Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Segantini. Adunanza generale del 21 marzo 1909

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Vi saranno segnati in parte a sé quelli che non hanno ancora pagata la tassa sociale del 1908. I fiduciari devono eccitarli ad adempiere i loro doveri sociali. L’adunanza decide che chi non avrà pagata la tassa prima della prossima adunanza generale (probabilmente pentecoste) verrà espulso dal nesso sociale. Ogni socio deve avere lo statuto e il cassiere o il fiduciario deve segnare il pagamento della tassa. S’incarica la direzione a studiare quali effetti avrebbe per la classe dei segantini e per la società stessa l’applicazione della nuova legge industriale. Tale questione va messa all’ordine del giorno della prossima adunanza. Si nominano a firmatari del protocollo Zen e E. Ventura. Sia apre quindi una grande discussione sulla istituenda cassa di mutuo soccorso. Si constata che molti sono gli argomenti pro e contro e grandi le difficoltà di fare qualche cosa di buono; infine a titolo di prova si decide di limitarsi per quest’anno a poco, lasciando ad un altr’anno il compito d’introdurre migliorie. Dopo la relazione del d.r Degasperi si conchiude con l’accettare per quest’anno il seguente regolamento colle rispettive disposizioni particolari per il 1909.

La prova dei fatti. I cattolici nell'evoluzione sociale

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Sorgevano istituti, si foggiavano delle forme sociali, che corrispondevano a bisogni ed a tendenze popolari, ma che venivano meditatamente penetrati e circonfusi da uno spirito anticristiano e di ribellione alla Chiesa. Qualcosa più agevole poi, al cospetto di un pubblico interessato o superficiale, di presentare come causa quello che era effetto cercato e voluto, di stabilire una incompatibilità logica ed assoluta fra cattolicismo ed istituzioni popolari, mentre in realtà non esisteva che quella contraddizione incidentale e temporanea che i propagandisti venuti dalla borghesia atea e rivoluzionaria vi avevano messo dentro, a tradimento? Di fronte a questa tattica nuova i cattolici trentini si richiamarono alla loro volta alla prova dei fatti, ponendosi risolutamente sul terreno reale dell’evoluzione economica e sociale dei tempi nostri. Le mutate relazioni economiche tra le nostre classi e tra i nostri centri abitati richiedevano l’organizzazione del piccolo credito, e sorsero accanto ad ogni campanile quegli istituti finanziari autonomi, che, francando i nostri contadini dall’usura, ridiedero loro la libertà civile e resero possibile la partecipazione di queste vergini forze alla vita sociale. La decentralizzazione dei mercati, la trasformazione del piccolo commercio girovago in negozio permanente con un meccanismo molteplice e dissanguatore di mediazione consigliarono d’applicare la forma cooperativa al commercio interno di consumo; di qui fu naturale il passaggio all’organizzazione della vendita dei prodotti. E piano, piano, il nostro popolo, pur eminentemente agricolo e conservatore, si avvezzò, per l’educazione sociale degli istituti cooperativi, a manipolare i suoi piccoli risparmi come capitale di investizione, quale moltiplicatore di prodotti e fattore d’industria. Che dire di un popolo rurale il quale in brevi anni capisce e favorisce l’industrialismo più che non facciano in cinquant’anni molti capitalisti cittadini? Contadini o artigiani, non ricchi, nemmeno agiati, che alla sera, dopo la lunga e laboriosa giornata, discutono lo statuto di una piccola società industriale, di un consorzio di produzione che giovi al loro remoto paese, e ardiscono di fare come hanno fatto e stanno facendo in val di Ledro, in Primiero, nell’Anaunia, in Fiemme? Oh, non sono questi migliori campioni del progresso di quei cento e cento borghesi che lo decantano tutti i giorni, v’intessono attorno discorsi e logomachie, ma curvano poi il capo e le spalle, dentro i segreti ed amici penetrali delle casseforti a tagliare i coupons della loro inerzia e della stasi economica del nostro paese? E quando nel Trentino si pubblicherà il manifesto per l’istituzione di una Banca Industriale non saranno i signori che hanno dietro di sé cinquant’anni di sviluppo economico i primi, né i più a rispondere all’appello, no, sarai sempre tu, o piccola gente della montagna, tu, l’ultima venuta nel campo delle attività moderne, tu che darai un solenne