Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I problemi del dopoguerra

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Sturzo, Luigi 50 occorrenze
  • 1918
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 32-58.
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A questi veri ispirerò il mio dire nel parlare dei programmi del dopo guerra oggi che la guerra è finita, e che nuovo cammino è aperto ai popoli nelle trepide ore della pace che sorge.

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Rapida come il fulmine, vasta come la tempesta, avvolgente come l'uragano, venne la vittoria, premio alla costanza, virtù di uomini, ragione di eventi, alta disposizione di Provvidenza; — e abbiam visto Lucifero cader dal cielo come una folgore, quando il tedesco, nel culmine delle sue speranze, dopo aver quasi raggiunto Parigi e carpito il trionfo, cedeva, cedeva, nel disfacimento di una forza titanica, immane; quel Lucifero che peccò di superbia di fronte al mondo e di fronte a Dio.

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Una sintesi che ne volessimo tentare non avrebbe che valore effimero: domani, potrebbe dileguarsi qual nebbia al sole, evanescente e leggera; un programma, formulato quando ancora si è sotto l'incubo degli eventi, può divenire un vaniloquio sterile, non appena la realtà sopraggiunga con la sua forza tiranna; ma vi sono veri immutabili e profondi, che dominano gli eventi, e che illuminano le coscienze; occorre riverberare sugli umani eventi e sulla coscienza umana questi veri, perché una guida pratica sia a noi segnata anche nel tumulto dei trionfi e delle crisi.

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C'è da disperare delle magnifiche sorti e progressivedel secolo XIX, nell'amarezza leopardiana del disinganno; c'è da disperare della virtù delle grandi nazioni se fino ad oggi il turco regna a Costantinopoli, e fino a ieri teneva la Terra Santa, e mieteva le vittime in Armenia, come annuale raccolta di spighe mature, cribrate dall'odio di razza.

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E perché il turco fino a ieri comandava in Bulgaria e in Grecia e l'Austria fino ad oggi ha tenuto soggette Trento e Trieste, e l'Alsazia e la Lorena vennero con la guerra strappate alla madre patria?

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Quella coscienza addormentata o costretta a tacere, che sopravvive nelle generazioni che si inseguono, e che ha per base la razza, la storia, la lingua, la religione, si risveglia all'urto formidabile degli avvenimenti, e crea uno stato d'animo nuovo, diffuso e valido, che tenta le sorti della vita con la forza indomita e fatale del destino. Così risorge la Polonia, torna italiana la Dalmazia, si ridestano i ceco-slovacchi della Boemia, perfino la Jugoslavia tenta una grande esistenza: ruteni e lituani, ucraini e rumeni levano la voce compressa della razza, rivivono le antiche vicende patrie e creano le nuove sorti di popoli affrancati.

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Fra poco i governi si riuniranno a discutere della pace e del disarmo. Mentre non è possibile e non sarebbe giusto invocare una pietà di debolezza, e, imprevidenti, alimentare speranze di riscosse nei popoli nemici; mentre è equo e doveroso far sentire il peso dei delitti che hanno provocato e compiuto coloro che la guerra prepararono e vollero; non deve dimenticarsi che i popoli debbono vivere ed evolversi, che le nazioni Dio fece sanabili, e che nel nuovo ordine, tutti i popoli debbono avere la giusta parte di restaurazione e di progresso.

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La questione è intima, nel crollo di tutte le vecchie concezioni imperialistiche delle così dette grandi potenze, e nello spostamento di attività, ricchezze e influenze anche collettive e statali, dall'Europa all'America del Nord; e nel riflusso di forze nuove che dall'America viene sul vecchio continente europeo, come a ringiovanirlo — novello Fausto — al tocco delle ingenue energie di popoli forti, che han saputo tendere alla più larga conquista della libertà e al più notevole sviluppo della democrazia politica e sociale.

