Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La federazione trentina dei ferrovieri - il risultato delle trattative passate - il nuovo memoriale del 7 marzo - Una deputazione a Roma

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

La federazione trentina dei ferrovieri - il risultato delle trattative passate - il nuovo memoriale del 7 marzo - Una deputazione a Roma

L'assemblea generale del partito

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Sul principio il nostro postulato della rappresentanza regionale autonoma, della costituzione di una Dieta trentina, suscitò a Trento stesso le ire sdegnose degli iperpatriotti che ci tacciavano di legittimismo austriacante; ora tutti i partiti trentini lo accolgono. A Roma incontrammo ignoranza o avversione. Quante conferenze, quante discussioni, quanti atti di energia ci vollero prima che l’idea trovasse ospitalità! Ora essa è investita di piena cittadinanza in forza della legge di annessione. Amici, questa vittoria fu potuta raggiungere solo in forza di una fede irremovibile e di un’opera cosciente, avveduta, perseverante. Avremmo mancato in molte altre cose, ma in questa che a noi parve il problema centrale del paese, abbiamo prodigate tutte le nostre energie, e ci pare che per merito di essa ci possiate perdonare le altre nostre mancanze! Per essa abbiamo fatto la più attiva propaganda nella stampa, presa la parola nei congressi del Partito popolare italiano di Bologna e di Napoli, conquistata l’adesione della direzione centrale e del consiglio nazionale del partito, l’appoggio del nostro gruppo parlamentare che ne fece oggetto di pattuizione per il programma della coalizione governativa, cercato e raggiunto l’accordo coi decentralisti e regionalisti d’Italia d’ogni fede politica e trovata infine l’adesione di massima dei governi da Nitti a Giolitti ed il voto di principio delle due Camere. I futuri deputati sono chiamati ad attuare; noi fummo i pionieri che abbiamo aperta la via. Giammai un postulato particolare di una nuova regione trovò Il resto dello Stato così poco disposto a prendere notizia, a discuterlo, ad avviarlo alla soluzione (applausi). Noi abbiamo dovuto svolgere la nostra azione a scatti, con intermezzi di lenti assedi e poi con attacchi frontali, agendo in mezzo ad una crisi politica in permanenza e fra le convulsioni che preparano la rivoluzione sociale. La politica in tempi più normali fu paragonata ad una partita a scacchi; oggi essa assomiglia piuttosto all’acrobatica; Chi non ha il polso fermo e l’orecchio pronto, si rompe il collo. - Noi non ce l’abbiamo ancora rotto, e ci pare già questo un successo così fortunato da dover vantarlo al cospetto di quest’assemblea (ilarità, applausi). Dovrò pur ricordare qui la nostra azione, per la ratifica del trattato di S. Germano, ratifica ch’era indispensabile per giungere all’annessione? In questo nesso avrei da ricordarvi anche le trattative avviate a Trento e finite a Roma per l’assetto politico-amministrativo della provincia in confronto dei postulati dei nostri vicini tedeschi, trattative alle quali collaborarono mons. Gentili e Ciccolini in prima linea, colla loro preziosa energia. Dovrei ricordarvi la nostra opera svolta in paese per ristabilire l’autonomia comunale e l’iniziativa presa dai nostri amici, nostri rappresentanti nel consiglio municipale delle città autonome per l’abolizione dei corpi elettorali? Fu tutta una serie d’iniziative prese seguendo sempre la stessa direttiva: ricostruire il paese su basi autonome e ricostruirlo al più presto possibile.

Don Sturzo

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Murri, Romolo 4 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 145-154.
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Avevano promesso di collaborare, e collaborarono infatti, A. Mauri, G. Micheli, A. Boggiano, P. Mattei-Gentili ed altri parecchi dei cattolici del P. P. che sono oggi in prima linea. D. Sturzo non era ancora all'orizzonte. Non lo si era visto a Fiesole, a Padova, a Milano, nei congressi cattolici di quegli ultimi anni. Lo conobbi ad anno 1898 inoltrato. Aveva fatto non so che studii in Roma: stava per ripartire per la Sicilia e chiese di vedermi. Non ricordo nulla di quel primo colloquio; ma da esso cominciò una collaborazione assidua e cordiale durata sino alle ultime disgrazie della Democrazia Cristiana Italiana.

