Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: a

Numero di risultati: 156 in 4 pagine

  • Pagina 1 di 4

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189180
Pitigrilli (Dino Segre) 50 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Non so a chi dedicare questo libro. Come se di nemici non ne avessi abbastanza, con questo " Galateo „ ho voluto farmene ancora qualcuno. P.

Oggi i piedi si chiamano piedi, perchè con l'invenzione delle calze trasparenti le donne hanno imparato, dopo 8000 anni ,di civiltà, a lavarseli, a curarli, a modellarli, a verniciarli. Alcune, non tutte, hanno anche imparato a camminare. E alcune, una quantità minima (le danzatrici e le sportive) hanno imparato una cosa difficilissima, a correre. Un consiglio generico alle mie lettrici, è di non correre mai; poche sanno farlo esteticamente, ed è meglio perdere il treno o il marito o un'occasione che perdere lo stile e l'eleganza. Grazie all'invenzione delle calze di seta nera che trionfarono nel «french cancan» e all'invenzione delle calze trasparenti, le gambe che per il passato erano dei semplici strumenti di locomozione, oggi sono opere d'arte, e lo stesso Socrate che faceva alla cortigiana Theodate un corso sull'arte di piacere, oggidì sul capitolo gambe non avrebbe niente di nuovo da insegnarle. Per gli uomini è diverso. Una scarpa di uomo non è una opera d'arte. E' una scarpa. La scarpa deve rimanere il più possibile con la suola a contatto del pavimento. E' lecito accavallare le gambe, quando si ha una calza di seta impeccabile da mettere in vista, ma a condizione che le due gambe formino un angolo non superiore ai 35 gradi. Cioè che al ginocchio di sotto corrisponda il vuoto popliteo di sopra. Non formare un angolo retto. Non formare una T. Non appoggiare una caviglia all'altro ginocchio, e non far girare il piede sovrapposto, come una lancetta d'orologio impazzito. Non prenderti la caviglia nella mano a teatro; e al cine non avvicinare la pianta del piede al ginocchio della vicina. Il piede serve esclusivamente a camminare e a spingere l'acceleratore, a suonare l'organo e a mettere fuori dei piedi chi non sa decentemente servirsi dei suoi.

Pagina 101

Domandarono a una bambina inglese come si chiamava. Rispose «My name is Mary don't», cioè «mi chiamo Maria non fare». La povera bambina-martire aveva così intimamente assimilato i divieti con i quali i genitori frenavano i suoi gesti, da identificarli col suo nome. L'educazione è un freno agli impulsi, è una disciplina per costituire quell'eleganza che è una forza più potente del denaro e di un titolo universitario, è l'arte di ricostruire artificialmente quell'aristocrazia che si modella attraverso decine e decine di generazioni, a patto che un'indisciplinata trisavola non si sia concessa qualche distrazione democratica col parrucchiere, con l'apoticario, col suo direttore di coscienza e con l'attendente del generale. Gli inglesi dicono che occorrono otto generazioni per imparare a portare il frac, i cinesi sostengono che dieci generazioni sono indispensabili per fare un uomo educato, e il principe dei gastronomi contemporanei, Curnonsky, sentenziò che ci vogliono duemila anni per imparare a stare a tavola. Speriamo che la famosa eloquenza dei numeri sia qui un puro «jeu d'esprit», perchè in caso contrario dovremmo rinunciare a ogni tentativo di miglioramento e metterci a mangiare pane e salame, con le mani, su una panca di giardino pubblico, e le mie raccomandazioni non avrebbero ragione d'essere né per chi le legge né per chi le scrive. Che cos'è la volgarità esteriore? E' soffiare sul cucchiaino, discutere masticando il chewing-gum, fiutare il tappo dopo aver sturato una bottiglia, far crocchiare le ossa stiracchiando e comprimendo le dita, scrutare contro luce il biglietto di banca che il cameriere ha dato di resto, leccarsi il pollice per voltare una pagina, rovesciare all'indietro, copertina contro copertina, le due parti di un libro, (che implacabile rivelatore della personalità è il modo di trattare i libri!) incidere insolenti punti di esclamazione e di interrogazione ai margini, e lardellarli di «bene!» e di «giusto!», come se l'autore non aspettasse altro che la nostra approvazione e la nostra firma per varcare la soglia dell'immortalità. Volgarità, fisica è trasformare noi stessi in uomini-orchestra, usando le labbra per fischiettare, le unghie per tamburellare, la punta dei piedi per battere il tempo. Giorgio Brummel diceva che il perfetto dandy, attraversando un salon dove si fa della musica, deve camminare in modo che i suoi passi non vadano mai d'accordo col pezzo che si sta suonando; camminare al suon di musica sembrava all'arbitro della moda e dell'eleganza «una cosa da soldati e da coristi». Il valore di un uomo si giudica dal posto che il silenzio occupa nella sua vita. Volgarità esteriore è entrare in casa d'altri con la sigaretta accesa, accenderla senza essere spontaneamente autorizzati dal padrone di casa, presentarsi alla casa altrui d'improvviso, senza telefonare prima. Il perfetto gentiluomo spegne la sigaretta prima d'entrare nell'ascensore e sa che la casa non né un ufficio postale né un bazar. La maggior parte delle cose che fanno piacere a noi dànno fastidio agli altri: Baldassarre Castiglione diceva che è ineducato tutto ciò che dà noia ai sensi; capisco che suonare il tamburo con le nocche delle dita sul vetro di una finestra possa essere un derivativo, uno sfogo, una scarica per i nostri nervi o anche un eccitante psichico: certi uomini d'affari nordamericani si sfogano a temperare lapis e a spaccar legna mentre studiano un affare, attendono un comunicato di borsa o si dibattono nell'angoscia di una decisione; altri non sanno discutere senza camminare in lungo e in largo davanti a quel disgraziato, immobile, seduto, che deve seguirli nelle loro evoluzioni; ma l'uomo d'affari non è un modello d'eleganza; il demone della speculazione elimina in lui lo stile, il pudore e il ritegno. Egli serve splendidamente a confermare come la mancanza di controlli sia sufficiente a far uscire l'animale dalla vernice superficiale del gentleman.

Pagina 109

Riassumendo: Abitua i bambini a evitare le domande come: «Sai che cosa ho pensato?» «Sai chi ho incontrato?» e le frasi «Te la dò in mille a indovinare», «Mi faccio tagliare il collo se...», «Scommetto 100.000 lire contro un soldo che...» e le esclamazioni «Ah, se si fosse dimenticato di venire», « Ah, se domani facesse sole!» Sono abitudini che i bimbi prendono in casa, nelle case dove si parla a vanvera, così. Abituali a non usare i modi «Chissà, chissà quando, chissà se» e gli inopportuni «non è vero?», gli «eccetera eccetera, e una cosa e l'altra, i non so se mi spiego». Abituali a telefonare, quest'operazione che dovrebbe essere un esercizio di buona educazione: a chiedere scusa quando sbagliano numero, a non inveire se ha sbagliato l'altro; quando chiamano qualcuno al telefono, non domandino villanamente «con chi parlo?», ma dicano: «io sono il tale e desidero parlare al signor X». Se poi tu sei il signor X, educa tua moglie, tua figlia, la serva, la segretaria a rispondere che ci sei o che non ci sei. Non possono ignorare se sei in casa o se sei uscito, e la risposta «vado a vedere se c'è» sarà un mezzo di difesa contro gli importuni che hanno un disco a portata di dito, ma le preoccupazioni per non farsi cogliere al telefono sono la risorsa di coloro che comperano a credito dal macellaio.

Pagina 119

Si racconta che in non so quale paese il prudenziale invito a non distrarre il conduttore degli omnibus con conversazioni inutili sia redatto in tono diverso per ogni lingua: in italiano «non parlate al manovratore». E' lo stile semplice di Roma, maestra del diritto. In francese: «preghiera di non parlare al manovratore». E' la signorilità di un popolo abituato da secoli a rispettare le formule cerimoniali. E' il «s'il vous plait» del carnefice che invita la pallida aristocratica a posare il collo sotto la lama della ghigliottina; è il « pardon, monsieur », di un'altra gentildonna, che salendo gli stessi scalini dello stesso patibolo ha involontariamente pestato un piede al boia. In tedesco: «Proibito parlare al manovratore». E' la durezza militare, intransigente di un popolo intossicato dalla disciplina, nato per andare al passo, per cristallizzarsi davanti al «verboten», per obbedire a un caporale o a un epilettico, deciso a irreggimentare il mondo. E finalmente in scozzese, o in ebraico, o in turco (a seconda dei gusti e delle personali antipatie), nella lingua cioè di uno di quei popoli che hanno fama di amare il denaro e le speculazioni, quasi che gli altri popoli infilassero di sorpresa i biglietti da mille nelle tasche altrui e comperassero a dieci per rivendere a cinque. In una di queste lingue è scritto : «Perchè parlare al manovratore? Che cosa avete da guadagnarci?»

Pagina 127

Non è per aver contrapposto un'affermazione a un'ipotesi, che Socrate dovette bere la cicuta, né per aver opposto una teoria a un'altra teoria che Copernico, Galileo, Pasteur, Koch, Semmelweis ebbero i dispiaceri che sappiamo, ma per aver scosso il prossimo, dal suo pigro torpore, dall'abitudine, dalla «routine», dal generalizzato «è molto più comodo credere così». La maggioranza si illude di avere idee proprie, ma non le ha. E' nelle condizioni di chi compera un abito fatto e se lo sceglie color cannella, o azzurro, o «pied de poule» o «Principe di Galles», a doppio petto o a un petto solo, e crede, con la scelta, di aver affermato la propria personalità, senza rendersi conto che di quella stoffa se ne sono tessute centinaia di chilometri, e che fra un petto solo e due petti c'è poco da scegliere. Dal momento che ognuno pensa col cervello di tutti gli altri e si compera (alla scuola o dal giornalaio) o assimila gratis (nella strada) le idee fatte, non è disposto a rinunciare al suo patrimonio mentale, e non si lascia strappare un dente che egli ritiene sano, ma che, se si tratta di un grossolano errore logico, gli serve splendidimente a mangiare. Ognuno difende col revolver alla mano il patrimonio del suo deficiente pensiero. Le rivoluzioni insegnino.

Pagina 133

Riassumendo : Se hai interesse a sapere qualche cosa da qualcuno, vai a pranzo con lui, ma senza donne. Vai a casa sua, ma non portarti dietro quella glamour-girl, tanto biondina, tanto carina e tanto inopportuna. Se hai da spiegare qualche cosa all'avvocato, vai da solo. Se ti visita il medico, prega tua moglie di uscire, perchè lei ha la smania di dirgli ciò che tu hai, come ti senti, perchè stai così, e che un malessere come il tuo lo aveva avuto anche suo zio.

Pagina 147

Qualora tu abbia moglie o qualcosa di equivalente, non fartela sedere accanto e non permetterle di collocarsi in piedi, di fronte, a farti una pantomima di Cassandra quando perdi, nè ténere esortazioni di sirena a ritirarti con lei, quando hai raggranellato qualche guadagno. Se anche lei ama la roulette o il trente et quarante, giocate a due tavoli diversi. Per esempio, tu nel casino di San Sebastiàn (Spagna) e lei in quello di Knokke-Le-Zoute (Belgio).

Pagina 156

Lo scrittore Fontenelle che a ottant'anni si curva a raccogliere il ventaglio a una giovinetta di diciotto è un esempio di quell'automatismo e di quella spontaneità che debbono reggere le norme della buona educazione. Il togliersi il cappello davanti a una signora, anche se è la propria sorella o la propria moglie, l'offrire la la sedia a una donna che entra in un'anticamera di dentista, il cederle il passaggio, l'aprire la porta, il tenerla aperta non debbono essere la conseguenza di una ragionamento, ma un atto spontaneo; dev'essere più forte di noi. E' per automatismo che un re di Francia si levava il cappello al passaggio delle cameriere. La cortesia francese sempre vigile, mise in bocca al generale Alessandro di Beauharnais una frase famosa. Lui e sua moglie Giuseppina nel 1794 si trovavano nel carcere rivoluzionario; un cancelliere fece l'appello dei «ci-devant» che dovevano essere portati alla ghigliottina, e dopo aver letto alcuni nomi, disse: - Beauharnais Giuseppina e Alessandro si fecero avanti. - Due? Perchè due? Io ne ho uno solo in nota - disse il funzionario. Allora il generale Alessandro si volse alla moglie dalla quale era divorziato: - Permettete, signora, che per una volta nella vita io passi davanti a voi. E salì con passo di ginnasta sulla carretta dei condannati a morte. Non tutti noi abbiamo l'occasione di compiere gesti così imponenti di galanteria, ma decine di piccole occasioni si presentano anche a noi di manifestare il rispetto dovuto a questo essere fragile nel corpo e nell'anima, nella dialettica e nella volontà, ma così ammirevole nelle sue risorse di generosità, di intuizione, di sensibilità. Non dimentichiamo che non si contraddice mai una donna. Bisogna lasciarla nella sua convinzione, anche se è nell'errore. A una donna che ci telefona che non sta bene, non si domanda mai che cos'ha. Se è stata in una clinica «per una piccola operazione» non le si domanda mai che cosa le hanno tolto. Se sul suo comodino ci sono delle boccette di medicinali, non si legge l'etichetta. Se a tavola prende delle pastiglie non si domanda a che cosa servono. Il grado di intimità che ci ha concesso non ci autorizza a trattarla come uno straccio di nostra proprietà. Non si deve però cadere nella cafoneria di chiamarla, quando si parla di lei, «la mia signora». Si dice «mia moglie». Napoleone che aveva preso lezioni di belle maniere dalle dame della vecchia aristocrazia, chiamava l'Imperatrice «ma femme».

Pagina 180

Lo narra nella Leggenda Aurea Giacomo da Voragine, e io non ho difficoltà a crederlo. Al principio del secolo scorso si conservava in una chiesa di Catania uno dei due seni della vergine e martire, assolutamente autentico, e io non stento a credere nemmeno a questo. Spero che ci sia ancora. Mi seccherebbe che l'avessero venduto. Quando arrivava a Catania un nobile visitatore, lo si ammetteva al bacio della reliquia, ciò che fu fatto per il duce di Ossuna, vicerè di Napoli, il quale, prima di avvicinare le labbra al seno della santa, si volse alla moglie e le disse rispettosamente: - Avec votre permission, madame. Mariti, imparate!

