Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbagliante

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Vizio di forma

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Levi, Primo 3 occorrenze

Era una villa, o forse una minuscola fortezza, di un bianco abbagliante, immersa nel folto di un bosco secolare: i muri esterni non avevano finestre, e terminavano in alto con un contorno frastagliato che poteva essere una merlatura. _ Vista dall' esterno dice poco, ma dovrebbe vedere dentro. Io ci sono stato per certi lavoretti (gliel' ho detto che qui gli idraulici sono scarsi: così io m' arrangio), e gliene potrei raccontare delle belle. Sa che erano seicento anni che la Direzione cercava di accontentare la proprietaria senza riuscirci? Soltanto adesso, con la tecnica moderna .... _ Scusi, _ interruppe Antonio un po' seccato, _ ma se mi dicesse chi è, la proprietaria, non crede che gusterei di più il suo discorso? _ Oh, mi pareva proprio di averglielo detto. È Beatrice, che diamine. L' angelica, mostruosa Beatrice, che vuole tutti al suo servizio, non esce mai, non parla con nessuno, non mangia che ambrosia e nettare surgelati, e che, con le protezioni di cui gode, non c' è speranza di togliercela di torno, né ora né in un prevedibile futuro. Le stavo appunto dicendo che solo adesso, con l' avvento delle materie plastiche e dell' elettronica, i gestori sono riusciti a soddisfare qualcuna delle sue fisime. Vedesse dentro: è un concentrato della Fiera di Milano, a meno del fracasso, naturalmente. Lei cammina solo su poliuretano espanso, spesso un metro, come un saltatore con l' asta: scalza, beninteso, e avvolta in veli di nylon. Niente luce diurna: solo tubi a catodo freddo, rosa viola e celesti; un' orgia di falsi cieli di metacrilato, false stelle fisse di hastelloy, falsa musica delle sfere fatta sull' organo elettronico, false visioni TV in circuito chiuso, false estasi farmacologiche, e un Primo Mobile di pyrex che è costato tre milioni al metro quadrato. È insopportabile, insomma: ma quando uno è personaggio di Dante, qui è tabù. A mio parere, è una situazione tipicamente mafiosa: perché Paolo e Francesca devono continuare a fare all' amore indisturbati (e mica solo nel turbine, mi creda), mentre i Poveri Amanti hanno un mucchio di difficoltà coi guardaparco? Perché Cacciaguida nello chalet in cima alla collina, e Somacal, che già ne ha viste tante, giù nella baracca che non prende mai il sole? A furia di parlare, James aveva perso il fiato, e insieme la strada. _ Bisognerà domandare a qualcuno. _ Lei conosce tutti, qui? _ Quasi tutti ci conosciamo fra noi: in fondo, non siamo poi tanti. Bussò alla porta di una capanna di legno: dal camino usciva fumo, e dalle pareti un canto marziale fortemente ritmato, ma si ritrasse poco dopo. _ Sono gentili, ma non si muovono mai di casa, e non hanno saputo darmi indicazioni: sono anche un po' timidi. Chi sono? I tedescotti di "Niente di nuovo a occidente": Tjaden, Kat, Leer e tutti gli altri; anche Paul Bäumer, naturalmente. Vado spesso a trovarli: che bravi ragazzi! Hanno avuto fortuna a venire qui da giovani, se no, chissà quanti di loro avrebbero dovuto riprendere le armi vent' anni dopo, e rimetterci la pelle o l' anima. Fortunatamente, incontrarono poco dopo Babalaci, che sapeva tutto: dov' era lo chalet di Franc6ois, che c' era in effetti un letto libero, da quanto tempo era libero, il perché e il percome, tutti quelli con cui Franc6ois aveva fatto questione di recente, e tutte le donne che aveva ricevuto. Da quelle parti il cielo era color del piombo, tirava un vento umido e rabbioso che ululava come un lupo attorno alle cantonate, ed anzi, quando lo chalet fu in vista, incominciò addirittura a nevicare: neve sporca, grigia di fuliggine, che scendeva di traverso, entrava negli occhi e toglieva il respiro. Antonio non vedeva l' ora di trovarsi al riparo, ma James gli disse che era meglio se lo aspettava fuori, un po' discosto: Franc6ois era un tipo lunatico, e lui preferiva bussare alla porta da solo, che non si vedessero facce nuove. Antonio si riparò alla meglio: c' era lì accanto un cumulo di botti sfasciate, entrò in un