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Farà meraviglia certo, a spiriti superficiali e ai liberali dello stampo classico, sentire che oggi il problema più significativo e l'elemento di contrasto si basa sopra una ragione di libertà.E non è certo di una libertà formale ed esteriore che intendo parlare, ma di una libertà intima e sostanziale, che pervade e informa tutto il corpo sociale.

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Tale concezione panteistica è penetrata, dove più dove meno, in tutte le nazioni civili a base liberale e democratica e nel pensiero prevalente della filosofia del diritto pubblico; e quelle che hanno maggiormente contrastato le finalità religiose della chiesa, hanno sostituito nella negazione di ogni problema spirituale collettivo, una nuova religione laica, quella dello stato sovrano assoluto, forza dominatrice e vincolatrice, norma e legge morale, potere incoercibile, sintesi unica di volontà collettiva.

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Così è in tutto lo sviluppo della vita sociale, da quella domestica a quella nazionale, da queste a tutte le forme di libere unioni: la ragione sociale è insita nell'uomo, come ragione specifica della sua esistenza; e ogni novello vincolo che egli accetta o persegue per la sua elevazione e il suo miglioramento (e perciò rispondente alle sue finalità naturali) è nuovo ausilio a superare sé stesso e le proprie deficienze, e nuovo mezzo per la liberazione da mali che si fuggono per beni che si vogliono raggiungere: è insomma un elemento di libertà organica.

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C'è l'inversione dei termini: mentre il vincolo sociale deve servire alla elevazione personale di ciascun associato, nella concezione statale liberale, lo stato diviene fine ultimo di ogni attività degli associati, legge a sé stesso, principio di ogni altra ragione collettiva.

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Questo principio urta con tutta una tradizione laica, che ha voluto ridurre la religione a semplice fatto individuale e di coscienza, a rapporto interiore che nel ripercuotersi al di fuori nel campo sociale, resta soggetto, come qualsiasi altro fenomeno svolgentesi nella società, ai poteri dello stato sovrano.

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È il perno fondamentale del dualismo: di fronte a un organismo assoluto panteista, si pone una ragione psicologica spiritualista: e di fronte ad un assoluto concettuale, che è lo stato, si eleva la forza di un assoluto sostanziale, che è Dio.

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Non tutti arrivano ad afferrare nella sua realtà il contrasto che agita menti e coscienze e che turba la vita umana, da quando, in nome della libertà, si sostituì la ragione liberatrice di ogni deficienza e manchevolezza, con l'organismo statale, mezzo e non fine; molti vedono nelle apparenze la tolleranza religiosa e anche la libertà, come concessione statale a una parte di cittadini, che possono così soddisfare ai bisogni spirituali della propria anima, secondo la fede che professano. Non è un regime di tolleranza che si invoca, nella sconoscenza ufficiale di ogni principio religioso; ma un regime di libertà nel riconoscimento delle alte ragioni morali e sociali della religione, la cui esplicazione non può dipendere dalla volontà di governi, che non creano diritti, ma li riconoscono; né possono limitare quel che è al disopra della ragione specifica della società statale.

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Ma la liberazione ancora deve raggiungere la sua mèta: non sono scomparsi i nostri giuristi italiani, che tuttora mantengono inviolati e inviolabili i diritti politici dello stato sulla chiesa appoggiandosi a vecchi presupposti giurisdizionali di regimi concordatarî ed assoggettando la proprietà e i benefizi ecclesiastici, vincolando nomine, regolando confraternite, impedendo la costituzione di ordini religiosi, non consentendo lasciti pii, legiferando in maniera come assoluto dominatore del soggetto religioso, indipendentemente e al disopra della chiesa. Non è cessata la persecuzione legale in Francia, che, denunziando il concordato, volle impedire la legale esistenza della chiesa, ne volle ufficialmente sconoscere il capo, infierì contro ordini religiosi e gerarchia, indemaniò beni, ridusse le chiese a cinematografi e magazzini, in una foga violenta di distruzione, alla vigilia triste del conflitto mondiale, che della Francia tendeva alla rovina.

