Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Concentrazione per il partito o per l'amministrazione cittadina? La rappresentanza proporzionale degli interessi - appello al buon senso

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Alcide de Gasperi 17 occorrenze

Egli ed i suoi colleghi, guardano piuttosto indietro: ...come quei che con lena affannata uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata. (Ilarità) Poi continua: «Ho il dovere di esporre per incarico del Comitato ai signori invitati quale sarà la nostra tattica di fronte alle prossime elezioni. Confesso che poche volte mi sono trovato in una situazione così difficile, poche volte fu così scabroso trovare la via esatta o la classificazione precisa degli avversari».

Qui l’oratore riassume ed illustra le proposte della minoranza, concludendo ch’essa è riuscita a: «l) muovere la discussione sulle finanze comunali, mentre prima, secondo una confessione insospetta del Popolo, ogni discussione era abolita. A Trento c’è un Consiglio comunale in cui prevalgono i poltroni, inerti, gli eremi muti. Le discussioni sono state abolite… (Popolo, novembre 1909). 2) ravvivare l’interesse dei cittadini per l’amministrazione pubblica. Prima si addormentarono con paroloni, ora si risvegliano colle cifre. E questo clericalismo? 3) costringere la maggioranza a rivedere e a correggere in buona parte le proposte della Giunta. Si risparmiarono così ai cittadini quasi la metà delle imposte minacciate e si sospese il locativo, perché la minoranza dimostrò che almeno per quell’anno non era stabilito che l’imposta fosse necessaria. E questo clericalismo? Abbiamo anche presentata una proposta perché entro un dato tempo si costituisca una commissione indipendente per l’amministrazione delle imprese municipalizzate. E questo clericalismo? No davvero, perché la proposta venne votata da tutti. Vero però che non s’è fatto nulla. E veniamo al quarto punto.

Ma a parte anche la precarietà del metodo che si propone di seguire questa volta, noi non vogliamo nemmeno che si stabilisca per legge un simile sistema che duri nell’avvenire. Esso è quello che si dice del voto limitato. Nei comuni italiani ogni elettore può votare per soli quattro quinti dei seggi da occuparsi, in modo che un quinto rimane alla lista che resta in minoranza. Tale sistema, che viene deplorato da tutti i partiti là dove esso è da lungo trafficato non accetteremo mai come surrogato della proporzionale: 1. Perché il voto limitato non sempre assicura alla minoranza una rappresentanza propria potendo accadere che un partito forte competa per la maggioranza ed anche la minoranza. A Trento c’è il pericolo di una coalizione radico-socialista fatta in odio a noi. 2. Perché in ogni modo non si tratta di una rappresentanza proporzionata. Se vi sono in lotta due partiti soli, la minoranza può riuscire tanto con otto, quanto con ottocento voti. 3. Se vi sono poi più di due partiti o gruppi d’interessi, come sarà il caso a Trento, con tale sistema, oltre la maggioranza, potrà ottenere dei seggi solo un secondo partito. Il terzo o il quarto rimarranno fuori».

Noi crediamo che sia utile, anzi sia necessario per il Comune di Trento, data la speciale posizione della città e per i motivi già adottati d'introdurre la proporzionale, che è regola di giustizia, la quale darà a noi e ai singoli interessati quel che loro perviene. Questo lo vogliamo in nome della giustizia e dell’equità stessa. Quelli che sono per noi, votino per noi, quelli che non sono d’accordo con tale programma votino per gli altri. Ma non vengano fuori con equivoci. E gli equivoci, signori, i liberali li hanno cercati, per impedire che si metta netta la questione della proporzionale. Essi hanno detto: “Noi presentiamo una lista di nove candidati per ogni corpo. Quindi ci avete posto anche voi. Ma che cosa succede? Supponete che il loro partito conquisti nove seggi. E gli altri tre? Questi tre devono venire discussi e contrastati una seconda volta in ballottaggio. Siete poi sicuri che la seconda volta gli avversari non vadano a votare e facciano spuntare quegli che più accomodano a loro e non a noi? Ci hanno già fatto intravedere che alla maggioranza riservano un certo diritto di placet?”

Gentili sia sovraoccupato in altri incarichi ben più importanti, affidati a lui dal partito e dagli elettori, e che del resto la sua volontà in riguardo sia così decisa, da non permetterci di presentare questa volta la sua candidatura per il terzo corpo. La faremmo con entusiasmo per dimostrare anche a L’Alto Adige che dopo l’attività spiegata dal dr. Gentfli alla Dieta e al Parlamento, dopo che a lui in buona parte si deve se il prestigio nazionale degli italiani specialmente ad Innsbruck si è risollevato, vorremmo vedere se a Trento non si trovasse una grande maggioranza che desse ragione a quest’uomo, il quale già in quel tempo aveva tanto lavorato per la vita pubblica! (fortissimi applausi e acclamazioni al d.r Gentili).