Le giornate storiche di quel partito nascente dovevano essere quelle del primo congresso della rinnovata «Opera dei Congressi» che ebbe luogo a Bologna. La vigilia, a notte, oltre 500 giovani, di ogni parte d'Italia, si trovarono insieme per prendere gli accordi preliminari. La mattina seguente, dal banco della stampa, dove io era, vidi Don Sturzo nella folla dei giovani preti e laici, tumultuante d'impazienza per la battaglia che si annunziava, e lo chiamai presso di me ed accor¬se, e mi stava al fianco quando parlai, e il pensiero della grande maggioranza del congresso fu fissata fra un delirio di entusiasmo. Quattro mesi dopo Pio X scioglieva l'opera dei congressi. Sedici anni dovevano passare, e quante vicende in essi, prima che il partito si ricostituisse e tenesse a Bologna il suo secondo congresso.

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Un altro mio ricordo personale è legato a Don Sturzo: una visita che io gli feci a Caltagirone e la rassegna delle forze che egli aveva messo insieme. Convocò anche, per quella occasione, i suoi contadini, a quali tenni un discorso. Egli mi osservò che di quella massa di organizzati — potevano essere un cinquecento — soli tre erano alfabeti ed elettori.

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Da Caltagirone andammo a Piazza Armerina, dove fui ospite del fratello di lui Mario, vescovo, e dove la sera, presenti tutti gli alunni del seminario, tenni conferenza, a un pubblico numerosissima, sugli scopi e lo spirito del movimento cattolico, e ci fu, mi pare, contradditorio.

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Crisi economica e crisi politica

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Sturzo, Luigi 11 occorrenze
  • 1920
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 132-161.
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In questo stato di marasma il problema agrario e il problema industriale ebbero fasi impreviste di arresto e di deviazione; la cosiddetta bardatura di guerra, aggravata da quella posteriore con tentativi di monopoli, di consorzi e di enti fittizi e mastodontici, rese più difficile l'attività commerciale; e fra stenti enormi cominciò a riprendersi e a tentare le vie risolutive l'iniziativa privata, che era mortificata da legami statali e burocratici e resa difficile dalle incertezze di un torbido domani.

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Il ministero precedente sulla trama del progetto Meda, ma con deviazioni notevoli, aveva adottato i primi provvedimenti finanziari del dopo guerra, che dalla tassa sul patrimonio a quella sul vino, avevano avviato lo stato con una certa timidezza, a domandare ai contribuenti il dovuto concorso. Giolitti affrontò subito la questione della nominatività dei titoli e quella dei profitti di guerra i cui progetti volle rapidamente approvati dalla camera dei deputati e oggi dal senato, come mezzo di risanamento finanziario dello stato e come elemento concorrente, insieme all'inchiesta sulla guerra, a determinare uno stato di equilibrio morale atto a dare efficienza maggiore all'equilibrio finanziario, che affannosamente si tenta.

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Non valsero avvisi ai governanti del periodo della guerra, per preparare una soluzione adeguata al problema: ricordo i voti del congresso dei sindaci siciliani tenuto a Girgenti nel gennaio 1917, del congresso degli interessi del mezzogiorno tenuto a Napoli nel giugno 1917, di quelli degli agricoltori tenuti a Roma nel gennaio 1918 e a Palermo nel settembre 1918, oltre ai congressi di partiti quali il socialista e il nostro, che sicuramente affrontavano il problema da diversi punti di vista, ma con una visione chiara della urgenza e della imponenza del fenomeno agrario del dopo guerra.

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Infatti non è a dirsi una soluzione la disposizione a favore dell'opera nazionale dei combattenti, che ha facoltà all'acquisto coattivo delle terre, da assegnare in forma di godimento temporaneo o definitivo a cooperative dei combattenti. A parte l'irrazionale concessione ad un ente autonomo, misto tra privato e pubblico, delle funzioni strettamente di diritto pubblico, quali sono quelle di espropriazione delle terre e di rescissione dei contratti, il problema non può essere limitato né al numero né alla ragione dei combattenti, né può essere contenuto nelle ristrette funzioni di un'azienda centralizzata la quale, sia pure divenendo ipertrofica, non potrà soddisfare alle esigenze collettive che a lungo scadere di anni e in misura inadeguata.

