Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Come presentarmi in società

199953
Erminia Vescovi 50 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Dinanzi a sè vede braccia amorevoli tese a invitare e a sorreggere, tutto intorno a sè non vede che sorrisi; par che il sole non abbia altro ufficio che splendere sulla sua letizia, la terra non debba produrre erbe e fiori se non per offrirglieli; che il canto degli uccelli, il mormorare delle acque non abbia altro scopo che il suo diletto. Oh, vorremmo dire col Prati:

Le argute pagine dell'Osservatore, di Gaspare Gozzi, trattano spesso qua e là il tema delle cerimonie e dei convenevoli, tema importantissimo a' suoi tempi. E a questo proposito, una volta fra le altre, l'autore usa per epigrafe i versi di Virgilio:

Quando un padre o una madre pongono in mano a una data persona l'educazione della loro figliuolanza, essi vengono implicitamente a darle il segno della massima stima e della massima fiducia, e li chiamano a parte della loro autorità. In generale, però, la constatazione di questa verità sfugge alla fretta e alla noncuranza dei genitori, i quali considerano come un fatto materiale qualunque quello di scegliere e accordare un maestro o un istitutore. Certo, non sono più i tempi cui sarebbe possibile un dialogo come quello che l'Alfieri ci presenta nella famosa satira L'Educazione. Ora tali eccessi di petulanza e di ingiustizia non si concepirebbero nemmeno più, e l'insegnante privato ha raccolto egli pure il beneficio del cresciuto rispetto al sapere. Eppure, qualche volta. Parliamone dunque, riducendo il discorso più che altro riguardo alle istitutrici, giacchè i loro colleghi maschi ora sono quasi spariti. L'istitutrice suol essere una signorina di buona famiglia, talvolta persino di nobiltà decaduta, costretta a guadagnarsi il pane col duro sacrificio della sua libertà, e coll'assumersi doveri penosi e difficili. Generalmente non è fornita di diplomi superiori, perchè in tal caso altre vie, e migliori, le si aprirebbero; possiede però una cultura discreta, parla generalmente due o tre lingue. Soprattutto quel che si richiede da lei, e la madre glielo raccomanda caldamente, affidandole l'alunna, è una finezza di modi, una scrupolosa osservanza delle convenienze sociali. Giacché la giovanetta affidata alle sue cure suol essere destinata a brillare nei salotti. La famiglia che la riceve deve trattarla con quel riguardo che si deve agli ospiti, e col rispetto speciale che si deve a chi esercita una funzione di primaria importanza nel consorzio umano. Triste cosa invece è veder certe signore, specialmente le novelle arricchite, trattarle poco più che come gli altri salariati di casa, e non aver nessun riguardo alla loro superiorità intellettuale, e alla condizione precedente, che le rende naturalmente più sensibili a certe piccole umiliazioni. E' naturale che l'istitutrice non prenda parte ai trattenimenti o ai pranzi di gala a cui non intervengono i suoi alunni; è naturale che non si trattenga nel salotto quando la signora riceve: ma non occorre che questa la congedi o le faccia comprendere che la sua presenza non è gradita: la signorina finemente educata sa benissimo ritirarsi da sè. La madre deve avvezzare la fanciulla a usar modi rispettosissimi verso la sua istitutrice, e non deve permettere che si prenda la destra, uscendo a piedi o in vettura. Se la fanciulla avesse mancato in qualche cosa, la signora deve obbligarla a far le sue scuse, e non assumerne mai ciecamente le difese. E se avesse, eventualmente, qualche osservazione da fare alla signorina, si guardi bene dal lasciarsi sentire dalla figlia, e in tutti i modi usi forme corrette e temperate. Anche un'istitutrice può sbagliare, ma ha diritto di non essere umiliata! Perciò dico che quando in casa D'Azeglio, all'aia e alla marchesina che avevano tardato alquanto a pranzo, si fece portar la famosa minestra messa a riscaldare... sul terrazzino e coperta con un dito di neve, se non fu soltanto uno scherzo ammonitore, facilmente rimediabile colla comparsa di un'altra zuppiera, fu una villania crudele e inutile. E il marchese Cesare D'Azeglio, in quell'occasione, non agì nè da gentiluomo nè da cristiano. Bisogna proprio dire che la povera signora Teresina avesse un gran bisogno di quel pane, o che fosse molto affezionata alla sua alunna, per non congedarsi subito. La padrona di casa deve poi sorvegliare perchè nulla manchi degli agi personali, perchè la servitù adempia con lei puntualmente tutti i suoi doveri, e non si pigli confidenze. Quella gente ineducata, dal fatto che la signorina è anch'essa pagata in denaro, farebbe presto a desumerne il diritto di trattarla alla pari. Alle signorine che frequentano la casa essa deve essere presentata, e a tavola servita subito dopo la padrona di casa, sempre inteso se non vi sono parenti anziane, o signore ospiti. Alla sua volta, l'istitutrice deve aver un tatto finissimo nelle sue relazioni colla famiglia. Sfugga le conversazioni inutili, specialmente col padre e coi fratelli della sua alunna; sia moderata anche nel trattenersi con la signora, non si ponga mai nel caso di rendersi molesta. Cogli alunni usi sempre fermezza e buon garbo, faccia pure sentire la sua autorità, ma congiunta all'amorevolezza. Talvolta essa ha da fare con caratteri molto difficili, e con viziature precedenti: non si scoraggi e tenga a sua disposizione una risorsa inesauribile di pazienza e di affetto, con queste armi sarà ben difficile che non riesca a vincere. I modi bruschi, la severità eccessiva le farebbero subito perder la benevolenza degli alunni, e, subito dopo, anche quella della famiglia. Si ricordi anche che molto sarà giudicata dall'aspetto: abbia dunque cura di pettinarsi e di vestirsi con semplicità e con modesta eleganza, ma sfugga tutto quello che potrebbe sembrare troppo vistoso o troppo pretenzioso. Generalmente, però, anche le famiglie molto agiate fanno a meno volentieri dell'istitutrice e preferiscono prendere dei professori per lezioni svariate ai loro figli, e specialmente alle fanciulle. Questi sono, in generale, insegnanti pubblici, ben forniti di diplomi e conosciuti in città. Le famiglie, com'è naturale, cercano di accaparrarsi i migliori. E devono per conseguenza usar verso di loro tutta la deferenza, ed esigerla anche dai loro figli. Li avvezzino dunque a trovarsi puntualmente preparati alle lezioni: non li scusino con troppa facilità se hanno mancato a qualche dovere. Se per qualche ragione, grave, non capricciosa, l'alunno non potesse nel giorno fissato prender lezione, è assoluto dovere dei genitori di avvertire il maestro; troppo sarebbe sconveniente che egli si recasse a casa dell'alunno, per sentirsi dire che può tornarsene indietro o che aspettasse inutilmente, se è l'alunno che si reca da lui. E' obbligo della famiglia corrispondere l'onorario anche a quelle lezioni per le quali non si sia potuto avvisar a tempo dell'impedimento, e insieme con questo far le più ampie scuse. Nel trattare poi le modalità d'un corso di lezioni, il padre o chi per lui, non lasci da parte quella benedetta questione degli onorari. Talvolta una malintesa delicatezza, una irragionevole vergogna trattiene da questo passo: quando poi viene il momento, possono essere spiacevoli sorprese da una parte e dall'altra. Siano puntualissimi i genitori nel soddisfare al loro debito nel modo accordato, ma evitino di compiere il pagamento in presenza degli alunni. E lo accompagnino sempre con un cortese ringraziamento, e mostrino di interessarsi dello svolgimento del corso di studi. Il professore, da parte sua, deve poi mostrarsi scrupoloso osservatore dell'orario stabilito; non deve perdere il tempo in conversazioni inutili coll'alunno o coi membri della famiglia, non abbrevierà mai le sue lezioni, o se per caso ciò gli fosse imposto da circostanze speciali, si riserverà di compensare nella lezione seguente. Tocca anche a lui, com'è naturale, l'obbligo di avvertir per tempo se dovesse mancare; vedrà secondo le circostanze se è il caso o no di rimettere la lezione perduta: questo però sarebbe suo obbligo assoluto se l'onorario è mensile. Accade talvolta che il professore sia invitato in casa del suo alunno, in occasione di qualche festa familiare. Egli mostrerà di apprezzare la gentilezza di questo procedere che lo mette nell'intimità della famiglia, e anche se non potesse accettare farà i più cordiali ringraziamenti. Tuttavia non è obbligato alla visita tradizionale. Al termine del corso, la famiglia che sa il suo dovere e vuol agire con delicatezza, offre un ricordo al professore, o lo fa offrire dai figli. E spesso, coll'andar del tempo, la relazione si muta in affettuosa amicizia, che stringe per tutta la vita i giovani e i loro genitori al benemerito insegnante. Quando poi i genitori (ed è il caso più comune oggidì) preferissero mandare i loro figli a qualche istituto pubblico, non credano per questo di doversi esimere da ogni relazione cogli insegnanti. Vi sono dei padri di famiglia che mettono un vanto speciale nel dichiarare che essi non conoscono nemmeno i professori dei loro figliuoli, che si guardano bene dal seccarli, che non vogliono sembrare di andar a raccomandarli (parola che suona sinistramente nelle scuole!...). Ma se la cooperazione della famiglia colla scuola è un elemento principalissimo per la buona riuscita dei ragazzi, ne viene che mancano gravemente al loro dovere quei genitori che non vanno, opportunamente e discretamente, a informarsi della condotta e dei progressi dei loro figli. E non dovrebbero poi avere una istintiva brama di conoscere la faccia e i modi di coloro a cui, per tante ore del giorno rimangono essi affidati? Vadano dunque, ogni tanto, a conferire col preside e coi professori, e saranno i benvenuti, e da quei colloqui ne risulterà spesso una stima, una simpatia reciproca, una ragionevole intesa che si tradurrà poi in benefica azione sull'educando. Tante volte basta sapere una cosa da nulla, per cambiar addirittura tutto il metodo con un ragazzo!... S'intende che non per questo s'incoraggino i troppo frequenti seccatori, e specialmente le mammine che, alla fin d'anno, assediano con interminabili querimonie i gabinetti dei presidi, le anticamere e le portinerie, e persino le dimore private dei professori. In famiglia, i genitori non si facciano mai sentire a parlar male degli insegnanti dei loro figli, e non permettano a questi di giudicarli in nessun modo. I ragazzi, si sa, hanno la linguetta lunga e l'intelletto vivace (in certi casi!) e si divertono immensamente a satireggiare i loro insegnanti, a rifarne il verso, a mettere dei soprannomi. In fondo, se non c'è vera cattiveria, bisogna riflettere che il mondo è sempre stato così, da che ci furono maestri e discepoli, e se i ragazzi si sfogano un po' fra loro, chiudere un occhio. Ma se la critica venisse fatta in presenza d'altra gente, se assumesse poi (Dio guardi!) il carattere di malignità, se il ragazzo si desse aria di superiorità, è obbligo dei genitori intervenire colla massima severità e dar la meritata lezione ai petulanti. Guardino poi bene i genitori di non prestar fede alle ciarle che spesso si diffondono fra la scolaresca e vengono riportate a casa, a carico di questo o di quel professore. Impongano silenzio e si rifiutino di credere. E generalmente avranno ragione di non credere affatto, ma se realmente qualche seria lagnanza potesse venir mossa contro l'insegnante, pensino che non tocca a loro rinfocolar questioni di questo genere, di cui si suol far giustizia nei debiti tempi e modi. E anche non ascoltino troppo facilmente le lamentele di qualche ragazzo svogliato, che dopo un cattivo voto, o una sgridata a scuola, viene a lamentarsi coi genitori che il professore tale è ingiusto, che ce l'ha con lui (frase classica!) e simili cose ancora. Se fanno eco a queste lamentazioni, possono essere sicuri che ogni traccia di buon volere sparirà dall'animo dei ragazzi. Guai se essi sono incoraggiati nella poltroneria! Dopo gli esami poi, un diluvio di accuse si rovescia sopra gli esaminatori. Lo scolaro che non ha superato la prova viene a raccontare che il professore B gli ha fatto una sola domanda, che il professore M lo ha interrogato fuori di programma, che il professor G lo ha imbrogliato e confuso apposta, e gli ha fatto perdere la testa. E non mancherà poi quello che sosterrà d'aver risposto benissimo a tutto, e di non sapersi spiegare la bocciatura se non come una vera ingiustizia, una cattiveria senza uguale. Per quanto dispiaccia ai genitori un simile risultato dell'anno scolastico, si guardino bene dal far loro queste appassionate scuse dei loro rampolli. E pensino invece che, se durante l'anno fossero stati un po' più solleciti a informarsi sui loro portamenti, le cose probabilmente non sarebbero andate così. Non s'inquietino dunque e non inveiscano contro i professori... e non tolgano loro il saluto! come fa qualcuno, credendo di punirli severamente. Nelle scuole pubbliche non s'usano regali, anzi sono proibiti: i genitori faranno bene a tener saldo anche quando i ragazzi credessero, in qualche circostanza speciale, rompere il divieto. Sarà invece cortese il padre di famiglia che manda il suo biglietto da visita con un breve, ma cordiale ringraziamento alla fine dell'anno scolastico. Gli auguri scritti per Natale e Pasqua vanno ormai sparendo, a tutto beneficio dei portalettere: gli scolari però li faranno a voce, al termine della lezione che precede le vacanze. Una volta il capo di famiglia mandava a ciascun insegnante il proprio biglietto: ma in pratica, questo si risolveva in un vero disturbo, volendo contraccambiare. Perciò è molto meglio sottintendere, negli auguri dei figli, anche quelli dei genitori.