tino, e aspettò accovacciato che James tornasse. Lo vide bussare, aspettare due buoni minuti, bussare nuovamente: le tendine erano chiuse, ma dal comignolo usciva fumo abbondante, e quindi qualcuno in casa ci doveva pur essere. James bussò una terza volta, e finalmente la porta fu aperta. James sparì all' interno, e Antonio si accorse di essere molto stanco, e cominciò a domandarsi se sarebbe stato possibile fare un bagno caldo: in riva al Congo aveva sudato parecchio, la polvere gli si era appiccicata sotto gli abiti, e adesso il sudore gli si stava raffreddando addosso in modo sgradevole. Ma non ebbe molto da attendere: la porta si spalancò come se in casa un cannone avesse sparato, e subito dopo il dignitoso e composto James fu proiettato fuori come un bolide, e venne ad approdare fra le doghe, poco lontano dal provvisorio domicilio di Antonio. Si rialzò e si rassettò rapidamente: _ Non ... non gradisce di essere disturbato. Poi sono capitato in un brutto momento, stava con alcuni amici da prendere con le molle: c' era anche Marion l' Ydolle, la Grosse Margot, Jehanne de Bretaigne e due o tre altre ragazze; una mi è parsa la Pulzella d' Orléans. Senta, per l' avvenire vedremo, ma per stanotte venga a dormire con me: non c' è molto spazio, ma le cedo volentieri il lettino, e per me un materasso in terra va benissimo. Antonio si ambientò nel Parco con sorprendente facilità. Entro poche settimane, già aveva stretto amicizia coi suoi vicini, tutta gente cordiale, o per lo meno varia ed interessante: Kim col suo Lama, Ifigenia in Aulide, Ettore Fieramosca, Tommasino Puzzilli che si era fidanzato con Moll Flanders, il giovane Holden, il commissario Ingravallo, Aljosa con La Pia, il sergente Grisa con Lilian Aldwinkle, Bel Ami, Alberto da Giussano che stava con la Vergine Cammilla, il professor Unrat con l' Angelo Azzurro, Leopold Bloom, Mordo Nahum, Justine con Dracula, sant' Agostino con la Suora Giovane, i due cani Flush e Buck, Baldus che non passava per le porte, Benito Cereno, Lesbia accasata con Paolo il Caldo, Tristram Shandy che pure aveva solo due anni e mezzo, Teresa Raquin e Barbablù. Alla fine del mese arrivò Portnoy, lamentoso e crasso: nessuno lo poteva sopportare, ma nel giro di pochi giorni prese domicilio nella casa di Semiramide, e subito corse voce che le cose fra loro andavano a gonfie vele. Antonio si era accasato con Orazio, e ci si trovava bene: questi aveva abitudini ed orari diversi dai suoi, ma era pulito, discreto e ordinato, e lo aveva accolto con gioia; inoltre, aveva una quantità di storie curiose da raccontare, e le raccontava con un brio da incantare. A sua volta, poi, Orazio pareva non fosse mai sazio di ascoltare Antonio: gli interessava tutto, ed era al corrente anche dei fatti più recenti. Era un ottimo ascoltatore: interrompeva di rado, e solo con domande intelligenti. Tre anni circa dopo il suo ingresso, Antonio notò un fatto sorprendente. Quando casualmente levava le mani contro il sole, o anche contro una lampada forte, la luce le attraversava come se fossero di cera; poco dopo, osservò che si svegliava più presto dell' usato al mattino, e si accorse che ciò avveniva perché anche le palpebre erano più trasparenti; anzi, entro pochi giorni divennero trasparenti in misura tale che Antonio distingueva i contorni degli oggetti anche ad occhi chiusi. Lì per lì non diede peso alla cosa, ma verso la fine di maggio notò che l' intera scatola cranica gli si stava facendo diafana. Era una sensazione bizzarra ed inquietante: come se il suo campo visivo si stesse allargando, non solo lateralmente, ma anche in alto, in basso e all' indietro. Percepiva ormai la luce da qualunque direzione provenisse, e presto fu in grado di distinguere ciò che avveniva alle sue spalle. Quando, a metà giugno, si accorse che vedeva la sedia su cui era seduto, e l' erba sotto i suoi piedi, Antonio comprese che il suo tempo era giunto, la sua memoria estinta e la sua testimonianza compiuta. Provava tristezza, ma non spavento né angoscia. Si congedò da James e dai nuovi amici, e sedette sotto una quercia ad attendere che la sua carne e il suo spirito si risolvessero in luce e in vento.