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E fino a quale limite e con quali condizioni può in Italia esistere un'industria metallurgica? E a quale prezzo per tutto il complesso della economia nazionale? Non dico l'osservatore superficiale, ma almeno chi ha l'abitudine dell'esame dei fatti economici deve avere notato come una industria, che è costretta a importare dall'estero materie prime e carbone, non può immettere sul mercato interno i suoi prodotti se non a condizione o di fornire prodotti nei quali il lavoro sia prevalente, o di avere una mano d'opera scarsamente rimunerata in confronto alla mano d'opera estera; o di avere una protezione tale per il mercato interno da superare con tale mezzo la concorrenza estera.

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Come in tutti i momenti critici della vita collettiva si assommano i problemi vissuti e non risolti attraverso lunghi anni di maturazione; così oggi in Italia si sono acutizzati tutti i nostri problemi, da quello agrario a quello industriale, a quello doganale, a quello emigratorio, con una forma di imponenza e di urgenza che non ammette dilazione.

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La vittoria italiana, conquistata a prezzo di tanti dolori e di sforzi immani, poteva essere in parte l'elemento di unificazione del pensiero degli italiani nel dopo guerra, come quella che dava il diritto a realizzare le ragioni stesse della guerra, a creare un ambiente di pacificazione, a determinare meglio i rapporti morali ed economici con l'estero, a rifare la propria economia, e ad assumere una posizione di iniziativa di equilibrio tra i popoli, tra vincitori imperializzanti e vinti umiliati.

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A me sembra invece che la crisi morale e politica del nostro popolo e dei nostri ordinamenti dia il segno di una maturazione, precipitata dagli avvenimenti, nel nichilismo che la borghesia liberale dominante ha portato fino alla esasperazione. Anche nei momenti più favorevoli della vita economica e politica del paese, prima della guerra, mancava un preciso orientamento economico e politico, una vera linea centrale, sintetica, finalistica; si è ondeggiato sempre in politica estera e interna, in economia e nei problemi del lavoro; oggi un colpo all'industria, domani all'agricoltura o ai commerci; un momento triplicisti, un altro con la Francia o l'Inghilterra, colonialisti e rinunciatari; a metà verso le classi lavoratrici e a metà verso il capitale borsistico e speculante; nella ignoranza ufficiale dei problemi tecnici, nella svalutazione costante dei valori morali, nel disconoscimento delle forze vive del lavoro, spesso lasciate a sé stesse all'estero nella emigrazione forzata e avventurosa; all'interno nella sconoscenza del valore agricolo e produttivo del mezzogiorno, che dava e dà alla bilancia commerciale le sue stremate e sì ricercate ricchezze; e tutto ciò acutizzato da una continua tendenza a sopprimere l'iniziativa privata e a centralizzarne le energie.

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Attorno a questo fatto maturano i partiti politici italiani: tanto è vero che ogni altro partito che si sviluppa ai margini di altri fattori, manca di rispondenza e di vitalità attuale, ed è destinato a lasciare la caratteristica di partito, per vivere quale semplice associazione a scopo limitato o quale titolo fittizio di settore parlamentare.

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E se il socialismo italiano non fosse insieme cooperativismo, organizzato, alimentato, sorretto dallo stato, sindacalismo reso forte dallo stesso stato e dagli industriali o dagli agrari, adattamento politico evolutivo, un tempo diretto da Ferri a Bissolati, da Berenini a Bonomi, e oggi da Treves e Turati a Buozzi e D'Aragona; avrebbe una caratteristica molto più temibile ed audace, eliminerebbe l'equivoco e creerebbe sul serio il fenomeno della rivoluzione violenta. Per questo i tentativi di Nitti e di Giolitti sono orientati verso il centrismo socialista, nella speranza d'una divisione e di un distacco che serva a dare ai partiti borghesi quel tanto di vitalità e di orientamento, che essi oggi più non hanno.

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Ma ogni periodo ha la sua fase acuta centrale; e sbaglia chi crede di trasportare a suo talento il pensiero delle masse da un termine all'altro.

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Il primo anno di vita del Partito Popolare Italiano

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Sturzo, Luigi 6 occorrenze
  • 1920
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 357-368.
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Su questi argomenti la direzione ha chiamato il congresso a pronunziarsi, purché, indipendentemente da ogni modo di vedere particolaristico, venga potente la voce del partito nella sua massima espressione, qual è il congresso, a dare non tanto una sanzione ideale, che trova la sua espressione sintetica nel programma stesso, quanto una affermazione pratica nell'azione contingente e sperimentale, come ogni problema è sentito e vissuto nel momento in cui si parla e si opera.

