Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbagliamento

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Se non ora quando

680477
Levi, Primo 1 occorrenze

Quando si fu ripreso dall' abbagliamento, nel chiarore della neve distinse tre figure umane: erano tre uomini in tuta bianca, montati su sci, armati. Uno di loro reggeva un mitra sulla cui canna era legata una torcia elettrica: in quel momento, canna e torcia erano rivolte verso la neve. I tre mormoravano fra loro, ma dall' interno dell' isba non si percepiva alcun suono. Poi il fascio di luce penetrò nuovamente attraverso la finestrella, si udì un colpo di pistola, e una voce gridò in russo: _ Siete sotto tiro. Non vi muovete; tenete le mani sul capo. Uno di voi esca con le mani alzate e senz' armi _. Poi, la stessa voce ripeté l' avviso in cattivo tedesco. Dov si mosse per avviarsi alla porta, ma Pavel lo prevenne: prima che Dov si fosse messo in piedi, aveva già aperto l' uscio ed era fuori con le mani alzate. _ Chi siete? Da dove venite e dove andate? _ Siamo soldati, partigiani ed ebrei. Non siamo di questa zona, veniamo da Novoselki. _ Ti ho chiesto anche dove andate. Pavel esitò; Mendel uscì con le mani levate e si mise al suo fianco. _ Compagno, eravamo cinquanta e siamo vivi in dieci. Abbiamo combattuto e il nostro campo è stato distrutto. Siamo dispersi e stanchi, ma validi; cerchiamo un gruppo che ci accolga. Vogliamo continuare la nostra guerra, che è anche la vostra. L' uomo vestito di bianco rispose: _ Se siete validi lo vedremo poi. Bocche inutili non ne possiamo accettare; da noi mangia solo chi combatte. Qui è zona nostra, e voi avete avuto fortuna: abbiamo visto le vostre donne sopra la stufa, e allora non abbiamo sparato. Di solito non facciamo così. A sparare a vista non si sbaglia quasi mai _. L' uomo rise breve, e aggiunse: _ Quasi! A Mendel si allargò il cuore. Albeggiava. Due degli uomini si tolsero gli sci ed entrarono nell' isba; il terzo, quello che aveva parlato, rimase fuori con l' arma puntata. Era alto, molto giovane, e portava una corta barba nera; a tutti e tre, gli abiti imbottiti sotto la tuta mimetica conferivano l' apparenza di una pinguedine che si accordava male con la sveltezza dei loro movimenti. I due, con le pistole in pugno, ordinarono che nessuno si muovesse, e con gesti rapidi ed esperti perquisirono tutti; anche le due donne, rivolgendo loro qualche frase scherzosa di scusa. Chiesero a ciascuno il nome e la provenienza, accumularono in un angolo le armi e le munizioni che avevano trovate, poi uscirono nuovamente e fecero al loro capo un breve rapporto che dall' interno riuscì incomprensibile. Il giovane barbuto abbassò l' arma, si liberò degli sci, entrò e sedette a terra famigliarmente. _ Per noi, non siete pericolosi. Mi chiamo Piotr. Chi è il vostro capo? Dov disse: _ Tu lo vedi, noi non siamo una banda organica. Siamo i sopravvissuti di un campo di famiglie; fra noi c' erano anziani, bambini e gente di passaggio. Io ero il loro anziano, o il loro capo, se mi vuoi chiamare così. Ho combattuto con Manuìl "freccia" e con lo Zio Vanka, e sono stato ferito a Bobruisk nel febbraio scorso. Ero in aviazione. Con lo Zio Vanka c' era anche Gedale, eravamo amici. Conoscete Gedale? Piotr cavò di tasca una corta pipa e l' accese. _ Per noi non siete pericolosi, ma potreste diventarlo. Tu hai i capelli bianchi, capo; sei stato partigiano; non lo sai che ai partigiani non si fanno domande? Dov tacque, umiliato: sì, in tempo di guerra si invecchia presto. Se ne rimase a capo chino, guardandosi le grosse mani che pendevano inerti dai polsi, e massaggiandosi ogni tanto il ginocchio. Piotr riprese: _ ... vedremo di non abbandonarvi, combattenti o non combattenti. Almeno per qualche tempo: cosa può accadere dopo, non lo sappiamo noi, né i nostri capi, né nessuno. Il nostro tempo corre come corrono le lepri, veloce e a zig-zag. Chi fa un piano per il giorno dopo, e poi lo realizza, è bravo; chi fa piani per la settimana dopo è matto. O è una spia dei tedeschi. Fumò tranquillo ancora per qualche minuto, poi disse: _ Il nostro campo non è lontano, ci potremo arrivare prima di domani sera. Tenete le vostre armi, ma scariche: le munizioni, abbiate pazienza, le teniamo noi. Per adesso. Poi, quando ci conosceremo meglio, vedremo. Si misero in marcia, i tre sciatori in testa e gli altri dietro. La neve era profonda e farinosa, e il peso dei tre non era sufficiente per consolidare il fondo; i dieci appiedati avanzavano con fatica, sprofondando a ogni passo e rallentando la marcia. Il più lento era Dov; non si lamentava, ma era visibilmente in difficoltà. Piotr gli cedette i suoi bastoncini, che tuttavia non gli furono di grande aiuto: ansimava, era pallido ed imperlato di sudore, e doveva fermarsi spesso. Piotr, che apriva la fila, si voltava a tratti a guardare ed era inquieto: il terreno era aperto, senza