoltare quel che confusamente gli arrivava all'orecchio. Era la storia d'una Fata, che si era finta vecchia e povera e avea chiesto l'elemosina a una Reginotta ancora bambina. La Reginotta, per scherzo, le avea dato un vecchio soldo tutto incrostato di pàtina, e la Fata le aveva buttato addosso il malefizio di stentare settant'anni la vita, chiedendo l'elemosina, fino a che non fosse andato a trovarla un Reuccio e non le avesse regalato un vecchio soldo uguale a quello. Non doveva mai prendere in elemosina un soldo; altrimenti - non si lusingasse! - era finita per lei. E per ciò ella avea sempre rifiutato: - Questo no, grazie! Non posso accettarlo. - Perché? Non è mica falso. - Perché! E si allontanava, senza aggiunger altro, quasi quel soldo le mettesse paura. Il malefizio si era rotto; ma per impedire che ricominciasse, bisognava che tutti e due andassero, a piedi, fino alla grotta della fata Cattiva, facessero un profondo buco davanti la grotta e vi seppellissero quel misero vecchio soldo, senza che nessuno se ne accorgesse, né uomo, né animale della terra, né uccello dell'aria. Così aveva suggerito la buona Fata, sua madrina, che aveva potuto aiutarla in questi ultimi anni. - Andiamo, dunque? Non bisogna perder tempo. - Andiamo! - rispose il Reuccio ancora sbalordito. E si trovò di nuovo nel tugurio, vestito da contadino, come vi era entrato, e avea davanti la vecchia curva, coi soliti cenci, e che si reggeva col bastone. Le vicine li videro uscire di buon mattino. - Buon giorno, comare! Buon giorno, comparetto! Ne avevano paura, e volevano ingraziarseli. La vecchia e il Reuccio presero la strada dei campi. Cammina, cammina, si trovarono in mezzo a un bosco, dove non era traccia di sentìero. - Buona Fata mia madrina, apriteci un sentìero voi E i rami delle piante e gli arbusti si ritraevano, si slacciavano davanti ai passi della vecchia e del Reuccio. Più in là, ecco tanti massi, grossi e piccoli, ammonticchiati da impedire il cammino. - Buona Fata mia madrina, apriteci una strada voi! E i massi, grossi e piccoli, si muovevano, si ammucchiavano ai lati, lasciando passare liberamente la vecchia e il Reuccio. - La grotta! La grotta! S'inginocchiarono davanti alla bocca di essa, chiusa ermeticamente con un macigno, e cominciarono a scavare. Si accostò un uomo: - Che fate? - Niente: ci divertiamo a smuovere un po' di terriccio. - Bel divertimento! Da grulli! E, dopo di esser rimasto un pochino a guardare, andò via. Poco dopo, comparve una capra che belava quasi cercasse il figlio smarrito. Più il Reuccio la cacciava via, e più essa tornava addietro a belare e a guardare. Finalmente se n'era andata! Ma appena il Reuccio avea ripreso a scavare, ecco una grand'aquila, che cominciò a roteare sopra di loro, squittendo, e pareva li minacciasse. - Aquila forte, - le gridò la vecchia - più in là c'è una capra per te; non lasciartela sfuggire. Sembrò che l'aquila avesse capito. Si allontanò a volo spiegato, e la vecchia e il Reuccio ripresero a scavare celermente. La buca era fonda; il braccio del Reuccio non poteva arrivare più giù. La vecchia trasse dal petto il vecchio soldo e ve lo buttò dentro. Il Reuccio la riempì col terriccio cavatone, che la vecchia calcò con le mani e con la punta del bastone. Il Reuccio, all'ultimo, vi sovrappose una zolla coperta di erbacce; nessuno avrebbe potuto indovinare che fosse stato scavato là sotto.Si affrettarono a ritornare. Le vicine li attendevano, affacciate alle finestre, davanti alle porte delle case e delle botteghe; e, come li videro: - Buon giorno, comare! Buon giorno, comparetto! Ne avevano paura e volevano ingraziarseli. Figuratevi, poi, la loro gran maraviglia, quando preceduti dalle guardie di palazzo, accompagnati dai Ministri e dalle dame di Corte, arrivarono il Re e la Regina in grandi carrozze di gala, e si fermarono davanti a la porta del tugurio della vecchia! Chi li aveva avvertiti? Non si è potuto mai sapere ... Ormai, importa soltanto di sapere che il Reuccio e la non più vecchia ma bellissima Reginotta divennero sposi, vissero felici e contenti ... E noi tiriamo la vita coi denti!

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