Pagina 182

L'uomo che non si piega, che ha sulle labbra ciò che ha nel cuore, che non la manda a dire a nessuno, l'uomo «tutto d'un pezzo» si ritiri, come Budda, a meditare nella giungla, ma non pretenda di circolare nel consesso umano. Chi vuole far parte della società ed essere bene accolto, deve adattarsi alle circostanze ambientali, e se si muove nei vari strati sociali o se si sposta attraverso regioni diverse, deve rispettare nei limiti del possibile le suscettibilità dell'ambiente. La prima condizione per entrare nelle grazie del prossimo è pronunciare correttamente nomi e cognomi. In Sudamerica la cosa è difficlle, perchè nessuno sa fare le presentazioni; i nomi vengono generalmente masticati e trasformati in una poltiglia indecifrabile; la padrona di casa il più delle volte dice il cognome di uno dei due, lasciando brillare sull'altro l'aureola dell'anonimato, come se fosse uscito il giorno prima dal penitenziario, e dice «mio cugino». Le due vittime, quando non hanno il coraggio di domandarsi a vicenda «chi è lei?», rimedieranno a quell'errore di stile con uno scambio di biglietti di visita al momento di separarsi e allora stupefacente rivelazione, si scoprirà che quello che ci era sembrato un medico è un direttore delle ferrovie, e rimpiangeremo le belle cose che avrebbe potuto raccontarci sulle cause dei disastri ferroviari, sullo smarrimento degli ombrelli e dei bambini, e sul furto dei pacchi postali. L'antica Roma, culla della finezza e dell'eleganza, considerava atto di buona educazione chiamare ciascuno col proprio nome. Il padrone che riceveva, ogni mattina, la visita dei suoi clienti, aveva bisogno del «nomenclator», che gli suggeriva all'orecchio il nome di ciascuno a mano a mano che si presentava. Nei comizi colui che sollecitava i suffragi si teneva accanto il suo nomenclator e talvolta due, e poteva così avvicinarsi a colpo sicuro ai cittadini dei quali sperava il voto. Spesso il nomenclator, a seconda dell'importanza del personaggio, dava indicazioni biografiche e ricordava sommariamente aneddoti ed episodi, suggeriva pretesti per attaccar discorso e per far leva sulle fragilità umane dell'individuo. Nella sua epistola a Numidius, Orazio consiglia : «Comperiamoci uno schiavo che ci suggerisca i nomi, che ci urti leggermente il fianco sinistro e ci avverta di tendere la mano a quel piccolo mercante, in mezzo ai pesi e alle bilance. Costui può molto nella tribù Fabia; quello, nella tribù Velina, quell'altro darà colpi di verga a chi gli farà piacere darli: in un momento di cattivo umore, toglierà a chi gli verrà in mente la sedia curule». Gli errori di nome possono riuscire fatali a colui che vi incorre. Verso la metà del secolo scorso l'attrice tragica Rachel fece ridere tutta Parigi, perchè quando le presentarono lo scultore Millot (pronuncia Milò), gli fece ampi elogi per la sua famosa Venere. - La mia Venere? - domandò Millot aggrottando le sopracciglia in un panoramico riesame mentale delle proprie opere, fra le quali non figuravano nè Veneri vestite nè Veneri nude. In quei giorni si parlava molto della Venere di Milo (pronuncia, alla francese, Milò) che aveva lasciato la sua sognante isola mediterranea per burocratizzarsi nel Museo del Louvre. E la bella attrice, più istintiva che colta, confermò con impertubabile à plomb: - Ma sì, tutta Parigi non parla che della Vénus de Milo! Dove si vede che non basta ricordare come il nome si pronuncia, ma anche come si scrive. Appunto perchè è facile confondere i nomi, è raccomandabile catalogarli nella propria memoria. Madame de Girardin racconta che un signore della provincia che le era stato presentato le fece il resoconto di ciò che aveva visto di più notevole nella Capitale. Due scrittori i cui nomi correvano allora su tutte le labbra erano Alphonse Karr e Paul de Kock. - Ho visto tutto - le disse il provinciale; - ieri sono stato all'Accademia, e ho ammirato i quaranta immortali, meno uno che era morto il giorno prima e due che erano malati, ma ci sono due scrittori che rimpiango di non aver visto: non frequentano il vostro salotto? - E quali sono? - domandò la signora. - Paul de Karr e Alphonse Kock. Per parte sua chi ha un cognome un po' bizzarro deve collocarsi dal punto di vista di colui che lo legge per la prima volta. Le lettere scritte a macchina debbono, a macchina, recare il nome del firmatario, anche se si chiama Bianchi, Levi o Pérez; la firma può essere uno sgorbio qualunque; ma nella lettera scritta a mano va chiarita da un bollo che non lasci incertezze o dall'intestazione a stampa. San Paolo faceva scrivere dai segretari le epistole e tracciava di suo pugno le prime parole e la firma. Mi pare questo un tratto di eleganza e di cordialità; ma sarebbe stato consigliabile far scrivere in stampatello il nome. A colui che non ha compreso bene il cognome non basta ripeterlo, specialmente se si tratta di un nome straniero. Un agente fermò un automobilista che era passato senza obbedire alla luce rossa del semaforo. - Il vostro nome? - Galupvarslibedensky. - Come si scrive? - Con una ipsilon - rispose l'automobilista. L'agente, che già era disposto a lasciar correre, gli fece pagare la contravvenzione. Io, al posto dell'agente, lo avrei mandato sotto processo per oltraggio a un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Un vasto settore, quello degli artisti, merita uno speciale trattamento. Il capo della claque della Scala salutò Toscanini in questi termini: - Buona sera, commendatore. - E maestro non le pare che basti? - rispose Toscanini con un'occhiata gelida che lo trasformò nella biblica statua di sale. Gli artisti che hanno scelto uno pseudonimo, anche se finora hanno appena cantato una romanza in una serata di beneficenza, o composto un epitalamio per la cugina Carolina, debbono essere chiamati con lo pseudonimo. A costo che la lettera si smarrisca, scrivete lo pseudonimo sulla busta, guardandovi bene dall'aggiungere fra parentesi nome e cognome. La lettera non si smarrirà, perchè avranno già provveduto la cantante o il poeta ad avvertire il postino e la portinaia. In Svizzera un tale, per farmi sapere che era amico di Trilussa, mi domandò: «E che notizie ha di Carlo?» Diagnosticai senz'altro in quel tipo una stupidità ribelle ai sulfamidici. Il giorno dopo sua moglie scappava nel Messico con un suonatore di batteria in un'orchestrina di jazz, portandosi via i due milioni che il marito previdente aveva messo in conto corrente. Il poeta Trilussa era vendicato.

Pagina 19

Una bambina di cinque anni, condotta a una cerimonia nuziale, contemplò i fiori, le candele, i sacri paramenti, stupita per la solennità dei protagonisti, il sussiego degli invitati, la marcia nuziale che saliva attraverso le canne d'argento dell'organo. A cerimonia finita, qualcuno la invitò a riassumere la sua impressione. - Trovo che ha fatto molto bene la sposa a entrare in chiesa al braccio di quel vecchio signore - rispose e a uscire al braccio di un giovanotto. Un ragazzino di sette anni figlio di un colonnello americano destava la meraviglia dei genitori e dei colleghi del padre, perchè tutte le sere chiedeva di andar a vedere il monumento al generale Pershing. La scena avviene in una città delle Filippine, dove il generale Pershing è immortalato nel bronzo, a dorso di cammello. - Papà, andiamo a vedere Pershing. Quando si seppe negli ambienti militari e diplomatici quella fedeltà infantile alla memoria del grande generale, il padre del piccolo prodigio gli offerse l'occasione di manifestare una volta di più il suo patriottico desiderio. Nell'automobile erano con i genitori e col ragazzo signore e gentiluomini. - Papà, - disse il bimbo riconoscendo i luoghi - laggiù c'è Pershing. Andiamolo a vedere? Il colonnello infilò l'avenue alberata, in fondo alla quale scintillava al sole del tropico la maestosa figura del grande soldato, a dorso di cammello. Scesero. Il bimbo si raccolse in un'estatica contemplazione, col nasino in su, mentre gli adulti si scambiavano occhiate silenziose e commosse. A un tratto il bimbo domandò: - Ma quel signore che è a cavallo di Pershing, chi è? Queste cose sono piacevoli a leggersi o a udirsi una sola volta e allo stato nascente. Avvertimento ai genitori che stimolano i loro fanciulli-prodigio a ripeterle: - Che cos'hai detto tu ieri l'altro al matrimonio di quella signorina, che ci ha fatto tanto ridere? La bimba non se ne ricorda, o si fa desiderare: - Sai, carina, quando la sposa è uscita dalla chiesa al braccio di quel giovanotto... Niente di più detestabile che i genitori dei bambini adorabili. E' l'inevitabile recitazione di una poesia, con gesti falsi. O il saggio di pianoforte. Un piccolo Mozart - dicono - un Paderewski in miniatura. In certe famiglie si mandano le bimbe alla scuola di danza, lodevolissimo sistema per rendere meno animaleschi i loro movimenti. Quei genitori hanno il solo torto di esibire la giovane prodigio dopo la terza lezione in una danza classica o in una danza indù o in un minuetto. Ho visto delle povere bimbe con deformanti occhiali da strabico, del fil di ferro fra i denti per ridurre il prognatismo e un'obesità precoce, dimenarsi sotto gli occhi inumiditi della famiglia in paurosi contorcimenti fuori tempo, ai quali lo sciagurato accompagnatore non riusciva a soggiogare il ritmo delle sue povere dita. E' la tortura dell'interrogatorio: da chi fu scoperta l'America, che cos'è una penisola, qual è la capitale degli Stati Uniti. Se il ragazzino esita, la madre imprudente corre il rischio di suggerire Nuova York. Dopo la tragedia viene la farsa: l'insopprimibile spiritoso farà le domande-trappola: quanti erano i tre figli di Noé, pesa di più un chilo di piombo o un chilo di panna montata, quanto è il doppio di diciassette diviso per metà. Interverrà il signore serio per domandare «che cosa farai da grande», e l'untuosa vecchia signora suggerirà con qualche relitto di civetteria: «il medico, come tuo padre», con la replica fatale del padre, densa di oscuri sottintesi: «qualunque mestiere, anche lo spazzino, ma non il mio». La cerimonia si conclude con un ben meritato pasticcino e un'aranciata, come si dà lo zucchero al cavallo del circo che ha finito la sua performance. - E ora chiedi scusa a questi signori e vai a letto. Molto bene mandarli a letto. Meglio ancora mandarli a letto prima che arrivino le visite. I propri bimbi bisogna esibirli meno che si può. Quando sono piccoli piccoli rassomigliano a tutti gli altri bambini piccoli piccoli, e come tutti i bambini piccoli piccoli sanno dl latte acido e di pipì e attirano le mosche. Quando sono più grandicelli, sono uguali agli altri ragazzi grandicelli, con l'aggravante individuale che ciascuno condensa in sè ciò che c'è di peggio nella sua famiglia. Il fanciullo è una successione di riflessi; si impregna di esempi cattivi, di parole improprie, di modi di dire infelici, di spirito scadente, di ironia stonata, di grettezze domestiche, di menzogne casalinghe, di ipocrisie dell'ambiente. Il bimbo lo formiamo noi, con le encomiabili intenzioni, ma anche con ciò che di volgare sfugge al nostro autocontrollo; egli scatta, reagisce con le stesse rispostacce e lo stesso tono che il padre impiega con la madre, o viceversa. Dal momento che ha imparato da voi il linguaggio, come potete pretendere che non adotti il vostro modo di usarlo, con la stessa ironia, le stesse allusioni indirette, le stesse ritorsioni dialettiche? Egli ha una particolare ricettività per ciò che ode di peggiore. Se il padre è lombardo e la madre calabrese, e in casa si parla italiano, il ragazzo non imparerà ciò che è corretto nel loro linguaggio, ma i modismi, i dialettismi, le improprietà dell'uno e dell'altro. Prima di rimproverare tuo figlio perchè arrogante, irascibile, disordinato, fannullone, domanda a te stesso se non ha ereditato da voi due l'oltracotanza, il disordine, nervosismo, la fiacca, e ripeti alla tua coscienza «i figli sono come li facciamo noi». Il metodo sovietico di strapparli di casa prima che si guastino e modellarli in stabilimenti attrezzati a tale scopo, mi pare lodevole. I collegi inglesi i cui alunni non tornano a casa durante i tre mesi d'estate, sono provvidenziali, perchè la scuola potrà, in un mese, riparare ai danni prodotti dalla famiglia durante la settimana di Natale, ma i danni di tre mesi sarebbero irreparabili. Conclusione. Se volete continuare a recitare la commedia dell'eleganza e dello stile, non presentate i bambini: o rappresentano la quintessenza dei difetti familiari, o sono mostri di simulazione.

Pagina 194

Egli li infilava con lenta eleganza, e si metteva a scrivere le miserie e i misteri di Parigi, intingendo in un calamaio d'argento tempestato di pietre preziose la penna d'oro, dalla quale fluivano frasi come questa: «Nessuno ha il diritto di godere del superfluo, finchè ci sarà qualcuno che abbia bisogno del necessario». E si racconta che Ernesto Renan a un direttore di giornale che era stato a casa sua a chiedergli il permesso di pubblicare in appendice il suo romanzo «l'Abbesse de Jouarre», rispose che non faceva questione di prezzo, poichè il denaro era l'ultima delle sue preoccupazioni. Ma gli diede una lettera di presentazione al suo editore, accuratamente suggellata, nella quale gli diceva: «Chiedete a costui più che potete». Questi due scrittori confessarono che l'ipocrisia l'avevano imparata in casa. Uno dei due disse: - L'ho imparata sull'abbecedario francese. E l'altro: - Prima ancora di apprendere a parlare ho appreso nel seno della mia famiglia l'ipocrisia. Machiavelli, che aveva scritto «la Mandragola» per prendersi gioco della pretesa ipocrisia dei frati, fu mandato dai Medici a cercare, tra i frati, un predicatore per la Quaresima. II suo amico Guicciardini gli disse: - Attento che quei frati non ti comunichino il vizio delle bugie! Il Machiavelli rispose: - In materia di bugie sono licenziato e addottorato. La vita mi ha insegnato a mescolare il vero col falso, il falso col vero, in modo che non si riconoscano più. La vita, dunque, fu la cattedra; e non la casa. La menzogna si deve imparare più tardi, all'università della vita, e sperimentarla nei laboratori del mondo. Non bisogna ricevere, da ragazzi, lezioni particolari a domicilio.

Pagina 202

Niente di più anacronistico che il togliersi il cappello per salutare: è un rimasuglio delle epoche cavalleresche in cui il guerriero, per mostrare la faccia, era costretto a sollevare quella soprastruttura di ferro che gli occultava i connotati e a sganciarsi la copertura metallica che gli proteggeva il cranio. Altrettanto anacronistica è la stretta di mano questo gesto serviva in altri tempi a dimostrare che la mano era nuda, che non nascondeva un'arma. Eppure se voi rimanete a capo coperto davanti a una persona superiore o pari a voi, o non sfiorate almeno l'orlo del cappello per rispondere al saluto di un inferiore, voi stabilite un'at- mosfera di disagio. Ognuno di noi è il compendio di sensazioni ancestrali, di ricordi, di abitudini ereditarie, di gesti inspiegabili, e per quanto l'individuo si ribelli a tutte le anticaglie, tuttavia gli antenati che sopravvivono in lui, microfotografati nelle sue cellule, si mantengono irremovibili sulle loro posizioni. Se andate in Francia, non dimenticate di dire «per favore» a tutti coloro ai quali chiedete qualche cosa, e di rispondere «grazie», qualunque cosa vi diano, anche il manifestino di un bar, l'indirizzo di uno specialista in malattie segrete, l'intimazione di una multa per non aver dichiarato i vostri redditi, o il biglietto che il controllore del treno vi ha bucato svegliandovi alle tre del mattino. I camerieri sono più sensibili ai «s'il vous plait» e ai «merci, monsieur», che alle mance. In Inghilterra non esagerate in «please». L'averlo imparato nelle prime pagine del manuale di conversazione non vi impegna ad abusarne. Gli Inglesi si scocciano. In Egitto il prendere con la mano sinistra l'oggetto che vi porgono è un'offesa. In Sicilia se servite il vino inclinando la bottiglia verso l'esterno della mano, la bicchierata può finire se non all'ospedale, per lo meno in farmacia. L'abbraccio così frequente nell'America del Sud, troverebbe impreparata la controparte a Copenaghen o a Zurigo, che sarebbe indecisa se baciarvi sulla guancia o sulla bocca, come facevano i Russi nelle operette viennesi e nei vaudevilles di Labiche. Qualcosa di mezzo fra l'abbraccio che si usava in Francia 300 anni fa e la stretta di mano d'oggi, cioè il maschio ed energico shake hands dei Nordamericani sopravvive nella mano sinistra che qualcuno vi appoggia sulla spalla, come se volesse armarvi cavaliere, quando vi considera più giovane di lui o socialmente inferiore. Gesto di protezione che non tutti apprezzano. Perciò, salutate stringendo la destra. C'è ancora qualche ritardatario che in una crisi di affetto, in un'esplosione di esuberanza, vi immobilizza la mano fra le sue, a sandwich. Se siete all'estero, non giudicatelo male; in certi paesi è un'usanza locale. In Gran Bretagna, meno mani si stringe e più piacere si fa. Il bacio fra due sessi diversi è tollerato in Italia nei luoghi pubblici, a condizione che sia rapido, fuggevole, appena simbolico e giustificato da un addio. Niente baci cinematografici a ventosa. Durante le alte maree della morale, quando il pudore è uno strumento di governo e va di pari passo con le ondate politiche, o i radicali vogliono fare qualche concessione alla Chiesa, il bacio nei caffé e nei cinema è ora proibito, ora permesso, ora tollerato, per dar motivo ai conflitti filosofici fra la polizia e la magistratura, e per giustificare liriche arringhe di avvocati e disegni di giornali piccanti. Negli Stati Uniti il bacio viene cronometrato; fino ai cinque secondi è considerato morale; a sei secondi la giurisprudenza è incerta come davanti alla luce gialla del semaforo fra il fermarsi e l'andare; al settimo minuto oltraggia il pudore. In Gran Bretagna i due colpevoli non hanno il tempo di finire, per quanto breve sia il contatto, perchè una mano inguantata di bianco, la mano della legge, si posa sulla spalla del maschio e lo invita a seguirla, con la complice necessaria, al vicino posto di polizia. Si deve ammettere però, sebbene la Società delle Nazioni non si sia mai pronunciata in questa materia, che la condizione di straniero crea un clima di indulgenza. Tuttavia è bene non abusarne. Se trovate una vacca sdraiata nella via principale di Calcutta o di Bombay, giratele rispettosamente intorno, senza ridere. In India le mucche sono sacre. Nelle colonie i turisti che si vestono in abito coloniale scatenano l'ilarità. Se partite per Algeri o Casablanca, non armatevi di un casco di sughero come se andaste alla caccia del Leone, e se volete visitare gli scavi di Pompei o le Piramidi, non munitevi di un paio di gambali nè di calzoni da ciclista del 1900. I Tedeschi e gli Svizzeri del Nord che calano in Italia si fanno inevitabilmente un abito color nocciola. Sfido gli psicanalisti a spiegarmi il perchè; forse credono che per le vie di Milano e i canali di Venezia turbini la sabbia gialla del Sahara. Gli Inglesi, che considerano colonie le terre che si estendono al sud della Manica e gente di colore i popoli che non sono inglesi, si ritengono autorizzati a entrare nel salone da pranzo del Ritz di Parigi o dell'Excelsior di Roma in scarpe di coccodrillo, >pullover e knicker-bockers. Considerando che a Napoli c'è il mare, credono che Napoli sia niente più che una spiaggia, e certe inglesine slavate e dismenorroiche pretendono anche all'Hotel Vesuvio di andare a tavola in shorts. In cambio gli Italiani che, partono per Londra, si ordinano prima di mettersi in viaggio una giubba a quadretti, come nelle caricature dei visitatori dell'Esposizione Universale di Edimburg del 1860. Questo reciproco malinteso non serve a stabilire la grande internazionale della comprensione reciproca dei popoli, bensì la confraternita della cafoneria. Per evitarla, basta impiegare il primo giorno a osservare gli usi del paese che si visita, o interrogare l'addetto culturale dell'Ambasciata del nostro paese. I diplomatici sono infallibili nel dare consigli di belle maniere, e gli addetti culturali, se non servono ad altro, almeno a questo servono. Parallelamente a questo criterio di acclimazione, se ne deve applicare un altro: non dirigere i nostri passi verso un Paese portando nella valigia idee prestabilite, nè preconcetti. Un giornalista italiano domandò al proprietario di un'osteria dei dintorni di Atene come si preparava una certa specialità locale, una torta con cipolle e olive nere. L'albergatore si volse verso l'Acropoli, e gridò: - Afrodite, Afrodite! Il giornalista, nutrito di alta cultura ellenica, pensò: «Come sono spirituali questi Greci dei nostri giorni! Per dettarmi una ricetta di cucina invocano la dea dell'amore e della bellezza». Intanto dalla porta della cucina, asciugandosi le mani sulla pancia, entrò una vecchia donna strabica e cisposa, che si chiamava Afrodite, come da noi le superstiti cuoche si chiamano Rosetta o Caterina, la quale, senza declamare esametri e pentametri, senza immolare bianche colombe sull'altare del tempio, spiegò con parole accessibili ai mortali come si prepara la famosa frittata greca con olive e cipolle.