alberi né ripari; alle paludi gelate si alternavano lievi ondulazioni brulle, e dall' alto di queste, volgendosi indietro, si vedeva la loro traccia, profonda come un crepaccio e diritta come un meridiano. Al termine della traccia c' erano loro, tredici formiche: se fosse arrivato un ricognitore tedesco non ci sarebbe stato scampo. Era fortuna che il cielo rimanesse coperto, ma non lo sarebbe rimasto a lungo. Piotr annusava l' aria come un segugio: tirava un leggero vento dal nord; a lungo andare avrebbe sollevato la neve e cancellato la traccia, ma il cielo si sarebbe rasserenato prima. Aveva fretta di raggiungere il campo. Uscì di pista e si lasciò sorpassare. Quando si trovò affiancato a Dov, gli disse: _ Sei stanco, zio: sia detto senza offesa. Vieni qui, monta sulle mie code e tieniti abbracciato a me; farai meno fatica _. Dov obbedì senza parlare, e la coppia riprese la posizione di testa. Fu un vantaggio per tutti: sotto il doppio peso la neve si costipava meglio, e gli appiedati non sprofondavano quasi più. Line, la più leggera di tutti, portava un paio di scarponi militari fuori misura, e galleggiava sulla neve come se avesse calzato le racchette; Leonid non si staccava da lei di un palmo. Camminarono fino a notte, pernottarono in un bivacco noto a Piotr e ripresero la marcia il mattino dopo. Arrivarono in vista del campo più presto del previsto, a metà pomeriggio, sotto un sole vivido, innaturalmente caldo. "In vista", beninteso, solo per chi sapesse dove e come il campo era situato. Piotr mostrò loro, a sud-ovest, un vasto settore di foresta che, come un orizzonte tracciato con un pennello sottile, separava il bianco della neve dall' azzurro del cielo invernale. Lì, da qualche parte in mezzo agli alberi, stava il campo della banda di Ulybin; ci sarebbero arrivati a notte, ma non in linea retta. Era un' esperienza che avevano pagata a caro prezzo: mai lasciare piste troppo leggibili con tempo chiaro e senza vento. Bisognava fare qualche deviazione; avrebbero ripreso la direzione giusta al riparo degli alberi. Agli ex-cittadini delle paludi sembrava di sognare. Novoselki era stata una salvezza precaria e una intelligente improvvisazione: il campo in cui entravano era opera professionale, consolidata dall' esperienza di tre anni. Mendel e Leonid poterono confrontare la solidità organizzativa della banda di Ulybin con le iniziative baldanzose e velleitarie della banda vagante di Venjamìn. Trovarono nel folto del bosco, appena visibile ad un occhio disattento, un gruppo di tre baracche di legno, quasi totalmente interrate, disposte lungo i lati di un triangolo equilatero. Al centro del triangolo, altrettanto poco visibili, erano la cucina e il pozzo. Il camino che disperdeva il fumo nell' intrico dei rami non era stata un' invenzione di Novoselki: altrettanto era stato qui, quando i tempi sono maturi certi ritrovati germogliano in vari luoghi, e ci sono circostanze in cui i problemi non hanno che una sola soluzione. A Novoselki Dov aveva scherzato sulla professione di Leonid: a lui non occorreva un contabile. A Turov ne trovarono uno, o per meglio dire un furiere nel pieno esercizio delle sue funzioni. Era allo stesso tempo rappresentante dell' NKVD e commissario politico, e si occupò di loro con efficienza sbrigativa. Nome, patronimico, corpo di appartenenza per i militari, età, professione, registrazione dei documenti (ma pochi fra loro avevano documenti); poi a letto, il resto all' indomani mattina. A letto, sì: all' interno di ogni baracca c' era una stufa e un tavolo coperto di paglia pulita, e l' aria era asciutta e calda, benché il pavimento fosse a quasi due metri sotto il livello del suolo. Mendel si addormentò in una girandola di impressioni confuse: si sentiva esausto, dislocato e insieme protetto, meno padre e più figlio, più sicuro e meno libero, a casa e in caserma; ma venne subito il sonno, come una caritatevole mazzata sul capo. Il mattino dopo, il campo offrì ai rifugiati nulla meno che un bagno caldo, decorosamente separato per le donne e per gli uomini, in una tinozza collocata nel locale delle cucine. Seguì la spidocchiatura, o meglio un invito ad un autocontrollo coscienzioso, e la distribuzione di biancheria, ruvida e non nuova ma pulita. Infine, una portentosa kasa sostanziosa e calda, consumata in comune con veri cucchiai in veri piatti d' alluminio, e seguita da un tè abbondante e dolce. Si annunciava una giornata tranquilla, con un' aria singolarmente mite per quella stagione: nelle zone esposte al sole la neve accennava a sciogliersi, il che destò una certa inquietudine. _ Per noi va bene il gelo, disse a Mendel Piotr, che faceva gli onori di casa; _ col disgelo, se non si sta attenti, ci troviamo le baracche inondate e anneghiamo nel fango _. Illustrò loro con fierezza l' impianto elettrico. Un meccanico di talento aveva adattato la coppia conica di un vecchio mulino