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A parte le deficienze della organizzazione pratica, che certo diversi congressisti avranno agio e premura di rilevare, per cui è superfluo che io ne parli, deficienze del resto che non si potranno eliminare che col tempo, con i mezzi e con la formazione di propagandisti e di uomini dediti alla organizzazione; — per cui occorre tempo, continuità, perseveranza e coordinazione di tutte le energie; — a parte ciò, occorre anzitutto rilevare che il movimento di pensiero e di cultura non è stato pari a quello dell'azione.

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Si deve tendere a questo termine con ogni sforzo e si deve arrivare a superare ogni difficoltà; perché è tanto più necessario ciò quanto più è vitale per il nostro partito una salda unità e una disciplina rigorosa, fatta più che altro di unità di pensiero e di direttive.

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Nell'ambiente dei nostri organismi (sezioni, comitati, consiglio nazionale e congresso) le tendenze hanno la loro sede naturale ‘di affermarsi e di arrivare anche a prevalere, senza che per questo avvengano creazioni di organismi speciali, autonomi e indipendenti. E perché le iniziative non avessero a pervadere il corpo organico del partito e a danneggiarlo, il consiglio nazionale nel caso dell'ala destra, e la direzione del partito nel caso dei gruppi di avanguardia, rapidamente e nettamente opposero il loro divieto.

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Questi atti sono sembrati a qualcuno autoritari e violenti: non occorre rilevare l'accusa; la necessità di una forza organica unitaria per il nostro partito oggi è questione vitale. La coesione di tanti uomini e di tanti organismi nel nostro partito non è un fatto fittizio, ma è ancora allo stato tendenziale; diversità di cultura, di preparazione politica, di rapporti di classe, infiltrazioni liberalizzi e socialistici nella valutazione pratica dei problemi economici e sociali; diversità di interessi locali e regionali, diverso modo di valutare i fattori di disgregazione sociale, impressione più o meno sensibile dell'imponenza del fenomeno comunista, sono elementi che rendono lenta e difficile la elaborazione pratica unitaria del nostro pensiero politico. Per di più le organizzazioni economiche e sindacali, che hanno con il partito comune il programma sociale cristiano, attraversano necessariamente la fase dell'apoliticismo come fino a ieri fecero quelle altre oggi legate a filo doppio al massimalismo socialista; ciò è una conseguenza della concezione agnostica dello stato, che il laicismo borghese elevò a primo «etico» della vita collettiva, che pesa sulla concezione puramente tecnico-economica dei nuclei di classe, i quali domani diventeranno forze politico-organiche della nazione.

Pagina 365

Così a me sembrano non opportune ne pratiche oggi le proposte fatte da alcuni di modificare lo statuto del partito. Certo nessun organismo nasce perfetto, né mai acquista una perfezione ideale; si tratta sempre di tentativi di approssimazione, e lo sforzo continuo è quello di dare agilità e rispondenza agli organi propri in ragione dello sviluppo e a contatto con la vita vissuta. Ma sarà bene considerare che le forme non precedono, ma seguono la vita; e la vita non è lo sforzo di un giorno o di un anno, ma tradizione e responsabilità, perché l'attività degli uomini è più delle forme che essi si impongono. Il nostro partito deve ancora creare le responsabilità direttive, gli uomini esponenti, gli organi consolidati nella loro tradizione e sviluppati nella loro efficienza. Perciò sono contrario a mutamenti rapidi, a nuovi tentativi di nuove forme organiche, a riforme subitanee di statuti e di regolamenti, fino a che la esperienza acquistata nell'azione e resa norma nella pratica non superi nel fatto l'involucro delle forme e il rigiriamo della lettera. Del resto i congressi annuali hanno una forza morale in sé, e sprigionano tale energia nel contatto di tante anime convergenti ad un fine e cooperanti nella foga e nel tumulto di fare e di antivedere, nel calore delle discussioni, nella fede dell'avvenire, nel cozzo delle tendenze, che superano di per sé qualsiasi temuto arresto o deviazione degli organi e degli uomini dirigenti.