E non godiamo anche nell'aprire il nostro cuore a quelli che sanno comprenderci? - Questo, si dirà, è per la corrispondenza intima. - Ebbene, per le altre lettere, valga quello che abbiamo detto per le visite di convenienza e di etichetta. Poichè la lettera sostituisce la visita; e se è vero quel che dice Cicerone che la lettera altro non è se non una conversazione in iscritto, ne vien che essa deve avere le stesse norme della visita e della conversazione, oltre ad alcune modalità sue proprie. E vediamole subito. Come chi si presenta in casa altrui dev'essere decentemente vestito, colui che scrive avrà tutta la cura per l'aspetto della lettera. Carta bianca e pulitissima: non si ammettono i colori anche lievissimi se non dalle signore. S'intende che la busta dovrà essere perfettamente assortita al foglietto. Si può usare il monogramma, la corona nobiliare, facendolo mettere a sinistra in alto del foglietto, però sono cose che sanno un po' di affettazione. L'inchiostro sia di preferenza nero o blu, e non di colori stravaganti. Le lettere di carattere ufficiale, d'affari, si scrivono sempre su carta bianca. I ricorsi, i promemoria ecc. si scrivono su carta cosidetta da protocollo, meglio se non rigata, nel qual caso, però, bisogna adoperar la falsariga, per la necessaria regolarità. La calligrafia ha pure la sua importanza, ed è quello che è la voce, nella conversazione. Certe calligrafie producono un effetto disastroso. E non solo all'occhio, ma all'intelletto che giudica spesso da quelle il grado di civiltà e talvolta il carattere dello scrivente. Lo scritto a uncini, a sbalzi, sformato, irregolare non è compatibile che nella povera gente, negli altri indica poco rispetto e negligenza; quelli poi che usano caratteri a punta, insolenti e aggressivi, o che imitano la scrittura altrui, snaturando la propria, mostrano poco cervello e poco gusto. Scrivere troppo minutamente è un tormento agli occhi e abusar della pazienza altrui; riempire una pagina con quattro righe a gran caratteri è un'altra sconvenienza. E che diremo poi delle correzioni, delle raschiature, delle macchie? Non si possono scusare in nessun modo. La data va messa in cima al foglio, a destra; nelle lettere di riguardo, invece, si suol mettere a sinistra, dopo la firma. E' cosa lodevole aggiungervi anche l'indirizzo, specialmente scrivendo a persona con cui abbiamo relazioni molto larghe. Dopo la data viene l'intestazione, sempre a sinistra, e non mai nel mezzo (salvo nelle suppliche e istanze) e tanto meno a destra, usanza carissima ai soldati e alle domestiche. La formula dell'intestazione, vien data, naturalmente, dalle nostre relazioni con la persona a cui si scrive, e dal grado di questa. Ai nostri amici e parenti diremo sempre caro e carissimo, colle altre persone ci regoleremo secondo il caso. Le forme più usate sono: Gentilissima signora, - Cara amica, - Egregio signore, - Caro amico, ecc. Quando vi sia un grado nobiliare, bisogna sempre usarlo. Così dei titoli accademici; perciò diremo: Caro Avvocato, o Caro Conte, oppure Egregio Avvocato, Egregio Dottore, - regolandoci sulla confidenza maggiore o minore che si abbia colla persona. Non si mette mai un titolo per intestazione, senza farlo precedere da un aggettivo (egregio professore, carissimo ingegnere) e non scriveremo mai a una signora: Egregia professoressa - Stimatissima maestra - Chiarissima dottoressa, per le ragioni già dette parlando delle buone regole nella conversazione. L'intestazione «Chiarissimo Professore» si usa invece con i docenti universitari. Soltanto un dipendente o un fornitore si rivolgerà a un titolato o a un professionista con la formula «Egregio Signor Conte», «Egregio Signor Ingegnere», ecc. A una persona inferiore, a un fornitore si suole scrivere: Caro signor B - Cara signora C - secondo la professione. S'intende poi che agli alti dignitari dello Stato e della Chiesa si daranno i titoli prescritti, e si ripeteranno nel corpo della lettera, e nella frase di chiusura precedente la firma. Cominciando la lettera si tenga qualche distanza dall'intestazione. Questa distanza, secondo le buone regole, deve essere tanto maggiore quanto più di riguardo la persona a cui scriviamo. E' poi necessario, in tali casi, non scrivere se non da un lato del foglio: il margine ora non si usa più, ma non è bello nemmeno nell'intimità vedere le righe correre sino all'estremo limite e talvolta - orrore! - le parole ripiegarsi in giù lungo il lembo destro... Nella frase di chiusura, bisogna badare alle stesse regole dell'intestazione: affetto, devozione, rispetto, cortesia, devono ispirarle opportunamente, secondo i casi. Diremo ad un parente o ad un caro amico: Ti abbraccio di cuore, tuo aff. ecc. - Ricevi un abbraccio dalla tua B, ecc. A una persona di mezza confidenza: La prego di gradire i miei cordiali ossequi. - Mi creda, egregio ingegnere, il suo aff. e dev. B. C. - Coi sensi della massima stima, suo obbl. P. C. - Con rispettosi saluti, obbl. e dev. B. M. Coi fornitori e alle persone inferiori: Con i migliori saluti, N. N. Una signora non metterà mai nella sottoscrizione l'aggettivo umilissima (salvo in una supplica al Capo dello Stato) e non si dichiarerà mai serva di nessuno. Nella firma si pone sempre prima il nome, poi il cognome: se vi sono titoli... si lasciano nella penna, per non passar da vanesi di cattivo gusto. Però, scrivendo ad ignoti, e quando sia necessaria una indicazione che qualifichi lo scrivente, si suole usare il titolo professionale o accademico. Sulla busta si scrive colla massima chiarezza il nome e cognome della persona, preceduti dai rispettivi titoli. Dopo il nome e il cognome si suol mettere talvolta l'indicazione del grado e l'ufficio. On. N. N. - Deputato al Parlamento. Conte B. C. - Presidente della Congregazione di Carità. Signora T. M. - Direttrice dell'Orfanatrofio Femminile. Queste indicazioni sostituiscono spesso l'indirizzo della via e numero, e giovano al recapito con maggior sicurezza. Non è ben fatto abbreviare gli aggettivi scrivendo per esempio: - Ill.mo Stim.mo, ecc.; tuttavia si può tollerare nelle buste; non mai nella intestazione interna, e tanto meno nel corpo della lettera. In fondo, a destra, si scrive il nome della città, e l'indicazione della provincia se si crede necessario. E' sconsigliabile scrivere solo Città quando la lettera non ne deve uscire: potrebbe darsi invece che per isbaglio fosse mandata altrove o scivolasse fra qualche giornale, e allora dove rimandarla? Il francobollo va messo sempre a destra, in alto. Chi non si fida della semplice ingommatura della busta, metta un sigillo, una marca di suo gusto, ma non contravvenga alle regole chiaramente espresse pel servizio postale, mettendo il francobollo dietro la busta, a mo' di chiusura. Venendo poi alle regole per una lettera bene scritta, diremo che la migliore di tutte è di lasciarsi guidare dal cuore, dalla convenienza e dal buon senso. E anche dalla prudenza, in certi casi, perchè dice il proverbio latino, verba volant, scripta manent... Si abbia la massima cautela trattando argomenti delicati; non ci si abbandoni alla collera, all'impulso cattivo del momento, se dobbiamo scrivere una lettera di rimprovero; si usi tutto il riguardo nel dare consigli, specie se non richiesti. Non si scriva a dritto e a traverso, facendo quegli sgradevoli graticci che stancar gli occhi. Le convenienze vietano di usare la macchina da scrivere per la corrispondenza che non sia d'ufficio. Per praticità, e sull'esempio dell'estero, fra giovani si tende ora ad abolire questa regola, quando ci sia una certa confidenza. Comunque, non si usi mai la macchina per scrivere una lettera privata ad una signora od a un superiore; se si fosse costretti a farlo per ragioni speciali (ad es. lunghezza eccezionale della missiva o particolare mancanza di chiarezza della nostra grafia) non si dimentichi di chiederne perdono nella lettera stessa. Si dev'essere pronti nel rispondere, specie se ci vien chiesto qualche favore, o se dobbiamo dare qualche informazione o notizia che prema. E pronti anche nel ringraziare dopo l'arrivo di qualche dono, per non lasciar la persona gentile nel penoso dubbio, se sia giunto o no. Chi poi avesse ricevuto una lettera da impostare, lo faccia subito, per non correre il pericolo di dimenticarsene... all'infinito. Chiedendo ad altri questo favore, si consegni la lettera col francobollo già apposto. Sarebbe scortese dargli in mano il danaro e peggio ancora riservarsi di darglielo dopo e dimenticarsene!... Una lettera da presentarsi a mano porta sempre scritte le parole: per favore. Se questa lettera è di presentazione va consegnata aperta, e non deve parlar d'altro. Se è lettera di carattere privato c'è chi dice che si può benissimo consegnarla chiusa. Sarà sempre più cortese però, affidandola a persona che non sia inferiore a noi, consegnargliela aperta, ed essa ha l'obbligo, ricevendola, di chiuderla in nostra presenza, con una cortese protesta. Una signora non scrive mai a lungo ad un uomo, e specialmente se l'età non è matura in uno almeno dei due. E c'è pure chi si diletta cogli ignoti conosciuti nella quarta pagina d'un giornale. Gente che ha tempo da buttar via, poco giudizio, e che si espone anche al caso di aver dei gravissimi dispiaceri... Le lettere anonime sono, chi non lo sa? una delle più riprovevoli e vili azioni. Chi ne ricevesse una, badi di non turbarsene eccessivamente; il più saggio partito è di buttarla nel fuoco e non pensarci più. Analoghe alle lettere sono le cartoline, di cui ora si fa molto uso: nella modalità hanno press'a poco le stesse regole. Si badi però che sarebbe sconvenienza scrivere una cartolina a persona molto a noi superiore, anche se fosse per una comunicazione di due righe. E anche scrivendo a parenti e amici, non si usi mai della cartolina, quando si abbia qualche cosa di delicato o di personale, per non correre il rischio che la notizia sia saputa dal portinaio o dalla domestica prima che dalla persona a cui doveva giungere, e che dia luogo a indiscreti commenti!

