Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il comizio di Riva

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Stefenelli di menomare l’importanza dei comizi elettorali di Tuenno e di Valfloriana e osserva che i contadini hanno diritto di parlare, perché contribuiscono a mantenere l’università; del resto la maggior parte dei nostri studenti, se non hanno il padre contadino, hanno avuto il nonno. Quanto al fatto che a Tuenno l’ordine del giorno venne accettato ad unanimità senza discussione, esso non può provare altro che gli elettori furono tutti d’accordo, altrimenti la maggior parte dei comizi per l’autonomia non avrebbero avuto nessun valore. Egli venne a malincuore a questo comizio: le predizioni della stampa locale e le idee, oramai fatte pubbliche di alcuni fra i promotori, già dicevano ch’egli si sarebbe trovato di contro a delle persone molto autorevoli di parere avverso in un ambiente predisposto ostilmente. Venne tuttavia per obbedire ad un imperativo della sua coscienza di cittadino, venne, perché dopo aver scritto e parlato durante tutta la lotta universitaria ed averla combattuta da vicino assieme alla giovane generazione, pareva che il mancare nel momento in cui pende la decisione, fosse un disertare. E come non mancò ad Innsbruck, quando l’armonia degli intenti collocò accanto l’uno all’altro gli studenti, malgrado tante differenze, nella difesa contro un urto feroce, così non volle mancare oggi, anche se gli fosse avvenuto di parlare contro tanti alleati d’un tempo. Allora come adesso è l’amore alla causa della nostra elevazione nazionale che lo spinge, è la persuasione intima della necessità di un istituto superiore per la nostra coltura. Si dichiara d’accordo coll’energica protesta contro il Governo e specialmente contro quei tedeschi che sono in Austria il concreto dell’astratto: prepotenza, e in questo riguardo non ha nulla da aggiungere alle nobili parole del barone Fiorio. Venendo al nocciolo della questione, dice che si può partire da due punti di vista: punti che si sono fatti anche pubblicamente valere negli ultimi giorni. «O noi consideriamo, egli dice, il miserabile frutto dopo tante cure ottenuto, consideriamo il tozzo di pane buttatoci come a mendichi, mentre noi avevamo sperato, sognato un banchetto, e allora il sangue ci sale al viso e gridiamo colla voce soffocata dalla rabbia in faccia al presunto benefattore che ci deride: No, no, il tuo tozzo lo butto a terra e lo calpesto; salverò la dignità, anche a costo della fame! E questo è il parere di chi grida “Trieste o nulla”. Ma c’è anche un altro punto di vista, e questo s’attaglia secondo me alle nostre condizioni. Noi siamo un popolo stretto da ogni parte da avversari nazionali, che s’annidano sui nostri valichi alpini che scorazzano le nostre valli come padroni, e mentre ai confini passo passo, piede piede, ci tocca difendere la nostra vita nazionale, anche più addentro dobbiamo parare gli assalti diretti contro il palladio della nostra nazionalità. Su questo piede di difesa in cui ci troviamo in questo accanimento continuo ogni arma nuova che ci viene tra mano serve a rintuzzare l’offesa, è provvidenziale. Da questo punto di vista io considero la facoltà che il Governo, o meglio i partiti, sia pure con intenzione non benevola, hanno fatto passare nella commissione. Faremmo insomma, per ritornare al paragone di prima, come il mendico che strappa di mano al signore il tozzo di pane, lo ingozza perché vuole vivere, vivere per continuare nella resistenza e gli grida: Vivo per combatterti, per vincerti definitivamente! Io vedo insomma nella facoltà una forza che aumenta la nostra resistenza nazionale, e per ciò l’accetto per ritorcela contro i donatori che hanno già calcolato sul mio rifiuto. Ma la facoltà, voi obiettate, è bastarda; anzi l’on. dr. Stefenelli ha accentuato appunto questo. Ebbene, se il progetto dovesse passare tale e quale, dovremmo rifiutarlo tutti. Ma già il Governo, credo per bocca del ministro Hartel stesso, ha dichiarato di voler mutare le disposizioni lesive ai nostri sentimenti nazionali; ad ogni modo, se il Governo non manterrà la sua promessa, per il nulla ci sarà sempre tempo d’agitarsi. Ora veniamo alla questione della sede. Il Governo — c’è chi vuole, in seguito a suggerimenti — nella scelta della sede, dopo aver passato sopra al desiderio comune agli italiani, ha inflitto un’altra offesa al nostro paese. Il pericolo dell’atomismo, parlando di popoli e di stati, e passato. Pochi ma uniti, malgrado la geografia ufficiale, nella nostra coscienza di popolo abbiamo creato un paese, il Trentino, e a Trento tutti — parve almeno tutti — demmo le insegne di capitale, e Trento lo fu anche spesso moralmente. Così non parve ai promotori del progetto. Signori, se il Governo vuole erigere la facoltà nel Trentino, lo possa fare solo a Trento, in nome dell’unità nazionale del paese! Ed ora vengo all’ultima obiezione fatta anche oggi che è forse per alcuni più forte di tutte le ragioni; la solidarietà nazionale coi fratelli della Venezia Giulia. Gli è appunto in nome di questo supremo ideale dell’armonico sviluppo nazionale fra tutti gli italiani dell’Austria che io vi domando la votazione per Trento. Non vi paia un paradosso, o signori! La facoltà a Trento dev’essere provvisoria; lo dev’essere per deliberato nostro, lo dev’essere per l’opera dei deputati. Non si tratta che di uno sbarco momentaneo, per salvarci dal sicuro naufragio finché, passata la burrasca, riprenderemo il cammino verso la meta finale, Trieste. Teniamola viva questa povera figlia della sciagura, fino che momenti politici più propizi, costellazioni parlamentari più favorevoli ci rendano possibile darle una stanza più sicura, più conveniente. Signori! gridando “Trieste o nulla” noi ricadiamo dopo tante lotte nel nulla, senza che si veda modo di cavarsene fuori, dicendo “Trento” noi evitiamo il “nulla”, per poi arrivare a Trieste. E i nostri fratelli triestini che in un momento di delusione, che noi condividiamo, s’oppongono ora ad una soluzione provvisoria, saranno poi grati a chi ha salvato loro il germe di cui raccoglieranno più tardi i frutti. Del resto i miei avversari sono in contraddizione. Come si fa ad appellarsi alla solidarietà coi triestini, mentre contemporaneamente si invitano, come sostiene oggi il dr. Stefenelli, i deputati a rompere l’unico vincolo che è il club italiano al Parlamento? Io non sono tenero però del club italiano, anzi se tutto si avesse a ridurre ad una dittatura dei deputati del litorale venga pure la rottura». Il dr. Degasperi conclude dichiarando specioso l’argomento che in Trento non possa risiedere provvisoriamente una commissione di esami, perché danneggerebbe la coltura generale degli studenti, e nega che a Vienna e a Graz gli studenti trentini siano veramente a contatto con le fonti della civiltà tedesca. Finisce dicendo che non vede per ora come si possa ricominciare di nuovo la lotta, e osserva che la politica del «tutto o nulla» nella questione dell’autonomia, ci ha messo al rischio di perdere nazionalmente oltre la valle di Fassa anche quella di Fiemme. Prelegge in ultimo il seguente ordine del giorno: «Il Comizio riafferma essere unanime volere degli italiani che la facoltà giuridica italiana, rispettivamente l’università completa, abbia la sua sede definitiva in Trieste, e invita i deputati a cogliere ogni momento politico opportuno per eseguire la volontà nazionale. Protesta contro le disposizioni lesive ai sentimenti nazionali contenute nel presente abbozzo di legge. Delibera che vista l’impossibilità per il momento di raggiungere la meta ideale e di iniziare una lotta efficace sul terreno accademico e sul terreno parlamentare, ammesso che il Governo come ha promesso ritiri le disposizioni lesive come sopra, venga affidata a Trento la facoltà giuridica, in via provvisoria, e fino a tanto che agli unanimi conati degli italiani riuscirà di ottenere l’erezione definitiva di un’università italiana a Trieste»?