esempio di ardita solidarietà e di quell’elevazione sociale che ti negano, di quell’illuminato pa- triottismo che non ti ammettono. O audaci accusatori di dieci anni fa, sostate un momento e guardate all’Anaunia! Eccola la reazione, ecco il regresso che cammina, che corre... avanti sulle rotaie della prima ferrovia trentina, pensata, costruita da trentini, con denari trentini, coi risparmi degli emigranti, dei campagnoli, dei montanari che hanno voluto essere fautori del proprio progresso e padroni in patria loro, mentre altri, custodi gelosi delle proprie casse e degli stendardi della patria, da vent’anni assistettero inerti all’evoluzione economica che ci portò in casa il capitale e il' dominatore straniero. Guardate ancora: chi sta ai motori, chi dirige? Sono i neri, sono i tenebrosi che prima hanno costruito la fonte della luce e poi l’hanno trasformata in forza viva; ed ora stanno lì, i reazionari, a dirigere l’ultima macchina del progresso. Ed eccoci qua dopo dieci anni, a chiedervi: ci è riuscita la prova dei fatti? Indoviniamo quello che gli avversari appassionati vorranno ancora opporre. Voi avete, ci dicono, seguito le ultime fasi dell’evoluzione capitalistica, trascorrendo quest’evoluzione più rapidamente della borghesia liberale, ma voi, attenendovi alle vostre dottrine, ed ai vostri principii, rimanete avversari dell’elevazione del quarto stato — ed intendono dire dei «lavoratori dell’industria». Anche qui giova a noi richiamarci alla prova dei fatti. I cattolici trentini hanno aggiunto alle loro associazioni di previdenza, di mutuo soccorso e di patronato le società di cultura operaia, le casse di assicurazioni, le leghe di classe e di resistenza, addestrando gli operai a tutte le forme giustificate che assume la lotta fra capitale e lavoro, fino allo sciopero. Una rete di organizzazioni nuove che corrispondono ad una situazione nuovissima, si distese dai nostri pochi ed esigui centri industriali fino alle desolate colonie dei lavoratori emigranti. Moltissimi operai, — come abbiamo rilevato dalla relazione del Segretariato — hanno giurato fede alla nostra bandiera, e se in questo campo non possiamo vantare uno sviluppo così celere, successi così magnifici come nell’organizzazione del credito o nella cooperazione commerciale o industriale, la colpa va ricercata non nell’asserita incompatibilità della nostra etica o della nostra dottrina coi progressi del quarto stato, ma nell’irreligiosità, nell’odio contro la Chiesa, predicato agli operai, versato a larga mano nell’anima loro, dai profughi della borghesia. Abbiamo così nelle nostre città dei nuclei di operai i quali dopo dieci anni di prove e di agitazioni, attratti sul principio nell’orbita socialista dall’odio di classe e da nuove ardite speranze di riscossa civile, se ne stanno ora apatici, in preda allo scoraggiamento, sfiduciati di ogni sorta di organizzazioni, abbastanza oggettivi per non seguire più incondizionatamente il barbaro rosso, ma non più integri né incorrotti abbastanza per intravedere entro il sommuoversi della nuova società il fulgore dell’ideale evangelico. Ben possiamo provare dunque che anche in quest’ultimo riguardo, dopo dieci anni di lavoro, l’accusa era infondata, l’accusa era una calunnia. I cattolici non sono nemici del progresso, ma ne sono i fautori, le nuove forme della cultura del secolo ventesimo non vengono ostacolate, ma accolte e la Chiesa, secolare maestra delle genti, domina sovr’esse. Si vorrà forse ancora obiettare che l’atteggiamento dei cattolici trentini non fu più di una felice mossa tattica, senza logico nesso coi nostri principii. Ma anche qui noi riaffermiamo senza tema di smentite, che il nostro atteggiamento progressista venne preso in logica continuità col pensiero della Bibbia e del cristianesimo e con la storia della Chiesa. Il primo comando di Dio nella Bibbia è un comandamento sociale e di coltura: Crescite ac multiplicamini, et replete terram et subjicite eam (Gen. 1, 28). Conquista questa terra col progresso, col lavoro, con le arti e con la scienza. Non rinchiuderti nel tuo microcosmo individuo, disse il Creatore all’uomo, ma vivi una vita sociale e dedica le tue cure alla terra e alla collettività. Il mondo, dice ancora l’Ecclesiaste, coi suoi beni, con le sue ricchezze, coi suoi misteri affidò Iddio agli uomini, alle loro disputazioni, ai loro sforzi di progresso e di ricerca del vero e del buono. E dopo la lunga