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Eppure han sentito dolorare l'animo loro, quando han visto che proprio al pontefice romano il governo del proprio paese faceva un trattamento di diffidenza, introducendo nel patto di Londra l'articolo 15 come a parare una offesa e a riserbarsi un diritto da imporsi alla coscienza cattolica di tutte le nazioni.

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Ebbene, questo problema oggi la guerra lo ha posto in forma nuova: cadono vecchi regni, ancora legati diplomaticamente alla Santa Sede; scompare quell'Austria dal veto del conclave del 1903: non esiste più la Francia concordataria, quella che poteva sfruttare all'occasione il problema della questione romana contro un'Italia che ricordasse Tunisi e il Mediterraneo; è finita quella Germania di Bismarck, che l'Italia sollecitò nella triplice alleanza, per una base solida che avesse garantito eventuali rivendicazioni; tutta quell'Europa insomma che, tra il segreto diplomatico e le mene di gabinetto, nel farsi e disfarsi di alleanze ufficiali e di intese amichevoli, tramava ai danni dei diversi stati e a vantaggio ciascuno del proprio, nella ricerca di un equilibrio instabile, e che fece pensare a uomini di stato italiani, scioccamente, che il papa potesse essere in tale tramestio pari ad un qualsiasi pretendente politico; quella Europa, già trasformata in parte negli ultimi anni, oggi è caduta; e si sentono ancora i passi della fuga del Kaiser, le vaganti ombre dei re scoronati in cerca di rifugio. Così passa la gloria del mondo!

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Oggi nessuna previsione regge; ma certo si è che, a parte la prova delle crisi gravi e spasmodiche, la rivalutazione dei valori morali e religiosi della società, nella più larga tendenza finalistica, si impone alla coscienza pubblica come un vero problema di libertà.

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Ed è proprio il momento oggi: non è stato detto invano che nella marea che monta, i liberali e i massoni, esponenti politici della borghesia che tramonta, cercheranno di dare un diversivo alle plebi, scatenando la canea anticlericale, come a parare, rossa bandiera da circo, le furie del toro eccitato e furente.

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In Germania in genere e specialmente in Prussia esponente dello stato era il militarismo, casta di predominio, concezione antidemocratica di forza, contro la quale ha combattuto l'Intesa, ha mosso in particolare tenzone l'America del Nord; nessuno dei liberali italiani oggi dirà che il militarismo prussiano aveva il diritto assoluto di foggiane le anime tedesche a quella concezione della Germania über alles che ha scatenato la guerra. Domani anche da noi potrà essere predominante nel governo il partito socialista, quello che ieri, anche dopo la vittoria, gridava evviva Lenin ed evviva la Russia;e neppure i liberali statolatri, quelli che han compressa e annullata la libertà di insegnamento, vorranno che le nostre scuole divengano monopolio socialista. È troppo evidente l'argomento, per non poter rimproverare a questi stessi liberali, governanti di ieri e di oggi, dalla legge Casati in poi, di essersi asserviti alla sètta in materia di insegnamento e di avere voluto creare un monopolio intollerabile e assurdo, dalle scuole elementari semistatalizzate, alle secondarie assoluto dominio governativo, alle universitarie, ove perfino l'istituto della libera docenza è ridotto a una larva di libertà, mentre non è dato a nessuno che non abbia la marca governativa di potere insegnare, si chiami Socrate o sia un novello Platone.

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Tutta la nostra legislazione scolastica sull'insegnamento pubblico e privato è tendenziosa, e mira a sopprimere o ridurre all'impotenza le iniziative private, e ad imporre un tipo unico, uniforme, meccanico di insegnamento e di programmi, e a centralizzare ogni attività locale e individuale. È andato perduto così il contatto effettivo, educativo, morale della scuola col popolo; si è creato un ambiente professionale e di carriera dell'insegnante; si è eliminato l'elemento religioso come estraneo e ostile; si è spinta la tendenza, più che allo studio, alla conquista del diploma, come un qualsiasi passaporto per la vita civile ed economica, indipendentemente dalla formazione spirituale e intellettuale della gioventù studiosa.

