Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

Risultati per: a.c

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Le macchine invisibili: scienza e tecnica in tre camere e cucina

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Piero Bianucci 2 occorrenze

Siamo nel 600 a.C. quando Talete si accorge che l'ambra, se strofinata, attira i chicchi di grano. Lo stesso Talete studia un altro materiale misterioso: certi minerali che attraevano il ferro e che, provenendo dalla città di Magnesia, venivano chiamati "magnetiti". Talete, insomma, con l'ambra scopre l'elettricità, e con la magnetite scopre il magnetismo, due fenomeni strettamente imparentati. Ambra in greco si dice "Elektron". Ed ecco che abbiamo l'elettricità e l'elettromagnetismo: in questo pizzico di filologia c'è il seme del mondo moderno.

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Marcus Gavius Apicius (25 a.C.-35 d.C.), il più celebre gastronomo della latinità, ne fa un ingrediente di 85 sue ricette. Si otteneva facendo bollire succo di uva, vinacce e vino inacidito in recipienti di piombo fino alla completa evaporazione dell’acqua e dell’alcol. I romani non lo sapevano, ma proprio dal piombo, trasformato in acetato di piombo, dipendeva il sapore dolce. Purtroppo questo sale di piombo è un veleno: causa anemia, debolezza cronica, mal di stomaco, emicrania, aborti. Con un po’ di esagerazione, alcuni storici attribuiscono all’intossicazione da piombo la decadenza e la fine dell’impero romano.

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Storia sentimentale dell'astronomia

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Piero Bianucci 21 occorrenze

Ritenuto dapprima del 6500 a.C, ora è retrodatato fino a ventimila anni fa: le sue tacche sono 168, raggruppate in sequenze che corrisponderebbero a 5 mesi e mezzo di fasi lunari. Anche su altre ossa del paleolitico superiore compaiono gruppi di 15 o 16 incisioni: prova, secondo Marshack, che ci troviamo di fronte a rudimentali calendari.

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Edmond si rifugiò in studi biblici sul diluvio universale che lo portarono a dubitare che il mondo fosse stato creato da Dio nel 4004 a.C.: secondo i suoi calcoli per spiegare la salinità del mare il mondo doveva essere molto più antico, il che gli procurò fama di eretico. L’interesse per il nostro pianeta non finì lì: scrisse un saggio su monsoni e alisei nel quale compare la prima mappa meteorologica, si occupò del magnetismo terrestre, realizzò una campana da immersione che permetteva di lavorare sul fondo marino a 18 metri profondità, pubblicò i dati demografici della mortalità, base dei calcoli statistici oggi usati per le pensioni.

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Mentre curava la pubblicazione del catalogo stellare di Flamsteed notò che, pur tenendo conto della precessione, molte stelle si erano spostate rispetto al catalogo di Ipparco (II secolo a.C.). La posizione di Arturo, la stella più luminosa della costellazione del Bifolco, differiva di un grado abbondante. Le misure di Flamsteed erano precise entro 10 secondi di arco, quelle di Ipparco entro una decina di primi. La conclusione poteva essere una sola: anche le stelle si muovono di moto proprio. Fu Halley a dare l’ultimo colpo alla cosmologia antica. Dopo di lui non esistettero più “stelle fisse”.

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misura della circonferenza terrestre fatta da Eratostene (39.700 km) erano seguite quella di Posidonio (135-50 a.C.), assai meno buona (28 mila) ma accettata da Tolomeo, e quella eseguita nell’827 da scienziati arabi (43 mila).

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Di poco posteriore è Anassimandro (610-546 a.C.). Fu lui a introdurre presso i greci lo gnomone, strumento astronomico elementare – un semplice bastone perpendicolare al suolo – ma fondamentale per rilevare, tramite la sua ombra, il moto del Sole e stabilire solstizi ed equinozi.

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Conosceva l’eclittica, cioè il percorso apparente del Sole sulla volta celeste, e secondo Erodoto avrebbe predetto l’eclisse di Sole del 585 a.C. che, con il suo spettacolo terrificante, pose fine alla guerra tra i Medi e i Lidi. L’astronomo e storico danese John Louis Emil Dreyer (1852-1926) ha stabilito che in realtà Talete non poteva essere in grado di predire un’eclisse di Sole per una località data, ma forse durante un viaggio in Egitto aveva appreso il Saros, un ciclo di 18 anni al termine del quale si ripetono con uno slittamento di 8 ore le stesse 29 eclissi di Luna e 41 di Sole. In ogni caso era ben consapevole che questi fenomeni sono dovuti all’interposizione della Luna nuova nel caso dell’eclisse di Sole e della Terra nel caso dell’eclisse di Luna.