alla scatola del cambio di un autocarro tedesco: un cavallo bendato girava lentamente in tondo ed attraverso il sistema di ingranaggi azionava una dinamo che caricava un gruppo di batterie. Dalle batterie, quando tutto andava bene, veniva la luce elettrica e l' energia per la ricetrasmittente. _ Al posto del cavallo, in autunno abbiamo messo quattro prigionieri ungheresi, per sette giorni. _ E poi li avete uccisi? _ chiese Mendel. _ Noi uccidiamo solo i tedeschi, e neanche sempre. Non siamo come loro; uccidere non ci piace. Bendati come erano, li abbiamo portati di là dal fiume e abbiamo lasciato che andassero dove volevano. Avevano un po' di capogiro. Piotr li ammonì di non tentare di uscire dal campo, anzi, di non allontanarsi dalle baracche per più di una trentina di metri. _ Tutto intorno, il bosco è minato. Ci sono mine sepolte sotto tre dita di terra, e ci sono mine a coppia, collegate con uno spago teso sotto la neve. Abbiamo fatto un buon lavoro: piano piano, notte per notte, abbiamo sminato tutto un campo tedesco, abbiamo recuperato le mine e le abbiamo piazzate qui. Non abbiamo perso neanche un uomo, e dopo di allora i tedeschi ci hanno lasciati in pace. Ma noi non lasciamo tanto in pace loro. Piotr si mostrava attirato e incuriosito dal gruppo dei dieci che aveva trovati nell' isba e rischiato di uccidere; era particolarmente amichevole con Mendel. Gli fece vedere un lavoretto, un' idea che aveva concepita e realizzata Michaìl, il radiotelegrafista, senza l' aiuto di nessuno. In un angolo della sua baracca c' era una vetusta macchina tipografica a pedale, con un piccolo corredo di caratteri cirillici e latini. Michaìl non era tipografo, ma si era arrangiato. Aveva composto un manifesto di propaganda bilingue, su due pagine affiancate, in tutto simile a quelli di cui i tedeschi avevano inondato tutte le città e i villaggi della Russia occupata. Il testo tedesco era copiato dai manifesti tedeschi originali: prometteva il ripristino della proprietà privata e la riapertura delle chiese, invitava i giovani ad arruolarsi nell' Organizzazione del Lavoro e minacciava gravi pene contro i partigiani e i sabotatori. Il testo russo che gli stava a fronte non era la traduzione del testo tedesco, anzi, lo capovolgeva. Diceva: Giovani Sovietici! Non credete ai tedeschi, che hanno invaso la nostra patria e massacrano le nostre popolazioni. Non lavorate per loro; se andrete in Germania patirete la fame e la frusta, e vi segneranno come le bestie; quando tornerete (se tornerete!) dovrete fare i conti con la giustizia socialista. Non un uomo, non un chilo di grano, non una informazione ai boia hitleriani! Venite con noi, arruolatevi nell' Armata Partigiana! In entrambe le versioni c' erano diversi errori di ortografia, ma non erano colpa del radiotelegrafista: nella cassetta le a e le e erano scarse, e allora lui aveva messo giù i caratteri che gli erano sembrati più adatti. Ne aveva tirate diverse centinaia di copie, che erano state distribuite e affisse fino a Baranovici, a Rovno e a Minsk. C' erano parecchie armi leggere da riparare e lubrificare: a Turov Mendel trovò subito il suo lavoro. Nelle ore in cui era libero da incombenze, Piotr non si staccava da lui. _ Siete ebrei tutti e dieci? _ No, solo sei: io, le due donne, il giovane che sta sempre con la ragazza piccola, quello anziano che tu hai portato sulle code, e Pavel Jurevic, il più robusto di tutti. Gli altri quattro sono degli sbandati che ci hanno raggiunti poco prima che i tedeschi distruggessero il nostro campo. _ Perché i tedeschi vi vogliono uccidere tutti? _ È difficile da spiegare, _ rispose Mendel. _ Bisognerebbe capire i tedeschi, e io non ci sono mai riuscito. I tedeschi pensano che un ebreo valga meno di un russo e un russo meno di un inglese, e che un tedesco valga più di tutti; pensano anche che quando un uomo vale più di un altro uomo, ha il diritto di farne quello che vuole, anche di farlo schiavo o di ucciderlo. Forse non tutti sono convinti, ma sono queste le cose che gli insegnano a scuola, e sono queste le cose che dice la loro propaganda. _ Io credo che un russo valga più di un cinese, _ disse Piotr meditabondo, _ ma se la Cina non facesse un torto alla Russia, non mi verrebbe in mente di uccidere tutti i cinesi. Mendel disse: _ Io, invece, credo che non abbia molto senso dire che un uomo vale più di un altro. Un uomo può essere più forte di un altro ma meno sapiente. O più istruito ma meno coraggioso. O più generoso ma anche più stupido. Così, il suo valore dipende da quello che ci si aspetta da lui; uno può essere molto bravo nel suo mestiere, e non valere più niente se lo si mette a fare un altro lavoro. _ È proprio come dici tu, _ disse Piotr illuminandosi tutto. _ Io facevo il tesoriere del Komsomol, ma ero distratto, sbagliavo i conti, e tutti mi ridevano dietro e dicevano che ero un buono a nulla. Poi è venuta la guerra, io