Il Congresso degli universitari cattolici a Borgo

387997
Alcide de Gasperi 5 occorrenze

Il Congresso degli universitari cattolici a Borgo

Cicerone era piuttosto tra questi ultimi ma noi invidiamo la fortuna di Demostene, perché la chiusa delle sue filippiche era coronata dall’entusiastico grido: «guerra, guerra a Filippo!» Così oggi, sia pure ch’io non sono Demostene né voi gli ateniesi, vorrei tuttavia che alla fine del discorso non dobbiate dire: «Veramente ho capito poco, un bravo oratore però!». Ma invece che siate condotti a dire: «Le ha dette giuste, convien proprio fare così!». Una cosa però non hanno precisato i colleghi di direzione: s’io dovessi cioè tenere questo discorso popolare al popolo in nome loro o viceversa se avessi a parlare in nome del popolo agli studenti. Mi perdonerete, quindi, se, per cavarmi d’impiccio, parlerò un po’ agli uni e un po’ agli altri. Se vi sarà qualcuno che a un certo punto non comprenderà, stia tranquillo; in quel momento non mi rivolgo a lui, ma ad altri.

Il professore, avezzo a vedere gli studenti aggirarsi in quell’atmosfera di birra e di fumo, già descritta dalla Stael, guardava attonito a tutto quell’affollarsi di popolo sotto le loro bandiere, a quel confondersi di tutte le classi cogli universitari. Veda, interruppi allora la sua esclamazione di meraviglia, il popolo è grato agli studenti! Gli studenti hanno dichiarato d’essere col popolo e per il popolo. Le opere non hanno smentito le promesse, e il popolo se ne ricorda. Così dicendo, accentuavo un punto fondamentale del nostro programma. La storia nostra è breve. Venuti su, quando nel campo studentesco era già sorta un’organizzazione, noi, un manipolo appena, ci trovammo subito di fronte a buon numero di antichi discepoli o amici. Era l’ora, in cui la tendenza di dirigersi al popolo ringagliardiva nei giovani cuori: l’urto era inevitabile. Ricordate i destini del Faust? Il Faust, stanco di sé e della vita di piacere, gettò un giorno lo sguardo sul mare, lo vide sterile esso medesimo, divenire fattore di sterilità per le terre, suoi confini una volta, ora sommerse o ridotte a micidiali paludi; e decise in cuor suo di ricacciare entro se stessa la prepotenza del mare, di risuscitare alla verde vita le terre morte. Il piano grandioso, venne eseguito, innumeri braccia umane scavarono canali, alzarono dighe, strapparono giorno per giorno all’elemento divoratore nuove conquiste e in breve Mefisto può mostrare a Faust una verde distesa di prati e di campi là dove prima stagnava l’acqua morta. Ma il Faust non è contento ancora. Lassù, sulla collina, baciata dal mare, sotto i tigli sta una capanna baciata da due vecchietti, e più in là una cappelletta, santuario dei poverelli, e speranza un tempo dei naufraghi. Il Faust vuole anche la collina, la vuole per compire i suoi piani, ma i due vecchi non vogliono abbandonare la zolla avita, e il Faust, padrone del mondo, sente ogni giorno la squilla argentina e il profumo dei tigli venirgli a ricordare nel suo palazzo l’ostinazione del povero. Una notte serena, il demonio Faustiano Mefistofele, mette in fiamme capanna e chiesa, e i vecchietti vi vengono arsi dal fuoco. Perché vi ho ricordato l’allegoria di Volfango Goethe? Il Faust è l’umanità moderna che, infatuata di quello ch’ella chiama progresso, si precipita inanzi seminando sul sentiero cadaveri, e l’uomo trascinato da un’idea nuova, indiscutibile, che calpesta i sentimenti conservativi, è il pazzo che condanna irremissibilmente e totalmente il passato, per imporre un avvenire, creato dalla fantasia e dalla sua ambizione. Così erano quelli studenti che dieci anni fa dichiaravano di fare del Trentino una bragia rossa. Per loro il Trentino passato non era che il paese degli errori, delle menzogne convenzionali, delle infamie. E il loro avvenire che volevano imporre colla spada e col fuoco, era tolto di peso da paesi stranieri era impastato delle idee, chiamato socialismo. Che eri mai tu, o popolo trentino ai loro occhi? — Mandra di pecore sotto le sevizie di pastori superbi e ignoranti, ciechi brancolanti nelle tenebre. La secolare catena delle tue tradizioni doveva venir spezzata e tronca per sempre.

Nelle nostre società operaie freme il desiderio della ripresa; a che tardiamo? E perché non si dica che ci cacciamo in questo lavoro con la presunzione di giovani ricordiamo pure che noi non siamo che una parte dell’esercito che avanza e che è più facile criticare che fare. E qui l’oratore racconta popolarmente, fra ilarità generale, la parabola di Hans Sachs su S. Pietro e la capra. La morale gli serve per ripigliare come segue. Al lavoro dunque con tutte quelle cautele che ci preserva dalle frasi vuote, dalle pose inutili, al lavoro, che esca in noi e nel nostro popolo una coscienza positiva. Promettiamolo qui e oggi, amici e colleghi, di fronte a questo popolo industre, di fronte a questo castello diroccato, testimonio d’una gente non serva, ma fattrice dei propri destini. Gli anni che verranno sarà tempo di battaglia, le nostre energie giovanili cozzeranno giorno per giorno coi tempi ostili. Che importa! Siamo con Cristo e il suo popolo. Andiamo!