storia del popolo eletto, che è pur storia di coltura e di progresso sociale venne Cristo, non per modificare, ma per completare il testamento antico. Si oppone all’influsso civile della Chiesa e all’attività sociale dei cattolici che il nostro Maestro disse: «Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia». «Ma non aggiunse, risponde Leone XIII nella sua enciclica sul Rosario (1893): Lasciate stare tutto il resto. Ché anzi — continua il Pontefice —— l’uso dei beni terreni può servire anche per aumentare e ricompensare la virtù. Il fiore e la civiltà dello stato terreno sono anzi un’immagine dello splendore e della magnificenza del regno celeste». No, Cristo, quantunque ci inculchi l’interno distacco dalle cose terrene, non ci comanda l’assenteismo da ogni attività sociale, né la stasi di fronte alla continua dinamica delle cose e delle classi, Egli che disse: «Bisogna versare il nuovo vino dell’Evangelo in otri nuovi, altrimenti il vino nuovo rompe gli otti vecchi, il vino viene sparso e gli otri vecchi vanno a male. Così invece si mantengono entrambi». E tutti i grandi santi sociali da Paolo ad Agostino, da Leone il grande a Gregorio Magno, da Tommaso a Francesco Saverio, intendono questa dottrina e si valgono dei mezzi che offre la cultura a loro contemporanea. A buon diritto quindi anche noi asseriamo di fronte ad avversari malevoli o a cristiani pusilli che vorrebbero opporci come ideale un loro cattolicesimo incorporeo, segregato da tutto quello che non è puramente individuo o è contingente, che l’azione sociale non diviene solo un voluto argomento di fatto per l’apologia dei principi e delle tendenze della religione, ma è un movimento che trova la sua ragione d’essere nella stessa missione morale e civile del cristianesimo, come va svolta nelle attuali condizioni della società umana. Su tale via possiamo procedere sicuri verso attività nuove e nuove conquiste sì che il nostro pensiero cammini parallelamente alla diffusione della cultura, il nostro lavoro ai progressi della tecnica e dell’economia, il nostro influsso civile proceda parallelo ai gran passi della democrazia. Una cosa, una gran cosa, però, dobbiamo qui avvertire, o amici. Il tram della nostra azione sociale non procede non potrà correre alacre e superare le curve difficili e le ardue pendenze senza il funzionamento regolare della centrale, ove la forza si crea e si rinnova. E la sorgente dell’energia per il nostro treno sociale è il cristianesimo creduto, applicato, praticato anzitutto in noi stessi. Non dobbiamo essere come il trovatello smarrito sulla via che del padre ricorda appena il nome. L’azione sociale nostra si chiama cristiana non solo perché si dirige secondo i principii del cristianesimo, ma perché deve svolgersi con la cooperazione di cristiani integri, sinceri, praticanti secondo l’ideale evangelico e i precetti della Chiesa. Quel medesimo cristianesimo che giustifica ed ispira la nostra azione sociale c’impone durante tutta la nostra attività un sacro dovere: il ritorno costante dalla periferia delle nostre azioni pubbliche al centro morale del nostro interno, all’educazione del nostro spirito, alla rigenerazione della nostra volontà. Solo se preceduta da tale cristianesimo interiore e pratico la nostra opera di riforma sociale sarà logicamente ed intimamente cristiana. Poiché rimane sempre vero che il più grande contributo che può dare il cristianesimo alla soluzione della questione sociale è la rigenerazione dell’individuo, il suo affrancamento dal predominio della materia e dell’interessato egoismo, l’amore a Dio e per l’amore a Dio l’amore al suo prossimo. Di tali uomini e non d’altri si può formare la falange dei riformatori. Ricordiamolo anche nella nostra propaganda: senza la rigenerazione interiore dell’individuo non ci riuscirà la riforma delle istituzioni e dell’organismo. I nostri padri, i primi cristiani, i più grandi riformatori del mondo, non incominciarono con l’organizzazione degli schiavi, dei poveri, del proletariato, ma elevarono in mezzo al disordine sociale, al dominio degli sfruttatori una croce e dissero all’uomo, chiunque fosse: Fratello, Cristo è morto per te! E dalla croce venne poi il concetto dell’umana fratellanza, la riorganizzazione sociale, il vincolo di quella grande solidarietà che noi, venti secoli dopo, cerchiamo di ricostituire sulle rovine di una società rifatta pagana nell’anima e nelle istituzioni.

