Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: a

Numero di risultati: 40 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Giovanna la nonna del corsaro nero

204924
Metz, Vittorio 40 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Al vecchio amico Umberto Pacilio che, ricordandosi di questo romanzo pubblicato a puntate sul "Marc'Aurelio" nel purtroppo lontano 1935, mi ha incoraggiato a rimaneggiarlo e ad adattarlo per la TV dei ragazzi, dedico questo libro anche per avere qualcuno con cui dividere la responsabilità. VITTORIO METZ

VITTORIO METZ Giovanna la nonna del Corsaro Nero romanzo Copertina a colori, raffigurante una donna attempata, armata e vestita alla moschettiera, in piedi su di un cannone RIZZOLI

VITTORIO METZ Giovanna la nonna del Corsaro Nero romanzo Copertina a colori, raffigurante una donna attempata, armata e vestita alla moschettiera, in piedi su di un cannone RIZZOLI

Quel viandante che spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni si fosse trovato qualche mese dopo a passare davanti al castello di Ventimiglia che sorgeva sulla costa ligure tutta seni e golfi, quel nostro solito viandante che non si capisce come faccia a stare in tanti posti contemporaneamente, a parte il fatto che sarebbe stato stanco morto per aver camminato tutto quel tempo, da Maracaibo e dintorni a Genova, quel viandante, dicevamo, avrebbe sentito uscire da una finestra la dolce voce di Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, che gridava: "Ah, non me lo vuoi comprare quel cappellino? Lo sai che cosa sei, tu? Un soldataccio spagnolo rozzo e ignorante!" E avrebbe quindi potuto ascoltare la voce di Raul urlare di rimando: "Ah, è così? Aveva ragione mio padre quando diceva che voialtri Ventimiglia siete una banda di ladroni di mare e di delinquenti! Maledetto il giorno che ti ho sposata!" "Ah, sono una delinquente! Prendi, allora!" E il povero viandante avrebbe ricevuto in testa un vaso di fiori uscito da una finestra del castello ed evidentemente scagliato dalla dolce Jolanda contro il marito. La tregua era finita e la guerra fra i Trencabar e i Ventimiglia era ricominciata. FINE

Facendosi largo a colpi di spada fra le fitte liane che gli sbarravano la strada, il giovane Raul di Trencabar insieme al capitano Squacqueras e a un drappello di soldati spagnoli comandati da un sergente avanzava faticosamente sul terreno umido della foresta vergine. "Avanti, capitano Squacqueras!" stava dicendo il giovanotto al capitano ambrosiano-spagnolo. "Venite avanti senza paura..." Il capitano rispose con il suo solito fare da spaccamonti: "Paura io?" esclamò. "Chi ha nominato la parola paura? Ricordatevi, mio giovane amico, che essa non esiste nel mio vocabolario!" "Avete strappato la pagina?" gli domandò Raul, ironicamente. "Mh!" mugolò il capitano. "Spiritoso, lui! Veramente spiritoso!" "E allora," esclamò Raul con impazienza "perché esitate a seguirmi? Sono certo che il Corsaro Nero, il quale, grazie all'intervento di altre navi dei filibustieri, è riuscito a salvarsi all'ultimo momento con tutto il suo equipaggio, è sbarcato in questo punto della costa per marciare su Maracaibo e vendicarsi di mio padre!" Si fermò improvvisamente e si chinò raccogliendo da terra la spada che Nicolino, spaventato dal giaguaro, aveva lasciato cadere qualche ora prima. "Vedete?" esclamò in tono di trionfo. "Qui c'è una spada... E qui delle orme che sono dirette evidentemente verso destra..." "Verso destra?" esclamò il capitano Squacqueras. "Be', arrivederci!" Così dicendo il capitano voltò le spalle a Raul avviandosi dalla parte opposta a quella da lui indicata. "Dove andate, capitano?" gli gridò dietro Raul. "Oh bella!" rispose il capitano. "A sinistra!" "Se vi ho detto che le orme portano a destra!" "Appunto! Io vado a sinistra... Così, mentre voi raggiungete i nemici e li prendete alle spalle, io, che nel frattempo avrò fatto il giro del mondo, potrò lealmente prenderli di fronte!" "Ci vorrebbe troppo tempo, capitano!" disse Raul. "Su, avanti, camminate con noi..." "E va bene" acconsentì il capitano, di pessimo umore. E, rivolto ai soldati: "Venite anche voi," ordinò "e ricordatevi il motto del vostro capitano: 'Se avanzo, seguitemi, se indietreggio copritemi le spalle, se cado, raccoglietemi e spazzolatemi!' Attenzione!" Così dicendo il capitano che si era avviato dietro Raul si fermò improvvisamente. "Che c'è adesso?" domandò Raul, con impazienza. Il capitano indicò un punto in alto. "Guardate là!" disse. "Su quell'albero!" Raul guardò verso il punto indicato ma non vide altro che un pappagallo che emetteva suoni gutturali. Raul crollò le spalle. "Ebbene?" disse. "Non è che un innocuo pappagallo!" "Già," rispose il capitano "ma il pappagallo parla come un uomo, l'uomo è cacciatore, il cacciatore porta il fucile, il fucile ha la canna, la canna da queste parti è da zucchero, lo zucchero è bianco, il bianco si porta addosso per sentire meno il calore del sole, il sole scotta, le scottature fanno venire le pelli rosse, ergo: il pappagallo fa venire le pellirosse! Forse è meglio allontanarci da qui prima che le pellirosse arrivino..." Come a voler dar ragione a quell'arzigogolato sillogismo, fra gli alberi, proprio in quel momento si sentì provenire il suono di numerosi tam tam. "Cosa vi dicevo io?" esclamò il capitano, terrorizzato. "Questi sono gli indios bravos..." Si rivolse ai soldati ordinando loro con voce tremante: "Tutti a sedere per terra e fate come se niente fosse! Se vi domandano qualche cosa non rispondete o fingete di non capire! Anche voi, sergente Manuel!" I soldati, per quanto stupiti, obbedirono all'ordine del capitano che si mise a sedere anche lui in terra, incrociando le gambe sotto di sé come fanno i sarti quando lavorano seduti sul loro tavolone. Il sergente Manuel, invece, protestò. "Be', che cosa vi salta in mente?" disse subito. "Perché debbono comportarsi così?" "Oh bella, facciamo gli indiani, no?" rispose il capitano. "Così gli indiani, credendoci indiani, ci lasciano andare!" In quella, dai cespugli sbucarono un certo numero di caraibi che, come avevano già fatto con Giovanna e i suoi compagni, si disposero in semicerchio intorno a loro, puntando contro di essi le loro armi e lanciando urla selvagge. "Imbecille!" ruggì Raul, furioso. "Con la vostra trovata ci avete fatto circondare tutti quanti! Siamo perduti!" "Non è ancora detto" rispose il capitano alzandosi in piedi e approfittando del fatto che gli indiani stavano combattendo contro Raul e il sergente Manuel per indietreggiare verso quella parte del cerchio che non si era ancora chiusa. "Ci batteremo fino al penultimo uomo..." "E perché fino al penultimo?" domandò Raul spacciando con un colpo di spada un indiano che gli era andato troppo vicino. "Perché l'ultimo degli uomini sono io e me ne vado... Saludos, amigos!" Fece per spiccare la corsa, ma da dietro un cespuglio sbucò un gigantesco indiano che si piazzò davanti a lui, la zagaglia puntata contro il suo petto, gridandogli qualcosa in dialetto caraibo. "Non ho capito quello che ha detto" disse il capitano, mentre Raul veniva sopraffatto da una dozzina di indiani. "Ma mi arrendo lo stesso."

Ci volle un bel po'di tempo per spiegare alla battagliera signora Giovanna che nulla si poteva fare contro le forze riunite dei venti Alisei e della corrente del golfo e che la barca, ineluttabilmente, sarebbe andata a finire sugli scogli che circondano come una cintura la costa caraiba. "Lo dite per non farmi tornare indietro" rispondeva inevitabilmente. "Siamo vicini alla costa e non vedo nessuno scoglio." Infatti non lo vide, ma lo sentì, quando la barchetta sollevata da una poderosa ondata cadde a perpendicolo su uno scoglio aguzzo che non soltanto bucò la scialuppa, ma anche il di dietro della vecchia contessa. Lottando contro la risacca che tendeva a riportarli indietro e prendendo a calci i barracuda, sorta di pescicani che attratti dall'odore del sangue tentavano di mordere il sedere di Giovanna, questa, seguita dai suoi compagni, riuscì finalmente a raggiungere una spiaggia sassosa, sulla quale si lasciò cadere ansimando. Poiché nel frattempo era scesa la notte e tutti erano stanchi per le emozioni trascorse, decisero di dormire e, dopo essersi avvolti ben bene nei loro mantelli, si sdraiarono sulla sabbia e non tardarono a cadere in un sonno profondo. La mattina, il maggiordomo Battista si svegliò un po' prima degli altri e scomparve misteriosamente fra i tronchi della foresta che circondava il pezzetto di spiaggia sul quale erano naufragati. Ritornò poco dopo tenendo fra le mani una enorme valva di conchiglia che gli serviva da vassoio. Sulla valva, disposti in bell'ordine, due mezze noci di cocco a mo' di tazze, delle sottili fettine di pane, del burro, degli strani frutti e delle uova. Battista si avvicinò a Giovanna, la nonna del Corsaro Nero che russava sonoramente e si fermò a rispettosa distanza da lei. "Ehm, ehm!" tossicchiò discretamente. La barchetta sollevata da una poderosa ondata cadde a perpendicolo su uno scoglio aguzzo... Giovanna cessò di russare. Il maggiordomo la chiamò sottovoce: "Signora contessa..." Giovanna si risvegliò bruscamente e scattò a sedere portando la mano sull'elsa della spada che teneva a portata di mano, sulla sabbia, accanto a sé. "Che c'è?" Riconobbe il suo maggiordomo e si rassicurò. "Ah, sei tu, Battista" disse, sbadigliando. "Che cosa vuoi?" "La sua colazione e quella della signorina Jolanda, signora contessa!" annunciò con voce ufficiale. Intanto Jolanda e il nostromo Nicolino si erano svegliati. Nicolino si stiracchiò, lamentandosi dei dolori reumatici che gli erano venuti per l'umidità della notte passata sulla spiaggia del mare. "Ah, grazie, Battista!" disse Giovanna. E, come se ciò che stava avvenendo fosse stata la cosa più naturale del mondo, la vecchia prese in mano una delle mezze noci di cocco e cominciò a sorbirne il contenuto a piccoli sorsi. Jolanda, invece, rimase piuttosto stupita nel vedere quella colazione così ben servita in un luogo che sembrava tutt'altro che ospitale. "Ma, Battista?" esclamò. "Dove avete trovato tutta questa roba?" "Elementare, contessina..." rispose il maggiordomo. "Il latte l'ho preso da una di queste noci di cocco, il burro e i biscotti li ho ottenuti scremando il latte e facendo abbrustolire delle fettine tagliate da questo sincarpo..." Così dicendo Battista indicò a Jolanda un frutto rotondo, simile a quelle palle che crescono sugli alberi dei platani, ma molto più grande, che faceva bella mostra di sé sul vassoio improvvisato. "Si tratta dell'albero del pane, signorina," le spiegò"detto in latino Antocarpus incisa, indigeno della Sonda ma coltivato sin da epoche remotissime nelle isole dell'Oceano Pacifico e nella zona tropicale dell'America del Sud. Questa sua enorme infruttescenza, con ricettacolo carnoso ricco di fecola che ha tutte le proprietà alimentari del pane, si mangia bollita o cotta sotto la cenere o si dissecca per conservarla. Sono pure commestibili i fiori maschili che qui vedete e i semi, sicché tutto è utilizzabile in questo albero di cui tre soli individui sono sufficienti ad assicurare per un anno l'alimentazione di un uomo..." "Dio mio, Battista," esclamò Jolanda ammirata "quante cose sapete! Come fate ad essere così colto?" "Notti e notti curvo sui libri al fioco lume di una candela" rispose Battista. "E fai il cameriere!" esclamò Nicolino. "Gutta fortuna prae dolio sapientae" sospirò Battista. "Non capisco lo spagnolo" disse Nicolino. "È latino" lo corresse Battista. "Lo ha detto Erasmo di Rotterdam e significa press'a poco che vale più un'oncia di fortuna che cento libbre di sapere. La scienza non dà pane, meno questo che ho potuto trovare grazie alle mie cognizioni scientifiche..." Giovanna, che stava masticando un uovo sodo, gli domandò: "E queste uova?" "Raccolte sotto la sabbia, signora contessa... Sono di tartaruga..." "Per questo ci mettono tanto tempo ad andare giù" disse Giovanna, picchiandosi un gran colpo sul petto per aiutare la discesa delle uova nell'esofago. Il nostromo sbirciò nel vassoio dove non era rimasto più nulla. Si rivolse al maggiordomo. "Scusa, Battista, e per me non c'è niente?" Il maggiordomo lo guardò con aria di riprovazione. "Non vorrai mica mangiare insieme ai signori, spero..." "Ma io mangio con chiunque, non ci faccio caso... Sono democratico, io!" "Vieni con me in dispensa" disse allora Battista... "In dispensa?" si meravigliò Jolanda. "Quale dispensa?" "Nella foresta vergine, contessina... Che è la dispensa delle dispense..." e rivolto a Nicolino "Su, vieni..." lo invitò. "Prendete la mia spada caso mai doveste farvi largo fra le liane" disse Giovanna, porgendo loro la sua spada. Nicolino prese la spada della vecchia e seguì Battista che lo precedette verso i primi alberi della foresta. Nicolino rimase immediatamente stordito dagli urli delle scimmie che saltavano di albero in albero e dalle grida stridenti dei numerosi pappagalli multicolori che eseguivano le loro consuete acrobazie sui rami. "Ma come strillano quelle scimmie!" osservò. "Per forza, sono scimmie urlatrici" gli spiegò Battista. "Ah, ma allora cantano come Mina!" esclamò Nicolino, senza accorgersi che stava commettendo un anacronismo. "Be', dov'è questa roba da mangiare? Io non vedo niente..." "Non hai che l'imbarazzo della scelta" rispose Battista indicandogli i vari alberi man mano che li nominava. "Ecco lì la Coccoloba uvifera che produce frutti simili all'uva nera ed ecco la Pachira insignis e l'Artocarpus con le loro enormi infruttescenze che contengono semi simili alle nostre castagne... Ed ecco qui il cosiddetto albero della vacca perché contiene una specie di latte non privo di qualità nutritive ed è quindi chiamato, in linguaggio scientifico Brosimum utile..." "Questo Brosimum utile per me è perfettamente inutile, perché il latte non mi piace..." brontolò Nicolino di cattivo umore. "Preferisco allora quelle castagne che mi hai detto prima... Il guaio è che le castagne mi ingozzano e qui non c'è niente da bere..." "Lo dici tu!" gli dette sulla voce Battista. "Se vuoi bere acqua, ecco la Chusques la quale è una graminacea che contiene nei suoi culmi acqua fresca e dolce in abbondanza." "Acqua!" ripeté Nicolino, facendo una smorfia. "Se non ti piace l'acqua, ecco qui l'Agave cocui che fornisce un liquido zuccherino fermentante da cui si ricava un liquore fortemente alcoolico..." "Andiamo un po'meglio!" disse Nicolino. "E, di' un po': quel tipo di pera che cresce su quell'albero, si può mangiare?" "Quella pera" disse Battista "è un Avocato..." "Vuoi dire che da queste parti le pere studiano legge?" domandò Nicolino abbrutito. "E che se uno commette qualche reato si fa difendere da una pera?" "Avocato, non avvocato... È la corruzione del nome indigeno Aguacate... Sì, ha un ottimo sapore, ma quelle lì non credo che potresti mangiarle..." "Perché?" "Come puoi vedere, i rami dell'albero sono fortemente intrecciati con quelli di quell'albero del caucciù... Ciò costituisce una specie di innesto naturale..." "Cioè?" "Non credo che tu abbia voglia di mangiare delle pere di gomma! Di quelle che servono per..." "Oh, no, no!" si affrettò ad esclamare Nicolino, spaventato."Vuol dire che mi accontenterò di quelle castagne con quel liquorino..." Si avvicinò all'Artocarpus per coglierne qualche frutto, ma indietreggiò vivamente avendo visto qualche cosa fra i cespugli. "Là!" esclamò, balbettando come gli succedeva sempre quando aveva paura."Una ti... ti... ti..." "Una tignola?" domandò Battista."Ma no... Per quanto piccolo sia non si può confondere con una tignola... È un uccello mosca o colibrì..." "Una ti... ti... ti..." "Una tinca? Impossibile, in piena foresta vergine... Forse sarà un Cuiù-cuiù, come gli indigeni chiamano un pesce della famiglia dei doralidi e che vive tanto nell'acqua quanto sulla terraferma..." "Una tigre! Là! Là!" e Nicolino indicò un'enorme belva che avanzava strisciando verso di loro. "Macché tigre!" esclamò Battista, alzando le spalle con aria di sufficienza. "Non vedi che non ha le strisce?" "Sarà una tigre à pois!" "Non esistono tigri à pois. Quello, se lo vuoi sapere, è un giaguaro, cioè una tigre americana..." "Mangia l'uomo co... come quella africana?" domandò Nicolino tremando. "Certo" rispose Battista con calma. Ci ripensò quasi subito e spiccò un enorme salto in aria perdendo completamente la sua dignità. "È vero!" esclamò. "Mangia l'uomo come quella africana! Scappiamo!" Si misero a correre disperatamente verso destra, ma si fermarono di colpo avendo sentito provenire dal folto degli alberi dei rulli di tam tam. Nel medesimo tempo, da dietro i cespugli sbucarono le facce dipinte di alcuni guerrieri indiani che vedendo i due si scagliarono contro di loro lanciando urla selvagge. Nicolino, per la paura, lasciò cadere la spada di Giovanna gridando: "Mamma mia!" "Gli indiani!" esclamò il maggiordomo. "Presto, corriamo dalla signora contessa!" Attraversarono un lembo di foresta correndo a perdifiato e piombarono sulla spiaggia, gridando: "Signora Giovanna! Signora contessa...?" "Per le trippe del diavolo, che vi succede?" domandò Giovanna, balzando in piedi. "Signora contessa," disse il maggiordomo ansimante "sono costretto ad annunciarvi..." Indicò verso la foresta vergine dalla quale provenivano sempre più vicini le grida e i colpi di tam tam degli indiani, quindi si fece forza e, come se stesse annunciando una visita: "Gli indios bravos!" disse con voce ufficiale. "Vediamo se sono così 'bravos' come si raccontas'" esclamò la vecchia fieramente. Quindi, rivolta a Nicolino: "La mia spada..." "L'ho... lasciata nella foresta..." balbettò Nicolino. "Maledizione!" ruggì la vecchia contessa. E si chinò per raccogliere un sasso, mentre gli indiani, usciti dal folto della foresta, avanzavano puntando contro di loro le zagaglie e le frecce incoccate negli archi. "È inutile, nonna, con le sassate li irriterai solamente" disse Jolanda fermando la mano della vecchia che si era sollevata in aria per scagliare il sasso contro il più vicino degli indiani. "Meglio parlamentare..." "È giusto" disse Giovanna, abbassando la mano. Quindi rivolta al maggiordomo Battista: "Digli che ci conducano dal loro capo..." Il maggiordomo Battista si rivolse all'indiano che gli stava più vicino e gli disse una lunga frase in dialetto caraibo. Il selvaggio esitò un istante poi rispose qualche cosa. "Cosa ha detto?" domandò Giovanna. "Ha detto che ci condurrà dal suo capo. Può darsi che sia una persona gentile..." "Speriamo che ci inviti a pranzo!" esclamò Nicolino. "Quando ho paura mi viene appetito..." "Infatti," disse Battista "ha detto questo qui che aspettano solo noi per mangiare..." Nel bel mezzo del villaggio dei caraibi, Giovanna, Nicolino, Jolanda e il maggiordomo Battista, legati strettamente a quattro pali sormontati da mostruosi totem, guardavano gli indigeni che danzavano intorno ad essi la cosiddetta "danza della morte". A un certo punto due donne indiane che portavano una enorme marmitta attraversarono il cerchio dei danzatori e andarono a collocarla sopra un gran fuoco che ardeva a poca distanza dai quattro prigionieri, cominciando a riempirla d'acqua che attingevano da una sorgente che scaturiva lì accanto. "Ci preparano l'acqua calda per il bagno" commentò Nicolino, cercando di essere ottimista ad ogni costo. "Sono gentili..." "Non sono gentili," rispose il maggiordomo Battista, amaramente, "sono semplicemente cannibali..." "Sì, mio povero Nicolino," gli spiegò Jolanda "quella marmitta serve per far cuocere il primo di noi che verrà mangiato..." "Oh, mio Dio, quanto mi dispiace!" esclamò ipocritamente Nicolino. "Povera contessa Giovanna!" "Perché pensate che comincino proprio da me, imbecille?" esclamò Giovanna, in tono irritato. "Perché bisogna dar sempre la precedenza alle signore anziane..." "La mia carne è vecchia e coriacea" disse Giovanna. "Forse questi indiani conoscono qualche polverina che ringiovanisce le carni" disse Nicolino. "In Italia la usano... Oh, mamma mia!" Questa ultima esclamazione di Nicolino era stata causata dal fatto che due indiani si erano messi a girare intorno al suo palo, indicandoselo l'uno con l'altro e scambiandosi misteriose parole nel loro dialetto. "Ci preparano l'acqua calda per il bagno..." 4. Giovanna "Questi" disse Nicolino, allarmatissimo "ce l'hanno con me..." "Proprio così" confermò il maggiordomo Battista. "Pe... perché?" balbettò Nicolino, impallidendo. "Che cosa hanno detto?" "'Cominciamo con questo viso pallido" disse il maggiordomo. "Conoscete anche la loro lingua?" esclamò Jolanda, ammirata. "Un perfetto cameriere deve conoscere tutte le lingue" rispose il maggiordomo. "E perché vogliono incominciare proprio con me?" piagnucolò Nicolino. "Lo hanno detto loro che sono pallido... La carne bianca non è buona per il lesso..." Quindi, indicando con un cenno della testa il maggiordomo ai due selvaggi: "Cominciate con lui, che è bello colorito" disse. "Lui sta bene... Guardate che bella faccia di salute che tiene..." E, cantilenando come un venditore napoletano che, è risaputo, mette anche le sue grida in musica, gridò: "È bianco! È rosso! Quant'è buono! Jammo, magnate, magnate!" "È inutile" disse Jolanda. "Non conoscono la vostra lingua..." "Ma Battista, che la conosce, glielo può spiegare..." "Bravo!" disse Battista. "Così mangiano prima me di te!" I due indiani si avvicinarono al palo di Nicolino e, senza parlare, cominciarono a scioglierlo dai suoi legami. Nicolino, terrorizzato, si mise a gridare: "Aiuto! Signora contessa, aiuto, mi vogliono mangiare! Mi vogliono fare lesso!" Come se fossero rimasti impressionati dalle grida che uscivano dalla gola del nostromo, gli indiani si guardarono, poi uno di essi gli disse qualche cosa nel suo dialetto. Nicolino si rivolse a Battista. "Che... Che cosa mi ha detto?" "Ti ha detto" tradusse Battista: "'Sta' tranquillo, viso pallido! I guerrieri della tribù dei Guana Guana non ti vogliono fare lesso!'..." Il povero nostromo respirò di sollievo. "Oh, meno male!" esclamò. "'Ti vogliono fare arrosto'..." concluse Battista. "Quella pila serve soltanto per sbollentarti e toglierti i peli..." "Ma io non voglio essere sbollentato e spelacchiato!" protestò Nicolino. "A me l'acqua bollente mi scotta!" Attratto dagli strilli di Nicolino che urlava come una scimmia rossa, un tipo di indiano dall'aspetto autorevole si avvicinò al gruppo composto da Nicolino e dai due indiani che stavano trascinando il malcapitato nostromo verso la pila. "Zitto, arrosto!" disse a Nicolino parlando in tono autoritario come persona abituata al comando. Quindi, rivolto ai due indiani: "Attizzate il fuoco!" "Ehi, buon uomo!" disse Giovanna, rivolgendogli la parola. L'indiano dall'aspetto autorevole, che era il Cacicco della tribù, si voltò verso Giovanna. "Cosa vuoi, vecchia pallida?" le domandò, parlando uno spagnolo abbastanza comprensibile. La faccenda di essere chiamata vecchia pallida da un selvaggio impermalì Giovanna che fu pronta a rispondergli: "Meglio essere pallida che con la faccia rossa e dipinta come la tua!" Quindi indicando il nostromo Nicolino con il mento: "Come avete intenzione di cucinare quell'uomo?" domandò. "Allo spiedo, vecchia pallida" rispose il Cacicco. Giovanna abbozzò una smorfia di disprezzo. "Peuh!" esclamò. "Che cucina primitiva! Io, se fossi in voi, lo cucinerei in tutt'altro modo..." "E in che modo?" domandò il Cacicco, incuriosito... "Ci sono mille maniere per cucinare il nostromo... Io, però, penso che la ricetta migliore sia quella chiamata: 'nostromo arrosto alla moda'." "E come faresti, vecchia pallida, a cucinarlo in questa maniera?" "È facilissimo" rispose Giovanna."Si prenda un nostromo e dopo averlo aperto e pulito come si deve, lo si disossi completamente..." "Ma io non voglio essere disossato completamente!" protestò Nicolino. "Le ossa servono! Altro che, se servono!" "Zitto, arrosto!" gli dette sulla voce il Cacicco. Quindi, rivolto a Giovanna: "Seguita pure, vecchia pallida..." "Dunque, dopo averlo disossato completamente farcitelo con un ripieno fatto delle sue stesse interiora e di prosciutto di porco selvatico tritati, pane grattato, cinque o sei grossi pizzichi di pepe, un grosso pugno di sale, tre o quattro pizzichi di noce moscata, due pugni di carne secca e un pugno di erbe aromatiche..." "Qui, fra pizzichi e pugni, mi riducono un 'ecce homo'!" esclamò Nicolino. "Aggiungete quindi sette od otto spicchi d'aglio..." "No, l'aglio no, non lo digerisco!" protestò Nicolino. "Zitto, arrosto!" gli impose il Cacicco. "Continua, signora pallida" disse in tono molto più gentile di prima a Giovanna. "Una volta che sia riempito per bene, lardellatelo con delle fettine di guanciale, e adagiatelo su un letto di cipolle e olio bollente... Fatelo cuocere a fuoco lento per tre ore, poi toglietelo dal fuoco e fatelo riposare per un'ora..." "Ma come volete che faccia a riposare su un letto di cipolle e olio bollente?" "Zitto, arrosto! E poi?" domandò il Cacicco, rivolto a Giovanna. "E poi non resta che circondarlo di patate arrosto che se non mi sbaglio sono un prodotto locale e servirlo in tavola. La dose è per venti persone... Vedrete che mangiarlo sarà proprio un piacere!" "Sarà un piacere per voi, ma non per me!" blaterò Nicolino. "Silenzio, arrosto!" "Questo qui che continua a chiamarmi arrosto, mi dà fastidio!" bofonchiò Nicolino di pessimo umore. Il Cacicco stette a pensare un momento leccandosi le labbra, poi sul suo viso apparve un'espressione di diffidenza. "I visi pallidi" disse "hanno la lingua biforcuta. Forse carne cucinata così diventa velenosa..." "Datemi un maiale selvatico ed io lo cucinerò come ho detto e lo mangerò" propose Giovanna. "In tal modo avrete la prova che il 'nostromo arrosto alla moda' non può far male." "E invece fa male, malissimo!" esclamò Nicolino, rivolto agli indiani. "Ricordatevi che non mi avete comprato al mercato, mi avete trovato nel bosco... Io non sono un nostromo mangereccio, sono un nostromo velenoso..." "Silenzio, arrosto!" "E dagli!" esclamò Nicolino. Il Cacicco senza più esitare si rivolse ai due selvaggi che erano accanto a lui. "Si faccia la prova con il maiale selvatico!" ordinò. I due si allontanarono, mentre Nicolino disperato esclamava: "Tutta colpa di quel dannato Trencabar! Ah, se avessi a portata di mano qualcuno di quei maledetti spagnoli che hanno affondato la Tonante!"

Poiché nessuno rispondeva al suo saluto, fu Jolanda a farlo. "Buongiorno, Raul" rispose dolcemente. "Jolanda!" le dette sulla voce Giovanna, scandalizzata. "Come ti permetti di chiamarlo Raul?" "E come dovrei chiamarlo, nonna?" "Razza dannata!" "In questo caso," disse Jolanda "preferisco non chiamarlo affatto..." E si chiuse in un dignitoso silenzio. "Ecco, brava!" esclamò la nonna. Quindi, rivolta a Raul, con alterigia: "Che cosa volete, giovanotto?" "Vi ho portato la colazione!" rispose Raul, indicando il cesto. "Gentile!" esclamò Giovanna, ironicamente. Quindi, mutando tono: "Portate via quella roba! Non mi va!" "È consuetudine esaudire l'ultimo desiderio dei condannati a morte" dichiarò Raul. "Se desiderate mangiare qualche altra cosa..." "Mangerei volentieri il cuore di vostro padre se non temessi di rimanere avvelenata!" rispose Giovanna. "Non potrei esaudire questo vostro desiderio, contessa" disse Raul. "Però credo che questa colazione possa essere più utile per voi..." Raul aveva pronunciato questa ultima frase con intenzione, come se volesse far comprendere che quella colazione era qualcosa di diverso da ciò che appariva. Giovanna lo guardò senza comprendere e rispose alteramente: "In che senso?" "Nel senso che è l'ultima che farete su questa nave," rispose Raul, sempre con intenzione, "se acconsentirete a spezzare questo pane e a mangiare..." Jolanda, poiché non poteva accorgersi che il giovane stava parlando in corsivo e non in tondo, non comprese il senso riposto nelle parole del giovane Raul e gli disse turbata: "Siete molto crudele, Raul, a ricordarci questo... Andatevene... Non voglio vedervi più!" "Sì, me ne vado!" rispose Raul, in tono addolorato. "Ma date retta al mio consiglio... Accettate questa colazione!" calcò sulle parole: "Il pane è molto bene imbottito..." Tolse il cesto dalle mani della guardia e lo pose in terra, dicendo: "Su, andiamo..." I due uscirono e richiusero la porta dietro di loro con grande rumore di catenacci... Nicolino a cui lo spavento faceva venire appetito prese in mano una delle pagnotte e la guardò soppesandola. Abbozzò una smorfia. "Imbottito!" esclamò. "Non c'è dentro niente! E poi... Come pesa!... Deve essere poco cotto questo pane..." "Io non mangio" disse Giovanna con indifferenza. "Non accetto nulla dal nemico!" "Io, invece, sì" disse Nicolino. "Prima hai detto che quel pane è pesante..." gli ricordò il maggiordomo. "Be'," disse filosoficamente Nicolino "così aumento di peso... Può darsi che la corda con la quale mi impiccheranno si rompa..." Addentò con forza la pagnotta ed emise un grido di dolore. "Che cosa ti succede?" gli domandò Battista. "A momenti mi rompevo un dente!" mugolò Nicolino. Guardò nella pagnotta e ne trasse fuori una grossa lima. "Guarda che schifo!" esclamò indignato. "Ecco che cosa c'era nella pagnotta!" Il maggiordomo gli strappò la pagnotta di mano e ne estrasse uno scalpello. "C'è anche questo!" esclamò. "Quelli mi volevano far strozzare!" si lamentò Nicolino. "Aveva ragione la signora contessa a non voler accettare niente!" Si alzò in piedi facendo tintinnare le sue catene e si avvicinò alla porta. "Che razza di gente!" seguitò. "Adesso li chiamo e gliene dico quattro!" "Guarda che schifo!" esclamò indignato... "Ma non avete capito, nostromo?" esclamò Jolanda, raggiante. "È Raul che ci ha mandato questa roba..." Intanto il maggiordomo Battista si era impadronito di un'altra pagnotta e l'aveva spezzata estraendone altri oggetti. "Ancora lime e scalpelli!" esclamò. "Un pugnale... Una torcia... Un acciarino!" "Ecco una colazione che accetto volentieri!" esclamò Giovanna. "Ma io no!" protestò Nicolino. "Io, questa roba qui non la digerisco... E l'acciarino e la torcia ho paura che mi diano i bruciori di stomaco!" "Nostromo, non avete capito nulla!" esclamò Jolanda. "Ce li ha mandati Raul per farci evadere!" Giovanna impugnò una lima incominciando a segare le sue catene. "Presto," disse "fate come me!"