sono andato subito volontario, e da allora mi pare di valere di più. È strano: uccidere non mi piace, ma sparare sì, e allora succede che anche uccidere non mi fa più molto effetto. In principio era diverso, avevo ritegno, e avevo anche un' idea stupida. Pensavo che i tedeschi, invece di avere una pelle come la nostra, fossero foderati di acciaio, e che le pallottole rimbalzassero. Adesso non più; di tedeschi ne ho già ammazzati parecchi, e ho visto che sono teneri come noi, se non di più. E tu, ebreo: quanti tedeschi hai ammazzati? _ Non lo so, _ rispose Mendel. _ Io ero in artiglieria; sai, non è come con un fucile, si piazza il pezzo, si punta, si spara e non si vede niente; quando va bene, si vede l' esplosione d' arrivo, a cinque o dieci chilometri. Chi lo sa, quanti ne sono morti per mano mia? Forse mille, forse neanche uno. Ti arrivano gli ordini per telefono o per radio, attraverso la cuffia: tre gradi a sinistra, alzo meno un grado, tu obbedisci e tutto finisce lì. È come per gli aerei da bombardamento, o come quando uno versa l' acido in un formicaio per far morire le formiche: muoiono centomila formiche e tu non senti niente, non te ne accorgi neanche. Ma al mio paese i tedeschi hanno fatto scavare una fossa dagli ebrei, e poi li hanno messi in piedi sull' orlo, e li hanno fucilati tutti, anche i bambini, e anche parecchi cristiani che nascondevano gli ebrei, e fra i fucilati c' era mia moglie. E dopo di allora io penso che uccidere sia brutto, ma che di uccidere i tedeschi non ne possiamo fare a meno. Da lontano o da vicino, alla tua maniera o alla nostra. Perché uccidere è il solo linguaggio che capiscono, il solo ragionamento che li fa convinti. Se io sparo a un tedesco, lui è costretto ad ammettere che io ebreo valgo più di lui: è la sua logica, capisci, non la mia. Loro capiscono solo la forza. Certo, convincere uno che muore non serve a molto, ma a lungo andare anche i suoi camerati qualcosa finiscono col capire. I tedeschi hanno cominciato a capire qualche cosa solo dopo Stalingrado. Ecco, per questo è importante che ci siano partigiani ebrei, ed ebrei nell' Armata Rossa. È importante, ma è anche orribile; solo se io uccido un tedesco riuscirò a persuadere gli altri tedeschi che io sono un uomo. Eppure noi abbiamo una legge, che dice "Non uccidere". _ ... Voi però siete strani. Siete gente strana. Una cosa è sparare e un' altra è fare dei ragionamenti. Se uno ragiona troppo finisce che non spara più diritto, e voi ragionate sempre troppo. Forse è per questo che i tedeschi vi ammazzano. Vedi, io per esempio sono nel Komsomol fino da bambino, darei la vita per Stalin come l' ha data mio padre, credo in Cristo salvatore del mondo come ci crede mia madre, mi piace la vodka, mi piacciono le ragazze, mi piace anche sparare, e vivo bene qui nelle pianure a dare la caccia ai fascisti, e non sto tanto a ragionarci sopra. Se una delle mie idee non va d' accordo con un' altra, non me ne importa un accidente. Mendel stava a sentire con le orecchie e con metà del cervello, mentre con l' altra metà e con le mani stava dirugginando con petrolio le viti e le molle di un fucile automatico che aveva smontato. Colse l' occasione di quel momento di confidenza per rivolgere a Piotr una domanda che stava a cuore a lui e a Dov. _ Che cosa ne è del vostro vicecomandante? Non c' era qui con voi Gedale, Gedale Skidler, un ebreo mezzo russo e mezzo polacco che aveva combattuto a Kossovo? Uno alto, col naso a becco e la bocca larga? Piotr tardò a rispondere: guardava in su e si grattava la barba, come per richiamare a mente ricordi svaniti da anni. Poi disse: _ Sì, sì. Gedale, certo. Ma non è mai stato vicecomandante; solo qualche volta dava degli ordini, quando Ulybin era assente. È in missione, Gedale. Tornerà, sì: fra una settimana, o forse fra due o anche tre. O potrebbe anche darsi che sia stato trasferito: nella partisanka, di sicuro non c' è mai niente. "Questo Piotr è più bravo a correre sugli sci che a dire bugie", disse Mendel fra sé. Poi chiese ridendo: _ Era di quelli che ragionano troppo? _ Non è che ragionasse troppo: questo proprio no, non era lì il suo difetto, ma era strano, anche lui. Te l' ho già detto, veramente voi ebrei siete tutti un po' strani, per un verso o per un altro, non sia detto per biasimo. Questo Gedale sparava bene quasi quanto me, non so chi gli avesse insegnato; però faceva poesie, e si portava sempre dietro un violino. _ Componeva canzoni e le suonava sul violino? _ No, le poesie erano una cosa e il violino un' altra. Lo suonava alla sera; ce l' aveva addosso in agosto, quando i tedeschi hanno fatto il grande rastrellamento attorno a Luninets. Siamo riusciti a filtrare fuori dell' accerchiamento, e un cecchino gli ha sparato: la pallottola ha forato il violino da parte a parte, e così ha perso la sua forza e a lui non ha fatto nulla. Lui ha riparato i fori con resina di