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Gesù contemporaneo

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Murri, Romolo 6 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 179-211.
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E lo stesso può dirsi di ogni altra cosa che è nei Vangeli e nei simboli della Chiesa primitiva; a cominciare dalla creazione e dalla incarnazione.

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Tremerei per l'esame, ma non proprio pensando alle formule dei teologi e a tutti i fastidi che essi mi hanno procurato, in tempi oramai lontani. C'è UN suo duplice precetto e su quello egli mi interrogherebbe. Da Lui, a ogni modo, io ho imparato la libertà spirituale.

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«Senza dubbi esso (il messaggio) è semplice, quando è ridotto a una mera cosa naturale». Strane parole per noi che neghiamo la natura. La realtà e la vita non sono che creazione spirituale, atto dello spirito. «Secondo quei liberali, il messaggio di Gesù consiste nel proclamare la paternità di Dio, la fratellanza degli uomini e il dovere di essere buoni; e ciò è naturale; ma se vogliono confessare a sé stessi tutta la verità — è

Pagina 197

«Per un uomo il chiamarsi cristiano quand'ei nega a Gesù il titolo e il carattere di Cristo è una contradizione in termini. Se voi date a Gesù quel titolo e non credete nella cosa che esso esprime voi sacrificate la vostra integrità intellettuale». Ho detto in che senso noi ci diciamo cristiani, tutti quanti noi ripudiamo, con atto positivo, l'eredità spirituale del cristianesimo. Esso è la nostra storia. Ed esso è anche l'interiore atto vivente del nostro spirito, e Gesù è per noi il Cristo — qualunque sia il significato che a questa parola attribuissero gli ebrei o Gesù stesso — perché egli è il pensiero fatto parola, la parola creante il bene, la più intima nostra sostanza religiosa, la fede che è la nostra volontà più profonda.

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«Soltanto i fatti e la personale esperienza dì essi possono obbligare a credere. Le Chiese, per acquistare aderenti ai loro sistemi confessionali, molto giustamente si adoperano a persuadere altri affinché credano». Ma questi sistemi confessionali sono parecchi e diversi; e ciascuno di essi implica una diversa versione dei fatti. Noi dovremmo dunque trovarci dinanzi a parecchie mistificazioni, se ci fossero davvero dei fatti immobili nella loro realtà storica e facilmente constatabili. Ma la verità è che i puri fatti non esistono; esistono invece le innumerevoli coscienze ciascuna delle quali rifà, cioè rivive e valuta i fatti a suo modo. E, salvo per alcuni dati storici elementari e di per sé stessi assai poco significanti, negli stessi Vangeli noi ci troviamo dinanzi non a dei fatti, ma a testimonianze di una fede, ad una transvalutazione religiosa, e talora anche ad una invenzione, sulla base di «profezie», oppure di esigenze didattiche, dei fatti. L'esperienza personale é creazione personale di esperienza.

Pagina 205

Insistere nel tener fede a quello che nella dottrina dei vangeli e degli altri scritti del N. T. costituisce il linguaggio, il riflesso di opinioni popolari e di sistemi filosofici del tempo, la derivazione dai miti cosmogonici orientali e dalla tradizione nazionale ebraica, l'immaginosa anticipazione di una palingenesi cosmica, è voler mantenere a forza un dissidio sempre più manifesto fra il pensiero contemporaneo e il «messaggio» cristiano.

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Il modernismo che non muore

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Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 37-59.
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Primo suo ufficio era di restituire in qualche modo la coscienza religiosa a sé medesima, ridirle la formidabile parola: di fronte a ogni cosa concreta, finita, esteriore, di fronte ad ogni tua creazione o manifestazione passata, tu hai il tuo Dio in te, sei, in qualche modo, quando mortifichi e annulli la tua effimera individualità nella coscienza dei valori assoluti ed eterni, il tuo Dio a te, e non puoi abdicare a questa tua sovranità nelle mani di altri, e non puoi schermirti dall'essere te stessa e dal farti volontà buona, con nessuna lettera di precetti e di regole: ed a questo momento e compito è legato in modo indissolubile il nome di Giorgio Tyrrell Si leggano, nel numero di febbraio 1918 della Riforma italiana, alcune pagine inedite di Tyrrell mirabilmente perspicue..