Già, perché il tempio del dio Quetzatlcoal (che razza di nomi vanno a trovare in America per i loro antichi dei! Viva la faccia dei nostri antenati antichi romani che chiamavano i loro Giove, Minerva, Giunone, Apollo o Venere e non con dei nomi che sembrano un refuso tipografico), il tempio del dio ecc, ecc. (non abbiamo nessuna voglia di tornare indietro a vedere come diavolo lo abbiamo scritto) era abitato. Infatti nell'interno del tempio, davanti ad una statua riproducente ancora una volta il serpente piumato, un gruppo di incas seguiva attentamente le manovre di un signore in abito sacerdotale che sopra un altare di pietra si stava preparando a tagliare il collo ad un tacchino. E seguivano i suoi movimenti con grande attenzione non perché temessero che si mangiasse il gallinaccio tutto lui, ma perché l'uccisione di quel volatile costituiva una cerimonia sacra, in sostituzione dell'abituale sacrificio umano in uso fra quelle antiche popolazioni, dato che nessuno degli incas presenti, maschi o femmine, si era offerto gentilmente per farsi tagliare la gola dal coltello di pietra del sacerdote. E c'è da capirli perché ormai gli incas, quasi completamente distrutti dagli spagnoli, erano rimasti in pochissimi e alla pelle ci tenevano estremamente se non altro per la continuazione della stirpe. Il gran sacerdote, tagliato il collo al tacchino nonostante le vive proteste del povero gallinaceo, aveva appena incominciato a spennarlo con una velocità che denotava in lui una grande pratica in questo genere di esercizio, quando arrivò di corsa una fanciulla vestita da sacerdotessa. "Gran sacerdote," annunciò "due stranieri vestiti da ufficiali spagnoli stanno attraversando la città morta, venendo verso il tempio..." Veramente non disse proprio così, ma emise soltanto una serie di suoni gutturali che avevano appunto questo significato. E noi approfittiamo ancora una volta della nostra facoltà di scrittori di tradurre tutte le lingue vive o morte di questo mondo, per fingere di aver capito tutto e riferirlo al lettore. "Maledetti!" esclamò il gran sacerdote serrando le pugna. "Non sono ancora sazi d'oro!" "Credi che essi sappiano che nei sotterranei del nostro tempio è nascosto il favoloso tesoro che i nostri padri hanno trasportato qui dal lontano Perù "Gran sacerdote," annunciò "due stranieri vestiti da ufficiali..." per sottrarlo all'avidità dei conquistadores?" "Questo no!" rispose il gran sacerdote."Comunque potrebbero trovarlo se si mettessero a frugare nel tempio..." "Bisognerebbe impedir loro di entrare" suggerì la sacerdotessa. "Ahimè, gli spagnoli hanno armi d'acciaio, mentre le nostre o sono di legno-ferro, o sono d'oro che è un metallo tenero... È per questo che i nostri padri comandati dal povero Montezuma sono stati sconfitti da quel maledetto Pizzarro... No, no, lasciamoli entrare..." "Per ucciderli nel sonno?" domandò la sacerdotessa con un lampo crudele negli occhi. "Non occorre ucciderli" rispose il sacerdote mentre una scintilla di malizia si accendeva nei suoi occhi. "Li spaventeremo a tal punto che non soltanto fuggiranno via da questo luogo, ma riferiranno agli altri spagnoli che in questo tempio ci sono gli spiriti maligni... Così nessuno verrà ad importunarci e il favoloso tesoro degli incas sarà al sicuro... Andiamo, ragazzi!" Fece per avviarsi verso una porta che conduceva nei sotterranei, quando ci ripensò e tornato verso l'altare acciuffò il tacchino, esclamando: "E questo jelo lasciavo qui? Ma che sso'matto? Questo me lo pappo io, me lo pappo!" E uscì seguito dagli altri. Non vi meravigliate se l'ultima battuta il sacerdote l'ha pronunciata in dialetto romanesco, ma sembra che gli antichi incas lo parlassero correntemente. Infatti, una volta, visitando Cinecittà, abbiamo sentito un gran sacerdote incas parlare con perfetto accento trasteverino, senza che il regista lo riprendesse minimamente. Gli incas erano appena scomparsi oltre la porta, che dall'ingresso del tempio entrò Raul il quale, convinto che il capitano Squacqueras fosse dietro di lui, stava parlando da solo come uno scemo. "Avevo ragione... Si tratta proprio di un tempio incaico... Guardate quel mostro felino-gorgonico in ceramica colorata... È simile a quelli che ho veduto in un mio recente viaggio nel Perù meridionale... E guardate quel sole che rappresenta il totem degli incas, come il puma rappresentava quello dei chanca e lo smeraldo dei manta..." Poiché il capitano non gli rispondeva, Raul si voltò e non vedendo nessuno si mise a chiamare in tono irritato: "Capitano Squacqueras! Capitano!" Il capitano Squacqueras fece prudentemente capolino dalla porta principale del tempio. "Cosa c'è?" domandò cautamente. "Perché non venite avanti?" gli domandò Raul. "Sto indietro" rispose il capitano Squacqueras "per guardarvi meglio le spalle..." "Non ce n'è bisogno!" lo rimbeccò Raul. "Il tempio è deserto... E, come vi stavo dicendo, si tratta proprio di un tempio degli antichi incas." Indicò la statua del dio. "Infatti" continuò "vedete? È dedicato a Quetzaticoal, dio dell'aria..." Poiché il capitano che era venuto un po'in avanti, approfittando del fatto che Raul si era voltato per indicargli l'idolo, stava cercando di riguadagnare la porta, Raul lo richiamò indietro. "Be', e adesso dove andate?" "Visto che il tempio è dedicato al dio dell'aria, vado a prendere una boccata d'aria" rispose il capitano Squacqueras. "Tanto per gradire i prodotti del luogo, no?" "Non vorrete farmi credere, spero, che avete paura di qualche idolo di pietra..." disse Raul disgustato. "Non possono farvi alcun male..." "Fate che vi cadano sopra un piede e poi vedrete se fanno male o no!" "Comunque," disse Raul "noi ci accampiamo qui..." Rabbrividì leggermente. "Però" osservò "fa freddo... Bisognerebbe accendere un bel fuoco..." Vide della legna accatastata in un angolo, presso l'altare del sacrificio. "Oh!" esclamò. "Qui c'è della legna... Aiutatemi a raccoglierla e a farne un bel mucchio, qui..." Mentre il capitano Squacqueras lo aiutava nella bisogna, Raul si guardò intorno. "Ecco, così!" disse, smettendo di accatastare la legna... "E adesso, andiamo a vedere se riusciamo a trovare qualche cosa da mangiare..." Fece per avviarsi verso la porta interna dalla quale poco prima erano usciti gli incas. Il capitano che, evidentemente, non aveva nessuna voglia di addentrarsi ancora di più nei bui meandri del tempio, tentò di tergiversare. "In un tempio abbandonato?" obiettò. "E che cosa si può trovare da mangiare in un tempio abbandonato? Soltanto qualche colonna... E io, a dire la verità, le colonne le trovo un po'pesanti..." "Qualche tacchino selvatico potrebbe aver fatto il suo nido qua dentro, quindi ci potrebbero essere delle uova" disse Raul. "Oppure ci potrebbe essere ancora del mais..." "Mais? Mais mangiato mais in vita mia!" "Il mais è il granoturco... E il granoturco si conserva a lungo... Chi ha abbandonato questo tempio potrebbe averne lasciate delle provviste..." gli espose pazientemente Raul."Il granoturco si può macinare e farne della polenta..." "Polenta? Molto bene!" esclamò il capitano Squacqueras."La polenta non mi dispiace, soprattutto se è un po' lenta... Sì, la polenta un po' lenta, mi piace... Vamos!" I due scomparvero oltre la porta interna mentre dall'ingresso entravano l'uno dietro l'altro Giovanna con la spada snudata, il maggiordomo Battista, Nicolino e Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. "Qui non c'è nessuno..." disse Giovanna, parlando a bassa voce. "E allora è meglio che non ci stiamo nemmeno noi..." disse Nicolino, che non aveva meno paura di quel luogo del capitano Squacqueras. "Andiamocene!" "Ma allora" domandò Giovanna a Battista" i nostri guerrieri indiani dove diavolo si sono cacciati?" "Mi sia consentito il dire" disse Battista" che forse, spaventati alla vista delle rovine di questa città morta che molto probabilmente essi credono abitate dagli spiriti maligni, se la siano, mi si permetta la parola, squagliata..." "Pensare che sembravano così contenti di seguirci a Maracaibo per prendere d'assalto la città" esclamò Giovanna. "Comunque è stata una fortuna trovare questo tempio abbandonato sulla nostra strada... Siamo al coperto e potremo riposare in santa pace..." "Eh, giusto in santa pace" balbettò Nicolino. "Qui mi sembra di essere in un ci... ci... ci... ci..." Spaventato dal suono della sua stessa voce, Nicolino sobbalzò, gridando: "Mamma mia, la civetta!" "Ma no" lo rassicurò Jolanda. "Siete voi che balbettate!" "Ah, già è vero" disse Nicolino un po' rassicurato, ma non troppo. "Dicevo che mi sembra di stare in un cimitero qui, con tutte queste statue... Perché non ce ne andiamo?" "Se la nonna ha deciso che dobbiamo rimanere qui, è qui che bisogna fermarci" disse Jolanda. "Del resto" disse il maggiordomo "ti faccio osservare che è per colpa tua che abbiamo sbagliato strada..." "Colpa mia?" "Certamente... Tu che sei o per lo meno dovresti essere un vecchio lupo di mare ci avevi detto che per andare a nord bastava seguire la stella Venere..." "Come, Venere?" disse Nicolino. "Io ho detto la stella po... polare..." "E la stella popolare, quella nota a tutti, non è forse Venere, conosciuta anche come Vespero e Lucifero?" "Ma io" tentò di giustificarsi Nicolino "non volevo dire popolare, volevo dire po... polare..." "Appunto, Venere!" "Forse lui voleva dire la stella polare..." intervenne Jolanda. "È vero, nostromo?" Nicolino annuì vivacemente col capo. "Ecco, sì!" esclamò. "Ci mancava solo questo!" sbuffò il maggiordomo. "Possibile che devi balbettare sempre?" "Non sempre... So... solamente quando pa... parlo..." "E allora parla il meno che sia possibile!" lo ammonì Giovanna."E quando lo fai, cerca di non balbettare..." Quindi il maggiordomo, voltate le spalle al mortificato nostromo, si rivolse a Giovanna indicando il mucchio di legna fatto da Raul e dal capitano. "Signora contessa," disse "vedo che qui c'è della legna... Posso accendere il fuoco? Servirà per tenere lontane le belve..." "Certo, Battista, grazie... Tanto più che ho un po'di freddo..." Mentre Battista batteva l'acciarino per accendere il fuoco, Giovanna continuò: "E anche un po'd'appetito..." Battista smise di soffiare sulla piccola fiamma che cominciava a levarsi, crepitando, dal mucchio di legna e si alzò in piedi. "Provvedo subito, signora contessa... Spero di poter trovare tanto da riuscire ad improvvisare una piccola cena..." Nicolino, ancora mortificato per il rimprovero che gli avevano mosso poco prima i suoi compagni, intervenne timidamente: "Fuori," disse "ho visto delle piante cariche di comeri e poni..." Il maggiordomo, stupito, aggrottò le sopracciglia. "Comeri e poni?" ripeté. "Strano... Non ho mai sentito nominare dei frutti simili..." "Eppure ci sono" insistette Nicolino. "Li ho visti io... Comeri e poni..." "Non so proprio che cosa siano" disse il maggiordomo. 6. Giovanna "A meno che tu non voglia dire cocomeri e poponi..." Nicolino annuì con la testa, felice di essere stato capito. "Eh, sì!" esclamò. "Proprio quelli!" "E perché, allora, hai detto comeri e poni?" "Eh, già!" disse ingenuamente Nicolino. "Se dicevo cocomeri e poponi la contessa mi strillava perché non vuole che balbetti!" "Quosque tandem, Nicolino, abutere patientia nostra?" proferì gravemente Battista, alzando gli occhi al cielo. Quindi, rivolto alla vecchia: "Col suo permesso, vado a vedere, signora contessa..." "Vengo con voi, Battista" disse Giovanna."Vieni anche tu, Jolanda..." "E a me, mi lasciate solo?" balbettò Nicolino spaventato. "Vengo anch'io con voi!" I quattro uscirono all'esterno, mentre dalla porta che conduceva nei sotterranei entravano il giovane Raul e il capitano Squacqueras che trovarono il tempio vuoto. Essi portavano in due una specie di grosso paiolo di rame pieno d'acqua e delle uova di tacchina. "Avete visto, capitano?" disse Raul. "Un po'di uova le abbiamo trovate... Adesso..." Si interruppe vedendo il capitano che fissava il fuoco acceso con espressione spaventata. "Che c'è?" gli domandò. Poi avvedendosene anche lui: "To', il fuoco si è acceso da solo!" Il capitano Squacqueras si riscosse dal suo stupore e si avviò a passo svelto verso l'ingresso del tempio. "Proprio così, mio giovane amico" disse. "Io torno subito..." "Ma no, venite qui, capitano... Forse il fuoco lo avrò acceso io senza avvedermene..." "Me ne sarei accorto io, giovanotto... Quando vedo accendere un fuoco ci sto molto attento perché penso che ci sia qualcosa da mangiare..." "E allora," domandò Raul "come spiegate questa faccenda?" "È chiarissimo, giovanotto, chiarissimo..." E il capitano pronunciò rapidamente uno dei suoi soliti sillogismi: "Il fuoco si è acceso, acceso è il tramonto, il tramonto avviene al calar del sole, il sole illumina il nostro pianeta, il pianeta è della fortuna, la fortuna arride agli audaci, gli audaci non hanno paura di nulla, di nulla sono fatti gli spiriti, ergo: il fuoco è stato acceso dagli spiriti..." "Ma no, si tratterà di un caso di combustione spontanea... Approfittiamo che il fuoco è acceso per far cuocere queste uova..." Raul aiutato dal capitano collocò la pentola sul fuoco e ci mise dentro le uova. "Ecco fatto" disse. "E adesso torniamocene nei sotterranei..." "A che fare?" domandò il capitano. "Non mi piace andare sottoterra..." "Non piace a nessuno, ma dove sono le uova ci potrebbe essere anche la tacchina selvatica che le ha fatte..." "Le tacchine sono un po' piccole per il mio appetito" disse il capitano. "Ma le uova sono di tacchina, cosa sperate di poter trovare di diverso?" "Fra le tacchine ci può essere sempre qualche taccona" osservò il capitano. "Andiamo a vedere..." I due erano appena usciti per la porta che conduceva nei sotterranei, quando da quella che comunicava con la foresta vergine, rientrarono Giovanna con i suoi compagni. Mentre Nicolino aveva le braccia cariche di grossi frutti, Battista teneva una sorta di lucertolone per la coda. "Non sapevo che i cocomeri e i poponi crescessero in America" stava dicendo Jolanda. "Effettivamente" rispose Battista "il cocomero, il cui nome scientifico è Cucurbita citrullus, è una specie originaria dell'Africa meridionale, ma questi, che gli spagnoli chiamano angurie, crescono qui e il loro nome latino è Cucumis anguria... In quanto a questo altro frutto che il nostro Nicolino ha chiamato popone non avendo potuto, nel buio della foresta, vedere altro che le sue dimensioni e il suo colore arancione, si tratta effettivamente dell'ananas che rassomiglia più ad una pigna, come potete costatare, che ad un melone, tanto che gli spagnoli lo chiamano appunto piña." "Ma," domandò Nicolino "si mangia? Si mangia?" "Carlo V a cui fu portato dai primi esploratori del continente americano ne diffidò e non volle nemmeno assaggiarlo, ma Cristoforo Colombo, che ne mangiò, lo trovò squisito..." "Come fate a saperlo?" domandò Giovanna. "Cristoforo Colombo non ne ha fatto alcun cenno nei suoi diari..." "È una cosa di cui si parlava spesso nella nostra famiglia..." rispose Battista. "E come mai se ne parlava?" domandò Jolanda. "Cristoforo Colombo" dichiarò Battista con semplicità "era mio zio!" "Vostro zio!" esclamò Jolanda ammirata."Allora voi sareste..." "Don Battista Cristóbal Colón, duca del Cipango, grande ammiraglio per diritto ereditario dell'Oceano e cavaliere di Speron d'Oro..." "E vi siete ridotto a fare il cameriere!" "Come tutti sanno mio zio morì in miseria a Valladolid" disse Battista. "E poi facendo il cameriere ho scoperto anch'io un nuovo mondo: quello dell'umiltà e della rassegnazione!" "Nobile cuore!" esclamò Jolanda commossa. "Be'" disse Battista riscuotendosi. "Cambiamo discorso... È stata una vera fortuna che la signora contessa abbia potuto uccidere con un colpo di spada quest'iguana..." "Eh, sì," disse Nicolino "poteva morderci..." "Ma no!" esclamò il maggiordomo. "È stata una fortuna perché l'iguana è squisito..." "Co... come?" balbettò Nicolino. "Vorreste mangiare questo lucertolone schifoso?" "La sua carne è molto apprezzata dagli indios bravos" interloquì Giovanna. "Essi dicono che essa, quando sia lessata, ricordi quella del pollo..." "Bisogna vedere di che razza di pollo si tratta" disse Nicolino. "Può darsi che intendano parlare del pollo andato a male... Mangiano spesso la carne marcia quelli lì!" "Comunque, possiamo provare" propose Battista. "Peccato che non ci sia una pentola per farlo lesso... Be', adesso che succede?" domandò vedendo che Nicolino con gli occhi sbarrati stava guardando verso il fuoco. "C'è la pentola, c'è!" esclamò Nicolino. "Eccola lì..." Giovanna si avvicinò e guardò nel paiolo. "È vero," disse"e dentro ci sono delle uova... Chi può averle messe a bollire?" "Io dico che sono gli spiriti..." esclamò Nicolino. "Macché!" rispose Giovanna."Sarà stato qualche viandante. In fondo quello con cui incomincia questo romanzo, non si sa dove sia andato a finire..." "Mi sia consentito il dire" suggerì Battista "che forse quel viandante spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni potrebbe essere arrivato benissimo fin qui... E che forse si sta aggirando nei pressi in cerca di qualcosa da mangiare anche lui..." "Andiamo a vedere" disse con improvvisa decisione Giovanna. "Sono curiosa di conoscere finalmente uno di questi misteriosi viandanti... Intanto quest'acqua che bolle è proprio quello che ci vuole per cuocere l'iguana... Buttatelo dentro, Battista, e andiamo a fare il giro del tempio..." Il maggiordomo obbedì e Giovanna con Jolanda si avviò verso l'uscita, Anche il maggiordomo, sistemato l'iguana nella pentola, fece per andarsene, ma Nicolino gli si appiccicò alle costole. "Un momento," supplicò "non mi lasciare qui solo..." E uscì insieme a lui sulle piste di Giovanna. Immediatamente, dalla porta che conduceva nei sotterranei entrarono Raul e il capitano. Raul aveva in mano la grossa tacchina che abbiamo già visto maneggiare dal gran sacerdote degli incas. Costui, molto probabilmente, nel sentire avvicinarsi i due, si era nascosto abbandonando la tacchina spennata dove si trovava. "Che cosa vi avevo detto?" stava dicendo Raul. "Che ci doveva essere per forza qualche tacchina da queste parti... Però, non capisco come mai sia già morta e spennata..." "Forse," opinò il capitano, allegramente, "avvilita di essere diventata completamente calva si è suicidata..." Raul lo guardò con sorpresa: "Come?" esclamò. "Non avete più paura come poco fa? Non pensate più che possa essere stato qualche spirito?" "La carne fa quasi sempre dimenticare lo spirito" sentenziò il capitano Squacqueras. "Date qua, che la metto a bollire..." Tolse la tacchina dalle mani di Raul e stava per immergerla nella pentola, quando, nel guardarci dentro, sbarrò gli occhi farfugliando: "Oh, sant'Ambrogio! Aiuto!" "Che c'è?" domandò Raul avvicinandosi... Il capitano indicò a Raul l'iguana la cui testa mostruosa sporgeva dalla pentola e sembrava lo stesse fissando con i suoi occhi bianchi che erano schizzati fuori dalle orbite. "Un drago!" strillò il capitano con tutto il fiato che aveva in corpo."Un mostro che mi guarda!" "Ma no!" esclamò Raul. "È soltanto un innocuo iguana... È inoffensivo da vivo, figuriamoci così, mezzo cotto!" "E che cosa sta facendo là dentro? Il bagnetto?" "Sarà caduto nella pentola dal soffitto del tempio che è tutto rotto... Ce ne potrebbe cadere qualcuno in testa... Facciamo una bella cosa, capitano: andiamo di là, dove c'è il tetto sano..." Il capitano Squacqueras indicò le angurie e gli ananas. "Un drago!" strillò il capitano... "Qui ci sono anche delle frutta che prima non c'erano..." "Forse erano cresciute sul tetto e l'iguana, cadendo, se le è trascinate dietro... Comunque, siano le benvenute anche loro... Prendete su tutto e andiamo di là..." I due raccolsero le frutta e impugnarono la marmitta, il capitano per un manico, Raul per l'altro, ed uscirono dalla porta che conduceva nei sotterranei. Provenienti dall'esterno entrarono gli altri quattro. "Macché!" stava dicendo Giovanna. "Fuori non c'è nessuno..." "Si vede che quel viandante, spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni, è andato a finire in bocca a qualche giaguaro, signora contessa..." suggerì Battista. "La pepé!" disse Nicolino. "Cosa stai dicendo?" gli domandò Battista, guardandolo malamente. "La mammà!" farfugliò ancora Nicolino. "Il papà..." "Ma che diavolo dici?" gli dette sulla voce Battista. "La pe... pentola!" riuscì finalmente a spiccicare Nicolino."La ma... marmitta... Il pa... paiolo! Non c'è più... È sparito!" "E allora" concluse Giovanna "non c'è niente da fare, vuol dire che nel tempio c'è gente..." "Potrebbero essere il Corsaro Blu e il Doppio Barbanera Illustrato" esclamò Jolanda con la voce piena di speranza. "Sono scomparsi così misteriosamente dal villaggio indiano, quella sera!" "La pepé!" disse Nicolino. "Macché!" esclamò Giovanna. "Debbono essere morti, divorati dalle fiere..." "Spero di no, nonna!" disse Jolanda. "Se sono mo... morti è peggio" balbettò Nicolino "perché potrebbero essere i loro fantasmi..." "La cosa migliore da fare" decise Giovanna "è di cercarli dappertutto... Facciamo una cosa: dividiamoci... Io e Jolanda andiamo di qua," e così dicendo indicava una specie di cunicolo che scendeva a mezzo di una scala di pietra verso il basso, "Battista va ancora a vedere fuori..." "E io?" domandò Nicolino. "Voi restate qua" ordinò Giovanna. "E ci resto di sicuro se mi lasciate qui solo... Ci resto secco..." "Non fate lo sciocco, nostromo... Dovete restare qui per bloccare l'uscita del tempio..." E Giovanna, senza più curarsi del nostromo Nicolino, cominciò a scendere la scala, mentre Battista usciva all'esterno del tempio. Nicolino cadde a sedere su una pietra asciugandosi il sudore. "Oh, mamma mia!" gemeva piano piano. "Oh, mamma mia bella... Povero me!" Era così intento a compiangersi da non avvedersi che alle sue spalle una grossa pietra stava girando su dei cardini invisibili scoprendo un passaggio segreto nel cui vano apparve una figura gigantesca alta per lo meno due metri e mezzo, ricoperta da un lungo mantello intessuto di piume e con la testa di serpente. Accanto all'orripilante figura era la sacerdotessa che sussurrò: "È solo..." "Vado" disse l'orripilante figura che parlava con la voce del gran sacerdote avanzando verso Nicolino. Con un lungo stelo che aveva in mano prese a vellicare l'orecchio di Nicolino che, credendo si trattasse di un insetto, lo scostò con un gesto della mano borbottando: "È pure pieno di zanzare, qui... Però, almeno le zanzare sono vive... Volano, ronzano, ti succhiano il sangue..." Ci ripensò... "Ti succhiano il san..." ripeté "e se si trattasse di un vampiro?" Nicolino, terrorizzato, si voltò piano piano e si trovò davanti, improvvisamente, quella specie di spettro. Aprì la bocca per gridare ma nessun suono usciva dalla sua strozza. "A... a... a..." riuscì soltanto a dire dopo un enorme sforzo. "Maledetti sacrileghi!" tuonò invece la strana figura con voce sepolcrale. «Abbandonate subito questo tempio che avete profanato e lasciate dormire in pace le anime dei nostri morti!" Così detto si voltò e se ne andò maestosamente per dove era venuto. Nicolino avrebbe voluto gridare, ma se riuscì finalmente a dire "Aiuto" lo disse così sottovoce che non si sentiva affatto. "A... a... aiuto!" sussurrò. Finalmente, non riuscendo proprio a gridare, afferrò il suo fischietto da nostromo che gli pendeva dal collo e portatolo alle labbra ne trasse due o tre sibili tremolanti. Il maggiordomo Battista arrivò di corsa. "Ma che succede?" gli domandò. "Cosa credi di essere a bordo della Tonante?" "Un fa... fa... fa..." mugolò Nicolino. "Un fagiano?" "No, un fa... fa... fa..." "Un falco?" Nicolino fece disperati cenni di diniego. "Un fa... fa... fantasma!" esplose finalmente. «Ma fammi il piacere!" scattò Battista. "Avrai avuto un'allucinazione..." "Non ho avuto un'allucinazione, ho avuto una paura tre... tre... tre..." Poiché non riusciva a vincere l'impuntatura, Nicolino muoveva vivacemente la mano in su e in giù come se stesse giocando alla morra. Il maggiordomo, lì per lì, distratto, lo assecondò: "Quattro!" gridò alzando ed abbassando la mano a sua volta ed aprendo ora uno, ora due, ora tre dita. "Due, due, tutta!" Si riprese e si guardò intorno. "Che cosa mi fai fare, imbecille!" scattò. "Se mi avesse visto la signora contessa! Perché vuoi giocare alla morra?" "Non volevo giocare alla morra" si giustificò Nicolino. "Volevo dire che non ho avuto un'allucinazione, ho avuto una paura tremenda!" "Appunto, un'allucinazione causata dalla paura! Comunque, se hai tanta paura di stare solo, vieni con me ad esplorare l'esterno del tempio..." "Ecco, è meglio... Tutto quello che vuoi, basta che non mi lasci qui solo..." "Andiamo... E smettila di battere i denti!" "Non sono io che batto i denti, sono loro che non vogliono stare fermi... Andiamo..." I due uscirono. Quasi immediatamente entrarono Raul e il capitano Squacqueras. "E ora che abbiamo mangiato," disse Raul "direi che ci potremmo mettere a dormire..." "Ottima idea, giovanotto... Chi dorme non piglia pesci e a me il pesce non piace... Dove ci mettiamo?" Raul si avvicinò all'ara dei sacrifici che indicò al capitano. "Io direi di metterci qui" consigliò. Il capitano si avvicinò all'ara e ne saggiò la pietra con la punta delle dita come se si trattasse di un letto. "Qui? Molto bene... Per quanto il materasso sia piuttosto duretto, eh?" "Sono stanco morto" disse Raul sbadigliando. "Credo proprio che dormirò come un sasso..." "Appunto... Niente di più adatto, allora, di un letto di pietra..." Il capitano così dicendo si distese sull'ara e Raul fece altrettanto, accomodandosi accanto a lui. "Buonanotte" disse. "Speriamo bene" disse il capitano. "E voi cercate di non sognare Jolanda, la figlia del Corsaro Nero... Buonanotte..." Pochi istanti dopo dormivano saporitamente tutti e due. Ma, nonostante la raccomandazione fattagli dal capitano Squacqueras, molto probabilmente Raul dovette vedere in sogno la dolce figura di Jolanda, perché, ad un certo punto, cominciò ad agitarsi sul suo letto di pietra, chiamando nel sonno: "Jolanda! Jolanda!" Jolanda stava risalendo dai sotterranei, mentre dalla porta del tempio rientravano Nicolino e Battista. "Mi è sembrato di aver sentito chiamare il mio nome" disse "da una voce d'uomo..." "Mi sia consentito il dire che la cosa è impossibile, contessina" le fece rispettosamente osservare il maggiordomo. "Io e Nicolino eravamo fuori e non vi abbiamo chiamato... In quanto alla voce della signora contessa, nonostante i suoi toni baritonali, non si può dire che sia una voce d'uomo..." "Eppure," disse Jolanda, pensosamente "mi sembrava la voce di quel giovane... Sì, del Corsaro Blu..." "E allora," piagnucolò Nicolino "avevo ragione io... Quello è morto e adesso il suo fantasma vaga per la foresta in cerca di pace..." "Dio non voglia!" esclamò Jolanda, turbata. "Piuttosto, dov'è la nonna? I sotterranei di questo tempio costituiscono una specie di labirinto e l'ho perduta... Sentite, prendete un ramo acceso da quel fuoco e andiamo a vedere..." "Sì, signorina, è meglio" approvò il nostromo Nicolino. "Non so com'è ma con la signora mi sento più sicuro... Lei non ha paura di niente, beata lei!" Nicolino si avvicinò al fuoco e ne tolse un ramo che sollevò in aria servendosene come di una torcia. I bagliori della fiamma illuminarono Raul che disteso sull'ara con le braccia incrociate sul petto sembrava un morto. Non ci volle di più per paralizzare completamente Nicolino. "Il fantasma del Corsaro Blu!" farfugliò. Vide il capitano Squacqueras disteso accanto a Raul. "C'è anche il Doppio Barbanera Illustrato!" gridò. Risvegliati dagli urli di Nicolino, il capitano Squacqueras e Raul balzarono a terra, pensando all'attacco di qualche nemico. Raul rimase di stucco nel trovarsi davanti Nicolino. «Ma voi... Che cosa fate qua?" "Pietà, signor fantasma!" gridò Nicolino cadendo in ginocchio e tendendo le mani supplici verso il giovanotto... "Macché fantasma d'Egitto!" esclamò Raul. "Io sono vivo!" Jolanda non riuscì a trattenere la propria gioia. "Vivo!" esclamò. Raul si voltò dalla parte di Jolanda e nel vederla lanciò un grido di contentezza. "Jolanda!" esclamò. "Anche voi siete qua!" Poiché il giovanotto le si era avvicinato quasi per abbracciarla, Jolanda si trasse indietro e abbassando pudica gli occhi: "Sì, e c'è anche la nonna..." "Ci ritroviamo tutti!" esclamò il capitano Squacqueras, facendo buon viso a cattivo giuoco. "Come luogo di ritrovo, però, lo abbiamo scelto piuttosto maluccio!" Il maggiordomo Battista si rivolse a Nicolino. "Lo vedi, pezzo di cretino, che non c'era nessun fantasma?" Nicolino fissò con gli occhi sbarrati la scala da cui era salita Jolanda e rispose balbettando: "Lo dici tu!" "Che c'è ancora?" domandò Battista. "Il serpente piumato!" "Ma fammi il piacere!" Battista si voltò dalla parte verso la quale stava guardando Nicolino e annichilì vedendo la spaventosa figura che tanto aveva impressionato il nostromo avanzare verso di lui. Perdendo la sua naturale compostezza, gridò: "Mi sia consentito il dire: Aiuto!" Il sedicente Corsaro Blu sguainò la spada mentre il capitano Squacqueras correva ad acquattarsi dietro l'ara. "Capitano!" lo rimproverò Raul."Perché vi nascondete?" "Nascondermi io? Niente affatto! Mi accoscio per poter saltare meglio addosso a quella creatura infernale!" Da dietro la spaventevole figura sbucò Giovanna. Teneva in mano la spada sguainata che aveva tenuto puntata fino a quel momento dietro la schiena del mostro. "Niente paura," disse. "To', ci siete anche voi!" esclamò vedendo Raul e Squacqueras. Quindi, agli altri due: "L'ho acchiappato. E non è affatto un fantasma o un dio incas, o un gigante..." Si rivolse alla fantasmagorica figura che quatta quatta tentava di riguadagnare la porta. "Fermo là, non ti muovere, se non vuoi fare conoscenza con la punta della mia spada..." "Non è un gigante?" domandò Raul. "E come fa ad essere così alto?" Giovanna con un colpo secco strappò il mantello che ricopriva il finto serpente piumato, mostrando che si trattava di un erculeo incas sulle cui spalle si era posto a cavalcioni il gran sacerdote il quale, visto che oramai il suo trucco era scoperto, si tolse la maschera di serpente. L'uno sull'altro i due formavano la fantastica figura che per poco non aveva provocato un infarto al povero Nicolino. "Semplicissimo, guardate" spiegò Giovanna. "Volevano spaventarci per allontanarci dal favoloso tesoro degli incas che è nascosto in questo tempio..." 7. Giovanna Giovanna con un colpo secco strappò il mantello che ricopriva il finto serpente piumato... "Il tesoro degli incas?" esclamò Raul. "E dov'è?" "Eccolo" disse Giovanna. Si rivolse verso il sotterraneo da cui era sbucata chiamando: "Ehi, venite avanti voialtri, se non volete che del vostro gran sacerdote faccia un fodero per la mia spada!" Gli incas e le incas che abbiamo visto presenziare al sacrificio del tacchino, sbucarono dai sotterranei portando delle barelle cariche di vasi d'oro, braccialetti e collane di smeraldi, armille, corone d'oro, tiare, armi tempestate di pietre preziose, statuette e persino padelle tutte d'oro massiccio. Mentre i sei si affollavano intorno al tesoro, il maggiordomo Battista che era andato a guardar fuori del tempio, attratto da un rumore, si trasse di lato appoggiandosi con le spalle al muro: "Un drappello di soldati spagnoli!" annunciò con voce ufficiale. "Spagnoli!" esclamò Giovanna. "E noi siamo quasi inermi! Ma niente paura! Li conceremo per le feste ugualmente... E voi" seguitò, rivolto a Raul e al capitano Squacqueras "ci darete una mano, signori..." Raul esitò un istante, poi sospirando dichiarò: "Io non posso stare con voi, signora..." "Perché?" domandò Jolanda, sorpresa. "Perché fino ad ora vi abbiamo mentito... Io non sono il Corsaro Blu... Sono Raul di Trencabar, figlio del governatore di Maracaibo..." "Il figlio di Trencabar!" esclamò Jolanda, annichilita. "Sì, Jolanda, perdonatemi!" esclamò Raul. "Vado a raggiungere i vostri nemici, che altri non sono che i miei soldati... Andiamo, capitano Squacqueras..." "Non è il Doppio Barbanera Illustrato?" domandò Nicolino. "No, ma mi raccomando," scongiurò l'ex almanacco "non ci sparate alle spalle! Non è corretto! Non sta bene!" Uscì in fretta dietro Raul mentre Giovanna gli gridava dietro: "Non spariamo alle spalle, noi... Non siamo spagnoli!" "Non avrei mai creduto!" sospirò Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, con lo sguardo fisso nel vuoto. "Non ci pensare, Jolanda, e aiutami... Li sistemeremo noi questi spagnoli... Fate tutti come me!" Si avvicinò al tesoro degli incas, afferrò dei gioielli a casaccio e corse verso la porta. Fuori del tempio il sergente Manuel che comandava il drappello di soldati spagnoli sollevò una mano. "Alt!" comandò. Quindi, rivolto ai suoi uomini: "Attenzione," disse"qualcuno sta venendo verso di noi procedendo fra le rovine..." Quindi, a voce altissima: "Chi va là?" domandò. "Spagna!" rispose Raul. "E Milano!" aggiunse il capitano Squacqueras. "Ah, siete voi!" esclamò il sottufficiale. "Siete salvi, grazie alla Beata Vergine del Pilar... E ditemi! Non c'è nessuno nel tempio?" Raul esitò un momento. "No" dichiarò poi. "Non ci sembra, almeno..." "Sarà meglio assicurarsene... Avanti, soldati..." Sulla soglia del tempio apparvero Giovanna con i suoi compagni, le mani cariche di gioielli. "Pronti?" comandò Giovanna. "Fuoco!" Tutti lasciarono i gioielli contro gli spagnoli. I gioielli caddero intorno agli spagnoli che si fermarono interdetti. Il sergente Manuel ricevette in un occhio un enorme smeraldo che gli cadde in mano. "Caramba!" esclamò. "Uno smeraldo..." "Qui piove oro!" gridarono i soldati gettandosi a pesce sui gioielli provenienti dal tesoro degli incas e facendo a spintoni fra loro. "A me!" "A me!" "Lascia stare!" "Questo l'ho visto prima io!" "E togliti di mezzo, tu!" "Lascia quel vaso o ti ammazzo!" "Fermatevi!" gridò Raul gettandosi sulla mischia. "Capitano, aiutatemi a fermare questi energumeni!" "Magnifico!" esclamava intanto Giovanna, soddisfatta. "I soldati combattono fra loro per arraffare quanti più gioielli possono! Il sergente afferra una tiara di smeraldi, la passa a un soldato che la passa ad un altro, questo la lancia sulla testa del sottufficiale, goal! Lo ha preso in pieno! I soldati spagnoli si azzuffano, magnifici per continuità e resistenza! Il figlio di Trencabar tenta invano di opporsi alla loro furia, ma è travolto. I soldati si pestano fra loro. Siamo appena al primo minuto e già non c'è più un uomo valido in campo. Presto, approfittiamone per barricarci nel tempio!"