Ora è giunta l'età della ragione, ora il fanciullo comincia a essere responsabile dei suoi atti, comincia ad accorgersi che intorno a lui v'è tutto un mondo che si agita, lavora, progredisce, e con questo mondo comincia ad avere i suoi primi contatti. E, generalmente, questi primi contatti accadono nella scuola. I doveri verso la famiglia divengono maggiori e vi si aggiungono i doveri scolastici. Non faremo naturalmente questione di tali doveri in quanto riguardano la morale: ma i bei modi che vogliamo insegnare ai nostri fanciulli sono una emanazione diretta della gentilezza e della rettitudine del loro cuore: le due questioni sono dunque ben raramente separabili. Che il fanciulletto impari a far l'inchino e a baciar la mano alle signore, che la bimba impari a far la riverenza, è cosa puramente formale, e da lasciarsi al gusto dei genitori e dell'ambiente in cui vivono. Ma è assolutamente necessario invece avvezzarli a tacere quando parlano i grandi, a non interloquire a sproposito, a non mancar di rispetto ai vecchi, a trattar bene i domestici, a star in buona concordia tra fratelli e sorelle. La prima palestra di cortesia è la casa paterna. Perché si dovrebbe permettere al ragazzo di usar tra le mura domestiche quei modi irruenti e scorretti che gli sono severamente proibiti fuori? Coll'esempio, dunque, e colla persuasione, si cerchi di formar l'animo in questa età in cui è tale esuberanza di vita e nel tempo stesso tale facilità di adattamento. E' l'età in cui si può fare appello alla ragione, al sentimento, alla convenienza, al senso del decoro e dell'onore, per ottenere preziosi risultati; mentre nella prima puerizia bisognava contentarsi di ricorrere all'autorità, all'esempio, all'opportunità del momento. I fanciulli maleducati sono il terrore degli amici di casa! Chi si ricorda di Giannettino del Collodi? La fama di Pinocchio ha offuscata quella di tutte le altre opere del briosissimo autore; pure vi sarà ancora chi ricorderà Giannettino, il ragazzetto dagli occhi azzurri e dal ciuffo rosso, il quale ne fa di tutti i colori, e mette in fuga i visitatori dalla conversazione della mamma... e tormenta tutti, sino a che un vecchio amico di casa, il dottor Boccadoro, riesce a domarlo e a trasformarlo. In capo a un anno, un po' colle buone, un po' colle cattive, il miracolo è compiuto, e il bravo dottore riesce ad avere questa preziosissima confessione: - Davvero, se i ragazzi sguaiati sapessero quanto torna conto l'essere compiti e gentili, l'assicuro signor Dottore, che non si troverebbe più un ragazzo sguaiato a peso d'oro!, - All'opera, dunque! Il fanciullo deve avvezzarsi pulito e ravviato nella persona, e alla mattina e fra il giorno lavarsi abbondantemente. Anche alla sera, prima di coricarsi, si lavi il volto e le mani. Appena s'accorge di uno strappo o d'una macchia al suo vestito, sia pronto al rimedio. Una fanciullina deve saper fare da sè; il maschietto ricorra all'amorevolezza della piccola sorella, e non dimentichi mai di ringraziarla. Il primo saluto alla mattina e l'ultimo alla sera devono essere pei genitori. Una ragazzina di mia molto intima conoscenza era andata a letto, una sera, senza dar la buona notte. Si era appena stesa fra le lenzuola, quando si presentò a lei la domestica, avvertendola che i suoi genitori la chiamavano in salotto. Si rivestì subito, con un po' di sorpresa e di batticuore, si presentò ai genitori e chiese cosa desiderassero. Niente altro, le fu risposto, se non sentirci dare la buona notte! - La lezione fu indimenticabile. Essa ci ricorda quella del famoso scrittore inglese, Swift, il quale fece richiamare la sua giovane domestica, partita in tutta fretta per assistere alle nozze di sua sorella, perché venisse... a chiuder la porta che sbadatamente aveva lasciata aperta. Sicuro, anche questa della porta è una questione importante. C'è chi la lascia sempre aperta, e tocca poi al vento chiuderla rumorosamente, oppure alla persona che sedeva tranquilla alzarsi con suo incomodo: c'è chi la sbatacchia con mal garbo e fa tremare tutta la casa. Il ragazzo che entra od esce, per quanto in fretta, deve avvezzarsi a chiuder adagio e solidamente. Sulla soglia poi, se egli è colla sorellina (non occorre dire con persone superiori!) deve fermarsi e lasciarla passare. E mai deve trascurare le formule: con permesso, scusi, ecc. (evitando il francese pardon) tutte le volte che è costretto a recare altrui qualche lieve disturbo. E non si permetta ai maschi di far giuochi troppo rumorosi in casa, di alzar la voce soverchiamente, di cantare e strillare, di ridere sgangheratamente. Si frenino anche certe sgarbate dimostrazioni d'affetto: quel buttarsi scompostamente al collo di una persona, e sia pure la mamma, per tenerla sotto una pioggia di baci, quell'arruffarle i capelli, quel tirarla per le mani, quell'abbandonarsele addosso. L'affetto deve manifestarsi in modi più ragionevoli e gentili, senza perder nulla della sua intensità. Le femmine, colle loro tendenze più tranquille, e colle loro mosse naturalmente più composte, riescono, in generale, assai più facili a educare. Ma vi sono però delle fanciullette che hanno una vivacità straordinaria, veri maschietti, veri demonietti, si soglion dire. Ebbene, la brava mamma non incoraggerà e non tollererà queste tendenze. Per quanto i tempi moderni inclinino all'abolizione di ogni differenza tra i due sessi, ricordiamo che la gentilezza e la modestia rimangono sempre il pregio più caratteristico della donna. La fanciulletta maschilizzante nella voce, nei modi, nei salti deve dunque essere frenata a tempo, e siccome ciò accade specialmente quando, essendo unica femmina di casa, si diverte abitualmente coi fratelli e coi loro piccoli amici, la mamma cerchi di procurarle qualche compagna adatta, o la tenga molto presso di sè, occupandola piacevolmente. I giuochi tra compagni, giù nel cortile, o nella piazza vicina a casa, o nei giardini pubblici, vanno talvolta a finire in qualche lite. Allora volano le parole insolenti, si mena anche qualche pugno e alla fine i piccoli nemici si staccano malvolentieri dal campo di battaglia, per ritirarsi a casa a raccontar le cose come la passione loro suggerisce, e far nascere spesso disgusti, malumori e inimicizie tra le famiglie. Bisogna impedir questo, ad ogni modo. I fanciulli devono essere cortesi ed arrendevoli nel gioco: devono saper compatirsi a vicenda e non turbare la gioia comune per qualche puntiglio o qualche dispettuccio. I genitori hanno poi l'obbligo di formare nell'anima loro il senso della più scrupolosa lealtà nelle gare di forza o di abilità, il che costituirà un prezioso fondamento a ben altre applicazioni nella vita; gioverà inoltre a impedire molte questioni e dispute. Ma se queste accadessero i genitori impongano riconciliazione pronta, e scuse a chi si deve. Ho sempre nell'orecchio il tono grazioso con cui un fanciullo romano, a Villa Borghese, diceva a un suo piccolo amico: - Bene, ora perdonami, e giochiamo. - Eran da soli; l'imposizione non era dunque partita da nessun superiore, ma la parola onesta e gentile fioriva evidentemente sul labbro di quel ragazzetto per opera di una educazione domestica sollecitamente curata. Non si deve mai permettere a un ragazzo di usar soprannomi o parole offensive verso nessuno. Ma quante volte i genitori son colpevoli essi medesimi a questo riguardo! Quante volte parlano dell'assente con superbia o con sprezzo! Quante volte riferiscono, vantandosene, qualche tratto d'insolenza che a loro sembra giustizia! E non si permetta nemmeno che il fanciullo si avvezzi a trinciar sentenze su uomini e cose, e faccia osservazioni non competenti alla sua età. E, per carità, si freni la mania dei saputelli e, peggio ancora, delle saputelle, a voler mettere in mostra, a tutti i patti, il loro piccolo corredo di scienza! Verso i vecchi di casa i nipotini devono usare ogni riguardo. E' vero che l'affezione dei nonni e degli zii, affezione talora cieca e idolatra, basta talvolta a mettere tra loro la massima cordialità di relazioni. Ma talvolta i poveri vecchi sono un po' di cattivo umore, talvolta sono indisposti: allora bisogna impedire che la vivacità infantile li disturbi, allora bisogna che i fanciulli, e specialmente le fanciulle, sian più che mai affettuosi e servizievoli. Guai ai genitori che osassero dar l'esempio di qualche parola poco riguardosa, di qualche segno di dispetto! Coi domestici, i fanciulli stanno spesso e volentieri, e la cosa non è senza pericolo. Dai servitori potrebbero imparare parole sconce, dalle cameriere vanità e pettegolezzi. E' vero che oggi il personale di servizio va riducendosi tanto, che questi pericoli anch'essi gradatamente scompaiono. Tuttavia, in campagna e nelle famiglie agiate e numerose, il caso può darsi ancora. I savi genitori non lascino che i loro figli si trattengano in compagnia dei domestici più di quanto è necessario, anche se fossero persone (se ne trovano ancora, benchè troppo poche), di tutta loro fiducia. Nell'antichità classica la vecchia nutrice, il servo fidato era l'amico del giovane f atto adulto, era il confidente obbligatorio delle sue passioni nelle tragedie. Ora i servi si soglion dire nostri nemici pagati. Ma in presenza dei figli i bravi parenti non fanno mai sfoghi di cattivo gusto contro la servitù. E devono anche avvezzarli a trattar con bel garbo la persona di servizio, a usar anche con essa le formule usuali della cortesia: per piacere, grazie, scusa, ecc. Troppo spesso i ragazzi inclinano alla prepotenza e allo sgarbo, e le prime vittime ne sogliono essere i domestici. Se poi questi hanno l'ardire di difendere i loro diritti naturali, di risentirsi un po' ecco il prepotentello tramutarsi in delatore, e correr dalla mamma, e lamentarsi che gli è stato mancato di rispetto. E la mamma, si sa, inclina in generale a dar ragione al suo rampollo, e non risparmia la sgridata. Così non fa peraltro una donna, saggia e cristiana, la quale deve intendere come si faccia un pessimo regalo al fanciullo con quella momentanea soddisfazione data al suo orgoglio e alla sua vendetta. Ricordiamo, al contrario, la marchesa d'Azeglio che costrinse il suo piccolo Massimo a chiedere scusa ginocchioni al vecchio servo cui aveva menato, forse senza gran cattiveria, una bacchettata! Anche verso le povere bestie di casa il fanciullo deve essere amorevole e premuroso. E' buona abitudine dar loro in custodia qualche uccelletto, affidar alle bimbe il nutrimento delle galline, far che prestino qualche cura al vecchio cane o all'asinello o al puledro. E non si permettano mai le barbarie contro gli insetti, le frustate inutili ai cavalli, e si avvezzino a considerare il cane e il gatto, quali veramente sono, cioè amici discreti e sicuri, e servizievoli, ma della cui pazienza non bisogna poi abusare. Durante l'infanzia e alla fine di essa i fanciulli fanno due grandi passi nella vita religiosa: la Cresima e la prima Comunione. L'una e l'altra sono due solennità che la famiglia celebra con tutta la pompa che le è possibile; ma genitori dal retto sentire cercheranno che questa pompa esterna non sia mai a danno del raccoglimento interno. Ai due grandi sacramenti deve precedere una conveniente preparazione, e per la Comunione, specialmente, sarebbe desiderabile un ritiro. Che l'idea dei regali, delle vesti eleganti, degli svaghi e dei complimenti non profani la sacra purezza del senso religioso! E in quel giorno, dopo una intima e soave festività, tra parenti e amici, si tengano ben lontani i fanciulli da ogni distrazione mondana. In certi luoghi, purtroppo, non si fa così, e dalla mattina alla sera i cresimati e i neo-comunicati si vedono girar la città, vestiti ancora cogli abiti e cogli ornamenti della sacra cerimonia; e si conducono al passeggio pubblico, e in visite, e al caffè... e anche al cinematografo e al teatro. Che impressione può loro restare di questa giornata, e specialmente se è quella della Comunione, che suol essere detta «la più bella della vita»? Perchè sia tale, bisogna formare tutto intorno al fanciullo, un'atmosfera di pietà, di raccoglimento, di dolcezza e di affetti domestici, e custodirvelo scrupolosamente.

