Il lavoro commenta la sentenza della Corte di giustizia 17 ottobre 2013, Billerud Karlsborg AB, Billerud Skarblacka AB v. Naturvardsverker, C-203/12, che ha ricostruito gli elementi oggettivo e soggettivo della sanzione amministrativa prevista dall'art. 16, par. 3 e 4, della direttiva 2003/87/CE. Con riferimento all'elemento materiale, si indaga se, alla luce dell'orientamento espresso dalla Corte, il principio di offensività proprio della materia penale possa ritenersi in via di principio applicabile anche alle sanzioni amministrative previste dal diritto europeo. Per quanto concerne l'elemento soggettivo, l'articolo illustra il concetto di coscienza e volontarietà dell'azione od omissione e quello di forza maggiore, dei quali la Corte di giustizia ha fatto applicazione nel caso concreto. In particolare, si esamina se la soluzione del giudice comunitario debba essere ritenuta conforme, da un lato, alla teoria generale dell'elemento soggettivo dell'illecito amministrativo elaborata in seno agli ordinamenti comunitario e nazionale; dall'altro ai principi affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in sede CEDU.
Di questo dimostrano di essere consapevoli tanto la giurisprudenza quanto il legislatore: la prima, ha introdotto di fatto una sorta di osmosi pan-processuale in tema di circolazione delle prove e di rilevanza degli accertamenti provenienti "ab extra", sia pure nel rispetto del principio della libero apprezzamento di ciascun giudice; il secondo, ha avvertito la necessità di aprire significativi varchi al "doppio binario", attribuendo rilevanza al preventivo avvio dell'azione penale, come è avvenuto in tema di raddoppio dei termini per l'accertamento e in tema di costi del reato.
L'affermazione del rischio come fattore determinante attraverso cui costituire la soggettività nella postmodernità e la correlativa scomparsa del reato come fatto, ha comportato la conversione dell'idea contemporanea di responsabilità, che sempre più tende ad essere ascritta "ab externo", come attribuzione a quel centro di imputazione che più convenientemente sembra adeguato a corrispondere agli scopi sociali di punizione.
Il contenuto delle volontà testamentarie può più di una volta trovar assistenza in forme d'integrazione "ab extra". La plausibilità di simili rimandi, variamente articolabili, è però da saggiarsi secondo i canoni della personalità e del formalismo che percorrono la disciplina testamentaria, assurgendo, altresì, a centrale riferimento dello scrutinio l'effettivo ossequio al dato della certezza delle volizioni. In tali coordinate l'interprete è chiamato a vagliare sul piano concreto il tenore e le implicanze della "relatio", evadendo, il fenomeno, da un'univoca valenza.
Esso non è perciò riconducibile alle posizioni dei singoli soggetti sommate tra loro, bensì all'interesse diffuso "ab origine" comune alla collettività indistinta che, per effetto della volontà di alcuni "cives", gli associati, si è differenziato in capo ad un diverso ed autonomo soggetto: l'ente, che può sempre agire per la sua tutela.
Pertanto quest'ultima, intestata al cessionario di azienda, con la relativa intimazione di pagamento, è illegittima "ab origine", in quanto in contrasto con tale beneficio della preventiva escussione, tutelato dall'art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, che è norma speciale e dunque prevalente rispetto alla disciplina ordinaria.
Non può accedersi alla tesi secondo cui, nei casi di subappalto cosiddetto "necessario", lo stesso risulterebbe assimilabile all'avvalimento, di cui mutuerebbe la sostanza destinata a prevalere sul "nomen iuris", dal momento che la relativa dichiarazione non rileverebbe soltanto ai fini del "quomodo" dell'esecuzione, ma soprattutto ai fini dell'"an" dell'affidamento e che, pertanto, sarebbe necessario identificare il subappaltatore "ab origine", posto che concorrerebbe ad "integrare" i requisiti di qualificazione ai fini della partecipazione alla gara.