Osservate che lungo giro vizioso hanno compiuto i liberali di Rovereto: sono andati a cercare i liberali di Mori, di Arco e di Riva e poi giù fino ai confini, ad Ala. Così si è salvato questo collegio per il partito liberale. Si è poi circondato di un muro ideale anche Trento e dissero: A Trento diamo un mandato, quantunque a Trento, badate, secondo l’ultimo censimento, vi fossero la metà abitanti di quelli che formavano un collegio di campagna, cosicché si può dire che per far riuscire un candidato agli anticlericali di Trento, hanno dovuto prendere un cittadino e farlo pesare sulla bilancia più che il doppio di due candidati di Pergine o Vezzano! Con tali metodi artificiosi hanno salvato agli anticlericali la rappresentanza e create delle eccezioni al principio maggioritario. Orbene, noi non pretendiamo che a Trento ci facciate valere per due liberali, ma vogliamo che diate in proporzione, secondo quello che pesiamo. Non parliamo poi della Dieta! Alla Dieta i nostri avversari godono privilegi! A Trento, per esempio con circa 500 voti eleggono due deputati. Abbiamo insomma tutto il diritto di chiedere: Non dateci i privilegi che avete voi, ma domandiamo giustizia non per noi soli, ma per tutti i partiti e tutti gli interessi. (Applausi vivissimi).

A questo punto il dr. Degasperi si chiede quale fosse il contegno della maggioranza di fronte all’esplicito voto del terzo corpo per la rappresentanza proporzionale e viene a discorrere dello scioglimento e della concentrazione, in quanto questa è conversione verso destra, possiamo rallegrarcene; perché è una prova che il buon senso trentino si ribella agli esperimenti di giacobinismo. D’altra parte conviene rilevare che quei moderati i quali rientrano a braccetto dei radicali in Consiglio assumono la corresponsabilità dell’amministrazione e l’eredità democratica senza beneficio dell’inventario. Bertolini nell’adunanza della Palestra ha appunto parlato di dare alla amministrazione cittadina una base più larga (e non diversa) entro il proprio partito. Esaminiamo un po’ quest’eredità. L’oratore rievoca il programma dei socialisti e dei democratici fra il 1902 ed il 1904. Innanzi alla cittadinanza si fa- ceva passare la lente delle illusioni. Ridurremo le tasse — scrisse il Popolo — e specialmente la tassa sul pane. E nel novembre 1902, quando si ebbe in Consiglio il' voto per la Centrale sul Sarca, Il Popolo stampò un ditirambo sull’avvenire e sul progresso di Trento.

A chi ci troveremo di fronte? Dove passeremo all’offesa o su qual lato dovremo difenderci? Forse cogli ultimi avanzi della Lega democratica, oppure con coloro che li attaccarono, coi loro critici ed avversari che ora, dopo averli combattuti aspramente, siedono accanto o marciano a braccetto contro di noi? Ce la prenderemo forse col dr. Bertolini, capo di quella Lega democratica che secondo la frase dell’Alto Adige, non molti anni fa fece prender cappello alla moderateria trentina, oppure al conte Manci, rappresentante della stessa moderateria, che, andatosene allora, ritorna oggi e fa la concentrazione contro di noi? Ce la prenderemo forse coi radico-socialisti, coi socialistoidi come li abbiamo chiamati a suo tempo nel periodo del loro fiore, che all’inizio dell’era democratica nel 1904 s’auguravano dalle colonne del Popolo che: a Trento invece di guglie di chiese e di campanili si vedessero fumaioli e camini di fabbriche, che poi, assieme coi rossi, inaugurarono la rude campagna anticlericale, promettendo di purgare le vie di Trento dai nomi dei santi, o ce la prenderemo invece con quelli altri che allora stavano fuori e con un programma contrario si unirono coi cattolici combattendo con loro nelle elezioni del 1907? Con chi dobbiamo discutere, con chi dobbiamo lottare? L’oratore rileva altre contraddizioni di principio fra i candidati della concentrazione e continua: Forse queste persone però sono in tali contraddizioni fra loro, e su d’un campo lontano dalle discussioni che nascevano in Municipio, lontano dalla amministrazione cittadina, forse hanno un programma chiaro, stabilito, coerente con tutta la loro condotta in quanto riguarda l’amministrazione; e basterebbe?