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Ciò avviene per doppia conseguenza; una logica: dalla concezione dello stato panteista, sorge e deriva il concetto dello stato unico educatore e insegnante, che deve a sua immagine e somiglianza creare i cittadini; l'altra politica: la difesa che lo stato laico opera contro l'influenza religiosa, che esso si rappresenta come potere nemico, nella gelosia di un predominio morale che non gli spetta.

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Mai come oggi, dopo tanti sacrifici di sangue, dopo tanta unione di spiriti, cementata dal vivo soffio religioso, durante quattro anni di guerra; mai come oggi in cui avviene il crollo delle idee liberali del secolo scorso che informarono la società europea fino a ieri; mai come oggi, che i popoli non sognano ma esigono radicali riforme politico-sociali, la libertà di insegnamento appare come matura nei destini della patria nostra, come atto di pacificazione spirituale, come elemento di nuova forza morale per i grandi destini d'Italia. E oggi viene affermata non solo dai cattolici, come ragione ed elemento di coscienza e di fede, ma da quanti han visto fallire una scuola ufficiale, che nel suo ordinamento e nelle sue finalità è divenuta formula burocratica, mezzo di guadagnare un diploma, oppressa da catene centralistiche, nel dominio della incompetenza, elevata a ragione di stato.

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Già altre formule cadono e altre libertà sono mature per la conquista: una delle cause del fallimento della pubblica istruzione è stata la centralizzazione burocratica e monopolistica, e ciò indipendentemente dalle ragioni ideali e di coscienza che muovono i cattolici a proclamarla e volerla. Ebbene, questo fenomeno di centralizzazione statale edi burocratizzazione della vita nazionale si ripercuote in tutti i campi dell'attività sociale, è divenuto l'assurdo sperimentale opprimente della vita politica moderna.

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Chiunque consideri lo sciupio e la perdita di energie che occorre, nell'attrito quotidiano e infinito di ruote stridenti e di pesanti ingranaggi creati dalla manìa regolamentatrice della nostra vita pubblica, chiunque consideri lo spezzettamento di competenze e di uffici che entra in gioco per la pratica più semplice e più insignificante; chiunque consideri come si renda ogni giorno più stanca la macchina statale, mentre il mondo è in corsa, nel tumulto delle energie frementi, nel ritmo di una vita che trascorre moltiplicata da sempre nuovi crescenti punti di relazione, che a loro volta moltiplicano i rimbalzi del pensiero e degli affari per quanti sono gli individui che cercano o tentano le sorti del proprio miglioramento, dalle officine ai campi, dai commerci alleindustrie, dalle scuole ai comizi, alle assemblee, alle borse, alle società, ad ogni manifestazione di attività umana; chiunque consideri la realtà e la confronti con il regno degli schemi e delle circolari, dell'addensarsi di carta scritta, dovrà ammettere di trovarsi di fronte a un regno di sogno e di ombre e di morte il quale intenda regolare la vita, che pulsa e che freme: tale è il distacco fra i due mondi.

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La guerra ha per necessità di cose accentuata questa tendenza statale; ma come il paradosso fa rilevare meglio l'errore ammantato di verità, come la caricatura svela meglio il difetto, così nell'eccesso della congestione oggi, dopo guerra, si va ridestando più forte la coscienza di una libertà organica delle forze statali, di una rivalutazione dei centralismi necessari, di un decentramento amministrativo, a larghissima base, di un rispetto fatto di fiducia e di speranze nell'esplicarsi delle forze individuali e della iniziativa privata. Questa ultima, dal campo economico al campo intellettuale, dall'attività tecnica allo sviluppo amministrativo del paese, deve poter rendere grandi servigi, se lanciata nell'agone delle libere forze trova la molla del progresso nella convinzione che possa raggiungere il fine senza vincoli esagerati e senza ostacoli fittizi.