Il partito polare e le elezioni comunali

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Il più celebre fu l’imbrattamento del busto a Canestrini, accaduto al 23 settembre 1903. Benché La Voce Cattolica protestasse contro l’autore di tale atto e fosse probabilissimo l’intervento di qualche agente provocatore (fatti recenti ci hanno confermato dove stiano di casa gli imbrattatori), gli anticlericali di tutte le gradazioni mossero all’attacco. I consiglieri comunali della Democratica, con pensiero altamente geniale, proposero di ribattezzare l’antica via San Pietro in via Canestrini, e in piazza e per le vie si inscenarono dimostrazioni violente. La ragazzaglia insultava i preti e i pochi che avevano il coraggio di dire il proprio biasimo, la polizia lasciava fare, fino che ad un suo membro influente parve che i «preti i ghe n’avessa abbastanza». In protesta i deputati conservatori alla Dieta presentarono al 9 novembre un’interpellanza in cui era detto: «Per quanto sia da deplorarsi e riprovevole l’atto vandalico di chi ha sfregiato il busto a Canestrini, è ancor più deplorevole che dell’atto di un Singolo, di cui ignorasi a qual partito appartenga e che ogni partito certo disdegna e sconfessa, si tragga argomento, per inveire contro un intero partito e contro un intero ceto di persone». I democratici trovarono l’interpellanza offensiva per la città di Trento e telegrafarono al podestà, dr. Brugnara, capo del club dietale, un aperto biasimo. Perché aveva egli permessa la presentazione della interpellanza da parte dei conservatori, perché non aveva levata la voce contro simili attacchi? In protesta l’«Alto Adige» annunziava la candidatura dietale del candidato avv. Silli, in sostituzione del dimissionario Bertolini. Si accusava in genere i deputati liberali di troppa cedevolezza di fronte ai «clericali», ed i due capi d’accusa principali erano questi: primo, l’omissione della protesta suddetta, poi la firma ad un telegramma di condoglianza per la morte del principe vescovo Valussi. Tali le solenni origini della nuova democrazia. Il Popolo stava in cattedra ed augurava che da parte degli anticlericali si cancellasse non solo la macchia del busto, ma «si lavori a cancellare anche dal paese l’onta e la vergogna di un partito che della verità della scienza e della libertà è e sarà implacabile nemico». Invero alla loro messa anticlericale i democratici vollero più tardi dare anche un’interpretazione di radicalismo nazionale diretto contro il fatto che tutti i deputati dietali avevano sospesa l’ostruzione per votare gli aumenti di stipendio ai maestri. Così, l’«Alto Adige» dei 23-24 dicembre, riassumendo, stampava: «I democratici hanno protestato a ragione contro un indirizzo della politica provinciale sommamente dannosa al paese e se la loro protesta ha fatto prendere cappello alla moderateria trentina, i democratici non hanno che vederci. Con molto maggior ragione si potrebbe, caso mai, asserire, che la causa dello stato presente si fu il procedere dei deputati della Dieta, del tutto contrario agli impegni da essi presi di fronte agli elettori». Le conseguenze politiche sono note; rottura del compromesso liberale-conservatore, proclamato una volta il patto della concordia e della dilezione contro il nemico comune, venuto oggi in disprezzo quasi fosse un vergognoso connubio, il disgregarsi in due frazioni del partito liberale, la vecchia delle quali, forte specialmente in Rovereto, non volle mai ammettere la fondatezza delle accuse mosse dai democratici, e nel campo cattolico il fortificarsi dell’idea essere necessario ed urgente di organizzarsi politicamente in base ad un programma popolare e proprio. Siamo ai natali dell’unione politica. Ma a noi oggi interessano soprattutto le conseguenze dell’attacco anticlericale nell’ambito dell’azione comunale di Trento. Il dr. Brugnara che aveva deposto il mandato dietale, al 23 novembre dimise la carica podestarile. Lo seguì il vicepodestà conte Manci che, alle ragioni del podestà, aggiunse le sue preoccupazioni per la finanziazione