A Trento, signori, tutti dobbiamo dipendere da questa bottega perché la luce elettrica non possiamo andare a prenderla dal Dalle Case e l’acqua bisogna comprarla lì. Noi diciamo: di questo negozio facciamo una cooperativa: a tutti coloro che vanno e devono comperare bisogna dare la propria quota, e questa è la scheda elettorale, la quale serve ad eleggere il Consiglio di amministrazione, che stabilisce la tariffa della luce, dell’acqua, del gas. Non solo tutti devono poter amministrare o influire sulla amministrazione del Comune, ma anche tutti in proporzione secondo gli interessi e in ciò sta la questione della rappresentanza proporzionale. Finora ha governato la minoranza non solo perché il voto era restrittivo, ma anche perché domina il principio che uno più la metà degli elettori mandassero in Comune tutti i consiglieri. Cioè secondo il principio di maggioranza un consigliere veniva eletto quando riceveva un voto più della metà dei voti, e un altro non veniva eletto se ne aveva uno meno della metà. Per questo un partito vinceva per pochi voti, l’altro per pochi voti era battuto. Tale principio si potrà discutere quando si trattasse di soli indirizzi politici, ma quando si tratta degli interessi nostri, non deve valere. Non è una maggioranza di partito, che ci occorre, ma una proporzionale rappresentanza degli interessati.

E accanto al conte Manci, alla sua destra, ci sono gli altri, i quali viceversa a quei tempi rispondevano con sussiego che alla finanziazione e a pagare i debiti ci penserebbero loro. E adesso loro, cioè i radicali ci hanno pensato, ci hanno provveduto o viceversa il conte Manci e la sua ala non nutrono più le vecchie preoccupazioni per la finanziazione della centrale sul Sarca? Con chi dobbiamo discutere: con quelli che vollero e fecero i debiti o con quelli che non li volevano, se adesso sono tutti d’accordo e vengono insieme a battaglia contro di noi? (Forti applausi). Vedete che anche su questo campo la classifica non è possibile. Da una parte vedo Vittorio Zippel che, quale presidente della commissione del bilancio, nell’ultimo consiglio comunale propone l’aumento delle addizionali e l’introduzione del locativo per importo complessivo di 135.000 corone, aumento, che, dopo un maturo esame di due mesi, si era trovato assolutamente necessario malgrado le opposizioni della minoranza, e dall’altra vedo nella lista quali candidati persone che protestavano altamente nei caffè, fuori del Municipio, che quelle imposte erano troppe e che la minoranza aveva ragione. Con chi discuteremo, nella campagna, con quelli che le volevano o con quelli che non le volevano? Dobbiamo credere a quelli che vanno in Municipio per riproporle o a quelli che dicevano di non volerle e forse non le vorranno ancora? Ci sono nella lista di quelli che inaugurarono l’era democratica dicendo che si possono e si debbono investire danari in industrie, che non si deve badare ad economie grette e piccine e d’altra parte vi ricompaiono persone le quali furono proclamate i maestri dell’economia e della grettezza. Con qual sistema avremo da fare? C’è dentro ancora certa gente la quale due anni fa accusava i moderati del primo corpo di tradire il partito nazionale liberale e di esser rimasti solo per energia nell’associazione nazionale liberale. Viceversa poi ve ne sono altri i quali approvavano questo contegno. Ma la seguente contraddizione è ancora più caratteristica.

Si dice: che volete, che le donne vadano a votare? Che roba spaventosa! Sarebbe una cosa antiestetica! — dicono i liberali che dell’estetica e dell’intellettualità sono i paladini. “Turberebbe non poco la famiglia e le usanze riservate delle donne”. Noi rispondiamo: è meglio che le donne vadano colla loro scheda in un luogo per loro prescelto e gettino questa scheda nella urna elettorale, come fanno per esempio nella Svizzera e nel vicino Vorarlberg, o che si continui la bella pratica che tutti i partiti facciano della donna un oggetto di conquista e d’insidia? (L'oratore mostra a questo punto una proiezione che rappresenta le pratiche dei vaneggiamenti colle procure femminili). E conclude: combattendo per il voto femminile diretto, noi combattiamo per una causa di libertà e di democrazia. Signori democratici liberali, c’è in tutto questo del clericalismo?

Bertolini in realtà disse su per giù: Bisogna unirsi tutti a sostenere l’idea liberale contro il clericalismo perché l’unico nemico che rimane è il clericalismo.

Ora in primo luogo è cosa curiosa che vengano a domandare a noi la rappresentanza proporzionale al Parlamento; sarebbe lo stesso come dire: Fate il piacere, onorevoli Conci, Gentili, Paolazzi e voi altri che siete dieci in tutto, andate dai polacchi, dagli czechi, dai tedeschi e da tante generazioni, che son là fuori, conveniteli tutti che bisogna introdurre la rappresentanza proporzionale e quando ci sarete riusciti, allora, forse, vi daremo la rappresentanza proporzionale a Trento. Loro possono darla, se vogliono, noi non lo possiamo nemmeno se vogliamo. Le condizioni sono dunque dispari. Ma c’è di più.