pino e cerotti dell' infermeria, e da allora il violino se lo è sempre portato addosso. Diceva che suonava meglio di prima, e gli ha perfino attaccato una medaglia di bronzo che avevamo trovato su un ungherese morto. Vedi che era proprio un tipo strano. _ Se fossimo tutti uguali, il mondo sarebbe noioso. Noi abbiamo una benedizione speciale, da rivolgere a Dio quando si vede una persona diversa dalle altre: un nano, un gigante, un negro, un uomo coperto di verruche. Diciamo: "Benedetto sii Tu, Signore Iddio nostro, re dell' Universo, che hai variato l' aspetto delle Tue creature". Se lo si loda per le verruche, a maggior ragione lo si deve lodare per un partigiano che suona il violino. _ Tu hai ragione, e insieme fai venire la rabbia. Anche Gedale era cosi. Voleva sempre dire la sua, e non andava d' accordo con Ulybin, e neanche con Maksìm; Maksìm è il furiere, ossia lo scribacchino, quello che tiene i conti e viene dall' NKVD. Lo hanno mandato qui da Mosca col paracadute, perché tenesse la disciplina: come se la disciplina fosse la faccenda più importante. Del resto, neppure io vado tanto d' accordo con Maksìm. A Mendel premeva battere il ferro finché era caldo. _ Insomma, fra Gedale e il comandante che cosa c' è stato? _ Beh, c' è stato un litigio, all' inizio dell' inverno. Era un pezzo che non andavano d' accordo, Ulybin e Gedale. No, non per via del violino, c' erano dei motivi più seri. Gedale avrebbe voluto andare in giro per i boschi e le paludi e radunare una banda di partigiani ebrei. Ulybin invece diceva che gli ordini di Mosca erano diversi; i combattenti ebrei dovevano essere accettati alla spicciolata, nei reparti russi. La rottura è venuta quando Gedale ha scritto una lettera e l' ha mandata a Novoselki senza il permesso di Ulybin; non so che cosa ci fosse in quella lettera, e non saprei neppure dirti chi dei due avesse ragione. Sta di fatto che Ulybin era arrabbiato, gridava che lo si sentiva per tutto il campo, e batteva i pugni sul tavolo. _ Che cosa gridava? _ Non ho capito bene, _ rispose Piotr facendosi tutto rosso. _ Che cosa gridava? _ insistette Mendel. _ Gridava che nel suo reparto di poeti non voleva più sentirne parlare. _ Non avrà proprio detto "poeti", _ disse Mendel. _ Già. Non ha detto "poeti". _ Piotr tacque un momento, poi aggiunse: _ Ma dimmi: è vero che siete stati voi a crocifiggere Gesù? Nel campo di Turov i profughi di Novoselki trovarono sicurezza ed un certo benessere materiale, ma si sentivano a disagio. I quattro di Ozarici furono inquadrati regolarmente; gli altri sei, le due donne comprese, ricevettero vari incarichi nei servizi. Ulybin, qualche giorno dopo il loro arrivo, li aveva ricevuti con correttezza distaccata, poi non si era più fatto vedere. La temperatura era scesa a poco a poco; verso la metà di gennaio era a -15ä, a fine gennaio arrivò a -30ä. Dal campo partivano piccole pattuglie di sciatori, per spedizioni di approvvigionamento, o per azioni di disturbo e sabotaggio di cui Mendel aveva notizie frammentarie attraverso Piotr. Un giorno Ulybin fece chiedere chi fra loro parlava il tedesco. Tutti e sei gli ebrei lo parlavano, più o meno correttamente, con un accento jiddisch più o meno pronunciato: perché questa richiesta? Di cosa si trattava? Ulybin, per bocca di Maksìm, fece sapere che desiderava parlare con l' uomo che aveva la pronuncia migliore; le donne no, per quella faccenda non servivano. Quella sera, nella baracca ben riscaldata, fu distribuito un rancio speciale. Poco dopo il tramonto era arrivata al campo una slitta, aveva scaricato una cassa ed era subito ripartita; a cena, il furiere consegnò ad ognuno una scatoletta di latta di forma inconsueta. Mendel la rigirò fra le mani perplesso: era pesante, non aveva etichetta, e il coperchio, saldato a stagno, era più piccolo del diametro esterno della latta. Vide i commensali che, con la punta del coltello, praticavano due fori nello spazio anulare intorno al coperchio: uno piccolo e uno più grande, nel foro grande versavano un po' d' acqua, e poi lo tappavano con mollica di pane. Sempre più incuriosito, li imitò, e sentì che la scatoletta si scaldava fino a bruciargli la mano, mentre dal foro rimasto aperto usciva l' odore ben noto dell' acetilene. Come gli altri, avvicinò un fiammifero acceso, e in breve la tavola fu circondata da un' allegra corona di fiammelle, come in una fiaba di fate. Dentro la scatoletta c' era carne e piselli; nell' intercapedine c' era carburo, che reagendo con l' acqua scaldava il contenuto. Mentre fuori fischiava la tormenta, e nella luce tremula delle fiammelle, Pavel diede spettacolo. Si mostrava comicamente indignato: _ Ma come? Vi siete dimenticati di me? O fate finta di non saperlo? Ma si capisce, ma certamente, ma ganz bestimmt! Io parlo tedesco come un tedesco, se voglio; meglio di Hitler, che è austriaco. Lo parlo con l' accento di Amburgo, o con quello