Pagina 216

Questa domanda non la sentirete nè a Parigi nè a Roma. Ve la rivolgeranno in quei paesi che non sono sicuri di se stessi, della propria economia, della propria cultura, delle proprie tradizioni, della propria civiltà, e si sono artificialmente inventata una raccolta oleografica di Grandi Uomini, tenuti su col fil di ferro di commemorazioni, vacanze scolastiche, offerte floreali e conferenze di professori a corto di argomenti. Chi vi rivolge questa domanda, non aspetta da voi nè critiche nè confronti nè consigli. Aspetta elogi, «oh!» di meraviglia, rapimenti ipnotici dinanzi a un fanale a olio che ha resistito alle sassate degli ubriachi e al trionfo dell'elettricità; pretende che vi estasiate all'imboccatura di una stradicciuola dove le case penzolanti si dànno delle testate, o che contempliate l'impagliatore girovago di sedie o il friggitore di ciambelle, espressione genuina del folklore. Se volete entrare nelle grazie del vostro ospite direte che quell'anticaglia e questa sudiceria sono tipiche, caratteristiche, pittoresche. Se egli vi risponde che il municipio è negligente e che l'ufficio d'igiene dovrebbe risanare e ricostruire, guardatevi bene dal rispondere di sì. Se per imprudenza gli deste ragione su questo punto, egli immediatamente si rimangerebbe la propria invettiva, e penserebbe in cuor suo che se non vi piace non avete che da ritornare al vostro paese. L'uomo comune esige complimenti a chili, gli intelligenti li vogliono a milligrammi, ma i popoli li pretendono a tonnellate. Il loro è il primo paese del mondo, la culla della cultura, il faro della civiltà, l'ombelico della geografia, sul quale l'umanità riconoscente fa convergere l'incuriosita attenzione e le supreme speranze. Quando arrivi in un paese, se ci vuoi vivere per lo meno indisturbato, devi trovare tutto bello, nobile, grande, perfetto e progressista. Se càpiti in una di quelle comiche repubblichette sudamericane dove i portalettere non sanno leggere e le guardie municipali vanno a piedi scalzi sotto l'uniforme, abbi l'eroismo di sostenere che le scarpe sono antigieniche e che i portalettere lavorano splendidamente di intuizione. Non occuparti di politica locale. Se parli bene dell'uomo politico del momento, il tuo interlocutore reagirà esaltando quello di domani. Di qualunque mole siano le scelleratezze di quello di ieri, fingi di non esserne informato o di credere che i giornali esagerino, e lascierai così al tuo contradittore un abbondante materiale per la sua eloquenza. Se hai il sangue freddo di tacere e di presentarti come acefalo, il tuo silenzio ti farà passare per lo straniero ideale, che non si interessa di ciò che non lo riguarda. Se vai a Napoli non dire a un napoletano che stavano meglio sotto i Borboni. Te lo dirà lui. A Trieste, non dire a un triestino che la città e il porto erano prosperi sotto gli Austriaci; te lo dimostrerà, col lapis alla mano, lui. Ad Atene non accennare allo splendore della Grecia antica; fai l'elogio della Grecia moderna, se non vuoi che l'ateniese che ti offre un gelato in Odòs Athinà ti convinca che i suoi contemporanei Proxenetakis e Semiparanoikopoulos sono più eccelsi di Pericle e di Solone. Se proprio non sai di che cosa compiacerti, proclama le virtù diuretiche ed emmenagoghe dei cocomeri di Kalamatas, che avrebbero fatto la felicità di Demostene e di Aspasia. L'ultima Regina di Spagna, che era inglese, si giocò la popolarità presso gli «aficionados» - che glielo dimostrarono lanciandole una bomba - per essersi coperta gli occhi davanti a un toro che sbudellava un cavallo. A uno spagnuolo non dire che le corride sono uno spasso crudele. Te lo dirà lui appena sarete in confidenza, salvo a mettere bene in chiaro che chi non è spagnuolo non può capire la corrida, ad ammettere che il sangue inferocisce gli uomini e le donne, e a dirti che ha due «entradas» per «los toros» di domenica, uno per lui e l'altra per te. In Inghilterra non domandare mai perchè una nazione così progredita possa mantenere la forca, condannare alla pena di morte non solo l'assassino ma anche il suo complice che fu estraneo al fatto, e mandare i poliziotti disarmati. Se ti sei imbattuto in un inglese di idee avanzate, le tuo osservazioni lo convertirebbero nel più incancrenito conservatore, e la stessa signora Robertson (o Richardson) Forse non è nemmeno Richardson, ma visto il risultato che ottiene... che a ogni impiccagione sbraita contro la pena di morte, ti risponderebbe con le parole di Alphonse Karr: «Sopprimere la morte, d'accordo! Ma che i signori assassini comincino». Attenzione a non invertire i termini: in Argentina non parlare di «fazenda» e di «fazendeiros»; nel Brasile non parlare di «estancia» e di «estancieros». Il termine «restaquères», usatissimo a Parigi per indicare i cafoni sudamericani arricchiti con mezzi equivoci e con pretese di eleganza chiassosa, in Sudamerica non è molto gradito. In Germania puoi dire che il processo di Norimberga fu una mostruosità giuridica, che l'inflazione del marco fu una fregatura universale, che la prima guerra l'ha voluta Guglielmo, che la seconda l'ha voluta Hitler, che la prossima è desiderata da tutti. In Germania puoi dire ciò che vuoi, perchè ti daranno ragione e ti domanderanno se al tuo paese c'è bisogno di binoccoli prismatici o di materiale plastico, e se hai l'indirizzo di qualche commerciante serio e solvibile al quale scrivere a nome tuo. A un Austriaco non dire «voi, tedeschi», e tanto meno «Hitler era mezzo austriaco». Se parli di musica di Strauss, attenzione a non confondere Richard («Salomé») con Johann («il Bel Danubio Blu»), né con Oscar (Straus con una sola S), che cullò la tua giovinezza nel «Sogno di un Valzer». Insistere esageratamente sui valzer viennesi ti tirerebbe addosso una conferenza su Mozart, Schumann, il festival di Salisburgo e le facilitazioni alberghiere e ferroviarie. Con i Russi: solo i Russi sanno preparare il té. Con i Napoletani: solo i Napoletani sanno far cuocere gli spaghetti. Non dire mai a Napoli che i maccheroni li importò Marco Polo dalla Cina. A Bologna: la cucina bolognese è la prima cucina al mondo. In Sardegna: il poeta Sebastiano Satta è più grande di Giosué Carducci. In Sicilia: Pirandello è più vivo che mai. (In qualunque altro paese puoi dire che Pirandello è superato e in piena decadenza). A Milano: «chissà perchè il panettone di Milano sanno farlo solamente a Milano?» La stessa domanda puoi formularla a Torino (basta cambiare la città). Se vuoi lasciare il vantaggio all'interlocutore locale, permettigli di spiegarti che «dipende dall'acqua». Ti racconterà che un confettiere milanese, con farina milanese, ova milanesi, uva passa milanese, operai milanesi e forno milanese è andato a fare i panettoni di Milano in America, e i panettoni non gli sono riusciti. Dipende dall'acqua. Ma non dirlo tu che «dipende dall'acqua»; il tuo contraddittore replicherebbe che dipende dall'aria, perchè il Milanese si era portato anche l'acqua di Milano. In Svizzera: il famoso lago della Svizzera Francese si chiama «Lago di Ginevra» a Ginevra e «Lago Lemano» a Losanna. Non fare dello spirito sugli ammiragli della marina svizzera. Nel Belgio: in nessun paese del mondo le sigarette sono a buon mercato come nel Belgio. A ogni cittadino di Bruxelles (si pronuncia Brussell) dirai che parla il francese come un parigino. Questo lo renderà felice, e vorrà essere fotografato al tuo braccio sotto la statua idraulica di Manneken-Pis, che dai tempi di Luigi XV fa ininterrottamente pipì in faccia agli uomini. Il che, dopo tutto, è ancora più serio che farsi fotografare sotto la statua della Libertà.

Pagina 221

Dopo che avete preso un caffè filtro, un caffè espresso, un caffè alla turca, un nescafè, quelle minuscole tazzine che vi porgono a San Paolo o a Rio de Janeiro, se volete ingraziarvi un napoletano, ditegli: - Però si ha un bel dire, ma non c'è sistema che valga la caffettiera napoletana.

Pagina 226

Riassumendo: Puoi dire che non ami la musica o che non la capisci, a condizione che ti si veda qualche volta a un teatro d'operetta o che ti fermi a un angolo di strada a sentire una chitarra. Diranno che la tua indifferenza alla musica è una posa. Ma se proprio sei negato alla musica, se i fatti non smentiranno le tue affermazioni, guardati bene dal proclamarlo. Qualcuno può avere nell'orecchio le parole di Shakespeare, nel Mercante di Venezia: «Non c'è nulla di così insensibile, di così cieco, che la musica non trasformi per qualche tempo. Colui nel quale non c'è musica, e sul quale l'accordo di accenti incantevoli non ha alcuna presa, è un uomo nato per il tradimento, la scaltrezza, il furto. La sua anima è triste come la notte». E sarebbe inutile rispondere che le galere sono piene di affezionati alla musica.

Pagina 231

Le lettere d'amore cominciano a essere lettere d'amore dopo il matrimonio o un suo equivalente. Prima erano formule convenzionali. Dal momento in cui sono lettere d'amore si arma la loro pericolosità. Un consiglio fraterno: «Non scrivete mai!» Ma dal mornento che questo eroismo non si può pretendere perchè in ogni innamorato c'è un grafomane, vi segnalo i guai ai quali vi esponete scrivendo lettere d'amore. 1°) Un giorno, quando l'amore sarà finito, riceverete un pacco di lettere - le vostre, - legato con uno spago, e l'invito a ricambiarlo con un altro pacco di lettere, le sue. Ma dove, saranno andate a finire? Le prime tre o quattro si conservano; e le altre? Ci abbiamo scritto sopra un numero di telefono, vi abbiamo fatto un'addizione, ne abbiamo strappato un pezzo per nettare il bocchino, si sono appallottolate nelle tasche, sono rimaste in un soprabito da inverno o nell'impermeabile, saranno imbalsamate come segnalibro nell'enciclopedia. Rimettere insieme un epistolario è una fatica di archeologo. 2°) Le vostre lettere indirizzate a una donna che vi ama, si trasformano in una cartuccia di dinamite. Il pacco, che lei ha nascosto nell'imbottitura di una poltrona, col rallentarsi delle molle farà salire dalle natiche al cervello la curiosità del marito, che palperà il sedile. E la giustificazione «sono di una mia amica, non posso dirti quale, mi ha fatto giurare di non dirlo», non attacca più. 3°) Ogni lettera che scrivi durante la luna di miele a tua moglie, è un documento che andrà ad appesantire l'incartamento giudiziario nella prossima causa di separazione o di divorzio, e ogni tua parola diventerà un pugnale nelle mani dell'avvocato avversario. Scrivi, se vuoi, ma non impostare. Ogni lettera d'amore che tu invii a quell'angelo è un tratto di corda che tu aggiungi al capestro che ti impiccherà. Non c'è lettera d'amore che, allo stato nascente, non appaia sublime, per quanto stupida, sciropposa e sgrammaticata sia. E non c'è lettera così eccelsa, per valore letterario e per originalità di espressioni, che, letta a freddo, non diventi ridicola. Qualunque pagina d'amore, redatta dai massimi poeti, da Dante a D'Annunzio, qualunque sia l'ispiratrice, Beatrice o Eleonora Duse, diventa grottesca sotto i motteggi a pagamento di un lercio avvocatucolo di paese.

Pagina 238

Se i miei consigli sono destinati a non essere seguiti, scrivete per lo meno leggibilmente. La scrittura più chiara è quella a macchina. Poichè le operazioni dell'intelligenza vanno 15 volte più in fretta che i lavori della nostra mano, la grafia, per non perdere velocità, riesce abbreviata e incerta. Il dattiloscritto ha inoltre il vantaggio di lasciare nel nostro cassetto una copia a carbone, che ci salverà dal ricadere negli stessi lirismi e negli stessi paragoni, e ci permetterà di imputare ai tasti gli errori di ortografia. Una lettera d'amore dattiloscritta è un progresso sulla stilografica, come la stilografica è un progresso sulla penna d'acciaio, e la penna d'acciaio è un progresso sulla penna d'oca. Abituatevi a quest'idea, e il giorno che l'avvocato avversario presenterà il vostro dattiloscritto al Tribunale nell'interesse di vostra moglie che frattanto si sarà fatta generosamente manipolare su tutta la Riviera di Levante e su tutta la Riviera di Ponente, il vostro avvocato potrà sostenere che la vostra distratta avversaria è incorsa in una giustificabile confusione di documenti. La donna innamorata che non va con i tempi e continua a scrivere a mano, éviti quelle calligrafie acuminate, a schegge, che pongono un filo spinato intorno ai sentimenti e ai pensieri. Non si costruisca una grafia artificiale sul modello delle sue amiche e delle donne fatali. Io ammiro quell'attrice italiana intelligente, raffinata e celebre, che scrive io bevo vermouth «Cinzano» con la scrittura di un'analfabeta che ne abbia bevuto tutto d'un fiato un paio di bottiglie. Le lettere d'amore non si firmano con nome e cognome; il solo caso in cui lo sgorbio, non-ti-scordar-di-me, il cuore trafitto da una freccia siano permessi. Quegli uomini che sono innamorati della propria firma (il maggior contingente è fornito dai capi ufficio delle pubbliche amministrazioni), riservino alla Patria i loro gladiolati geroglifici. Sull'anima di una donna non fanno effetto. Ne parlo per esperienza. Vari anni fa, in un ufficio consolare del Medio Oriente, mi occorreva un documento che era già stato rifiutato a vari connazionali da uno di quegli impiegati che sono feroci con i subalterni, fanatici col regolamento, implacabili con l'orario, gelosi della loro carta assorbente, il vero tipo del pète-sec che considera lo sportello come una feritoia attraverso la quale sparare sul contribuente. Gli presentai senza speranza la mia domanda, alla quale appose la sua complicatissima firma. - Che bella firma! - esclamai vigliaccamente, con gli occhi pieni di ammirazione per la spirale a vari giri bislunghi, nella quale aveva incastonato la gemma del suo nome. Mi sorrise attraverso l'oro degli occhiali e dei denti, e diede parere favorevole alla mia domanda. Quindici giorni dopo sul piroscafo Istanbul-Trieste incontrai una canzonettista che era stata la sua amica, era quasi sul punto di sposarlo... Raccontandomi la storia dei loro amori, la canzonettista tirò fuori dalla valigietta l'ultima lettera supplichevole che egli le aveva scritto fermo posta a Istanbul, e mi domandò: - E lei consiglierebbe a una povera donna di unirsi per tutta la vita a un uomo che firma le sue lettere d'amore, con nome, cognome e geroglifico, così?