Gli esercenti soli non possono riuscire e se vogliono i loro seggi sono costretti a schierarsi da una parte o dall’altra. Succede cioè che l’interesse della classe, della professione, che dovrebbe esser rappresentato in Comune, vien messo da parte e il partito politico, il comitato liberale nazionale s’impone. Dove invece vige il sistema proporzionale, basta che gli esercenti presentino la loro lista e riceveranno tanti rappresentanti quanti ne hanno diritto di mandare in Comune. Ho accennato a quest’esempio di ieri per dimostrarvi come anche adesso esistono le differenze di classi, d’interessi che tendono alla rappresentanza amministrativa, ma avviene che gli uomini della politica li assorbono o li soffocano. Lo stesso si tenta di fare cogli impiegati. L’altra volta affermarono la rappresentanza proporzionale dei propri interessi. Ed ora capirete perché questa volta i liberali cercano di soffocare questa tendenza e vi vengono a dire: basta il partito, cioè: bastiamo noi! Ora la rappresentanza proporzionale viene dibattuta, discussa, promossa in molti paesi del mondo, ed è introdotta in moltissime città per le elezioni comunali». L’oratore mostra ed illustra delle proiezioni che vennero usate in Svizzera per la propaganda della rappresentanza proporzionale. E continua: «Questo nostro postulato corrisponde al buon senso, all’equità, alla situazione ed al bene della città. Ma che cosa hanno risposto i liberali o libero-radicali? Furono sempre intransigenti, esclusivisti contro di noi. Basti ricordare le lotte elettorali del passato.

Nella concentrazione si vedono uomini i quali provocarono a qualunque costo lo scioglimento del Consiglio e la venuta del commissario governativo, mentre ve ne sono altri che nel penultimo Consiglio dicevano indegno di ogni cittadino non solo accettare la nomina di commissario governativo, ma nemmeno dignitoso di prendere una qualsiasi partecipazione all ’opera del commissario governativo. Le testuali si leggono in un protocollo del 21 dicem- bre 1903. Ironia della sorte: questo protocollo in cui si proclamava indegno d’ogni cittadino accettare la carica di commissario o diventare suoi collaboratori, è firmato dal conte Manci, e firmato dal dr. Stefenelli Giuseppe, direttore dell’Alto Adige, il quale volle questa volta lo scioglimento e quindi il commissario governativo e (tragica ironia della sorte imposta ad un uomo dai suoi) è firmato dal signor... commissario governativo, il dr. Silli! (Applausi e battimani). Ci dovremmo quindi chiedere: se tante sono le diversità di linea che si riscontrano nella lista liberale, la quale dichiarava di marciare contro di noi, che cosa è che la unisce? Qual è stato il perché di codesta famosa concentrazione?

Tanto è vero che il massimo dei voti ricevuti dai democratici si ridusse da un massimo di 600 a 415! Nessuno potrà dire che costoro possano rappresentare la maggioranza o governino la città in nome della cittadinanza. Eppure questa minoranza se fosse incaricata di esercitare solo funzioni politiche o di amministrazione ordinaria e di piccolo conto, se avesse semplicemente da godere, pazienza! Ma questa minoranza deve amministrare delle industrie pubbliche, fatte con denari pubblici non solo, ma deve governare con denari pagati per gran parte dalle imposte indirette e quindi da tutti i cittadini; non solo, ma dirige un negozio di produzione e di consumo, nel quale si fissano i prezzi della luce, del gas, dell’acqua. (Bravo, applausi calorosi). Ora tutti hanno interesse in questo negozio, anche quelli che non sono gravati dalle imposte dirette perché tutti pagano per la luce e per il gas e per l’acqua; ed è questa minoranza quella che ne stabilisce la tariffa.

Per questo il voto che chiediamo agli elettori non è un assenso al nostro partito, ma al nostro programma amministrativo con a capo la riforma elettorale. Siamo invero certissimi del voto della maggioranza dei cittadini, ma se l’attuale sistema dell’88 potrà nel prossimo marzo venir sfruttato ancora una volta per scopi politici, non importa. Sarà per un’altra volta. Noi vinciamo o cadiamo colla nostra bandiera, senza equivoci e senza secondi fini. Abbiamo fiducia che il buon senso trentino finirà col superare l’egoismo delle fazioni politiche. L’oratore termina ricordando una parabola del Mickievicz: «Una donna era caduta in letargia, e suo figlio chiamò i medici. Uno disse: “Io la curerei secondo il metodo di Brown”. Ma gli altri risposero: “È un metodo cattivo. La donna resti in letargia e muoia, piuttosto che essere curata secondo il Brown”. Allora il figlio disse: “Curatela in un modo o nell’altro, purché guarisca”. Ma i medici non volevano mettersi d’accordo né cedere uno all’altro il figlio allora per dolore e disperazione, gridò: “Oh, madre mia!”. E la madre alla voce del suo figliolo, si svegliò e fu sanata. La donna è la nostra alma città che giace prostrata e languente. L’hanno voluta curare coll’anticlericalismo, poi colla democrazia politica, poi col radicalismo, ora colla concentrazione liberale. Ma sono medicine sbagliate. Bisogna che il popolo levi alta la voce del suo buon senso, ed allora l’augusta donna si riscuote, si risolleva e scaccia tutti i medici. Questa parola del buon senso noi la invochiamo dai nostri lettori il dì dei 6 marzo» (Grandi applausi).