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Gli esempi della mobilitazione agraria e della mobilitazione civile durante la guerra sono là a provare la impossibilità pratica di regolare la vita nazionale attraverso formule centralizzatrici e livellatrici; la realtà si ribella con la propria forza incoercibile, e reclama i suoi diritti a chiunque la voglia costringere al martirio del letto di Procuste.

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I socialisti tendono ad una organizzazione di socialismo di stato, e tutti gli sforzi fatti durante la guerra per monopolizzare a vantaggio delle proprie organizzazioni i vari provvedimenti statali riguardo ai consumi e alla mano d'opera della mobilitazione industriale; e tutti gli sforzi che si van facendo per fissare il monopolio statale-socialista per i problemi della smobilitazione operaia e della emigrazione, sono indici visibili di una tendenza a rafforzare l'accentramento burocratico di stato a vantaggio di una organizzazione di parte. Già tutta la costruzione del consiglio e dell'ufficio del lavoro, tutto il piano delle assicurazioni operaie e agricole contro gli infortuni, le malattie e la disoccupazione, risente insieme del formalismo burocratico centralizzato e dell'asservimento statale al partito socialista, come forza unica degli elementi operai, che attraverso la monopolizzazione politica di stato tendono a creare il proprio predominio nella vita pubblica sociale.

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Ma contro a questo grido di liberazione, che parte dai chiaroveggenti, vi sono due tendenze del pari dannose, la statolatra e la socialista, le quali forse prevarranno, se la parte sana del paese non sa vincere la battaglia.

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È evidente che il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace porta gravi compiti allo stato, e una necessaria graduazione nel ritorno a regimi di libertà più evoluta e più rispondente ai bisogni collettivi; ma occorre avere un programma da attuarsi gradualmente, un programma pratico e di larghe vedute. Il decentramento amministrativo anzitutto: insieme con la organicità e autonomia degli enti locali e con il riconoscimento giuridico delle classi organizzate.

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Certo la palingenesi operata in questi quattro anni è immensa; come nel campo delle industrie ha mostrato a noi italiani la soggezione all'estero e la necessità di affrancarci; come ha mostrato la necessità di produrre ancora più grano e di intensificare l'agricoltura tesoreggiando le nostre energie; come la guerra ha provato la necessità di tenere salda la famiglia (i divorzisti e i neo-maltusiani oggi sono degli sconfitti); come la guerra ha provato all'Italia il dovere e l'interesse di farsi una marina mercantile pari alle nostre gloriose tradizioni marinare, se vogliamo sul serio possedere i mari e rifarci una nuova economia produttrice; così ci ha ripresentato i problemi del decentramento amministrativo, delle libertà comunali e della organizzazione di classe, non come terreno sterile di lotte nominalistiche e di sovrapposizioni politiche, non come mezzo a governi e a partiti di predominio volgare, non come formula asfissiante per la vacuità delle lotte elettorali; ma come mezzi di vitalità nuova, come ambiente adatto allo sviluppo di sane energie, come novella ragione di attività sociale, per tutte quelle riforme economiche e produttrici, che debbono risolvere la crisi fortissima del dopoguerra.

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Così il centralismo di stato si riduce a forme di tirannia di partiti e di organismi extra-statali, operanti all'ombra propizia della burocrazia, che pervade le fibre del corpo sociale come un bacillo, che attenua le forze e toglie le energie libere e operanti.

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Ciascuna direzione o divisione tende ad accrescere funzioni e attività, divenendo onnisciente e onniprevidente; arrogandosi la infallibilità pratica e l'autorità assoluta di regolare le sorti dei miseri mortali, che non debbono avere più né cervello per giudicare, né volontà per agire nel nuovo mostruoso falansterio a cui si vuol ridurre l'attività e la vita statale.