Quindi, mettendosi a gridare come un forsennato: "Marinai, soldati, sottufficiali, ufficiali, adunata!" Mentre l'equipaggio della nave, misto ad alcuni soldati, accorreva da tutte le parti, il capitano, agitandosi sempre più, si mise ad urlare: "Cannonieri, alle bocche! Archibugieri, alle murate! Marinai, alle vele! Tutti ai loro posti!" Venne raggiunto dal conte di Trencabar che, vedendo tutta quella confusione, interpellò il capitano. "Che succede?" "La vedetta ha avvistato degli uomini in mare!" rispose concitatamente il capitano Squacqueras. "Tutto qui?" esclamò il governatore di Maracaibo. "E per dei naufraghi voi preparate tutto questo spiegamento di forze?" "Intanto," puntualizzò il capitano Squacqueras "la vedetta non ha detto 'naufraghi in mare', ma uomini'? Poi non ha specificato quanti siano! Infine, non ha detto se questi uomini sono in mare per motivi balneari o se sono in mare a bordo di cinque o sei navi corsare..." "Ma se fossero a bordo di navi corsare," lo interruppe il governatore irritato "la vedetta avrebbe segnalato 'navi in vista a nord est' o dove diavolo sia!" Sollevò il capo e gridò rivolto verso la coffa da cui era partito il grido: "Ehi, vedetta!" "Comandate, eccellenza!" rispose la vedetta. "Cosa avete avvistato, esattamente?" "Quattro naufraghi a nord est..." "Visto?" esclamò il capitano Squacqueras, trionfante. "Come visto?" scattò il governatore. "Quattro naufraghi non sono una flotta di navi pirate!" "Lo dite voi!" rimbeccò il capitano. "Quattro naufraghi significano una nave affondata... La nave può essere stata cannoneggiata, abbordata, saccheggiata e incendiata da una flotta di navi da corsa... In questo caso, le navi pirate potrebbero essere ancora vicine... Quindi vedete che non erro a prendere le mie precauzioni!" Il conte di Trencabar sbuffò: "Magari vi fossero delle navi corsare vicine! Potrei dar loro battaglia e distruggerle! Il Viceré ha acconsentito a perdonarmi soltanto a patto che entro un mese non si incontrino più filibustieri in tutto il Mar delle Antille!" "Se non è che questo," disse il capitano "il problema è risolto!" "In che modo?" "Basta che diate ordine alla vostra nave di dirigersi verso la Spagna, alias Penisola Iberica! E non vi sarà pericolo di incontrare pirati perché da quelle parti non ve ne sono... Volete che dia l'ordine?" "Sarebbe troppo comodo!" rispose il conte di Trencabar. E volto verso il quadrato, chiamò: "Raul!" Il giovane Raul di Trencabar uscì dal quadrato e si avvicinò ai due. "Eccomi, padre" disse. "Fai calare una scialuppa in mare per raccogliere dei naufraghi..." "Sì, padre" rispose Raul tristemente. Per quanti sforzi avesse fatto per incontrare la morte combattendo contro i pirati che assediavano Maracaibo, non ci era riuscito: la gentile Signora del Nulla si era rifiutata di accoglierlo fra le sue braccia e questo lo rendeva malinconico come un amante deluso. Il giovane si allontanò per dare ordini, mentre il vecchio Trencabar si rivolgeva al capitano: "Questi naufraghi" disse "ci potrebbero dire in che punto sono stati attaccati dai corsari, se, come dite voi, hanno avuto a che fare con essi... Chi sa a quale nave appartenevano..." Così dicendo il conte di Trencabar si tolse di tasca un cannocchiale da marina e si avvicinò alla murata scrutando verso il mare. Ebbe un sobbalzo. "Oh, questa sì che è bella!" esclamò. "Che magnifica combinazione!" "Avete forse riconosciuto fra i naufraghi qualche vostro amico?" 13. Giovanna "Al contrario!" rispose Trencabar giubilante. "Ho visto una mia intima nemica... Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" "La vecchia?" esclamò il capitano inarcando le sopracciglia. Si rivolse verso il gruppo di marinai, gridando: "Ehi, voi! Calate in mare una scialuppa di salvataggio!" "Già l'ho fatta calare io!" disse il governatore. "Già, ma l'avete fatta calare per far salire a bordo Giovanna! Invece, la scialuppa di salvataggio, la voglio per salvarmi io!" "Troppo tardi, caro capitano" disse tutto soddisfatto il governatore mentre Raul gli si avvicinava mettendosi al suo fianco. "Ecco i nostri nemici!" E indicò la bionda testolina di Jolanda che compariva dietro la murata della nave. "Jolanda!" esclamò Raul, sussultando. Il conte Trencabar si voltò verso di lui sorpreso. "La conosci?" "Sì," rispose seccamente Raul "e non voglio vederla nelle tue mani!" Gli voltò le spalle e si allontanò mentre il padre cercava di richiamarlo indietro: "Raul!" Venne interrotto dalla voce di Giovanna che stava scavalcando la murata seguita dal nostromo Nicolino e dal maggiordomo Battista, nonché dai marinai che erano andati a ripescarla. "È meglio che non lo chiamiate" disse. "Perché volete farlo vergognare di voi?" "Vecchia maledetta!" esclamò il conte di Trencabar. "Finalmente sei in mio potere! E potrò farti incontrare la stessa morte dei tuoi nipoti..." "Non è ancora detta l'ultima parola!" lo sfidò Giovanna. "L'ultima parola la dirò io e sarà 'Morte!' Sarete impiccata, domani, al più basso pennone della nave!" "Mi spetta il più alto!" proclamò alteramente Giovanna. "Al più basso!" insistette dispettosamente il conte di Trencabar. E rivolto agli altri tre: "E voi sarete impiccati con lei!" "Non importa," rispose, inaspettatamente eroico, il nostromo Nicolino "morirò con il nome della contessa sulle labbra!" "Grazie, nostromo!" esclamò Giovanna, commossa. "Certo," disse Nicolino "che morirò col vostro nome sulle labbra! Con chi me la debbo pigliare per questo bel guaio che sto passando? A chi debbo tirare i miei accidenti?" "Rinchiudeteli in una cabina sicura dopo averli incatenati come si deve!" ordinò il conte di Trencabar al sergente Manuel che si impadronì dei prigionieri portandoli via. "E in quanto a voi," seguitò il governatore, rivolto al capitano "ho una missione da farvi compiere... Rassicuratevi, non si tratta di una missione di guerra," proseguì ironicamente vedendo la faccia del capitano "ma di una missione diremo così finanziaria..." Si tolse dal petto una carta che consegnò al capitano Squacqueras che lo guardò interrogativamente. "Si tratta di una mappa della costa che indica il luogo esatto dove voi e Raul avete scoperto quella città morta nel cui tempio è nascosto il tesoro degli incas... È Raul che l'ha disegnata... poiché siamo vicini alla costa, voi sbarcherete con il sergente Manuel che conosce i luoghi, una trentina di soldati e una decina di botti." "Siete gentile, ma non so se ce la faremo a bercele tutte in ventidue persone" obiettò il capitano. "Le botti debbono essere vuote... Le riempirete con il tesoro degli incas e le riporterete qui... Forse Sua Maestà il Re di Spagna, nel ricevere da me questo favoloso tesoro non vorrà tener conto del cattivo rapporto che il Viceré gli avrà certamente fatto sul mio conto, per colpa delle vostre stupide fanfaronate." "Vi è proprio necessario questo tesoro?" domandò il capitano Squacqueras a cui non garbava affatto l'idea di tornare nel tempio. "Non vi basta aver trovato me?" "In che senso?" domandò il governatore inarcando le sopracciglia... "Sono un amico e chi trova un amico trova un tesoro, no?" "Ma andate al diavolo!" esclamò il governatore. "Preparatevi e andate, prima che qualcun altro possa mettere le mani su quella immensa fortuna... Giovanna che lo ha veduto insieme a voi potrebbe averne avvisato il nipote..."

I In cui si fa conoscenza con alcuni dei principali personaggi di questa storia pag. 7 II In cui si apprende che il conte di Trencabar ha un figliolo e si conosce un terribile capitano ambrosiano-spagnolo 20 III In cui si rimane stupiti di fronte alla formidabile cultura del maggiordomo Battista 38 IV In cui ci imbattiamo in qualcuno di quei maledetti spagnoli ai quali si è alluso nel capitolo precedente e si assiste ad un incontro che non esitiamo a definire fatale 55 V In cui si sente parlare del famoso tesoro degli incas e si fa la conoscenza con un sacerdote incas a cui piace fare dei brutti scherzi, rivelando così la vera origine storica del modo di dire "fare scherzi da prete" 73 VI In cui si vede che la storia di Romeo e Giulietta può ripetersi anche in piena foresta vergine e nell'interno di un tempio incas 102 VII In cui si assiste al Gran Consiglio dei Fratelli della Costa e allo scontro fra Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, e i famosi filibustieri Barbanera, Morgan e il capitano Kid che dopo aver avuto a che fare con la terribile vecchia decisero di lasciare la loro onorata professione di pirata per darsi all'ippica 120 VIII In cui ritroviamo il vecchio conte di Trencabar, padre di Raul, e vediamo che, nonostante la sua carica di governatore di Maracaibo, ha anche lui i suoi guai 130 IX In cui si fa la conoscenza con un misterioso personaggio che, pur essendo olandese, non porta gli zoccoli, non ha nulla a che fare con i mulini a vento e non balla allegre danze folcloristiche.. 171 X In cui ritroviamo tutti i personaggi della nostra storia, meno quel viandante che, francamente, non sappiamo in quale angolo del mondo si trovi in questo momento, spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni 191 XI In cui si rimane di stucco apprendendo qualche cosa di veramente nuovo riguardante un certo semaforo 205

"Mi sia consentito il dire" cercò di spiegare Battista "che la signora vi ha chiamato villano, nel senso che si dà etimologicamente a questa parola... Villano, cioè uomo di villa, ossia contadino..." "Io sono ignorante e so soltanto che villano vuol dire cafone, uomo rozzo e volgare, perciò andate a farvi friggere!" rispose il contadino irritato gettando via la zappa ed entrando nella sua casetta. "Per le trippe del diavolo!" esclamò Giovanna. "E adesso? Da chi si può sapere dove si trovi il governatore di Maracaibo?" "Ve lo dirò io" disse un signore alto dall'aspetto molto serio, vestito di scuro e con le scarpe impolverate. "Il conte di Trencabar in questo momento non si trova a Maracaibo, ma nella sua villa sul golfo, a circa otto tiri di schioppo da qui..." "Ne siete sicuro?" domandò Giovanna. "L'ho veduto mezz'ora fa nel suo giardino mentre faceva gli onori di casa al Viceré testé arrivato dal vicereame di Napoli e destinato a sostituire l'attuale Viceré di queste colonie di Sua Maestà Cristianissima." "Il Viceré? E come fate a sapere che si tratta dell'ex Viceré di Napoli?" "Ho avuto agio di incontrarlo più volte per via Toledo, nei pressi del largo Carità... Arrivederci, contessa..." "Come diavolo sapete che sono contessa?" esclamò Giovanna, meravigliata. "Vi ho incontrato più volte nei pressi del vostro castello di Ventimiglia" rispose il misterioso signore con semplicità. "Voi, dunque, viaggiate molto..." "Moltissimo..." "Ma non vedo né carrozze né cavalli, con voi..." "Infatti!" disse il signore. "Io viaggio a piedi..." E poiché i quattro lo fissavano stupiti: "Io" spiegò "sono quel viandante... Buona fortuna, signori..." Si toccò la falda del cappello con la punta delle dita e riprese la sua passeggiata, diretto verso la foresta, spintovi dal caso e da vaghezza di solitarie meditazioni. "Quel viandante!" esclamò Jolanda. "È proprio come me lo immaginavo... Un tipo molto romantico..." "Simpatico, anche... E molto comodo... Be', andiamo" disse Giovanna. "È già notte e vorrei raggiungere la villa del mio mortale nemico al più presto..."

Quel viandante che, spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni, si fosse inoltrato, la notte del 14 luglio 1667, in una di quelle malsane e buie viuzze che costituivano il centro di quella specie di villaggio fortificato che sorgeva nei pressi del porto sull'Isola della Tartaruga, a parte il fatto che sarebbe caduto in una buca profonda per lo meno un metro e mezzo e si sarebbe rotto una gamba, avrebbe potuto ascoltare, fra un'imprecazione e l'altra, un gran rumore composto da tintinnii di bicchieri cozzanti fra loro, acciottolii di stoviglie, suoni, canti e sonore bestemmie, proveniente dall'interno di una taverna sulla cui porta cigolava un'insegna di ferro con la scritta abbastanza esplicativa di Osteria dell'Allegro Pirata. Si trattava di un folto gruppo di filibustieri, schiumatori di tutti i mari del Sud, da quello delle Antille al Mar dei Caraibi, che festeggiavano, in maniera non troppo discreta, a dire la verità, la loro prossima partenza per la conquista della città di Maracaibo. Uno di essi, un tipo gigantesco con un uncino di ferro al posto della mano destra, una gamba di legno ed una benda nera sull'occhio sinistro (per questa ragione i suoi amici lo chiamavano con molto scarsa delicatezza il Pirata Meno Un Quarto), stava gridando ad un gruppo di belle ragazze creole che danzavano al suono di una stonata chitarra e di un non meno stonato violino: "Forza, ragazze! Un altro balletto prima che si parta!" Intervenne, balbettando leggermente, un pirata che, dai filetti d'oro che portava sul braccio e dal cappello carico di galloni, si comprendeva che doveva ricoprire qualche grado più importante degli altri nella comunità: "No, adesso basta, ragazzi... Sta per arrivare il Corsaro Nero... L'ho visto poco fa che scendeva dalla sua nave..." "E di che umore è?" domandò il Pirata Meno Un Quarto, un po'intimidito da quell'avviso. "Eh, nostromo Nicolino, di che umore è? Peggio degli altri giorni?" "Di che umore vuoi che sia il Corsaro Nero?" rispose il nostromo Nicolino, stringendosi nelle spalle."Nero... Da quando quel maledetto conte di Trencabar, il governatore di Maracaibo, gli ha ammazzato i due fratelli, il Corsaro Rosso e il Corsaro Verde, nessuno lo ha più visto allegro..." Un pirata con la testa ricoperta da una mezza calotta d'argento che gli serviva a sostituire quel pezzo di cranio che gli era volato via per un colpo di sciabola e che i suoi colleghi, incuranti di ricordargli la sua disgrazia, chiamavano con poca generosità il Pirata Col Coperchio domandò al nostromo Nicolino: "E come sono morti questi due fratelli del Corsaro Nero?" "Impiccati ad un quadrivio di Maracaibo" rispose il nostromo Nicolino, tristamente."E quel maledetto Trencabar li ha lasciati appesi lì per un anno!" "Tanto tempo?" domandò stupito il Pirata Meno Un Quarto. "Eh, capirete," rispose il nostromo Nicolino "uno tutto vestito di verde, l'altro di rosso... Li adoperava come semaforo per regolare il traffico." Un pirata il cui volto era solcato da una profonda cicatrice che non contribuiva certamente a rendere più attraente il suo volto già abbastanza brutto per conto suo e che i suoi amici, sempre con quella squisita gentilezza che li distingueva, chiamavano umoristicamente Catenaccio, che in gergo piratesco sta appunto ad indicare una gran cicatrice di ferita che un uomo abbia sul viso di traverso, come il catenaccio di una porta, si affacciò dall'esterno spaventando a morte le ragazze creole e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: "Il Corsaro Nero!" Il Corsaro Nero fece il suo ingresso nella taverna dell'Allegro Pirata, trascinando sul pavimento la punta del fodero della sua lunga spada. Era pallidissimo e vestito, naturalmente, tutto di nero dalle piume del largo cappello di feltro agli stivaloni e ai guanti da moschettiere. Soltanto i preziosi merletti che circondavano il suo collo e i polsi erano bianchi, il che, però, non era sufficiente a rendere meno funereo il suo abbigliamento. Egli si fermò un istante sulla soglia della sala fumosa scrutando con i suoi occhi d'aquila il volto abbronzato dei filibustieri. Poi montò su uno sgabello e, nel silenzio generale, prese ad arringare i pirati. "Signori della Filibusta," disse"salute a voi! Mi dispiace di disturbare il vostro trattenimento, ma fra pochi istanti ci dovremo imbarcare sulla Tonante e far rotta verso Maracaibo che metteremo a ferro e fuoco..." Tacque un istante girando lo sguardo d'aquila sui volti dei filibustieri, quindi concluse brevemente: "Se qualcuno non si sentisse il coraggio di seguirmi in questa impresa disperata, è ancora in tempo per ritirarsi..." Poiché nessuno dei pirati rispondeva, il Pirata Meno Un Quarto credette d'interpretare il pensiero dei suoi compagni, dichiarando: "Signor Corsaro Nero, veramente credo che nessuno di noi abbia intenzione di ritirarsi..." "Ne sono lieto, signore" disse il Corsaro Nero, gravemente. "Con quella faccia da funerale?" non poté fare a meno di sussurrare al suo vicino il Pirata Col Coperchio. Il Corsaro Nero, il quale non soltanto aveva l'occhio d'aquila, ma anche l'allenatissimo orecchio della volpe, lo sentì e rispose mestamente: "Ho fatto voto di non sorridere finché non avrò vendicato i miei fratelli... Per condurre a termine questa impresa ho abbandonato il mio castello in Liguria, i miei possedimenti in Savoia e mia figlia Jolanda che ho affidato a mia nonna Giovanna. Chissà se potrò tornare a rivederle, un giorno..." "Tornerete, signor conte, tornerete!" esclamò il nostromo Nicolino, commosso dal mesto accento del Corsaro Nero."Sono certo che tornerete!" "Come fate ad affermarlo con tanta sicurezza?" gli domandò il Corsaro Nero. "Perché siete conte e i conti, si sa, finiscono sempre col tornare..." "Del resto," disse il Corsaro Nero" anche se non dovessi tornare, non importa... Mia nonna Giovanna è abbastanza energica per seguitare a governare una contea, anche da sola..." "Per le trippe del diavolo!" risuonò in quel punto una voce baritonale proveniente dall'esterno. "Come vi permettete di sbarrarmi il passo, marrano?" "Non si può passare!" rispose la voce del pirata Catenaccio. "Il Corsaro Nero sta parlando ai suoi uomini... Vieni a darmi una mano, Pirata Col Coperchio!" gridò quindi il filibustiere cacciando la testa nella taverna e chiamando in aiuto il suo matelot che corse subito fuori. "Lasciatemi passare se non volete che vi faccia assaggiare la punta della mia spada!" tuonò ancora la voce baritonale. "Veramente" schernì la voce ironica del Pirata Col Coperchio" a quest'ora non abbiamo più appetito, quindi non vogliamo assaggiare niente..." "E allora, largo... E toglietevi il cappello, quando parlate con una signora!" "Ma questa è la voce di mia nonna!" esclamò il Corsaro Nero, stupito. Intanto, nella strada il Pirata Col Coperchio stava discutendo con una vecchia signora dall'aspetto volitivo, vestita alla moschettiera, con la spada al fianco, accanto alla quale era un tipo in livrea che portava due valigie. Era con lei anche una graziosa fanciulla dal viso dolcissimo. "Ma questo non è un cappello!" stava protestando furioso il Pirata Col Coperchio. Interloquì il tipo dall'aspetto di cameriere. "Mi sia consentito il dire, signora contessa," disse "che effettivamente quello non è un cappello... È una calotta d'argento..." "E perché ve ne andate in giro con una calotta d'argento in testa?" esclamò la vecchia irritata. "Siete un pazzo, forse?" "Durante un combattimento ho avuto il capo scoperchiato da un colpo di sciabola" rispose fieramente il Pirata Col Coperchio. "E allora mettetevi il cappello perché la vostra calotta è sporca! Non sapete che l'argenteria va lucidata tutti i giorni? Vieni, Jolanda... Andiamo, Battista..." E senza più curarsi dei due pirati abbrutiti, l'energica vecchietta seguita dai suol compagni entrò nella taverna sulla cui soglia si incontrò con il Corsaro Nero che esclamò nel vederla: "È proprio lei! Mia nonna Giovanna!" E corse incontro alla nonna, abbracciandola affettuosamente. "Nipote mio!" esclamò Giovanna, commossa. Il Corsaro Nero alzò gli occhi e vide la fanciulla che era entrata con la nonna. "C'è anche Jolanda!" esclamò. La fanciulla corse ad abbracciare a sua volta il Corsaro Nero. "Papà!" mormorò con affetto. "Sono molto lieto di vedervi," disse il Corsaro Nero con una espressione cupa che non lasciava scorgere affatto la sua allegria "ma..." Si staccò dalla figlia, rivolgendosi alla vecchia: "Come diavolo vi è saltato in mente di venire qui, alla Tortue?" "Abbiamo approfittato di uno sciabecco genovese che veniva da queste parti," rispose la nonna "ed eccoci qui..." "Ma perché siete venute?" "E volevi che ti lasciassi solo?" proruppe la vecchia. "Tu, il mio unico nipote? E senza una persona accanto che abbia cura di te..." "Veramente" disse il Corsaro Nero "questo non è un posto per donne." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, si rivolse alle quattro creole che avevano smesso di ballare e si erano affollate con gli altri intorno al gruppo composto dal Corsaro Nero e dai suoi familiari: "Avete capito voi?" disse in tono perentorio. "Questo non è un posto per donne... Perciò, fuori di qui!" "Ma," tentò di obiettare ancora il Corsaro Nero "anche voi e Jolanda siete donne..." "Io sono tua nonna" protestò Giovanna. "E io sono tua figlia!" esclamò Jolanda, fieramente. "Quindi abbiamo il dovere di starti accanto anche nei pericoli..." "Che non debbono essere pochi a voler giudicare dalle facce patibolari che ti circondano!" concluse la nonna, girando lo sguardo sui volti dei pirati. I filibustieri, lusingati di essere stati chiamati "facce patibolari" scoppiarono in una grande risata. "C'è poco da ridere!" esclamò la nonna impermalita. "Avete tutti delle facce che fanno spavento..." "Ma sono i migliori pirati del Mar delle Antille!" esclamò il Corsaro Nero. "Migliori, in che senso?" domandò la nonna con diffidenza. "Nel senso che sono tutti Fratelli della Costa..." "Tutti fratelli? Che brutta famiglia!" esclamò Giovanna, facendo una smorfia. "Questi signori" continuò il Corsaro Nero indicando quattro brutti ceffi dalla cui espressione si capiva che, se avessero incontrato per la strada quel viandante di cui si parlava poco fa, lo avrebbero lasciato in mutande "da soli hanno conquistato il Panama..." "Bella prodezza rubare un cappello di paglia!" esclamò la nonna, con una smorfia di disprezzo. "Peuh!" "E questo signore qui," proseguì il Corsaro Nero indicando il Pirata Col Coperchio" aiutato solo dal suo matelot, si è avvicinato di nottetempo ad una caravella spagnola e, a colpi d'ascia, le ha praticato un buco nella fiancata facendola affondare..." "Peuh!" esclamò Giovanna, con disprezzo. "In fondo cosa ha fatto? Ha inventato la caravella col buco..." "E che dire del signor Mendoza," disse il Corsaro Nero senza lasciarsi smontare, indicando il Pirata Meno Un Quarto" che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. "E lui," così dicendo il Corsaro Nero indicava il nostromo Nicolino "che in una sola giornata nel "E che dire del signor Mendoza, che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. suo paese ha tagliato mille teste con il suo coltello, tanto che lo hanno soprannominato il Terrore di Pozzuoli?" "Bella roba!" esclamò Giovanna."No, mi dispiace tanto, ma tu questa gente non puoi assolutamente assumerla..." La dichiarazione di Giovanna, che in fondo era la nonna del loro comandante, destò una grande sensazione fra i filibustieri che si guardarono fra loro interdetti. Il Corsaro Nero intervenne: «Come?" domandò."E perché?" «Perché da quello che ho potuto capire," dichiarò la vecchia "questi pirati sono una massa di bricconi... Non sono pirati per bene..." "E noi non ti lasceremo davvero imbarcare con una simile compagnia!" aggiunse Jolanda, con forza. "Ma, signora..." balbettò il nostromo Nicolino "se lei ci caccia via, noi che facciamo?" "Mi dispiace," rispose la nonna crollando il capo "ma siete tutti gente troppo poco raccomandabile..." "Ma io" protestò Nicolino "non ho mai fatto male ad una mosca!" "E le mille teste?" rimbeccò Giovanna. "Le mille teste che avete tagliato in una giornata?" "E... erano teste di pe... pesce, signora..." rispose Nicolino che quando era emozionato balbettava più che mai. "Al mio paese facevo il pescivendolo e non c'era nessuno nella mia città sve... svelto come me a pulire i merluzzi e le sardine..." "E perché allora vi chiamavano il Terrore di Pozzuoli?" inquisì Giovanna guardandolo con diffidenza. "Il Terrone di Pozzuoli, non il Terrore" corresse Nicolino. "Sapete, io sono di vicino Napoli e loro" e così dicendo indicò i pirati "sono tutti settentrionali... E così mi chiamano il Terrone... Il Corsaro Nero ha capito il Terrore e mi ha nominato nostromo... Se gli dicevo la verità perdevo il posto..." "Va bene..." sentenziò Giovanna "questo può restare... Ma gli altri?" Nicolino, visto che a lui era andata bene, volle intervenire a favore degli altri pirati. E con la voce querula che fanno i meridionali in genere quando vogliono ottenere qualche cosa: "Signora," disse "gli altri sono pirati vecchi, fra poco vanno in pensione! Li volete mandar via all'ultimo momento?" Giovanna rifletté un istante. "E va bene," disse "li posso anche tenere, ma ad un patto..." "Che patto?" domandò il Corsaro Nero. "Che assuma io il comando della nave..." Persino Jolanda che, si vedeva benissimo, aveva per la sua bisnonna una vera adorazione, questa non riuscì a mandarla giù. "Ma, nonnina" non poté fare a meno di esclamare. "Avete ottant'anni!" "Ti sbagli, mia cara nipotina" ribatté Giovanna, prontamente. "Ne ho appena venti." "Venti?" trasecolò il Corsaro Nero. "Certo" rispose Giovanna. "Sono nata il 29 febbraio 1587... Siamo nel 1667..." "Quindi avete ottant'anni" calcolò il Corsaro Nero. "No, perché essendo nata il 29 febbraio, cioè 2. Giovanna in anno bisestile, compio un anno ogni quattro" rispose Giovanna con logica strettamente femminile. "Già, ma non so se..." volle ancora obiettare il Corsaro Nero. Ma intervenne Jolanda. "Su, paparino, fai contenta la nonna" pregò, giungendo le piccole mani. "Quando tu non c'eri, al castello, se l'è sempre cavata, sai..." "Sì, questo è vero," annuì il Corsaro Nero, esitando "ma non so se ai miei uomini faccia piacere essere sottoposti a una donna che comanda..." Il Pirata Meno Un Quarto sogghignò. "Perché, mia moglie non comanda forse?" disse. "E la mia?" disse il Pirata Col Coperchio. "Comanda poco quella?" "Io ho sempre sognato di avere una nonna" sospirò il pirata Catenaccio, mentre una lagrima gli solcava il volto patibolare seguendo il percorso tracciato dalla cicatrice. "E voialtri, ragazzi?" "Anche noi!" esclamarono i pirati all'unisono. "Viva la nostra comandante?" gridò il Pirata Meno Un Quarto. "Viva Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" gli fecero eco gli altri pirati in coro, sventolando tutti in aria i loro cappelli, meno il Pirata Col Coperchio che non poteva, com'è facile immaginare, mettere a nudo il proprio cervello sventolando la calotta d'argento. "Viva!" "Allora, siamo tutti d'accordo" concluse il Corsaro Nero. E avvicinatosi alla infernale vecchietta: "Nonna," le annunciò con voce sonora "vi cedo il comando della mia nave..." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, respirò con forza. Quindi, sguainata la lunga spada che le pendeva al fianco e levandone la punta verso il cielo, gridò minacciosamente: "Ed ora a noi due, conte di Trencabar, governatore di Maracaibo! A noi due, assassino dei miei nipoti! A noi due!" Dall'alto del ballatoio che attraverso una scala di legno conduceva al piano superiore si affacciò un bambino, il figlio del bettoliere: "Dice così mamma" disse "che per favore quando dice: 'A noi due!' lo dica un po' più piano... Su, c'è un malato!"