L'anima del militarismo

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Ma le sorgenti della fiumana fatale sgorgano altrove e precisamente in una regione lontana ed opposta a quella donde viene il Cristianesimo. Il Ferrero stesso dice che l’anima della guerra è la cupidigia la quale proprio nella vita moderna è divenuta ancor più che nel passato la passione dominante. La causa prima della guerra odierna va ricercata nello spirito di espansione e di conquista dell’industria e del commercio. La guerra ispano—americana si fece perché i capitalisti degli Stati Uniti avevano fatto grosse investizioni nelle industrie di Cuba, la guerra boera si deve alle miniere del Transvaal, quella russo-giapponese alle foreste della Corea. Ed oggidì tutte le gelosie o le minacce di guerra che allarmano l’Europa per i paesi del Mediterraneo trovano la loro ragione nelle piantagioni della Tunisia e del Marocco sulle quali i rappresentanti della più radicale delle democrazie si gettano coll’avidità delle bestie feroci. L’oratore ricorda qui il recente scandalo sollevato in Francia contro Hanotaux, Meugeot, Cocherey, Foucher, Chailley ed altri deputati e senatori, che comperarono in Tunisia per la somma irrisoria di 10 lire l’ettaro immense piantagioni. Sono questi interessi dell’industria e della speculazione che verranno poi detti interessi delle colonie francesi, interessi della patria, alla cui difesa verranno invocate armi e navi, le quali provocheranno poi altre armi e navi da parte della Spagna o della Germania. Quest’esempio vale per tutta la situazione moderna. Ed eccovi in antitesi due figure rappresentanti di due mondi diversi: il missionario che arrischia la vita per aprire fra i barbari ed al Cristianesimo pacifiche vie ed il conquistatore commerciale che trasporta nei paesi ingenui la febbre che divora la sua patria spezzando ogni ostacolo a colpi di cannone e trascinando sulla sua strada cruenta l’appoggio o l’invidia delle nazioni europee. Quest’uomo si trova alle sorgenti del militarismo. Il rappresentante del pensiero cristiano è invece dalla parte opposta. Se risaliamo più addietro nel secolo XIX troviamo invero che le cause di quelle guerre attraverso le quali l’Europa assunse l’aspetto che ha oggidì sono diverse da quelle accennate. Ma si trovano sempre dalla parte opposta a quella donde muove il Cristianesimo. Fu lo spirito della grande rivoluzione che santificò la violenza e celebrò la conquista sanguinaria. Al canto della marsigliese s’inaugura il periodo cruento e militarista che si chiuse col 1870. Nessuna legge superiore, nessun diritto primo dell’individuo viene riconosciuto. Prima di venir applicata sotto il Terrore, la dottrina viene professata e insegnata senza scrupoli. «Noi faremo un cimitero della Francia, diceva il deputato Giacobino Carrier, piuttosto di non rigenerarla a nostro modo». Un altro D’Antonelle, insegnava: «I nemici della libertà, nemici della natura intera, non devono contare fra i suoi figli. Distruggiamoli dunque completamente… Fossero essi un milione, non si sacrificherebbe la ventiquattresima parte di sé per distruggere una cancrena che potrebbe infettare il resto del corpo?». Queste massime dopo la burrasca interna domineranno la bufera napoleonica, ed è su loro che poggia tutto il mi1itarismo napoleonico. Il napoleonismo finisce a Sedan, ma non muore il militarismo il quale vive più che mai nel pensiero della revanche. È qui che la corrente rivoluzionaria confluisce in quella espansionista formando l’immensa fiumana che trascina le nazioni agli armamenti, e qui c’imbattiamo nella questione balcanica, nella questione alsaziana, nella questione di ogni irredentismo. L’oratore conclude a questo punto che questo complesso di cause è superiore all’ambito di un singolo stato e più forte di qualunque partito parlamentare. I socialisti stessi non sanno sottrarsi