Una materia che cola e si sfalda, sul punto di uscire dal mondo della plastica per entrare in quello della pittura, sembra raggiunta e dominata da tagli, scavi, compressioni, schiacciamenti, come un antro cui pervenga all’improvviso una serie di voci, che venga frugato da fasci luminosi; ed ecco allora la vecchiezza e la fragilità di quelle forme slombate assumere una vitalità impreveduta, per quelle campiture di seguito e dentro le superfici grame e sfatte, per quella fusione tra cieca e abbagliante della cera con l’acciaio, per quell’attitudine misteriosa e quasi panica, di riflettere come in uno specchio la immagine plastica di un sentimento. Lo scultore non è nato adulto, ovviamente; già nella sua recente mostra personale alla Galleria «Odyssia» (dove alcuni «martiri» alludevano a una sorta di forma crocifissa, solidificazioni palpitanti di un dolore non elegiaco e non recitato) Somaini metteva in luce la sua partenza plastica e «purista», la sua carriera di scultore.
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