Ma noi venivamo anche dal popolo, e, attraverso i solchi bagnati dal suo sudore, e a traverso le selve risonanti i colpi delle sue asce avevamo ascoltato la sua voce sincera, intonante una fervida preghiera ed eravamo caduti in ginocchio con lui, mentre le campagne dai nostri gioghi alpini mandavano giù giù per la valle il loro richiamo. Siamo tutti fratelli di Cristo! Ecco la prima espressione della nostra democrazia. La nostra azione popolare doveva basarsi sulla continuità della fede e dei buoni costumi. Noi ci siamo guardati d’attorno e abbiamo ammirato le nostre superbe cattedrali, i nostri santuari, le croci splendenti sulle torri della città, le croci enormi piantate sulle cime delle nostre alpi, e abbiamo sentito che esse non sono semplici testimoni del passato, ma che sono promesse, profezie per l’avvenire. I cattolici hanno piantato le tende sul campo del Trentino storico e chi ha per sé la storia di un popolo, ne ha in mano anche le sorti future! Non altrimenti avvenne già entro questo breve giro di tempo. Quei giovani che volevano distruggere le antiche capanne e le chiese o sono degli uomini stanchi e disillusi o, ridotti alla semplice negazione di tutto, sentono già, come il Faust, lo scricchiolio delle zappe delle Lemuri che scavano la fossa, dove seppelliranno la loro vita pubblica. Le relazioni invece del popolo coi nostri studenti si fecero più intime. Noi vivemmo della vostra fede fortissima, voi aspiraste il nostro entusiasmo. Io vi riconosco, o visi abbronzati dal sole, vi rivedo, o bandiere della buona battaglia! Con voi abbiamo acclamato le prime volte alla democrazia cristiana, sotto di voi abbiamo attraversato le città e le valli in nome del vangelo, con voi e sotto di voi, uniti in un sol pensiero, abbiamo trascinato dietro la fiumana dei dubbiosi, verso la croce. Qualcuno mi rimproverava oggi che gli studenti cattolici non votino, come altri, lapidi e monumenti ai nostri grandi. Lasciali fare, ho risposto, i nostri erigono nel cuore del popolo un monumento più duro della pietra, più longevo del bronzo. La scienza sola, ha scritto in un sonetto pochi giorni prima della sua morte, Lope de Vega, non esca che nebbie pel capo, è il cuore, l’amore che ci vuole. Sì, o amici, l’amore grande a Cristo, alla nostra patria infelice. Quest’amore fu grande in voi negli anni trascorsi; non venga meno nell’avvenire!

Comizio di Fondo. La votazione per Trento

388006
Alcide de Gasperi 3 occorrenze

Il dr Battisti ha affermato che a Trento non si formeranno nemmeno i professori. Constato che i professori si sono dichiarati pronti ad andare a Trento; segno che non vedono in pericolo la loro formazione. Il prof. Menestrina scriveva alcuni anni fa nell’annuario degli studenti trentini le medesime querele sulla poca cultura dei nostri legali venuti da Innsbruck o da Graz e vedeva nella fondazione di un giornale professionale un mezzo per sollevarla. Se si credeva con ciò di riuscire a qualche cosa, non può egli oggi aver fede di conseguire ancor di più con una facoltà a Trento? È vero; il libro ed i professori non sono tutto; ma sono sempre l’essenziale, e non bisogna esagerare l’importanza dell’ambiente. Chi vi dice del resto che gli studenti siano costretti a rimanere tutti gli anni a Trento? Un anno o più potranno frequentare le università maggiori italiane o tedesche. Che coltura offriva infine loro l’ambiente di Innsbruck? Sì, è vero, è una pagnotta, una pagnotta di pane nero, se volete, che ci offre il Governo; ma noi abbiamo fame e dobbiamo mangiarla per continuare la lotta. Riguardo al trasferimento eventuale delle cattedre a Trieste, non si può asserire che sarà impossibile per il futuro; vi furono delle costellazioni parlamentari in cui i deputati italiani diedero il tracollo alla bilancia. È probabile che ritornino. Il contegno stesso che tengono di questi giorni la stampa e i deputati tedeschi, ci dovrebbero persuadere che è far loro un grande favore dichiararsi per il nulla. Sentite come il relatore Starzinsky motivò la preferenza per la sede di Rovereto. Dopo aver ammesso che tutto il resto parla per Trento, egli dice però che a Trento la percentuale della popolazione tedesca è più forte e quindi sono più facili gli attriti. Si nega dunque il carattere nazionale di Trento. E noi dovremo lasciare passare questa offesa con un tanto consenso? Votiamo per Trento anche in protesta contro il Governo ed i deputati avversari. Il d.r Battisti si lagna che si siano tenuti pochi comizi e vuole dare di ciò colpa ai deputati Conci e Delugan. Io gli oppongo che furono appunto questi deputati che si presentarono parecchie volte agli elettori, mentre i «nullisti» hanno taciuto e a Trieste sono fuggiti vergognosamente (applausi vivissimi). Si attaccano i deputati Conci e Delugan che pure furono i soli ad affrontare coraggiosamente l'opinione pubblica; mentre per il Malfatti e il Mazorana ci volle uno studente a proporre il voto di sfiducia e si lasciano in pace gli altri tutti. Il Battisti dice ancora che gli Adriatici non verrebbero qui da una spiaggia tanto lontana. O che dovremo noi fare il medesimo viaggio e assoggettarci alla loro dittatura? Anche l’argomento della guerra civile è una montatura; ma se fosse vero, addio autonomia, addio qualunque altra nuova conquista; al Governo basterebbe provocare una questione di sede, perché noi dovessimo respingere tutto. (Applausi della maggioranza).

Considerato che è in via di fatto esclusa la possibilità di ottenere per ora la istituzione della Facoltà giuridica a Trieste; Considerato che è di grande interesse della nazionalità italiana in genere e del Trentino in ispecie, di ottenere un istituto universitario in terra italiana; Considerando che venendo eletta la Facoltà nel Trentino, Trento per la sua posizione, per la sua storia e per la sua importanza, si presta indubbiamente come sede più adatta di quella proposta dal Governo, il comizio pubblico tenuto ai 17 settembre in Fondo, pur associandosi al voto generale degli italiani per una futura università completa a Trieste e presupposto che il Governo mantenga la promessa di ritirare le disposizioni linguistiche lesive i nostri sentimenti nazionali, chiede che la facoltà giuridica italiana venga eretta provvisoriamente a Trento. Il d.r Degasperi propone poi la seguente aggiunta: Il comizio di Fondo, visto il contegno energico e decisivo degli onorevoli deputati Delugan e Conci nel mentre approva la loro linea di condotta, esprime loro un voto di plauso e d’incoraggiamento.