La lotta per la vita che si va facendo sempre più urgente, spinge spesso la donna fuori delle pareti domestiche, a guadagnarsi il suo pane con un lavoro fisso e regolarmente retribuito, a preferenza del lavoro domestico. E così noi vediamo spesso anche delle giovanissime fanciulle, sbalestrate qua e là, costrette ad assumersi responsabilità talvolta gravi, e a mettersi a contatto con ogni sorta di gente. Sono maestrine, sono impiegate nelle banche, o nelle poste e nei telegrafi o in altri uffici ancora, sono commesse e dattilografe. La giovane maestra che si reca in un paese nuovo (giacchè ben difficilmente può aver la fortuna di esercitare l'ufficio suo nella propria città) si trova in una condizione molto difficile, esposta a tutte le osservazioni, e spesso a critiche maligne. L'amore per il suo dovere, la serietà del contegno faranno però ch'ella riesca in breve a guadagnarsi la stima della gente. Il campagnuolo è osservatore, è esigente, ma è anche giusto. E spesso una brava e buona maestrina diventa l'idolo del paese. La maestra dovrebbe essere seriamente e gentilmente educata ancor più che istruita. Se, dopo aver lasciato i banchi della scuola, avrà dimenticato in breve le teorie d'Aristotile o la disposizione dei cieli danteschi, poco male; ma invece sarà malissimo se darà ai suoi scolari l'esempio di una condotta leggera, o di modi triviali. Non sarà obbligata, specialmente se è giovane e di carattere allegro a far vita di una suora, ma dovrà astenersi da rumorosi divertimenti, da gare di vanità. Se nel paese, vi sono villeggianti, e le circostanze vogliono ch'essa entri in qualche relazione con loro, si contenti del puro necessario, e si persuada che se volesse frequentar troppo la loro casa, prender parte a tutti i loro svaghi, oltre al trascurare i suoi doveri, si esporrebbe anche a ricevere qualche umiliazione. E' naturale che senta, nell'isolamento del suo stato, il desiderio di qualche amichevole conversazione, ma sia molto cauta nella scelta. Colle famiglie dei suoi scolari non abbia intimità parziali, e non accetti nè doni nè inviti. Potrà farlo, se dura ancora in loro la voglia, quando i fanciulli non siano più nella sua classe. Abbia rispetto alle abitudini del paese, usi speciali riguardi alle persone che godono maggiore stima: sia pronta a far un servizio, ma non si intrometta a dar consigli non richiesti, e si guardi bene dal darsi arie di dottoressa. Nel vestire, la maestra deve essere modello di serietà elegante e semplice. Le scollature, le trine trasparenti, e le gonnelle scarse spiacciono in tutte le donne che vogliono essere rispettabili, ma in una educatrice rappresentano una colpa imperdonabile. Le donne che stanno ai pubblici uffici hanno bisogno, oltre che di tutte le virtù dei loro colleghi maschi, anche d'una serietà a tutta prova, e di un vero spirito di sacrificio. E' una vera tentazione l'essere da mane a sera in vista della gente e spesso di gente che si fermerebbe volentieri a far ciarle di carattere tutt'altro che professionale. Le signorine devono in tal caso tagliar corto e mostrar di non gradire nessuna distrazione di questo genere. Ma tutto il loro contegno deve anticipatamente parlare in loro favore e scoraggiare gli insolenti. In generale, l'impiegata e la commessa portano un grembiulone scuro che nasconde e protegge il vestito. Ed è benissimo. Ma nel recarsi all'ufficio non sfoggi un'eleganza di cattivo gusto, che fa voltar la gente e domandarsi chi è mai quella giovane donna, che alle otto o alle nove del mattino, corre per le strade vestita così vistosamente. Ci guadagnerà la sua buona riputazione fra i colleghi e presso i superiori. Nell'ufficio non faccia chiacchiere inutili, non disturbi le colleghe, non si prenda libertà di scherzi e canzonature. Se ha dei colleghi maschi, sia molto riservata. E badi che in essi, talvolta, invece che degli ammiratori è molto più facile trovar dei rivali e degli invidiosi, sicchè piuttosto che di civetteria dovrà far uso di molta prudenza. Coi superiori sia sottomessa e rispettosa. Talvolta può darsi che siano ottime persone, con cui è facile l'ubbidire e il lavorare; talvolta hanno un carattere bisbetico ed esigenze soverchie. Qui appunto sarà il merito della signorina cortese e tollerante, e spesso avrà il suo premio. E si ricordi la signorina impiegata che, entrando essa a far parte del personale subalterno di un ufficio di uno studio, non perde già il suo diritto d'essere rispettata come si conviene, ma bisogna che si adatti a rinunziare a certe forme di riguardo concesse generalmente alla dorma per codice cavalleresco. Non pretenda dunque che il principale si alzi in piedi quando essa entra nel suo ufficio, nè che le ceda il passo all'uscio, nè che sia il primo a salutarla. Se egli lo farà, sarà per pura cortesia, ma essa non ha il diritto di pretendere nè questo, nè altro cerimoniale, e deve stare modestamente al suo posto di dipendente. Fuori dell'ufficio, poi, tornerà ad essere la signorina B la signorina C, e potrà avere anch'essa le soddisfazioni che son concesse a qualunque altra. Ma il pubblico che si trova a contatto con le impiegate, ha un duplice dovere di cortesia, verso queste oneste e povere lavoratrici, la cui vita è spesso tutto un sacrificio. Se sono giovani, un rispetto scrupoloso alla loro possibile debolezza, un gran riguardo ai casi pericolosi in cui possono trovarsi. Se sono anziane, si abbia riverenza alla cumulata fatica, alla vita sfiorata, alla stanchezza precocemente giunta. E tutto ciò si traduce nel risparmiar vane parole, nel render più agevole l'opera loro, nel ringraziarle, con semplice cortesia.

. - Non lasciarti indurre da lusinghe a far cose che non siano pel tuo meglio. 3. - Se puoi fare qualche cosa per il bene, falla. 4. - Nessuno abbia a soffrire per colpa tua. 5. - Non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi. 6. - La tua vita vale tanto quanto saprai farla valere. 7. - Non promettere mai, non giurare mai, non giudicare mai troppo facilmente. 8. - Agisci sempre in modo da non doverti poi vergognare delle tue azioni. 9. - E' nel tuo interesse conservarti onesto e virtuoso. 10. - Fa prima il tuo dovere e poi prendi il mondo come viene. NICOLA ORLANDI

D'altra parte è necessario più che mai, essendo in vista a tutti, tener un contegno che ci faccia conoscere per educati e civili. Che diremo di quelli che corrono all'impazzata senza curarsi dello scompiglio che mettono, e del rischio a cui espongono sè e il malcapitato che non riesce a scansarli? Che diremo di quelli che fanno crocchio sul marciapiede, costringendo i pedoni a scendere e far un giro? Che diremo di quelli che, procedendo lentamente nel pubblico passeggio, per giunta si fermano a ogni tratto, discorrendo col compagno, e costringendo lui pure a fermarsi, e arrestando il movimento degli altri che seguono? Che diremo di quelli che fanno roteare il bastone, lo portano infilato sotto il braccio? E di quelli che gesticolano, agitando le braccia come mulini, minaccia al vicino e a chi viene incontro, e spesso ai vetri dei negozi, o alla mercanzia esposta all'aria libera? Chi cammina per la strada, specialmente se molto frequentata, tenga un passo nè troppo rapido nè troppo lento, cercando di conformarsi a quello della maggioranza. E' evidente che altro è andare pei nostri affari nelle ore della mattinata, altro è camminare intorno alla rotonda dei giardini pubblici, ascoltando la musica. Alla donna sconviene tuttavia il passo frettoloso di chi teme sempre d'arrivare in ritardo: è richiesta dal suo decoro una movenza di piedi sempre uguale non mai saltellante o strascicata. La strada è il luogo degli incontri e per conseguenza dei saluti. C'è chi abborre cordialmente gli uni gli altri, e quando vede spuntare da lontano un conoscente piega ad angolo per la prima strada o si ferma dinanzi a una vetrina, fingendosi seriamente occupato a guardare dei salami in mostra, o un'esposizione di bastoni e valige, finchè non s'accorge che l'amico è passato, e allora riprende la sua via. Sono persone misantrope, o che quel giorno hanno le lune a rovescio: vanno lasciate stare. Sarebbe un gesto birichino quello di batter loro sulle spalle e chiedere: Ehi, amico! come stai?... non mi avevi veduto? - Ma c'è da tirarsi addosso qualche risposta brusca e qualche fastidio. Altri invece par che vadano per la strada solo allo scopo di vedere e farsi vedere: tengono gli occhi tirati da ogni parte per vedere se spunta un conoscente, e hanno sempre la mano al cappello. Talvolta salutano anche persone che credono di conoscere, ma che scambiano con altre: salutano poi tutti quelli coi quali hanno avuto occasione di scambiar qualche parola in luogo pubblico, senza forse saper nemmeno il loro nome. E accade spesso di ricevere, con un freddo ricambio, uno sguardo interrogativo che dica: Chi è costui? di dove è sbucato fuori? Non si deve eccedere dunque, nè in un senso nè in un altro. Incontrando una signora, tocca prima all'uomo salutarla, o deve attendere un cenno di lei? In America e in Inghilterra è la donna che saluta la prima; e si giustifica l'uso col dire ch'essa ha il diritto di mostrare o no se le fa piacere di essere osservata. Da noi, e mi par meglio, l'uomo suol essere il primo: e infatti, se il saluto è segno di ossequio, la cavalleria vuole che l'uomo sia pronto a porgerlo alla signora che onora. Tuttavia, cosa strana! sarebbe facile a questo proposito una valida opposizione, citando per l'appunto quel tempo in cui, dice il Carducci,