alla fatalità militare. Quando il generale Duchène ritorna vittorioso dal Madagascar, sarà il maire socialista di Marsiglia che gli declamerà l’epinicio; quando i borghesi vorranno negare ai ferrovieri la libertà dello sciopero generale ricordando che si potrebbe andar incontro ad un disastro in tempo di guerra, il loro capo Clovis Hugues griderà che, quando scoppierà la guerra, i ferrovieri lavoreranno anche sotto il fuoco dei cannoni prussiani. Caratteristico è quanto avvenne al congresso socialista di Conventry nell’aprile di quest’anno. Quelch, uno dei capi socialisti inglesi, dichiarò che i socialisti sono bensì internazionali, ma che gli inglesi devono anche volere gli armamenti necessari perché siano mantenute libere le comunicazioni tra la madre patria e le colonie. Hyndmann, altro deputato socialista, chiese senz’altro una flotta tanto forte da poter tener testa alla Germania. In Germania stessa, terra classica dell’antimilitarismo socialista, si è almeno in teoria dello stesso pensiero. Le Sozialistische Monatshefte (1899) scrivono: «che la Germania sia armata fino ai denti e possa disporre di una flotta forte in caso di una guerra commerciale è di grande importanza anche per la classe lavoratrice». Nella stessa rivista nel 1905 Calver scrive: Non si può pretendere dal proprio paese che assuma una posizione eccezionale che potrebbe diventare fatale. E Bebel stesso ai 15 gennaio 1896 affermava: Date le circostanze attuali, l’esercito è una necessità. Dei socialisti francesi è stato già detto. Il socialismo francese fornì ministri a gabinetti guerrafondai e sotto la sua cooperazione non solo il militarismo non diminuì ma crebbe in proporzioni molto più grandi che nelle altre nazioni. Che dire di Jaurès il quale nell’ultimo dibattito sul bilancio della marina prega la Camera ed il Governo di sospendere la votazione perché il consiglio militare abbia il tempo sufficiente d’approntare il progetto per la costruzione di cannoni migliori, cioè del calibro 34? Più note ancora sono in tal riguardo le ultime vicende del socialismo italiano. Bissolati aveva accettato definitivamente il programma Giolitti compresi gli aumenti militari e cinque giorni fa quando si doveva votare sul progetto governativo per i nuovi cannoni i socialisti più autorevoli Bissolati, Bonomi e Cabrini si assentarono per non votare cogli altri compagni contrari. Lo squagliarsi fu del resto tattica frequente anche dei socialisti austriaci. Dov’è la loro forza d’opposizione, senza dire che sotto il ministero Beck, votando per l’urgenza del bilancio facevano passare anche le spese militari? Il deputato Schuhmeier ha pur dichiarato nelle penultime delegazioni che «egli è contrario alle spese militari nello stato attuale; un altro paio di maniche sarebbe stato si trattasse dello stato socialista». Non è più dunque opposizione di principio ma opposizione politica. Non vengano quindi in tempo elettorale a fare un antimilitarismo a fuoco di bangala e ad accusare i popolari. Questi hanno in tal riguardo un programma molto chiaro: ogni volta che un voto negativo possa raggiungere un risultato od in ogni caso anche in cui l’espressione del volere contrario possa essere utile, i popolari voteranno contro aumenti ed aggravi militari. Può però anche intervenire il caso di un proprietario il quale di fronte alla richiesta, non voglia vendere il suo campo, ma che infine lo venda egualmente, perché sa che là deve passare la costruenda ferrovia. La legge di espropriazione è inesorabile e la ferrovia passerà lo stesso. In tali casi il proprietario vedrà di vendere al più caro prezzo possibile il suo possedimento. Ma si può dire per questo che egli favorisca la costruzione della ferrovia o addirittura spinga il convoglio? Ben altri, come abbiamo visto, sono i motori di questo treno, e non nel campo nostro vanno ricercati i macchinisti.