di Stoccarda, o con quello di Berlino, come desidera il committente. O senza accento, come la radio. Parlo anche russo con accento tedesco, o tedesco con accento russo. Diglielo, al comandante. Digli che sono stato attore e ho girato il mondo. E che sono anche stato annunciatore alla radio, e alla radio ho fatto anche dei numeri comici; a proposito, la sapete la storia di quell' ebreo che mangiava le teste delle aringhe? La raccontò, in russo variegato di ridicole inflessioni jiddisch, poi ne raccontò un' altra e un' altra ancora, attingendo al corpus sterminato dell' autoironia ebraica, surreale e sottile, giusto contrappeso al rituale che è altrettanto surreale e sottile: forse il frutto più raffinato della civiltà che attraverso i secoli si è distillata dal mondo stralunato dell' ebraismo askenazita. I suoi compagni sorridevano imbarazzati, i russi si tenevano la pancia e scoppiavano in risate di tuono. Gli battevano pacche sonore sulla schiena robusta, incitandolo a continuare, ma Pavel non chiedeva altro: da quanti anni non aveva un pubblico? _ ... e la storia dei Jeschiva Bucherim, degli allievi della scuola rabbinica, che erano stati arruolati nell' esercito, non la sapete? Era il tempo degli zar, e allora le scuole rabbiniche erano tante, dalla Lituania fino all' Ucraina. Ci volevano almeno sette anni, per diventare rabbini, e gli studenti erano quasi tutti poveri; ma anche quelli che poveri non erano, erano pallidi e magri, perché un Jeschiva Bucher deve mangiare solo pane condito con sale, bere acqua e dormire sulle panche della scuola, tanto che ancora adesso si dice: "Nebech, poveretto, è magro come un Jeschiva Bucher". Bene: in una scuola rabbinica piombano gli ufficiali di reclutamento, e tutti gli allievi vanno coscritti in fanteria. Passa un mese, e gli istruttori si accorgono che tutti questi ragazzi hanno una mira infallibile: diventano tutti tiratori scelti. Perché? Non ve lo so dire il perché, la storia non lo dice. Forse perché studiare il Talmud aguzza la vista. Viene la guerra, e il reggimento di talmudisti va al fronte, in prima linea. Sono in trincea, con i fucili puntati, ed ecco il nemico che avanza. Il comandante grida "Fuoco!": niente, nessuno spara. Il nemico si fa sempre più vicino. Il comandante urla di nuovo "Fuoco!", e di nuovo nessuno obbedisce: il nemico è ormai a un tiro di sasso. "Fuoco, ho detto, brutti figli di puttana! Perché non sparate?" urla l' ufficiale .... Pavel si interruppe: era entrato Ulybin, si era seduto al tavolo, e subito il mormorio eccitato degli ascoltatori era cessato. Ulybin era sulla trentina, di media statura, muscoloso e bruno: aveva un viso ovale, impassibile, sempre rasato di fresco. _ Beh, perché non vai avanti? Sentiamo come va a finire, _ disse Ulybin. Pavel riprese, con meno sicurezza e meno brio: _ Allora uno degli studenti dice: "Non vede, signor capitano? Non sono sagome di cartone, sono uomini come noi. Se gli sparassimo, gli potremmo fare del male". I partigiani intorno al tavolo abbozzavano dei risolini esitanti, guardando alternativamente Pavel e Ulybin. Ulybin disse: _ Non ho sentito il principio. Chi erano quelli che non volevano sparare? Pavel fece un riassunto abbastanza arruffato dell' inizio della storiella, ed Ulybin chiese con voce gelida: _ E voi, che cosa fareste? Vi fu un breve silenzio, poi si udì la voce sommessa di Mendel: _ Noi non siamo Jeschiva Bucherim. Ulybin non rispose, ma poco dopo chiese a Pavel: _ Sei tu quello che parla tedesco? _ Sono io. _ Domani verrai con me. C' è qualcuno fra voi che sia un po' elettricista? Mendel alzò una mano: _ Al mio paese io riparavo le radio. _ Bene, verrai anche tu. Ulybin fece svegliare Mendel e Pavel alle quattro del mattino seguente, a notte fonda. Mentre facevano un rapido spuntino, spiegò lo scopo della spedizione. Uno dei partigiani, in perlustrazione attraverso il bosco, aveva visto che i tedeschi avevano teso una linea telefonica, fra il villaggio di Turov e la stazione di Zitkovici: non avevano piantato pali, avevano semplicemente inchiodato il filo agli alberi. Il partigiano si era arrampicato su un albero e aveva tagliato il filo. Era poi tornato al campo, fiero della sua iniziativa, e Ulybin gli aveva detto che era un somaro: le comunicazioni telefoniche non si interrompono ma si intercettano. Al campo di Turov c' era un impianto telefonico da campo, mai utilizzato. Era possibile ristabilire la linea, e inserirvisi sopra in modo da sentire quello che i tedeschi si dicevano? Sì, rispose Mendel, era possibile, purché ci fosse un microfono. Bisognava partire subito, disse Ulybin, prima che i tedeschi, accorgendosi che la linea era interrotta, si mettessero in sospetto. Partirono in quattro, Ulybin, Mendel, Pavel e Fedja, il giovane che aveva trovato il filo e lo aveva tagliato. Fedja non aveva ancora diciassette anni, era nato proprio a Turov, a meno di un' ora