. - Questo si capisce, finchè un nuovo istinto non lo spinge a ricercarla. Tuttavia vi sono dei casi, ed ora vanno diventando sempre più frequenti, in cui la fanciulla si associa alla vita dei maschi, nella scuola specialmente, e nello sport, e in molteplici opere d'azione sociale. La questione se sia conveniente mandar le giovanette alle scuole maschili è stata vivamente dibattuta: c'è chi dice che certi pericoli sono immaginari, e che del resto bisogna prendere il mondo odierno qual'è, anzi assecondando certi movimenti in avanti (non oso scrivere progressisti!) e che in pratica talvolta non c'è altro mezzo di uscita. Io credo che la questione non si possa definire una volta per tutte, e che invece vada considerata caso per caso. Se la giovinetta è di carattere timido, debole, se la sua intelligenza non è molto pronta, non la si mandi tra i maschi turbolenti, tra cui avrà forse a subire umiliazioni e prepotenze. Se fosse poi invece intraprendente, un tantino vanitosa, allora è una ragione ancor più forte per tenerla lontana da un ambiente dove queste sue qualità potrebbero benissimo svilupparsi in altrettanta civetteria, e dove prenderebbe anche, molto facilmente, delle arie maschili un po' troppo libere. E va anche considerata la scuola per se stessa, e le persone che vi insegnano. Un buon preside, dei savi professori offrono in tutti i modi una certa garanzia: ma vi sono anche dei presidi che di certe responsabilità se ne lavan volentieri le mani, e certi professori che non hanno davvero l'anima educativa. Considerate tutte queste cose, una madre a cui veramente stia a cuore la formazione morale della sua figliola, in una età così pericolosa, deciderà se deve mandarla a questo o quell'istituto o tenersela a casa. All'università, ormai, le signorine vanno in tal numero che in certe facoltà superano quello dei maschi: all'età di venti e più anni, ormai, una donna deve saper come condursi, e i genitori devono avere in lei la massima fiducia, anche sapendola lungi dalla famiglia, o, in ogni modo per molte ore del giorno in libera relazione con professori, assistenti, condiscepoli e amici... Le mamme un po' severe non vedono di buon occhio questa mescolanza dei due sessi, e tengono volentieri lontane le loro fanciulle dagli amici dei loro fratelli. Ora a me sembra che questa severità sia un gran torto. Considerino queste ottime signore che l'uomo e la donna son destinati ad incontrarsi, ad amarsi, ad unirsi. E per far tutte queste belle cose, cioè per farle bene, è necessario prima conoscersi. In generale, il giovane arriva all'età del matrimonio senza aver una idea molto chiara della psiche femminile, e la fanciulla è spesso di una straordinaria incomprensione, per non dire ignoranza, riguardo agli uomini. Il tener troppo lontani i due sessi nell'epoca della formazione contribuisce, in massima parte, a tale stato di cose che dà luogo troppo spesso a conseguenze dolorose e irreparabili. Ma se la libera frequentazione di ragazzi e ragazze desse luogo a qualche simpatia? Se poi se ne sviluppasse qualche romanzetto? Cara signora, se il romanzetto è ingenuo e onesto, perchè impedirgli che si svolga? Se poi non fosse tale, toccherà a voi di troncarlo in tempo. Ma se voi desiderate pel vostro figliuolo o per la vostra figliuola una unione felice e in cui ci sia conoscenza e fiducia reciproca, sarà molto meglio che essi scelgano tra i compagni e le compagne d'adolescenza, anzichè tra quelli che si possono incontrare a una festa da ballo o a una partita di tennis, in un albergo di montagna, o in una spiaggia alla moda. Lasciate dunque che si frequentino, quando le circostanze lo richiedono, con una certa libertà; badate solo di vigilare attentamente e senza mostrarlo troppo. E vedrete che i giovani acquisteranno, stando insieme colle fanciulle, un riserbo e una gentilezza di modi che fra di loro non si sognano nemmeno di avere, e che le fanciulle acquisteranno disinvoltura e senso pratico per farne uso quando verrà anche per loro il gran momento. E chi non sa che le ragazze tenute troppo segregate son di una timidezza, di una ingenuità compassionevole, e che prestan subito fede alla prima parolina lusinghiera con cui qualcuno si voglia divertire? Giovanotti e signorine possono dunque star benissimo insieme, e in onesta libertà. Ma gli uni e le altre hanno i loro doveri di convivenza e di cortesia, per non parlare dei doveri molto più gravi che loro impone la legge morale. Il giovanotto cominci la propria cortesia in casa, verso le sorelle. Non si permetta mai con loro parole sgarbate e offensive, allusioni insolenti, scherzi di cattivo genere. Tante volte, la povera giovinetta, così umiliata e afflitta, non sa reagire, e si contenta di piangere in silenzio. Quelle lacrime o giovanotto, dovrebbero darvi vergogna e rimorso. Si mostri compiacente e volonteroso nell'accompagnarle dove non possono andar sole o coi genitori, e sappiano, a proposito, far anche qualche piccolo sacrificio. Uscendo con loro, curi in modo speciale il proprio abbigliamento, ove nulla vi deve essere di sciatto o di men che pulito. Non è bello che i due camminino a braccetto, come fossero sposi, ma a un passo difficile, o in mezzo alla folla, il giovanotto deve aiutare e tutelare la sorella porgendole la mano e anche stringendola a sè. Ma una signorina di giudizio non si caccerà volontariamente tra la folla, se proprio non vi è seria ragione, nè sola, nè accompagnata. Colle amiche della sorella, il giovane deve tenersi in quei debiti riguardi, o concedersi quelle oneste libertà che sono segnate dal grado di confidenza. Se son cresciuti insieme e le forme cerimoniose sembrano loro un'affettazione, le chiamino pure col nome di battesimo. E nel giocare, nello scherzare si mostrerebbero veramente indiscreti e villani se osassero metter loro le mani addosso per qualsiasi motivo. E se un giovane comincia a sentir per qualcuna di loro qualche cosa che è più dell'amicizia, se gli par che il suo sentimento sia anche condiviso, non lo lasci trapelar troppo presto, e procuri di assicurarsi, nella intimità libera da tal genere di preoccupazione se farà bene o non farà bene a parlare. Sarebbe poi uno sciocco e un malvagio se si divertisse a turbarle con inutili corteggiamenti, con lusinghe, con adulazioni e sarebbe per soprappiù un vigliacco, se ne facesse argomento di conversazione e di vanto fra i suoi amici. Per guarirlo di tale inclinazione, non molto rara tra i giovanotti, basterebbe domandargli se saprebbe tollerare che altri mancasse così di rispetto alle sue sorelle. S'intende però che la signorina deve, per conto suo, mostrarsi meritevole di ogni rispetto, anche nella massima confidenza. E cominciando dalle pareti domestiche, è forse permesso che le fanciulle si lascino vedere dai fratelli mezze scoperte nel succinto vestito da camera? Ciò è tanto male, quanto è sconveniente permettere che i giovanotti ciondolino per casa in pantofole e maniche di camicia. Nelle famiglie numerose, suole ogni sorella avere incarico della guardaroba d'un fratello: ottimo uso per avvezzarle alla diligenza, alla previdenza; mentre i fratelli per tal modo sentono maggiore l'affezione per le gentili creature che hanno cura di loro, che cercano di compiacerli in qualche scusabile vanità, e le ricambiano con gratitudine e con qualche piccolo favore. Ma se non trovassero poi le cose sempre fatte a modo loro, si guardino bene dall'insolentire o strepitare. Pensino che la compiacenza e la tolleranza si devono prima che in ogni altro luogo mettere in pratica tra le pareti domestiche, e che quello che a loro sembra una inescusabile trascuratezza è spesso null'altro che una svista, una dimenticanza, dovuta a qualche seria preoccupazione o a un lavoro eccezionale. La buona giovanetta alla sua volta cerca di compatire e scusare il fratello se egli cade in qualche errore, ed è causa di qualche screzio in famiglia. Talvolta una fanciulla, vero angelo di pace, riuscì a ricondurre al bene il fratello un po' traviato, e a comporre dolorose questioni. Nelle sue relazioni cogli altri giovani, quando sia tra di loro una certa libertà, non permetterà mai che ne abusino. Non li ecciti allo scherzo, non tolleri che la giovanile allegria passi i limiti della confidenza, e sappia con garbo e con fermezza mettere a posto chi le paresse troppo audace. Si mostri sempre disinvolta e amabile, pronta a render un servizio, fraternamente, ma senza mai farsi troppo avanti. Abbia cura della sua persona, e non si presenti mai a nessuna riunione, sia pure all'aria aperta, nella confidenza campestre, in abito troppo succinto. Se i suoi capelli, correndo, o danzando, si scomponessero troppo, se il suo volto si accendesse, si ritiri e si fermi, tanto che scompaia dalla sua persona quell'aria di baccante che invero è poco propizia a destar rispetto. Non parli mai a giovanotti di altre signorine, se non genericamente, e per dirne bene; si guardi poi da quello scherzo di pessimo genere, e talora di gravi conseguenze, che consiste nello stuzzicar un giovanotto fingendo di crederlo corteggiatore o innamorato di qualche amica. Nelle passeggiate, nei giuochi, può la signorina rimaner per un momento isolata con un giovane della compagnia, ma eviti che questo a parte, si prolunghi oltre lo stretto necessario, e nel lasciarsi porger la mano, sorreggere pel braccio, senza atteggiarsi a ridicola rigidezza, guardi bene di non concedere soverchia libertà. Un'amabile e disinvolta naturalezza sarà la migliore delle regole. E pensi pure la signorina che tra quei giovani che ella frequenta... può darsi benissimo che si trovi il compagno della sua vita; ma che ogni preoccupazione da parte sua sarebbe inopportuna, e bisognerebbe, se mai, saperla dissimulare. Li tratti pure fraternamente, li studi, li esamini, cerchi di scoprire quel che valgono e... se saran rose fioriranno. Ma di ciò ad un altro capitolo.