Dopo una marcia estenuante attraverso la savana durante la quale il nostromo Nicolino, avendo voluto catturare dei pesciolini non più lunghi di una mano nelle acque dell'Orenoco, ci mancò poco che venisse mangiato da loro perché si trattava dei terribili piraja, detti anche pesci denti e per sfuggire a quel rischio andava a finire fra le mascelle di un mostruoso caimano che si mise a piangere lacrime di coccodrillo non perché fosse riuscito a fare del nostromo il suo pasto, ma perché non ci era riuscito; dopo essere stato catturato dai tentacoli vischiosi di una gigantesca drosofilla, pianta carnivora la quale per sua fortuna era l'unico esemplo al mondo di drosofilla vegetariana; dopo essere rimasto impigliato nella rete appiccicosa di un enorme migale, uno spaventevole ragno che non accontentandosi degli uccellini che riusciva ad accalappiare aveva pensato che Nicolino rappresentasse un pasto un po' più sostanzioso; dopo essere stato investito in pieno dalla pestilenziale scarica di una specie di puzzola bianca e nera che aveva creduto di poter acchiappare e che invece gli era sgusciata di mano lasciando i suoi Dopo essere rimasto impigliato nella rete appiccicosa di un enorme migale... vestiti impregnati di un odore così disgustoso che gli aveva impedito di dormire per cinque giorni ed aver rischiato, quando finalmente era riuscito ad addormentarsi, di non svegliarsi più perché si era messo a dormire all'ombra di un menzanillo; dopo aver emesso dalla bocca per una giornata intera bolle di sapone per aver mangiato un frutto della sapindus saponaria i cui frutti sono tanto ricchi di saponina da poter sostituire il sapone; dopo tutte queste avventure che facevano continuamente maledire a Nicolino il momento in cui aveva lasciato credere al Corsaro Nero che il suo nome di battaglia era il Terrore di Pozzuoli e non il Terrone di Pozzuoli, come lo chiamavano in realtà i suol compagni pirati, i quattro giunsero finalmente in vista del mare. "Oh, finalmente, ci siamo!" esclamò Giovanna fermandosi in cima ad una rupe e respirando con voluttà l'aspra brezza impregnata di salsedine. "E là, alla fonda, c'è un vascello..." "Mi sia consentito il dire che si tratta effettivamente di un bel vascello!" esclamò Battista. "Nonostante il suo color nero e la stranezza delle sue vele rosse..." Giovanna estrasse dalla sua borsa il cannocchiale da marina che allungò. Lo portò all'occhio e guardò in direzione del vascello. "Batte bandiera olandese," disse "quindi è nemico degli spagnoli..." Rifletté un istante. "Se potessimo farci prendere a bordo e sbarcare a Maracaibo? In fondo ho voglia di rivedere mio nipote..." "Anche io ho voglia di rivedere papà" disse Jolanda. "Si può provare, signora contessa" disse Battista. "Permettete che alzi la voce, perdendo per un istante un po' della mia abituale compostezza?" "Alzatela pure, Battista" gli concesse Giovanna. Battista facendo portavoce con le mani chiamò rivolto verso il vascello: "Ehi... della nave!" Tese l'orecchio, poi si rivolse a Giovanna. "Non risponde nessuno..." disse. "Riproviamo," disse Giovanna "tutti insieme..." I quattro portarono alla bocca le mani forgiate ad imbuto e gridarono rivolti verso il vascello: "Ehi, della nave!" Una breve pausa di attesa, poi: "Si direbbe che la nave sia deserta" disse Jolanda. Giovanna guardò ancora con il suo cannocchiale da marina. "Infatti," disse dopo un po' "le vele sono ammainate e sul ponte non c'è nessuno... Possibile che la nave sia abbandonata?" Fece rientrare il cannocchiale in se stesso con un colpo secco e lo ricollocò nella sua borsa, mormorando: "Una nave deserta alla deriva... E se ce ne impadronissimo?" "Mi sia consentito il dire" obiettò Battista "che questa mancanza di uomini sulla nave mi insospettisce... Potrebbe trattarsi di un tranello. Aspettiamo la notte e abbordiamo la nave di sorpresa... Così vedremo se effettivamente non c'è nessuno."

Due galeoni a quattro alberi, due quadri e due latini, armati di una trentina di potenti cannoni e di altrettanti più piccoli, veleggiavano nei pressi della costa. Uno spilungone vestito da ufficiale spagnolo, con un immenso spadone che gli intralciava i movimenti delle gambe per quanto era lungo, stava scrutando l'orizzonte con un cannocchiale da marina. Venne raggiunto, accanto alla murata della nave presso la quale si trovava, da un uomo sui cinquant'anni, dai lunghi capelli brizzolati e l'aspetto di chi sia abituato al comando. Lo seguiva un giovane molto bello dall'aspetto fiero, che in un certo qual modo gli rassomigliava moltissimo. Si capiva subito che doveva trattarsi di padre e figlio. "Capitano Squacqueras" disse il primo, rivolto allo spilungone. "Vedete nulla?" "Certo, egregio governatore" rispose il capitano Squacqueras. "Un branco di pesci volanti..." "E la trovate una cosa importante?" domandò colui che il capitano aveva chiamato governatore e che altri non era se non il conte di Trencabar. "Naturale" rispose il capitano con volubilità. "Fate che volino direttamente nella padella del cuoco di bordo e vedrete che importanza hanno..." Intervenne il giovane Trencabar. "Voi capitano" motteggiò sorridendo"pensate solo a mangiare..." "Certo," rispose il capitano Squacqueras, parlando sempre nella stessa maniera, "chi mangia si mantiene in forze, chi ha forza vuol dire che ha buona salute, 'salute' si dice a chi starnutisce, chi starnutisce vuol dire che ha il raffreddore, il raffreddore, se trascurato, può diventare spagnola, la spagnola è il femminile di spagnolo, lo spagnolo vince tutti i suoi nemici, ergo: chi mangia pesce, vince tutti i suoi nemici..." E, terminato con tale sillogismo di esporre il suo particolarissimo punto di vista sui pesci, gonfiò il torace respirando profondamente la profumata brezza che veniva dal mare. "E" motteggiò ancora il giovane gentiluomo "ne avete vinti molti di nemici?" "Peuh!" esclamò il capitano Squacqueras. "Non mi posso lamentare..." "Dunque, sarebbero tanti!" "No," puntualizzò il capitano "non mi posso lamentare perché, se mi lamentassi, potrebbero pensare di avermi fatto male e cantare vittoria... Il che non è mai avvenuto... È per questo che, sapendovi in difficoltà, Sua Maestà Cristianissima il Re di Spagna mi ha trasferito qui dal suo vicereame di Milano..." "E che cosa facevate nel vicereame di Milano?" domandò il vecchio conte."Eravate a capo della polizia?" "Della polizia ed eziandio della pulizia" rispose il capitano Squacqueras. "Infatti, oltre il corpo delle guardie, comandavo anche quello degli spazzini..." "Come mai queste due cariche insieme?" "Perché gli spazzini avevano l'incarico di spazzare via i corpi dei fuori legge che facevo fuori come capo della polizia..." "Ho sentito parlare delle vostre prodezze nel vicereame di Milano," disse il vecchio Trencabar "e per questo sono stato contento quando ho saputo che sareste venuto a Maracaibo... Desidero che siate a fianco di mio figlio Raul al quale ho intenzione di affidare l'incarico di purgare l'arcipelago dai pirati che lo infestano... Ma, ditemi... Avete mai combattuto in acqua?" "Come no?" si vantò il capitano. "Quando ero a Milano il Viceré aveva affidato alle mie cure tutto il suo bel Naviglio..." "Ma il vicereame di Milano non possiede una flotta" equivocò ingenuamente Raul. "Infatti" ammise il capitano. "E allora, che razza di naviglio vi ha affidato?" "Il fiume... il canale Naviglio che attraversa Milano era sotto la mia giurisdizione... Fu appunto sulle sue sponde che una volta affrontai tutti i bravi di Don Rodrigo..." "I bravi di Don Rodrigo!" esclamò il vecchio Trencabar ammirato. "Impossibile..." "È, possibilissimo, invece," ribatté il capitano con sicumera "perché i bravi di Don Rodrigo non erano bravi per niente... Soltanto il loro capo, il Griso, mi fece un po'di resistenza, ma lo uccisi con un colpo di spada alla spalla..." "Andiamo, capitano!" commentò il giovane Raul, scetticamente. "Un colpo di spada alla spalla non uccide..." "Infatti!" rispose tranquillamente il capitano. "Ma avendolo io trafitto con la mia infallibile spada, egli cadde in un lago di sangue... E siccome non sapeva nuotare, affogò! Comunque, per quanto riguarda la guerra in acqua potete stare tranquillo... Una volta, io con due uomini, ho preso un brigantino..." "Quand'è così," disse il vecchio Trencabar, facendo segno di avvicinarsi ad un sottufficiale che era lì accanto"posso andarmene tranquillo." E rivolto al sottufficiale: "Fate calare in mare la lancia... Desidero raggiungere l'altra nave e tornare a Maracaibo..." Il sottufficiale salutò e corse via. Il governatore si rivolse ancora al capitano. "Allora, arrivederci, capitano" gli disse con una leggera punta di commozione nella voce. "Vi affido mio figlio e conto su di voi..." Gli strinse la mano e abbracciato il giovane Raul si diresse rapidamente verso il barcarizzo per nascondere la sua commozione, mentre il capitano gli gridava dietro: "E fate bene a fidarvi! Da questo momento, per il Corsaro Nero sono cominciati i guai..." Infatti...

"Caro capitano," gli fece osservare Raul "per meritare una medaglia d'oro non basta aver portato a termine un incarico... Bisogna aver compiuto una azione eroica durante questo incarico..." "E io l'ho compiuta! Son stato attaccato da cinquanta bucanieri e li ho sconfitti!" "Davvero?" domandò il conte di Trencabar sarcasticamente. "E come va che nessuno dei soldati che son venuti con voi ha parlato di questa vostra audacissima impresa?" "Perché non li hanno visti..." rispose il capitano. "Ho dovuto fare tutto da solo!" "Possibile?" "Certo, io andavo avanti come sempre, quando fui attaccato e con la mia spada feci tanti di quei buchi nel corpo dei bucanieri che la luce vi passava attraverso e non si vedevano più..." "O non esistevano affatto!" disse Raul. "Capitano, accontentatevi di una medaglia d'argento!" "Medaglia d'argento, peuh! Almeno datemene una cinquantina..." "Una sola!" disse il vecchio Trencabar. "Però avrete anche una promozione... Da capitano sarete nominato maggiore..." "Dovreste farmi per lo meno colonnello... Perché maggiore lo sono di già..." "Questo non lo sapevamo" disse il conte di Trencabar. "E chi vi ci ha fatto?" "Mia madre... io sono il maggiore di otto fratelli..." "Non vale!" esclamò il governatore. "Quindi, tutt'al più posso farvi maggiore, ammesso che siate veramente capitano..." "C'è qualcuno che potrebbe dubitarne?" "Tutti!" Il capitano Squacqueras si eresse fieramente poggiando la mano sull'elsa della spada. "Il primo che oserà dirmelo in faccia," minacciò "riceverà da me una tale serie di colpi di spada da poter essere utilizzato solamente come colabrodo..." "Bum!" fece Trencabar. "Anche se siete il governatore di Maracaibo," esclamò il capitano "vi proibisco di fare bum..." "Io faccio bum quanto mi pare e piace!" rispose il governatore."Ecco, lo rifaccio: Bum!" "Vediamo se siete capace di farlo tre volte di seguito" disse il capitano, schiumante di rabbia. "Bum, bum, bum!" "Sapete cosa vi dico?" disse il capitano, tornando calmo. "Che avete un bel fegato! Bravo! Io rispetto il coraggio!" In quella si sentirono dei colpi formidabili provenienti dalla cabina in cui erano stati rinchiusi i prigionieri. "Be'," fece il capitano, credendo che fosse ancora il governatore che faceva bum con la bocca, "ora state esagerando... Un bum ogni tanto, va bene, ma mi sembra che stiate facendo un bombardamento... Ve l'ho già detto che siete coraggioso!" "Ma adesso," disse Trencabar "non sono io..." "E allora, che sono questi colpi?" domandò il capitano. Il governatore indicò la cabina e la porticina di un magazzino in cui venivano tenute le polveri. "I colpi vengono di lì..." disse. "Ma, forse saranno le macchine" disse Raul, imbarazzato. 14a. Giovanna "Raul," lo riprese severamente il governatore "la caldaia a vapore non è stata ancora inventata... Qui non ci vedo chiaro... Capitano, andate a chiamare i soldati..." "Subito" disse il capitano Squacqueras. Corse verso una lancia di salvataggio e cercò di issarvisi sopra. "Dove andate?" gli gridò dietro il governatore. "A Maracaibo a chiamare i soldati!" "I soldati sono sulla nave, imbecille! E fateli schierare qui, davanti a questa porta e a quella della santabarbara."

Il Corsaro Nero, Francesco l'Olonese, il terribile pirata che, dopo essere stato per tanto tempo sullo stomaco agli spagnoli, fu digerito benissimo dagli indiani cannibali dell'estuario del fiume San Giovanni, Bartolomeo il Portoghese, detto anche il Pirata Che Non Sapeva Nuotare, il famoso capitano Morgan, espugnatore di Panama, il capitano Kid, il quale ha lasciato in giro tanti tesori che anche oggi, quando non piove, la gente combina delle gite per andarli a ricercare, e il feroce Barbanera, accanito avversario del Doppio Pescatore di Chiaravalle, erano seduti intorno ad un tavolo, sotto una tenda che sorgeva nel folto della foresta vergine. Dopo la terribile sconfitta di Maracaibo, i pirati si erano rifugiati nella jungla selvaggia per ritemprare le forze e per decidere sul da farsi. Per questo avevano convocato il Gran Consiglio al completo della Confraternita. "Fratelli della Costa," stava dicendo Morgan "siamo qui riuniti per prendere delle decisioni molto importanti, dopo la sanguinosa sconfitta che i nostri compagni hanno subito sotto le mura di Maracaibo... Per la prima volta nella storia della Filibusta, i nostri uomini sono stati respinti dagli spagnoli e costretti a ripiegare in questa foresta nella maniera più vergognosa." Il capitano Morgan fece una pausa per tracannare d'un sol fiato un'intera pinta di rhum, si asciugò la bocca col dorso della mano e concluse: "Perciò io, qui chiamato come esperto nella conquista delle città fortificate, penso ci sia una cosa sola da fare per riguadagnare le posizioni perdute..." "Mandare nuovamente i nostri uomini all'assalto delle mura?" domandò il Corsaro Nero. "No, mandare via vostra nonna, semplicemente!" "Ma non si può!" esclamò il Corsaro Nero. Intervenne il feroce Barbanera. "Volete dire che non avete il coraggio di staccarvi da vostra nonna?" "Alla vostra età! Vergogna!" esclamarono in coro il capitano Kid, Francesco l'Olonese e il Pirata Che Non Sapeva Nuotare. "No, voglio dire semplicemente che non se ne andrà... Si è messa in testa di aiutarmi e lo farà anche mio malgrado." "Ma non nostro malgrado, Fratelli della Filibusta... Perciò nella mia qualità di capo della nostra Confraternita esprimo la mia opinione che rispecchia anche quella della maggioranza: Giovanna, la nonna del Corsaro Nero deve essere allontanata al più presto e spedita all'isola della Tartaruga..." "Non ci riuscirete mai... Voi non conoscete mia nonna!" esclamò il Corsaro Nero, lasciandosi cadere sul suo sgabello. "Ella mi considera ancora come un ragazzo e non vuol lasciarmi solo..." Quasi a voler confermare la verità delle sue asserzioni, arrivò Giovanna trascinandosi dietro il suo spadone con rumore di ferraglie. "Cicci!" gridò. "Dov'è il mio Cicci?" "È qui il suo Cicci!" rispose Morgan, ironicamente. "Oh, meno male!" esclamò Giovanna in tono sollevato. "Avevo paura che si fosse perduto nel bosco!" Barbanera, il feroce Olonese e il capitano Kid si misero a canzonare il Corsaro Nero. "Oh, poverino!" sghignazzò l'Olonese. "Può perdersi nel bosco come Puccettino!" ghignò Barbanera. "Come Cappuccetto Rosso" incalzò il capitano Kid. "Certo che poteva perdersi nel bosco il mio Cicci!" ribatté Giovanna, risentita. "Senti, nonna," protestò il Corsaro Nero, irritato "ti prego di non chiamarmi più Cicci... Lo sai che mi secca..." "E perché?" domandò Giovanna. "Ti ci ho sempre chiamato da quando eri piccolo così...!" "Sì, ma adesso sono grande, sono un corsaro e per di più Nero, che è un colore serio, quindi sono un corsaro serio..." "Uh, è nero, lui poverino!" fece la nonna tentando di fargli una carezza. Il Corsaro Nero si ribellò e si alzò in piedi di scatto esclamando: "Oh, nonna, basta! Io e i miei Fratelli abbiamo deciso..." "Quali fratelli? Tu sei figlio unico, adesso..." "I Fratelli della Costa..." "Ah, bene... E che cosa avete deciso tu e i tuoi fratellini?" "Che tu e Jolanda dovete tornare immediatamente all'isola della Tartaruga..." sbuffò il Corsaro Nero. "E io dovrei lasciarti qui solo in mezzo a questa brutta gente? Giammai!" "Ma, signora!" protestò Morgan. "Noi dobbiamo combattere!" "E io combatterò con voi!" "Signora mia," cercò di spiegarle Morgan "per vivere la dura vita dei pirati ci vuole il fisico... Voi non siete abbastanza robusta per condurre questa esistenza..." "Volete provare la vostra forza con me?" proruppe Giovanna. "Avanti, giovanotto, fatevi sotto..." Così dicendo Giovanna sedette su uno sgabello e appoggiò il gomito del suo braccio destro sul piano del tavolo, disponendosi come per una sfida a braccio di ferro. "Ma è ridicolo!" protestò Morgan. "Vi dico di provare!" insistette Giovanna. "Tanto per darvi soddisfazione" acconsentì Morgan. Sedette davanti a Giovanna e afferrò la mano della vecchia con la sua. "Pronti?" domandò. "Pronti!" rispose Giovanna, tranquillamente. Così dicendo la vecchia, con una energia che nessuno avrebbe potuto mai sospettare in così fragile corpo, e nonostante la strenua resistenza di Morgan, riuscì a far toccare al dorso della mano dell'erculeo corsaro il piano del tavolo. "Corpo di mille squali!" esclamò Morgan stupito. "L'ha buttato giù" esclamò Barbanera, con ammirazione. "Come avete fatto?" domandò il capitano Kid. "Niente di straordinario" rispose modestamente la vecchia. "Avete mai sentito parlare di quel famoso giocatore chiamato 'l'uomo dal braccio d'oro'? Ebbene, io sono 'la donna', anzi 'la nonna dal braccio di ferro'... così mi chiamano in tutta la contea..." "Lo ammetto," disse il capitano Kid "siete forte... Ma non potete ugualmente far parte della Filibusta... Non sapete nemmeno tirar di spada..." Con un rapido gesto Giovanna portò la mano all'elsa del suo spadone che sguainò, e cadde correttamente in guardia, come se si fosse trovata sulla pedana di una sala d'armi. "In guardia, giovanotto" disse con semplicità. "Ma... Cosa volete fare?" Giovanna lo minacciò con la punta della sua spada, mentre il capitano Kid indietreggiava. "Volete mettervi in guardia, sì o no?" insistette. "O preferite che del vostro ventre faccia un fodero per la mia spada?" Il capitano Kid per difendersi da Giovanna che lo incalzava fu costretto a trarre dal fodero la spada e a scostare la lama della nonna del Corsaro Nero, iniziando così una schermaglia con la vecchia. "Ehi!" disse. "Andateci piano con quell'arnese... Non è un ferro per lavorare a maglia..." Giovanna rispose saggiando con la sua lama quella dell'avversario. "Io la maglia la faccio, ma soltanto con il filo di acciaio... Infatti non mi fido dei giachi di maglia che vendono gli armaioli di Milano... Attenzione! Para questo colpo segreto, se puoi!" Così dicendo lanciò qualche cosa alle spalle del capitano Kid. Si sentì come un tintinnio di monete. Il capitano Kid si voltò istintivamente. "Oh!" esclamò "mi sono caduti i soldi..." Così dicendo si voltò e si chinò per raccogliere delle monete. Giovanna ne approfittò per andare fulmineamente a fondo, bucando con la punta della sua spada le terga dell'avversario. "E voilà!" disse Giovanna. Il capitano Kid si portò le mani alla parte colpita, gridando: "Ah! Toccato! Toccatissimol" Mentre il capitano Kid si stropicciava energicamente la parte lesa col palmo della mano e Giovanna si appoggiava trionfante all'elsa del suo spadone, il Corsaro Nero le si avvicinò domandandole: "Ma, nonna, come avete fatto? Il capitano Kid è la lama più fine di tutta la Filibusta!" "Gli ho lanciato, come puoi vedere, un cartoccetto pieno di soldi... L'avversario, abitualmente, credendo che siano caduti a lui, si volta per raccoglierli ed io... Là! Questo colpo infatti si chiama il colpo del cartoccetto..." "Ma alla pistola, cara vecchietta, non sareste capace di cavarvela con la vostra vista!" insinuò il feroce Barbanera. "Davvero?" esclamò Giovanna. "Sareste capace voi di colpire una moneta al volo?"

"Queste antiche armi incaiche sono tutte d'oro e non servono assolutamente a nulla..." "Si potrebbero vendere e comprare delle armi vere, di ferro" propose Nicolino. "Già e a chi le vendi nella foresta vergine?" "Come se questo non bastasse," sospirò Jolanda "in questi quattro giorni di assedio abbiamo consumato tutti i viveri che erano nel tempio..." "E io" disse Nicolino "ho una fame da lupo... Oh, Dio, dov'è?" "Che cosa?" gli domandò Giovanna. "Il lupo..." "Lo avete nominato voi, imbecille!" "Ah, già!" esclamò Nicolino, rassicurato. Giovanna si rivolse al gran sacerdote. "È possibile" gli domandò "che siano finiti tutti i viveri qua dentro?" Il gran sacerdote incas, seduto in terra davanti ad un vaso di coccio, stava aspirando qualcosa per mezzo di una lunga canna. Egli sollevò la testa e soffiò fuori del fumo, rispondendo: "Finito tutto, vecchia di ferro... Ma a me non importa nulla..." E avvicinata una delle estremità della cannuccia al vaso di coccio, ne aspirò con voluttà una boccata di fumo. "Ehi, di'un po', gran sacerdote... Che stai facendo con quella cannuccia? Qualche magia?" gli domandò Giovanna, guardando le sue manovre con diffidenza. Il gran sacerdote indicò il vaso fumante. "No," rispose "ho messo qua dentro delle foglie secche e ne respiro il fumo... Ciò toglie l'appetito..." "E come si chiama questa pianta?" domandò Nicolino incuriosito. "Tabacco" rispose il gran sacerdote. "Se è vero quello che afferma quest'uomo," osservò il maggiordomo Battista "a portar questa pianta in Europa ci sarebbe da far fortuna..." "Macché, non attaccherebbe!" esclamò Giovanna. "Ve lo immaginate che cosa accadrebbe se le persone andassero in giro gettando fumo dalla bocca e dal naso come i draghi?" Nicolino si avvicinò al gran sacerdote. "Sentite, io adesso, siccome non ne posso più dalla fame, ci provo... Come si fa?" "Ecco, con questa cannuccia," rispose il gran sacerdote, porgendogliela, "aspira il fumo e gettalo fuori... Prova anche tu, vecchia di ferro..." Incuriosita, anche Giovanna si avvicinò e prese una cannuccia in mano. Gli altri fecero altrettanto. Nicolino provò ad aspirare il fumo, ma questo gli andò per traverso facendolo tossire maledettamente. "Aiuto!" esclamò con voce strozzata. "Soffoco!" Giovanna provò anche lei, riuscendo a fumare benissimo. "Ma no, mica male, invece" disse. "Riprovate e provate anche voi... Tu, no!" disse rivolta a Jolanda che aveva preso anche lei una cannuccia. "Non sta bene che una ragazza della tua età fumi..." "Mi sia consentito il dire che il fumo di questa erba distende i nervi" disse Battista "e placa effettivamente i morsi della fame..." "Visto che l'arrosto non c'è, bisognerà accontentarsi del fumo" disse filosoficamente Nicolino riprovando a fumare e riuscendo a tirare due o tre boccate. Un po'storditi dal fumo, i quattro non si avvidero che il gran sacerdote, la sacerdotessa e gli altri incas stavano approfittando della loro disattenzione per avvicinarsi alla porta segreta, far girare il sasso sui suoi invisibili cardini e uscire silenziosamente, mentre la porta di pietra si richiudeva dietro di loro. Sullo spiazzo del piccolo accampamento che i soldati spagnoli avevano improvvisato nei pressi del tempio per tenerne d'occhio la porta d'ingresso, il capitano Squacqueras, che aveva trovato delle grosse palle che sembravano di corno fra le rovine della città incas, si stava esercitando con Raul al gioco delle bocce. Lanciata la prima, aveva impugnato una palla più grande e aveva tentato di farla accostare al boccino, riuscendoci abbastanza bene, quando il boccino si aprì, tirò fuori quattro zampette e un musetto appuntito e si allontanò dalla boccia, tornando ad appallottolarsi poco lontano. "Eh, no!" esclamò il capitano Squacqueras, rivolto al giovane Raul."Qui si bara!" Un po'storditi dal fumo, i quattro non si avvidero... Si rese improvvisamente conto dell'enormità della faccenda e sbarrò gli occhi. "Ma quel boccino aveva la testa e le zampe," balbettò "e pure la coda." "Per la semplice ragione che non è un boccino, ma un animale" gli spiegò Raul ridendo. "E non mi dicevate nulla! Avrebbe potuto mordermi!" esclamò il capitano diventando pallido. "Si tratta soltanto di un innocuo armadillo" lo rassicurò Raul. "Si appallottola così rinchiudendosi nel proprio guscio semplicemente perché ha paura di voi." "Allora, siamo pari!" disse il capitano allontanandosi prudentemente dagli altri armadilli appallottolati che erano ammucchiati ai suoi piedi. In quella il sergente Manuel, con una mezza dozzina di soldati, si avvicinò spingendo davanti a sé il gran sacerdote degli incas e la sacerdotessa, mentre i soldati facevano altrettanto con gli altri incas. "Capitano!" chiamò. "Capitano!" "Che c'è?" domandò il capitano sobbalzando. "Abbiamo catturato questi nativi mentre sbucavano da un'apertura nascosta da quella specie di piramide. Un passaggio segreto, credo..." "Ah, sì? Ah, sì?" esclamò il capitano. "E dove conduce questo passaggio segreto?" domandò al gran sacerdote. "Nel tempio del dio dell'aria..." rispose il gran sacerdote. "Vogliamo provare ad entrare?" propose il sottufficiale. "Non credo che sia prudente," obiettò il capitano "dato che conduce al tempio del dio dell'aria, niente di più naturale che vi siano delle correnti..." "Potremmo penetrare nel tempio e prendere di sorpresa gli assediati" propose il sergente Manuel. "Io penso che sia meglio aspettare questa notte" opinò il giovane Raul... "Ecco, bravo!" approvò il capitano Squacqueras. "Aspettiamo la notte... La notte porta consiglio e il consiglio potrebbe essere quello che è meglio lasciare perdere e andarcene via di qui... Intanto, tenete d'occhio i prigionieri che non scappino... Da queste parti, la tentazione di scappare è forte, fortissima, direi quasi che è contagiosa... Andate e, in quanto a voi..." Si rivolse agli incas: "Machilei, bambu, tanchini, paraguai, sakanali" disse. "Cosa avete detto?" "Non lo so" rispose il capitano. "Quando parlo incaico non mi capisco..."

"Io ho portato addosso fino a cento chili d'oro senza fatica!" "Allora dovrete essere molto ricco!" disse il sergente Manuel. "Niente affatto!" rispose il capitano Squacqueras. "Vivo con il mio modesto stipendio di capitano..." "E quei cento chili d'oro?" "Erano le medaglie guadagnate in mille scaramucce contro il nemico!" rispose il capitano fieramente. "E com'è che non ce le avete più?" "Ho dovuto sbarazzarmene per non affogare..." "Dunque le avete gettate in mare?" "No, le ho portate al Monte... Ero talmente inguaiato che se non le avessi impegnate sarei affogato nei debiti..." Mentre i due parlavano, i soldati con delle pale avevano riempito rapidamente le botti che avevano prima drizzato con le bocche in alto. Il capitano Squacqueras guardò e domandò: "Allora, avete finito?" "Sì" disse uno dei soldati asciugandosi l'abbondante sudore con il dorso della mano. "Quando le avremo riportate sulla nave pensate che salperemo per la Spagna?" "Magari!" rispose il capitano. "Invece dobbiamo tornare a Maracaibo..." "E perché?" domandò il sergente Manuel. "Perché il governatore, che ha preso prigioniera Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, la vuole impiccare nel porto di Maracaibo per dare un esempio..." La testa del Corsaro Nero spuntò da dietro la porta del tempio, senza che nessuno degli spagnoli la vedesse. Egli aveva potuto così ascoltare il capitano il quale, dopo che i soldati ebbero ricoperto le botti con il loro coperchio, concluse: "Ma adesso scendiamo nei sotterranei per vedere se c'è rimasto qualcosa..." I soldati con il capitano e il sergente scesero nei sotterranei del tempio. Il Corsaro Nero e gli altri pirati entrarono. "Avete sentito" disse il pirata Catenaccio mentre una orribile smorfia di commozione rendeva ancora più orribile il suo volto sfregiato. "Vostra nonna è prigioniera sulla nave del governatore. Usciamo fuori e costringiamoli a dirci in quale punto della costa è rimasto ad attenderli..." "Non è necessario, signor Catenaccio," rispose il Corsaro Nero "ho un'idea... Venite... Saranno essi stessi che ci condurranno da mia nonna!"

"Andate a prelevare la vecchia nella sua tenda e fatela imbarcare a forza su una delle nostre navi..." "Loro due soli?" domandò il capitano Kid. "Avete ragione... Andate con loro e prendete con voi un drappello..." "Vado subito" disse il capitano Kid. Il capitano Kid uscì dalla tenda e poco dopo si sentì la sua voce che gridava degli ordini. Morgan si rivolse al Corsaro Nero che, scoraggiato, si era accasciato sul suo sgabello e non aveva più pronunciato una sola parola. Gli batté una mano su una spalla. "Non vi addolorate, caro conte," disse "dovete darmi retta... È l'unica cosa che ci sia da fare..." Il capitano Kid rientrò in fretta con un biglietto fra le dita. "Capitano Morgan" disse. "Che succede?" domandò Morgan. "Nella tenda della signora c'era soltanto questo biglietto appuntato al suo cuscino con una spilla..." "Date a me, signore!" esclamò il Corsaro Nero. Tolse il biglietto dalle mani del capitano Kid e lesse con voce commossa: "'Caro nipote, ho capito che non mi volete con voi, perciò ho deciso di fare da sola. Parto con Jolanda, il tuo nostromo Nicolino che mi si è affezionato e il mio maggiordomo. Un bacio dalla tua nonna Giovanna. Poscritto: Ricordati di mettere la maglia di lana'". Il Corsaro Nero lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, esclamando in tono addolorato. "Se ne è andata..." "Coraggio!" gli disse Morgan. "Il cuore mi dice che tornerà..." "Ma certo che torna!" esclamò il Corsaro Nero. "È questo il guaio!" 9. Giovanna

Fatto naufragare il vascello pirata a causa delle sue scarse conoscenze nautiche, la vecchia di ferro raggiunge la costa, viene catturata dagli "indios bravos"; quindi, eletta loro regina, ritrova il famoso tesoro degli incas e, degna nonna di una multicolore famiglia di corsari, affronta pericoli di ogni sorta, s'imbatte nei più strani personaggi, da "Quel viandante" caro ai romanzieri dell'800 all'Olandese Volante, inseguendo sempre il suo miraggio di vendetta. Ma non può impedire che la sua bisnipote Jolanda s'innamori di Raul, figlio del suo mortale nemico che poi non è così cattivo come vorrebbe far credere perché il Corsaro Verde e il Rosso erano... Erano che cosa? Ce lo rivela Vittorio Metz in una serie di trovate e di risvolti drammaticissimi che però hanno fatto ridere i padri nel 1935 ai tempi del Marc'Aurelio e del Bertoldo ed hanno fatto ridere i figli nel 1961 e nel 1962 ai tempi della TV. Vittorio Metz, giornalista, umorista, autore teatrale, sceneggiatore e regista cinematografico, ha profuso tutta la sua esperienza di scrittore comico in questo romanzo costruito secondo le più rigorose ricette dei libri d'avventure.