di cammino dal campo, e conosceva quei boschi fin da quando ci veniva da bambino a cercare nidi. Volava sugli sci, silenzioso e sicuro nel buio come una lince, fermandosi ogni tanto ad aspettare gli altri tre. Ulybin se la cavava abbastanza bene; Mendel arrancava con fatica, poco allenato, ed impacciato dagli attacchi troppo larghi; Pavel calzava gli sci per la prima volta in vita sua, sudava malgrado il freddo acuto, cadeva spesso e bestemmiava sottovoce. Ulybin era impaziente; sarebbe stato prudente riparare la linea prima che facesse giorno. Fortuna che, secondo Fedja, il luogo non era molto distante. Lo raggiunsero dopo un' ora di marcia. Mendel si era portato dietro qualche metro di conduttore; si tolse gli sci, e salendo sulle spalle di Pavel ricongiunse in pochi minuti i due terminali del filo che penzolavano nella neve; ma per eseguire l' operazione aveva dovuto togliersi i guanti, e sentiva che le dita gli si intorpidivano rapidamente per il gelo. Dovette interrompersi e frizionarsi a lungo le mani con la neve, mentre Ulybin spiava il cielo che incominciava a schiarire, e batteva i piedi per il freddo e per l' impazienza. Poi collegò al filo aereo uno dei fili del microfono, scese, piantò a terra un picchetto e vi collegò l' altro filo. Ulybin gli strappò di mano il microfono e lo portò all' orecchio. _ Cosa senti? _ chiese Mendel sottovoce. _ Niente. Solo uno sfrigolio. _ Va bene, _ bisbigliò Mendel. _ È segno che i contatti funzionano. Ulybin porse il microfono a Pavel. _ Stai tu in ascolto, che capisci il tedesco. Se senti parlare, fammi un cenno _. Poi chiese a Mendel: _ Se dovessimo parlare fra noi, ci potrebbero sentire? _ Basterà non parlare troppo forte, e coprire il microfono con il guantone. Ma se occorre si può anche staccare il contatto dal picchetto: si fa in un momento. _ Bene. Aspettiamo fin che sarà giorno, poi ce ne andiamo. Torneremo qui domani sera. Se tu Pavel hai freddo, ti darò il cambio io. Di fatto, si alternarono nell' ascolto tutti e quattro; chi sentiva freddo andava a battere mani e piedi lontano dal microfono. Verso le sette, Fedja ammiccò vivacemente col capo e passò il microfono a Pavel. Ulybin lo trasse in disparte: _ Che cosa hai sentito? _ Ho sentito un tedesco che chiamava "Turov, Turov"; ma da Turov non gli rispondeva nessuno _. In quello stesso momento, Pavel agitò la mano nel guantone e fece più volte di sì col capo: qualcuno aveva risposto. Stette in ascolto per pochi minuti, poi disse: _ Hanno finito. Peccato! _ Che cosa dicevano? _ chiese Ulybin. _ Niente di importante, ma mi divertivo. C' era un tedesco che si lamentava di non aver dormito per i crampi allo stomaco, e chiedeva a un altro tedesco se aveva una certa medicina. Quello con i crampi si chiama Hermann e l' altro Sigi. Sigi non aveva la medicina, sbadigliava, sembrava scocciato, e ha interrotto la comunicazione. Stavo per dirgli che una buona medicina ce l' abbiamo noi: mi avrebbe sentito? _ Non siamo qui per fare scherzi, _ disse Ulybin. Poi aggiunse che, nonostante il rischio, aveva deciso che sarebbero rimasti sul posto ancora per qualche ora: l' occasione era troppo bella. Infatti, poco dopo intercettarono una conversazione più interessante. Questa volta era Sigi che dal posto di Turov chiamava Hermann: annunciava di aver tentato più volte di mettersi in contatto con la guarnigione di Medvedka, ma da Medvedka non rispondeva nessuno. Hermann, ancora sofferente, aveva risposto che i quattro uomini di Medvedka potevano essere andati a spasso; che Sigi non si preoccupasse. Ma Sigi insisteva per chiarire la faccenda: aveva sentito parlare di "Banditen" nei dintorni. Hermann, più elevato in grado, o forse solo più anziano, gli aveva dato un consiglio: prendesse uno dei suoi uomini, lo travestisse da boscaiolo con funi e un' accetta, e lo mandasse da Turov a Medvedka a vedere da vicino che cosa succedeva. _ Quanto è lontana Medvedka? _ domandò Ulybin a Fedja. _ Da qui saranno sei o sette chilometri. _ E quanto c' è da Turov a Medvedka? _ Press' a poco il doppio. _ Quanto è grande Medvedka? _ Medvedka non è un villaggio: è solo una fattoria collettiva. Ci lavoravano una trentina di contadini, ma adesso credo che sia abbandonata. _ Partite voi due, _ disse Ulybin a Fedja e Mendel, _ e riportatemi il boscaiolo vivo. Noi vi aspettiamo qui, o poco lontano. Mendel e Fedja ritornarono verso mezzogiorno portandosi dietro il prigioniero, indenne ma atterrito; gli avevano legato le mani dietro la schiena con filo telefonico. Trovarono Ulybin che trepidava d' impazienza. Sigi aveva richiamato Hermann; era inquieto, il boscaiolo non era ancora ritornato. Hermann aveva brontolato qualcosa a proposito della neve e del bosco, poi aveva detto a Sigi di mandare un altro uomo, vestito da contadino, che prendesse il sentiero lungo il fiume. Per la verosimiglianza, che si portasse dietro due galline. Ulybin disse