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Si sono dovute abolire formule e alleggerire regolamenti, nel campo della vita comunale, e si sono chiamate le organizzazioni operaie a nuove rappresentanze e a partecipare a organismi di interesse statale nel campo del lavoro.

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Ma spesso ad ogni nuova esigenza di stato si è ricorso a nuovi organi decentrati, sicché la moltiplicazione di enti e di comitati ha reso così confusa e intralciata la vitalità locale, che occorrerebbe la guida del perfetto cittadino, per potersi orientare nella selva selvaggia degli ordinamenti locali. Ebbene tutto ciò è riprova che bisogna ricostituire l'organismo fondamentale, l'ossatura della nazione.

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La natura ci insegna la semplicità e la complessità degli organismi; essa aborre da qualsiasi forza inutilizzata o da qualsiasi sperpero di energie; tutto è coordinato a finalità organiche: così deve essere la società; come il primo nucleo fondamentale, dato dalla natura, è la famiglia, che deve rimanere integra e forza basilare della società, e che deve predominare nella nuova organizzazione sociale; così la classe organizzata sulla base del lavoro umano — retaggio e forza e vita, che eleva e nobilita, che ricostituisce le intime energie spirituali e morali dell'individuo, — deve avere il suo pieno riconoscimento nella libertà dell'associazione e nella unità sindacale delle forze operaie, senza monopolio di partiti.

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In mezzo a tutte le deficienze, in parte inevitabili, in parte dovute ad assiderante centralizzazione e in parte per difetto di uomini e di organismi locali, durante la guerra i comuni han potuto e saputo rispondere ai loro molteplici compiti, nel quotidiano contatto con il pubblico, nell'assillante problema del giorno per giorno. Quante formalità si sono superate, abbattendole senza che le vigili oche del potere politico e del controllo amministrativo potessero opporsi, anch'esse assorbite dalla imponenza dei fenomeni della rapida e doverosa provvidenza civica.

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Può essere che tale forza abbia la prevalenza politica oggi o domani, nell'avvicendarsi dei partiti sul terreno elettorale legittimo o illegittimo; ma non deve vincere il pregiudizio, non deve permanere l'equivoco che l'organismo di classe rappresenti il passato delle corporazioni fossilizzate, soppresse allora per rivendicare la libertà di lavoro; mentre oggi si tollerano o si blandiscono le camere del lavoro secondo il fluttuare degli eventi, ponendo ostacoli a quel riconoscimento giuridico che affranchi le stesse masse dall'asservimento ad una parte politica preponderante.

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La guerra certo ha dato la sensazione che occorre una migliore organizzazione di servizi, una unione di forze locali più vasta facente capo a comuni capoluoghi o a provincie per un più utile scambio di energie e attività; ma ha fatto comprendere ancora di più che la vita degli enti locali deve essere alimentata da una reale libertà amministrativa, da una più rapida e vivace organizzazione, da un senso più profondo e reale di responsabilità; deve essere elevata al disopra di ripercussioni politiche, che creano l'asservimento della vita locale, e rendono il comune campo chiuso di lotte sterili, mezzo di predominio governativo, sfruttando tutte le passioni della misera vita

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E saranno adatti gli organi elettivi attuali a tradurlo in atto o almeno a iniziarne l'attuazione nel complesso dei provvedimenti che oggi impone il passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace?

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Da tempo i pochi e i più illuminati han sostenuto la rappresentanza proporzionale, come espressione reale ed efficiente della volontà' popolare; altri si sono accontentati del collegio plurinominale a larga base, con la rappresentanza della minoranza; lo spirito che pervade queste invocate riforme, delle quali i cattolici da un lato e i socialisti dall'altro sono da tempo fautori, contro l'atomismo del collegio uninominale, espressione di maggioranze locali spesso fittizie, irose e pettegole nelle quali s'incanaglisce la piccola vita paesana, lo spirito, dico, che pervade queste riforme risponde al bisogno di avvicinare alla realtà vissuta la rappresentanza del paese. Per questo s'invoca anche la riforma del senato parzialmente elettivo di secondo grado, a numero limitato, con la facoltà di nomina del proprio presidente: perché valga a essere organo vitale e controbilanciante della politica della camera dei deputati, nel dinamismo delle forze rappresentative e vitali del paese.