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Allievo di Anassimandro fu Anassimene (586-528 a.C.), che fece dell’aria il principio universale. Sosteneva che il Sole e le stelle, dopo il tramonto, non passassero sotto la Terra, ma svoltassero a settentrione. Immaginava Sole, Luna e Terra come corpi piatti, appoggiati sull’aria. Il calore del Sole sarebbe stato prodotto dalla velocità del suo moto, idea che si ritroverà, con il concetto di attrito, in Anassagora (496-428 a.C.).

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Parmenide, il teorico dell’immutabilità dell’Essere, suo seguace vissuto nella prima metà del quinto secolo a.C., giunse invece, indipendentemente da Pitagora, a intuire la sfericità della Terra; considerò la Luna e il Sole di uguali dimensioni e di natura ignea, ma ritenne la prima illuminata dal secondo. Entrambi si sarebbero formati dalla condensazione di materia della Via Lattea.

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Le frammentarie cosmologie dei filosofi delle scuole ionica, eleatica, pitagorica e atomista, trovarono una sistemazione organica con Platone (428-348 a.C) e soprattutto con Aristotele (384-321 a.C.). Il loro pensiero è troppo complesso per affrontarlo qui: basterà qualche nota che riguarda l’astronomia.

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Empedocle di Agrigento (490-425 a.C.) elaborò infine una cosmologia pluralista: aria, acqua, terra e fuoco sarebbero gli elementi fondamentali dell’universo. Ma per noi moderni è Democrito di Abdera (460-360) il filosofo-scienziato più affascinante: gli siamo debitori dei concetti di atomo e di vuoto e del principio di inerzia.

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Tuttavia un suo discepolo, Eudosso di Cnido (408-355 a.C.), inventore del mappamondo celeste, pose le basi del sistema geocentrico quale poi sarà tramandato da Aristotele dall’antichità al Rinascimento. Per rappresentare fedelmente (o quasi) il moto del Sole, della Luna, dei pianeti e delle stelle rispetto a una Terra immobile posta al centro dell’universo, Eudosso introdusse le “sfere omocentriche”, cioè con un centro comune. Il suo modello cosmico richiedeva quattro sfere motrici per Saturno, Giove, Marte, Mercurio e Venere, tre per il Sole e per la Luna e una per le stelle, con un totale di 27 sfere motrici. Il loro moto combinato faceva seguire ai pianeti esterni prossimi all’opposizione una traiettoria apparente a forma di doppio cappio, la cui figura è chiamata “ippopede”, piedi di cavallo. Nonostante un ingranaggio così cervellotico da far sembrare semplice il più raffinato orologio svizzero, poiché le sfere erano tutte centrate sulla Terra, il modello di Eudosso incontrava difficoltà nello spiegare le forti variazioni di luminosità dei pianeti. Per rimediare, Callippo di Cizico (370-300 a.C.) aggiunse una ventottesima sfera.

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Con il terzo secolo a.C. arrivano i primi tentativi di mettere insieme matematica e osservazioni per misurare l’universo. Incominciò Aristarco di Samo (310-230 a.C). Allievo di Stratone ad Alessandria, è famoso per essere stato il pioniere del sistema eliocentrico. Lo sappiamo non direttamente da suoi scritti ma da ciò che riferisce Archimede (287-212 a.C.) nell’Arenario, il vertiginoso libro nel quale si propone di quantificare il numero dei granelli di sabbia che potrebbero riempire la sfera celeste.

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Tra questi, i pitagorici, Eraclide Pontico (385-322 a.C.), Seleuco di Seleucia e lo stesso Aristotele, che indicò come prova della sfericità terrestre l’ombra curva che il nostro pianeta proietta sulla Luna durante le eclissi. Eliocentrismo e geocentrismo convivono nell’antichità e si sviluppano in parallelo, come dimostrano gli studi di Lucio Russo (Università di Roma) sul patrimonio dimenticato della scienza antica.

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A questa domanda rispose Eratostene, nato nel 276 a.C a Cirene (nell’attuale Libia) e morto nel 194 ad Alessandria d’Egitto. Pare che, depresso per la cecità che lo aveva colpito, si sia lasciato morire di fame. Aveva in ogni caso la rispettabile età di 82 anni.