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In cielo non c' era una nuvola, ma ristagnava una foschia abbagliante: non c' era vento (non c' era mai vento), e l' aria era umida e calda come in un forno da pane. Proseguirono per il sentiero, superarono il costone che delimitava la valle, e videro il mare, velato di bruma, lucido fermo e lontano. Era un mare senza pesci, buono solo per il sale: la salina era abbandonata ormai da dieci anni, ma sale se ne poteva ancora cavare, benché misto a sabbia. Sinda c' era stato una volta, con suo padre, molti anni prima; poi suo padre era partito a caccia e non era più ritornato. Il sale, adesso, lo portavano qualche volta i mercanti, ma poiché nel villaggio non c' era nulla con cui scambiarlo, venivano sempre più di rado. Sinda vide nel mare qualcosa che non aveva mai visto. Vide dapprima, proprio sulla linea dell' orizzonte, una piccola gobba luminosa, rotonda e bianca; come una minuscola luna, ma non poteva essere la luna: quella vera, quasi piena e coi margini netti, l' aveva vista tramontare solo un' ora prima. La mostrò a Diuka, ma senza molto interesse: nel mare ci sono tante cose, che entrambi avevano sentite descrivere attorno al fuoco; navi, balene, mostri, piante che crescono dal fondo, pesci feroci, anche anime di morti annegati. Cose che vengono e vanno e non ci riguardano, perché il mare è vanità e apparenza maligna: è un' immensa radura che sembra porti dappertutto e non porta in nessun luogo; sembra liscio e solido come una corazza d' acciaio, e invece non regge il piede, e se ti ci avventuri affondi. È acqua e non la puoi bere. Proseguirono il cammino: ormai la salita era finita, e il pascolo era in vista, poco più alto di loro, a un' ora di cammino. I due ragazzi e le capre avanzavano per un tratturo ben battuto, in mezzo a una nuvola di polvere gialla, di tafani e di odore ammoniacale. A intervalli, Sinda osservava il mare, alla sua sinistra, e si accorse che quella cosa stava cambiando aspetto. Adesso era tutta fuori dell' orizzonte, era più vicina, e sembrava uno di quei funghi globosi che si incontrano ai margini dei sentieri, e a toccarli si squarciano e soffiano un fiato di polvere bruna; ma in realtà doveva essere molto grossa, e a guardarla bene si vedeva che i suoi contorni erano sfumati come quelli delle nuvole. Pareva anzi che ribollisse, che cambiasse continuamente forma, come la schiuma del latte quando sta per traboccare; e diventava sempre più grossa e più vicina. Poco prima che raggiungessero il pascolo, e quando già le capre si sbandavano per brucare certi cardi fioriti, Sinda si rese conto che la cosa viaggiava diretta verso di loro. Allora gli vennero in mente certi racconti che aveva sentiti dai vecchi, e creduti solo a mezzo come si credono le favole: raccomandò le capre a Diuka, le promise che, lui o altri, sarebbero venuti prima di sera a riprenderle, e si avviò di corsa verso il villaggio. Dal villaggio, infatti, il mare non si vedeva: ne era separato da una catena di balze scoscese, e Sinda correva perché sperava-temeva che la cosa fosse la Nutrice, che viene ogni cento anni e porta la sazietà e la strage; voleva dirlo a tutti, che si preparassero, e voleva anche essere stato il primo a portare l' annuncio. C' era una scorciatoia, nota a lui solo, ma non la prese perché gli avrebbe tolto la vista del mare troppo presto. Poco prima che Sinda raggiungesse il costone, la cosa appariva enorme, da togliere il respiro: la cima era alta fino al cielo, e dalla cima pioveva acqua a torrenti verso la base, e altra acqua si avventava verso la cima. Si sentiva come un tuono continuo, un rombo-fischio-scroscio da gelare il sangue nelle vene. Sinda si arrestò un attimo, e provò il bisogno di gettarsi a terra e adorare; ma si fece