Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I PESCATORI DI BALENE

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Salgari, Emilio 2 occorrenze

Ventisette giorni dopo sbarcavano finalmente in Aalborg, loro città natìa, dove riabbracciarono i loro parenti e amici che li avevano già pianti come morti. Ma la vita tranquilla e la terraferma non avevano attrattive per quei due lupi di mare. Ben presto la nostalgia dell'oceano li invase e, all'apertura della nuova campagna di pesca, s'imbarcarono a bordo di un'altra nave baleniera alla caccia dei giganti del mare. Nonostante le terribili prove subite essi conservano ancora una strana affezione per quei mari gelidi del polo artico, sotto i cui ghiacci, nel seno delle onde, dormono il sonno eterno il capitano Weimar e i suoi sventurati compagni!

Sulla poppa, in lettere dorate, spiccavano questi due nomi: "Danebrog Aalborg". Sulla gran gabbia, aggrappati alle sartie e alle griselle, si vedevano due uomini un po' curvi innanzi, cogli occhi fissi sull'oscuro mare che muggiva sordamente frangendosi contro i fianchi del naviglio. Uno dimostrava quarant'anni. Era di statura bassa ma tarchiato, con larghe spalle e grosse e robustissime membra. Aveva la pelle un po' abbronzata, gli occhi di un azzurro profondo, il naso un po' rosso, forse per il soverchio abuso di bevande spiritose, e la barba e i capelli biondi. Aveva accostato agli occhi un cannocchiale e guardava attentamente l'immensa distesa d'acqua. L'altro era invece un giovanotto di venticinque o ventisei anni, di statura molto alta, biondo di capelli, cogli occhi pure azzurri, ma la pelle ancora bianca. Dai suoi lineamenti traspariva una energia straordinaria e un coraggio indomito. - Ebbene, tenente Hostrup, - disse ad un tratto il giovanotto - si vede nulla? - Ho un bel guardare, fiociniere, ma non vedo proprio nulla - rispose il compagno. - Eppure ho udito distintamente un tonfo e ho visto con questi occhi una grossa ondata correre a quattrocento passi dal nostro legno. - E tu credi che sia stata una balena? - Sì, tenente. - Se fosse vero! - esclamò l'ufficiale mordendosi i baffi. A quest'ora tutti i balenieri hanno dell'olio nel ventre del loro legno, mentre noi non ne abbiamo ancora una goccia. E siamo in pieno agosto! Comprendi, Koninson, in pieno agosto! - Lo comprendo, signore, ma la colpa non è nostra. Se quel "brick" del malanno non ci avesse, colla sua speronata, inchiodati per tre lunghi mesi nei cantieri della Nuova Arcangelo, a quest'ora avremmo già mezzo carico nella stiva. - Che il diavolo si porti quel "brick" e tutta la ciurmaglia che lo monta! Fortunatamente abbiamo del fegato, noi, e il nostro "Danebrog" è un legno che non teme i ghiacci. Se sarà necessario andremo fino al polo. - Il capitano ha questa intenzione? - Per Bacco! Se non troviamo balene nel mare di Behring, egli ci trascinerà sotto il polo. Vuole vincere la scommessa a qualunque costo. - C'è una scommessa - chiese il fiociniere. - Sì, e molto grossa. - E con chi,tenente? - Col capitano del "Biscoë". - Ah! Quel dannato norvegese scommette contro i danesi? Allora bisogna sfidare tutto, pur di vincere. - E tutto sfideremo, Koninson. - Io sono pronto a seguire il capitano anche al polo, purchè colà vi siano delle balene, e vi giuro, signor Hostrup, che il mio rampone non fallirà una sola volta. - Lo so che la tua è un'arma terribile, che ha già ucciso parecchie dozzine di balene. - Delle centinaia, signore! - disse Koninson con orgoglio. - Sono duecento e più anni che viene adoperata nella mia famiglia. - Corbezzoli! La tua è adunque una famiglia di fiocinieri? - Sì, tenente, e il rampone di cui oggi mi servo si trasmette di padre in figlio. - E chi lo adoperò per primo? - Mio nonno Erico Koninson, il quale lo ebbe in dono dal re Cristiano V. - Ah! È un'arma reale? - Sì, e ... Il fiociniere fu bruscamente interrotto da una voce che pareva scendesse dal cielo e che aveva gridato: - Ohè! L'animale soffia! Il tenente e Koninson alzarono il capo e videro sulla crocetta dell'albero di trinchetto un marinaio che stava guardando il mare. - L'hai udito tu? - chiese il signor Hostrup. - Sì, tenente! - rispose il marinaio. - Da qual parte? - Il soffio veniva da sottovento. Il tenente puntò il cannocchiale e guardò con profonda attenzione. - Ebbene? - chiese Koninson, che non era capace di star fermo. - Il marinaio non si è ingannato. Laggiù ho veduta una massa nerastra sorgere e poi tuffarsi. - È una balena? - Non lo so poichè, come ben vedi, l'oscurità è profonda e il cetaceo è apparso a un buon miglio di distanza. - Balena o capodolio, noi lo prenderemo, tenente. - Lo spero, Koninson. Andiamo ad avvertire il capitano Weimar. - E prepariamo le baleniere. Ho il sangue che mi bolle nelle vene pensando che fra poco mi misurerò col mostro che soffia. Il tenente e il fiociniere si aggrapparono alle griselle e scesero rapidamente in coperta, dove dieci o dodici marinai stavano già