della nuova impresa: la centrale del Sarca; e poi la Giunta che fece atto di solidarietà col primo cittadino. Dopo parecchi tentativi di ricostituzione arrivammo al commissario governativo che per il marzo del 1904 indisse le elezioni generali. I democratici, decisi ormai ad assumere il potere, si allearono coi socialisti. La lista conteneva parecchi i.r. impiegati e (ahi, somma sventura!) un ex guardia di polizia di parte socialista. Questa grave circostanza doveva riuscire fatale alla novella democrazia! Caratteristico è che dei candidati comuni non comparve un programma comune. Ciascuno pubblicò un’edizione propria colle specialità dell’officina. Il Popolo prometteva senz’altro l’abolizione e la riduzione di tasse, l’«Alto Adige», più guardingo non prometteva niente, ma a chi domandava come si farebbe poi a finanziare la centrale, rispondeva sdegnosamente che a questo ci penserebbero loro. Comune era invece l’intonazione anticlericale. Alla vigilia delle elezioni, nel comizio, il dr. Battisti, volgendo lo sguardo alla nuova era, augurava che a Trento «invece di guglie, di chiese e campanili si vedessero fumaiuoli e camini, la ricchezza di Trento». Alla coalizione radicale si oppose una coalizione conservatrice. Nel suo programma erano i seguenti caposaldi: rispetto ai sentimenti della cittadinanza, unione di Trento con le valli, evitare attriti per questioni religiose. In affari amministrativi i due programmi erano identici, solo che in quello dei conservatori si accentuava la necessità delle economie. Al 14 marzo si svolse la lotta del terzo corpo. I radicali vinsero con un massimo di 626 voti, la coalizione moderata soccombette, raccogliendo sui capilista Brugnera e Peratoner non più di 551 voti. Con tale votazione incomincia l’era democratica in comune. L‘oratore non vuole indugiarsi a descrivere la storia, perché è cosa di ieri e perché si può racchiudere in poche parole: nessuna democrazia (si pensi al contegno del Municipio di fronte ai padroni fornai col conseguente rimipicciolimento del pane, si pensi alle tasse sull’acqua ed al modo con cui venne imposta), nessuna discussione pubblica ed una notevole paura del socialismo al quale anche quando l’idillio è rotto si concedono non solo sovvenzioni materiali ma si fa largo per ogni manifestazione che non sia direttamente antiliberale. L’oratore tocca alcuni episodi elettorali dell’era democratica. Nel dicembre del 1895 i cattolici, all’ultimo momento, con brevissima preparazione, raggiunsero nel terzo Corpo 300 voti, la metà circa dei voti radicali. Nel secondo corpo si ebbe una votazione-protesta degli impiegati, i quali riunirono sul nome di Antonio Tambosi 61 voti. Gli impiegati raccoltisi, in adunanza all’Hotel Europa rispondevano alle provocazioni dell’«Alto Adige» con una risoluzione nella quale si protesta contro «un sistema a base di intollerante invadenza, di intemperante soperchieria, di demagogica tracotanza da noi non temuto, sistema che già da troppo tempo perdura e che inasprisce e nausea la parte più sana ed eletta della città e delle valli, che, indignate, rifuggono dal loro centro. È ora di finirla!». È a questo turno di tempo che risale la rottura coi socialisti in causa di quella malaugurata ex guardia, che i democratici avrebbero magari tenuta per buona come comandante degli agenti municipali, ma non come consigliere. E veniamo al 1907. In maggio i democratici o buona parte di loro levano sugli scudi il socialista Avancini, ma in dicembre, alla vigilia delle elezioni comunali, ai medesimi «compagni» viene dato il bando, perché antinazionali. «Il socialismo trentino avverte l’Alto Adige (30 novembre) - si ispira a quelle idee sindacaliste ed internazionalistiche, alle quali nessun trentino potrà mai dare quartiere finché il terreno non sia completamente sbarazzato da tutte le piccole e grandi insidie che minano la nostra esistenza nazionale». E più innanzi, parlando della sovvenzionata Camera del lavoro: neghisi il voto ad «una istituzione che si apparta ostentativamente quando si tratta di combattere