"Tu non pensi ad altro che a mangiare..." lo rimproverò Battista, disgustato. "Il guaio è che ci penso soltanto, ma non pranzo mai! Se almeno mi riuscisse di sognare un piatto di maccheroni... E un piatto di polpi affogati!" "I polpi affogati sono pesanti di sera" lo ammonì Giovanna, avvolgendosi nel suo mantello e distendendosi in terra per dormire. "Cercate di sognare una tazza di caffellatte... È molto più igienico." Quindi, rivolta a Jolanda: "Brava Jolanda... Sono fiera di te... Stai dimostrando di non aver paura di nulla... Sei degna figlia di tuo padre... Be', buonanotte..." Chiuse gli occhi e si mise a russare sonoramente. Battista e Nicolino imitarono il suo esempio. Jolanda passeggiò un po'su e giù, poi guardò verso il gruppo dei dormenti e verso la porta del tempio. Mormorò: "E invece ho paura, ma soltanto di non rivedere più Raul, e che noi saremo due innamorati di quelli che non potranno mai sposarsi, come Tristano e Isotta, come Paolo e Francesca, come quei due poveri giovani di Verona le cui famiglie erano nemiche... Sì, proprio come Giulietta e Romeo". Per sorvegliare meglio il tempio salì sopra una specie di pulpito che rassomigliava ad un balcone e appoggiò le candide braccia sulla balaustra. Frugò nella sua mente cercando di ricordare le parole di Giulietta nella scena del balcone. Aveva sentito la tragedia a Genova e ne era rimasta colpita. "Romeo, oh, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega il padre, abdica il nome tuo. Se non vuoi, giura che mi ami e io non sarò più Capuleti..." Cercò di ricordare ancora. "Ah... Rinuncia al tuo nome e al posto suo (che di me non fa parte), abbimi tutta..." esclamò. "Io vi prendo in parola" rispose una chiara voce maschile ai piedi del pulpito. "Datemi solo amore e sono di nuovo battezzato e d'ora in poi non più Romeo mi chiamo!" "Oh, Dio!" esclamò Giulietta. "Chi è?" "Il mio nome ti è odioso..." sussurrò la voce. "Raul?" esclamò Jolanda, scendendo dal pulpito e avvicinandosi al giovane (poiché era proprio lui). "Ma come siete arrivato fin qui? E perché?" "Vi risponderò proprio come Romeo risponde a Giulietta, visto che trovate la nostra situazione così simile alla loro" rispose Raul. E declamò: "'Ho superato le mura con ali d'amor leggere. Oh, limiti di pietra non potranno arrestar l'amor. Quello che amor può far, amor lo tenta...'" "Questo che mi dite è molto carino, ma non spiega nulla, Raul" disse giudiziosamente Jolanda. "Come siete entrato?" Raul indicò la pietra scostata dal muro nel quale ora si apriva un cunicolo. "Da quel passaggio segreto... Da cui potrete uscire sbucando fra le rovine della città morta, oltre le linee degli assedianti spagnoli..." Jolanda accennò ai dormenti. "Ma mia nonna" obiettò "non accetterà mai di essere salvata da voi..." "E voi dovete guardarvi bene dal dirglielo" disse Raul. "Presto, Jolanda, svegliate i vostri compagni e fuggite prima che venga giorno e i miei uomini ricevano il segnale d'attacco... Addio, Jolanda..." "Addio! Raul e... e grazie!" Gli gettò un timido bacio sulla punta delle dita, mentre Raul correva verso il passaggio e scompariva nel cunicolo. Jolanda lo seguì con lo sguardo, come incantata, poi si riscosse e, risolutamente, si avvicinò alla vecchia scuotendola. "Nonna... Nonna!" chiamò. La vecchia si destò bruscamente e balzò a sedere afferrando la spada che come al solito teneva a portata di mano."Che c'è? Che succede?" esclamò. "Gli spagnoli ci stanno attaccando?" "No," rispose Jolanda"ma ho scoperto un passaggio segreto che ci può portare fuori di qua..." "Per le trippe del diavolo?" esclamò Giovanna percuotendosi la coscia con il pugno chiuso. "Una vera fortuna!..." Poi fissando Jolanda con lo sguardo un po' sospettoso: "Ma" le domandò"come hai fatto a scoprire..." "Ecco..." mentì Jolanda confusa. "Mi debbo essere addormentata e ho sognato... E al mio risveglio ho visto che il sogno era vero..." "Io non credo ai sogni" disse scetticamente Giovanna. "Io, invece, sì... Credo che ciò che si sogna possa avverarsi... Infatti..." Indicò il cunicolo. "Il passaggio eccolo là!" concluse. Giovanna guardò nella direzione indicatale e si convinse. "È vero" esclamò."Ebbene, questo tuo sogno mi permetterà di realizzare il mio... Ritrovare i miei fedeli caraibi e alla loro testa marciare su Maracaibo per vendicarmi di quel dannato Trencabar!" E Giovanna andò a scuotere Battista e Nicolino. "Sveglia, ragazzi," gridò "si parte..." "A quest'ora?" esclamò Nicolino sbadigliando. "E dove si va?" "A Maracaibo!" Sotto le mura di Maracaibo, il Corsaro Nero stava seduto su un affusto di cannone in atteggiamento se è possibile ancora più triste del solito. Intorno a lui altri cannoni, pirati che si preparavano per l'assalto affilando le loro terribili sciabole di arrembaggio, mucchi di palle da bombarda di ferro e di pietra, salsamenterie, una cucina da campo, tutto il necessario, insomma, per un assedio come si deve. Il Pirata Meno Un Quarto, che era in compagnia del Pirata Col Coperchio, gli si avvicinò. "Scusate, comandante..." "Come?" disse il Corsaro Nero, distratto. Poiché aveva l'espressione imbambolata come se fosse stato tolto da chissà quali pensieri, il Pirata Meno Un Quarto lo chiamò di nuovo. "Signor comandante..." Il Corsaro Nero si riscosse e lo vide. "Cosa c'è, signor Pirata Meno Un Quarto?" domandò. "Noi siamo pronti per l'assalto alle mura..." "Ah, bene" disse il Corsaro Nero con voce stanca, alzandosi in piedi."Adesso vengo..." Egli pensava a sua nonna e a sua figlia che aveva veduto sparire nel mare su una piccola barca ed era pieno di rimorsi. Se avesse aspettato un momento a farle scendere dalla Tonante, sarebbero arrivati i vascelli degli altri Fratelli della Costa ed ora le due donne sarebbero state con lui. Invece... "Per le trippe del diavolo!" risuonò in quel momento l'inconfondibile voce della nonna. "Dunque siete tutti vivi? Dov'è mio nipote?" Il Corsaro Nero balzò in piedi. "Mia nonna!" esclamò. E corse incontro alla vecchia che era arrivata in quel momento seguita da Jolanda, il nostromo Nicolino, il maggiordomo Battista e il suo esercito di caraibi che ella aveva trovato nella foresta mentre danzavano, ma non danze della morte o roba di questo genere, bensì una allegra fantasia per festeggiare il fatto che erano riusciti a seminare per la strada la vecchia tiranna che in un momento di euforia avevano avuto la debolezza di nominare loro regina e che, durante il tempo che aveva esercitato su di essi il suo dispotismo, li aveva torturati in mille maniere costringendoli a portare le scarpe e pretendendo che la sera andassero a letto con una sola tazza di caffellatte nello stomaco, in luogo dei grassi spagnoli con i quali erano usi cenare. "Nipote mio!" esclamò Giovanna correndo incontro al Corsaro Nero e abbracciandolo con affetto. "Siete vive, dunque!" esclamò il Corsaro Nero, staccandosi a fatica dal ferreo abbraccio della vecchia e andando a stringere la figlia contro il suo largo petto. "Vive e vegete!" gli rispose fieramente la nonna... "Ed eccomi qui pronta a riprendere personalmente il comando dei pirati. per conquistare la piazzaforte di Maracaibo..." "Ma, nonna!" esclamò il Corsaro Nero, spaventato, ricordandosi della precedente esperienza. "Tu non hai mai frequentato scuole di guerra!" "Non fa nulla..." rispose Giovanna. "In Italia mi ero iscritta alla scuola di guerra per corrispondenza e prima di partire mi era arrivata la prima dispensa, accompagnata da una lettera che non ho avuto ancora il tempo di leggere..." Frugò nella sua capace borsa e ne estrasse una lettera che porse al maggiordomo Battista, dicendogli: "Non trovo i miei occhiali... Leggete un po' questa lettera..." "Gentile signora," lesse il maggiordomo "le invio la prima dispensa delle lezioni di guerra per corrispondenza. Le comunico, però, che, data l'urgenza con la quale me l'ha richiesta dovendo partire, il proto non ha fatto in tempo a correggere le bozze e pertanto vi sono parecchi errori di stampa..." "Non conta" disse Giovanna. "Basta che ci sia indicato come si fa ad assalire una città... Andate avanti..." "Prima lezione, assedio e assalto di una città fortificata..." "Mi sembra che questo sia il nostro caso" commentò Giovanna. "Cosa dice?" "Prima dell'assalto" lesse Battista "disporre tutte le bocche da cuoco in direzione delle principali difese..." "Tutte le bocche da cuoco..." ripeté perplesso alzando la testa dalla dispensa. "Possibile?" "Benissimo!" disse Giovanna decisa. "Quanti cuochi abbiamo qui?" "Ma" rispose il Corsaro Nero imbarazzato. "Un paio, credo..." "E con il mio cuoco indiano e il mio maggiordomo che si arrangia anche a cucinare, fanno quattro... Ehi, voi, venite qua..." Un paio di pirati che erano addetti alle cucine da campo avanzarono titubanti, mentre il maggiordomo Battista spingeva avanti il caraibo che una quindicina di giorni prima aveva tentato di cucinare Nicolino allo spiedo. "Mettetevi qua," ordinò Giovanna "davanti alla porta di Maracaibo e aprite la bocca..." I quattro obbedirono macchinalmente, schierandosi in fila e spalancando le fauci. "Ma nonna!" esclamò il Corsaro Nero "ci deve 8. Giovanna "Mettetevi qua," ordinò Giovanna "davanti alla porta di Maracaibo e aprite la bocca..." essere un errore di stampa! Credo che voglia dire bocche da fuoco!" "Forse hai ragione" disse Giovanna, colta dal dubbio. "Allora, via, cuochi... Portate qui le bocche da fuoco...!" I quattro chiusero la bocca mentre altri corsari agli ordini del Pirata Meno Un Quarto trascinavano dei cannoni. "Ora vediamo cosa dobbiamo fare" disse Giovanna. E rivolta al maggiordomo:"Avanti," comandò "leggete". "Puntate le bocche da fuoco..." cominciò a leggere il maggiordomo Battista. "Avevi ragione tu" disse Giovanna, facendo una carezza al Corsaro Nero. "C'era proprio un errore di stampa..." Quindi, rivolta al maggiordomo: "Andate pure avanti, Battista..." "Puntate le bocche da fuoco e caricatele con la pelle di Pietro..." "Alt!" comandò Giovanna, alzando una mano. "C'è nessuno che si chiami Pietro, qui?" "Io, signora Giovanna" rispose il Pirata Meno Un Quarto. "Il mio nome è Pietro Mendoza..." "Anch'io mi chiamo Pietro" disse il Pirata Col Coperchio... "Pietro Romoletti, ai vostri ordini..." "Benissimo" disse Giovanna. Si rivolse a due indiani ai quali, a forza di calci, aveva insegnato a capire la sua lingua in brevissimo tempo e indicò i due pirati. "Togliete loro la pelle, ma con delicatezza, mi raccomando, in modo che non muoiano..." I due indiani tolsero dalle cinture i loro larghi coltelli e avanzarono sui due pirati terrorizzati. "Ma perché?" esclamò il Pirata Meno Un Quarto, indietreggiando. "Che abbiamo fatto per essere scorticati vivi?" "Su, avanti!" lo incoraggiò Giovanna. "Avete lasciato il vostro occhio su un galeone spagnolo, la vostra mano a Trinidad e la vostra gamba non ricordo dove, potete pure lasciare la vostra pelle a Maracaibo!" "Ma voi siete matta!" rispose il pirata. "Mi sia consentito il dire" disse Battista "che forse qui avrebbe dovuto essere scritto a palle di pietra, signora contessa..." "Pensi?" domandò Giovanna, in tono dubbioso. "Ma certo!" si affrettò a confermare il Corsaro Nero. "E allora" domandò Giovanna "portate le palle di pietra, presto!" Arrivò il pirata Catenaccio, di corsa. "Comandante!" gridò rivolto al Corsaro Nero. "I nemici stanno aprendo la porta della città e si preparano a fare una sortita in forze!" "Signori corsari!" tuonò il Corsaro Nero, balzando su un macigno. "Serrate le file!" "Un momento" lo interruppe Giovanna. "Fino a nuovo ordine comando io!" Quindi, rivolta al maggiordomo Battista: "Cosa dice la dispensa?" Il maggiordomo lesse sulla dispensa: "In caso di sortita del nemico caricate le colubrine a gallinacci!" "Alt!" comandò Giovanna. Si guardò intorno, perplessa. "Non vedo nessun gallinaccio da queste parti" osservò. "Gallinacci?" esclamò il Corsaro Nero, abbrutito. "Sì, tacchini... Eppure siamo in America, loro terra di origine..." Giovanna si rivolse agli uomini presenti, con autorità. "Andate a cercare dei tacchini selvatici nella foresta" comandò. "Subito, contessa" si affrettò a rispondere il pirata Catenaccio. E si allontanò seguito da altri verso la foresta emettendo il verso che le massaie fanno abitualmente quando vogliono richiamare intorno a sé il pollame: "Billi, billi, billi, billi!" "Ma nonna, che cosa hai fatto?" esclamò il Corsaro Nero. "Hai allontanato i migliori dei miei pirati! Come faremo ora ad affrontare il nemico che sta per effettuare una sortita?" "Senza gallinacci non si può far niente" rispose ostinatamente Giovanna. "Ma non ci sarà stato scritto 'pallinacci', per caso?" esclamò il Corsaro Nero colpito da un'improvvisa illuminazione. Il maggiordomo Battista guardò sulla pagina della dispensa. "Infatti" constatò. "Qui appresso dice: Sparate i pallinacci quando il nemico è vicino... La mitraglia li fermerà..." "Il nemico è vicino, vicinissimo" esclamò il Corsaro Nero. "È già uscito dalla città e ci sta circondando." "E poi che dice?" domandò Giovanna, senza badargli, rivolta al maggiordomo. "Se il nemico vi sta circondando, stringete le pile formando un quadrato..." "Un momento... Dove sono le pile?..." "Le file, nonna, le file..." ruggì il Corsaro Nero, strappandosi i capelli. "Può darsi..." ammise a malincuore la nonna. "Formate un quadrato!" comandò ai pirati rimasti, con voce stentorea, mentre i nemici si avvicinavano sempre più e i pirati si disponevano in quadrato urtandosi fra loro per la confusione. "E poi che cosa dice?" "Sperate soltanto quando i nemici vi sono vicini..." "Vedete?" esclamò la vecchia trionfante. "Dice che se anche sono vicini, si può sperare nella vittoria..." "Sparate, non sperate!" singhiozzò il Corsaro Nero. E rivolto ai pirati: "Fuoco!" gridò. "Che aspettate a far fuoco! Gli spagnoli ci sono addosso." I pirati disorientati sparacchiarono a casaccio qualche colpo con i loro archibugi, mentre Giovanna, avendo ritrovato gli occhiali, strappava la dispensa dalle mani del maggiordomo, e lanciatavi una rapida occhiata, tuonava: "Sporgete le pance!" "Ma che diavolo dici?" ringhiò il Corsaro Nero esasperato. "Qui c'è scritto che quando il nemico viene addosso bisogna accoglierlo sulla punta delle pance..." "Delle lance!" urlò il Corsaro Nero che era divenuto viola dalla rabbia e che se la cosa fosse continuata ancora sarebbe diventato ultravioletto e quindi invisibile. "Ma è troppo tardi, non ci resta che ritirarci!" "L'ordine di ritirata è..." Giovanna aguzzò gli occhi sulle righe della dispensa, poi si rivolse ai pirati con voce tonante: "Etaoin, etaoin... przorhfgetdreirorororororofgfg... etaoin, etaoin, etaoin..." gridò con tutto il fiato che aveva in gola. "Nonna, non stai gridando un ordine di ritirata, stai gridando un refuso tipografico" blaterò il Corsaro Nero strappandole la dispensa dalle mani e facendola in mille pezzi. E, decidendosi finalmente a prendere lui il comando: "Ripiegare!" comandò. "Signori uomini del mare, ripiegare..." Ma non c'era bisogno che urlasse in quel modo perché i pirati già correvano disordinatamente verso la foresta, incalzati dagli spagnoli vittoriosi.

Pagina 106

"Non avrò mai il coraggio di confessare a mio padre che ho avuto fra le mani Giovanna, la nonna del Corsaro Nero nonché Jolanda sua figlia e che le ho lasciate andare..." "E allora?" domandò il capitano Squacqueras. "Come avreste intenzione di comportarvi?" "Raggiungerò Maracaibo e cercherò la morte combattendo contro i corsari che la stanno assediando... Venite con me, capitano?" "Io?" esclamò il capitano. "Non ci mancherebbe altro!" "Perché? La morte sul campo di battaglia è la più bella per un soldato come voi..." "A parte il fatto che non sono un soldato, ma un capitano, vi dirò che, sì, la morte sul campo di battaglia è bellissima, ma che la vita sui Campi Elisi a Parigi o a Campo di Fiori, a Roma, o anche, alla più brutta, a Campotosto, in provincia dell'Aquila, è molto meglio... Perciò, dopo aver detto al governatore che la mia missione è finita, cercherò di farmi rimandare in Europa... Anche perché qui in America, a dire la verità, non posso dire di aver trovato l'America... Arrivederci, mio giovane amico, vado a cambiarmi per farmi ricevere dal governatore... Dai canti e dai suoni che vengono dalle finestre, si direbbe che in casa di vostro padre si stia festeggiando qualcuno..." "Infatti, si sta festeggiando il Viceré... Buona fortuna, capitano..." "Altrettanto a voi, mio giovane amico... E visto che andate ad incontrare la morte, se la incontraste realmente, ditele, per favore, che non ho nessuna intenzione di incontrarla, per ora... Arrivederci..." E il capitano Squacqueras oltrepassò il cancello della villa mentre la sentinella che vi montava la guardia gli presentava le armi.

Pagina 131

Si sarebbe potuto benissimo prenderli per matti se un quintetto di strumenti ad arco, da una parte, non fosse stato occupato, in quel momento, a suonare qualche cosa che rassomigliava ad un minuetto e ciò faceva capire che gli invitati, in fondo, non facevano nulla di straordinario perché stavano semplicemente ballando. In fondo al salone, su una specie di tronetto, era seduto don Miguel duca di Saragozza, y Beltramar, y Sevija Sevija Olé, y Guadalupa, Grande di Spagna e Viceré delle Colonie Spagnole nel Nuovo Mondo. Il Viceré stava parlando con il conte di Trencabar. "La vostra ospitalità è veramente squisita, mio caro governatore, e la vostra villa è proprio magnifica... Spero, però, che essendo sul mare non sia esposta agli attacchi dei pirati." Il governatore, che aveva condotto il Viceré nella sua villa per non fargli saper nulla di ciò che stava accadendo a Maracaibo assediata dai Fratelli della Costa, dato che aveva sempre affermato che sui territori da lui governati l'ordine regnava sovrano, si affrettò a rispondere: "La flotta spagnola fa buona guardia, Altezza, lungo tutto il golfo e il Mar delle Antille... La comandano mio figlio Raul e il capitano Squacqueras giunto testé dal vicereame di Milano..." Il maggiordomo, sulla porta, annunciò proprio in quel momento: "Il capitano Squacqueras, y Matamoros, y Rodomonte, y Spezzaferro, y Descarobombardo, Sangre y Fuego, y Guappos, capo della polizia imperiale del vicereame di Milano". Il capitano Squacqueras fece il suo ingresso nel salone, arricciandosi i baffi e lanciando occhiate incendiarie alle belle signore presenti. La musica in quel momento cessò e le coppie si aprirono al passaggio dello spaccone. "Il capitano Squacqueras?" esclamò il conte di Trencabar, sorpreso. "Come mai solo?" Si rivolse al Viceré. "Permettete, Altezza..." E poiché don Miguel gli aveva fatto cenno di fare pure liberamente, il governatore raggiunse il capitano 0 e gli domandò un po' preoccupato: "Ma... E mio figlio Raul, capitano?" "Il vostro figliolo, caro governatore," rispose il capitano ad alta voce per farsi sentire da tutti "è rimasto indietro a bruciare i cadaveri dei nemici da me uccisi in combattimento... Delle cataste così... Capirete, con questo caldo potrebbe anche scoppiare un'epidemia!" "Ma allora" esclamò il governatore, sollevato, "la vostra missione ha avuto un esito felice!" "Potete dire felicissimo!" affermò il capitano fieramente. "Abbiamo affondato or non è guari tutta la flotta dei filibustieri e abbiamo purgato tutto il Caribeo da pirati, corsari, bucanieri, filibustieri e schiumatori dei mari..." "E l'esercito che assediava Maracaibo?" "Pol-ve-riz-za-to!" scandì il capitano Squacqueras. "Infatti, come potete constatare, appena arrivato qui mi sono dovuto cambiare perché i miei abiti erano ancora pieni di polvere..." "Ditelo al Viceré, capitano..." esclamò Trencabar, tutto contento, accompagnando il capitano verso il tronetto. "Il Viceré? Molto bene, benissimo!" esclamò il capitano. E avvicinatosi a don Miguel, lo interpellò con disinvoltura: "Come va, Vice Maestà?" "Perché mi chiamate Vice Maestà, capitano?" disse il Viceré in tono piuttosto seccato. "Oh, bella, se foste il Re vi chiamarci Maestà, ma siete il Viceré, come volete che vi chiami? Vice Maestà, oppure Vice Sire, Vice Monarca, e se preferite Vice Sacra Corona!" "Capitano," gli sussurrò il conte di Trencabar "gli spetta l'Altezza..." "Gli spetta l'altezza? In questo caso" esclamò il capitano osservando il Viceré che era piuttosto piccolo di statura "permettetemi di dire che non gliel'hanno data..." E il capitano rise a piena gola del suo scherzo, mentre il Viceré, toccato nel suo difetto, aggrottava sempre più le sopracciglia. Il capitano continuò: "Comunque, ho il piacere di comunicarvi, Altezza, che i corsari sono stati da me distrutti completamente e che il Mar dei Caraibi è stato decorsarizzato e depiratizzato completamente... Non più filibustieri, bucanieri e simili insetti, mercé il corsaricida Squacqueras!" Leggermente annoiato dalla lunga tirata del capitano, il Viceré sbadigliò portandosi educatamente una mano davanti alla bocca. "Bene," disse "vi ringrazio in nome di Sua Maestà il Re Cristianissimo per tutto ciò che avete fatto... Vedo con piacere che potrò dormire i miei sonni tranquillo... Giusto sono stanchissimo per il lungo viaggio..." Saltò giù dal trono, mentre il conte di Trencabar gli diceva premurosamente: "Vi accompagno nella vostra camera, Altezza..." "Buonanotte a tutti, signori" disse il Viceré, sbadigliando ancora. E si avviò dietro il governatore mentre gli invitati si inchinavano rispettosamente al suo passaggio. Con la scarsa educazione che lo distingueva, il capitano Squacqueras che si sentiva al centro dell'attenzione generale per il racconto che aveva fatto delle sue immaginarie imprese, gli gridò dietro: "Buonanotte, Altezza! E se sognate dei pirati, vuol dire che state male di stomaco perché di pirati non ce ne sono più".

Pagina 132

A meno che egli, trattovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni, non si inoltrasse anche lì. In questo caso bisogna proprio dire che uno non si può sentire sicuro di non essere visto da nessuno nemmeno quando è dentro il bagno, completamente nudo. Giovanna scostando le canne da zucchero stava guardando verso la facciata della villa. "Chissà dov'è la camera del governatore..." sussurrò rivolta agli altri tre. "Andiamo a domandarlo alla sentinella!" propose Nicolino con la sua solita accortezza. "Sì, bravo!" esclamò Battista fulminandolo con un'occhiataccia. "Così dà l'allarme!" "Attenzione," mormorò Jolanda concitatamente "una finestra si è illuminata a pianterreno... Si sta aprendo... Qualcuno si affaccia..." Infatti, dalla finestra che si era aperta si sporse il conte di Trencabar che si rivolse verso il corpo di guardia, posto a una certa distanza dal cancello. "Capoposto!" chiamò. Il capoposto, che altri non era che la nostra vecchia conoscenza il sergente Manuel che appena arrivato era stato messo di servizio, il che lo aveva reso di pessimo umore, accorse andando a piazzarsi sull'attenti sotto la finestra dalla quale si era affacciato il conte di Trencabar. "Comandate, Eccellenza!" "Le sentinelle" domandò il conte di Trencabar "sono al loro posto?" "Sì, signor governatore..." rispose il sergente. "Va bene," disse il conte di Trencabar "raccomandate loro di far buona guardia." "Va bene, Eccellenza!" Dentro il canneto, Giovanna, che aveva sentito tutto, si rivolse ai suoi compagni. "Il governatore di Maracaibo! Non ho potuto vederlo in faccia, a causa del buio, ma so che la sua camera è quella lì, al pianterreno!" Il governatore si ritrasse dalla finestra e si rivolse al Viceré che aveva indossato una lunga vestaglia e si stava preparando per la notte in una magnifica camera tappezzata di broccato bianco. "Avete sentito, Altezza? Potete veramente dormire fra due guanciali..." "Grazie, governatore..." Si guardò intorno, compiaciuto. "È molto bella questa camera da letto..." osservò. "Fino ad ora" disse il conte di Trencabar "non ci ha dormito nessuno..." "Perché? È rumorosa?" domandò il Viceré, allarmato. "No, perché è destinata ai membri della famiglia reale e alle personalità come voi, in visita alle colonie... E voi siete il primo che mi fa questo onore..." "Bene, bene, vi ringrazio" disse il Viceré. "Speriamo piuttosto che non vi siano attacchi di pirati..." "Lo avete sentito il capitano Squacqueras... Non vi sono più filibustieri nel Caribeo... Li ha distrutti lui... Con mio figlio, naturalmente..." "Bene, bene..." tagliò corto il Viceré. "Buonanotte, governatore..." "Buonanotte, Altezza." Il conte di Trencabar si ritirò mentre il Viceré andava a sedersi davanti ad uno specchio iniziando la sua toletta notturna. Nel frattempo Giovanna stava tentando di scostare le canne senza produrre troppo rumore per uscire dal suo nascondiglio. "Attenti alla sentinella, signora contessa" la ammonì il maggiordomo Battista... "Lasciate fare a me" lo rassicurò Giovanna. Uscita dal canneto si rizzò e si avvicinò alla sentinella la quale, sentendo rumore, imbracciò l'archibugio e lo puntò contro l'ombra che stava avanzando verso di lui. "Alto là!" intimò. "Chi va là?" "Appartengo al personale" disse Giovanna, seguitando a camminare verso di lui. "Sono la governante..." "Governante, alto là!" Giovanna si fermò e la sentinella le si avvicinò. Fu rassicurato nel vedere una vecchietta, comunque, disse: "Se siete della villa dovete conoscere la parola d'ordine..." Giovanna finse di frugare nella sua borsa. "Aspettate," disse "l'ho scritta su un foglietto..." Tirò fuori un biglietto e se lo lasciò sfuggire di mano. "Oh, mi è caduto in terra!" esclamò in tono di disappunto. "Aiutatemi a cercarlo, per favore... Ci vedo poco!" La sentinella, che era un bravo giovanotto di Castiglia a cui la madre aveva insegnato a rispettare i vecchi perché i vecchi sono deboli, si chinò istintivamente per cercare il foglietto e Giovanna ne approfittò per assestargli con la mano a coltello un formidabile colpo sulla nuca che lo fece stramazzare a faccia avanti, privo di sensi, dimostrandogli così che non sempre le madri danno dei buoni consigli ai loro figlioli Giovanna aveva imparato il judo durante un suo recente viaggio in Giappone dove si era recata per acquistare un ventaglio (storico). Giovanna si assicurò che il soldato fosse veramente svenuto, poi si rivolse agli altri tre facendo loro cenno di avvicinarsi. "Presto!" disse. "Entriamo..." "A... anche io?" balbettò il nostromo Nicolino spaventato al pensiero di doversi cacciare in un'altra pericolosa avventura. "Certo!" disse Giovanna con forza. "Tutti!" "Non vi sembra che sia un po'... po'... pe... pe..." "Eh, sono arrivati i pompieri!" esclamò Giovanna con impazienza. "Un po'pericoloso? Se vengono qui e trovano la sentinella svenuta montano in sospetto e arrestano tutti..." "Giusto!" disse Giovanna. "E allora fate una cosa... Indossate gli abiti di questo soldato spagnolo e prendete il suo posto, mentre noi penetriamo nella villa..." Si rivolse al maggiordomo Battista. "Spogliate la sentinella" gli ordinò. Battista si affrettò ad obbedire e chinatosi sulla sentinella svenuta la sollevò e le sfilò il giaccone che porse a Nicolino il quale lo prese di malavoglia. "E... vorreste lasciarmi qui solo?" balbettò. "Torneremo subito con il governatore" lo rassicurò Giovanna... Nicolino infilò il giaccone sul suo vestito, mentre Battista, legata la sentinella con la sua stessa cintura, la trascinava a qualche distanza nascondendola fra i cespugli. "Ma il governatore," tentò di protestare Nicolino "se si accorge che non sono la sentinella, mi fa prendere e impiccare..." "Siamo noi che prenderemo ed impiccheremo lui" rispose Giovanna. Il maggiordomo Battista tornò indietro con l'elmo della sentinella e lo andò ad infilare in testa a Nicolino a cui l'elmo calò giù fino alla bocca coprendogli occhi e naso. Nicolino protestò con voce soffocata: "Ma questo elmo mi sta grande..." "Meglio," disse Battista "così non ti possono vedere in faccia..." "E passeggia in su e in giù come faceva la sentinella" disse Giovanna. "E va bene..." disse Nicolino in tono rassegnato. "Ma tornate presto, mi raccomando..." Mentre Nicolino si metteva a passeggiare su e giù con il risultato di andare a sbattere prima contro il pilastro destro, poi contro il pilastro sinistro del cancello, i tre si avvicinarono alla villa la cui porta era aperta. Attraversato il patio, Giovanna e i suoi due compagni entrarono nel salone e lo percorsero cautamente guardandosi intorno. "Ecco," disse Giovanna, indicando una porta "questa dovrebbe corrispondere con il corridoio che conduce alla camera dalla quale si è affacciato quel dannato Trencabar..." Entrarono nel corridoio dove si apriva una sola porta. "Non può essere che quella" mormorò Giovanna. "A noi due, assassino dei miei nipoti!" Nella sua camera, il Viceré, che aveva finalmente terminato la sua elaborata toletta notturna, si alzò, si tolse la vestaglia e, in camicione da notte, si avvicinò alla finestra che chiuse. Non si avvide che alle sue spalle la porta si stava aprendo cautamente lasciando entrare Giovanna, il maggiordomo Battista e Jolanda. Giovanna rivolta al maggiordomo gli indicò il letto. Battista comprese al volo e tolta via la coperta di broccato si avvicinò al Viceré e gli gettò la coperta sulla testa prima che avesse avuto il tempo di voltarsi. Il Viceré cominciò a dibattersi, gridando con voce soffocata dalla coperta: "Ma chi è? Chi è?" "Sono Giovanna, la nonna del Corsaro Nero! Camminate e state zitto! Un solo grido che vi esca dalla strozza e siete morto!" "E chi ce la fa a gridare!" gemette il Viceré sotto la coperta, mentre Giovanna lo spingeva fuori dalla stanza.