Pagina 240

Juliette Drouet scriveva a Victor Hugo due lettere il giorno; Victor Hugo ne scrisse 15.000. Ciaikowski inviò 5.000 lettere infocate a Nadeja von Meck. Napoleone scriveva a Giuseppina una lettera il giorno (ma non oltrepassava le sessanta od ottanta parole). Questa gente fabbricava autografi per i collezionisti delle posterità. Noi, piu modestamente, con le lettere d'amore non facciamo altro che mettere strumenti nelle mani di ricattatori, di coniugi gelosi, di avvocati equivoci, di periti calligrafi buffoni e venduti. Se vi amate, telefonatevelo, o incidete i vostri nomi sulla corteccia di un albero. E' sempre un eccellente pretesto per andare in campagna, addormentarsi nelle nuvole e svegliarsi sull'erba.

Pagina 242

Il dietista e l'igienista possono insegnare i mezzi per accumulare meno colesterolo nelle arterie e ritardare l'arteriosclerosi, questo erudito pseudonimo della morte, ma occorre una ginnastica morale e intellettuale per mantenere fino a tarda età l'elasticità dello spirito. Accanto allo specialista nelle malattie della vecchiaia, gerontoiatra, ci vorrebbe un istituto di profilassi contro il deterioramento delle maniere, del modo di parlare, di giudicare, di vivere socialmente. Se questo istituto avrebbe successo, non so. Oserei dire di no, ed ecco perchè: In un negozio di libri usati ho comperato un volume d'occasione, di un professore francese, a proposito della vecchiaia. Non contiene macchie di saliva tabaccosa né cenere di sigaretta, né peli, né capelli. Il suo primo proprietario doveva essere un vecchio pulito. Il margine di ogni pagina è pieno però di punti interrogativi ed esclamativi, di correzioni di date e di errori di stampa. Il margine dei libri è per certi lettori come il terreno riservato al pubblico, oltre la rete, dal quale gli scalmanati lanciano ingiurie e bottiglie, convinti che loro, al posto dei giocatori, avrebbero fatto di meglio e di più. L'anziano lettore che ebbe fra le mani il libro prima di me, ha un'idea fissa: non tollera che l'autore esca dal tema. L'osservazione a margine più frequente è: «Ma questo non c'entra con la vecchiaia», Come se l'autore e il libraio lo avessero frodato sulla qualità e sul peso. In un libro nel quale l'autore segnalò la petulanza e la ostinatezza come difetti dei vecchi, il vecchio lettore ha lasciato la dimostrazione autografa di non correggersi delle proprie manìe nel momento stesso in cui un autorevole scrittore gliele segnala. Probabilmente però quello scrittore non si faceva illusioni sul proprio insegnamento, e poichè non me le faccio nemmeno io, darò alcuni consigli, lasciando, come sempre un largo margine alla mia pagina, affinchè il lettore possa scrivere qua e là «cretino» e controllare con le eleganti volute dei suoi punti interrogativi l'uniforme emissione di anilina violetta dalla sua matita a sfera. Se siete già vecchio, non leggete più avanti. Oramai è fatta. Troppo tardi per correggervi; i miei insegnamenti vi serviranno quando verrete al mondo un'altra volta, come dicono le portinaie e i teosofi. Io parlo ai giovani, a coloro che non si sono ancora anchilosati nelle abitudini e nei malvezzi mentali. O giovane, prepàrati fin da giovane a essere un vecchio insopportabile. Evita tutti gli atteggiamenti che, combinati con gli anni, faranno di te il classico vecchio, il vecchio-tipo, il vecchio-standard, il vecchio-fesso. A vent'anni, non parlare di te; se parli di te nella verde età, sarai un giovanotto noioso; più avanti negli anni sarai «un vecchio». Non essere un «raseur» in francese, un «latoso» in spagnuolo, un «attaccabottoni» in italiano. Le tue attrattive giovanili ti renderanno provvisoriamente tollerabile e forse anche ricercato, ma gli acidi inesorabili degli anni ti trasformeranno per corrosione in un vecchio noioso, e, brevemente, in un «vecchio». Non raccontare aneddoti. Fin che sei giovane, la memoria ti preserverà dal ripeterli alla stessa persona. Con l'affievolirsi della memoria ti ripeteresti, arrivando persino a farlo apposta, per una specie di pigrizia mentale e di compiacimento. Ho conosciuto un vecchio diplomatico, che narrava come se si fossero svolte in presenza sua, una serie di facezie più o meno storiche, che si trovano raccolte nei soliti libretti di aneddoti, e faceva proprie le risposte che questo o quell'uomo illustre diede a questo o a quel personaggio insigne. Mentre egli infilava una storiella dopo l'altra, i suoi due nipoti, un giovinetto e una signorina, si scambiavano occhiate e sospiri, e si domandavano: - Che aneddoto è? il trentasette? - No, il trentasette è ancora da venire. Questo è il ventuno. Trentasette è quello di Victor Hugo e la marmellata. Con un po' di pazienza, dopo un tempo indeterminabile sentivamo arrivare anche la marmellata di Victor Hugo. Non raccontare come hai perso una causa in tribunale, come sei stato danneggiato nella ripartizione di un'eredità, come fu ingiusto il destino in un concorso, come te la sei cavata miracolosamente in un esame, come hai tappato con una geniale risposta la bocca a un prepotente, né come sei stato eroe. Calcola che i nove decimi virgola qualche cosa di ciò che è accaduto a te non interessano nessuno. I tuoi epici trionfi sono una ben povera cosa agli occhi altrui. Non parlare dei tuoi professori, dei tuoi compagni d'armi o di lavoro con coloro che non li hanno conosciuti. Non volgerti a contemplare il passato prossimo per non contemplare più tardi il trapassato remoto. Ogni cinque anni una legione di attori, di direttori d'orchestra, di avvocati formidabili, di uomini politici eccelsi e di scrittori scende nell'oblìo. L'inviato speciale e il corrispondente viaggiante che brillano per la loro fulmineità di captazione e per l'elettricità del loro stile, hanno la vita di un giorno, del giorno in cui appare la loro corrispondenza da Batavia o da Tangeri; una settimana dopo la loro morte, più nessuno se ne ricorda. Il vecchio che rimastica i meriti degli attori, dei cantanti, degli avvocati, dei giornalisti della sua epoca, non fa altro che emettere dei nomi privi di risonanza nel cuore della generazione successiva. Quando a Londra incontri un sudamericano che ti racconta che il famoso Perez ha fatto un colpo di stato contro il famoso Gomez, il quale aveva tradito il famoso Gonzales, anche se a costoro sono stati eretti dei monumenti e ingombrano volumi interi negli an- nali del loro Paese, per i tuoi orecchi i loro nomi non sono altro che rumori. La stessa impressione dà il vecchio quando parla degli uomini e delle donne del suo tempo. I loro nomi non sono nomi, ma sbavature di nomi, agli orecchi di chi non li ha mai conosciuti. Sii ottimista generoso disinteressato, per non divenire un vecchio amareggiato risentito carogna. Evita i pettegolezzi, che con l'autorità dei capelli bianchi diventerebbero calunnie. A dieci anni si incomincia a invecchiare fisiologicamente; a venti, psicologicamente, sentimentalmente; è questa seconda vecchiaia quella che deve preoccuparti; è la morte dello spirito quella che deve farti paura. L'altra no. L'altra colpisce i vecchi di 85 anni come i giovani di 15, con mezzi diversi. A 85 anni è difficile che si muoia buttandosi da un trampolino di Palm Beach per brillare agli occhi di una massaggiatrice. A 15 è facile morire per aver mangiato 48 ova sode, o per aver trangugiato 15 bottiglie di birra o ballato per tre giorni ininterrottamente. Ciò che cambia con gli anni è semplicemente l'occasione e il modo di morire. Ma il decorso della vecchiaia è uguale per tutti. Per essere un vecchio presentabile al disopra dei sessanta, basta cominciare a non assumere le maniere di un vecchio al disotto dei venti.

Pagina 243

Ma non con quelli che hanno fatto a meno di andarci né con quelli che l'hanno fatta in prima linea. Fra tutti i conversatori, in tutti i paesi del mondo, il più «raseur», il più «latoso», il più «pelma», il più «button-holder» è quello «qui a fait la guerre».

Pagina 248

Non posso insegnare a essere intelligente. «Lo que naturaleza no da, Salamanca no presta ». I centosessanta milioni che parlano spagnuolo sanno che cosa significa questo scoraggiante e disperato ammonimento: a tutti gli altri darò la traduzione: «Se non sei nato con l'intelligenza, non te la può fornire l'Università di Salimanca». Però io mi sento di insegnare a dar l'illusione di essere una persona intelligente, il che ha il suo valore nella lotta per l'esistenza. Regola unica: ogni volta che stai per aprir bocca, formula a te stesso la seguente domanda: «Uno sciocco, in queste circostanze, che cosa direbbe?» Ciò che direbbe lo sciocco, lo trovi subito: è l'ABC della psicologia, e per quanto rudimentale sia in te il senso dell'osservazione, tu sai che cosa dice lo sciocco nelle differenti circostanze della vita. Esempio: tu offri una sigaretta a un signore, ed egli, facendo un gesto evasivo con la mano, ti dice che non fuma. Problema: che cosa gli risponderebbe il fesso? Il fesso farebbe una lunga, filosofica e rumorosa inspirazione d'aria, dilatando le narici e gli direbbe: - Beato lei! Lei non conosce la sua fortuna. Ebbene, quella frase non dirla tu. Altro esempio: una signora a un ballo o a un ricevimento ti prega di abbottonarle una spallina o di darle sulla schiena una spinta alla chiusura-lampo. Problema: che cosa le direbbe un fesso? Direbbe: - Oh, signora, le donne io so svestirle, non so abbottonarle. Quella frase non dirla tu. Non dire mai la prima frase che ti sale spontanea alle labbra, perchè è quasi sempre l'espressione di un umorismo e di un'ironia accessibili alle più miserabili fantasie. Eviterai, per conseguenza, le conversazioni sul bel tempo e la pioggia, i «weather talks» inconcludenti, perchè se è inutile ricordare il tempo che faceva ieri, è ancora più inutile «sperare» che faccia bello domani. La speranza è la seconda delle virtù teologali; l'incoraggiare i disillusi a sperare è un ingrediente della nostra piccola farmacia tascabile; ma le forme verbali «io spero» e «speriamo» sono nella conversazione spicciola e quotidiana - le espressioni più vertiginose dell'abissale umana vacuità. Cancella dalla tua grammatica «spero» e «speriamo». Comincerai così a parlare diversamente dagli altri. Se la tua cultura e la tua tecnica musicale non vanno più in là di «Ohé, paesano», di Nicola Paone, non sospendere la maschera di Beethoven al lato del tuo pianoforte. Non imitare quelle attricette semianalfabete, che hanno avuto la sola abilità di andare a letto con un uomo politico nei tre mesi che intercorsero fra il suo solenne giuramento di fedeltà alla Costituzione e la sua entrata nelle Carceri, e si fanno fotografare in piedi, con tre metri di classici latini e greci riccamente rilegati alle spalle, o si lasciano «sorprendere dall'obiettivo» con l'indice fra le pagine di Federico Nietzsche, come se l'indiscreto reporter le avesse strappate ai loro intimi colloqui con Zaratustra. Tu non sai quanto si guadagni a non fare e a non dire le cose che fanno e le frasi che dicono gli altri! Perchè devi sapere - altra cosa che non sai - che molta gente vive per dire ciò che dicono tutti, per enunciare quel certo decrepito proverbio, per fare gargarismi con parole che le sembrano erudite, di difficile conquista, di elegante impiego. C'è della gente che aspetta con frenesia la cena del 31 dicembre al 1° di gennaio, per dire «l'anno scorso», invece di cinque minuti fa, e «l'anno venturo» invece di fra qualche minuto. Ho conosciuto un avvocato che si era innamorato dell'avverbio «praticamente». Valendomi del mio mestiere di scrittore che mi autorizza a riguardose inchieste psicologiche, gli domandai se quel «praticamente» era un intercalare o se lo usava a ragion veduta. Mi rispose: - Ne faccio un ampio uso perchè è una parola che riempie la bocca. Tu, lettrice, se vuoi divenire una donna di una certa categoria, eviterai i tradizionali accoppiamenti e incroci di parole, come «cinismo ributtante, prova tangibile, diametralmente opposto, matematicamente sicuro, marcio dispetto, barbaro modo, pio desiderio, feroce egoismo, sensibilità morbosa, pallida idea, ovale perfetto, spiccata personalità, coraggio civile, freddo cane, risata omerica, riso sardonico, sorriso olimpico, crassa ignoranza, semplicemente assurdo, umanamente impossibile, sacro terrore, più unico che raro, incredibile ma vero, più infelice che colpevole, l'anticamera del cervello, vero al cento per cento, pericolo pubblico numero uno, l'incontrovertibile verità e altre analoghe melensaggini, che costituiscono l'abbigliamento della domenica di certa gente come Giuseppe Villaroel, Enrico M. Fusco, Paolo Pavolini e altri scrittori minori (dato che ce ne siano), candidati al Premio Nobel della frase fatta e del luogo comune. Respingi le espressioni bonaccione «furbo di tre cotte» e «birba matricolata». Respingi i paragoni e i modi di dire a fondo casalingo, gastronomico e cucinario: «diritto come un manico di scopa, i cavoli a merenda, né carne né pesce, di cotte e di crude, color frittatina, il cacio sui maccheroni, tenère il mestolo, quella che porta i calzoni è lei, pan per focaccia, le ova nel paniere, se non è zuppa è pan bagnato, tutto fa brodo e non tutte le ciambelle riescono col buco». Questi modi di dire sono volgari quanto le frasi a fondo digestivo e intestinale. Non dire che piuttosto di andare a una conferenza, preferiresti «prendere l'olio di ricino»; non dire «la zappa sui piedi», e non proclamare che «i panni sporchi si lavano in famiglia». Se senti un odore cattivo, non denunciarlo né con parole, né con comiche espressioni del viso, né portando il fazzoletto alle narici, né sventagliandolo davanti alla bocca. Non hai mai osservato le tigri e i leoni dello zoo? Camminano nobilmente nella gabbia, senza pestare i propri escrementi, e conservano un atteggiamento maestoso, come se non s'accorgessero nemmeno che il pavimento non è pulito. Non t'illudere sul potere deodorante degli eufemismi e dei giri di frase. «La parola di Cambronne», e «le spregiate crete» e il verbo latino «mingere» sono altrettanto disgustosi quanto le cose e gli atti che pretenderebbero di nobilitare. Non si tratta di evitare una parola, bensì un concetto. Quando nei teatri di varietà i comici fanno dell'umorismo gastrointestinale, non ridere, e non pronunciare nemmeno espressioni di nausea e di protesta. Non esclamare «shocking», ma comportati come se i tuoi timpani non avessero funzionato. Non parlare mai delle tue malattie, specialmente se interessano rapparato digerente e dintorni. Non dare eccessiva importanza alla tavola. Il mangiare è una modesta operazione destinata a trasformare in 2.000 o 3.000 calorie giornaliere un po' di combustibile, che vendono l'ortolano e il macellaio. Non circondare quest'operazione di solennità né di ironia. Se al restaurant non ti portano subito il pesce, non domandare se «debbono ancora pescarlo». Mangia ciò che è segnato sulla lista. Abbi sempre una opinione. A chi ti presenta il menu, invitandoti a scegliere, non rispondere: «io prendo ciò che prende lei». Se ti domandano quale té vuoi, Ceylon e Cina, rispondi Cina, o rispondi Ceylon, oppure rispondi che non prendi té, ma non dire mai «per me fa lo stesso».

Pagina 254

Oltre a queste patalogiche fatalità se ne elencano delle altre: il ciclo tiroideo, che riserva a ognuno di noi, che ci crediamo esseri normali, undici giorni di depressione psichica, di astenia, di sfiducia in noi stessi, di mancanza di ispirazione, a cui seguono, fortunatamente, 33 giorni di carburazione soddisfacente, che può giungere all'entusiasmo e all'esaltazione. Le donne hanno in più un altro ciclo, che qualche volta coincide col ciclo tiroideo. Le ciabatte in testa, il «ritorno con mia madre», il «mi concedo al primo che passa» sono il più delle volte effetto della coincidenza dei due cicli. Chi vuol spacciarsi per intelligente, controlli il calendario dei suoi nervi e delle sue ghiandole, queste enigmatiche sfingi della fisiologia. Con l'autocontrollo e l'autosservazione, noi ci sentiamo arrivare la stupidità come ci sentiamo arrivare il raffreddore e la grippe. E' meglio in questo caso mettersi subito a letto, e seguire il consiglio che l'impertinente veneziana dava a Gian Giacomo Rousseau: «Lascia - almeno per quel giorno - le donne e studia la matematica».