i nemici della nostra patria e qualifica come gazzarra una nobile lotta ingaggiata nel nome del principio di nazionalità». Tale rottura coll’ala socialista dell’antica alleanza parve consigliare uno spostamento verso destra. Ma i moderati, alle sollecitazioni di parecchi di ritornare almeno nel Consiglio, risposero con un diniego, osservando che il Consiglio deve condividere le responsabilità della Giunta dalle quali i moderati rifuggono (Unione, 14 novembre) e il barone Salvotti, al quale si rinfacciava un trapasso troppo immediato dal Comitato Diocesano alla Lega democratica, si vantava ad elezioni fatte, d’aver saputo tener lontani dal Consiglio comunale «certi faziosi che avrebbero tirato addosso al partito democratico il rimprovero di aver fatto un passo indietro, con grave suo danno, relegando invece i moderati nell’abbandono oblivioso in cui li ha lasciati la cittadinanza trentina». Caratteristico è il disinteresse, con cui si svolsero queste elezioni. Si ha infatti la seguente statistica: III corpo: elettori iscritti 1900, votanti 587, cioè il 30%; II corpo: elettori iscritti 595, votanti 136, cioè il 24%; I corpo: elettori iscritti 60, votanti 13, cioè il 21%. E si noti che fra i 587 votanti del III corpo sono comprese circa 200 procure! Non entra a discutere la gestione finanziaria dell’era democratica, non intendendo oggi il partito di presentare una propria lista con un programma economico dettagliato, ma fa semplicemente osservare che il partito dominante, in 5 anni di amministrazione, lasciando da parte tutto il resto è arrivato ad un sorpasso di un milione128 mila, ad un nuovo debito di un milione e mezzo e quel che è peggio ad un deficit che risulta tutt’altro che provvisorio di almeno 100 o 120 mila corone annue, da coprirsi con nuovi balzelli. Ma forse è migliore e più favorevole il bilancio morale della era nuova? Non vogliamo dire l’opinione nostra che potrebbe parere troppo soggettiva. Leggete Il Popolo di giorni fa. Si tratta degli alleati e dei commilitoni di 5 anni or sono. «A Trento — stampa il foglio socialista — c’è un Consiglio comunale in cui prevalgono i poltroni, gli inerti, gli eterni muti. Non discutiamo l’indirizzo (qualche volta si potrebbe dire il non-indirizzo) del partito che tiene le redini del Comune, constatiamo che fra i 36 consiglieri ci sono troppe teste vuote, troppe animucce imbelli, troppa gente che tien la carica come un gingillo. Il Consiglio comunale non è in massima composto dalle migliori forze, non diciamo della città, ma neppure del partito dominante. A Trento — e purtroppo l’abitudine è antica — nel Consiglio civico per un consigliere intelligente ci sono quattro o cinque che si lasciano tirare pel filo come le marionette. Tutto quello che sanno fare due terzi di essi è — quando lo sanno — votare, secondo gli ordini del padrone. Le discussioni sono state abolite nel consesso di Trento. Tutt’al più si fa qualche discorsetto rettorico — da qualcuno magari imparato a memoria sul manoscritto di terzi — o un po’ di pettegolezzo sulle questioni di minor importanza». Ma non migliore giudizio ci pare risulti dalla posizione che oggidì assume l’organo municipale, l’Alto Adige. Nella settimana testé decorsa sono comparsi tre articoli, che sembrano scritti dalla Maddalena pentita? L’Alto Adige si rivolge a quella che un tempo fu chiamata «moderateria» e: taccian, pare ripeta. Taccian le accuse e l’ombre del passato Di scambievoli orgogli acerbi frutti Tutti un duro letargo ha travagliato Errammo tutti. Oggi in più degna gara a tutti giova Cessar miseri dubbi e detti amari Al fiero incarco della vita nuova Nuovi del pari. Questa volta il «fiero incarco» sarebbe naturalmente quello di pagare i debiti. O meglio ancora la posizione dell’«Alto Adige» ricorda il «Mira, o Norma — ai tuoi ginocchi questi cari pargoletti, Deh! pietà...». Leggete infatti gli articoli di fondo sopralodati, in cui si fa appello a coloro che «per ragioni di coltura, di censo e di aspirazione dovrebbero dare l’indirizzo nel seno del partito liberale» e si