Ricorda che a Riva si è voluto sminuire l’importanza del Comizio di Tuenno e Valfloriana, per magnificare quello di Riva. Eppure a Tuenno e Valfloriana c’erano innegabilmente più lettori e gente che paga, di quello che non fosse a Riva e altrove. Crede di dover protestare anche qui che in tempi in cui i liberali vogliono chiamarsi democratici e i socialisti hanno procla—mato nel Trentino il regno della democrazia, ci si dimentichi della «scarpa grossa» che è la grande maggioranza del paese e che deve sostenere pesi maggiori di fronte allo Stato e alla Provincia ed ai Comuni (applausi). Purtroppo la popolazione agricola non è ancora politicamente addestrata da por fine a quelle certe pagliacciate di qualche comizio, ove il voto di un garzone o di un commesso di negozio diventava decisivo per la politica del paese. lo sono certo che se si facesse un «referendum» e si domandasse ad ognuno il proprio parere in questione, un’enorme maggioranza si dichiarerebbe contraria al «Trieste o nulla». Un’altra osservazione deve fare a quegli studenti, che come il collega Mezzena a Malè, hanno dichiarati krumiri e traditori gli studenti cattolici, perché hanno il coraggio della coerenza e di un’opinione propria e protesta energicamente contro questi signori i quali pur sanno che gli studenti cattolici, malgrado la freddezza e l’ostilità mostrata loro da gran parte degli studenti liberali, si fecero loro alleati per sostenere un postulato nazionale comune. Colla medesima franchezza e la medesima coscienza, gli studenti cattolici lottarono sempre contro la prepotenza teutonica, protestano e lottano ora contro codesti tranelli dell’opinione pubblica (applausi vivissimi). Venendo alla questione stessa, egli vuole solo ripetere che si tratta di rompere un sistema. Si gridò per lunga serie di anni «tutto o niente» o tutta l’autonomia o niente, o tutti i trams o niente, ed ora ci dobbiamo domandare: Come va colla ferrovia di Fiemme? Come va perfino col tram Trento-Malè che si dice ancora in pericolo? Nel Trentino si può dire che c’è una serie di avvocati che fanno discorsi e un’altra serie di ingegneri che fanno progetti; ma fatti se ne vedono pochi (applausi vivissimi). Qualcuno dell’opposizione grida: «E il Governo che non ci dà nulla!» Il Governo? Risponde il d.r Degasperi. Sì, il Governo ci tratta male e ha gran parte della colpa. Ma colpa ne ha anche l’indolenza ed il falso sistema dei reggitori del nostro paese. È molto comodo dir sempre: Il Governo ci ha tutta la colpa. il Governo! Mentre lo si grida per scusare e coprire anche le proprie mancanze e così nell’agitazione mantenersi in trono(approvazioni). Egli crede che, perché i comizi siano veramente decisivi e coscienti in una questione come questa, il popolo tutto dovrebbe essere più preparato politicamente. I comizi tuttavia, se fatti sul serio, sono certo l’indice non disprezzabile di una parte, più o meno considerevole, dell’opinione pubblica del paese.Finisce proponendo il seguente

L'assemblea dell'"Unione politica"

388012
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Per il movimento sociale l’adunanza fa voti che si mantenga il titolo di cattolico e di democratico cristiano, ed eccita i soci e gli aderenti a voler ravvivare coll’antico entusiasmo le organizzazioni cattolico-sociali, le quali restano la base indispensabile per la educazione delle coscienze e l’infusione dei principii sociali cristiani nelle masse popolari. La adunanza raccomanda che nelle società operaie-cattoliche e nei circoli di lettura si tengano spesso conferenze che valgano a mantenere saldi e immutati i principii del cattolicismo sociale o della democrazia cristiana. Per il movimento invece puramente politico l’adunanza dichiarandosi unanime d’accordo col relatore, decise che il titolo ufficiale del partito abbia a suonare: Partito Popolare Trentino. Il programma poi venne discusso punto per punto e con alcune modificazioni accettato. Al punto VII: «postulati agrari», riferì il m.r. don Panizza; anch’esso dopo larga discussione venne approvato. La seduta, che era stata sospesa alle 12 e ripresa alle 2, durò fino alle 6. Interessantissima fu la discussione sulla organizzazione da darsi alla società nelle vallate. Il m. r. don de Gentili raccomandò, che anche nelle adunanze della società politica ci si adoperasse per la diffusione della stampa; s’inculcasse inoltre essere sacro dovere dei cattolici di sostenere materialmente il comitato diocesano, il quale a sua volta è la società che mantiene la stampa e ne rende possibile lo sviluppo. L’oratore urge ancora che non si voglia disperdere le forze in altre imprese buone sì, ma non così importanti ai giorni nostri come la stampa. Ricorda l’esempio della Francia, la quale ha profuso somme immense in opere eccellenti, ma dove non si è sviluppato il movimento cattolico sociale e non ci si è impadroniti dell’opinione pubblica, coi danni che ora vede ognuno. Le parole del dr. de Gentili furono calorosamente applaudite. S’accettarono infine le proposte del dr. De Gasperi colle aggiunte risultate dalla discussione, per quanto riguarda l’organizzazione politica e il sistema di propaganda.

Il 15 maggio

399814
Sturzo, Luigi 4 occorrenze
  • 1905
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 289-291.
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a) Tendenza prima amorfa di protesta, poi organica di resistenza del proletariato contro il capitalismo. Fasci, leghe,

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— Presso gli avversari: lavoro di penetrazione - il passato e il futuro - le lente e grandiose trasformazioni storiche quando meno sembrano avvenute nei particolari, arrivano a poderose vitalità.

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a) Elemento morale e religioso nella concezione dei problemi, nella formazione dei caratteri, nella elevazione dello spirito contro l'egoismo base delle concezioni naturalistiche della società; b) Elemento intellettuale di cultura; c) Elemento pratico di lavoro: istituti economici - lotte sociali - amministrazioni politiche.

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A questa vita dobbiamo prepararci.

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Rerum novarum

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Sturzo, Luigi 7 occorrenze
  • 1905
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 292-294.
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Ci dice Cicerone che l'aspettazione di Archia era superata dalla realtà; nel caso mio sarà al contrario, e al leggere la Voce del popolo ho pensato che sarò il rovescio della medaglia: un Archia a capo giù. Pazienza! È così importante l'argomento della commemorazione della R[erum] N[ovarum] che le persone scompaiono facilmente, e le tonalità dell'oratore sono sopraffatte dalla solennità della circostanza.