Pagina 258

Riassumendo: Si dovrebbe istituire una clinica di «deiettizzazione», come ci sono le cliniche di disintossicazione per i morfinomani, gli alcoolisti e i malati di tabagismo, dove si curano diminuendo loro, giorno per giorno, le dosi del veleno, fino a ridurlo a zero. Lo iettatore è uno che non ride mai, attacca i bottoni a saldatura autogena, e parla sempre di sé. Nella prima mezz'ora che lo conosci, ti espone il suo curriculum vitae, si meraviglia se non sai che una volta la Regina Elena gli ha stretto la mano, e che ha tenuto una conferenza sulla Rutenia Subcarpatica. Te ne manderà a casa una copia, con l'impegno per parte tua a restituirgliela, perchè è l'ultima che gli rimane, e prima che tu l'abbia letta ti telefonerà per domandarti che ne pensi. La iettatrice generalmente un'intellettuale ripugnante, «la raseuse crottée» dei francesi. Poichè è sempre in casa di questo o di quello, è probabile che sia o qua o là nel momento in cui a una signora si smaglia una calza o saltano le valvole. Nella clinica di «deiettizzazione» si dovrebbe insegnar loro a ridere, a non parlare mai di sé, a fare conversazioni brevi e spaziate, a non fermare la gente durante la passeggiata, a scomparire ogni tanto per tre mesi, ad avere sempre nella borsetta un paio di calze e una valvola di ricambio. Bastano questi due talismani perchè in loro presenza la luce non manchi e le calze non si smaglino. Gli uomini si taglino la barba, si tolgano tutto ciò che è ispido e pungente. Unghie corte. Portino abiti chiari, cravatte festose. Eliminino quei colori pisseux (marron chiaro, cannella sbiadito, nocciola verdognolo), cari agli iettatori. Non abbiano le mani attaccaticce, sudaticce, umidicce. Se le lavino spesso; non abbiano la frenesia di tendere la mano; non è necessario. Sopprimano gli occhiali affumicati verdi. Non diffondano le notizie tristi; se in un disastro ferroviario sono stati, secondo un giornale del mattino, venticinque morti, non dicano che in un giornale della sera sono saliti a trentatré. Prendano le cose alla leggera (take it easy); affrontino le circostanze sorridendo (keep smiling). Le musiche in gran voga dopo qualche tempo si fanno la fama di portare iella, ma questo accade alle canzoni tristi, alle gnole. Non accadrà mai al Tamburmaggiore della Banda d'Affori, né a Funiculì-Funiculà.

Pagina 269

Vent'anni or sono a Parigi una studentessa polacca uccise il suo amante, infermo di una malattia inguaribile. Lo uccise per non vederlo soffrire. Fu processata per omicidio, ma poichè l'umanitario movente non ammesso - per ora - dalla legge, conteneva un principio di giustificazione morale, venne condannata, per salvare la forma, a una piccola pena, che equivaleva a un'assoluzione. La studentessa, uscendo dal carcere, ebbe il suo quarto d'ora di celebrità. Fotografie nei giornali, interviste, couplets degli chansonniers nelle boites de nuit dove si plasma e si dirige l'opinione pubblica. La signorina venne presentata, nel suo camerino, al massimo attore del momento, Lucien Guitry. - Come state? - domandò la signorina. - Benissimo, signorina - urlò comicamente esterrefatto il celebre attore, - io sto benissimo, vi assicuro che sto benissimo. Guai ad avere un piccolo bubù, con quella gente! Vi tengono un torso di clinica e di terapeutica; vi fanno buttare via tutte le boccette che avete comperato, vi fanno litigare col vostro medico e vi mandano a casa, nei casi gravi, il loro, che nelle stesse circostanze li salvò, vi impongono i medicinali di loro fiducia e affinchè non ve ne dimentichiate vi spingono a viva forza nella farmacia, e il giorno dopo vengono a casa vostra ad assicurarsi dell'andamento della cura. Questo nel caso che siate malato. Se state bene, avete finito di esserlo. La salute, essi vi dimostrano ripetendo un paradosso famoso, «non è altro che uno stato provvisorio che non promette nulla di buono», e si autoproclamano sovraintendenti al vostro equilibrio ormonale. Vi fanno arrivare i prospetti delle acque termali e delle case di riposo. Per assicurarvi il benessere vi precipitano verso la nevrastenìa.

Pagina 274

Se avete la disgrazia di conoscere i suoi ascendenti e i suoi congiunti più stretti, vedrete che hanno le sue stesse maniere cerimoniose, il suo gergo, le sue frasi fatte, la stessa tornitura di discorso, il suo convenzionale interessarsi alle infermità e agli infortuni altrui, a condizione che l'infermità non sia contagiosa e che l'infortunio non li tocchi nella borsa e non li coinvolga in complicazioni. Ci sono due classi di delfini: il delfino inconsapevole e il delfino consapevole. Delfino inconsapevole è quello che non si mette dal punto di vista della sua vittima. Fa per lei ciò che fa piacere a lui. Gli piacciono le rane fritte nell'olio e aglio e non ammette che l'altro non apprezzi le rane fritte; la sua missione nel mondo non sarà compiuta se non lo convince a entrare nei paradisi artificiali di una frittura di rane. E' l'individuo che vi fa percorrere - come è capitato a me - venti chilometri per farvi vedere l'albero al quale il generale Guemes ha attaccato il cavallo, e sebbene voi gli diciate che sarà un albero come tutti gli altri alberi, vi spinge sulla sua automobile, deciso a farvi vedere l'albero storico al quale il generale Guemes ha attaccato il cavallo. Il delfino inconsapevole è quello che non riesce a uscire dal proprio punto di vista. Consapevole invece è lo scocciatore che oltre a darvi gli stessi fastidi dell'altro, vi chiede scusa se insiste, vi dichiara di rendersi conto di essere importuno, di imporvi la sua volontà, e vi costringe in più a dirgli «ma no, ma no, tutto questo mi fa piacere», e a ringraziarlo, a giurargli che gli siete riconoscente e che non saprete mai come ricambiargli adeguatamente le sue cortesie.

Pagina 276

Questo detestabile personaggio si riconosce, anche a distanza, da certi segni inconfondibili. Se vi scrive, vi manda la lettera raccomandata espresso; se telefona, impiega cinque minuti in saluti e in preamboli; preamboli che non preludono a nulla di importante; dopo che ha detto quel poco o quel niente che voleva dire, vi trattiene per altri cinque minuti per concludere, senza concluderle, le sue inconcludenze. E voi vi domandate: «ma che cosa mi ha detto?» Non ha detto niente. Non dirà niente. Non dirà mai niente. Vi accompagnerà, incontrandovi, per un tratto di strada, insisterà per offrirvi un caffé; se gli date la mano, non ve la restituirà più; se voi vi metterete nell'atteggiamento del discobolo, con un piede levato, per fargli capire che avete fretta di andarvene, vi tratterrà in quella posizione squilibrata per domandarvi quando vi rivedrete. «La prossima settimana», voi rispondete con un tono che vuol dire «mai più». Nossignore, la prima telefonata del primo lunedì sarà la sua, per ricordarvi che gli avete promesso di rivederlo «la prossima settimana». E vi rivedrà, perchè è più facile sfuggire a un usciere con l'ordine di pignoramento o a un commissario con un mandato di cattura, che a colui che vuole a ogni costo farvi un piacere. Il piacere è generalmente portarvi a mangiare in un certo locale pittoresco. Il locale pittoresco è invariabilmente un'abbominevole trattoria a casa del diavolo, dove troverete delle sedie capovolte sulle tavole, perchè in quel momento stanno facendo pulizia. Intanto il vostro appetito se ne è andato, perchè quel certo locale pittoresco non sapeva bene dove fosse. Il vostro anfitrione ha guidato lo chauffeur, che non ne sapeva niente, per una strada che a un certo punto è interrotta; egli ricordava che si doveva passare davanti a una fabbrica di birra e poi voltare a destra, dove c'è la casa in costruzione; ma la casa in costruzione ormai costruita e la fabbrica di birra non c'è più. Le giravolte dell'automobile alla ricerca della famosa trattoria vi dislocarono le vertebre come un gioco di domino mentre i reni vi hanno fatto delle carambole nell'addome. Al ritorno lancerà l'idea di prendere un'altra strada, naturalmente; sugli accidenti della pavimentazione vi sentirete in bocca non si sa se il vostro fegato o gli antipasti, e dovrete rispondere a quel signore che il locale è più emozionante che le cascate del Niagara e che un piatto di salame come quello non lo avete mai mangiato in vita vostra, e non lo mangerete mai più.

Pagina 277

I piaceri sono tali se fatti a piccole dosi. Se qualcuno ti dice che alla fine del mese si comprerà un aspirapolvere, non mandargli a casa, in ore impossibili, quattro piazzisti di quattro marche diverse di aspirapolvere per quattro dimostrazioni. A chi ti domanda che cosa significa una parola, spiegagli il significato, ma non tenergli una conferenza di un'ora sulle lingue neolatine. Se un uomo si sta arrabattando fra la carta bollata, le cambiali, gli uscieri, gli avvocati, il fisco, non suggerirgli delle soluzioni che a te, all'oscuro della situazione, sembrano facili, ma che lui, al corrente di ciò che tu non sai, giudica assurde, improponibili, irritanti. Se l'altro ha un malato grave in casa, chiedigli notizie sommarie, ogni tanto, ma quando tutti i medici hanno dichiarato che non se la caverà, non credere di consolarlo dicendogli che con la primavera tutto andrà a posto. Lo scrittore Kierkegaard nel 1849 disse: «Giobbe sopportava tutto. Solamente quando i suoi amici vennero a consolarlo, solamente allora andò in furia». Se un nevrastenico ha già provato il Nevralon, il Nevralen, il Nevralan senza risultato, non proporgli il Nevralin. Non insistere per condurlo dal tuo medico, dal tuo dentista, dal tuo avvocato, dal tuo consulente in materia impositiva. Se vuoi davvero renderti utile, risparmia al prossimo gli shocks che vanno dalle violenze morali come il contraddirlo su questioni insignificanti, all'affliggerlo con i rumori stupidi e inutili come il tamburellare con le dita o con le unghie, il fischiettare, il lasciar cadere oggetti duri, lo sbattere le porte, il lacerare in 64 pezzi o in 128 pezzi un foglio di carta che si potrebbe appallottolare e buttare in un cestino. Lascia il tuo prossimo nella salamoia dei suoi gusti, dei suoi errori, delle sue superstizioni. I gusti non si discutono; l'errore non si sa che cosa sia, perchè non sappiamo che cosa sia la verità; e la superstizione di oggi può essere la verità scientifica di domani.

Pagina 282

Un gentleman inglese e una signora nata a Istanboul e divenuta inglese per aver sposato il suddetto gentleman, ma rimasta turca come ai tempi di Pierre Loti e del Gran Serraglio, pranzavano nel roof garden di un hotel di Nizza. Recando alle labbra un'ostrica la signora segnalò al marito, con un'occhiata, un giovanotto che pranzava da solo un po' più in là, e gli disse che quel giovanotto la stava osservando con eccessiva insistenza. Io non so quando uno sguardo cominci a essere insistente, quando uno sguardo insistente cominci a esserlo troppo. Ma chissà che cosa passò per il cervello della signora, chissà quali dadi si urtarono nel bussolotto cerebrale del marito; il fatto sta che questi posò il tovagliolo, fece un piccolo e secco inchino alla compagna, si diresse per la via più breve al tavolino dal quale lo sconosciuto manovrava i raggi incendiari del suo sguardo, e ci fu fra i due uomini uno scambio di parole che terminò con uno scambio di tre colpi a quindici metri, senza risultato, con una stretta di mano finale, una fotografia nei giornali della sera e un pranzo all'Hôtel Negresco. - Ah, si? Ti guarda? - avrebbe dovuto rispondere quel marito a quella moglie - Ti guarda? Ma se per farti guardare hai passato il pomeriggio dal coiffeur, spendi una fortuna in creme per dilatare i pori, in creme per restringere i pori, rimmel, acqua di cetriolo, rouge, ombre azzurre e viola per le orbite... Strappi all'agricoltura robuste braccia di massaggiatrici, pedicure, manicure... Andresti a New York da Ferragamo per avere un paio di scarpe originali, a Milano per un paio di calze di Franceschi, e organizzeresti una scalata all'Himalaya, se lassù ci fosse un fiore che le altre donne non hanno. Metà dell'attività umana è al servizio della bellezza e dell'eleganza (se non ci fosse la donna, la patata nella quotazione dei poeti prenderebbe il posto della rosa), e la maggior parte delle cose che le donne vanno a vedere (teatro, quadri, cerimonie) le vanno a vedere per essere vedute... e tu - avrebbe dovuto rispondere quel marito - protesti se un signore, guardandoti, cede al tuo desiderio di essere guardata? Ciononostante, la buona educazione insegna a guardare con infinita delicatezza le signore. Se sono con un uomo, lo sguardo deve appena sfiorarle, come se il loro viso o il loro corpo fosse uno schermo interpostosi fra i nostri occhi e l'infinito. Quando sono sole, uno sguardo di sfuggita sarebbe quasi offensivo. Uno sguardo compiaciuto è un omaggio che nessuna donna rifiuta, da chiunque provenga; Madame Récamier cominciò a soffrire come di un oltraggio alla sua decadente bellezza il giorno in cui i piccoli spazzacamini «les petits Savoyards» - non si voltavano più per le strade di Parigi a guardarla. Quando nella strada voi incrociate due donne su per giù della stessa età e dello stesso valore estetico, vi consiglio di non guardare né l'una né l'altra; essendo impossibile distribuire lo sguardo in due parti uguali, quella che non avrete guardato o avrete guardato meno intensamente sbotterà in una risata ai vostri danni. La squisita sensibilità della donna le permette di sentirsi guardata anche se non vi vede, anche se voi siete dietro le sue spalle. Il famoso esperimento di fissare una donna nella nuca per farla voltare lo avete tentato anche voi. Non vi è riuscito, non è vero? Ebbene, vi assicuro che è riuscito. La donna ha «sentito» il vostro sguardo, ma non ha voluto voltarsi. Una donna non si volta mai; dopo ciò che è successo alla moglie di Lot e ad Atalanta, le donne non si voltano indietro né per vedere un paesaggio interessante, né per raccogliere una mela. Per non essere tornata indietro a cercare la scarpa, Cenerentola trovò marito. La donna sente e vede tutto ciò che accade alle sue spalle, ed è appunto questa sua sensibilità che impone agli uomini di tenere lo sguardo fuggevole e leggero. Gli uomini che portano occhiali siano più prudenti e discreti degli altri, perche le lenti intensificano lo sguardo. Un uomo dalla vista normale può aver l'aria di vedere senza guardare; invece un miope con gli occhiali, quando guarda, guarda! A teatro mi pare che i binoccoli siano un po' passati di moda. C'è qualche ritardatario che ostenta il binoccolo di madreperla attraverso il quale passarono i baffi di Caruso e le gambe della Bella Otero, oppure l'ultimo modello del prismatico Zeiss. Senza saperlo, rievoca i tempi in cui le protagoniste dei romanzi si sentivano imbarazzate e nervose sotto lo sguardo bruciante di un ufficiale di cavalleria, dal palco di fronte... - Temevo che mio marito se ne accorgesse. Se possedete un binoccolo e siete rimasto all'epoca di quello strumento romantico, imprestatelo al vostro vicino, ma voi astenetevi dall'esplorare le scollature delle signore o la bocca del marito che sbadiglia nella penombra del palco.

Pagina 306

Seguite la mimica di colui che fra il pollice e l'indice calibra le parole, con le mani a squadra geometrizza i sillogismi, con le dita a ventaglio dilata le imagini e le metafore, e smonterete il piccolo congegno della sua dialettica. Le persone che non hanno la coscienza tranquilla e risolvono i problemi della vita con mezzi non del tutto confessabili, fanno un grande uso del telefono e degli occhiali a forte armatura e con lenti colorate. La sapienza popolare e la psicologia istintiva consigliano di diffidare di colui che non guarda in faccia l'interlocutore. Lo sguardo insistente è una specie di aggressione. E' una critica silenziosa. E' un giudizio inespresso. E la gente non vuole né giudizi, né consigli, né critiche. Beniamino Franklin, uomo di incontestabile tatto - fu ambasciatore degli Stati Uniti in Francia in un quarto d'ora abbastanza difficile - diceva: «Io non critico nessuno; io dico tutto il bene possibile». Non criticare, non giudicare. Non dire «ingrassi, stai dimagrando, non sei stato bene?». Formule sconsigliabili che gli inglesi chiamano «personal remarks». E non dire nemmeno: «Ma hai la faccia della salute», perchè quel «ma» sembra il grido di protesta di tutti gli impresari di pompe funebri della città. Non consigliare il medicinale che ha fatto bene a te; non è detto che faccia bene a lui; gli stessi lubrificanti non servono per due motori diversi, né per le diverse parti di un motore. Non dare consigli. Un signore carico d'anni e di autorità disse a una giovinetta di non fumare, perchè il fumo... - Mio nonno è morto a novant'anni - rispose la giovinetta. - E che vuoi dire con questo? Tuo nonno è morto a novant'anni e fumava? - E' morto a novant'anni e non si è mai impicciato degli affari altrui.