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Infine, era necessario ridar valore e contenuto essenzialmente religioso a quell'altro aspetto dello spirito cercante sé stesso e la sua autonomia che apparisce specialmente nelle dottrine politiche contemporanee e nelle correnti civili e sociali, nella democrazia, intesa nel suo più largo e comprensivo significato; ed a questa esigenza rispose inizialmente la democrazia cristiana dei diversi paesi: la quale dalla sua logica, dove essa fu seguita, fu condotta a rinunziare ad un avvicinamento e ad una giustapposizione di democrazia e di cristianesimo, come di due cose diverse e distinte, che negava il problema stesso che si proponeva di risolvere, ma a presentare i valori essenziali della democrazia come valori di per se stessi religiosi.

Pagina 57

Un grido di dolore

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Murri, Romolo 3 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 155-166.
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Il caso capitato a questi sacerdoti è degno di attento esame. Essi, come tanti altri loro colleghi, isolati in un seminario, assoggettati per anni ad una pedagogia monastica e celibataria, messi assiduamente in guardia contro la impurità della car¬ne e le insidie del demonio che vi si nasconde, pieni la mente di una artificiosa ed ingannatrice apologia della Chiesa e dei mezzi celesti infallibili con i quali essa, a chi non voglia di proposito farsi malvagio, garantisce la sicura e gioiosa osservanza della castità perpetua, a 21 o 22 anni, ricevendo la prima ordinazione sacra, del suddiaconato, hanno fatto voto solenne di castità per tutta la vita, insieme al voto di obbedienza al vescovo.

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E allora molti di questi sacerdoti sottratti, nei più fervidi anni della loro giovinezza, alla manutenzione ecclesiastica, passati attraverso la vita militare, abituatisi a sorridere alla giovane figlia della vivandiera od a passare a drappelli ed a coppie per le vie della città tentatrice, nelle prime ore notturne; e quelli che continuando, pure fra gli ospedali e nel campo, una vita austera e raccolta, hanno tuttavia veduto se stessi e la società e la ditta ecclesiastica con occhio nuovo, e impa¬rato a sorridere un poco, dentro di sé, dei loro superiori celibatarii, non avrebbero che una via innanzi a sé; rivolgersi ai loro superiori, alla loro Chiesa, e dire apertamente ad essa: liberateci da questo peso che é troppo grave per noi, da questo tormento interiore nel quale la nostra giovinezza rischia di esaurirsi. Voi sapete in quali circostanze, con quali mezzi, ci avete indotto a giurare la castità perpetua. E noi sappiamo che essa non fu chiesta da Cristo ai suo apostoli, non fu chiesta, per secoli, ai sacerdoti cattolici, non è chiesta, oggi stesso, nella stessa Chiesa cattolica, a sacerdoti di altro rito. Liberatecene, e l'esser buoni mariti ci salverà dallo strazio o dall'ipocrisia, non c'impedirà d'esser buoni parroci, ci permetterà forse anzi di esser migliori parroci.

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E allora a questi sacerdoti ex militari, a quelli di essi che non vogliono, come parecchi loro colleghi vanno facendo, uscire tacitamente dal sacerdozio e dalla Chiesa e che non vogliono nemmeno «arrangiarsi» segretamente e continuare come senulla fosse, a quelli che cercano non la femmina, ma la donna, non rimane che una via, anzi un viottolo angusto e per il quale non giungeranno a nulla: chiedere all'opinione pubblica di interessarsi di essi, perché si possa indurre l'autorità ecclesia¬stica o il legislatore civile ad esaminare il loro caso.

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Il Partito Popolare Italiano

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Murri, Romolo 5 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 92-127.
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Ma c'era già intanto un gruppo di giovani — e il lettore li conosce — il cui programma era di spingere la Chiesa a rientrare nella vita pubblica italiana, non a servizio della reazione, ma a servizio del popolo e della democrazia.

Pagina 102

«Per dare a questo movimento democratico-cristiano, a questo partito nascente un organo popolare nazionale, noi fondiamo oggi, con l'ap¬provazione e l'appoggio di numerosi amici di tutta Italia, il Domani! settimanale ora, quotidiano, speriamo, più tardi.