che tradotti in buon italiano (e meglio non si potrebbe), suonano così: «E che io m'affidi a tale mostro? E non so io forse che non si può prestar fede alla ingannevole bonaccia di questo mare?». Egli lo guarda dunque con fondata diffidenza, questo mare dall'aspetto tranquillo, sa che è ingannevole, e non se ne fida. Le cortesie esterne, le cerimonie, le proteste d'affetto e di stima non sono, per lui, (e lo dichiara più volte) se non una grande e comune finzione, sotto cui si nasconde il reciproco mal animo, la voglia di far a pugni col proprio simile. Homo homini lupus. E veramente a leggere nell'Osservatore nei Sermoni quel che scrive egli stesso dei salotti eleganti del suo tempo, a rievocar le scene del Goldoni, in cui mostra gli abbracci e i baci che mal celano la voglia di mordere, a ricordar anche quel che scrive il Parini nel suo Giorno (per contentarsi dei più noti) bisogna proprio concludere che allora il cerimoniale veniva considerato come una moneta falsa, che tutti accettavan per buona, per reciproca necessaria convenzione. Ed egli stesso, il Gozzi, conclude più volte che è molto meglio così, anziché lasciarsi andare ai moti naturali, i quali un po' alla volta tramuterebbero questo mondo in una selva di arrabbiati, come a lui fu mostrato in una specie di visione, dove interviene alla fine madama Civiltà, con le sue donzelle Cerimonie a frenar gli uomini che si azzuffano con pietre e bastoni. L'animo è rimasto lo stesso, ma almeno la vita diventa possibile. «Non ho mai potuto rimuovere il tale dalla sua opinione, e con tutto ciò egli mi ha pure favellato con molta gentilezza; che importa a me? Io avrei voluto piuttosto che desse una negativa aperta. - E s'egli l'avesse data, non gli saresti tu forse stato attorno con mille altri stimoli? Egli se ne sarebbe adirato, e tu ancora. A questo modo, udendo così belle e buone parole, tu non hai avuto cuore di andar più oltre, anzi fosti tu medesimo forzato dalla civiltà a fargli altrettante cerimonie, ed ecco un bell'effetto, che senza punto essere d'accordo, vi siete partiti l'un dall'altro in pace tuttedue, e rivedendovi di nuovo l'un l'altro, vi traete di testa vicendevolmente il cappello, vi fate baciamani e siete quegli amici di prima, se non in sostanza, almeno in pelle...». Filosofia bonaria, spicciola e pratica, come ognuno vede: dei due mali scegliere il minore. Amare sono invece le riflessioni di Melchiorre Gioia: «Siccome è più facile fare degli inchini che dei sacrifizi, atteggiare la testa e le gambe che coltivare gli affetti dell'animo, largheggiare nelle proteste con parole vuote di sentimento che essere pronti ad eseguirle, non pochi sembrano convinti che la maschera sia un rimedio alla bruttezza, perché riesce a nasconderla alcuni istanti». E c'è nell'aria la persuasione, anche ai nostri giorni, che la finzione regni in tutte le proteste di cortesia. - Senta, - diceva una giovinetta di mia molto intima conoscenza a un suo professore, - non è forse una menzogna dir a una persona di cui non c'importa nulla: Sono contentissimo di far la sua conoscenza? - Si mente, e si fa male! Il male, - rispose il professore, il quale non era solo un valente cultore delle matematiche e delle scienze, ma anche una nobile anima sacerdotale, - il male non consiste già nel dirle, quelle parole, ma nel non sentire quello che esprimono. Poichè si dovrebbe sempre essere contenti di conoscere una creatura di Dio simile a noi... - Egli aveva risolto sapientemente la difficile questione, considerandola nel suo intimo valore morale. Bisognerebbe dunque fare che i nostri atti esterni, tutti, rispondessero a sentimenti virtuosi o, meglio, bisognerebbe aver tanta dovizia di bontà e benevolenza che tutti i nostri atti esteriori ne fossero impregnati. Ora, per essere giusti, dobbiamo riconoscere che se non sempre tutti hanno tanta nobiltà d'animo, non è vero però che gli atti di cortesia esterna siano sempre un'odiosa finzione. E non è vero nemmeno che sempre corrispondano a una convenzione reciproca, basata sull'opportunità, e a cui non si dà nessun valore intimo. No, la cortesia dei modi risponde, in generale, a moti e bisogni dell'anima umana, di natura, grazie al cielo, assai più pregevole. E' il bisogno di riuscir graditi agli altri e di guadagnarsi la loro stima, è il desiderio di far loro piacere, è l'estrinsecazione naturale di una schietta generosità, è una istintiva antipatia per tutto ciò che si presenta come vile e grossolano, è la tendenza a pareggiar in decoro di modi e in opportunità di parole coloro con cui ci troviamo in qualche relazione. E nessuno dirà che sia ignobile l'amor proprio che si manifesta così, e nemmeno che sia da biasimarsi l'imitazione che tende a livellare, almeno in questo, le classi sociali. Queste tendenze dell'animo umano sono ormai diffuse per opera della civiltà odierna in tutto il nostro ambiente, ma sono anche innate e spontanee figlie della natura. Vedete due sorelle: hanno avuto la medesima educazione e i medesimi esempi: lo stesso sangue scorre nelle loro vene, eppure l'una ha modi e linguaggio di spontanea cortesia, l'altra conserva in tutto una irriducibile impronta di volgarità. E nelle campagne, si veggon talvolta vecchierelle amabili, servizievoli, cerimoniose persino... Chi ha insegnato loro ad esser tali?... E chi invece ha formato o sformato, l'animo dei loro figli e delle loro figlie, che vediamo spesso così petulanti, indiscreti, rumorosi, intrattabili? Cerchiamo dunque in fondo all'animo umano l'istinto di far piacere altrui, anche a costo di qualche sacrificio, il ragionevole desiderio di ottenere l'altrui gradimento, e, quando l'avremo trovato, le offerte cortesi, le istintive ripugnanze ad ogni atto basso e spiacevole. Tanto che la gentilezza, considerata nel suo scopo e ne' suoi mezzi, dice benissimo Melchiorre Gioia, non differisce dalla morale fuorchè nella gradazione. E infatti, salvar la vita a un pericolante, dar del denaro a un bisognoso, sono germogli della stessa radice da cui viene che si porga un mazzo di fiori, una sigaretta, un dolce. Mentre l'aggredire e il rubare sono fratelli maggiori di quei pessimi istinti che ci spingono a dir villania, o a sciupar un libro che ci venne prestato. E come per praticar la virtù bisogna spesso far violenza a noi stessi, così il galateo ci impone spesso di far tacere le nostre inclinazioni e sacrificare i nostri gusti, se vogliamo che la nostra compagnia riesca gradita agli altri. Taluno potrà negare questa intima connessione di fatti: taluno potrà dire che mentre le persone più cerimoniose son talvolta le più malvage, invece le più rozze sono spesso quelle che hanno più buon cuore. E si citerà per esempio il famoso Burbero benefico di Carlo Goldoni. Ebbene, che cosa vuol dir questo? Rispondiamo anzitutto che casi simili, benché esistano generalmente, sono la' minoranza. E del resto non ne consegue punto che debba essere così, né che sia bene così. Molto meglio se il Burbero benefico non facesse tremar tutto il palcoscenico..., molto meglio se potremo, coll'educazione continua dell'animo nostro, metter in valore le qualità reali, e renderle attraenti agli altri. Chè cogli altri dobbiamo continuamente vivere, e spesso la società giudica l'uomo più da come si presenta, che da come egli è realmente. E in certi casi è più difficile farci perdonare una sconvenienza che un vizio. Vi sono regole di convenienza che variano col tempo, vi son quelle che non possono variare mai, perché hanno, come dicevamo, la loro base nella stessa legge morale. Cambierà la forma del saluto; si potrà star a destra o sinistra d'una persona, secondo i casi, si discuterà se la moglie deve appoggiarsi al braccio del marito o (come si fa ora da più d'uno) se il marito deve tener il braccio della moglie... ma sarà sempre villania non rivolgere il saluto, non curarsi della persona che ci cammina accanto, offendersi tra marito e moglie. Importa dunque persuadersi che la cortesia non è propriamente un cerimoniale. Vi sono anche dei casi in cui le regole precise non si possono dare; e allora?. Allora un istinto ci guida a scegliere il tratto, la parola, il gesto più opportuno, se l'animo è abitualmente gentile, o ci induce a commettere goffaggini e inurbanità se non abbiamo la norma interna del buon gusto e del ben volere. L'arte di piacere agli altri è in gran parte quella di saper esercitare un costante dominio sopra noi stessi. Ecco perché le persone impulsive hanno raramente finezza di modi, ecco perché molti trovan più comodo andar avanti come piace a loro, e dichiarano che non vogliono seccarsi... Ma, a conti fatti, che cosa risulta? La loro scortese incuranza vien ripagata dall'antipatia che generalmente destano, e dalla privazione di molti vantaggi. Al contrario, coloro che si sorvegliano costantemente, che si frenano, che sanno opportunamente tollerare e dissimulare, si guadagnano simpatia, stima, affezione, si trovano facilitato dagli altri l'aspro cammino della vita. Quando noi leggiamo nel Vangelo: «Beati i mansueti perchè possederanno la terra» noi troviamo certo un insegnamento di alto valore mistico. Ma noi vi troviamo anche una constatazione pratica di ciò che accade realmente: coloro che hanno soavità di modi sanno rendersi padroni del cuore altrui e spesso foggiare la propria fortuna. E, del resto, in quel codice supremo di verità, noi possiamo trovar anche altre conferme a quanto abbiamo detto. Non si accompagna forse alla legge severa di non portar odio e di non recar danno alla persona del nostro prossimo, anche la proibizione di dirgli raca? E non è forse prescritta la cortesia del tratto quando vengono biasimati coloro che vogliono i primi posti nelle adunanze e nei banchetti? E quando ci viene insegnato a dir semplicemente si e no, oltre che la menzogna, non viene sbandita anche l'enfasi antipatica, la scortese diffidenza? E non ci viene imposto di mostrar un volto sorridente e aperto, anche quando ci siamo imposti qualche privazione, mentre gli ipocriti, senza curarsi di rattristar gli altri, vanno attorno con viso ostentatamente malinconico? Quando il Fariseo volle criticar la donna che aveva versato il balsamo odoroso sui piedi del Salvatore, egli si sentì da questo un tranquillo rimprovero perché nel riceverlo aveva trascurato con lui gli atti di urbanità in uso presso il loro popolo. Ma tutto si riduce, in fine, al gran precetto: Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi stessi - non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi. - Su questa salda base si può edificare l'edificio intero del Galateo. E anche, per prevenire ogni pericolo di finzione, bisogna tener presente l'altro precetto: «dell'abbondanza del cuore parla la bocca». Di qui la necessità di educare l'animo a sentimenti gentili: di qui la cura che devono avere i genitori per cominciar presto coi loro figlioli. La padronanza di sè, lo spirito di sacrificio necessario tante volte nelle relazioni sociali, non si improvvisano. E può darsi talvolta che un generoso impulso dell'animo spinga ad atti eroici, in qualche occasione straordinaria, ma è difficile che l'autoeducazione giunga a tempo con cambiar il carattere d'un uomo che da piccolo non venne ben formato. D'altra parte riflettiamo che se l'eroismo e la generosità non sono sempre alla portata di tutti, la gentilezza, invece, la cortesia, la discrezione sono le necessità quotidiane della vita sociale. L'opportunità e finezza del tratto suppliscono spesso alla mancanza d'istruzione, dissimulano molti difetti, rendono più amabili le stesse virtù, come la grazia dà pregio alla bellezza; mentre la bellezza dura, fredda, sgarbata non ha potere sugli uomini. «Se tutti gli uomini conoscessero il loro interesse sarebbero tutti onesti» disse Spencer. E si può anche aggiungere: sarebbero sempre reciprocamente gentili. I genitori che insegnano per tempo ai loro figli questa grande arte della gentilezza, che la fanno diventar parte intrinseca del loro carattere, fanno loro uno dei doni più preziosi, poiché danno loro la possibilità di farsi degli amici dappertutto, e di vincere senz'urti molte delle grandi lotte della vita. E l'amico che dà a questo proposito un buon consiglio all'amico, merita tutta la sua riconoscenza; appunto come quel tal vescovo Matteo Gilberti di Verona, il quale mandò un dono prezioso al suo ospite, un certo conte Riccardo, con l'avvertimento che fra tutti i suoi modi così belli e costumati, disdiceva «un atto difforme colle labbra e colla bocca, masticando alla mensa con uno strepito molto spiacevole a udire». E il bravo conte, invece d'aversene a male, ringraziò il vescovo con tutta l'effusione per quel suo dono che tenne vera prova d'amicizia. Così ci racconta Monsignor Della Casa, il quale dice che l'ambasciatore scelto all'ufficio un po' difficile e delicato, era appunto quel tal Galateo che lo indusse a scrivere il fámoso trattato che porta tal nome. Cerchiamo dunque di far tutto quello che ragionevolmente può far piacere agli altri e ricordiamoci che la gentilezza è il fiore dell'umanità, e nel tempo stesso il profumo della virtù.