Pagina 309

Da questa signorina dobbiamo imparare l'arte di trattare col caso A e col caso B, fino allo Z, e ricominciare col caso A' e col caso B' e col caso Z', fino all'esaurimento di tutti gli apostrofi che segnano le varietà e le stravaganze dei nostri simili. Non potendo prevedere gli infiniti casi, siamo costretti a tener conto di ciò che v'è di costante e immutabile in tutti gli uomini, il loro egoismo, il loro egocentrismo, la loro pigrizia mentale, la loro scarsa attitudine a uscire da se stessi. Gli inglesi, che scrivono Io con la i maiuscola, e confessano lealmente: prima Io, poi Io, poi il mio cane e poi il mio prossimo, con un involontario capovolgimento di situazione, come quello di uno schermidore di accademia che passa all'estremo opposto della pedana, ci hanno insegnato a considerare l'«Io» dell'avversario. Le loro discussioni si svolgono pacificamente, con un riguardoso rispetto per il punto di vista dell'altro. Mister Brown: - Ieri faceva più freddo di oggi. Mister Miller: - Non mi pare: ieri la colonna di mercurio non è scesa a zero. Mister Brown: - Il mio termometro ha segnato tre gradi sotto. Il signor Miller si guarderà bene dall'invocare dei testimoni, dal procurarsi il bollettino meteorologico del giorno prima, dal fare dell'ironia sul termometro dell'altro e dal proclamare l'infallibilità del proprio. Per lui la questione è chiusa ed egli passa a un altro argomento, senz'aver l'aria di sbattere la porta. Offre una sigaretta o un drink, o chiede il permesso di andare a telefonare, mettendo così un asterisco in fondo al capitolo temperatura, argomento ormai definitivamente esaurito. Per rispetto all'altro, tieni in tutte le circostanze la mano leggera. Non raccontare i tuoi sogni; non narrare l'argomento del film che ti è piaciuto, per non privare l'altro della sorpresa, del «suspense», del brivido, della scintilla imprevista d'una battuta di spirito o di un «gag». Non narrare il tuo caso; il tuo caso è interessante quando ha una certa affinità con il caso dell'interlocutore come se questi vi ritrovasse se stesso. A colui che soffre di diabete, parla del diabete, del «suo» diabete, del modo di correggere il «suo» tasso di zucchero, e non della tua nefrite e della tua albumina. Nella conversazione lascia larghe pause, affinchè l'altro possa intercalare le sue idee. Non parlare, come parlano molti, come se davanti alla loro bocca un aspirapolvere succhiasse irremissibilmente i periodi. Fai che le tue parole non formino un torrente, ma un fiume pacifico e vario. In una conversazione di un'ora ti puoi permettere una citazione storica, ma non più di una; narrare un caso tuo, ma che sia uno solo, concettoso e sintetico, riducendo al minimo le descrizioni, come se dovessi telegrafare la tua storia a Sidney o a Nagasaki, a mezzo dollaro per parola. E se l'aneddoto è di per sé significativo, non togliere, con i tuoi commenti, piacere di commentarlo a chi ti ascoltò. Non tenere lezioni. Passata l'età scolastica, nessuno è disposto a sedersi al banco, e tutti si considerano maturi per una cattedra. Se devi dare un consiglio a qualcuno, lasciagli l'illusione che l'idea sia venuta a lui, e se hai interesse a smuoverlo dalla sua posizione mentale per indurlo a pensare come te, dagli l'impressione che ci sia giunto naturalmente con mezzi suoi. E' il metodo socratico. Far mutare opinione all'altro con una concatenazione di domande che dimostrano il suo errore, è una tecnica di jiu-jitsu attenuato, che consiste nel far perdere al contradittore l'equilibrio senza rovesciarlo sul tappeto, senza giungere alla violenta volgarità del catch as catch can, che caratterizza la dialettica mondana dei popoli latini. Non parlare del tuo passato meraviglioso. Il prossimo ti valuta per il biglietto da mille che hai in tasca non per i milioni che avevi. E non illustrare il tuo futuro allucinante. Il prossimo ti giudica per la camera ammobiliata dove vivi, non per l'Hôtel Ritz dove fra un anno alloggerai, per la classe emigranti con cui sei arrivato, non per la prima di lusso con cui ti imbarcherai. Qualunque sia la tua posizione morale o sociale o finanziaria, lascia sempre all'altro uno spiraglio per credere che la sua condizione, le sue possibilità, la sua prospettiva, siano più invidiabili delle tue.

Pagina 312

Riassumendo: A teatro non emettere né sbuffi né interiezioni se il violino stona, a una conferenza non agitarti se il conferenziere è in ritardo o se tu non condividi le sue idee. In un club milanese l'avv. Arturo Orvieto teneva una conferenza. A un tratto si impaperò. Era già accaduto a Demostene e a Lacordaire. Una brutta signora delle prime file - chissà perchè i clubs riservano le prime due file a certa gente che sarebbe molto più decorativo lasciare a casa? - pensò: «Si è impappinato». Ma, sprovvista della divina grazia del self-control, lasciò fuggire il pensiero dalla bocca. - Si, signora - le disse il conferenziere interrompendosi - mi sono impappinato. Non mi era successo prima, perchè avevo tenuto lo sguardo fisso su di lei. Appena l'ho distolto, ho visto entrare quella splendida signorina che sta cercando una sedia. Tutto il pubblico si volse verso la signorina, poi verso la signora, incenerita, e con un applauso totale - sappiamo che simpatica carogna è la folla! - le diede sepoltura. Ecco perchè a pagina 318 ho raccomandato di abituarsi a non pensare ad alta voce.

Pagina 320

Nel marzo del 1948 mi trovai a faccia a faccia con una mia conoscente nella porta a tamburo dell'Hotel Ritz, a Parigi; una di quelle porte girevoli a quattro settori che dividono lo spazio in quattro diedri e hanno l'aria di simboleggiare l'andare e venire degli uomini per differenti destini. Ero appena entrato nella hall, che quella persona tornando sui propri passi, mi raggiunse. - Signorina - le dissi. - Signora - corresse. A Parigi c'è l'uso di dire «signora» a tutte le donne che hanno raggiunto quell'età indefinibile che va dai... agli... (veramente tutte le età sono indefinibili). Insomma alle donne che non hanno più l'aria di essere uscite il giorno prima dal Collegio del Sacré Coeur. E' un uso che va rispettato e che non si spiega, come il dire signorina a tutte le impiegate, dattilografe e telefoniste, anche se hanno già dato dei figli alla Patria, all'Infanzia Abbandonata e al capoufficio. Precisò: - Mi sono sposata ieri. - Con chi? - Con un signore che ho conosciuto venti giorni fa. - In così breve tempo? E quali virtù ha quest'uomo invidiabile, che vi ha fulminate istantaneamente? - Ci siamo conosciuti a un pranzo. Era spiritosissimo. E' il fuoco di fila del suo spirito, che mi ha soggiogato. Ve lo farò conoscere. Volete? Risposi di sì. Io sapevo che mi sarei imbarcato il giorno dopo per Buenos Aires e che mi sarei difeso mettendo l'oceano fra me e quell'insopportabile personaggio che è un uomo di spirito.

Pagina 321

«Scrivete una lettera a un amico, al quale è morto un parente». E' il tema fondamentale che si propone ai ragazzi in quelle palestre di ipocrisia e di menzogna che sono le scuole, istituite per preparare i futuri uomini alla menzogna e alla ipocrisia, questi delicati ferri del mestiere di vivere. Le lettere di condoglianza sono formule farisaiche per far credere che sei addolorato di un fatto del quale ti strafotti sovranamente. Le lettere di congratulazione tentano di far credere che ti compiaci di un avvenimento che in fondo ti dà un po' di rabbia, giudichi immeritato e speri che dopo tutto faccia a quell'altro più male che bene. Fra i vari temi di componimento proponibili, quello di cui ho trascritto il testo è il più accessibile alla disposizione congenita a mentire che hanno i ragazzi. Come il piacere di dondolarsi sull'altalena è un residuo ancestrale dei gusti del gorilla che si penzola ai rami dell'albero, così il mentire è un residuo della mistificazione in cui dovevano eccellere i nostri antenati, mistificazione alla quale la civiltà ha dato leggi, regolamenti, giurisprudenza e galatei. Tutte le lettere sono più o meno inquinate di ipocrisia Non segnalerò gli aggettivi che si vomitano sulla busta e i «sempre», il «servitore», il «devotissimo» e «l'affezionatissimo» che chiudono il messaggio, perchè sono sfrontatezze evidenti; ma tutto il contenuto epistolare è bugiardo. Ho parlato a pag. 238 dell'epistolario amoroso, moneta circolante falsa e per uso interno, ammessa dalla morale. Anche le altre lettere sono sciroppi di impostura. La prova? Eccola: hanno uno stile, lo stile epistolare. Lo stile serve a presentare con etichette convenzionali un equivoco contenuto. Udiamo spesso persone di scarsa familiarità con la penna, sospirare: «Non so come cominciare questa lettera». Generalmente, quando non tende a chiedere un prestito di denaro, la lettera che «non si sa come cominciare» è una lettera che non ha motivo di essere scritta. Colui che ha qualche cosa da dire, lo dice. Lo stile epistolare non dovrebbe esistere, oggi che il «non saper come occupare il tempo» dei secoli passati, non esiste più, tranne in qualche sbadigliante angolo di provincia, dove non c'è nemmeno un cine, né la bastonatura di un sindaco, né l'inaugurazione di un busto al comandante dei pompieri. Le signore de Sévigné, de Lafayette, de Maintenon, de Tencin, du Châtelet, du Deffant, de Lespinasse, tutta la serie di pettegole «épistolières» - per usare il termine inventato da Ménage, tutte le uggiose «vaches à écrire» che non molti decenni or sono hanno raccolto la ricetta di quelle illustri signore, oggi userebbero il telegrafo per dire l'essenziale che le riguarda, e ritaglierebbero un pezzo di giornale per far conoscere il fatto locale, come il diploma di ragioniere del nipote o la levatrice che finalmente è stata trasferita. Il primo dovere di una lettera è di essere breve. Con la vecchia carta da lettere, fatta di un foglio piegato, uno si sentiva in obbligo di saturare le quattro facciate, come se il lasciare uno spazio in bianco fosse un sintomo di scarsa imaginazione. Per non essere sospettate di insufficienza cerebrale, certe signore, più esuberanti di quanto la decenza imponga, scrivevano anche verticalmente sulle linee orizzontali, tessendo un «gobelin» di indecifrabili inutilità. Tutto questo è stato spazzato via. Si comincia a pensare che la lettera non è un fine, ma un mezzo, e che le più solide amicizie non si sgretolano anche se si viene meno a quello che si chiamava «il dovere epistolare». Al massimo, se uno desidera ogni tanto farsi vivo, mandi un libro, un giornale, la sua più recente istantanea, una canzone, un disco, e la ricetta di Gayelord Hauser per perdere quaranta chili di pancia. C'è anche la cartolina illustrata, questo documento venduto a dozzine, in busta, e che serve ai turisti per far ammirare agli amici i monumenti che loro, i turisti, non hanno avuto il tempo di vedere. In certi paesi la cartolina è soggetta a due tariffe postali; con la semplice firma e con non più di cinque parole. Una di queste è invariabilmente un «ricordando», un «pensando» come se colui che ha dodici cartoline da smaltire ricordasse specificamente lui, pensasse esclusivamente a lei. La cartolina è utile per crearsi degli alibi e per liberarsi dagli importuni durante un periodo che può prolungarsi fino a tre mesi dopo il nostro ritorno. Questo rettangolo di carta illustrata richiede una firma intelligibile; non cavatevela con uno sgorbio, come se il destinatario, ricevendola, non potesse attribuirla ad altri che a voi. Anche coloro, come me, che lasciano sul tavolino per qualche settimana le lettere senza aprirle, se non riescono a decifrare una firma fra il fumo del Vesuvio o sotto la sirenetta del porto di Copenhagen, si irritano e si tormentano per un'ora, come quando per amnesia momentanea non torna alla memoria il nome di un insetto, di un'isola della Polinesia o di un poeta. L'indirizzo deve essere chiaro; il francobollo, in alto, a destra; non fate dello spirito sulla busta, non esagerate in superlativi. Non mandate espressi; non abusate di raccomandate; è noto che gli importuni hanno l'abilità di telefonarvi mentre siete nella vasca da bagno o state pranzando, o fate il sonnellino del pomeriggio; regola infallibile è questa: quando siete nel bagno e a tavola o a letto, non rispondete al telefono, perchè, per un disegno degli Dèi Immortali, si tratta inevitabilmente, programmaticamente di un importuno. Questi calamitosi nemici della società si servono di irresponsabili esecutori delle loro cattive azioni: sono i fattorini degli espressi, i quali arrivano sempre quando siete nel bagno, a tavola o a letto. Una persona che sappia vivere non manda espressi. La busta si chiude leccando il vertice della falda; mai fino in fondo; mai aggiungere un supplemento di colla; non si deve obbligare il destinatario a rompersi le unghie o a cercare un paio di forbici. Il bollo di ceralacca è un elemento decorativo degli sfaccendati, è un servirsi delle bretelle quando si ha già la cintura, è un conferire importanza a un contenuto che non l'ha, è un solleticare la curiosità della portinaia, della censura politica, dell'amministrazione delle Poste, la quale avverte che se avete biglietti da mille dollari da spedire, dovete farvene mangiare la metà dalle banche e dall'Istituto dei Cambi, ma non siete in diritto di affidarli, in una busta, alla Posta. La data non va mai scritta così: 23-11-58. Si scrive: 23 novembre, 1958. La prima forma è stata abbandonata anche dai commessi viaggiatori in budella secche. In ogni lettera ripetete il vostro indirizzo per non costringere il destinatario a fare, bestemmiando, delle ricerche. Usate carta bianca; sono da scartarsi senz'altro il viola e il crème, questi colori delle camicie delle serve. Evitate le buste foderate di carta velina. Non scrivete mai con lapis a pallina, immondo strumento che sputacchia un'anilina viscida, depositando una scrittura impersonale e impiegatizia. Se scrivete per la prima volta, o per la centesima, fate che il vostro nome risulti chiaro. Raccomandazione generica: che sia chiara la firma. Che gli N non sembrino U e che gli M non manchino di una gamba. Una I senza puntino e una T senza taglio non sono segni dell'alfabeto; sono segni di cattiva educazione.

Pagina 326

Cristo), poeta e poligrafo Latino, uno dei sapienti più enciclopedici del suo tempo, il numero dei commensali non deve essere inferiore a tre, come le tre Grazie, né superiore a nove, come le nove Muse. « Convivarum numerus incipere debet a numero. Gratiarum et progredi usque ad numerum Musarum: id est incipere a tribus et consistere in novem; ut, cum paucissimi convivae sunt, non pauciores sint quam tres; cum plurimi, non plures quam novem. Nam multos esse non convenit, quod turba plerumque est turbulenta. Nec loquaces autem convivae, nec muti esse debent; quia eloquentia decet in foro, silentium vero non in convivio, sed in cubiculo. Sermones igitur id temporis sint non de rebus anxiis, sed utilibus et iucundis». Non siate in molti, perche in molti si fa troppo baccano, e i commensali non debbono essere né troppo loquaci né taciturni; l'eloquenza sta bene in tribunale e il silenzio sta bene a letto. A tavola non si svolgano argomenti scoccianti, bensi utili e spassosi». Non siate meno di tre e non più di nove, se non vuoi creare uno di quei climi che bloccano la digestione e rallentano il metabolismo. Qualunque però sia il numero dei commensali, a lungo andare concluderai che si mangia molto meglio da solo, con un giornale appoggiato alla bottiglia.