Pagina 136

Ma facciamo un passo indietro, anzi fatelo voi perché noi, siccome fa un caldo maledetto, siamo andati a scrivere sul tetto di casa nostra dove si respira un po'meglio e se facciamo un passo indietro andiamo a finire di sotto. Nicolino, con l'archibugio in ispalla e l'elmo che gli calava continuamente sugli occhi, qualche minuto prima degli avvenimenti che abbiamo testé cessato di narrare, stava passeggiando su e giù come una sentinella, quando gli si era avvicinato il sergente Manuel seguito dagli altri tre soldati di guardia. Il sergente si era fermato davanti a Nicolino. "È finito il tuo quarto di guardia, è l'ora del cambio" gli aveva detto. "Dai il posto al tuo compagno." "Ma io" disse Nicolino preoccupato dal fatto che se si fosse mosso di lì Giovanna e gli altri non lo avrebbero più ritrovato "vorrei restare qui..." "Il tuo zelo è degno di lode," lo elogiò il sergente Manuel "ma il regolamento è il regolamento... Su, andiamo..." Battista comprese al volo e tolta via la coperta di broccato... Lo guardò sorpreso mentre Nicolino entrava nel fascio di luce della sua lanterna per mettersi in coda alla fila delle guardie, mentre la prima prendeva il posto della sentinella in suo luogo. "Com'è che ti si è allargato l'elmo in quel modo?" domandò vedendo che l'elmo copriva per metà la faccia del supposto soldato. "Non è l'elmo che si è allargato" ciangottò Nicolino. "È la testa che mi si è ristretta... Qui ai tropici le notti sono umide..." "Su, andiamo," disse allora il sergente senza indagare oltre "ho fretta di dare il cambio agli altri per farmi un sonnellino... Non ne posso più dalla stanchezza..." I tre uomini in fila indiana si misero in cammino con il sergente che marciava a fianco degli altri, mentre Nicolino che non ci vedeva un accidente andava a sbattere contro il soldato che lo precedeva. "E stai attento a come cammini!" lo rimproverò il sergente. "Avanti, tenere le distanze, uno, due, uno due..." Mentre si allontanavano diretti verso il corpo di guardia, dalla porta della villa uscirono Giovanna e i suoi spingendo il Viceré che inciampava continuamente nei lembi della coperta di broccato che lo ricopriva completamente e saltellava ora su una gamba, ora sull'altra per via dei sassolini che gli facevano male sotto la pianta dei piedi nudi. "Avanti, cammina, maledetto" lo spronò Giovanna, pungolandolo con la punta della sua spada. E afferratolo per una spalla lo guidò verso il cancello presso il quale credeva fosse di guardia Nicolino. La sentinella che lo aveva sostituito, vedendo lo 10. Giovanna strano gruppo che avanzava verso il cancello, insospettita imbracciò l'archibugio. "Alto là!" esclamò. "Chi va là?" "Imbecille!" esclamò Giovanna. "Sono io, Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" "All'armi!" gridò la sentinella. E poiché Giovanna tentava di passare, l'afferrò per un braccio esclamando: "Non vi muovete!" Non si aspettava la reazione della vecchia che con un perfetto colpo di judo lo fece volare al disopra della sua spalla e lo colpì col taglio della mano sulla nuca. Il Viceré approfittò di ciò che stava avvenendo per mettersi a scappare per il giardino strappandosi la coperta di dosso e gridando come un'aquila spennata viva: "Aiuto! Mi vogliono rapire! Sono il Viceré! Aiuto" Giovanna abbozzò un gesto di stizza e si diresse di corsa verso il cancello. "Per le trippe del diavolo!" ruggì. "Non era Trencabar! Scappiamo!" Fece appena in tempo a uscire dal cancello e a gettarsi nel canneto seguita da Jolanda e dal maggiordomo Battista. Il conte di Trencabar stava arrivando di corsa seguito da due camerieri negri che portavano dei doppieri accesi, dal maggiordomo e qualcuno degli ospiti della villa. Arrivò di corsa anche il sergente Manuel. "Che succede?" domandò il governatore di Maracaibo. Vide il Viceré in camicione da notte e allibì. "Sua Altezza il Viceré!" esclamò. Il Viceré, furioso, gli puntò un dito contro. "E voi mi avete detto che non c'erano più pirati!" ringhiò. "Veramente," cercò di giustificarsi il governatore "è stato il capitano Squacqueras che ha detto..." "Un corno!" gridò il Viceré. "Sapete chi era che mi voleva rapire? Me lo ha detto lei stessa! Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" In quella arrivò il capitano Squacqueras il quale avendo visto delle luci in giardino e sentito del rumore aveva pensato che gli invitati spinti dal caldo si fossero trasferiti in giardino per consumare una cenetta. "Ci sono anch'io!" esclamò. "Cosa vi state mangiando di buono?" "Il mio fegato!" rispose il governatore, andandogli con le mani sotto il viso. "Ecco quello che mi sto mangiando! Non avevate detto di aver sterminato tutti i pirati?" "Infatti!" "E com'è che Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, è qui! Lo sapete che a momenti rapiva Sua Altezza il Viceré?" "Santo cielo!" esclamò il capitano rivolto al Viceré. "Non mi direte che avete avuto paura di una vecchietta seminferma!" "Siete voi seminfermo di mente!" scattò il Viceré. "Quella vecchia è terribile... Quando mi teneva, ho sentito sulla spalla le sue dita che sembravano di ferro!" "Forse" opinò il governatore "vi avrà tenuto con le molle..." "E perché?" lo investì il Viceré. "Sono forse una immondizia io, da prendere con le molle?" "Non volevo dir questo" si scusò il governatore, confuso. Il Viceré gli cacciò la punta dell'indice sotto il naso, agitandola rapidamente. "Governatore..." gli sibilò sul viso. "Voglio sperare che una cosa simile non si ripeta mai più..." Raccolse la coperta da terra, vi si avvolse dentro come un antico romano nella sua toga e si avviò verso la porta del patio. Il conte di Trencabar si rivolse al capitano Squacqueras. "Avete capito, capitano? Voglio che una cosa simile non si ripeta mai più..." E rientrò nella villa seguito dagli invitati e dalla servitù. Il capitano Squacqueras si rivolse al sergente Manuel. "Avete capito, sergente? Voglio sperare che una cosa simile non si ripeta mai più..." Il sergente Manuel si rivolse alla sentinella che si era alzata faticosamente e si stava stropicciando con forza le membra ammaccate dal magistrale colpo di judo della vecchia. "Avete capito, sentinella?" gli disse. "Voglio sperare che una cosa simile non si ripeta mai più..." "Voglio sperarlo anch'io" rispose la sentinella di pessimo umore. "Ho preso una tale botta fra capo e collo che mi ha rintontito..." "Perciò" disse il capitano rivolto al sergente "non è in grado di fare la sentinella come si deve... Quando si è rintontiti non si capisce niente... Sarà meglio sostituirlo..." "Sì, signor capitano" si affrettò a rispondere il sergente Manuel. E mentre il capitano rientrava nella villa, il sergente chiamò rivolto verso Nicolino che si era avvicinato per vedere se riusciva a ritrovare i suoi compagni. "Ehi, tu!" Nicolino si fermò interdetto. "Dite a me?" "Sì," disse il sergente "tu prima non volevi lasciare il tuo posto... Questo dimostra che ci tieni a far bella figura... Mettiti lì di sentinella..." "Sissignore..." "Si dice signorsì, imbecille!" "Signorsì, imbecille!" Il sergente Manuel fece un gesto di disperazione. "Santa Vergine del Pilar" esclamò in tono scoraggiato. Quindi, rivolto alla guardia che seguitava a massaggiarsi: "Andiamo, su..." E si allontanò lasciando Nicolino il quale, non sapendo che Giovanna e gli altri erano usciti, si rimise a passeggiare al posto che aveva dovuto abbandonare poco prima. Intanto Giovanna, nascosta nel canneto, teneva con gli altri un piccolo consiglio di guerra. "Avete sentito? Non era il governatore che avevamo rapito, ma il Viceré... Abbiamo sbagliato camera... Cosa si può fare, Battista?" "Io opino, signora contessa," rispose rispettosamente Battista"che dobbiamo trovare la vera camera del governatore..." "Sì, ma per far questo bisogna rientrare nella villa" disse Giovanna. "Chissà dov'è andato a finire il nostromo Nicolino" disse Jolanda. "C'era un'altra sentinella, prima, al suo posto..." "Giusto" disse Giovanna. "Venite con me..." Così dicendo Giovanna estrasse la spada dal fodero e la impugnò per la punta della lama flessibile, uscendo dal canneto e avanzando cautamente verso Nicolino che la vide avanzare. "Chi è?" domandò con voce tremante. Poi riconoscendo la sagoma della vecchia: "Oh, finalmente, siete voi... Oh, mamma mia bella?" Questa sua ultima esclamazione era dovuta al fatto che Giovanna, convinta di aver a che fare con la sentinella di prima, aveva usato la spada come una clava colpendo alla testa con un terribile colpo il povero Nicolino che strabuzzò gli occhi, girò su se stesso e si accasciò lentamente a terra. "Bel colpo, nonnina!" esclamò accorrendo Jolanda. "Leghiamolo ed entriamo" comandò Giovanna, rivolta al maggiordomo. Il maggiordomo si chinò su Nicolino per rivoltarlo sotto sopra allo scopo di legargli le mani dietro la schiena, ma, poiché l'elmo gli era andato via dalla testa, lo riconobbe. "Ma è Nicolino!" esclamò. Lo scosse. "Ehi, Nicolino... Nicolino!" E gli assestò degli schiaffetti per risvegliarlo. Nicolino aprì gli occhi e fissò lo sguardo davanti a sé con una sorridente espressione da ebete dipinta sul volto, brontolando qualcosa. "Che hai detto?" gli domandò Battista. "La pecheronza!" gli sembrò che rispondesse Nicolino. "La pecheronza! E che è la pecheronza...?" domandò Giovanna. "La pecheronza" ripeté Nicolino. "Qui, nella mia testa..." "Non capisco" disse Jolanda. "Mi sia consentito il dire che credo abbia voluto dire: l'ape che ronza..." spiegò Battista. Quindi, rivolto a Nicolino: "Non ci sono api che ronzano da queste parti: è il colpo che hai ricevuto in testa..." "Io vorrei sapere perché prima non c'eri tu di sentinella!" disse Giovanna, irritata. "Perché," rispose Nicolino che cominciava a riprendersi "mi avevano dato il cambio... Adesso mi avevano rimesso di sentinella perché l'altra l'avete messa voi fuori uso..." "Se prima ci fossi stato tu al posto della sentinella, questo adesso non ti succedeva." "E invece mi è successo," rispose Nicolino, rialzandosi faticosamente in piedi "perché avete messo fuori uso anche me!" Giovanna si chinò, raccolse l'elmo e glielo rimise in testa. "Be'," disse "resta di guardia..." "Speriamo che vada tutto bene, questa volta" disse Nicolino. "Andrà tutto bene" assicurò Giovanna, con forza. "Perché questa volta invece di rapire il governatore, lo sfiderò al duello e voi due, Battista e Jolanda, mi farete da padrini... Andiamo..." "Tornate presto!" si raccomandò Nicolino mentre i tre si allontanavano verso il patio.

Pagina 142

"Sentite," disse il Viceré"questa stanza a pianterreno a me piace poco... Voi dove dormite?" Il conte di Trencabar indicò una scala che conduceva ai piani superiori. "Al piano di sopra" rispose. "E andiamo al piano di sopra..." disse il Viceré. "Dormirò nella vostra camera... Penso che sia più sicura delle altre..." Ciò detto si avviò verso lo scalone, mentre Trencabar lo seguiva dicendo: "Come volete, Altezza..." I due cominciarono a salire la scala. Intanto nel salone Giovanna e il maggiordomo, con Jolanda, stavano entrando silenziosamente, provenienti dal patio. "Chissà dove si trova effettivamente la camera di Trencabar" sussurrò Giovanna. "Attenzione, sta venendo qualcuno" annunciò Jolanda con voce soffocata. "Qua!" disse Giovanna. Ed andò ad appiattarsi nel vano di una porta mentre nel salone avanzava uno dei due camerieri negri con un doppiere acceso. Lo schiavo che aveva in mano anche uno spegnitoio si avvicinò ad uno dei candelabri per spegnerne le candele. Giovanna gli si avvicinò camminando con passo felpato e giunta alle sue spalle gli passò il braccio intorno al collo nella classica mossa di lotta detta "cravatta". "Mamma mia!" esclamò la voce strozzata del negro. "Ghi è?" "Sono Giovanna, la nonna del Corsaro Nero... Dov'è la stanza del governatore?" "Al biano di sobra, badrona... Prima borda a sinisdra..." "Bene," disse Giovanna allentando la "cravatta". "Adesso bisogna impedirgli di dare l'allarme..." "Non c'è berigolo, badrona" disse il negro, stropicciandosi il collo indolenzito."Non vi dradirò..." "Come mai?" "Siete la nonna del Gorsaro Nero e angh'io sono nero" dichiarò ingenuamente lo schiavo.Storico. "Bravo!" esclamò Giovanna guardandosi bene dal distoglierlo dall'equivoco in cui era caduto. "Allora andiamo..." Il conte di Trencabar stava mostrando la sua camera al Viceré. Essa, contrariamente a quella che gli era stata destinata, era una stanza molto cupa, con spettrali ritratti di antenati alle pareti e panoplie d'armi dappertutto. "Ecco," stava dicendo il conte "la mia camera è questa ed è a vostra disposizione..." Don Miguel si avvicinò alla finestra e ne scostò le cortine. "Non è molto allegra," disse "ma in compenso vedo che le finestre sono munite d'inferriate..." Si avvicinò alla porta. "La serratura funziona?" domandò. "La porta è blindata e la serratura è a prova di bomba... E per di più, guardate..." Il conte di Trencabar si avvicinò ad una panoplia, strinse il manico di un pugnale che invece non era altro che una leva e l'abbassò. Immediatamente una saracinesca di ferro che divideva la camera in due cadde giù da un'apertura del soffitto, con fragore di ferraglie. "Come vedete," disse Trencabar "facendo calare questa saracinesca, la camera si trasforma in una vera e propria fortezza... Ho dovuto prendere le mie precauzioni per timore degli attacchi dei pirati..." Quindi, impugnato nuovamente il manico del pugnale lo sollevò e la saracinesca rientrò nel soffitto con il medesimo fragore. "E non ci sono altre entrate?" domandò don Miguel. Il governatore di Maracaibo si avvicinò ad un'altra parete e premette un invisibile bottone, facendo scorrere un pannello dipinto che scopriva un passaggio segreto. "C'è questo passaggio segreto che conduce alla camera che occupavate prima e che ora andrò ad occupare io... L'ho fatto praticare caso mai dovesse esserci qualche colloquio segreto fra me e i miei ospiti più importanti..." "Ingegnoso!" dovette ammettere il Viceré, a cui evidentemente il governatore era antipatico. "Comunque spero di non aver bisogno di parlare con voi... Tanto più che, cretino come avete dimostrato di essere, la vostra conversazione non deve essere molto interessante... Buonanotte, allora..." "Buonanotte, Altezza... La chiave è sul comodino..." "Va bene, va bene, andate pure..." "Se permettete, raggiungo la mia nuova camera attraverso il passaggio segreto..." "Come volete..." sbuffò il Viceré con impazienza. "Basta che vi leviate dai piedi!" Trencabar uscì dalla porta segreta e il pannello si richiuse alle sue spalle. Il Viceré alzò le spalle e presa la chiave della porta andò verso di essa per chiudersi a chiave, ma non fece nemmeno in tempo ad infilarla nella toppa perché la porta si spalancò e Giovanna fece irruzione nella camera puntandogli la bocca della sua pistola contro il petto e costringendolo ad indietreggiare spaventato. Dietro di lei entrarono il maggiordomo Battista e Jolanda. "Buonasera, cane maledetto!" ghignò Giovanna. "Come vi permettete, signora? E innanzi tutto, chi siete, cosa volete?" "Sono Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" "Ancora!" gemette il Viceré. "E ciò che voglio è la vostra pelle... Prendete questa e difendetevi!" Giovanna staccò una spada da una delle panoplie e la lanciò al Viceré che l'afferrò al volo, maldestramente. Giovanna continuò: "Vi ucciderò in duello, amico bello..." Il povero don Miguel cercò di lusingare la terribile vecchia per guadagnare tempo. Ripeté con simulata ammirazione: "Vi ucciderò in duello, amico bello! Magnifici versi! Non sapevo che foste anche poetessa!" "Certo," rispose Giovanna"sono anche poetessa... E così peregrina che mi batterò con voi, componendo versi, all'impronto... Come il mio amico Cyrano di Bergerac fece una volta a Parigi, durante una rappresentazione all'Hotel de Bourgogne..." "Ma no!" esclamò il Viceré con finta ammirazione. "Lo vedrete!" confermò Giovanna. Prese un'aria ispirata e declamò, in versi:

Pagina 150

Giovanna che aveva i suoi guanti alla moschettiera infilati alla cintura ne tolse uno che cominciò a calzare declamando:

Pagina 154

Diventò pungente e cominciò a dare del tu al Viceré incalzandolo. Eseguì un rapido passaggio di guardia, s'inquartò, parò una risposta d'intagliata, minacciando continuamente, ora la faccia, ora il petto dell'avversario, apostrofandolo vivamente:

Pagina 155

La terribile vecchia cominciò a saggiare il ferro del malcapitato don Miguel che prese ad indietreggiare verso la parete nella quale era il pannello che ricopriva il passaggio segreto, mentre Giovanna seguitava, fra una botta e l'altra:

Pagina 155

concluse il Viceré che era riuscito a far scorrere il pannello dietro di lui mentre Giovanna si spaccava in un irresistibile "a fondo"; e con un salto all'indietro infilò il passaggio segreto mentre il pannello scorreva a ritroso e si chiudeva spezzando in due la lama di Giovanna. "Traditore!" gridò Giovanna correndo verso il pannello e cercando affannosamente di farlo scorrere. "Mi è sfuggito? Ma lo raggiungerò! Aiutatemi a trovare il meccanismo che fa funzionare questa maledetta porta segreta!"

Pagina 156

brontolò il governatore di Maracaibo, togliendosi il giustacuore per andarsene a letto. "Se Dio vuole, la giornata è finita!" Ma non aveva ancora finito di esprimere questa sua opinione piuttosto ottimistica che il rumore del pannello scorrente nella porta lo fece voltare, sorpreso. Rimase piuttosto perplesso trovandosi davanti il Viceré i cui occhi sprizzavano fiamme... "Sua Altezza, il Viceré!" esclamò in tono di gioconda sorpresa."Avete forse bisogno di parlarmi in segreto?" "No!" esclamò don Miguel esasperato. "Quello che debbo dirvi non è affatto un segreto! Siete un perfetto imbecille!" "Come?" "Quella vecchia indemoniata è penetrata nella vostra stanza e per poco non mi faceva a fettine!" "Ma, Altezza, è impossibile!" esclamò il conte di Trencabar. "Avrete sognato." "Sognato, eh?" proruppe il Viceré al colmo della stizza. "Ebbene, andiamo a vedere se ho sognato o no!" E si avviò verso la porta, percorrendo rapidamente il corridoio diretto verso lo scalone. "Un momento!" lo fermò il governatore. E corse verso il salone chiamando a gran voce: "Guardie! Capitano! Qualcuno! Possibile che in questa casa quando si cerca una guardia non si trova mai?" Da una porta laterale del salone sbucò il capitano Squacqueras in mutande, mentre da altre porte arrivavano di corsa alcuni soldati. "Che c'è?" domandò il capitano. "Il terremoto?" "Mentre voi dormite," gridò il governatore "la vecchia lavora!" "La vecchia? Quale vecchia? Io non ho visto nessuna vecchia nella villa, ma solo delle graziose damigelle..." "Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, del Corsaro Rosso e del Corsaro Verde!" lo informò il governatore. "Una bella famiglia multicolore, non c'è che dire" cercò di minimizzare il capitano Squacqueras. "E cosa voleva? Che cosa voleva?" "Voleva ammazzarmi" esclamò il Viceré. "Su, andiamo... È di sopra e maneggia la spada come un bucaniere!" "Come un bucaniere?" ripeté il capitano ambrosiano-spagnolo. "Molto bene, benissimo! Vado in camera mia a prendere una corazza... Vedremo se riuscirà a bucarla... Con permesso..." E fece per squagliarsela diretto verso una delle porte, ma il governatore lo trattenne. "Ma no, io credo che Sua Altezza abbia avuto un'allucinazione... venite con me..." Il conte di Trencabar, il Viceré, il capitano e i soldati corsero verso lo scalone. Intanto, nella camera del governatore, Giovanna era finalmente riuscita a trovare il bottone che faceva scorrere il pannello che nascondeva la porta segreta. "Finalmente!" esclamò. "Andiamo! Voglio acciuffare l'infame Trencabar anche se si fosse nascosto nelle viscere della terra!" Andò a staccare una spada da una delle panoplie e infilò il passaggio segreto seguita da Jolanda e dal maggiordomo Battista e il pannello si richiuse alle loro spalle. Quasi immediatamente la porta della camera si apriva pian piano lasciando scorgere il volto del capitano Squacqueras che faceva capolino. "È permesso?" domandò il capitano, prudentemente. "C'è nessuno?" Il conte di Trencabar, che era dietro di lui, lo scostò e spalancata la porta entrò nella stanza. "Non c'è nessuno!" disse. "Allora, possiamo entrare liberamente!" disse il capitano. Dietro di lui entrarono le guardie e il Viceré. Il governatore si rivolse a quest'ultimo. "Avete visto, Altezza? Non c'è nessuno... Avevo ragione io... Avevate sognato!" "Macché sognato!" esclamò il Viceré. "Per poco non mi inchiodava alla parete come una farfalla!" "Se fosse uscita," gli fece osservare il conte di Trencabar "l'avremmo dovuta incontrare per lo scalone... Avete proprio sognato, credetemi... Un brutto incubo..." "Possibile? Eh, forse sì..." Si guardò intorno. "Questo ambiente così cupo favorisce i brutti sogni" disse. "Forse è meglio che torni nella camera di prima..." Il poveraccio ignorava che nella camera di prima Giovanna stava cercando dappertutto, dietro le tende, sotto il letto, persino nei cassetti del comodino. "Macché!" esclamò scoraggiata "non c'è nessuno qui!" "Forse" opinò Jolanda "è uscito di là..." E indicò la porta oltre la quale si sentì provenire un rumore di voci confuse. "Attenzione?" dette l'allarme Giovanna. "Sta venendo qualcuno!" "Mi sia consentito il dire che sarebbe giudizioso nasconderci" disse Battista. Si affrettarono a nascondersi, Giovanna dietro le tendine della finestra, gli altri dietro i drappeggi dell'alcova. Appena in tempo perché la porta si aprì ed entrò il Viceré seguito dal suo codazzo. "Sì, sì, dormirò qui" disse il Viceré, guardandosi in giro. "È molto più festoso, molto più accogliente..." Si rivolse al capitano Squacqueras. "Comunque, voi andate a infilarvi i calzoni, poi mettetevi fuori della porta e fate buona guardia... Prima di entrare dovranno passare sul vostro cadavere..." "Speriamo almeno che abbiano le scarpe pulite!" si augurò il capitano. "Farò disporre una buona guardia anche sotto la vostra finestra" disse il governatore, ritirandosi. "Buona notte, Altezza..." "Me l'avete già data non so quante volte... Comincio ad avere l'impressione che portiate jettatura!" rispose il Viceré. "È meglio che ve ne andiate.,." Il governatore si sprofondò in un umile inchino e rinculò fino alla porta dalla quale uscì richiudendola dietro di sé. Tranquillizzato dal fatto che sia la porta che la finestra erano ben guardate, il Viceré prese ad aggirarsi per la camera abbastanza soddisfatto. "Effettivamente, questa stanza fa molto meno paura dell'altra" disse allegramente. Andò verso la finestra per accertarsi che avessero collocato le sentinelle sotto di essa e si trovò faccia 11. Giovanna a faccia con Giovanna che avanzò verso di lui con la spada nuda in mano. Don Miguel allibì. "Ancora la vecchia?" esclamò con voce soffocata. "Non tanto vecchia!" sogghignò Giovanna, mentre anche Battista e Jolanda uscivano dai loro nascondigli. "Sono ancora abbastanza giovane per farvi a pezzetti, maledetto Trencabar!" "Non... non trovate che sono abbastanza piccolo per essere ancora frazionato?" balbettò il Viceré, indietreggiando. Ripensò a ciò che gli aveva detto Giovanna ed esclamò: "Trencabar, avete detto? Ma io non sono il conte di Trencabar!" "Come, non siete il conte di Trencabar? E chi diavolo siete, allora?" "Don Miguel duca di Saragozza, y Beltramar, y Sevija Sevija Olé, y Guadalupa, Grande di Spagna e Viceré delle Colonie Spagnole del Nuovo Mondo!" "Non potete essere tutta questa gente" rispose Giovanna. "Ve lo giuro!" la assicurò don Miguel, afferrando un cofanetto, aprendolo ed estraendone frettolosamente delle carte che mostrò a Giovanna. "Ecco qua... Queste sono le mie credenziali... Questo il mio anello con il sigillo... E questo è il mio ritratto ad olio insieme con Sua Maestà Cristianissima il Re di Spagna..." "Ebbene," disse Giovanna, lanciando una rapida occhiata alle carte "se siete il Viceré, tanto meglio! Vi prenderò prigioniero e chiederò che mi sia consegnato Trencabar al vostro posto..." "Se è Trencabar che volete, non occorre una operazione così complicata" le fece osservare il Viceré. E con uno scoppio di odio nella voce: "Ve lo consegnerò io stesso questo maledetto Trencabar?" "Voi mi consegnerete il governatore di Maracaibo?" domandò Giovanna. "Con il massimo piacere!" sogghignò il Viceré. "Voi non potete immaginare quanto mi sia antipatico! E poi se la merita una buona lezione dopo l'orribile notte che mi ha fatto passare!" "Se mí consegnate Trencabar, non domando altro!" disse Giovanna. "Affare fatto!" esclamò il Viceré. "È nella sua camera... Venite con me..." Si avvicinò al pannello che copriva la porta segreta e lo fece scorrere. "Meglio andarci da qui..." consigliò rivolto ai tre. "Fuori ci sono le guardie e non vorrei per nessuna cosa al mondo che vi fermassero..." Il governatore di Maracaibo si era appena messo a letto nella sua stanza, e stava per soffiare sulla candela, quando il pannello scorse nella parete e don Miguel fece il suo ingresso nella camera. Il governatore lo guardò allarmato. "Cosa succede, Altezza? Non mi verrete a raccontare che avete visto ancora la vecchia..." "Non solo l'ho vista," rispose il Viceré con aria pienamente soddisfatta "ma adesso la faccio vedere anche a voi... Eccola qua..." Si trasse da parte e Giovanna entrò avanzando verso il governatore. "Sì, conte di Trencabar, sono proprio io" disse con voce terribile."Seguitemi?" "Non vorrete assassinarmi" protestò il governatore. "Oh, no, vi farò impiccare, semplicemente..." "Un momento!" esclamò il Viceré. "Non sapevo che voleste impiccarlo, signora... Se lo avessi saputo non ve lo avrei consegnato..." "Ah, siete stato voi! Bella roba!" esclamò il governatore, disgustato. "In fondo," seguitò il Viceré "il conte di Trencabar è un gentiluomo e come tale gli spetterebbe la mannaia..." "Pure i miei nipoti erano gentiluomini eppure sono stati impiccati e i loro corpi utilizzati come semaforo..." "Bisogna anche tener conto delle esigenze del traffico, signora" disse il Viceré. "No, no, niente condanne a morte! Io, invece, proporrei un bel duello..." "E sia!" esclamò Giovanna. E rivolta al governatore: "Prendete una spada e difendetevi..." "Tanto," disse il Viceré strizzando l'occhio a Giovanna"un duello con voi equivale a una condanna a morte... Quindi per voi è lo stesso..." "Non tanto lo stesso!" ghignò il governatore di Maracaibo, riprendendosi e avvicinandosi ad una panoplia di armi. "Intendete dire che conoscete qualche colpo segreto?" domandò Giovanna. "Tanto segreto che non so nemmeno io come si usi" rispose Trencabar, tranquillamente. Quindi, ponendo la mano sull'impugnatura del pugnale che serviva da leva: "Meglio quindi usare questa..." "L'arma corta?" "No, la fuga" rispose il conte di Trencabar abbassando bruscamente la leva e facendo così cadere la saracinesca di ferro fra lui e gli altri. "No, la fuga" rispose il conte di Trencabar... Giovanna ruggì scagliandosi contro l'improvvisa barriera che si era frapposta fra lei e il suo nemico. "Traditore!" gridò. "Fellone! Mi ha giocato ancora una volta..." E rivolta al Viceré, a Battista e a Jolanda: "Voi aiutatemi a sollevare quest'accidente di saracinesca!" "Presto, seguitemi!" gridò il conte di Trencabar scendendo lo scalone a precipizio e rivolgendosi al capitano Squacqueras che era di guardia davanti alla porta dove l'aveva collocato poco prima il Viceré. "Giovanna la nonna del Corsaro Nero è nella mia camera!" "In questo caso" rispose il capitano "io vado nella mia!" "A che fare?" "A gettarmi un po'sul letto... Io sono come Francesco!... Dormo sempre alla vigilia di una battaglia per dar prova del mio sangue freddo..." E scappò di corsa verso il salone. "A me, soldati!" comandò il conte di Trencabar, rivolto alle guardie. Giovanna, aiutata dal maggiordomo, dal Viceré che ormai era passato completamente dalla sua parte e da Jolanda, si stava spezzando le unghie nel tentativo di sollevare la saracinesca. Ad un tratto esclamò con accento di trionfo: "Si solleva, si solleva!" La cortina di ferro, effettivamente, si stava sollevando, ma da sola, per rientrare nel soffitto. Alzandosi, però, scoprì una lunga fila di guardie schierate con gli archibugi puntati su Giovanna e i suoi. "Arrendetevi!" gridò Trencabar che stava dietro i soldati. Giovanna, che per sollevare la cortina di ferro aveva posato ín terra la spada, allargò le braccia. "Purtroppo," disse "non posso far resistenza..." "Impadronitevi di costoro, conduceteli fuori e fucilateli contro il muro di cinta" comandò Trencabar, rivolto al sergente Manuel. "Non vi sembra di esagerare?" domandò il Viceré, mentre i soldati circondavano i tre. "Bisogna dare un esempio!" rispose Trencabar. "Ve lo darò anch'io un esempio" disse freddamente Giovanna. "Vi farò vedere come sanno morire dei Ventimiglia..." E uscì dalla camera a testa alta, circondata dai soldati e seguita da Jolanda e dal maggiordomo. Il Viceré la seguì con lo sguardo, quindi scosse la testa. "Avrei preferito vedere come sa morire un Trencabar!" disse. "Andate, andate, conte, questa notte non avete fatto altro che darmi delle disillusioni!"

Pagina 157

Il nostromo Nicolino che stava passeggiando su e giù nel giardino in funzione di sentinella, si fermò e guardò verso l'ingresso del patio da cui vide uscire Giovanna, Jolanda e il maggiordomo che vennero fatti appoggiare ad un muro mentre i soldati si schieravano di fronte a loro. Il conte di Trencabar si avvicinò alla vecchia e le domandò: "Avete un ultimo desiderio da esprimere?" "Sì," rispose Giovanna "vorrei l'onore delle armi e comandare io stessa il fuoco al plotone di esecuzione." "Veramente," disse Trencabar "questo si concede solamente ai militari, ma poiché in fondo siete una signora voglio essere gentile con voi... Comandate pure il fuoco... Io me ne vado perché non voglio assistere a questo spettacolo... Sergente, prendete voi il comando del plotone..." Quindi, rivolto a Giovanna: "Buon riposo... eterno" motteggiò. Mentre il sergente si collocava a fianco del plotone e il conte di Trencabar rientrava nel patio, Giovanna si erse fieramente e, rivolta al plotone, comandò con voce secca: "Plotone... at... tenti!" Il plotone scattò nella posizione di attenti. "Presentat... arm!" I soldati eseguirono rendendo così l'onore delle armi alla indomita vecchietta. "Fianc... arm!" comandò Giovanna. I calci dei fucili urtarono contro il suolo con un rombo sinistro. "Spall... arm!" I soldati per la forza dell'abitudine obbedirono come un sol uomo all'ordine e misero il fucile in ispalla. Giovanna, senza dar loro il tempo di rifllettere, ordinò: "Fuoco!" I soldati istintivamente premettero il grilletto e poiché i fucili tenuti a spall'arm erano puntati dietro le loro spalle, la scarica di fucileria che ne partì andò a vuoto. Giovanna ne approfittò per rivolgersi a Nicolino. "Gli archibugi sono scarichi!" gridò. "Nicolino, tocca a te!" Per uno strano fenomeno Nicolino capì subito la situazione e puntò il proprio archibugio contro il plotone che gettò le armi, mentre Giovanna, avvicinatasi I soldati istintivamente premettero il grilletto... al sergente Manuel, gli strappava la spada di mano e correva verso il cancello, gridando: "In ritirata!" I quattro fuggirono verso il cancello che chiusero alle loro spalle. I soldati, passato il primo attimo di stupore, raccolsero le armi e perdettero un mucchio di tempo a caricarle, dando così modo ai quattro di scomparire nel canneto. Quando i soldati e il sergente Manuel riuscirono ad aprire il cancello non videro altro che un uomo che stava passando in atteggiamento cogitabondo. "Da che parte sono andati?" gli domandò il sergente Manuel concitatamente. "Da quella parte" rispose l'uomo indicando una direzione completamente opposta a quella presa dai fuggitivi. I soldati corsero verso la parte indicata. Quel viandante, (poiché era proprio lui) li seguì con lo sguardo crollando il capo, quindi riprese la sua strada diretto verso il mare, spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni.

Pagina 166

Quando, dopo aver rischiato di essere divorati tutti e quattro per colpa del nostromo Nicolino che, incaricato di costruire una zattera, aveva legato insieme dei caimani ricoperti di melma, addormentati dopo un lauto pasto, avendoli scambiati per tronchi d'albero, i quattro ebbero raggiunto a nuoto la nave e si furono inerpicati su per una scaletta dai gradini fradici che pendeva da una murata, constatarono che in realtà la nave non solo era completamente deserta, ma che il suo aspetto era decisamente sinistro. "Non c'è proprio nessuno?" esclamò Giovanna. "È proprio questo che mi fa paura..." disse Nicolino. "Com'è che questa brutta nave è arrivata qui da sola?" "Mi sia consentito il dire che potrebbe essere stata condotta fin qui da un regolare equipaggio e abbandonata a causa di qualche epidemia" opinò il maggiordomo Battista. "E così ci sarebbe pure il pericolo di prendersi qualche malanno" disse Nicolino. "No, no, io me ne vado..." E avvicinatosi alla murata alzò una gamba per scavalcarla. Giovanna lo avvertì severamente: "Sentite, Nicolino, se volete andarvene siete padrone, ma ve ne andrete da solo... Ho trovato questa nave abbandonata e non ho nessuna intenzione di rinunciare a questa fortuna!" "E la chiamate fortuna?" rimbeccò Nicolino. "Una nave tutta nera con le vele rosse e un equipaggio di bacilli e di microbi!" "Vi ho detto che siete padrone di fare quello che volete" disse Giovanna. Si avvicinò al quadrato e aprì delle porte guardando dentro. "Qui vi sono delle cabine" disse. "Io e Jolanda andiamo a riposare... Voi due sistematevi come meglio credete... Buonanotte." "Buonanotte" disse Jolanda. Giovanna e la nipote entrarono ognuna in due cabine diverse. Nicolino si mise a brontolare. "Eh, buonanotte... Sai che buona notte possiamo passare su una nave che sembra fatta per andare all'inferno! Per di più qui c'è un puzzo di... come di tomba..." "Allora, resti?" gli domandò Battista. "E dove vuoi che vada?" "A terra..." "Eh, caro mio, purtroppo sono troppo a terra per andare a terra..." "E allora andiamo a cercarci un posticino dove poterci stendere..." "Purché non ci restiamo, stesi... E per sempre..." brontolò Nicolino. I due si allontanarono verso l'altro ponte della nave. Una leggera nebbiolina cominciò a formarsi in un punto del tavolato, prese forma, divenne un uomo che indossava un abito del cinquecento, lacero e consunto. Soffiò in un fischietto che gli pendeva dal collo attaccato ad una catenina d'argento, ma dal fischietto non uscì alcun suono. Come non fecero alcun rumore i marinai che indossavano abiti della medesima epoca del primo e che cominciarono a muoversi silenziosamente tirando gomene, sbrogliando vele e facendo girare il verricello per levare l'ancora. Poi l'uomo che si era messo al timone parlò. "Timoniere fantasma!" disse con forte accento fiammingo che rivelava in lui l'olandese o qualcuno che per lo meno era stato olandese. Una cupa voce scaturì dal nulla. "Comandate, capitano..." "Prendete voi il timone" disse l'Olandese. "Io vado a divertirmi un po' con questa gente." "Non avete paura?" domandò la voce del timoniere. "Perché?" "È viva!" rispose la voce del timoniere fantasma con un leggero tremito. "L'Olandese Volante fa paura, non ha paura" disse lo spettro. E si allontanò scivolando senza toccarlo sul tavolato del vascello fantasma.