parla della necessità di richiamare in consiglio i moderati per dargli l’autorità ed il valore voluto dal momento attuale. Bel complimento ai consiglieri d’oggi! La finale poi è commovente come quella dei drammi degli oratori. E un inno alla «nuova era di pace e di lavoro concorde, la quale sarà apportatrice di nuovi benefici alla nostra città diletta» ed un sacro giuro di voler collaborare «all’opera benedetta della concordia cittadina». In tale lacrimevole ed umile intonazione dunque doveva finire dopo un lustro appena la fanfara di guerra della democrazia liberale? Ma a noi poco importa se dinanzi a tale compunzione — dice qui il relatore — Norma s’impietosirà o meno e se i moderati si sobbarcheranno al nuovo «fiero incarco», a noi importa rilevare con quali intenti si tenta la concentrazione delle forze liberali rispetto al nostro partito, l’«Alto Adige» non vi lascia in dubbio. La preoccupazione prima e sempre quella che i clericali non entrino in Municipio. «Teniamo le polveri asciutte!» avverte l’«Alto Adige»: non si sa mai! Per questo sforzo anticlericale, per questo bando da mantenersi ad ogni costo contro i nostri aderenti, invano cercherete ragioni plausibili. Forse che siamo un manipolo trascurabile? Le elezioni parlamentari del maggio 1907 hanno dato 960 voti a noi e 934 ai liberali. Forse che non paghiamo imposte in misura ragguardevole? Si pensi solo a quello che pagano le istituzioni centrali del nostro movimento. A mo d’esempio la Banca cattolica di tasse comunali paga 20.700.16 corone annue, la Banca Industriale, il cui capitale è anche in gran parte dei nostri consenzienti, paga 21.489.79. Forse che i deputati del nostro partito combattono gli interessi di Trento? O non è vero invece che in molti problemi di capitale importanza per la città, l’opera dei deputati popolari e ricercata e largamente data? Nessuna ragione oggettiva quindi, ma solo lo spirito di fazione cagionano l’ostracismo che si vuole a qualunque costo mantenere contro di noi. Di fronte a che noi non ci inchiniamo per chiedere delle concessioni, ma domandiamo ad alta voce il nostro diritto. Diritto che si risolve in una protesta contro un sistema elettorale che dà mandato assoluto ad una minoranza d’imporre balzelli sulla maggioranza. E qui il relatore si diffonde a spiegare il vigente sistema che risale al 1889 e la riforma votata per l’ultima volta nel Consiglio comunale ai 3 settembre 1903, e che ora è in Dieta, aspettando l’approvazione della rappresentanza provinciale. La riforma introduce un quarto corpo coi caratteri della vecchia quinta curia parlamentare. Noi temiamo però che anche con tale riforma con pretesti anticlericali si riesca ad escludere dal Municipio il nostro partito, non per la forza dei nostri avversari presi a sé, ma per le coalizioni che si formeranno in odio contro di noi. Chiediamo quindi che il nuovo sistema permetta la rappresentanza delle maggioranze. In Italia l’articolo 74 della legge 4 maggio 1898 prescrive che «ciascun elettore ha diritto di scrivere sulla scheda tanti nomi quanti sono i consiglieri da eleggere, quando se ne devono eleggere almeno cinque. Quando il numero dei consiglieri da eleggere è di cinque o più, ciascun elettore ha diritto di votare pel numero intero immediatamente superiore ai quattro quinti». In tal maniera un quinto di eletti apparterrà ad un partito di minoranza. Ma più equo e più sicuro è il sistema proporzionale. L’oratore descrive la marcia del principio proporzionale nei corpi rappresentativi politici, dove però è ancora discutibile se sia da preferirsi un grande frazionamento di partiti alla base sicura di Governo che dà una forte maggioranza. Ma certamente accettabile è la proporzionale per i corpi amministrativi. Essa fu introdotta anche recentemente in Baviera, in parecchie città austriache e in tutte le città del Vorarlberg che ha copiato il sistema dalla vicina Svizzera. Nel Vorarlberg vige il sistema della lista obbligata. I partiti cioè devono presentare 14 giorni prima al magistrato la lista dei propri candidati. Il