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Originate o determinate da queste linee direttive della Chiesa e dallo spirito inesauribile del Vangelo, si sviluppano forme umane concrete di azione nel campo delle attività storiche e sociali, che assumono l'impronta dei tempi e che hanno una vita di pensiero e di azione che entra nel dibattito dell'ambiente sociale come sintesi di bene, attraverso a tutte le deficienze, o come resistenza al male.

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Quello naturale; a) l'organismo economico della cooperazione è elemento di miglioramento materiale, mezzo di unione, sviluppo di attività — esso è ordinato alla vita professionale;

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con una circostanza a nostro danno notevole, di fronte alle masse nuove dell'opera dei cattolici militanti: l'unicità degli intenti ultimi religiosi e morali e la onestà delle intenzioni personali. Per cui la confusione, inevitabile, ha condotto il partito Dem[ocratico] Crist[iano] a una crisi apparente.

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A questo, e per questo valgono le nostre associazioni; stampa — formazione di caratteri, di coscienze, di uomini istruzione e cultura del popolo. E soprattutto vita morale e religiosa interna: perché si vuole la religione e la Chiesa non a dirigere gli affari terreni di associazioni naturali quali parlamenti, comuni, unioni profess[ionali], cooperative, ma informare lo spirito di questi enti, o di quelli che vi lavorano e operano in contrasto, con gli altri, allo spirito cristiano.

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E questo spirito cristiano, che deve ritornare a informare tutta la civiltà presente, salverà il popolo. Il popolo è religioso ancora, ma non ha più la forza della vita religiosa. Esempio doloroso della Francia. Quel che è avvenuto da 40 anni in Italia — Siamo pochi?

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Così spezza le catene del socialismo anticlericale insieme a quelle del conservatorismo irreligioso e si redime nella vita dello spirito, nella vita sociale ed economica.

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Da un Papa all'altro

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Murri, Romolo 29 occorrenze
  • 1905
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 30-55.
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Questo e gli altri scritti, giù pubblicati, che entrano a far parte del presente -volume, sono stati solo leggermente ritoccati.

L'anticlericalismo riapparve solo superficialmente ed a sbalzi, o come residuo retorico e passionale di movimenti caduti o come indizio precoce di movimenti non ancora maturi.

Crispi, le cose accennarono talora a mutare: in quel breve periodo, le sorti d'Italia parevano abbastanza sicure e lo Stato forte così da poter tentare una nuova politica ed attendere a problemi che erano sino allora rimasti in seconda linea: e l'on. Crispi oscillò, pare, — tanto incerte erano le designazioni dell'opinione pubblica e delle forze politiche organizzate e militanti — fra la conciliazione tentata e 1'anticlericalismo della statua a Giordano Bruno e delle dimostrazioni contro i pellegrini francesi nel 1901. Ma allora, come sotto Depretis, la sinistra non era base solida e coerente di governo di parte e i ministri dovevano, con frequenti rimaneggiamenti, adattarsi a scegliere amici ed appoggi presso i vani settori; all'Estrema cavallottiana nuoceva ancora troppo l'imbarazzo delle vecchie formule repubblicane perché essa potesse darsi ad un'azione positiva d'influenza sullo Stato e di operosità parlamentare. L'on. Giolitti fallì nel suo vacuo tentativo di risuscitare la Sinistra, l'on. di Budinì esitò incerto fra le varie tendenze, sinché poi finì coll'impaurirsi del pericolo clericale influendovi forse l'irritazione di parecchi per l'atteggiamento battagliero del Vaticano e dei clericali, del quale diremo ora.

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E sinché la Destra rimase al potere, i rapporti del nuovo Stato con la Chiesa si ispirarono stabilmente a questo concetto: che l'atteggiamento di protesta del Vaticano fosse cosa passeggera e contraria alle tendenze stesse e agli interessi veri del cattolicismo: che la sistemazione data dalla legge delle guarentigie ai rapporti fra i due poteri fosse per 1'Italia e per la Chiesa egualmente un reale vantaggio, cui, anche quando il Vaticano non vi accedesse, era, non soltanto buona norma di opportunità politica, ma interesse duraturo dello Stato rimaner fedele, regolando i suoi rapporti con la Chiesa a concetti di larga e paziente liberalità ed evitando nell'indirizzo generale della politica offese ed attentati alla coscienza religiosa del popolo.

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Nei riguardi dell'Italia, caratteristica di quella politica era ancora il considerare il potere politico papale, non come l'indice e il fatto di un periodo storico che si andava chiudendo, ma come necessario al governo della Chiesa e divinamente dato per questo; il giudicare la situazione fatta al pontificato romano come «intollerabile»; il supporre quindi, in coloro che l'avevano creata e la mantenevano, un'animo ostile, un proposito fieramente avverso alla Chiesa ed alla religione stessa; e quindi anche il divider la propria causa da quella della rivoluzione e dei nemici della Chiesa, invitando i cattolici fedeli a staccarsi da quella ed unirsi a questa, attendendo e pregando. Tuttavia anche in questa politica radicale e militante, che supponeva e che perciò stesso tendeva a provocare uno stato d'animo avverso e persecutore nello Stato, maggiore era l'apparenza che la sostanza della lotta, dal punto di vista del conflitto vero e reale di interessi, di correnti e di parti nella vita pubblica. Come i cattolici i quali militarono per la restaurazione del potere pontificio furono sempre pochi, e si chiusero in forme di lotta accademiche, o quasi, così dall'altra parte, coloro che additavano nel clericalismo il nemico e volevano anche essi {{38}}la lotta ad oltranza e lo sterminio, furono sempre né molti né molto ascoltati.

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Pio IX, sinché visse, ebbe segretario di Stato l'Antonelli, l'uomo che aveva preparata e rappresentata la politica di lotta tenace e ad oltranza alla «rivoluzione», della quale lo Stato italiano era considerato come l'incarnazione; l'uomo che prima distrusse abilmente — egli che alla sua volta era strumento d'una tradizione e d'un indirizzo antichi e potenti — la politica liberale e neoguelfa dei primi tempi di Pio IX, poi volle condotte le cose all'assurdo della repubblica romana perché più vicina fosse la catastrofe, quindi si oppose tenacemente — sfidando anche il corrucio di potenti protettori — ad ogni piano d'indirizzo costituzionale e modernizzante nel governo degli Stati della Chiesa, aspettò imperturbabile la catastrofe del 1870 e continuò sino alla fine a considerare l'Italia nuova, come un'invasione passeggera, innanzi alla quale non ci fosse che da aspettare, con dignitosa protesta, la fine.