Pagina 104

Nel 1908, quando chi scrive, già colpito dalla sospensione a divinis, trattava con l'autorità per la revoca del provvedimento e si dichiarava disposto a ritirarsi da ogni attività pubblica, trovò la via della riconciliazione sbarrata da due pretese che non ritenne di poter accettare: impegnarsi a non aver più alcuna corrispondenza privata con i suoi antichi amici e collaboratori ed aderire formalmente al principio della assoluta obbedienza al pontefice anche in materia politica e sociale. Per difendere, adunque, il diritto dei cat tolici a una loro politica non ufficialmente regolata e diretta dalle autorità ecclesiastiche, egli fu escluso dalla Chiesa e colpito di scomunica maggiore, nominalmente. Se non avesse avuto la strana pretesa di possedere una coscienza propria, nel cattolicismo, egli sarebbe oggi il segretario politico del partito, fondato diciotto anni fa in un modesto appartamento di Piazza Torretta Borghese, in Roma.

Pagina 108

Pio X, per il fatto stesso dell'aver riconosciuto nel modernismo, questo «veleno di tutte le eresie», la minaccia di una nuova filosofia (che non è proprio quella della Risposta dei modernisti e delle Lettere di un prete modernista) contro le basi tradizionali della dottrina cattolica, una espressione, sorgente dal seno stesso della Chiesa e rivolgentesi contro di questa, di quello spirito di autodecisione e di autogoverno che è il più intimo valore di tutta la vita contemporanea, si sentì tanto più fortemente mosso a chiamare a raccolta tutte le forze di conservazione, a riavvicinarsi allo Stato — secondo il concetto che egli ne aveva — egualmente minacciato dallo sviluppo ideale del principio democratico.

Pagina 110

Infine va considerato a parte l'ottavo paragrafo — il quale avrebbe logicamente dovuto essere il primo, e si intende bene perché sia stato cacciato in mezzo a una lunga lista di rivendicazioni politiche. Esso dice :

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Chiese e cenacoli

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 167-178.
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Se si tratta di inscritti a confessioni evangeliche, è un'altra cosa. In queste c'è molta maggior libertà. Esse stesse vivono, ufficialmente, in rapporti fraterni, sono lungi dallo scomunicarsi e gridarsi: raca. Sentono di esserciascuna, non il tutto, ma parte di un tutto spirituale. E sino a quando il movimento interconfessionale, fra membri di esse, non assuma valore e significato di una realtà religiosa, di una società religiosa che basti intieramente a se stessa, annullando le distinzioni e le differenze nella vivente esperienza del contenuto dei simboli antichi, la lealtà alle singole confessioni può associarsi con un nuovo vincolo spirituale che solo virtualmente le assomma e le annulla.

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La Democrazia Cristiana in Italia

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Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 62-90.
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Ho detto già come, per taluni dei modernisti più rappresentativi, l'esser cattolici e il trovarsi a svolgere la !oro attività, da principio, nella Chiesa fosse, più che un assunto, o una scelta consapevole, libera e personale, un dato, una contingenza della vita: e come dalla legge intima di questa, tenacemente obbedita, fossero portati prima a cercare fiduciosamente di mettere d'accordo, in se stessi, la religione storica cui appartenevano con le esigenze della loro personalità spirituale, poi a rivendicar queste contro di quella, sino alla conquista della piena libertà.

Pagina 62

La democrazia cristiana fa quindi parte, forse anche prima e più che della storia della Chiesa, della storia civile; tocca e sconvolge quegli strati profondi della coscienza, della volontà umana operante a costruire il suo mondo, nei quali Stato e Chiesa non sono più che due parole, due nomi della stessa realtà. La Chiesa è da principio chiamata in causa, non per quello che essa è interiormente, come istituto specificamente religioso, ma per il posto che essa occupa, l'atteggiamento che ha preso, l'influenza che spiega nella vita politica e sociale. Come è stata nei tempi della sua decadenza, religiosa a un tempo e politica, per principi e gruppi dominanti e classi privilegiate, uno strumento per piegare le coscienze e mantenerle in quello stato di soggezione politica che faceva comodo ai loro interessi, così ora sarà uno strumento per scuotere la potenza di queste, per destare i dominati e gli sfruttati, vincere con la forza di una persuasione religiosa la loro servilità ed apatia, eccitarli a sorgere in piedi, ad agire ed a conquistare. C'è, insomma, sia rapporto di classi, un possesso politico e sociale, una gerarchia di valori civili da invertire, e c'è una Chiesa storicamente immischiata nel vecchio regime, fatta strumento di taluni interessi, presa in un ingranaggio politico di dominio, che bisogna svin¬{{67}}colare da questo, volgere da destra a sinistra, impiegare come strumento di lotta e di liberazione.