Criteri direttivi

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Alcide de Gasperi 2 occorrenze

La questione viene studiata a lungo ed è in parte anche risolta, solo che è piuttosto necessario che mediante questo congresso e la nostra stampa gli amici conoscano bene il pensiero della Direzione. Dell’organizzazione professionale dei contadini i cattolici si occuparono già ai primordi della loro azione e il D.r Cappelletti nel congresso di Pergine presentò a suo tempo uno statuto per le Unioni professionali agricole. Di poi sporadicamente e per iniziative locali sorsero società che ebbero nome e scopo agricolo, come la lega della Valsugana, la lega degli agricoltori in Vallagarina, ecc. Altre società ebbero lo scopo di classe se non il nome. Quattro anni fa nel convegno di Bolognano convocato dal Comitato Diocesano si discusse la fondazione d’una società di classe per i contadini, mezzadri. Più tardi il D.r Carbonari nella maggior parte dei casi senza previo accordo colle nostre centrali, ma per iniziativa sua, cominciò la sua propaganda che si andò svolgendo poi anche in unione con altri propagandisti durante la lotta colla Lega d’Isera. Venne frattanto la campagna elettorale e in questo periodo non si ebbe naturalmente tempo di determinare i criteri più opportuni della propaganda; ma subito dopo in tre adunanze frequentatissime di fiduciari a Sacco, a Vezzano e a Ponte delle Arche, il Comitato Diocesano sottopose ai convenuti in gran parte contadini, la questione dell’opportunità e delle forma della nuova organizzazione. In tali occasioni l’oratore richiamò l’attenzione sui seguenti punti: È un errore il credere che la forza vitale del nostro movimento possa trovarsi nel modificare organizzazioni economiche esistenti o nel crearne di nuove. La vitalità dipende piuttosto dall’istruzione e dalla formazione delle coscienze e questa va fatta nelle società di coltura e d’istruzione esistenti o che si dovrebbero fondare. Bisogna distinguere tra le condizioni nostre particolari e quelle di altri paesi ove son sorte organizzazioni di classe pei contadini. In Tirolo p.es., nell’Austria superiore ed inferiore, il Bauernbund è essenzialmente politico e sostituisce quell’organizzazione che noi abbiamo nell’Unione politica popolare. In questo campo noi abbiamo quindi il compito non di fondare nuove società ma di organizzare più democraticamente e dare più larga base all’Unione politica popolare. In Baviera invece, p. es., e nelle altre provincie della Germania il Bauernbund è economico, cioè si occupa dello smercio e della compera dei generi di economia rurale. In tali paesi però non esiste una cooperazione del nostro indirizzo, cosicché le associazioni di contadini vengono colà ad esercitare solo una piccola parte delle funzioni che esercita la nostra cooperazione. In queste adunanze abbiamo conchiuso quindi che, in quanto ai loro scopi economici, le leghe non si presentano come necessarie. Se però per altre ragioni d’opportunità si ritenesse utile il promuoverle, si avvenisse bene, che non venissero a collidere con le funzioni e con l’ambito delle società economiche esistenti. Per soddisfare poi ad un eventuale bisogno di organizzazione di classe, che dopo accurato esame delle condizioni locali si ritenesse esistere in una data regione, venne consigliata l’organizzazione professionale ossia il sindacato agricolo di mestiere analogo a quello già esistente per gli operai industriali. Nacque così e con questo carattere, l’Alleanza dei contadini di Valle Lagarina della quale a suo tempo fu pubblicato nella Squilla il manifesto proclama. Lo stesso si fece per il bacino di Vezzano. Parallelamente il d.r Carbonari, in qualche caso per espresso incarico nostro, molte altre volte per iniziativa sua personale continuava la sua propaganda per le leghe dei contadini. Senza dubbio in tutto questo movimento non venne seguito sempre un criterio direttivo eguale, ma ritengo che l’adunanza generale non debba oramai decidere come principio se tali società si debbano fare o non fare; prima perché parte del problema è praticamente già risolto, secondo perché non è possibile applicare un principio generale a tutte le condizioni locali. Noi dobbiamo affermare alcuni criteri direttivi e poi imporre nella pratica a tutti i propagandisti che vogliono farsi iniziatori di tali società, di sottoporre all’esame di un organo a ciò stabilito, le condizioni particolari di ogni singolo caso. Per le società di carattere professionale è senz’altro chiamato a decidere il Comitato Diocesano mediante la sua Direzione o il suo Segretariato. Per le organizzazioni di carattere consorziale dovremmo pregare la Federazione dei consorzi che si assuma l’incarico di disciplinare tale movimento. Ma frattanto poiché si tratta anche dell’opportunità o meno di fondare l’uno o l’altro tipo, sarà meglio invitare i propagandisti e i fattori locali a rivolgersi senz’altro al Segretariato del Comitato Diocesano, il quale a seconda dei casi si rivolgerà per parere anche ad altre persone. L’oratore termina presentando un analogo ordine del giorno.

Nell’istituzione di nuove società professionali od economiche raccomanda di tener presenti i seguenti punti: a) se la nuova società, date le condizioni locali sia opportuna; b) che in ogni caso la funzione della nuova società si coordini alle funzioni delle società già esistenti; c) che trattandosi di consorzi economici si ponga mente alle responsabilità che essi si assumono, avvertendo che sarebbe grave errore il non far tesoro delle esperienze già avute nel movimento cooperativo. 4. Viene ritenuto e richiesto in tale azione come doveroso il previo accordo col Comitato Diocesano rispettivamente col suo segretario.