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La Francia, che aveva protetto negli ultimi decennii, dalla presa di Roma nel 1849 a Sédan, il potere politico della Chiesa, e che, dopo Napoleone III, era pur stata l'ultimo sperato presidio ed appoggio delle rivendicazioni pontificie, è divenuta, nel breve tratto d'anni che divide il ministero Méline dall'attuale, la più fervida propugnatrice del laicismo contro la Chiesa: mentre l'Italia che; inseguendo alle calcagna gli ultimi soldati francesi i quali si ritiravano da Roma, aveva tolto questa al papa e insediato di contro al Vaticano la monarchia, coglie prima i frutti della politica nuova, e vede accorrere i cattolici, trattenuti per tanti anni a far da scolta al Vaticano militante per il riacquisto di Roma, alla difesa della monarchia e dello Stato, con un impeto singolarmente spontaneo e vivace. E mentre Leone XIII, precorrendo in parte e timidamente i tempi, aveva tentato di chiamar la giovine e saliente democrazia alla difesa dei diritti storici del papato, più che su Roma, su la civiltà e la cultura occidentale, lui morto, l'atteggiamento della Chiesa, dinanzi all'Italia e al diritto nuovo dei popoli del quale la terza Roma s'era proclamata rappresentante, muta notevolmente; e questa conversione dal passato all'avvenire si compie con l'apparente e momentaneo sacrificio, da parte dei cattolici, della democrazia e dei democratici, a vantaggio delle classi conservatrici e dei loro rappresentanti e nel reale cordorglio dei più antichi e tenaci campioni della «causa papale».

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Ma era intima necessità di quel quel titolo, o cambiarsi di nuovo in fatto, o esaurirsi e venir meno anch'esso: riconosciuto, come si è fatto ora, che era inutile sperare che i cattolici potessero direttamente agire per il ritorno di un reale ed effettivo dominio politico del papato, non c'era che da abbandonare l'astensione e incominciare a tener conto, nella vita, delle necessità d'una revisione della condotta politica che si appoggiava su di esso; ricominciare da capo Mostreremo più innanzi come spirito antico della politica vaticana per rispetto all'Italia, e allo Stato in genere, abbia mutato tattica, ma non sia sparito..

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Noi non intendiamo entrare qui a discutere del grado e delle forme di libertà che sieno necessarie al governo della Chiesa per l'esercizio delle sue funzioni nella vita dei popoli cristiani e dei possibili modi di ottenerle: dovendo

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limitarci per questa parte a segnalare il mutevole aspetto che certe questioni assumono, col correr dei tempi, dinanzi alla coscienza religiosa, e il divenire dei rapporti storici, egualmente mutevoli, della religione in genere e della Chiesa cattolica, e in essa e per essa del papato, con i problemi della civiltà e della cultura, con le costituzioni civili e con la vita dei popoli.

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Né ci si dica che la protesta della Santa Sede contro le condizioni fatte ad essa da colui che detiene Roma, e la non avvenuta abolizione del non expedit conservino immutato, per essi, quel titolo storico; noi possiamo bene spiegarci, dato lo stato d'animo della Curia romana per rispetto ai problemi generali di cultura e di vita sociale, il fatto e il significato che hanno queste riserve, riserve di un passato che non può sparire d'un tratto, e su di un avvenire che non è possibile prevedere oggi nei suoi minimi particolari: ma è evidente oramai che esse riserve hanno cessato di essere il pernio e la norma d'una politica astensionista; e questo a noi importa di constatare. La Santa Sede non suo diritto «storico; » ma non è meno vero che essa ha visto con tacito ed operoso silenzio le forze dei cattolici volgersi a consolidare la posizione e la fora di coloro contro i quali quelle riserve sono mantenute; e ciò senza l'illusione, recente ancora fra cattolici laici e colti, Era poi una illusione? O una poco abile manovra? che ad una Italia e ad una monarchia forti fosse più facile venire ad accordi col papato, e definire amichevolmente la questione del possesso della città setticolle. Così la Santa Sede mantiene il non expedit: ma vedremo innanzi in qual modo e con quale scopo.

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Per chi consideri come la questione religioso-politica, più che sul diritto delle religioni e delle Chiese (prima fra queste la cattolica, che sola, anzi, si sottrae al geloso controllo diretto dello Stato) a reclamare e governare uni parte dell'attività umana e la coscienza interiore, verte. appunto sulla distinzione e sul crescente differenziarsi delle funzioni della società religiosa e della civile, e sulla portata del rivolgimento operatosi nei loro mutui rapporti, vedrà facilmente quale ricco significato e quanto larga importanza acquisti la scissione praticamente iniziatasi nei novembre scorso, non dissenziente il Pontefice fra l'azione politica dei cattolici e le rivendicazioni, anche se d'indole politica e territoriale, della Santa Sede; scissione la quale e nelle sue cause indica e nella sua efficacia prepara un più reale e positivo concetto, largamente operoso negli animi, del meccanismo vitale della società civile e della società religiosa: i cui culmini ed esponenti, lo Stato e la Chiesa, sono sempre più considerati, invece che come enti giuridici astratti e dittature sociali lottanti pel dominio dell'uomo, come funzioni ed esponenti di diverse attività ed esigenze di quelli che compongono insieme l'una e l'altra società: è la lotta classica fra i due istituti, smettendo l'apparato drammatico di altri tempi, si traduce sempre più chiaramente in differenziazione di uffici e in contrasto di principi ideali della coscienza e di esigenze. pratiche della vita.

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E questo è il mutamento radicale che si va oggi manifestando nelle esteriori contingenze della nuova politica ecclesiastica, e tende a dare a questa, pel ritorno a una religiosità più personale e più spirituale, un carattere più intimamente democratico.

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Bergamo, che per le sue possenti organizzazioni cattoliche, per le sue amministrazioni comunale e provinciale in mano dei clericali, per la sua astensione esemplare era detta la Vandea d'Italia, fece essa appunto, alla vigilia delle ultime elezioni, con la pressione insistente dei suoi più vitali interessi, traboccare la bilancia a favore della «coscienza sicura» nel votare, ed aprì la breccia verso la quale si precipitarono poi i cattolici in massa: tanto era oramai il contrasto realtà e le soprastruzioni giuridico-ecclesiastiche alle quali accennavano innanzi.

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I cattolici dalle tendenze mediane, che non si preoccu¬ pavano molto di scrutare queste loro tendenze, non stettero a guardar molto pel sottile; e, contenti della nuova via aperta, si gittarono alacremente in essa, portati da convinzioni oscure e da interessi lampanti, a far uso dell'arma politica contro gli avversarii imprudenti provocatori; e lasciarono sul campo delle lotte politiche e amministrative distesi i corpi freddi di molti socialisti e repubblicani: e si divisero lietamente il bottino con i moderati, e arrotarono l'arma per nuovi combattimenti.