forza, e si precipitò giù per la discesa, sgraffiandosi fra i rovi, inciampando nei sassi, cadendo e rialzandosi. Adesso non si vedeva più niente, ma il rombo si sentiva, e quando Sinda giunse al villaggio tutti lo sentivano, ma non sapevano cos' era, e lui Sinda invece lo sapeva, e stette in mezzo alla piazza ebbro e insanguinato accennando con le braccia che tutti venissero e ascoltassero, perché la Nutrice stava arrivando. Vennero prima pochi, poi tutti. Vennero i molti, troppi bambini, ma non era di loro che c' era bisogno. Vennero le vecchie, e le giovani che parevano vecchie, sulle soglie delle loro capanne. Vennero gli uomini dagli orti e dai campi, col passo lento e slombato di chi non conosce che la zappa e l' aratro; e venne infine anche Daiapi, quello che Sinda più attendeva. Ma Daiapi stesso, che pure era il più vecchio del villaggio, non aveva che cinquant' anni, e perciò non poteva sapere per esperienza propria che cosa si deve fare quando la Nutrice viene. Non aveva che ricordi vaghi, ricavati dai ricordi appena meno vaghi trasmessi a lui da chissà quale altro Daiapi, e poi consolidati, cementati e distorti da innumerevoli ripetizioni accanto al fuoco. La Nutrice, di questo era certo, era già venuta altre volte al villaggio: due volte, o forse anche tre o più, ma delle visite più antiche, se pure ve n' erano state, ogni memoria si era perduta. Ma di certo Daiapi sapeva, e con lui tutti sapevano, che quando viene viene così, all' improvviso, dal mare, in mezzo a un turbine, e non si ferma che pochi istanti, e getta cibo dall' alto, e bisogna essere pronti in qualche modo perché il cibo non vada disperso. Sapeva ancora, o gli pareva di sapere, che essa varca i monti e i mari come un lampo, attratta verso là dove si ha fame. Per questo non si ferma mai: perché il mondo è sconfinato, e la fame è in molti luoghi fra loro lontani, e appena saziata rinasce come i germogli delle male piante. Daiapi aveva poche forze e poca voce, ma anche se avesse avuto la voce del monsone non avrebbe potuto farla sentire per entro il fracasso che veniva dal mare, e che ormai aveva riempito la valle, tanto che ad ognuno pareva di essere sordo. Con l' esempio e coi gesti, fece sì che tutti portassero all' aperto tutti i recipienti di cui disponevano, piccoli e grandi; poi, mentre già il cielo si oscurava, e la pianura era spazzata da un vento mai visto, prese un piccone e una pala e cominciò a scavare febbrilmente, subito imitato da molti. Scavarono con tutte le loro forze, con gli occhi pieni di sudore e gli orecchi pieni di tuono: ma erano riusciti a malapena a scavare sulla piazza una fossa grande come una tomba, quando la Nutrice superò le colline come una nuvola di ferro e di fragore, e rimase librata a picco sopra le loro teste. Era più grande dell' intero villaggio, e lo coprì con la sua ombra. Sei trombe d' acciaio, rivolte verso il basso, vomitavano sei uragani sui quali la macchina si sosteneva, quasi immobile; ma l' aria scaraventata a terra travolgeva la polvere, i sassi, le foglie, gli steccati, i tetti delle capanne, e li disperdeva in alto e lontano. I bambini fuggirono, o furono soffiati via come la pula; gli uomini resistettero, avvinghiati agli alberi ed ai muri. Videro la macchina scendere lentamente; in mezzo ai turbini di polvere giallastra, qualcuno sostenne di aver intravvisto figure umane sporgersi dall' alto a guardare: chi disse due, chi tre. Una donna affermò di aver udito voci, ma non umane: erano metalliche e nasali, e così forti che superavano lo strepito. Quando le sei trombe furono a pochi metri dai culmini delle capanne, dal ventre della macchina uscirono sei tubi bianchi, che rimasero penzoloni nel vuoto: ed ecco, a un tratto dai tubi scaturì in bianchi getti l' alimento, il latte