preparando le baleniere per la caccia. Il capitano, tosto avvertito della presenza del cetaceo, non tardò a comparire sulla tolda. Valdemaro Weimar, comandante e proprietario del legno, non aveva più di trentacinque anni. Era alto, vigoroso, biondo come il tenente Hostrup, con una fronte alta, lo sguardo vivo e nero e labbra sottili che denotavano una energia non comune. Nato in Danimarca, come tutti gli uomini del suo equipaggio, aveva affrontato il mare a soli dieci anni e ora godeva una grande fama, come marinaio e come pescatore di balene. Nulla lo spaventava; nè le più terribili tempeste, nè le più ardite navigazioni nei poco conosciuti mari artici, nè i ghiacci del polo. Sei volte, con un'audacia senza pari, mentre tutti i suoi colleghi fuggivano verso il sud dinanzi all'avanzata del gelo, aveva condotto la sua valorosa nave al di là delle terre abitate, sfidando i ghiacci polari per inseguire le balene che vi si erano rifugiate, e due volte, sorpreso dagli immensi campi di ghiaccio, aveva svernato sulle deserte coste della Giorgia occidentale e senza perdere nè un uomo nè una imbarcazione. Quando il tenente Hostrup lo informò della presenza di un cetaceo, gli occhi del bravo capitano scintillarono di gioia. - Ah, è così! - esclamò. - Sta bene, domani mattina lo cacceremo. Dov'è? - Laggiù, un miglio sottovento! - disse il tenente. - Non bisogna perderlo di vista. Due gabbieri sulle crocette e tu, mastro Widdeak, - aggiunse, volgendosi ad un vecchio marinaio che stava al timone - governa in modo di tenerti sempre a poca distanza dal cetaceo. E ora andiamo a vedere coi nostri occhi. Salì sulla murata di tribordo aggrappandosi alle sartie del trinchetto e guardò nella direzione indicata con un forte cannocchiale. - Lo vedete, capitano? - chiese Hostrup che l'aveva raggiunto. - Sì, tenente. - Balena o capodolio? - Non è facile dirlo, ma dalle sue mosse brusche, lo crederei più un capodolio che una balena. - Lo cacceremo egualmente. - Lo credo, tenente; Koninson non teme simili mostri, quantunque siano, specialmente se soli, pericolosissimi. Mi ricordo che una volta uno, un solitario anche quello, ebbe l'audacia di gettarsi contro un brigantino. - E lo colò a picco? - Lo sfasciò di colpo, tenente. Ehi, Koninson, prepara due baleniere. - Pronto, capitano! - rispose il fiociniere. Con un fischio chiamò i diciotto marinai che formavano l'equipaggio del "Danebrog", e si mise alacremente al lavoro. Dieci minuti dopo tutto era pronto per la pesca. Non mancava che di calare le baleniere in mare e di muovere contro il cetaceo che non pareva disposto ad abbandonare quelle acque. Il capitano Weimar e il suo tenente, sempre in piedi sulla murata seguivano attentamente collo sguardo l'enorme pesce che di quando in quando si tuffava o avventava dei formidabili colpi di coda sollevando delle grandi ondate. Il primo si mostrava impazientissimo e imprecava contro l'oscurità; il secondo invece, uomo flemmatico quanto mai, quantunque non meno intrepido marinaio del capitano, appariva tranquillissimo e taceva fumando con tutta flemma in una vecchia pipa che quasi mai abbandonava. Anche Koninson e l'equipaggio erano in preda ad una viva agitazione, e ingiuriavano il cetaceo che non si lasciava accostare dalla nave, quantunque questa filasse con una notevole velocità avvicinandosi alle isole Aleutine, che ormai non dovevano essere molto lontane. Finalmente cominciò a far chiaro. Ad oriente apparve una luce biancastra che fece impallidire la luce degli astri e che gettò sui neri flutti delle tinte madreperlacee di bellissimo effetto. Il capitano attese ancora un po', quindi tornò a puntare il cannocchiale verso il cetaceo che allora si trovava a due miglia dal "Danebrog", ma quasi nel medesimo istante il gigantesco pesce, quasi indovinasse che qualcuno lo spiava, si tuffò. - Ah, brigante! - esclamò Weimar. - Ma non per questo mi sfuggirai. Ehi, mastro Widdeak governa dritto su quel briccone! Il mastro non si fece ripetere il comando e lanciò il "Danebrog" verso il luogo ove il cetaceo si era inabissato; ma passarono dieci, venti, trenta minuti, senza che apparisse a galla. - Non è una balena quella là! - disse il capitano. - Se lo fosse, a quest'ora sarebbe già tornata a galla. - È un capodolio, capitano - disse il tenente. - Non ci sono che questi cetacei che siano capaci di starsene quaranta, cinquanta e anche sessanta minuti senza respirare. - Niente di meglio. Alla balena preferisco il capodolio che dà maggior profitto. Ma come mai si trova qui? - Guarda! Guarda! - gridò in quell'istante Koninson. A cinquecento metri dal "Danebrog" si era visto alla superficie dei mare un largo tremolio, segno evidente che il cetaceo stava per risalire; poi apparve un punto nero, indi una massa enorme che gettò in aria due nuvolette di vapore grigiastro. Koninson gettò un grido: - Un capodolio! Un capodolio! Alle baleniere, ragazzi!

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