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I cattolici moderati, quelli che per lungo tempo avevano sostenuto l'utilità della caduta del potere politico pontificio e il dovere per i cattolici di prendere il loro posto a difesa dell'ordine e della monarchia, ci videro la loro piena vittoria: ed un rappresentante laico di questo gruppo, il marchese Cornaggia, entrò, circondato da un'aura invidiabile di successo, in Parlamento, e fece intorno alla questione politico-ecclesiastica dichiarazioni personali lodevolmente sincere: un altro non laico, espresse nella Rassegna nazionale la sua soddisfazione e diede consigli il cui succo è tutto in questo, nel voler fatta oramai definitiva, anche nel terreno delle lotte politiche costituzionali, la separazione fra religione e politica; nel proporre, non un partito nuovo, ma che i cattolici penetrino, con convincimenti e propositi religiosi, tutte le varie graduazioni del partito dell'ordine in Italia: devota maniera di proclamare l'accordo fra cattolici e moderati contro i partiti detti del disordine e rimetter così su nuove basi quell'altro accordo diplomatico e contrattuale fra religione e politica che si voleva abolito.

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Nel breve corso di pochi mesi, quanti ne passano dalla caduta definitiva dell'Opera dei Congressi al 6 novembre 1904, essi videro sparire gli organismi già preparati o trasformati come per far luogo a questo caotico e precipitoso erompere ed irrompere nella vita pubblica di forze poco consapevoli e disciplinate, in un momento in cui un senso spontaneo e legittimo di reazione contro la dittatura di pochi facinorosi sulle giovani organizzazioni proletarie annebbiava negli animi la chiara visione dei doveri sociali incombenti sullo Stato e sull'azione pubblica dei cittadini, fonte e controllo dell'attività legislativa.

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Le prevenzioni e le ostilità tenute vive, prima che un largo e profondo movimento di cultura e di democrazia apparisse tra i cattolici italiani, dagli estremi dei due opposti partiti, con mezzi molto diversi ma con eguale risultato, sono in parte scomparse, per far luogo a più equi apprezzamenti. I moderati si rallegrarono incondizionatamente del fatto che dava reclute nuove ai loro uomini, molto a corto di elettori, e alla loro rappresentanza alla Camera. I socialisti ne trassero motivo di inveire contro il prete e contro la Chiesa, mostrando, con la consueta esagerazione di animi appassionati e violenti, e senza tener conto, come sono usi fare, dacché il rivoluzionarismo s'è insediato all'Avanti!, degli sforzi sinceri e vivaci dei democratici cristiani, il pericolo che da quella riscossa di un partito per lunga tradizione storica proclive a servire e seguire, più che ad agire, veniva alla causa della democrazia e del proletariato in Italia: il Governo, rappresentando in ciò la maggioranza del pubblico, prese atto, con mossa né lieta né triste, della presenza dei nuovi venuti: i quali erano giudicati uomini meno proclivi a passioni di parte e gare d'ambizione, ma che sarebbe stato per questo stesso più pericoloso avere nemici.

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Qui sta oggi il pernio della questione politico-ecclesiastica in Italia: la tacita ed effettuale rinunzia della quale abbiamo parlato sopra è politica di grandissimi risultati, ma negativa e spontanea; e ci si è offerta come un rallentamento di resistenza, poiché a questa venne a mancare ogni fiducia nel successo più che come positivo orientamento nuo vo. Ma la politica negativa può essere un risultato o una crisi, non può essere un programma di azione; e se oggi noi non riesciamo ancora a discernere le linee d'un nuovo programma di politica ecclesiastica, adatto ai tempi e coerente, non dobbiamo meno per questo spiare ed indagare i fatti, per vedere che cosa essi ci dicono e che cosa vanno preparando.

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Ora la domanda che noi poniamo a noi stessi e alla vita che si va svolgendo è pur sempre la stessa: lotta o accordo dei due poteri? Politica pacifica o politica di combattimento?

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Intanto, una forma di accordo è unanimemente giudicata impossibile: quella che consisterebbe in una conciliazione formale ed espressa dello Stato italiano e della Santa Sede: essa non potrebbe aver luogo, nelle circostanze presenti, che sotto forma di una piena ed aperta abdicazione di questa seconda alle sue rivendicazioni su Roma, ed a questo, almeno per oggi e per parecchi anni ancora è impossibile venire. Né, del resto, quando una tale conciliazione avesse avuto luogo, la questione sarebbe risolta: poiché rimane l'altra, che è per noi principale, de' rapporti fra lo svolgersi dell'attività ecclesiastico-religiosa e lo svolgersi dell'attività politico-sociale, in Italia, dove la prima è ancora così intensa e potente e dove tanti sono ancora i punti di contatto e di intersecazione. E per questo è anche impossibile quell'altra forma di accordo che sarebbe la libertà piena della Chiesa ed il suo disinteressarsi d'ogni questione direttamente politica: il diritto comune è una norma sufficiente là dove la libertà religiosa costituisce una vigorosa tradizione, superiore ai dissensi religiosi, e dove il cattolicismo è in minoranza: in Italia, dove esso è religione comune ed ha una gerarchia solida e popolarissima e mezzi di azione e di influenza potenti, parlare d'una libertà all'americana come possibile oggi, e senza che una profonda trasformazione d'animi si sia prima prodotta fra i cattolici e abbia posto la religione fuori della politica dei partiti, è un ignorare i termini storici e concreti della questione. La libertà religiosa piena e sincera sarebbe un privilegio «di fatto» pel partito politico clericale.

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Per quel che riguarda tendenze e programmi di lotta fra società religiosa e società civile in Italia, ci limiteremo qui a poche osservazioni preliminari.

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L'accordo potrebbe quindi solo voler dire cooperazione e collaborazione pacifica; la quale implicherebbe: la conservazione dello statu quo, se non un miglioramento a vantaggio della società ecclesiastica, nel diritto e nelle consuetudini politiche riguardanti la Chiesa, ed una reciproca buona volontà nell'applicazione della legge, come è appunto avvenuto dagli inizii del nuovo pontificato ad oggi; la rinunzia, dall'una parte e dall'altra, a richieste ed agitazioni le quali turberebbero o la coscienza religiosa o la coscienza civile degli italiani; come sarebbero, ad esempio, o il divorzio o campagne clericali per limitazioni di libertà ispirate ai criteri del Syllabus; infine, una azione politica dei cattolici aconfessionale, che cioè non apparisca come un fatto chiesastico, e non troppo vincolata ad uno dei partiti politici, contro gli altri: fosse anche, questo vincolo, stretto col pretesto di portare un appoggio disinteressato alla monarchia ed allo Stato contro accentuarsi di tendenze sovversive ed antimonarchiche. E questo, se non erriamo, è per ora, più o meno chiaramente appreso, il pensiero e il programma medio fra le tendenze di coloro che predicano e tentano di fare l'accordo fra la Chiesa e lo Stato in Italia e quelle dei modernisti.