celeste. I due tubi centrali gettavano entro la fossa, ma intanto un diluvio di alimento cadeva a casaccio su tutto il villaggio, ed anche al di fuori, trascinato e polverizzato dal vento delle trombe. Sinda, in mezzo al trambusto, aveva trovato un truogolo, che aveva servito un tempo come abbeveratoio per le bestie: lo trascinò sotto uno dei tubi, ma fu pieno in un attimo, e il liquido traboccò a terra imbrattandogli i piedi. Sinda lo assaggiò: sembrava latte, anzi crema, ma non era. Era denso e insipido, e saziava in un momento: Sinda vide che tutti lo ingoiavano avidamente, raccogliendolo da terra con le mani, con le pale, con foglie di palma. Risuonò dal cielo un rumore, forse un suono di corno, o forse un ordine pronunciato da quella fredda voce meccanica, ed il flusso cessò di colpo. Subito dopo, il rombo e il vento si gonfiarono oltre misura, e Sinda fu soffiato via a rotoloni in mezzo alle pozze vischiose; la macchina si sollevò, dapprima a perpendicolo, poi obliquamente, e in pochi minuti si nascose dietro le montagne. Sinda si rimise in piedi e si guardò intorno: il villaggio non sembrava più il suo villaggio. Non solo la fossa traboccava, ma il latte colava denso per tutti i vicoli in pendio, e grondava dai pochi tetti che avevano resistito. La parte bassa del villaggio era allagata: due donne erano affogate, e così pure molti conigli e cani, e tutti i polli. A galla sul liquido furono trovati centinaia di fogli di carta stampata, tutti uguali: portavano in alto a sinistra un segno rotondo, che forse rappresentava il mondo, e poi seguiva un testo diviso in articoli, e ripetuto in diversi caratteri e in diverse lingue, ma nessuno del villaggio sapeva leggere. Sul rovescio del foglio era una ridicola serie di disegni: un uomo nudo e magro, accanto un bicchiere, ancora accanto l' uomo che beveva il bicchiere, e infine lo stesso uomo, ma non più magro; più sotto, un altro uomo magro, accanto un secchio, poi l' uomo che beveva dal secchio, e infine lo stesso uomo coricato a terra, con gli occhi sbarrati, la bocca spalancata e il ventre esploso. Daiapi comprese subito il significato dei disegni, e convocò gli uomini sulla piazza, ma era troppo tardi: nei due giorni successivi otto uomini e due donne morirono, lividi e gonfi. Fu fatto un inventario, e si vide che, senza contare il latte che era andato perduto o si era mescolato con la terra o col letame, ne rimaneva ancora abbastanza per nutrire l' intero villaggio per un anno. Daiapi dispose che al più presto si cuocessero giare e si cucissero otri di pelle di capra, perché temeva che il latte della fossa si corrompesse a contatto con il terreno. Solo quando fu notte, Sinda, stordito da tutte le cose viste e fatte, e intorpidito dal latte bevuto, si ricordò di Diuka rimasta all' alpeggio con le capre. Partì all' alba dell' indomani, portando con sé una zucca colma di cibo, ma trovò le capre disperse, e quattro ne mancavano, e anche Diuka mancava. La ritrovò poco dopo, ferita e spaventata, ai piedi di un dirupo, insieme con le quattro bestie morte: le aveva soffiate giù il vento della Nutrice, quando aveva sorvolato il pascolo. Qualche giorno dopo, una vecchia, ripulendo il suo cortile dalle croste di latte seccato dal sole, rinvenne un oggetto mai visto prima. Era lucido come l' argento, più duro della selce, lungo un piede, stretto ed appiattito; ad una estremità era arrotondato a formare un disco con un grosso intacco esagonale; l' altra estremità costituiva come un anello, il cui foro, largo due dita, aveva la forma di una stella a dodici punte ottuse. Daiapi ordinò che si costruisse un tabernacolo di pietra sul masso erratico che stava presso il villaggio, e che l' oggetto vi fosse conservato per sempre, a ricordo del giorno della visita della Nutrice.