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Certo che i problemi urgenti immediati assorbono buona parte dell'attività di governanti e di organismi centrali e locali, e può a molti sembrare inopportuna logomachia quella di volere imporre problemi ideali nell'assillante e tumultuante dopoguerra. Forse continuerà nella nostra vita nazionale il sistema del caso per caso, senza indirizzi ideali e senza mète sicure e lontane; e sarà un errore che si sconterà presto e gravemente.

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Però a questi rivolgimenti ideali molto contribuiscono pensatori e studiosi, coloro che anche senza saperlo o senza volerlo intenzionalmente, creano o rilevano dai fatti le grandi correnti di pensiero, che fermentano l'azione.

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La ripercussione dell'azione sul pensiero collettivo non è che identica nell'ordine delle cause, benché specificamente diversa nell'ordine degli effetti, a quella unità spirituale che c'è in noi tra il nostro pensiero e la nostra azione individuale. La somma collettiva delle ripercussioni tra pensiero e azione dà un risultato specifico, dinamico, pari alla forza logica e alla convergenza reale dei bisogni sentiti.

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Non sono spente e non cadono invano le forze del pensiero; ad esse facciamo appello in questi difficili momenti, come lo abbiamo fatto durante la guerra, nella quale ci hanno assistito nella fiducia del trionfo del diritto, nella ragione di giustizia e di civiltà, nella valutazione delle aspirazioni dei popoli e della libertà delle nazionalità oppresse; anche quando gli eventi bellici erano a noi sfavorevoli, e tutti i materialisti della vita, con a capo i socialisti, ci assillavano col pessimismo della loro piccola anima.

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Non può l'Italia dimenticare oggi la grande missione che essa ha nel mondo e che deve realizzare in sé stessa, per averne le forze vive propagatrici; sede del diritto, fonte della storia vivente, per oltre due millenni, centro del pensiero vivo nel mondo, questa umile Italia, con forze finanziarie e con influenze politiche limitate, è entrata non invano nell'agone delle grandi nazioni, non invano è a fianco di quelle potenze che decidono delle sorti del mondo.

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Qui convergeranno popoli e regni in cerca di fede e di verità, a Roma, nome fatidico millenario, dove un pensiero non fossilizzato ma vivente, al disopra delle umane lotte penetra nelle coscienze, anche quando non ne sentono il tocco mistico e diretto; qui affrancate dalle servitù politiche di molti secoli le nuove nazioni rifaranno la loro cultura al tocco delle bellezze della fede, della natura e dell'arte, insieme sposate; qui le onde del Mediterraneo, mare storico per eccellenza, grande tramite di civiltà e di ricchezza, incontreranno i loro flussi rinnovellanti.

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E noi con lo stesso amore rispondiamo all'appello, se l'Italia, il cui nome oggi desta ancora i fremiti della vittoria, se l'Italia in cima ai nostri affetti, ci trova preparati a contribuire in ogni campo, ai suoi grandi rinnovellati destini.

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A questa nostra futura Italia dedichiamo anche noi le nostre piccole e modeste forze, quando tanti e tanti nostri fratelli vi han dato il sangue e la vita nelle tragiche ore di una enorme guerra; quando il risveglio dei nuovi ideali e delle nuove tendenze ci deve rendere convinti di un dovere che non cessa sol perché la lotta cruenta è cessata; ma che ci chiama alle lotte del pensiero, alle lotte civili e politiche, con la stessa voce suadente della madre che fa appello alle virtù dei figli.

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