Pagina 65

Che cosa fu il modernismo?

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Murri, Romolo 4 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 6-36.
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L'eresia, nel significato classico della parola, deve essere ed è sullo stesso terreno dell'ortodossia: domma opposto a domma, bibbia opposta a bibbia, Dio a Dio, Cristo a Cristo. L'ortodosso e l'eretico sono parimenti i custodi della «vera» rivelazione; e ogni ortodosso è eretico, per qualcuno, e viceversa.

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Quando i gesuiti e il Vaticano cominciarono a trovare incomodo quest'uomo che diceva delle cose tanto semplici e tanto rivoluzionarie, non seppero che cosa opporgli; avevano dieci libri e cento articoli, di lui, e...lo pregarono di sottoporre a revisione la sua corrispondenza privata.

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Oggi lo studioso o l'insegnante suggerisce ed anticipa; pronto a correggersi egli stesso, a cercare ancora, a integrare la sua verità in una verità più comprensiva e più vasta, egli ha abolito in sé lo spirito dommatico; sa che ogni verità deve essere riconquistata e che ogni riconquista é una invenzione.

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Se fossero stati degli eretici, dei veggenti, o anche solo dei romanticamente mistici, essi avrebbero appellato al cristianesimo primitivo, opposto dottrina a dottrina, Padri a Padri, riti a riti; appunto come fa quell'abbé Fouchet del romanzo di Paul Bourget Le démon dumidi, personaggio e tipo che non è esistito se non nella fantasia di un romanziere a tesi e che rivela una perfetta inintelligenza di quello che fu, nelle sue linee essenziali e nei suoi uomini caratteristici, il modernismo.

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Un solitario

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Murri, Romolo 4 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 128-144.
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Ma a giudicare delle origini ideali e della importanza e delle esigenze immanenti e delle lotte e dell'avvenire del proletariato a lui mancava qualche cosa di essenziale: la conoscenza del mondo moderno e dello spirito contemporaneo. E per la conoscenza a lui mancava la simpatia; poiché da questo mondo egli era irreparabilmente diviso dalla sua fede. Egli non vide nel socialismo un momento dialettico delle rivendicazioni che, iniziatesi nel campo filosofico, in Italia stessa, e nel religioso, in Italia e poi più efficacemente altrove, negavano la società antica, ecclesiastica e imperiale e feu¬dale, sospingevano le classi, l'una dopo l'altra, all'autonomia, al dominio della società storica, delle sue leggi e dei suoi istituti.

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Oltre a questo, e a differenza di molti della scuola sociale-cristiana, il Toniolo ebbe una fede ingenua e sincera nel popolo, nelle classi lavoratrici e nella loro in parte riconosciuta ed in parte preconizzata ascensione; egli fu un mistico della fraternità umana e del lavoro, un democratico con lo spirito di Francesco d'Assisi. Per ciò egli fu quindi anche sinceramente e spontaneamente italiano, della più pura italianità.

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Poiché nel pensiero del Toniolo il popolo non era a sua volta che un mezzo, uno strumento nelle mani della Chiesa, un gregge docile a questa, che sola poteva trarlo dal male a salvamento; ed alla cui autorità, divinamente costituita, esso doveva, con filiale docile affetto, sottostare. Tutto dunque, piuttosto, per mezzo della Chiesa; e del popolo solo in quanto, nell'epoca nuova da lui preconizzata, alla grande massa dei lavoratori, oltrepassando i potenti e i ricchi della terra, la Chiesa stessa si sarebbe rivolta, e si rivolgeva, con Leone XIII e la sua enciclica. Rerum novarum, la Magna Charta della nuova democrazia, per compiere, a vantaggio di essa, e con la forza delle sue organizzazioni dirette e disciplinate dal clero, il nuovo assetto sociale. Il popolo dunque era, nella mente del Toniolo, e per parlare il linguaggio della sua filosofia, la materia, della quale la Chiesa doveva esser la forma, la mente, l'anima direttrice.

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Ma Toniolo era dei mistici docili: ed accettò la Graves de communi, cercando di interpretarla come un temporeggiamento ispirato da prudenza; pronto a dare a sé tutti i torti ed all'autorità, che vedeva più alto e più da lontano, tutte le ragioni.

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