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Una ragazza in camice bianco pennellò loro sulla fronte un liquido dall' odore pungente, li espose per pochi minuti alla luce azzurra ed abbagliante di una lampada, e stampigliò ad entrambi, verticalmente al di sopra del naso, un giglio stilizzato; poi, sulla fronte di Laura, scrisse in elegante corsivo: "Lilywhite, per lei", e sulla fronte di Enrico, "Lilybrown, per lui". Si sposarono dopo due mesi, che per Enrico furono piuttosto duri. In ufficio, dovette dare un buon numero di spiegazioni, e non trovò nulla di meglio che esporre la pura verità; anzi, la verità quasi pura, perché non fece parola di Laura, e attribuì alla propria fronte tutti i nove milioni: la cifra non la tacque, perché temeva che gli rimproverassero di essersi venduto per poco. Alcuni lo approvarono, altri lo disapprovarono; non gli parve di riscuotere simpatia, e tanto meno gli parve che riscuotesse attenzione il profumo che la sua fronte vantava. Era combattuto da due spinte contrastanti: spiattellare a tutti l' indirizzo dell' agenzia, per non essere solo; o invece tenerlo segreto, per non deprezzarsi. Il suo imbarazzo si attenuò parecchio qualche settimana dopo, quando vide il Molinari, serio e intento come sempre dietro al suo tecnigrafo, che portava scritto in fronte: "Denti sani con Alnovol". Laura aveva, o si faceva, meno problemi. In casa, nessuno aveva trovato nulla a ridire, anzi, sua madre si era affrettata a presentarsi all' agenzia, ma l' avevano rifiutata dicendole apertamente che la sua fronte aveva troppe rughe per essere utilizzabile. Laura aveva poche amiche, non studiava più e non lavorava ancora, così non le era difficile tenersi in disparte. Girava i negozi per via del corredo e dei mobili, e si sentiva guardata, ma nessuno le faceva domande. Decisero di fare il viaggio di nozze in auto, con la tenda, ma evitando i camping organizzati, ed anche dopo che furono tornati si trovarono d' accordo nel presentarsi in pubblico il meno possibile: cosa non molto gravosa per due giovani sposi, per di più indaffarati a mettere su casa. Tuttavia, entro pochi mesi il loro disagio era quasi scomparso: l' agenzia doveva aver fatto un buon lavoro, o forse altre agenzie l' avevano imitata, poiché non era ormai più raro incontrare per strada o sul filobus individui dalla fronte segnata. Per lo più erano giovani o ragazze attraenti, molti erano visibilmente degli immigrati: nella loro scala, un' altra giovane coppia, i Massafra, portava scritto in fronte, in due versioni gemelle, l' invito a frequentare una certa scuola professionale per corrispondenza. Fecero presto amicizia, e presero l' abitudine di andare insieme al cinema, e a cena in trattoria alla domenica sera: un tavolo era riservato per loro quattro, sempre lo stesso, in fondo a destra entrando. Si accorsero in breve che anche un altro tavolo, contiguo al loro, era frequentato abitualmente da gente segnata, e venne loro naturale di attaccare discorso e di scambiarsi confidenze sui rispettivi contratti, sulle esperienze precedenti, sui rapporti col pubblico, e sui piani per l' avvenire. Anche al cinematografo, quando era possibile, prendevano posto nelle poltrone che stavano a destra entrando, perché avevano notato che diversi altri segnati, uomini e donne, usavano sedersi di preferenza in quei posti. Verso novembre, Enrico calcolò che un cittadino su trenta portava qualcosa scritto sulla fronte. Per lo più