che Mendel e Fedja dovevano ripartire subito verso l' ansa del fiume e aspettare il contadino. Questa volta l' attesa fu più lunga: i due uomini, il secondo prigioniero e le due galline arrivarono solo al tramonto. I due prigionieri non erano tedeschi, ma ucraini della polizia ausiliaria, e non fu difficile farli parlare. A Turov i tedeschi erano solo sette od otto; erano territoriali non più giovani, con poca voglia di uscire dal paese e nessuna di cacciarsi in qualche avventura con i partigiani. A Zitkovici la situazione era diversa; a ottobre qualcuno aveva sabotato i binari della ferrovia non lontano dalla cittadina, un merci aveva deragliato danneggiando un ponte, e da allora c' era un presidio più consistente ed agguerrito, che teneva sotto controllo la stazione e la strada ferrata. C' era un plotone della Wehrmacht con una piccola armeria, e una ventina di ausiliari ucraini e lituani. C' era anche un deposito di viveri e di foraggio, e un ufficio della Gestapo. Prima di mettersi in via verso il campo, Ulybin decise di mandare un messaggio ai tedeschi. Diede istruzioni a Pavel, che rispose "Lascia fare a me": si mise al microfono e chiamò a intervalli Turov e Zitkovici finché una voce non rispose. Allora Pavel disse: _ Qui parla il colonnello Conte Heinrich von Neudeck und Langenau, comandante del terzo reggimento della tredicesima divisione dell' Armata Rossa, sezione del Fronte Interno e delle Zone Occupate. Voglio parlare con il più elevato in grado del presidio _. Pavel era entusiasta della sua parte. Confitto nella neve fino alle ginocchia, nel bosco ormai buio e spazzato dal vento gelato, con in mano un' assurda cornetta di telefono i cui fili si perdevano nell' intrico dei rami carichi di neve, aveva sfoderato un tedesco autoritario e roboante, marziale e gutturale, con le r e le ch che risuonavano rotonde nel fondo della gola: lodò mentalmente se stesso, bravo Pavel Jurevic, perbacco, sei più prussiano di un prussiano! Gli rispose una voce spaventata e perplessa che chiedeva spiegazioni: veniva dal presidio di Davìd-Gorodòk. _ Niente spiegazioni, _ rispose Pavel con voce di tuono, _ nessuna obiezione. Attaccheremo domani il vostro posto con cinquecento uomini: vi diamo quattro ore per evacuare, voi e i vostri tirapiedi traditori. Non ne deve rimanere uno: impiccheremo tutti quelli che troveremo sul posto. Chiudo _. A un cenno di Ulybin, Mendel strappò le connessioni, e i quattro con i due prigionieri si misero in marcia verso il campo. Perfino il tetro Ulybin, così avaro di parole e in specie di lodi, non poteva reprimere un asciutto sorriso asimmetrico, che non saliva fino agli occhi, ma gli torceva le labbra pallide per il freddo. Senza rivolgersi a nessuno in particolare, come se avesse pensato ad alta voce, disse: _ Bene. Stasera alla Gestapo avranno di che discutere. Telefoneranno a Berlino per appurare chi è il conte disertore _. Mendel chiese a Pavel: _ È stata tua l' idea del colonnello? _ No, il colonnello era di Ulybin, ma il conte era mio. E non gli ho trovato un bel nome? _ Molto bello. Com' era? _ Eh, come vuoi che mi ricordi? Se vuoi, te ne trovo un altro. Ulybin, senza curarsi della presenza dei prigionieri, disse: _ Non attaccheremo Davìd-Gorodòk con cinquecento uomini. Attaccheremo Zitkovici con cinquanta uomini. Non credo che i tedeschi l' abbiano bevuta, ma nel dubbio manderanno rinforzi da Zitkovici a Davìd-Gorodòk, e noi troveremo meno resistenza. Era ormai notte fatta; Ulybin trasse dallo zaino una torcia elettrica e la legò alla canna del mitragliatore, ma la lasciò spenta. Si misero in marcia, Fedja in testa, sugli sci, poi i due ucraini, e in coda, nell' ordine, Pavel, Mendel e Ulybin. Mentre attraversavano un tratto di bosco fitto, l' ucraino vestito da boscaiolo uscì di scatto dalla pista e si diede alla fuga sulla sinistra, arrancando nella neve profonda e cercando di defilarsi dietro ai tronchi. Ulybin accese la torcia, puntò lo stretto cono di luce sul fuggitivo e sparò un colpo singolo. L' ucraino si piegò in avanti, fece ancora qualche passo, poi cadde sulle mani; in quella posizione, a quattro zampe come un animale, avanzò ancora per diversi metri, scavando nella neve un cunicolo chiazzato di sangue, poi si fermò. Gli altri lo raggiunsero: era ferito a una tibia, pareva che la pallottola avesse trapassato la gamba spezzando l' osso. Ulybin porse il fucile a Mendel, senza dire parola. _ Vuoi che io ...? _ balbettò Mendel. _ Avanti, Jeschiva Bucher, _ disse Ulybin. _ Camminare non può, e se lo trovano parla. Una spia non cambia: spia resta. Mendel si sentì invadere la bocca di saliva amara. Arretrò di due passi, mirò accuratamente e sparò. _ Andiamo, _ disse Ulybin, _ a questo qui ci penseranno le volpi _. Poi si volse nuovamente a Mendel, illuminandolo con la torcia: _ È la prima volta? Non badarci: poi diventa facile.

Pagina 0267

Cerca

Modifica ricerca