Parlo ora a te, ragazzetto che ormai frequenti le classi medie, e che godi i primi piaceri e i primi vantaggi della libertà, e ti prepari ad essere un uomo. Finora, quand'eri un bambino, gran parte della tua responsabilità era divisa coi tuoi genitori; ora sei in grado di comprendere e di eseguire i precetti che direttamente si rivolgono a te. E la tua sorellina, che anch'essa frequenta il ginnasio o le classi inferiori dell'istituto magistrale o altro corso di studi, può tener detto per sè quello che verrò dicendoti: anzi, nell'adempimento dei doveri del galateo scolastico, essa dovrà mettere una cura ancor maggiore, quel profumo di femminilità che una donnina di dieci e più anni deve ormai spandere intorno a sè. Io non parlerò dei doveri morali propriamente detti. C'è una bella lettera di Giuseppe Giusti a Giovanni Piacentini, che fa un'ampia trattazione dell'argomento, e che una volta si trovava su tutte le antologie. Ora, la materia nuova ha cacciato la vecchia, per buona che fosse. Tuttavia c'è il caso ancora di ritrovarla, la lettera consigliatrice, e di sentirsela commentare in iscuola. E in mancanza di questa, i maestri e gli altri superiori sapranno trovar altro modo di dirti quali sono i tuoi doveri, e di ribadirteli spesso nella memoria, la quale, purtroppo, ha bisogno spesso di essere rinfrescata. Io voglio tuttavia supporre che tu sia un ragazzo che ama lo studio, che va a scuola volentieri, che non trascura le sue lezioni. Ma non ti è mai capitato, alla consegna delle pagelle, di aver la sorpresa, fra tanti bei voti, di trovarne uno bruttissimo in condotta? Lo so, ci sono degli scolari che a questo voto non danno importanza; basta a loro, i vanitosetti, di esser bene classificati nelle materie di studio. E non sanno, probabilmente, che anche quel voto può esser causa di gravi conseguenze, nientemeno che dover fare tutti gli esami! Altri lo guardano con rammarico, ma anche con dispetto, e chiedono a se stessi: - Ma insomma, che cosa faccio di male? Ecco, mio caro, la risposta. Leggi con attenzione quanto verrò ora dicendoti, e se proprio ti pare di non mancar in nulla su questi punti, di' pure che i professori sono ingiusti, che ce l'hanno con te, che si divertono a dar cattivi voti. Se poi tu pensassi che sia per essi diletto speciale il dover fare gli esami a te e a qualche bricconcello tuo pari, sei padrone di pensare anche questa. Lo scolaro per bene si presenta alla scuola all'ora debita, con lieve anticipo. Non un quarto d'ora prima, non una mezz'ora prima, destinata a conversazioni rumorose davanti all'Istituto o nel cortile, o, peggio ancora, a grida e corse. Se per ragione straordinarissima gli convenisse giunger molto prima che comincino le lezioni (ciò può accadere se il ragazzo vien di fuori, col tram o col treno) entri in portineria, si metta in luogo tranquillo, che gli sarà probabilmente indicato e assegnato, e aspetti ripassando le sue lezioni. Può capitare anche il caso di un ritardo. Se esso è notevole, bisogna aver pazienza e aspettare l'ora della lezione successiva; se è lieve, una buona parola fatta dire dal preside al professore può ottenere l'ingresso. In ogni modo, lo scolaro deve addurre la sua ragione, e, se è ritenuta valida, ringraziare chi gli usa cortesia. A scuola si va sempre decenti e ravviati, si sa bene. Ma il ragazzo che è partito di casa collaudato dallo sguardo vigile della mamma giunge talvolta a scuola imbrattato di polvere, colle scarpe infangate, forse anche con un bottone di meno, e qualche strappo ai calzoncini. Come mai? Ma... son cose che capitano, quando non si va diritti per la propria strada, e ci si unisce con certi amici... Le ragazzine poi dovrebbero escludere dal loro vestito ogni idea di vanità. Niente fronzoli, niente braccialetti, niente catenelle e ciondolini che possono poi anche andar perduti. E le gonnelline sotto il ginocchio, se la mamma ha tanto buon senso da capire che non la manda a una scuola di ballo. Se poi la mamma non lo capisse, meriterebbe di vedersi dare una lezione dalla figlia, e per una volta tanto la ribellione sarebbe buona. A scuola, poi, c'è generalmente il provvido grembialone d'uniforme che rimedia a tanti sconci, pareggia tante ineguaglianze e dovrebbe toglier la voglia di vanità fuor di luogo. Gli scolari devono aspettare in silenzio la venuta del professore, e salutarlo levandosi in piedi senza rumore. I compiti devono essere fatti e le lezioni studiate, si sa bene. Ma come si presentano i compiti? Qualche ragazzo si piglia la libertà di usare un foglio sgualcito, un inchiostro sbiadito, oppure di un colore che ferisca gli occhi (non venne in mente a una mia piccola amica di scrivere i suoi compiti con inchiostro d'oro ossia di porporina?! E le parve una magnifica trovata!), e lasciarvi macchie e sgorbi. E la scrittura?... Sono uncini, sono geroglifici, sono talvolta contraddizioni dispettose a tutte le norme dell'arte. La calligrafia, si è detto da non so chi, ed è stato ripetuto da non so quanti pappagalli, è la scienza degli asini. Quando avrete modo di vedere gli autografi dei nostri grandi, a cominciare dal Petrarca per giungere sino al Carducci, vi accorgerete, cari ragazzi, che la cosa è ben diversa. E intanto persuadetevi che presentar un compito con una scrittura trasandata, arbitraria, sformata, è una grave mancanza di riguardo, e vi esponete al rischio di veder respinto il vostro lavoro, senza che nemmeno venga letto. Se vi cade qualche macchia sul foglio, d vi avete fatto delle correzioni troppo lunghe, abbiate pazienza e ricopiatelo. E la lezione che avete studiato, di cui eravate sicuri prima di venir a scuola, come la recitate? Con una cantilena noiosa, se è poesia, o altro esercizio a memoria, oppure con una gran precipitazione, come se non vedeste l'ora di cavarvi quella noia (e dire che si tratta spesso delle più alte creazioni dell'ingegno umano!). Se poi è cosa da ripetersi a senso, allora si cercan le parole, si balbetta, si torna indietro, non si riesce a mettere insieme un breve periodo senza storpiature. E perchè? Perchè avete studiata la lezione senza prepararvi alla forma con cui esporla, e così mettete a dura prova la pazienza degli insegnanti, fate una meschinissima figura, e vi private d'un esercizio che è assolutamente necessario a prender padronanza della nostra lingua. E i suggerimenti? Questi sono la piaga della scuola: un vizio che quasi nessun insegnante riesce a sradicare. Lo so anch'io che fa pena veder il compagno, l'amico restar lì impappinato, come chiedendo soccorso, mentre con una parolina o due lo possiamo levar d'impaccio. E c'è anche un po' di amor proprio, nel mostrar di saper la cosa che l'altro non sa o non ricorda. No, caro ragazzo, se il professore non vuol suggerimenti, ha ragione: perchè ognuno deve dare la misura del proprio valore; fa tacere dunque il tuo buon cuore, e serba la soddisfazione del tuo amor proprio per quando sarai interrogato. E poi, sei sicuro che quel suggerimento proprio sia dato a proposito? Che sia ben compreso? Che non imbrogli invece le cose peggio di prima? E' poi una vera slealtà presentar compiti non fatti da chi ci mette la propria firma. Il più elementare senso di decoro personale dovrebbe impedire questo inganno, che da noi alligna purtroppo ma di cui si vergognerebbe un ragazzo inglese o americano. Chi comincia a ingannare nella scuola si forma una coscienza subdola e doppia, che lo condurrà col tempo ad altri e maggiori inganni. Se l'insegnante rimprovera un negligente, se castiga chi non ha fatto il suo dovere, è obbligo accettare la sgridata o il castigo con sottomissione, e non aggravar la colpa con un fare dispettoso e superbo. Non si vieta però di addurre le proprie ragioni, quando si creda veramente d'averle, ma sempre con modi rispettosi e remissivi. Se lo scolaro non ha potuto fare il suo compito, o non si è potuto preparare alla lezione, ne avverta anticipatamente l'insegnante, il quale da persona assennata e amorevole, terrà conto delle ragioni. Durante la lezione non si deve voltarsi qua e là, chiacchierar col vicino, giocherellare colla penna o con altri arnesi scolastici, divertirsi in quei tanti modi che hanno inventato gli scolari svogliati, a cui quelle ore sembrano interminabili. E queste belle cose si fanno specialmente quando il professore interroga o corregge il compito di qualche compagno, e si crede che non veda o non senta. Oh, se vede, e se sente! Seguitate ancora un po' ad abusare della sua pazienza e ve ne accorgerete. Durante la spiegazione gli scolari devono fissare attentamente l'insegnante, e cercar di non perdere nè una parola, nè un'espressione del suo viso. Talvolta è questo il più efficace commento! E non interrompere mai per chiedere spiegazioni: bisogna aspettare che sia finita la lezione, o almeno la trattazione di quel dato punto. Quelli poi che mostrano noia, che si stirano, che apron la bocca allo sbadiglio, che consultano l'orologio, o chiedon con taciti segni al compagno che ora è, dimostrano proprio d'essere indegni del gran beneficio dell'istruzione che loro viene impartita. All'uscita del professore, non bisogna saltar fuori schiamazzando dai banchi, nè precipitarsi in tumulto nel corridoio. E se si resta in classe non si faccia un rumore assordante, che spesso disturba nell'aula vicina, ove forse si sta facendo qualche esercizio. Non si deve poi sgorbiare il banco con nomi, figurine, motti, sfoghi personali: si deve rispettar la lavagna e lasciarla al suo uso naturale. E sulle pareti della scuola non si deve scrivere nè il proprio nome, nè altro (nomina stultorum scripta sunt ubicumque locorum). E... le pareti di quei tali luoghi che sono tanto necessari, ma che, come dice il Manzoni in un suo giovanile sermone

Studenti ed operai dei paesi nordici si sottopongono volentieri a sacrifici anche non lievi pur di potere viaggiare e conoscere genti e bellezze dell'Europa e del mondo. In ogni modo, anche da noi chi è veramente in grado di apprezzare spiritualmente ed intellettualmente il godimento di un bel viaggio e di provar tali vantaggi, non rimane certo come l'ostrica attaccata allo scoglio. Artisti, professori, dilettanti, letterati, girano l'Italia, oh se la girano! E fanno benissimo, e sono tanto più ammirevoli se la strettezza del loro bilancio impone loro un vero sacrificio per la spesa, per quanto modestamente la vogliano fare. Gli altri... gli altri è meglio che stiano tranquillamente a casa propria: con guadagno della borsa e della salute. A buon conto, prescindendo da questi viaggi che hanno un carattere tutto speciale, le ragioni di muoversi da una città all'altra sono così varie e numerose, specialmente in certi periodi dell'anno che i treni sono affollati, e non è cosa facile nè saper conquistare un posto, nè diportarsi fra tanta gente in modo che la cortesia e il rispetto reciproco non abbiano a subir qualche strappo. Il galateo del viaggio ha dunque, ai tempi nostri, una importanza speciale. E siccome la forma più comune del viaggio è quella per le strade ferrate, vediamo come ci si deve comportare nelle stazioni e in treno. Alla stazione si deve giungere con un discreto anticipo sia per prendere il biglietto a tempo sia per scegliere eventualmente il posto in treno. Non è però da approvare chi esagera in questo, e corre alla stazione un'ora prima, angustiando i familiari, facendo loro perder la testa, guastando forse gli ultimi preparativi, per modo che, giunti ansanti alla stazione, trovano chiuso lo