Pagina 34

Mi scuserò dicendo che io mi sono rivolto a un pubblico composto di elementi d'ogni genere e di ogni classe. A colui che possiede quel milione di dollari che permette a Charles Laughton, piccolo impiegato improvvisamente arricchito, di lanciare un'apocalittica pernacchia al suo capufficio, io ho detto: «Ribèllati alle sciocche usanze». Ma a chi deve continuare a vivere mantenuto dallo Stato o dalla moglie, consiglio una piatta sottomissione alle consuetudini. Un atto compiuto senza pensarci può svegliare, una simpatia utile e definitiva (il giovane Laffitte che raccoglie uno spillo nel cortile del banchiere); un altro gesto altrettanto automatico può attirare un odio mortale (il gesto splendidamente napoletano di portare la mano sinistra alla piegatura del braccio destro e flettere risolutamente l'avambraccio, che Mussolini fece al ministro Eden), e può segnare una svolta nella Storia d'Europa. Le cause sono i logaritmi degli effetti. Quella lettera anonima che vi fece perdere l'impiego e buttò la vostra famiglia nella miseria, è l'espiazione dell'aver ricambiato tiepidamente un saluto. Perciò se vi trovate a tavola in una famiglia dove si pranza al lume delle candele, e alla fine vi porgono la bacinella con l'acqua tiepida e qualche petalo di rosa, risciacquatevi la punta delle dita. Questo fa «ancien régime». E se il giorno dopo vi trovate fra gente alla buona che si toglie la giubba (come i neodeputati ai banchetti sotto le pergole) e vi invita a mangiare il pollo con le mani, dimenticate il titolo di questo mio libro « saturnien, orgiaque et melancolique» e mangiate il pollo con le mani, sbranatelo con i denti. Sarà una significativa concessione alla democrazia. Il mettersi in maniche di camicia a tavola, e l'asciugarsi i baffi col dorso della mano, fa più impressione sul popolo che recitare a memoria il Capitale di Carlo Marx e i Doveri degli Uomini di Giuseppe Mazzini. Prendendo congedo da voi, io che ho scritto qualche anno fa «sono riconoscente a coloro che mi mandano al diavolo, a condizione che non mi propongano di accompagnarmi», concluderò: Mandate al diavolo il vostro prossimo. Ma ditegli: - C'è qua sotto la mia automobile. Permette che la faccia accompagnare? Se non avete l'automobile, offritegli almeno un paracqua.

Pagina 340

L'esperienza serve a qualche cosa. Nella «Physiologic du goût» si Legge che « la table est le seul endroit ou l'on ne s'ennuie jamais pendant la premiere heure » dove non ci si annoia mai - attenzione, attenzione! - durante la prima ora. Abbi un orologio in cucina e un cronometro nella sala da pranzo. A tavola, quando ci sono degli invitati, marito e moglie evitino le conversazioni su argomenti casalinghi: II marito: - Carletto ha sei anni. La moglie: - Cinque. E' nato nel dicembre del '52. Fai il conto: 53, 54, 55, 56, 57... Il marito: - Ma siamo nell'ottobre: gennaio, febbraio, marzo... Ti ho dato un campioncino delle discussioni fra marito e moglie davanti a estranei, che sclassificano una tavola, una compagnia, una famiglia e sono una prova definitiva di cattiva educazione. Marito e moglie non si rivolgano la parola l'un l'altra, se non in occasioni eccezionali e per dirsi l'indispensabile. E' a questo o a quel commensale che ci si deve dirigere con una saggia oculatezza distributrice.

Pagina 40

Riassumendo : Un quarto d'ora dopo l'ora fissata ci si mette a tavola. Il pranzo, cioè le operazioni inerenti al mangiare, durino non più di 55 minuti; è il limite stabilito da André de Fouquières, che per cinquant'anni ha diretto il protocollo e il cerimoniale in Francia. Potete rimanere nella sala da pranzo o nella saletta attigua a prendere il caffè altri 35 minuti per arrivare all'ora e mezzo. In un'ora e mezzo qualunque argomento, per appassionante che sia, si esaurisce, e a insistere si finisce nelle ripetizioni, nei radotages e in un litigio. Il personaggio più importante dia il buon esempio prendendo congedo a un'ora decente. Quando è partito, i personaggi minori non si indugino, ma se ne vadano cortesemente pochi minuti dopo, a meno che non ci sia un seguito di poker o di bridge. Ormai l'ambiente si è caricato di elettricità statica, di magnetismo, di onde antagoniste, che rendono la vita in comune impraticabile e pericolosa. E' al 91° minuto che scappa la prima frase infelice. Quanto più presto la riunione si scioglie, e tanto più simpatico ne rimane il ricordo. Negli ultimi venti minuti la sala si sarà riempita di gente che non si sa bene chi sia, venuta a prendere il caffè. A costoro c'è poco da dire. Si salutano i padroni di casa, si mollano gli altri. Questo andarsene alla chetichella è ciò che i francesi chiamano andarsene all'inglese, e gli inglesi andarsene alla francese (to take French leave).

Pagina 47

Riassumendo: La Contessa Wally Castelbarco Toscanini mi disse a Losanna che a una signora, dopo i quarant'anni, è permesso appoggiare i gomiti alla tavola. Wally Toscanini ha il diritto di promulgare leggi e abrogarle in materia di stile; ma poichè non è sempre lì a difenderci con la sua autorità, asteniamoci dall'appoggiare i gomiti. Le pinze per mangiare gli asparagi sono uno speculum alla rovescia che ha la funzione di far colare il burro fuso e il cacio grattugiato nella manica, ma se ci sono è bene adoperarle per far sapere che ne conosciamo l'uso e il funzionamento. E' come per l'«insieme con». Si dice «insieme con» invece di «insieme a», per far vedere che si è stati a scuola. Per non far la figura di quell'innocente signorina castamente educata, che vedendo per la prima volta un bidè lo giudicò troppo alto per lavarsi i piedi e troppo basso per lavarsi la faccia. Il gesto simbolico di immergere la punta delle dita nel rince-doigts (il finger-glass degli inglesi), dimostrerà che non ignorate l'uso di questa bacinella metallica con un po' d'acqua calda e una fetta di limone; non vi metterà cioè nelle condizioni di quell'invitato dell'ultimo Re di Spagna, che bevve l'acqua e masticò il limone, obbligando Sua Maestà Cattolica a fare altrettanto, per non aver l'aria di dare una lezione al suo ospite. Gli esempi illustri come il caso di Wally Toscanini non ti mettano fuori strada. Ramòn Gomez de la Serna racconta che Miguel de Unamuno discorrendo fra un piatto e l'altro «hacìa bolitas con la miga sobrante» cioè faceva pallottole di mollica di pane. Caso insigne di sudiceria che non deve valere come incoraggiamento. Il Re Sole si grattava i pidocchi a tavola e la Pompadour si faceva mettere i lavativi durante i ricevimenti. Il filosofo Confucio che consigliava ai propri discepoli di comportarsi alla loro tavola come se fossero alla tavola di un re, non prevedeva nella sua chiaroveggenza cinese che cosa avrebbero fatto a tavola i re di Francia ventidue secoli dopo.

Pagina 57

André Maurois in occasione di una sua visita a un collegio di una città universitaria inglese, fu invitato a colazione da tutto il corpo insegnante. La tavola dei professori era situata sopra una pedana, di fronte alle tavole degli alunni di tutto il collegio. Alla fine della colazione, il rettore disse al romanziere francese: - Questo contatto fra professori e alunni ha la sua spiegazione. Ciò che mi interessa più di ogni altra cosa, non è che i ragazzi sappiano il greco e l'algebra, ma che imparino a stare a tavola. Cioè che ne escano dei gentlemen. Se si manda a memoria teoricamente alcune regole (pulirsi la bocca prima di portare il bicchiere alle labbra e non raccogliere il sugo con la punta del coltello), al momento opportuno non si saprà applicarle con naturalezza. Se non sono trasformate in atti riflessi, in movimenti istintivi, in gesti del subcosciente, si conserverà il modo di fare goffo e impacciato di colui che prende la prima lezione di guida dell'automobile. Non so se sia un'invenzione a sfondo puramente simbolico la storia di quel gentleman, che trovandosi solo sotto la tenda, nella giungla o nel deserto, col proprio domestico, si infilava lo smoking per sedersi a tavola. Ma meriterebbe di essere una verità. Si deve curare sistematicamente lo stile affinchè la teoria cioè il compendio delle osservazioni e delle deduzioni altrui, si trasformi in abito mentale. Ho fatto due anni or sono un viaggio di tre mesi e mezzo sopra una nave da guerra all'Antartide Argentina. Eravamo tutti uomini: ufficiali, marinai, scienziati e io. Nessuna signora né sulla nave, né nei distaccamenti, né sulla banchisa polare. Al momento di lasciare la Terra del Fuoco, per dirigere la prora verso il Polo Sud, il secondo comandante, Reynaldo Tettamanti, un raffinato intellettuale, pittore, commediografo e regista di teatro, ci convocò a rapporto, e fra le altre disposizioni di carattere igienico e disciplinare, dichiarò : - Sono proibite le barbe. La cosa ci sorprese. Oltre il Circolo Polare Antartico non si è abbastanza protetti contro il vento, e la difesa naturale del sistema pilifero che l'evoluzione animale non ha ancora eliminato del tutto, ci pareva comoda. Al ritorno delle precedenti spedizioni al Sesto Continente, avevamo visto belle facce barbute e bruciate, che trasformavano i visi sudamericani in tipi di pescatori di Terranova e di esploratori scandinavi. Alcuni componenti della mia spedizione si ripromettevano di sbarcare a Buenos Aires col volto incoronato e inquadrato in una selva di peli ispidi, che rievocasse il tipo Viking delle antiche stampe. Ma il comandante è il solo padrone sulla nave, dopo Dio, e i suoi ordini e i suoi divieti non si discutono. Quando dopo alcuni giorni divenimmo amici, gli domandai perchè aveva proibito le barbe. Mi spiegò: - Perchè il lasciarsi crescere la barba è il principio di una trascuratezza generale. La barba nasconde il colletto anche se non è perfettamente candido, e la cravatta anche se non è accuratamente annodata o se è sfilacciata o se non c'è. Di concessione in concessione, si arriva ai polsini unti e alle scarpe non lucidate. L'atto di radersi ogni giorno impone una disciplina corporea e un'eleganza mentale. Il mio amico comandante aveva visto giusto; ognuno di noi si presentava alla tavola impeccabilmente spazzolato e pettinato, e dal suo viso emanava un profumo di talco alla lavanda e di acqua di Colonia; e quando, dal ponte o dalla passeggiata, assistevamo allo spettacolo stupefacente degli icerbergs, noi conservavamo la nostra Linea di gentiluomini come se il nostro pubblico non fosse rappresentato dalle foche che prendevano voluttuosamente il sole sui banchi di ghiaccio senza occuparsi di noi, ma da signore dell'aristocrazia che ci esaminassero col binoccolo per scegliere i cavalieri da invitare domani a una festa di ballo. Evitare uno scalino della volgarità risparmia di ruzzolare per tutta la scala, mentre il concedere a noi stessi una innocente distrazione, apre le cateratte degli abusi irrevocabili. Enrique Mendez Calzada scrisse che «las estupideces que conscientemente hacemos a diario, llega un momento en que ya no nos parecen estupideces»: le stupidaggini che facciano ogni giorno, a un certo momento non ci sembreranno più stupidaggini. Colui che si alza di tavola con lo stuzzicadenti fra le labbra, lo masticherà tutto il giorno, e colei che entrando in un locale dove c'è un'orchestra cammina a passo di valzer, non si renderà più conto della trivialità ondulante della sua andatura. Parlare col chewing-gum in bocca conferisce un'inguaribile abitudine di ruminante alla quale ci si affeziona, e il far tintinnare le monete nella tasca dei calzoni ci fa scambiare per una nostra innata disinvoltura ciò che è una semplice villania. Le tasche laterali dei calzoni non dovrebbero esistere, o, al massimo, essere simulate e cucite come quelle dei croupiers.

Pagina 59

, lo fa per darsi del contegno, per nascondere il suo disagio nel passare in mezzo a tante persone di cui qualcuna forse la osserva. Quel signore che entra in un restaurant con una mano nella tasca dei calzoni o col leggero ondulare di spalle che hanno i cani mentre la padrona prepara loro la zuppa, è uno che non sa reggere gli sguardi. E' un timido. Quella signorina, generalmente piccola, che ostenta una vivacità eccessiva, come se il chiasso le aggiungesse i quindici centimetri di statura che la Provvidenza le ha rubato soffre del complesso dei piccoli di statura. Ma la sua esuberanza di movimenti e di vocalizzi non nasconde il suo dramma, anzi lo denuncia. I contorcimenti, il sollevare capricciosamente il bavero, l'avvolgersi bizzarramente nel mantello senza rispettare la disciplina imposta dai bottoni e dai corrispondenti occhielli che notiamo nelle donne con aspirazioni irrealizzabili di eleganza, pretendono di correggere con una fittizia originalità i difetti di un tailleur che non cade a piombo, di un vestito «che fa delle smorfie» - secondo la pittoresca espressione delle sarte, - o di conferire un garbo e una linea a un povero cappello riformato, deformato, sformato, che di anno in anno subisce pietose metamorfosi della cui ultima reincarnazione non sono convinte. Il colpo di tosse del conferenziere all'inizio del suo saggio di oratoria è un sintomo: egli non si sente sicuro di sè e il pubblico lo impressiona. Ogni tanto si verserà un bicchier d'acqua per dimostrare che domina l'uditorio. E ne berrà la metà. Ma non inganna nessuno, perchè tutti sanno che le parole e l'acqua passano per due tubi indipendenti, la trachea e l'esofago. Con quest'aria di sentirsi come in casa propria vuol far credere che non ha il trac e non ha paura del contradittorio. Senonchè la disinvoltura non si inventa e non si improvvisa. I negozi che noleggiano per una sera uno smoking o un frac non insegnano il modo di indossarlo. Bisogna averlo portato duecento volte, per dimenticare che si è artificialmente incorniciati in quell'abito di cerimonia. E' necessario aver affrontato uditori e scolaresche, aule di tribunali e tribune popolari per eliminare il colpo di tosse iniziale e per soffocare i successivi. O, meglio ancora, e indispensabile possedere un'incrollabile sicurezza nei propri mezzi, nel trapano della propria originalità, nelle tenaglie dei propri sillogismi, nel potere penetrante delle proprie idee, qualità affermate dai successi precedenti. Einstein poteva tenere le sue lezioni in pullover col collo rotolato da ciclista e calzoni a cavaturaccioli, ma un mediocre professore di matematica deve conferire a se stesso un contegno, tonificandosi con una camicia impeccabile, una cravatta che non faccia ridere e una piega dei calzoni che non sia una sinusoide. Un grande scrittore come Tristan Bernard può sorridere alle parole del giovanotto elegante e vuoto che gli dice «mi sono applicato tutta una mattinata per fare questa piega ai miei calzoni», e rispondergli: - A chi lo dite! Io ci ho messo tre anni a farmi queste borse sotto le ginocchia. Ma il signore qualunque non può permettersi simile «sans-gêne». Il nostro prossimo, se vogliamo vivere degnamente nella collettività, merita dei riguardi. Si stanno organizzando in questo momento nei teatri di Parigi delle piccole tombole, durante gli intermezzi, fra gli spettatori in frac, e sui programmi delle serate di gala e dei «galas» di beneficenza si stampa che è «desiderabile» l'abito da sera. Questo avvertimento in forma attenuata riesce più efficace che un divieto o un'imposizione, ed elimina le giubbe sport, i cardigans e i costumi bicolori. A una recente festa dei «petits lits blancs», a Cannes, il principe Alì Khan pretendeva di entrare in calzoni di tela azzurra e giubba di maglia. - Perdonate, monseigneur, ma questa sera siete incorso in una piccola distrazione - gli disse un impiegato facendo scivolare un'occhiata dal collo senza cravatta alle dita dei piedi che si snocciolavano fuori dei sandali. - Dal momento che lascio alcuni milioni di beneficenza.... - rispose il futuro capo dei Maomettani Ismaeliti. - Potete inviare per posta la vostra offerta e seguire la festa per televisione, monseigneur - rispose l'impiegato sbarrando l'entrata. E il principe dovette tornare a casa a mettersi in regola con le norme correnti. - Avete fatto male a non lasciarlo entrare in quello stato - disse all'impiegato inesorabile lo scrittore Jean Cocteau. - Dopo qualche minuto si sarebbe trovato a disagio, nonostante la sua apparente disinvoltura, e questo sarebbe stato il suo castigo. L'autore di «les enfants terribles» sapeva che l'eleganza - come scrisse Villiers de l'Isle-Adam -è una forza. Un paio di guanti di pécari e un abito di taglio inglese o napoletano aprono più prontamente una porta che una laurea o un titolo nobiliare. Sapere che la frittata non si taglia col coltello è più utile che conoscere le vicende della guerra dei trent'anni o trovare sulla carta a occhi chiusi le Isole Molucche. Le espressioni «sans gêne» «san facon» e «à la bonne franquette» debbono dormire nella quiete dei dizionari, ma non essere mai applicate nella vita pratica. Colui che invita a pranzo, eviti le formule bonarie «venite a fare penitenza a casa mia», o peggio « se vi accontentate di una scodella di minestra» o peggio ancora «non facciamo altro che aggiungere un cucchiaio». Lo scrittore Jarro fu invitato a pranzo da un conoscente, che gli disse con la solita falsa modestia: - Non aggiungeremo nessun piatto di più. - Allora preferisco venire quando lo aggiungerete - rispose lo scrittore. L'attore Lucien Guitry era stato a colazione in casa di un ricco parigino, che non aveva saputo trovare punto equidistante fra un'oltraggiosa abbondanza di portate e la insufficienza. Si giunse alle frutta e al caffé quando Lucien Guitry si aspettava ancora qualcosa di consistente. - Verrete un giorno al mio castello? - gli domandò il padrone di casa, accompagnandolo alla porta. Vi inviterò a pranzo. - Ma sì... anche subito - rispose il grande attore. Il punto giusto fra la ricercatezza e la disinvoltura deve essere scelto come si sceglie l'onda sul «dial» dell'apparecchio radio. Una frazione di millimetro al di qua, una frazione di millimetro al di là, e il suono ne esce impuro. Il massimo maestro di eleganza, Lord Brummel, che - come tutti sanno, e mi vergogno quasi a ripeterlo - faceva portare gli abiti nuovi dal servo per togliere loro l'eccessiva freschezza e al tempo stesso ordinava i guanti a uno specialista che disponeva di due tagliatori, uno per il pollice e l'altro per le altre dita, si rovinò la posizione di amico del Principe di Galles per aver perso di vista il punto di equilibrio fra la spiritosa insolenza e la mancanza di tatto. La vera eleganza è la giusta misura fra l'originalità, e la eccentricità, fra l'enunciare un'opinione e il sostenerla, fra il lanciare un paradosso e il rincorrerlo, fra le norme del galateo e il bigottismo dell'etichetta, fra l'indipendenza dei modi e l'anarchia.