In un ambiente sereno

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Ha fatto bene la direzione del Giovane Trentino a promuovere anche una conferenza che ci permettesse di assistere alla discussione di un problema di grande attualità e di somma importanza dal lato economico e sociale com’è la questione del rincaro. Né si sarebbe potuto trovare uno studioso più competente di questioni economiche, come ha saputo l’on. Degasperi trattare il difficile e complicato argomento con tanta chiarezza, con dati statistici veramente interessanti e con deduzioni logiche così evidenti. Le molte persone — ed erano tutte persone colte — che gremivano in sale il Circolo Sociale si sono rallegrate per questo nuovo genere di serate settimanali, istruttive e sommamente interessanti, nelle quali studiosi competenti intendono sviscerare questioni di attualità. Il Dott. Degasperi parlò ampiamente di questo doloroso fenomeno mostrandocelo sotto vari aspetti e cercando d’indagarne le cause. E la conferenza più che d’un rapido cenno sarebbe degna d’una larga ed esauriente relazione. Cercheremo di riassumere schematicamente. Il rincaro non è un fenomeno particolare d’uno Stato, ma universale, comune a tutta l’Europa come ai paesi transoceanici: le statistiche di 10 anni sono un quadro eloquente della sua generalità: il fenomeno si estende ai viveri ed ai prodotti industriali. E qui il conferenziere porta cifre eloquenti. Ci accontenteremo di dire che nella stessa America i prezzi della carne sono cresciuti del 32%; e l’aumento è parallelo negli stessi paesi ove non esistono dazi d’importazione, come in Inghilterra. Le cause del rincaro — La scuola classica le riferisce all’aumento della produzione aurifera e al conseguente rinvilimento del prezzo del denaro. Questa teoria si basa su due fatti storici. Nel periodo dal 1520 al 1600 si ebbe pure un grande rincaro, e fu quella un’epoca di grande produzione aurea. Il secondo fatto: l’epoca di Cavour. Essa fu celebre per il rialzo spaventoso dei prezzi dei viveri e dei prodotti. Ebbene, quell’epoca coincideva appunto con il maggiore sfruttamento delle miniere dell’Australia e della California, come il rincaro odierno coincide colla stragrande produzione delle miniere aurifere dell’Alasca. Ma sta invece il fatto che il denaro non dev’essere di tanto rinvilito: tutte le banche rialzano in fatti il tasso. La scuola rivoluzionaria vorrebbe vedere il rincaro nel protezionismo, nell’esistenza dei dazi di protezione per i prodotti del suolo o dell’industria, e si ragiona così: il venditore è indotto ad aumentare il prezzo del prodotto di quel tanto che equivale al dazio. Si deve però osservare che anche nei paesi liberisti, ove manca questo ipotetico coefficiente del rincaro, il rincaro si verifica egualmente. Altro argomento: l’aumento dei salari. Esso fa crescere il prezzo dei prodotti industriali. L’argomento è molto popolare, ma si nota però un fatto singolare: che parallelamente all’aumento dei salari si ha un forte aumento di rendibiità del capitale industriale; sicché invece d’una depressione industriale ed economica, si ha un aumento della ricchezza mobile che si vede nell’aumento delle emissioni. E questo aumento di rendibilità si verifica in tutte le industrie i cui prodotti sono rincariti: si è spesso triplicata la produzione e dividendi. La questione dei salari costituisce un circolo vizioso. Una causa ammessa da molti, una causa generale è il cambiamento della coltura del suolo da estensiva a intensiva. Fino a pochi anni fa, cioè, la produzione agraria era basata sulla coltivazione di grandi estensioni di suolo: ora invece si basa sulla coltivazione intensiva. Questo richiede maggiori spese, che si riflettono poi sul prezzo dei prodotti. Accenna in questo nesso al socialismo agrario: ed alla tassazione del plusvalore del suolo. Altra causa: il rincaro delle abitazioni e l’aumento del valore delle aree di costruzione. C’è dell’ingiustizia in questo rincaro in quanto che le case nuove, fornite di tutti i comodi, d’aria e di luce, fanno base per il prezzo dei quartieri vecchi. Ma una delle cause che dobbiamo accettare tutti è quella che si riferisce agli aumentati bisogni. Il conferenziere la rende evidente con un esempio praticissimo: «Entrate in un’osteria di montagna buttata lì alla vecchia: con poco vi sazierete. Entrate invece in un hotel, e qui dovrete spendere il doppio per sfamarvi: ma qui però avrete tutto quel comfort che corrisponde all’igiene, al progresso. Il progresso dunque è per se stesso una causa del rincaro. Altra causa è nell’essenza del sistema capitalista liberale. Esso s’ispira alla teoria della libera concorrenza. La base è errata. Non meno errato è il sistema socialista. Questo combatte, è vero, il sistema liberale; ma in nome di principii materiali. Invece la base di tutto dovrebbe essere il principio morale. E qui si riaffaccia più imponente che mai la questione sociale. Nel sistema economico si dibattono le grandi questioni morali». L’oratore fa qui un appello ai giovani per lo studio della questione sociale e per la rinascita dei nostri studi. Il conferenziere passa quindi a parlare della questione del rincaro nei rapporti del parlamento, riassumendo il dibattito e spiegando l’ultima votazione.

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