erano inviti pubblicitari come i loro, ma si incontravano talvolta sollecitazioni o dichiarazioni diverse. Videro in Galleria una giovane elegante che recava scritto in viso "Johnson boia"; in via Larga, un ragazzo dal naso rincagnato come i pugili che recava "Ordine : Civiltà"; fermo ad un semaforo, al volante di una Minimorris, un trentenne con le basette che recava "Scheda bianca!"; sul filobus numero 20 due graziose gemelle, appena adolescenti, che portavano scritto in fronte, rispettivamente, "Viva il Milan" e "Forza Zilioli". All' uscita di un liceo, un' intera classe di ragazzi recava scritto "Sullo go home"; incontrarono una sera, in mezzo alla nebbia, un personaggio indefinibile, vestito con vistosa pacchianeria, che sembrava ubriaco o drogato, e sotto la luce di un lampione rivelò la scritta "INTERNO AFFANNO". Era poi diventato comunissimo trovare per strada bambini che portavano in fronte, scarabocchiati con una penna a sfera, viva e abbassi, ingiurie e parole sporche. Enrico e Laura si sentivano dunque meno soli, ed anzi, incominciavano a provare fierezza, perché si sentivano in certa misura dei pionieri e dei capostipiti: erano anche venuti a sapere che le offerte delle agenzie erano addirittura precipitate. Nell' ambiente dei vecchi segnati correva voce che, per una scritta normale, su di una sola riga e per tre anni, ormai non si offrissero più di 300000 lire, e il doppio per un testo fino a trenta parole con un marchio d' impresa. A febbraio ricevettero in omaggio il primo numero della "Gazzetta dei Frontali". Non si capiva bene chi la pubblicasse: per i tre quarti, naturalmente, era zeppa di pubblicità, e anche il quarto residuo era sospetto. Un ristorante, un campeggio e vari negozi offrivano ai Frontali modesti sconti sui prezzi; si rivelava l' esistenza di un club, in una viuzza di periferia; si invitavano i Frontali a frequentare la loro cappella, dedicata a san Sebastiano. Enrico e Laura ci andarono una domenica mattina, per curiosità: dietro l' altare era un grande crocifisso di plastica, e il Cristo portava scritto JNRI sulla fronte anziché sul cartiglio. Press' a poco allo scadere del terzo anno del contratto, Laura si accorse di aspettare un bambino, e ne fu lieta, benché, con i recenti aumenti del costo della vita, la loro situazione finanziaria non fosse brillante. Andarono dal Rovati a proporre un rinnovo, ma lo trovarono assai meno gioviale di un tempo: offerse loro una cifra irrisoria per un testo lungo ed ambiguo in cui si vantavano certe filmine danesi. Rifiutarono, di comune accordo, e scesero al centro grafico per la cancellatura; tuttavia, a dispetto delle assicurazioni della ragazza in camice bianco, la fronte di Laura rimase ruvida e granulosa come per una scottatura, e poi, guardando bene, il giglio stilizzato si distingueva ancora, come le scritte del Fascio sui muri di campagna. Il bambino nacque a termine, regolarmente: era robusto e bello, ma, inesplicabilmente, portava scritto sulla fronte "OMOGENEIZZATI CAVICCHIOLI". Lo portarono all' agenzia, ed il Rovati, fatte le opportune ricerche, dichiarò loro che quella ragione sociale non esisteva in alcun annuario, ed era sconosciuta alla Camera di Commercio: perciò non poteva offrire loro proprio niente, neppure a titolo di indennizzo. Gli fece ugualmente un buono per il centro grafico, affinché la fronte del piccolo fosse cancellata gratuitamente.

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