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L’astronomia greca si trasforma in una scienza di osservazione capace di fare previsioni con Ipparco (190-120 a.C.). Peccato che delle sue opere – almeno 14 libri – non ci sia giunto niente se non un commentario ai Fenomeni, poema astronomico in 1154 esametri di Arato di Soli (310-240 a.C.). Dobbiamo ciò che sappiamo di lui soprattutto a Tolomeo, che sui suoi lavori fondò la definitiva sistemazione dell’astronomia antica, destinata a resistere fino a Galileo.

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Lo proverebbe il fatto che le posizioni delle stelle corrispondono al 129 a.C., quello della compilazione.

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Nel 134 a.C. improvvisamente brillò una stella mai vista prima: una supernova, come diremmo adesso. Questo evento in contrasto con la credenza nell’immutabilità del cielo, indusse Ipparco a registrare l’aspetto della volta celeste a beneficio degli astronomi che sarebbero venuti dopo di lui: un lavoro di estrema pazienza che lo portò a compilare un catalogo di 1080 stelle, circa un quinto di tutte quelle visibili a occhio nudo, primo inventario stellare nella storia dell’astronomia. Per questo motivo si chiamò “Hipparcos” il primo satellite astrometrico che tra il 1989 e il 1993 misurò la posizione di 120 mila stelle, anche se, per il gusto perverso degli acronimi che contraddistingue il nostro tempo, Hipparcos sta per High Precision Parallax Collecting Satellite.

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Già con il Sole le cose vanno male: per Tolomeo distava 1210 raggi terrestri (sempre meglio di Anassagora, che nel 450 a.C. lo collocava ad appena 20 mila km – il viaggio dall’Italia all’Australia – e lo faceva grande come il Peloponneso). Bisogna aspettare fino al 1770 per avere un dato accettabile: 25 mila raggi terrestri.

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Teone, ultimo intellettuale che abbia avuto a disposizione la famosa Biblioteca prima che i cristiani la distruggessero nel 389 a.C., aveva scritto un commento all’opera di Tolomeo. Ma Ipazia, secondo il suo allievo prediletto Sinesio, mise in discussione la cosmologia tolemaica che poneva la Terra al centro dell’universo. Sembra che abbia intuito anche la relatività dei moti poi descritta da Galileo nel Dialogo dei massimi sistemi e la forma ellittica delle orbite dei pianeti annunciata soltanto nel 1609 da Keplero. Certamente si oppose alla distruzione della Biblioteca di Alessandria, inventò un astrolabio piatto, un idroscopio e un anemometro. Leggendaria fu la sua bellezza, ma pare che non le desse alcuna importanza. Secondo il filosofo Damascio, a un allievo che si era perdutamente innamorato di lei mostrò una pezzuola usata per il mestruo dicendogli: “Questo, dunque tu ami, o giovane: niente di bello!”.

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Per risolvere il problema Sosigene si inventò l’anno bisestile e al fine di rimettere la data al passo con le stagioni consigliò di aggiungere 90 giorni all’anno 708 dalla fondazione di Roma (quello che diventerà poi il 46 a.C) inserendo 23 giorni a febbraio e 67 tra novembre e dicembre. Il 46 a.C. ebbe quindi 445 giorni e passò alla storia come “l’anno della confusione”. Da allora in poi gli anni normali furono di 365 giorni e ogni tre anni normali se ne inserì uno bisestile di 366. La durata media dell’anno adottata da Sosigene fu quindi di 365,25 giorni, un po’ di più di quella reale.

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A causa delle imprecisioni dell’antico calendario romano, al tempo di Giulio Cesare (101-44 a.C.), la data si trovava in anticipo di tre mesi rispetto alle stagioni: di slittamento in slittamento, marzo, il primo mese di primavera, incominciava all’inizio dell’inverno, le gemme si schiudevano al giungere dell’estate, le ciliegie maturavano in autunno e così via.

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Teoria della relatività dell'Eistein. Esposizione elementare alla portata di tutti

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Harry Schmidt 1 occorrenze

su i tre noti assiomi fondamentali (pag.19), il cui fondatore è il matematico più grande dell’antichità greca: Euclide (330-275 a.C.). Agli esperti negli studi matematici non riesce certo difficile di comprendere la ragione di tale legame; ma, in vero, ciò non è troppo difficile né pure per noi.

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