magistrato esamina le liste e se qualche candidato è contenuto in più liste, gli chiede se a ciò ha dato il suo assenso o meno: in caso negativo il suo nome viene cancellato dalla lista che egli non accetta. Poi sei giorni prima delle elezioni, le liste vengono pubblicate come liste riconosciute. Nel giorno elettorale gli elettori, se vogliono che il loro voto abbia un valore effettivo, devono darlo ad una delle liste riconosciute. Chiuso l’atto elettorale, la commissione constata il numero dei votanti, divide questo numero per il numero dei consiglieri da eleggersi, il numero che risulta è il quoziente elettorale. Quante volte questo quoziente sta al numero di voti dati a ciascuna lista, altrettanti consiglieri spettano a tale lista. Si fa notare che per quoziente non si prende proprio il risultato netto della divisione suddetta, ma per evitare frazioni, il numero immediatamente superiore a tale risultato. Per esempio: sono da eleggersi 6 consiglieri. Il numero dei votanti è 216. 216: 6 + 1 = 30 e frazioni; il quoziente elettorale è quindi 3 — 1, e le liste vanno divise per tal numero. Il risultato ci dà il numero dei consiglieri che spettano a ciascuna lista. Un altro sistema è quello delle liste libere o di concorrenza, nel quale caso non occorre presentare previamente le liste dei candidati. Il relatore spiega anche questo sistema. Ma senza entrare in questioni di dettaglio, a cui provvederanno i legislatori, l’oratore ritiene che la proporzionale porti tali vantaggi per un’amministrazione controllata e sia così equa, che si raccomandi da sé. Si tratta di dare ad ogni partito quello che gli spetta. Non vuole entrare nella questione se si debba introdurre accanto alla proporzionale il suffragio uguale con un corpo elettorale solo. Tale postulato rinvierebbe la riforma alle calende greche. Nel Vorarlberg si è semplicemente introdotta la proporzionale in ogni corpo, lasciandoli tutti e quattro. Ritiene che anche il partito dominante non dovrebbe opporsi a tale riforma, poiché non si tratta di dare la scalata né di conquistare la maggioranza, e d’altro canto un deputato nazionale liberale l’anno scorso propugnava nell’Alto Adige la proporzionale. Egli si limita a presentare il seguente ordine del giorno: Gli elettori comunali di Trento, aderenti al partito popolare, constatando che né il regolamento elettorale cittadino attualmente in vigore, né la riforma sottoposta per l’approvazione alla Dieta provinciale corrispondono ai criteri di equità, imposti dai moderni bisogni; chiedono che accanto al massimo ampliamento possibile dell’elettorato comunale, si aggiunga l’introduzione della rappresentanza proporzionale di partiti. Tale conchiuso verrà presentato al podestà di Trento ed ai capi della deputazione dietale italiana. Il dr. Lanzerotti aderisce alla relazione del dr. Degasperi ed aggiunge agli argomenti già addotti, che non si potrà certo negare ai popolari la pratica amministrativa necessaria per i consiglieri comunali né ancora si potrà tacciarli di non aver riguardo ai sentimenti nazionali, quando si faccia un salutare confronto fra la Trento-Malè, il cui progetto era in mano della città di Trento, e la Dermulo-Mendola in mano di un nostro istituto. Il dr. Degasperi eccita i consenzienti a raccogliersi più di frequente ed a fare sentire la propria voce affinché non ci si tratti come cittadini di secondo grado, mentre si accumulano colpevoli transigenze verso il partito socialista, L’ordine del giorno venne accolto con prova e controprova ad unanimità. L’on. dr. Cappelletti crede di interpretare il pensiero dei propri colleghi dietali del Club popolare, affermando che si interesseranno della cosa nel senso voluto dall’ordine del giorno. Già nell’ultima sessione dietale l’on. Decarli fece delle riserve a proposito della riforma elettorale presentata alla Dieta per l’approvazione. I deputati non mancheranno di propugnare il principio equo della rappresentanza proporzionale. Con ciò dichiara chiusa la riuscita adunanza.

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