Pagina 173

Poi Nicolino si avvicinò a quella di destra e ne sfiorò un cuscino con una mano. "Mamma mia!" esclamò. "Com'è umido questo letto" "Per forza, è sotto lo sportello" disse Battista "Guarda, fai come me... Rifallo..." E il maggiordomo voltate le spalle a Nicolino cominciò a disfare il suo letto. Nicolino prese a fare altrettanto con il suo. "Con queste lenzuola qui" si lamentò "c'è da farsi venire i dolori alle ossa..." "Mettile su una seggiola ad asciugare" suggerì Battista. Nicolino tolse un lenzuolo dal letto e lo collocò sopra una seggiola. Il lenzuolo si cominciò a gonfiare come se qualcuno vi fosse entrato dentro, si alzò in piedi e si avviò verso la porta aperta, uscendo. Nicolino, che aveva assistito al fenomeno con gli occhi sbarrati, cominciò a balbettare: 12. Giovanna Il lenzuolo si cominciò a gonfiare... "Ba... Ba... Battista?" Battista si voltò. "Cosa c'è?" domandò. "Il le... lenzuolo... Si è alzato e se ne è andato..." "Ma che cosa dici?" esclamò il maggiordomo scetticamente. "Avrai visto male!" "No, no, l'ho visto benissimo! Si è alzato in piedi... È uscito di lì..." "Sarà stato un colpo di vento" disse Battista alzando le spalle. Il maggiordomo si avvicinò alla porta e guardò fuori. "E un colpo di vento piuttosto forte," aggiunse "perché il lenzuolo qui fuori non c'è... Deve essere volato in mare..." "Ma... Come ha fatto?" "È semplice" rispose Battista. "Il tuo sportello è aperto, la porta è aperta... Si è formata una corrente d'aria che ha portato via il lenzuolo." Chiuse la porta. "Adesso," disse "la porta la chiudiamo, così non c'è più pericolo che si ripeta..." "Già," disse Nicolino "ma io come dormo?" "Con un lenzuolo solo..." "Eh, con un lenzuolo solo... Almeno fosse asciutto!" "E tu" gli consigliò Battista "fallo asciugare..." E il maggiordomo ritornò verso la sua cuccetta, riprendendo a rifare il suo giaciglio. Nicolino posò il secondo lenzuolo sulla seggiola e tornò ad occuparsi del suo letto. "Pure il materasso è umido..." "E tu voltalo sottosopra e coprilo con il lenzuolo..." Nicolino rivoltò sottosopra il materasso e per accertarsi che fosse asciutto, lo sprimacciò. Ma, premendolo con la punta delle dita, un getto d'acqua uscì dal materasso bagnandogli completamente la faccia. "Ba... Ba... Battista" gridò Nicolino, rimasto senza fiato. "Che c'è ancora?" domandò Battista, voltandosi. "Il materasso mi ha sputato in faccia!" "Vuol dire che è umido!" "Altro che umido... Sembra che sia pieno d'acqua, invece che di lana..." "E tu toglilo e dormi sul pagliericcio!" "E facciamo così" disse Nicolino, in tono rassegnato. Nicolino arrotolò il materasso, lo prese fra le braccia e si voltò. Sbarrò gli occhi perché vide il secondo lenzuolo che si alzò, aprì la porta e prima di andarsene come l'altro si voltò e fece un piccolo inchino. Quindi uscì tranquillamente. Nicolino terrorizzato chiamò Battista farfugliando che anche il secondo lenzuolo si era alzato e se ne era andato. "Per forza!" disse Battista. "La porta si è riaperta..." "L'ha aperta lui!" "Chi lui?" "Il lenzuolo!" "Ma fammi il piacere!" "E mi ha fatto anche un inchino prima di uscire..." "Sì, e magari anche 'ciao, ciao' con la manina..." Battista andò alla porta, l'aprì e guardò fuori. "Anche questo" disse "deve essere volato in mare..." Richiuse la porta e cominciò a spogliarsi. "Ti giuro che..." "Non giurare, ti prego..." Quindi, fissando Nicolino severamente: "Quando fai così," disse "mi fai una rabbia che mi fai perdere la mia calma abituale... Ti darei uno schiaffo..." "Ohi!" fece Nicolino mentre il rumore di un formidabile ceffone risuonava nella cabina. Nicolino dopo aver fatto "din don" con la testa si portò vivamente la mano alla faccia. "Me lo hai dato!" gemette. "Io?" esclamò Battista. "Sei pazzo!" "Sarò pazzo ma lo schiaffone l'ho sentito." Si guardò la faccia in un pezzo di specchietto attaccato alla parete. "C'è pure il segno delle cinque dita" mugolò. "Io qua dentro non ci sto un momento di più..." E Nicolino si avviò risolutamente verso la porta. Battista, che si stava per mettere a letto, crollò il capo: "Dovresti vergognarti... Di che cosa hai paura?" Ma, vedendo che Nicolino aveva aperto la porta, balzò a sedere sul letto. "Aspetta che mi vesta, non vorrai mica lasciarmi qua solo..." "Stai tranquillo, che non sei solo!" rispose Nicolino uscendo. "Qui dentro è pieno di gente che non si vede..." E Nicolino uscì sul ponte seguito da Battista che aveva afferrato i suoi calzoni correndogli dietro in mutande. "Ehi, aspettami, vengo con te!" gridò. Nicolino senza rispondere corse verso la murata. "Dove vuoi andare?" gli gridò Battista. "A terra!" rispose Nicolino senza esitare. Si avvicinò alla murata per scavalcarla, ma arretrò sorpreso. "Ma" balbettò "siamo in alto mare... La terra è sparita!" "Com'è possibile?" esclamò il maggiordomo, infilandosi i calzoni. "Le vele erano ammainate..." "Erano ammainate, vero!" disse Nicolino. "E allora... Guarda!" E indicò in alto. Il maggiordomo Battista alzò gli occhi e vide che tutte le macabre vele rosse del vascello erano spiegate e gonfie di vento. Battista non poté fare a meno di trasecolare. "Le vele sono tutte spiegate..." "E" esclamò Nicolino "come si spiega che sono spiegate?" "C'è una sola spiegazione possibile" disse Battista. "L'assenza di ciurma a bordo, le vele rosse, la nave che vola sul mare come un gabbiano nero... Ci troviamo a bordo del Vascello Fantasma." Rabbrividì perché gli sembrò di sentire una sghignazzata terribile.

Pagina 176

domandò balzando a sedere sul letto e guardando verso la porta. La porta si aprì con un sinistro cigolio e alto, spettrale, con le alghe verdi che gli piovevano sul volto umido, apparve l'Olandese Volante. "Io" disse. "Io, chi?" domandò Giovanna per nulla spaventata dall'apparizione. "E come vi permettete di entrare nella cabina d'una signora?" "Sono l'Olandese Volante" sogghignò lo spettro. La dichiarazione del fantasma non sembrò impressionare molto la terribile vecchia, che ribatté: "Siete un olandese maleducato, altro che volante! Uscite immediatamente!" Un po' scosso il leggendario personaggio cercò di spiegarle: "Ma io sono uno spettro... E anche la nave non è una semplice nave... È il Vascello Fantasma!" "Per questo ci fa così freddo qua sopra!" esclamò Giovanna. "Perché non dite ai vostri marinai, se ne avete, di accendere le stufe?" "Ma i miei marinai" rispose lo spettro un po' imbarazzato "sono duecento anni che sono diventati polvere!" "Ah, sono loro, allora, che sporcano tutti i mobili!" Passò il dito sul piano del comodino e lo mostrò all'Olandese Volante. "Guardate qui," gli fece constatare "c'è un dito di polvere dappertutto!" L'Olandese Volante era offeso dal fatto che Giovanna non fosse affatto spaventata dalla sua presenza. Il suo amor proprio di fantasma evidentemente ne soffriva perché protestò con dignità: "Signora," disse "il vostro contegno mi meraviglia oltremodo... Io sono un fantasma che terrorizza chiunque e voi mi trattate come una pezza da piedi..." "E cosa dovrei fare, scusate?" domandò Giovanna. "Abitualmente" suggerì l'Olandese Volante "a tutti quelli che mi vedono, i capelli diventano istantaneamente bianchi per lo spavento..." "Be'," disse Giovanna "io i capelli ce li ho già bianchi per conto mio!" "E allora," disse lo spettro, imbarazzato "vi dovrebbero diventare neri..." "Ma non dite sciocchezze!" gli dette sulla voce Giovanna, alzando le spalle. "Signora!" disse lo spettro, indignato. "Il vostro contegno è inqualificabile! Dovete sapere che un ammiraglio spagnolo che ardì salire a bordo del mio vascello, al solo vedermi ha avuto un colpo..." Giovanna si alzò e impugnò la sua spada per la punta, come una clava. "Bene," dichiarò in tono risoluto "il colpo ve lo do io, in testa, con l'elsa della mia spada se non uscite immediatamente dalla mia cabina!" "Sissignora!" disse lo spettro, intimidito. Voltò le spalle a Giovanna e si diresse verso la porta camminando con la schiena un po' curva, ma la nonna del Corsaro Nero lo richiamò indietro. "Ah, un momento!" gli disse. "Prima voi mi avete svegliata con un ridicolo versaccio." "Quello che voi chiamate ridicolo versaccio" ribatté l'Olandese Volante, in tono risentito "è la mia risata infernale che fa ghiacciare il sangue a chi abbia la sventura di ascoltarla dopo la mezzanotte!" "Be', la vostra risata infernale che fa ghiacciare il sangue a chi abbia la sventura di ascoltarla dopo la mezzanotte, voi, d'ora in avanti, se volete farla, la farete di giorno!" "Ma di giorno non serve a nulla!" scattò il fantasma, furioso. "Perché, di notte a che serve? A svegliare la gente per bene che sta dormendo, ecco a che cosa serve! Non sapete che dopo le dieci di sera sono proibiti gli schiamazzi notturni?" "Ma" obiettò l'Olandese Volante, domato "e se mi viene da ridere di notte?" "Ridete educatamente, sotto voce, così: 'Eh, eh, eh!'... Ecco, vedete com'è più carino?" "Sissignora" disse il fantasma. E provò a sghignazzare sottovoce come gli aveva insegnato la vecchia. "Eh, eh, eh, eh!" Il fantasma sollevò gli occhi e guardò timidamente Giovanna. "Così?" domandò. "Ecco bravo, così..." approvò Giovanna. Il macabro spettro voltò le spalle a Giovanna e si avviò verso la porta ridendo educatamente. "Eh, eh, eh, eh..." Si rese improvvisamente conto dell'assurdità della situazione e si ribellò: "Ma non ho più nessuna voglia di ridere!" protestò. "E allora non ridete, è molto meglio" disse Giovanna. "Pensate che siete morto da duecento anni... Mi pare che non ci sia proprio niente da ridere..." "È vero" dovette ammettere l'Olandese Volante colpito dalla giustezza dell'osservazione. "Scusate..." L'Olandese Volante uscì mortificatissimo. Giovanna pose la spada su un mobile e si buttò sul letto sbuffando. "Che razza di spirito, questo spirito!" L'Olandese Volante in preda ad un fortissimo choc si avviò verso il timone tentennando il capo e parlando da solo come i matti: "Incredibile! Non mi è mai accaduta una cosa simile! Maledizione!" E picchiò con stizza un gran colpo in terra. Il maggiordomo Battista e il nostromo Nicolino che stavano guardando con gli occhi sbarrati il timone della nave che si muoveva da solo, al colpo provocato dall'Olandese Volante si voltarono e lo videro. "Mamma mia bella!" esclamò Nicolino. "E quello chi è?" "Deve essere lui" disse il maggiordomo Battista. "L'Olandese Volante..." Nicolino terrorizzato si gettò in ginocchio. "Pietà, signor Olandese Volante" supplicò. "Non mi fate del male! Siamo quasi paesani!" "Paesani?" domandò l'Olandese Volante interdetto. "Sì," spiegò Nicolino "voi siete dei Paesi Bassi e io sono della Bassa Italia." Lo spettro scosse il capo avvilito. "State tranquillo, sono troppo demoralizzato in questo momento per pensare di far del male a qualcuno... Quella terribile vecchia mi ha smontato completamente... Avrei voglia di dare le mie dimissioni di fantasma..." "E perché non lo fate, signore?" domandò il maggiordomo Battista. "Perché non posso!" rispose l'Olandese Volante. "Una terribile maledizione pesa su di me! E sono condannato a vagare sui flutti con il mio vascello, spaventando la gente, finché qualcuno non riesca a spaventare me!" "E se qualcuno riuscisse a spaventarvi?" "Magari!" esclamò lo spettro. "Allora, sciolto da questo incantesimo che qui mi tiene, potrei lasciar per sempre questa nave e potrei andarmene lungi da qui... Libero!" esclamò con forza, eccitandosi al suono di quella parola. "Sarei libero di dissolvermi come immagine che puoi incontrare nel sogno... Libero!" seguitò alzando ancora la voce. "Liberissimo di sparire fra le nuvole... E i ricordi, i ricordi lasciare in fondo al mare. Libero" gridò levando le braccia al cielo. "Potrei essere, ma è impossibile, nessuno può rendermi libero! Libero! Libero! Libero!" La porta della cabina di Giovanna si aprì di colpo e ne uscì la vecchia furiosa. "Ma chi si crede di essere? Modugno?" gridò Antenato di un celebre cantante di musica leggera, vissuto nel 1667, che vinse il Festival della Canzone di Maracaibo (storico).. "Oh, Dio mio, la vecchia!" esclamò il fantasma terrorizzato. E scomparve di colpo. Giovanna si rivolse al maggiordomo e a Nicolino. "Deve essere ubriaco" disse. "Portatelo a letto." Nicolino balbettando indicò verso il punto dove avrebbe dovuto trovarsi l'Olandese Volante. "Ma... ma... ma... Non c'è più!" "Come?" disse Giovanna. Guardò anche lei, girò lo sguardo intorno, ma del fantasma nessuna traccia. "È sparito!" esclamò. "E senza prender commiato, signora" stigmatizzò Battista. "E come mai?" "Si è spaventato della signora..." opinò il maggiordomo Battista. "Ma non dite sciocchezze! Un fantasma non si spaventa!" "Lo dite voi!" risuonò una voce sepolcrale al disopra delle loro teste. "Voi fareste paura anche al diavolo! Comunque vi ringrazio di avermi liberato... Ma fate attenzione... La nave deve scomparire con me!" "La nave sta affondando!" gridò Nicolino. "Per le trippe del diavolo!" gridò Giovanna. "È vero!" E corse verso la cabina della nipote gridando: "Jolanda, Jolanda!" Mentre Jolanda usciva dalla sua cabina, Giovanna si rivolse a Nicolino e a Battista. "Presto, alle scialuppe di salvataggio!" "Inutile, signora contessa... Sono scialuppe fantasma!" disse il maggiordomo Battista. "Affonderanno anche loro!" "Possibile," esclamò Giovanna "che debba morire prima del mio mortale nemico e prima di aver effettuato la mia vendetta?" "Chissà... Siamo tutti buoni nuotatori, nonna..." disse Jolanda. "Forse qualche nave potrà raccoglierci... Infatti, guardate laggiù!" esclamò mostrando un punto all'orizzonte che cominciava a schiarire per le prime luci dell'alba. "Una nave!" "Su, seguitemi!" comandò Giovanna andando verso la murata. "Gettiamoci giù prima che il Vascello Fantasma, affondando, ci trascini nel suo gorgo." E balzò in piedi sulla murata della nave unendo Una lunga traiettoria nell'aria... le mani al di sopra della testa in posizione di tuffatrice. Una lunga traiettoria nell'aria e il corpo di Giovanna penetrò profondamente nell'acqua dall'altezza di sei o sette metri, riassommando quasi subito. La vecchia sferrò un calcio al muso di un pescecane che si ritirò guaendo, e si mise a nuotare a larghe bracciate, mentre i suol compagni si tuffavano a loro volta e il Vascello Fantasma si inabissava per sempre in un vortice che, illuminato dalla luna rossa che risplendeva nel cielo, aveva qualche cosa d'infernale.

Pagina 181

Un piccolo drappello di pirati si faceva largo a colpi di sciabola di arrembaggio fra le fitte liane della foresta vergine. Li comandava il Corsaro Nero, che, ad un certo punto, vedendo alcune rovine affiorare fra la folta vegetazione, alzò un braccio in aria. "Alt!" comandò con voce metallica. "Credo che abbiamo trovato ciò che stiamo cercando..." "Il favoloso tesoro degli incas?" domandò il Pirata Col Coperchio esultando. "No, signor Romoletti, il luogo dove potremmo trovare mia nonna... Ella non può essersi diretta altro che qui, dopo la sua fuga... Con il tesoro degli incas avrebbe potuto acquistare una flotta ed arruolare dei mercenari con i quali continuare per suo conto la guerra contro gli spagnoli come era sua intenzione..." Si rivolse al Pirata Meno Un Quarto. "Voi, signore, montate lassù, per favore" gli disse indicandogli una sorta di alta piramide la cui cima sovrastava quella degli alberi. "Per vedere da che parte è il tempio incas?" "Per vedere da che parte è mia nonna, signore..." "M'importa assai della nonna!" scattò il Pirata Meno Un Quarto. "Vi prego, signore, montate..." Il Pirata Meno Un Quarto soggiogato dallo sguardo ipnotico del Corsaro Nero (egli, oltre l'occhio d'aquila, l'orecchio della volpe, l'agilità della tigre e il naso del bracco aveva anche lo sguardo fascinatore del pitone il che lo faceva essere una specie di giardino zoologico), cominciò ad arrancare su per le scale della piramide incas con la sua gamba di legno. Arrivato in cima si rivolse al Corsaro Nero. "E adesso che debbo fare?" "Avete buona vista?" gli gridò il Corsaro Nero. "Vedo un passero lontano un miglio" rispose il Pirata Meno Un Quarto. Si portò vivamente la mano sull'occhio buono come se questo fosse stato colpito da qualche cosa. "Corpo di mille pescicani!" esclamò. "Adesso non lo vedo più..." "Che cosa?" "Il passero... Mi è passato sopra e mi ha tappato proprio l'occhio buono!" Si stropicciò l'occhio con forza. "Oh," esclamò. "Meno male." "Vedete nulla?" gli domandò il Corsaro Nero. "Un luccicar d'armi nella boscaglia... Sono soldati spagnoli..." "E che cosa fanno?" "Rotolano delle botti!" rispose il Pirata Meno Un Quarto. "E che è la vendemmia?" esclamò il pirata Catenaccio. "Credo di sapere perché vengono con delle botti... Scendete, signor Pirata Meno Un Quarto e noi, nascondiamoci! Vedremo se è il caso di attaccarli o no!"

Pagina 195

E poiché nessuno gli rispondeva si voltò, ma non vide il capitano Squacqueras che poco prima marciava accanto a lui. "E dov'è?" esclamò. "Signor capitano!" Il capitano Squacqueras fece sentire la sua voce. "Che diavolo volete! Perché mi chiamate?" "Non vi vedevo più..." "Perché ero alla retroguardia... Vi stavo guardando le spalle..." "Come capitano comandante il drappello, il vostro posto veramente sarebbe in testa" gli disse il sergente che cominciava a capire con chi aveva a che fare e, come vecchio soldato, non poteva approvare la condotta del suo superiore. "Perché vi siete messo in coda?" "Perché è il posto più pericoloso!" rispose il capitano con sicumera. "Non conoscete il proverbio latino: In coda venenum?, cioè, nella coda c'è il veleno? Ergo, stando in coda, c'è pericolo di morire avvelenati! E questo pericolo lo sto affrontando io!" "Non sarà perché avete paura delle zagaglie degli indios bravos o delle belve della foresta?" "Per una certa regola vostra io non temo le zagaglie e in quanto alle fiere ci sono abituato perché sono nato e cresciuto in Lombardia. Non avete mai sentito parlare delle famose fiere di Milano La Fiera di Milano, a quel tempo, si teneva a piazza dei Mercanti e vi si trovavano elmi, corazze, armi, castelli prefabbricati, carrocci costruiti in serie e spintoni. Questi ultimi, però, non erano in vendita, ma venivano gentilmente distribuiti ai visitatori da altri visitatori (storico).? Non ho paura di nulla io!" "Bum!" fece il sergente Manuel, stanco delle spacconate del capitano. Il capitano spiccò un balzo in aria guardandosi intorno, spaventato. "Corpo di mille bombarde!" esclamò. "Chi è che ha sparato una cannonata?" "Sono io che ho fatto 'bum' con la bocca, capitano, per le vostre smargiassate!" "Voi mi state mancando di rispetto, sergente..." "Voi appartenete alla polizia e io all'esercito, capitano... Perciò io non sono un vostro inferiore... Comunque, visto che non volete marciare in testa alla colonna, volete per lo meno dare a me la mappa?" "La mappa?" Il capitano si ricordò e, aperta la giubba, scoprì la carta che gli aveva consegnato il governatore e che egli aveva collocato fra la giacca e la camicia come se si trattasse di una carta senapata. "Ah," disse consegnandola al sergente "eccola!" "Ve la siete messa sul petto per evitare che ve la rubino?" domandò il sergente Manuel, ironicamente. "Veramente," confessò il capitano "me l'ero messa sul petto per evitare una bronchitella. Queste foreste equatoriali sono maledettamente umide! Eccovi la mappa..." Il sergente prese la mappa e la esaminò attentamente. "Secondo i rilievi del conte Raul," disse "questa città incas dovrebbe essere collocata dove il settantesimo parallelo si incrocia col decimo meridiano..." Si tolse l'elmo e si grattò la testa, imbarazzato. "Già," disse "ma come facciamo a vedere qui, dove il meridiano si incrocia col parallelo? Non abbiamo il sestante per fare il punto!" "Elementare, sergente Manuel, elementare!" disse il capitano. "Basta cercare queste caratteristiche righe nere che s'incrociano sulla carta fra l'erba della foresta. Immagino che saranno solo un po' più grosse..." Il capitano si chinò frugando con lo sguardo fra l'erba. Lanciò un grido di trionfo e impugnò e tirò su un lungo cordone nero della grossezza di un braccio d'uomo sollevandolo all'altezza del suo petto. "Ecco appunto un meridiano!" esclamò. "E il parallelo non dovrebbe essere lontano... Infatti, guardate..." E il capitano mostrò un altro grosso cordone "Ecco appunto un meridiano!" esclamò... lucido e nero che, avendo sollevato il parallelo, era venuto su insieme ad esso poiché si incrociava con il primo. "Ecco il parallelo!" annunciò trionfalmente. "Noi, veramente, li chiamiamo mussurana" disse il sergente Manuel. "Però, debbo ricredermi sul vostro conto, capitano... Avete un bel coraggio a tirar su così dei serpenti velenosi di quella lunghezza..." "Serpenti?" esclamò il capitano Squacqueras lasciando cadere a terra i presunti meridiano e parallelo e spiccando un balzo indietro. "E non mi dicevate nulla! Io non mi preoccupo per me ma per voi!" "I mussurana non attaccano l'uomo, preferiscono nutrirsi di serpenti velenosi, caro capitano" rispose ironicamente il sergente, mozzando la testa dei due serpenti con la sua spada. "Comunque, imparate come si fa!" "Oh, ma ecco il serpente, meno male!" esclamò il capitano. "Come? Vi è passata la paura dei rettili?" si sorprese il sergente. Poi vedendo di che si trattava: "Ah, capisco!" disse ironicamente. "Si tratta del serpente di pietra di cui mi avete parlato. Il serpente piumato..." "Già— Siamo arrivati!"

Pagina 197

"Non c'è nessuno," disse Giovanna "adesso usciamo di qui, ci gettiamo in mare e raggiungiamo a nuoto la costa..." "Sì, ma prima di uscire di qui bisognerebbe sapere in che punto della nave ci troviamo" disse Jolanda. "Mi sia consentito di dire che credo ci troviamo nella santabarbara..." rispose il maggiordomo. "Dove ci sono gli esplo... esplo... esplosivi?" balbettò Nicolino, terrorizzato. "Certo!" "E noi siamo entrati con la torcia accesa... Potevamo saltare tutti in aria! Mi sento male... Svengo!" Nicolino lasciò cadere la torcia accesa su un barile che fortunatamente era chiuso e svenne effettivamente fra le braccia di Giovanna, mentre il maggiordomo faceva appena in tempo ad acchiappare la torcia. "Proprio qui sopra la doveva lasciar cadere!" esclamò. Giovanna assestò degli schiaffetti in faccia a Nicolino. "Su, su" lo incoraggiò. Poi, crollando il capo: "È proprio svenuto... Nicolino!" chiamò forte assestandogli un paio di ceffoni madornali. "Sveglia! Dobbiamo uscire subito di qui..." Nicolino riaprì gli occhi e mormorò con voce debole. "Dove sono?" "Te l'ho detto!" esclamò il maggiordomo. "Nella santabarbara... A momenti ci facevi saltar tutti in aria, con la tua torcia..." "Oh, mamma mia bella!" gemette Nicolino. "È svenuto un'altra volta!" disse il maggiordomo. "Per forza" disse Jolanda. "Quando rinviene e domanda dove si trova non bisogna dirgli che si trova nella santabarbara... Altrimenti sviene ancora e non potremo mai uscire..." Giovanna appioppò altri due schiaffoni a Nicolino. "Sveglia!" disse. "Oh, ecco. Il fellone sta rinvenendo." Nicolino, infatti, riaprì gli occhi. "Dove sono?" domandò ancora. "Dove sei?" gli disse il maggiordomo. "Non vedi questi barili? Siamo... siamo nella dispensa..." "Oh, mamma mia bella" gemette Nicolino con voce languida. "Perché diavolo svenite, adesso?" gli domandò Giovanna, con impazienza. "A pensare che ci troviamo nella dispensa mi sento svenire dalla debolezza..." "Non siete nella dispensa, siete nella santabarbara!" scattò Giovanna. Nicolino barcollò. "Mamma mia bella!" "Basta!" comandò Giovanna. "Smettetela di svenire! E prepariamoci alla fuga!" Il maggiordomo, che nel frattempo aveva raggiunto la porta, la schiuse. "La porta è aperta" disse. "Ma chissà dove porta" obiettò Nicolino. "Dove porta, porta... Comunque, ci porterà in porto..." "Perché, quella porta dà sul porto?" "Basta," ruggì Giovanna. "Non è il momento di fare stupidi giochi di parole!" Raccolse una spada e delle altre armi che erano nella santabarbara e le distribuì. "Qui ci sono delle armi," disse "prepariamoci per la sortita..." Si avvicinò alla porta e l'aprì guardando fuori sul ponte. "Non c'è nessuno" disse, uscendo. "Andiamo a gettarci in mare..." "Non vi scomodate" risuonò la voce ironica di Trencabar. "Vi ci farò gettare io in mare... Ma dopo avervi impiccati..." "Preferisco morire con la spada in mano" ringhiò Giovanna. "In guardia, marrano!" Trencabar indietreggiò chiamando a gran voce: "A me, marinai! Guardie!" I soldati spagnoli sbucarono da tutte le parti con gli archibugi puntati e avanzarono silenziosamente contro Giovanna. Ma davanti a lei e a Jolanda corse a piazzarsi Raul, facendo loro scudo con il suo corpo. Snudò la spada. "Non le toccate!" gridò. "Dovrete prima passare sul mio cadavere!" "Tu, Raul!" esclamò Trencabar dolorosamente sorpreso. "E oseresti rivolgere la spada contro tuo padre?" Raul abbassò la punta della spada. "No, ma mi lascerò uccidere dai tuoi uomini!" rispose. Trencabar si rivolse ai soldati. "Circondatelo e prendetelo senza fargli del male" comandò. "Qualche giorno ai ferri lo farà rinsavire! E prendete anche lei!" "Chi tocca la nonna avrà del piombo!" gridò una voce metallica alle loro spalle. Tutti si voltarono verso la voce e videro che da una delle botti che avrebbero dovuto contenere il tesoro degli incas era sbucato fuori il Corsaro Nero come un bau bau a molla, con due lunghe pistole in mano. "A me, signori uomini del mare!" gridò con voce terribile. Le altri botti si scoperchiarono e ne balzarono fuori i pirati che puntarono le loro armi sui soldati e Trencabar. I soldati gettarono le armi e alzarono le mani. "E voi volevate che vi facessi colonnello per questa bella impresa!" ruggì Trencabar, furioso, rivolgendosi "A me, signori uomini del mare!" gridò con voce terribile. al capitano Squacqueras. "Mi avete portato il Corsaro Nero proprio sulla nave!" "Prigioniero dentro una botte!" rispose Squacqueras. "Servizio a domicilio!" "Macché prigioniero! Adesso i prigionieri siamo noi..." "Proprio così, egregio governatore" disse il Corsaro Nero avanzando su di lui. "Siete nostro prigioniero..." "E che cosa avete intenzione di fare?" domandò Trencabar. "Ah, ah!" rise finalmente il Corsaro Nero. "Ah, ah, ah!" sghignazzò rifacendosi in una sola volta di anni di umor nero. "Mi domanda che cosa abbiamo intenzione di fare! Ah! ah! ah! Diteglielo voi, signori pirati!" "Ti faremo fare la passerella!" ghignò il Pirata Meno Un Quarto. "La passerella? Non sono una ballerina di rivista!" protestò dignitosamente Trencabar. "Ah, ah, ah!" seguitò a sghignazzare allegramente il Corsaro Nero a cui dolevano le mascelle per il gran ridere. "Fategli vedere che cos'è la passerella, al governatore..." Due pirati corsero a prendere una lunga tavola flessibile che collocarono in modo che sporgesse con l'estremità più lunga dalla murata della nave, sul mare. "Legategli le mani dietro la schiena e fatelo avanzare sulla passerella" ordinò il Corsaro Nero torcendosi dalle risa. "Ah, ah, ah! Che spasso, quando lo vedremo ballare là sopra!" "Aspettate!" disse Raul, avanzando. "Voglio dividere la sorte di mio padre..." "Lo farei anch'io volentieri, ma non so ballare" disse il capitano Squacqueras. "Un momento!" esclamò Trencabar. "Arrivati a questo punto, è meglio che dica tutta la verità." "Quale verità?" gli gridò sul volto Giovanna. "Hai ucciso i miei nipoti il Corsaro Verde e il Rosso!" "Ma io non ho ucciso proprio nessuno!" esclamò il governatore. "Come non hai ucciso nessuno?" rispose il Corsaro Nero. "Ah, ah, ah, hanno visto il Corsaro Verde e il Corsaro Rosso, ah, ah, ah, non ne posso più dal ridere dopo tanta tristezza, tutti hanno visto i miei fratelli ah, ah, ah, impiccati! E li avete lasciati lì come semaforo! Ih, ih, ih, ih!" "Non erano i vostri fratelli!" dichiarò Trencabar. "Erano soltanto due manichini..." "Due manichini?" trasecolò Giovanna... "Sì, due fantocci! Assalii è vero la nave comandata dai due corsari, ma essa andò a picco con tutto il suo equipaggio..." "E allora?" domandò Giovanna, con ansietà. "Ero soltanto vice governatore in quel tempo... Per ottenere la promozione dovevo dar prova di durezza al Viceré... E così, dato che i due corsari erano scomparsi in mare, feci vestire di rosso e di verde due fantocci e li impiccai..." "Mente! Mente per la gola!" gridò il Corsaro Nero con voce metallica. "Tieni, caro" gli disse Giovanna prontamente, tirando fuori una scatoletta e offrendogli due pastiglie. "Cosa sono?" "Mente per la gola... Non devi urlare così... Ti va via la voce metallica!" "Ma no, sto dicendo che egli mente per la gola, che afferma sfrontatamente il falso. Quale prova ci può dare di aver detto la verità?" "Uomini in mare!" gridò in quel momento il Pirata Col Coperchio che aveva preso il posto della vedetta spagnola sulla coffa del galeone. "Non è il momento di soccorrere naufraghi, questo!" esclamò il Corsaro Nero, seccato. "Eh, no, potrebbero essere nemici, guardiamo di che si tratta!" disse Giovanna. Corse alla murata, guardando nell'acqua. "Due uomini su una zattera!" esclamò. "Ma... Sono vestiti uno di verde, l'altro di rosso! Che siano i miei nipoti?" "I miei fratelli!" esclamò il Corsaro Nero. "I miei zii!" esclamò Jolanda, commossa. "I miei padroni!" esclamò Battista. "I miei guai!" gemette Nicolino. "Perché i tuoi guai?" domandò il maggiordomo. "Eh, sì, perché se ne ho passati tanti con il Corsaro Nero, che era vestito da persona seria, figuriamoci quelli che passerò con questi, tutti colorati come sono!" Intanto i pirati avevano gettato dalla murata una scaletta. Giovanna si sporse dal parapetto. "Sì, sì, sembrano proprio loro..." disse. Uno dopo l'altro i due corsari creduti morti saltarono sulla nave. "C'è qui la nostra nonna!" esclamò il Corsaro Verde. "E nostro fratello!" gridò il Corsaro Rosso. "E nostra nipote... e il nostro fedele maggiordomo." Mentre tutti si abbracciavano piangendo di commozione, Raul si avvicinò a Jolanda e la prese per mano. Si rivolse al Corsaro Nero. "Ma allora... Se le cose stanno così," disse "se il Corsaro Verde e il Rosso sono vivi... Io posso sposare Jolanda..." "Oh, questo, no!" esclamò il Corsaro Nero ridiventando serio. "E perché?" gli dette sulla voce Giovanna. "Ci ha salvato la vita tante volte... È un bravo ragazzo!" "E va bene!" disse il Corsaro Nero, tornando a sorridere. "Quello che nonna vuole, Dio lo vuole!" "Avanti, ragazzi," disse Giovanna spingendo i due giovani l'uno nelle braccia dell'altro. "Abbracciatevi e siate felici... Vi sposerete nel mio castello di Ventimiglia! E abiterete con me!" "Viva Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" gridarono tutti, amici e nemici in coro. "E mai più guerra fra i Ventimiglia e i Trencabar" sussurrò dolcemente Jolanda, baciando appassionatamente Raul.