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E innanzi tutto è da scartare quella forma di lotta che era rappresentata dal clericalismo; il militare cioè nella vita pubblica contro le conquiste civili della borghesia e contro l'unità nazionale, per il ritorno a un concetto autoritario della vita pubblica e per il ristabilimento di un dominio territoriale della Santa Sede. Questa pregiudiziale temporalistica è, per comune confessione, divenuta impossibile oggi; il Congresso cattolico di Bologna del novembre 1903 ne disperse gli ultimi resti. Se, per un caso storico qualsiasi, in Italia si fosse giunti all'unificazione nella repubblica è certo che questa politica clericale, di fronte alla più larga irruzione di tendenze estreme nell'opera dello Stato che la repubblica avrebbe facilitato, poteva acquistare un vigore enorme e forse decisivo; ma la grande influenza moderatrice che esercitò la monarchia costituzionale nella vita politica nostra ha reso impossibile, come la violenza degli uni, così la reazione degli altri.

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Altra forma di lotta potrebbe essere l'organizzazione militante dei cattolici contro le tendenze democratiche nella vita pubblica e nello Stato, rafforzando le conservatrici e mettendo a servizio di esse le proprie forze elettorali. Lo sviluppo normale dello Stato moderno verrebbe impedito e ritardato da questo incunearvisi di una confessione religiosa, potentemente organizzata, e che esercitasse sui segnaci un potere come di coercizione e di soffocamento morale: e ne nascerebbe certo un conflitto acuto, come quello che ora dilania la Francia. Il pericolo di una tal forma di contrasti esisteva sicuramente sino a pochi anni addietro: oggi esso è forse minore, per merito della «democrazia cristiana»: la quale, se anche non potesse impedire, come non poté nelle ultime elezioni, una troppo stretta coalizione fra le forze conservatrici e le cattoliche, riserva almeno una parte, e la più giovane e più vivace di queste, a vantaggio d'una po¬litica di libertà e di democrazia, impedendo così la formazione d'un blocco compatto clerico-moderato.

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Un'altra forma di lotta potrebbe aver luogo per rivendicazioni d'ordine religioso, e in tal caso essa non potrebbe essere provocata che dallo Stato: a nessuno il quale conosca le condizioni interne presenti del cattolicismo e della Chiesa in Italia può venire in mente che i clericali abbiano ad assumere da un momento all'altro una politica di offesa e di riconquista, per riavere nel paese condizioni più favorevoli di libertà e di dominio. Essi potrebbero invece assai facilmente mobilizzare le loro forze quando il tentativo di leggi che paressero lesive dei diritti e delle libertà religiose venisse dallo Stato, come apparve nell'ultima campagna popolare contro il divorzio. Ma anche da parte dello Stato velleità d'offensiva sono ancora poco probabili; perciò esso verrebbe a trovarsi contro due troppo forti nemici, a destra e a sinistra, e sarebbe assai facilmente condotto dalle vicende della lotta a stringersi troppo all'uno o all'altro e rimetterci la sua libertà; cosa facile ad accadere in regime repubblicano, dove manca continuità di tradizione di governo, non facile in monarchia costituzionale.

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E quella pressione noi vediamo esercitarsi dovunque siano dei partiti di cattolici modernamente organizzati; i quali, costretti da necessità positive a metter da parte schemi astratti di società giuridiche perfette, accettano ed assumono lo Stato come una concreta organizzazione giuridico-politica, avente esigenze ed interessi nettamente determinati, e cercano solo di influire, o dal di dentro o dal di fuori, su di esso, in un determinato senso, senza tentare di trarlo da quella formale ed effettiva neutralità religiosa che le condizioni della coscienza contemporanea gli impongono. Ciò richiede da parte dei cattolici e della loro azione politica una abitudine di libertà, una maturità di senno civile, una larghezza d'animo che è dubbio se i cattolici italiani abbiano ancora acquistato, ma che, nella pratica della vita correggendo le antiche tendenze di intolleranza clericale, e negli studi positivi le abitudini d'un pigro dogmatismo logico e formale, essi potrebbero rapidamente acquistare.

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Il momento che corre di politica ecclesiastica Si era al principio del 1905. è carat¬terizzato da quel senso di sollievo e di espansione che nasce dallo sparire delle antiche animosità e dalla cooperazione recente per la «difesa dell'ordine»; le due società, non riconciliatesi in un accordo formale, ma trovatesi come di sorpresa più vicine di quel che pensassero, più che a piegare a proprio vantaggio la nuova situazione di cose, sembrano proclivi a gustarne tranquillamente i frutti, che essa offre da se; i cattolici, felici della libertà politica riacquistata, ne misurano, in questi primi momenti, assai più volentieri i vantaggi che le responsabilità; gli estremi, nel bruciore delle sconfitte recenti, meditano e preparano. la vendetta; ed assai probabilmente, sinché una nuova condizione di cose non si determini, si andrà innanzi così, con una specie di tacito compromesso per la conservazione dello statu quo, compromessogarantito dal durare delle benevole reciproche disposizioni della Chiesa e dello Stato; e nella calma di questa o tregua o pace i cattolici si prepareranno a condurre e ordinare le loro forze nella vita pubblica al ritorno delle elezioni generali.

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Intanto il partito socialista, che, per la posa vanagloriosa di un rivoluzionarismo dommatizzante, si lasciò sfuggire la magnifica opportunità che gli era offerta dalle inclinazioni democratiche del nuovo re e dalla vittoria piena riportata sul Ministero Pelloux e sulle tendenze che esso, con incredibile imprevidenza, rappresentava; e che si dilaniò poi in una lunga ed atroce lotta interna; penserà a riparare i suoi danni e si rimetterà in assetto di battaglia per la lotta ventura. E spunta già, nei suoi giornali, il proposito di misurarsi di fronte con i cattolici e di strappare con più intenso sforzo le masse alla religione. Ma quando esso si sarà riavuto e riordinato e, riacquistando l'influenza perduta sui gruppi vicini ed affini che ora si vanno sgretolando, potrà ripigliare una politica propria, la quale sarà, certo risolutamente an¬tireligiosa; e quando, d'altra parte, anche i cattolici si saranno sistemati a partito ed incominceranno ad agire organicamente, le condizioni della politica dello Stato di fronte alla Chiesa potranno radicalmente mutare; in che senso e con quali effetti è oggi troppo presto dire.

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