Pagina 69

Sopravvivevano i vecchi Camerieri dai piedi piatti, custodi di una tradizione, gelosi dei giornali e delle riviste come bibliotecari, affezionati al locale e al proprietario, furbi giocatori di charme con i vecchi clienti, galanti con le loro abituali compagne, capaci di darvi un rimedio per i calli e un suggerimento di carattere sentimentale, memori delle date storiche, pronti a recitarvi dei versi di Cavallotti, a sempre disposti a raccontarvi in quale circostanza Crispi o Eleonora Duse strinsero loro la mano. Educati a scappellotti, con lo stesso metodo didattico insegnavano il mestiere ai giovani. Rievocavano i tempi in cui si lasciava loro un centesimo di mancia, per due soldi si aveva caffelatte e chiffero e se non sempre si «consumava» si «consumerà un'altra volta». A questi perduti personaggi di un'epoca tramontata si dava del tu. Oggi non vi consiglio di farlo, se siete nati fuori di Firenze, Napoli, Roma, e dintorni, e se non avete uno spiccato fare e una decisa pronuncia fiorentina, romanesca, napoletana. Perchè? Non lo so. E' una delle cose che non si spiegano. Si osservano. A Buenos Aires ho sentito Indro Montanelli, fiorentino, dare del tu a Valerio, proprietario di una trattoria fiorentina, che vedeva per la prima volta, e la cosa non ha meravigliato nè Valerio nè me. Ma se sei nato a Montafia o a Stradella, se parli l'italiano come Paolo Zappa, non dare del tu al cameriere.

Pagina 73

Lucien Guitry ricevette un giorno nel suo camerino un vago conoscente che lo invitò a colazione. Lì per lì il grande attore non seppe rifiutare, ma appena fu uscito disse al segretario: - Domani telefonerai a quell'imbecille che non posso andare a colazione da lui. Ma proprio in quel momento il signore rientrava nel camerino per prendere un oggetto dimenticato. E Lucien Guitry, vedendolo nello specchio, completò, senza perdere la calma: - ...perchè sono invitato a colazione da questo signore. Il terzo presidente della Repubblica Francese Jules Grévy visitava un'esposizione di pittura. A un tratto davanti a un quadro esclamò: - Che orrore! Nelle esposizioni il pittore è sempre vicino al proprio quadro, ma il Presidente non ci aveva pensato. Lo capì, troppo tardi, dalla faccia costernata dei gentiluomini del suo seguito e dall'espressione dell'artista. - Non ve ne abbiate a male, signore - gli disse il presidente: - io ho l'abitudine di disprezzare ciò che ho intenzione di comperare. Infatti pochi minuti dopo fu apposto al quadro il cartellino «comperato dal signor Presidente della Repubblica».

Pagina 78

L'anafilassi consiste in questo: si inietta in un animale una dose minima di una sostanza che a piccole dosi è inoffensiva. Questa prima operazione sensibilizza il suo organismo a tal punto che se, dopo un certo tempo, gli iniettate una dose insignificante della stessa sostanza, questa basterà a produrre accidenti pericolosi, conosciuti sotto il nome di choc anafilattico, con caduta della tensione arteriosa, rarefazione dei globuli rossi e bianchi, alterazione nella coagulabilità del sangue. Tutti noi, nel campo morale, siamo stati sottoposti dal nostro prossimo, dalle vicende della vita, dai nostri errori, dai nostri insuccessi, a queste iniezioni. Noi sappiamo benissimo che cosa la gente dice e pensa di noi. Il giorno in cui qualche malaccorto ci inietta, con una frase infelice, una piccola dose di quella materia, la nostra reazione non produce inconvenienti fisici, ma inconvenienti morali, che possono turbare un'amicizia, una buona relazione, un rapporto di affari, un grande amore, o anche semplicemente il clima. Ci sono parole che non si dimenticano. Attenzione!

Pagina 79

A chi di voi salterebbe in testa di scrivere al signor Félix Potin, salumaio e droghiere di Parigi, la seguente lettera? Illustre Signor Félix Potin, da molti anni io sono un suo fervido ammiratore; fin da bambino vedevo il nome Félix Potin brillare a grandi caratteri sui camions e stampato sulla carta che avvolgeva i suoi impareggiabili prosciutti! E quando sono stato in grado di dirigere da me i miei gusti alimentari e di consigliare gli amici, il nome Félix Potin saliva spontaneo alle mie labbra. Oh, se sapesse, quanti scapaccioni mi sono preso da bambino, per aver rubato nell'armadio le marmellate di fragola che recavano il suo nome e per aver affondato la mano nel cartoccio di «fondants» dei quali Félix Potin ha il segreto! Non parliamo poi del suo aromatico caffé, composto di grani selezionati di Moka, Porto Rico, Santos, e tostato con una sensibilità di grande artista, che risveglia la fantasia, esalta il sistema nervoso, tonifica il cuore ed evoca con il suo delicato profumo le canzoni degli abbronzati coltivatori brasiliani, il sole del tropico, le leggende mistiche dell'Arabia e la fosforescenza del Mar Rosso. Poichè io sono un suo fervido ammiratore, la prego di mandarmi a casa un chilo di caffè. Ma, mi raccomando, con dedica! Non dimentichi la dedica!». Nessuno di voi scriverebbe questa lettera, ma quanti di voi scrivono a uno scrittore: Illustre Maestro, io sono un suo fervido ammiratore fin dai tempi in cui sapevo appena appena distinguere il cane dal gatto nel sillabario, ma già vedevo circolare per casa i suoi libri, dalle pittoresche copertine, che mio padre e mia madre si strappavano di mano e che gli amici si facevano imprestare e non restituivano. Quando ho potuto scegliere le mie letture, fin dalla prima pagina di un suo libro ho sentito che Lei era «il mio autore», quello che disegnava la donna passionale, complicata, imprevista, eccezionale. La donna che ogni adolescente vorrebbe incontrare sul suo cammino, per correre con lei verso gli abissi della disperazione o salire ai vertici dell'estasi sentimentale. Non le dirò quanti scapaccioni mi sono preso da mio padre per aver segnato a margine certi suoi paradossi contro le menzogne sociali, sull'amore e le sue convenzioni, sulle ipocrisie della famiglia, sui malintesi del metodo educativo, sulla squallida inutilità della maggior parte di ciò che si insegna, sul contrasto fra ciò che si pensa e ciò che si dice, fra ciò che si dice e ciò che si scrive, sull'esaltazione retorica della guerra per parte dei poeti rachitici che stanno a casa, sul preteso disinteresse degli accumulatori di milioni e sulla filantropia ostentatoria dei mecenati che fanno pagare la scodella cotta alla serva. Esprimendole la mia gratitudine per le belle ore che mi ha fatto passare, la prego di mandarmi i suoi ultimi tre libri «Gli scherzi dell'amore e dell'elettricità», «Così parlò la fidanzata dell'Urango- Utango» e «La garconnière su pneumatici», che ieri ho visto brillare con i loro luminosi colori di copertina nelle vetrine dei librai. La prego di mandarmeli tutti e tre con dedica. Mi raccomando, non dimentichi la dedica». Delle lettere di questo genere uno scrittore che si rispetti fa una pallottola come ne farebbe il signor Félix Potin se qualcuno gli chiedesse vigliaccamente un chilo di caffé. Un libro è un genere di commercio come qualunque altro e se lo scrittore vuole una copia di un suo libro, se lo va a comprare dal libraio; il libro contiene carta, inchiostro e lavoro di stampa, rilegatura, spese generali, utili dell'editore, dell'autore, del libraio, della ferrovia, della Posta, del camionista che li ha portati alla Ferrovia. Il cameriere quando presenta il conto a un romanziere, non si accontenta che ci metta sotto una firma, e il padrone di casa, il dentista, il calzolaio non si pagano con degli autografi, e il Ministro delle Finanze non ha ancora ammesso che i letterati rispondano con una fotografia al foglio dell'imposta sul reddito. Chiedere un libro a un autore è un insieme di stupidità e di villania, pretendere di lusingarlo con la richiesta di una dedica è considerarlo un cretino, e supporre che egli cada nell'ingenua trappola equivale a pensare che non sia mai stato bersaglio di antiquati tentativi di truffa come questo. Oh, santa ingenuità! Un autore in vista riceve ogni mese in media mezza dozzina di lettere di «ammiratori» e «ammiratrici» che ricorrono allo sgangherato espediente della «dedica» per scroccargli il libro. Sapete a chi si può chiedere il libro? Agli scrittori acquitrinosi e alle inconcludenti poetesse. A queste soprattutto. Ce n'è una quantità che dà le vertigini. Quei gas che la maggior parte delle donne emettono dalla bocca sotto forma di conversazioni, le poetesse li trasformano in letteratura, e quando hanno messo insieme un centinaio di poemetti, sacrificano sei mesi di stipendio del marito per farsi stampare da un tipografo il libro, arciconvinte che le cinquemila copie andranno a ruba, che la critica proclamerà il «frisson nouveau», e che in casa entreranno la gloria, i Duchi di Windsor e il Marchese di Cuevas, la ricchezza, l'automobile, e che i maggiori editori del mondo le tempesteranno di cablogrammi e di dollari per assicurarsi i manoscritti futuri e le opere non ancora pensate. Finalmente, quando il libro esce dalla tipografia, moglie e marito vanno a portarne dei pacchi ai librai del centro, i quali si degneranno di prenderne una copia o due in deposito. Intanto l'autrice, un po' sconcertata ma non depressa, ne manderà una dozzina in omaggio a dodici fra amici e parenti, ma non di più. «Chi lo vuole se lo comperi» dirà con legittimo orgoglio. La seconda dozzina di omaggi sarà più lenta, perchè le vittime si vanno rarefacendo. Ma la terza e la quarta distribuzione saranno prodighe e vertiginose, perchè il marito, per assottigliare l'ingombro di quelle 5.000 copie, comincerà a regalarle ai colleghi d'ufficio. Ne rimangono e ne rimarranno per tutta la vita 4900. Come critica ebbe cinque righe in una rivista di lavori a maglia e di ricami. A queste signore si può chiedere una copia in omaggio, anche senza dedica.

Pagina 86

Non si può dire a Onorato, Girus, Manca, Kremos, Guasta «fammi uno schizzo... In un minuto tu butti giù due tratti a lapis. Che cosa sono per te due linee?» Per arrivare a far quelle due linee, hanno consumato tonnellate di carta Canson e foreste di lapis, e hanno tracciato tante linee da coprire quattro volte il meridiano terrestre. Non è la fatica di quel momento che tu devi pagare, ma gli anni, le notti, i tentativi, gli studi, le delusioni, le amarezze, il nome. Il medico che ti guarda la lingua e ti ordina un cucchiaio di magnesia, fa meno fatica del caricaturista che «butta giù», come dici tu per abbassare la quota della tua riconoscenza, uno schizzo: ma per giungere a dirti che hai un semplice imbarazzo gastrico ha fatto sette anni d'Università e ha respirato l'aria delle sale anatomiche e i miasmi caldi delle corsie d'ospedale. Ti fa piacere che Renzo Ricci o Elena Zareschi accettino l'invito a un tuo ricevimento e recitino «Davanti a San Guido» o una scena dei « Sei personaggi? » Domanda loro quanto è il loro cachet, o metti qualche biglietto di banca in una busta di cuoio di Russia o di coccodrillo, o offri un gioiello. Non dire loro «per voi recitare quattro cosucce...» Trattali con rispetto, anche se si degnano di concederti la loro amicizia. Non aver l'aria di elevarli fino a te e al tuo clan. Non fare come quella ricca macellaia di Boston, che aveva combinato con un'illustre attrice una recita du- rante un suo ricevimento, e s'era messa d'accordo sul prezzo: mille dollari. Però aggiunse: - Debbo avvertirla che finito il suo numero, lei si ritirerà senza salutare, cioè non si mescolerà ai miei invitati, che sono il re del salame allo zafferano, il re dell'anguilla marinata, la proprietaria della famosa crema per scarpe... - Oh, in questo caso, se non debbo mescolarmi a tutta quella gente, invece di mille dollari basteranno cinquecento - rispose l'attrice rimettendo in mano alla signora la metà. Quando tu, notaio o pizzicagnolo, colonnello o pretore, piazzista in coniugazioni o esercente in teoremi, parli a un'attrice o a un attore, non assumere l'aria di scendere fino a lui o a lei. E' sempre l'artista quello che si curva verso di te.

Pagina 90

Domandare a un indiano come stanno la madre e le sorelle è considerato una grossolanità imperdonabile, ma in Argentina l'iniziare una conversazione telefonica senza chiedere notizie di tutto il parentado è una reticenza che non ammette scuse. I temperamenti spinosi debbono possedere come correttivo impareggiabili risorse, se vogliono concedersi di mettere in evidenza i loro aculei. Una signora brillante e rumorosa, ricevuta al Quirinale da Luigi Einaudi, maestro nella scienza delle finanze, gli gorgheggiò: - Per pareggiare il bilancio dello Stato, basterebbe diminuire le importazioni e aumentare le esportazioni, non le pare, presidente? - Sono d'accordo con lei, signora. E per lavare una camicia, il sistema migliore è immergerla per ventiquattro ore in un bagno di inchiostro di China. Una signorina le cui conoscenze matematiche e fisiche non oltrepassavano la tavola pitagorica e la ceralacca strofinata sulla manica, prese confidenzialmente sotto braccio Einstein : - Ma insomma, maestro, potreste spiegarmi questa vostra famosa teoria della relativita? - E' molto difficile, signorina, - rispose lo scienziato - ma se volete, potrei suonarvela sul violino. Quando non si è o Einstein o Presidente di Repubblica, non si è autorizzati a dare di queste risposte. Elsa Maxwell, nota giornalista americana, a un'amica che le domandava come riuscisse a rendere desiderabile a tante persone un invito a casa sua, rispose : - E' semplice : basta ricevere ogni ospite con una parola: « finalmente! » e dire, quando accenna a congedarsi: « di già? »

Pagina 92

E' bene che i genitori abituino il bambino a lasciar stare gli oggetti, a recitare la lezione senza giocherellare con la chiave della scrivania, a confessare la gherminella senza piegare l'angolo del grembiule. Gli servirà per più tardi, quando andrà «in società» a non tamburellare, a non maciullare il margine della pagina che sta leggendo, a non trasformare in tromba il documento rotolato che ha in mano, a non infilarsi l'indice nel collo della scarpa; insignificanti e stupide manovre che sono irritanti per chi le osserva, e possono pregiudicare la carriera di chi li eseguisce. Attenzione a non offrire, con i piccoli gesti incontrollati, una serie di «tests» rivelatori della tua personalità.

Pagina 96

C'è sempre il pericolo di prendere le difese di quella moglie, picchiata a sangue dal marito, che urlò all'improvvisato difensore: «E se a me facesse piacere essere battuta?» Su dieci persone che afferri per il braccio per salvarle da un investimento, una ti ringrazia e le altre nove hanno l'aria di reagire perchè hai stazzonato loro vestito. Nei casi meno drammatici ti può accadere come a quel padre cappuccino che credette di rendere un prezioso servizio al suo priore, avvertendolo di non mangiare un fritto di pesci, nel quale il cuoco miscredente aveva messo un po' di lardo un giorno di magro. Il priore, contrariato, gli disse con una certa vivacità: - E voi, che cosa siete andato a fare in cucina?

Pagina 96

Cerca

Modifica ricerca