Pagina 211

A bordo della Tonante, un agile e veloce quattro alberi che in quel momento, però, si stava cullando pigramente sulle onde del Mar dei Caraibi, il Corsaro Nero misurava nervosamente, a lunghi passi, il tavolato del ponte di comando. Jolanda, "... Egli cadde in un lago di sangue... E siccome non sapeva nuotare, affogò!..." che era uscita dalla sua cabina, gli si avvicinò: "Ciao, papà" gli disse, alzandosi in punta di piedi per dargli un bacio su una guancia. "Ciao, Jolanda" rispose cupamente il Corsaro Nero. "Com'è che sei sempre così malinconico?" "Non sono malinconico, Jolanda" rispose il Corsaro Nero. "Sono preoccupato." "Per via del prossimo attacco a Maracaibo?" domandò Jolanda. "No, per via della nonna" rispose il Corsaro Nero, sempre più cupo. "Vuoi comandare la nave a modo suo e combina un mucchio di pasticci..." In quella passò il Pirata Col Coperchio sorreggendo a fatica un enorme pacco di tela. Il Corsaro Nero lo chiamò. "Ehi, voi, signor Pirata Col Coperchio... Venite un po' qua..." "Comandate" disse il Pirata Col Coperchio, lusingato di sentirsi chiamare signore, ciò che del resto il Corsaro Nero, ex ufficiale di marina della Repubblica di Genova, faceva con tutti. Il Corsaro Nero indicò il pacco. "Cos'è quel pacco?" domandò. "La vela di trinchetto" rispose il Pirata Col Coperchio. "E perché l'avete staccata? Dove la state portando, signor Pirata Col Coperchio?" "Dalla vostra signora nonna" rispose il Pirata Col Coperchio che non voleva essere da meno in cortesia e belle maniere. "E perché se è lecito, signore?" domandò il Corsaro Nero. "Ha detto che le vele sono sporche e ha dato l'ordine di staccarle tutte... Dice che bisogna lavarle, stirarle e che le terrà lei nel suo cassettone, in cabina..." "Le vele?" esclamò il Corsaro Nero. "Ma se cambia il vento ed è necessario alzarne qualcuna?" "Dice la sua signora nonna che bisogna chiederle a lei... Dice che è lei che comanda qui sopra..." "Va bene, signore, andate pure..." Il Pirata Col Coperchio si allontanò con il suo pacco di stoffa e il Corsaro Nero si rivolse a Jolanda: "Hai sentito?" le disse. "E così per ogni cosa..." Il nostromo Nicolino, che stava passando con forza uno straccio sul tavolato del ponte, sentì la frase del Corsaro Nero e alzò la testa. "A me" disse "ha dato ordine di lucidare a cera tutto il tavolato della nave..." "Meno male!" esclamò Jolanda. "Così finalmente sarà pulito..." "Signorina, è pulito, ma ci si scivola sopra e ci si fanno certi cascatoni!..." "E voi perché non camminate a piedi nudi, come facevate prima?" "Non credo che la nonna lo permetterebbe mai" osservò giudiziosamente Jolanda. "Tutti debbono essere calzati..." "E non basta" sospirò il nostromo Nicolino. "Dobbiamo camminare tutti sui pattini di stoffa..." Infatti in quel momento il Pirata Meno Un Quarto, che stava passando, faceva sforzi terribili per scivolare con grazia su due pattini di stoffa, ma non riusciva che ad arrancare faticosamente. Anche perché, al posto della gamba di legno che aveva prima, ora ne aveva una tutta curva, lavorata ad intaglio e dorata come la gamba di un tavolino da salotto. Il Corsaro Nero allibì e lo chiamò con un secco: "Signor Pirata Meno Un Quarto..." "Ai vostri ordini, comandante" disse il Pirata Meno Un Quarto, avvicinandosi come meglio poteva al Corsaro Nero. "Che razza di gamba di legno vi siete messo, signore?" domandò il Corsaro Nero, con voce severa. "Cos'è questa buffonata?" "Non sono stato io, comandante" rispose il Pirata Meno Un Quarto."È stata la signora Giovanna..." "E perché vi ha fatto mettere quella gamba lì?" "Perché" rispose il Pirata Col Coperchio "dice che quella di prima stonava con lo stile della nave, che è barocco!" Il Corsaro Nero guardò la figlia e il nostromo Nicolino allargando le braccia in un gesto di sconforto. "Cosa vi avevo detto?" disse con voce cupa. "Ho ragione o no di essere preoccupato? Mia nonna, a bordo, rappresenta un vero pericolo..." "Il pericolo numero uno" canticchiò incoscientemente Nicolino. "La nonna!" "Signor nostromo!" tuonò il Corsaro Nero, in tono severo. Ma fu interrotto dal grido della vedetta che dall'alto della coffa gridò proprio in quel momento: "Nave da guerra in vista a nord est!" Mentre il Corsaro Nero con un balzo felino raggiungeva "Perché dice che quella di prima stonava con lo stile della nave, che è barocco!" la murata per guardare nella direzione indicata dalla vedetta (egli oltre a possedere la vista di un'aquila e le orecchie di una volpe, aveva anche l'agilità di una tigre) Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, arrivò di corsa proveniente dalla sua cabina. Appariva piuttosto arrabbiata ed interpellò il nipote con una certa rudezza: "Che cosa succede qui?" domandò. "Che cosa sono questi urli?" "È stata avvistata una nave da guerra, nonna" rispose il Corsaro Nero indicando i quattro alberi di un galeone che sbucavano all'orizzonte. "E c'è bisogno di gridare tanto?" scattò Giovanna. "Non hanno mai visto una nave i tuoi pirati? Che razza di uomini di mare sono?" "Ma, nonnina," intervenne Jolanda con la sua dolcezza abituale "non può fare a meno di gridare se vuol farsi sentire... Lo vedete? È lassù, sull'albero di maestra." "E perché diavolo ci si è arrampicato?" proruppe Giovanna indignata. Alzò la testa verso la coffa e si rivolse alla vedetta facendo portavoce con le mani. "Ehi, tu... Scendi immediatamente di lì! Finirai con il cadere e farti male!" "Ma, nonna!" protestò il Corsaro Nero. "Quell'uomo è lassù per vedetta..." "La miglior vedetta è il perdono" sentenziò Giovanna. "Quella è la vendetta, nonna..." la corresse il Corsaro Nero. "E credo che sia proprio arrivato il momento della mia vendetta! Quel galeone ha issato la bandiera spagnola." Intanto una nuvoletta di fumo era apparsa sulla fiancata della nave. Dopo qualche secondo giunse fino alla nave corsara il rumore di un colpo di cannone. "E adesso" domandò Giovanna "perché diavolo sparano?" "Sparano a salve... Ci invitano ad alzare la nostra bandiera" rispose il Corsaro Nero. "Bene" disse Giovanna. E, rivolta al nostromo: "Issate la nostra bandiera" comandò con voce secca. Il nostromo Nicolino rispose: "Sissignora" e, aperta una cassa nella quale erano altre bandiere, ne estrasse quella dei pirati, nera, con il teschio e le tibie incrociate. L'attaccò dove doveva attaccarla per issarla sull'albero maestro, ma Giovanna nel vederla aggrottò le sopracciglia. "Che cosa è questa roba?" domandò severamente. "La bandiera dei filibustieri, signora..." "Vorreste insinuare che i filibustieri sono velenosi?" "Perché?" domandò il nostromo Nicolino. "Ha lo stesso disegno che è sull'etichetta del mio disinfettante... Comunque, se quella è la nostra bandiera, issatela..." Il nostromo Nicolino obbedì e cominciò a far salire la bandiera verso l'alto dell'albero di maestra mentre il Corsaro Nero esclamava: "La nonna ha ragione! Meglio dar battaglia lealmente a questi dannati spagnoli! Facciamo pur saper loro chi siamo?" Sul galeone spagnolo il capitano Squacqueras, accanto al quale era il giovane Raul di Trencabar, stava guardando la nave corsara con il solito cannocchiale da marina. "Adesso vediamo che bandiera alzano e se per caso sono dei pirati... ci penso io!" Sbarrò gli occhi vedendo, ravvicinata dal cannocchiale, la bandiera dei Fratelli della Filibusta che sventolava mostrando il teschio ghignante e le tibie incrociate. Terrorizzato, lasciò cadere il cannocchiale. "Ma sono proprio pirati!" esclamò con voce strozzata. "Bene!" esclamò Raul, raggiante. "Finalmente potremo dar loro battaglia!" "Su," continuò concitatamente, rivolto al capitano Squacqueras, "prendete voi il comando della nave, date gli ordini per l'assalto." "Ma siete pazzo!" protestò il capitano ambrosiano-spagnolo. "Quelli sono pratici di battaglie navali e io no!" Raul lo guardò disgustato. "Come?" esclamò. "Se avete detto che con due soli uomini avete preso un brigantino!" "Infatti" ammise il capitano. "Era un brigante piccolo... piccolissimo... il figlio di un brigante... Aveva appena tre anni... Ed era un brigante terrestre, non marino... Be', io vado..." Così dicendo voltò le spalle a Raul e fece per avviarsi verso il quadrato di poppa, ma Raul lo trattenne. "Dove andate, capitano?" "Nella mia cabina" rispose il capitano. "Soffro un po'di mal di mare..." "Non sarà che avete paura, per caso?" gli domandò ironicamente il giovane Raul. "Paura io?" esclamò il capitano Squacqueras portando la mano all'elsa dello spadone la cui punta si sollevò da terra assumendo così la posizione detta in quei tempi "bramasangue". "Per una certa regola vostra, non c'è nessuno che possa mettermi paura, su questa terra..." "Oh, meno male!" sospirò Raul, sollevato. "Allora, restate..." "Un momento!" continuò il capitano Squacqueras. "Ho detto che non c'è nessuno che possa mettermi paura su questa terra... Ma, siccome qui siamo in mare... Arrivederci!" Il capitano Squacqueras si affrettò ad allontanarsi il più velocemente che gli fosse possibile. Raul abbozzò un gesto di stizza. "Non importa," esclamò "prenderò io il comando del galeone." Il giovane Raul raggiunse con due salti il cassero della nave, quindi facendo portavoce con le mani: "Tutti ai vostri posti di combattimento?" gridò. "Artiglieri, ai vostri pezzi!" "Signori uomini del mare, tutti ai vostri posti di combattimento, per favore! Signori cannonieri, ai vostri pezzi, per cortesia!" gridò il Corsaro Nero con voce metallica. Il Pirata Meno Un Quarto si avvicinò arrancando sulla sua gamba di legno istoriata. Aveva in mano una palla da bombarda. "Signor conte," dichiarò "c'è solo questa di palla..." Il Corsaro Nero non riuscì a nascondere la propria sorpresa. "Non ci sono altre palle?" disse. "Come mai?" Glielo spiegò Giovanna. "Le ho fatte chiudere io nella stiva!" disse. "Non mi sembra giusto che, con tutto il da fare che c'è su questa nave, gli uomini perdano tempo a giocare..." "Ma nonna, queste sono palle da bombarda" protestò il Corsaro Nero. "Ma potrebbero servire benissimo, così rotonde come sono, per giocarci alle bocce... Guarda..." Così dicendo Giovanna tolse la palla dalla mano del Pirata Meno Un Quarto e la fece ruzzolare sul tavolato del ponte appunto come una boccia, facendo cadere un castelletto di archibugi che i pirati avevano costruito in quel punto per tenerli sotto mano in caso di combattimento ravvicinato, come se fossero birilli. Il Corsaro Nero si rivolse al Pirata Meno Un Quarto. "Presto, signor Pirata Meno Un Quarto, correte a prendere le palle di cannone nella stiva..." "Per che farne?" domandò il Pirata Meno Un Quarto. "Come, per che farne?" scattò il Corsaro Nero, esasperato dal fatto che gli spagnoli avevano aperto il fuoco e alti getti d'acqua provocati dalle loro cannonate si alzavano qua e là intorno allo scafo della Tonante, dimostrando che la loro rosa di tiro si stringeva sempre più."Per sparare contro gli spagnoli!" "Già, ma noi non abbiamo polvere" disse candidamente il Pirata Meno Un Quarto. "Non c'è polvere?" gemette il Corsaro Nero, annichilito. "L'ho fatta togliere io" disse Giovanna. "Non 3. Giovanna Così dicendo Giovanna tolse la palla dalla mano del Pirata Meno Un Quarto... mi piace viaggiare sopra una nave piena di polvere! Esigo la massima pulizia, a bordo..." "Santo cielo!" esclamò il Corsaro Nero, disperatamente. "E adesso, come la mettiamo?" Un colpo terribile squassò la Tonante che si inclinò leggermente su un lato. Il nostromo Nicolino arrivò di corsa: "La na... nave è stata colpita!" balbettò. Il Corsaro Nero corse verso la murata della nave, guardò in basso. "È vero! Signori uomini del mare!" tuonò. "Adunata! Falla a poppa!" Nicolino soffiò nel suo fischietto da nostromo traendone un forte sibilo e i pirati corsero verso di lui. "Cosa vogliono costoro?" domandò Giovanna, inarcando le sopracciglia. "Fanno l'adunata" rispose il nostromo Nicolino. "Mio nipote ha gridato: 'Adunata! Falla a poppa!', quindi l'adunata si deve fare a poppa mentre qui siamo a prua." "Ma no, nonna, va bene così" intervenne il Corsaro Nero."Perché le pompe per vuotare la nave dall'acqua sono sotto il castello di prua... Uomini del mare, alle pompe, alle pompe!" "Non ci sono più pompe a bordo" rispose il nostromo. "Come, non ci sono più pompe?" "Le ho fatte gettare in mare per ordine della contessa..." E poiché il Corsaro Nero lo guardava con la faccia inebetita: "La signora contessa" spiegò "ha detto che finché durava il lutto per i suoi nipoti il Corsaro Verde e il Corsaro Rosso, ogni pompa doveva essere abolita, a bordo..." "Ma si trattava delle pompe mondane, non delle pompe per pompare!" urlò il Corsaro Nero mentre la nave che imbarcava acqua a torrenti cominciava a sbandare paurosamente. "E adesso? Qui andiamo a picco!" "A picco?" disse Giovanna. "Non si era detto che dovevamo andare a Maracaibo? Qui si cambia sempre idea..." "Stiamo andando a picco, a fondo, in bocca ai pescicani!" gridò il Corsaro Nero, esasperato. "Se vogliamo salvarci non ci resta che tentare l'arrembaggio del galeone... Signori uomini del mare, presto... Preparate i grappini di arrembaggio!" "Gettati in mare" rispose laconicamente il Pirata Col Coperchio. "Anche quelli? E perché?" "Per ordine della contessa... Quando ha sentito parlare di grappini ha detto che non voleva alcoolici a bordo e ha comandato di buttarli via..." "Ho l'onore di annunciarvi che la nave sta affondando, signori!" disse il maggiordomo Battista comparendo silenzioso come un fantasma accanto al Corsaro Nero. "Forse è meglio abbandonarla" disse Nicolino. "Qui la faccenda comincia a puzzare di bruciato." Infatti, alcune palle incendiarie lanciate dal galeone spagnolo avevano appiccato il fuoco in più punti del vascello. Il Corsaro Nero che oltre ad avere l'occhio d'aquila, l'orecchio della volpe e l'agilità della tigre, aveva anche il naso di un bracco, annusò l'aria: "Purtroppo," disse"non sento nulla... Tutto è perduto, anche l'odore! Comunque, signor nostromo, avete ragione..." Gridò alla ciurma che si affrettò ad obbedire correndo verso il barcarizzo: "Calate le scialuppe di salvataggio! Prima le nonne e i bambini!" "Ma non ci sono bambini a bordo" obiettò il Pirata Col Coperchio. "Jolanda è sempre la mia bambina, per me" disse il Corsaro Nero con voce commossa."Su, montate sulla scialuppa anche voi" disse rivolto al nostromo Nicolino. "Come uomo di mare potrete aiutarli a raggiungere la costa..." Giovanna, Jolanda, il maggiordomo Battista e il nostromo Nicolino montarono sulla scialuppa di salvataggio. "Ma il comandante non deve andare a fondo con la sua nave?" tentò di obiettare Giovanna. "Mi sia consentito il dire" disse il maggiordomo Battista mentre i pirati facevano calare la scialuppa in mare "che se voi ve ne andate c'è speranza che la nave si salvi..." "E mio nipote?" domandò Giovanna. Il maggiordomo indicò il cassero della nave sulla quale si stagliava contro il cielo azzurro la cupa figura del Corsaro Nero. "Guardate lassù," disse "il Corsaro Nero piange."

Pagina 22

"A dire la franca verità," rispose Giovanna "in qualunque maniera lo si cucini, il maiale è sempre migliore del nostromo..." "Grazie, contessa!" esclamò Nicolino, commosso. "E allora, vecchia pallida," esclamò il Cacicco che in fondo era un buon uomo amante della buona tavola "noi ti nominiamo nostra regina..." "Dei cuochi?" "Dei cuochi e dei caraibi... E tu insegnerai alle nostre donne come si cucina!" "E io accetto!" esclamò Giovanna con entusiasmo. "E vi insegnerò certi piatti che vi faranno dimenticare il cannibalismo..." Mentre Nicolino, Jolanda e il maggiordomo Battista respiravano di sollievo, il Cacicco batté le mani ordinando ai selvaggi: "Si sciolgano gli altri prigionieri e si danzi in onore della regina dei cuochi e dei caraibi!" I prigionieri vennero sciolti, mentre gli indiani facevano rullare i loro tam tam e si mettevano a ballare una danza selvaggia leggermente più composta del twist. Ma si interruppero perché stavano arrivando nel centro del villaggio il capitano Squacqueras e Raul sospinti dalle zagaglie degli indiani che li avevano catturati nella foresta vergine. "Piano!" stava gridando il capitano Squacqueras. Non spingete, smettetela di punzecchiarmi con le vostre zagaglie, non sono un bue, non ho bisogno di essere pungolato!" Uno degli indiani si rivolse al Cacicco dicendogli una lunghissima frase in dialetto caraibo. Il Cacicco rispose con un cenno del capo. "Cosa gli ha detto?" domandò Giovanna al maggiordomo Battista. "Soltanto 'Salve, capo'" rispose Battista. L'indiano indicò i due prigionieri e disse: "Mu!" "E adesso che cosa gli ha detto?" "Gli ha detto che hanno incontrato quegli uomini bianchi nella foresta con dei soldati armati di canne tonanti. Che i soldati sono riusciti a liberarsi e a fuggire e questi due sono rimasti nelle loro mani." "Strana lingua!" commentò Giovanna, crollando il capo. Il Cacicco batté le mani. "Siano legati al palo della tortura!" comandò. "Un momento" intervenne Giovanna. "Prima sentiamo chi sono..." "Siamo spagnoli" disse Raul respirando di sollievo perché aveva visto dei bianchi in mezzo a quei selvaggi. Giovanna avvampò. "Spagnoli, avete detto? A morte!" Il capitano capì che la vecchia ce l'aveva con gli spagnoli, e corse immediatamente ai ripari. "Un momento!" disse. "Qui c'è un equivoco... Noi non siamo spagnoli..." "Mi sia consentito il dire" intervenne Battista "che lui però ha detto" e indicava Raul: "'Siamo spagnoli'." "Perché non l'avete lasciato finire!" disse il capitano Squacqueras. "Lui voleva dire: 'Siamo spagnoli? No!' negazione! 'Siamo di un altro paese!'... Io infatti sono italiano e lui è svizzero..." "Svizzero italiano, francese o tedesco?" domandò Giovanna. "Americano!" si affrettò a rispondere il capitano Squacqueras che non sapeva come Raul se la sarebbe cavata se lo avessero interrogato in una di quelle tre lingue. "È nato da genitori americani a Lucerna... È un lucernaio..." "Siete soldati di ventura?" interrogò Giovanna. "Direi piuttosto di sventura..." "Siamo corsari" affermò Raul. "Appunto" confermò il capitano. "Siamo corsari, corsarissimi... Avete mai sentito parlare del Barbanera?" "Sì," disse Nicolino "lo conosco benissimo, l'ho visto un centinaio di volte alla Tortue... Ma non siete voi!" "Appunto" rimediò il capitano. "Io sono molto più bravo di lui... Per lo meno il doppio... Infatti, mi chiamano il Doppio Barbanera Illustrato..." "Perché illustrato?" domandò Giovanna. "Per via di questi tatuaggi che ho sul petto" rispose il capitano aprendosi la camicia sul petto e mostrando il torace ricoperto di tatuaggi rappresentanti scene di battaglia. Jolanda si rivolse a Raul il cui bell'aspetto l'aveva evidentemente colpita. "E voi?" gli domandò. "Io?" disse Raul. "Sono... sono il Corsaro Blu..." "Uhm!" osservò Giovanna. "Dall'accento si direbbe che siate spagnolo..." "Sono portoghese" dichiarò Raul. "Appunto" rimediò il capitano. "Io sono molto più bravo di lui... Per lo meno il doppio... Infatti, mi chiamano il Doppio Barbanera Illustrato..." "Allora non pagate quando andate a teatro!" esclamò Nicolino. "Uhm!" fece Giovanna. "E... avete mai combattuto contro gli spagnoli?" "In mille battaglie!" si affrettò a vantarsi il capitano Squacqueras. "E ad ogni combattimento che vincevo, riusciva sempre più difficile ai miei nemici di ferirmi..." "Come mai?" "Le medaglie che avevo guadagnato nei combattimenti precedenti mi facevano da usbergo..." "Se siete così coraggiosi come dite..." disse Giovanna, dopo un attimo di riflessione. Si rivolse al Cacicco. "Che siano lasciati liberi!..." comandò con voce secca. Quindi, rivolta ai due: "Vi arruolo sotto le mie bandiere... Le bandiere della regina dei caraibi..." "Molto bene" esclamò il capitano Squacqueras, sollevato. "Ma, permettetemi una domanda: fra le vostre bandiere non ce n'è per caso una bianca?" "No, non abbiamo l'abitudine di adoperarla!" rispose Giovanna, fieramente. "Appunto..." disse il capitano. "Volevo sapere se c'era una bandiera bianca per poterci scrivere sopra il mio motto: 'Noi non ci arrenderemo mai!". Raul credette bene metter fine alle smargiassate del capitano. "Ed ora diteci, signora... Cosa dobbiamo fare?" "Questa notte" rispose Giovanna "monterete la guardia all'ingresso della palizzata che circonda questo villaggio... Il vostro compito sarà facile perché il cielo è sereno e la luna è piena..." "Piena?" esclamò il capitano Squacqueras. "Beata 0 lei! Io, invece, sono vuoto, vuotissimo... Avrei bisogno di un paio di occhiali..." E poiché Giovanna lo guardava interrogativamente: "Ho una fame che non ci vedo" spiegò. "Va bene," ordinò Giovanna agli indiani "portategli da mangiare... Voi, Corsaro Blu, andate, intanto... Jolanda, accompagnalo..." "Volentieri, nonnina!" si affrettò a rispondere Jolanda, tutta contenta... Jolanda con un cenno del capo invitò il sedicente Corsaro Blu a seguirla e si allontanò verso l'ingresso del villaggio. Intanto il capitano Squacqueras si stava rivolgendo ad una donna indiana. "Allora," le stava domandando "che cosa c'è da mangiare, buona donna?" La donna rispose ciangottando qualche cosa di incomprensibile. "Non capisco questa lingua..." sospirò il capitano, scuotendo la testa. "L'unica lingua che comprenderei, in questo momento, è la lingua in iscatola..." "Se il signore me lo consente, traduco io..." intervenne gentilmente il maggiordomo Battista. "Ha detto che c'è una cinghialessa arrosto..." "Una cinghia, ohibò! E poi, ditemi, buon uomo, se questa cinghia di cui parlate è lessa, come fa ad essere arrosto?" "Ma no, si tratta della femmina del cinghiale..." "Molto bene, ben venga la cinghialessa, allora... E ditemi, buon uomo... Vino ce n'è?" Battista cavò dalle falde della sua lunga giacca una borraccia. "Porto" disse. "Portate pure" disse il capitano, equivocando. "Ma portatelo presto perché debbo portarmi alla porta..." Alla porta del recinto, Jolanda si fermò. "Ecco, è qui" disse, rivolta a Raul. "Buona guardia, signor Corsaro Blu..." E si voltò per andarsene, ma molto lentamente, per dire la verità. Raul la fermò prendendole un braccio. "Ve ne andate di già?" domandò. "Sì" rispose Jolanda. "Perché non restate con me?" domandò Raul. "A che fare?" domandò Jolanda. "A tenermi compagnia..." rispose Raul. "E a guardare le stelle..." "Anche la luna è molto bella stanotte" sospirò Jolanda. "Fino ad un certo punto" rispose Raul, scetticamente. "Signor Corsaro Blu, cosa dite?" esclamò Jolanda. "Il cielo è così bello questa sera proprio perché c'è la luna..." Raul si avvicinò ancora di più alla fanciulla. "Ma sarebbe molto più bello per me," disse "se al posto della luna ci foste voi..." "Perché?" domandò Jolanda, battendo rapidamente le palpebre. "La sera, in cielo, invece della luna ci sarebbe Jolanda... Tutti i telescopi della terra punterebbero su Jolanda... E invece del chiar di luna ci sarebbe il chiar di Jolanda..." "Già, ma succederebbero anche delle altre cose 5 Giovanna spiacevoli" rispose giudiziosamente Jolanda. "Molti si domanderebbero se Jolanda è abitata e sarebbe molto seccante per me dover sentire la gente che cita il proverbio: 'Gobba a levante, Jolanda calante, gobba a ponente, Jolanda crescente...' Oppure sentire qualcuno lamentarsi perché la moglie quella sera ha la Jolanda per traverso. Senza contare che starei lontanissima..." "Avete ragione, Jolanda... Ed io per chiedervi un bacio, dovrei venire fin lassù!" "Perché?" domandò ingenuamente Isabella. "Avreste intenzione di chiedermi un bacio?" "Sì, ma non so come reagireste..." "Io..." cominciò Jolanda avvicinando il suo volto a quello di Raul. I due giovani stavano per baciarsi quando con molto scarso senso di opportunità arrivò il capitano Squacqueras. "Ehm, ehm!" tossicchiò discretamente. Jolanda si voltò di scatto, lo vide e: "Oh!" esclamò confusa. "Arrivederci e... buona guardia, signor Corsaro Blu!" E fuggì via, tanto per fare un paragone nuovo, come una cerbiatta impaurita. Il giovane Raul, un po' seccato, si rivolse al capitano. "Caramba!" imprecò. "Proprio in questo momento dovevate capitare!" "In qualità di capitano è naturale che debba capitare da un momento all'altro" si giustificò Squacqueras. "Ma debbo dirvi qualche cosa di molto importante: mentre voi cantavate quel duetto d'amore con la ragazza, io facevo cantare la vecchia... Lo sapete chi sono quelle due?" I due giovani stavano per baciarsi... "La regina dei caraibi e sua nipote" rispose Raul. "Sono rispettivamente la nonna e la figlia del Corsaro Nero, se non vi dispiace... E domani mattina hanno intenzione di raggiungere Maracaibo alla testa dei loro indiani per espugnarla... Mettete che trovino lì anche il Corsaro Nero con i suoi pirati, sarà molto difficile che la città resista..." "E allora, che cosa consigliate di fare, capitano?" "È molto semplice, mio giovane amico... Scappare! Se la vecchia viene a sapere che siete il figlio dell'uomo che ha fatto impiccare i suoi due nipoti, il Corsaro Rosso e il Verde, utilizzandoli poi come semaforo stradale, ci farà fare la stessa fine... E, francamente, mi seccherebbe di finire i miei giorni in mezzo a una strada..." "Noi raggiungeremo Maracaibo, attraversando a tappe forzate la foresta!" "La foresta? Ohibò! Non sono forestiere!" "Forse, non conoscendola bene, avete paura di finire affondato nelle sabbie mobili della savana tremante?" "Paura io? Se mai sarebbe la savana ad aver paura di me... Per questo la chiamano tremante." "O temete i serpenti e le belve?" "Scherzate!" esclamò il capitano Squacqueras. "Se dovessi incontrare un anaconda, me ne farei una cravatta, se dovessi essere caricato da qualche bisonte, gli opporrei la mia fronte e vedreste chi è più forte dei due, in omaggio al proverbio che dice: 'Chi l'ha dura la vince!' In quanto al giaguaro, poi, esso in fondo non è che un grosso gatto! Per ciò che riguarda gli orsi..." Il suo sguardo cadde casualmente fra i cespugli. Il capitano Squacqueras lanciò un urlo di terrore: "Oh, Dio, un orso!" Raul guardò dalla stessa parte e vide un piccolo orso che, seduto in terra, sgranocchiava allegramente un grosso salmone, pescato molto probabilmente nel vicino torrente. "Ma no, capitano" si affrettò a rassicurare Squacqueras. "È soltanto un innocuo baribal... Si nutre esclusivamente di pesce..." "Già" obiettò il capitano Squacqueras. "Ma io sono capitano..." "Ebbene?" gli domandò Raul prestandosi gentilmente a fargli da spalla. "Potrebbe scambiarmi per un capitone... Non si sa mai!" "Comunque è meglio andare... Se andiamo di buon passo, fra un paio di giorni avremo raggiunto Maracaibo..." "Un giorno solo se procederete con la mia stessa velocità!" affermò con forza il capitano Squacqueras. "E se lascerete a me il compito di guidarvi..." Quindici giorni dopo, Raul di Trencabar e il capitano Squacqueras, stanchi, laceri, con la barba incolta e i piedi gonfi, stavano litigando fra loro ai piedi di un gigantesco albero di tamarindo. "E io vi dico, capitano Squacqueras, che a quest'ora avremmo dovuto già aver raggiunto Maracaibo, se non ci fossimo smarriti nella foresta vergine!" "Smarriti? Ohibò, mio caro Raul, è impossibile! Maracaibo si trova a nord e io ho sempre camminato nella direzione indicata dall'ago della mia bussola..." "E dov'è la vostra bussola?" "Mi è caduta in terra mentre guardavo la rotta e, naturalmente, si è rotta..." "E allora, come diavolo avete fatto a seguire la direzione indicata dall'ago?" esclamò Raul, irritatissimo. "Elementare, mio giovane amico, elementare! Lo tenevo in mano... Così..." E il capitano Squacqueras mostrò l'ago della bussola che egli teneva stretto fra il polpastrello del pollice e quello dell'indice. "Ecco, perché ci siamo smarriti!" esclamò Raul. "L'ago magnetico deve poggiare sopra una punta d'acciaio, non va tenuto in mano! E adesso, senza bussola, come facciamo?" "Niente paura!" rispose il capitano Squacqueras. "Ci orienteremo con le stelle..." "Ma le chiome di questi alberi sono così fitte che le stelle non si possono vedere!" "Lo dite voi, giovanotto! Prima, a causa del buio ho dato una testata al tronco di un albero e ho visto delle stelle grosse così!" "Capitano," disse Raul con impazienza "con quelle stelle lì non possiamo orientarci... Bisogna attendere il sorgere del sole..." Si guardò intorno. "Se potessimo trovare una grotta, o il tronco di un albero cavo per trascorrere la notte al coperto, almeno! Purtroppo, non vedo nulla di simile da queste parti... Ossia... Guardate là!" Così dicendo indicò al capitano qualcosa che biancheggiava fra i tronchi d'albero. Il capitano, spaventato, fece un salto indietro. "Oh, sant'Ambrogio mio, che cos'è?" "Un serpente piumato..." rispose Raul avvicinandosi alla cosa che biancheggiava. Il capitano, spaventato, fece un salto indietro. "Piumato o spennato, sempre un serpente è!" "Ma è di pietra!" Così dicendo Raul si avvicinò all'oggetto che biancheggiava, scostò le liane che lo nascondevano in parte scoprendo l'effige del dio incas Quetzaticoal che com'è noto è rappresentato sotto la forma di un serpente piumato. "Si tratta" spiegò Raul "di un idolo degli incas..." E poiché il capitano Squacqueras lo guardava interrogativamente: "Gli incas" spiegò "sono i primi abitanti dell'America... Essi furono quasi totalmente distrutti dai primi conquistadores che volevano impadronirsi dei loro immensi tesori... Comunque, se qui c'è un idolo, nelle vicinanze ci deve essere qualche tempio abbandonato... Infatti, mi sembra di vederne la sagoma nel buio... Sì, sì, è proprio un tempio incas... Cosa ne dite, capitano? Potremmo rifugiarci lì, per questa notte..." "Dico," rispose il capitano Squacqueras "che sarebbe bene andare subito specialmente se, come dite voi, il tempio è abbandonato... Non sarà facile trovarne un altro da queste parti e poi, come dice il proverbio? Chi ha tempio, non aspetti tempio..."

Pagina 57

Cerca

Modifica ricerca