sportello dei biglietti, vietato perciò' l'accesso alla sala d'aspetto, e in quel non desiderato intervallo cominciano a rammaricarsi di non aver forse ben chiusa quella finestra, di non aver dato quell'avviso al portinaio, o forse si avvedono d'aver dimenticato l'ombrello, o vien l'atroce dubbio di aver chiuso il gatto in cucina! Si stabilisca dunque quanto tempo è necessario per recarsi alla stazione, o in tram, o in carrozza, o a piedi, si provvedano possibilmente i biglietti in qualche agenzia di città, e si proceda con calma agli ultimi preparativi. Si suol dire che il treno non aspetta, ed è vero: ma è vero anche che nessun treno mai usa partire in anticipo sull'orario. I bagagli dovrebbero essere pochi, solidi, pratici. Se il viaggio è lungo, sarà meglio spedire un baule, e non ingombrarsi con valige e involti e fagotti. Ogni persona porti seco in una valigetta quel che può occorrere in treno o in una notte d'albergo: questo sarebbe il bagaglio ideale. Ma se le circostanze vogliono diversamente, si guardi di non oltrepassare i limiti di peso e volume segnati dal regolamento. Che cosa brutta e sconveniente è mai quella di veder una brigata numerosa, una famiglia, invader la vettura con valige e portamantelli, e fagotti, e sacchette, e accaparrarsi ogni spazio vuoto costringendo talvolta quelli che son giunti prima di loro a restringersi in modo incomodo, a ritirar i loro oggetti che prima avevano ben disposti nelle reti! E qualche volta accade anche che a una mossa brusca del treno tombola giù una borsetta o un cappellino, o un oggetto qualsiasi malamente issato in cima al mucchio... e pregare il cielo che non sia un oggetto pesante. Talvolta questi indiscreti si buscano delle osservazioni dai ferrovieri, che li invitano poi a far portare quella roba al bagagliaio, fatto apposta; e la lezione sta loro benissimo. Quando il treno si ferina alla stazione, chi è arrivato prima prende il posto che meglio gli aggrada. Se il treno è di passaggio, bisogna aspettare che siano scesi i viaggiatori che devono scendere, e dopo accomodarsi come si può. La fretta soverchia, gli urtoni, l'insistenza per passare avanti, oltre che esser prova di mala educazione, finiscono poi coll'esser più dannosi che utili: chi invece ha pazienza d'attendere, e occhio sicuro da guardare e osservare, finisce coll'accomodarsi meglio degli altri. Accade talvolta, alle fermate dei treni, che quelli che stanno comodi nei loro carrozzone guardano con una specie di inimicizia i poveretti che voglion salire, specialmente se vedan compagnie numerose, e riempiono gli sportelli e vorrebbero far credere che non c'è più posto per nessuno. Ahi, nelle piccole e nelle grandi cose, l'egoismo umano!... Homo homini lupus. No, non bisogna far così come non piacerebbe che a noi facessero altrettanto. Bisogna invece, con lealtà e cortesia, lasciar scorgere i posti liberi e stender la mano soccorrevole a qualche povera signora che trova difficile la salita e prender di mano a mettere a posto qualche valigia ingombrante. Il bello è che tante volte, quelle stesse persone che avevano mostrato una istintiva repulsione a lasciarvi salire, vi si mostrano più cortesi e servizievoli, e divengono ottimi compagni di viaggio. In viaggio si deve vestire decentemente, per rispetto a noi e agli altri, ma senza fronzoli ed eleganze malintese. La signora farà bene a indossare un vestito grigio o di altro colore neutro, dal taglio all'inglese; l'uomo non viaggerà mai in abito da cerimonia, anche se fosse diretto a qualche festa ufficiale. Bisogna, in tal caso, aver seco ciò ch'è necessario per mutarsi, all'arrivo. Un uomo farà bene a non tenere il cappello in treno. Si può aprire e anche togliersi del tutto la giacca o la pelliccia, se nello scompartimento si soffrisse troppo caldo: ma l'uomo che si toglie la giubba e si mostra in maniche di camicia commette una vera sconvenienza. Quando il sonno giunge, nei viaggi notturni, ci son di quelli che si sdraiano sui sedili, dopo aver semplificato al massimo il loro abbigliamento, ed essersi persino tolte le scarpe. Costoro seguono la teoria «che si deve f are il proprio comodo», teoria ottima per gli egoisti screanzati. Una signora, si capisce, sarebbe ancor più biasimevole se si accordasse simile libertà. Ma non le sarà proibito, specialmente se attempata e sofferente, appoggiarsi e stendersi per quanto lo spazio lo permette, senza esser d'incomodo ai vicini. Non occorre poi raccomandare a chi viaggia la massima accuratezza nell'abbigliamento intimo. Son tanti i casi che possono succedere! Una signora a cui dia noia il fumo non entra negli scompartimenti dei fumatori. Ma anche dove è permesso fumare, un uomo cortese chiederà se il sigaro disturba e si regolerà in conseguenza della risposta, o forse anche dal modo con cui è data, che spesso esprime assai bene un sì, mentre le labbra mormorano no... Potrà allora uscir un momento nel corridoio. Si intende poi che non sarà così villano da fumare dove è proibito. E non parliamo dell'orribile vizio di sputare in treno, contro cui si combatte ora una multilaterale e accanita battaglia, e che sembra abbia già ottenuto gran parte del suo intento. Una signora non rivolge mai la parola a uno sconosciuto, in treno, se non per chiedergli quei piccoli favori che non impongono se non l'obbligo di un grazie. Sconvenientissimo si mostrerebbe colui che volesse per forza attaccar conversazione con una signora: essa ha diritto di respingere questi tentativi con dignità e severità e, occorrendo, anche con modi più risoluti. Fra uomini poi, e più ancora fra signore, si avviano spesso e volentieri dei dialoghi che poi divengono generali, e spesso, dopo un'ora o due di viaggio comune, lo scompartimento sembra diventato un salottino dove ferve una conversazione ben nutrita, e squillano allegre risate. Niente di male, se quelle conversazioni si aggirano su terni di carattere generale, e danno modo a chi può di palesare il proprio ingegno e la propria arguzia. Ma sarebbe imprudente, e mostrerebbe piccolo cervello chi raccontasse in pubblico i fatti propri. Eppure accade qualche volta che, dopo un breve tragitto, una persona che ci sta accanto ha creduto bene di farci conoscere di sé e la patria e la condizione, e la famiglia, e gli amici, e le abitudini e i gusti, e le speranze e gli affari... Il nome talvolta sì, talvolta no. Questi originali bisogna lasciarli sfogare, e non dar loro troppa ansa, e soprattutto non credersi obbligati a contraccambiare confidenza con confidenza. La signorina che viaggia (ormai ce ne sono tante!) sarà riguardosa e riservata al massimo, e cercherà di non dare soverchia confidenza a nessuno. E' lecito in treno far colazione con qualche cosa che si sia portato seco. Ma siano cibi asciutti e senza troppi odori forti: un panino ripieno, una tavoletta di cioccolata, qualche frutto precedentemente sbucciato o facile a sbucciarsi e basta. Si lascino stare i polli, gli stufati, la roba unta in genere, i formaggi e i salami, che danno così sgradevole aspetto alla refezione. Si abbia un tovagliolo da stendere sulle ginocchia, un bicchierino per bere, e si gettino dalla finestra gli avanzi e le carte e ci si ripulisca bene le dita e la bocca, passando, se si può, nel camerino dove c'è (o ci dovrebbe essere) l'acqua corrente. Non è obbligo offrire agli altri ciò che si è portato per mangiare: se però ci fossero persone di conoscenza o con cui si avesse fatto un po' di conversazione, si può offrire un arancio, una caramella, un cioccolatino ecc. ecc. Coi bambini poi sarebbe quasi una crudeltà fare diversamente. Si tenga aperto o chiuso lo sportello vicino a noi secondo il piacer nostro; perchè questo è un diritto che il regolamento concede; ma si abbia anche riguardo a persona che mostrasse di soffrire, sebben lontana, l'aria corrente, o di sentirsi soffocare a finestrino chiuso. Non si deve muoversi spesso senza ragione, passando e ripassando davanti a chi siede, ma questi, alla loro volta, devono tener composte e non distese le gambe, per non impedire agli altri il passaggio. Chi arriva alla stazione di scesa raccolga con qualche anticipazione i suoi bagagli, si riaccomodi la persona, e stia pronto allo sportello. Con un cortese buon viaggio ai suoi compagni, qualcuno dei quali sarà sempre gentilmente pronto a porgere la valigia e ad aiutare in altro modo che occorra, si scende e si va dritti dritti verso l'uscita, dove si consegnerà al bigliettario il biglietto già preparato prima, per non far perdere il tempo e impedire il libero passaggio degli altri.

Chi si reca a un concerto deve mettersi in mente che va a rendere omaggio all'arte nella persona di qualche suo insigne cultore; deve dunque cacciar da parte l'idea di richiamar per conto suo l'attenzione e l'ammirazione. Intendiamoci bene, però: vi sono i grandi concerti a cui le signore e gli uomini si recano in abiti di gala: allora è un modo come un'altro di manifestare ammirazione ed ossequio, sancito, anzi voluto dalle consuetudini del bel mondo. Accade anche, talvolta, che il concerto rappresenta l'inizio di un trattenimento che finirà col ballo, e allora è evidente che gli abiti scollati delle signore, i neri abiti dei gentiluomini non sono fuori posto. Ma pei concerti comuni basta un elegante abito da passeggio. Le signore non si tolgono il cappello, si contentano di aprire o deporre la pellicceria, facendola ricadere con garbo sulla spalliera del sedile, in modo che non rechi noia a chi sta dietro, e a concerto finito, o da sè, o aiutata dalla sorella, dalla figlia, dall'amica che siedono vicino, si ricoprono con prudenza, per affrontar senza pericolo l'aria pungente delle serate invernali, nelle quali sogliono darsi comunemente simili trattenimenti. Durante il concerto è di regola il più assoluto silenzio: solo un provincialotto inesperto si farà lecito di discorrere, di battere il tempo, di cantarellare in sordina. Alla fine d'ogni pezzo la cortesia vuole che si applauda, anche se l'esecuzione non sia stata perfetta. Quando poi, invece, si è avuto la fortuna d'aver gustato un capolavoro musicale interpretato perfettamente, allora le testimonianze di plauso vengono così spontanee che è, se mai, opportuno richiamare le regole della convenienza per non trasmodare. In tutto deve regnare il buon gusto e la discrezione. Negli intervalli, si parla a voce moderata con chi sta vicino, non mai con chi sedesse a qualche distanza, e tanto meno una signora con un uomo. E' lecito scambiarsi le proprie impressioni, che sogliono essere in generale favorevoli; se qualche spirito raffinato avesse la sua critica da fare, o alla musica o agli esecutori, esponga il suo parere senza presunzione, senza malignità, e faccia in modo di non essere sentito se non dal suo interlocutore. E' ovvio poi che i concertisti, o siano essi cultori esclusivi dell'arte, o semplici dilettanti, devono far in modo che il pubblico non provi nessuna delusione e non abbia a deplorare la serata perduta. Quello che è detto per chi si reca a un concerto, che non sia una serata di gala, va detto anche per chi assiste ad una conferenza. Una signora può recarvisi sola; sarà bene però se, nell'uscire, si unirà con qualche amica fornita di cavaliere che la possa riaccompagnare a casa. Il vestire dev'essere modesto, ma accurato, e tanto più se il conferenziere è celebre e presume un pubblico ragguardevole. Ed è certo uno spettacolo assai nobile quello di una accolta, spesso numerosissima, di persone chiamate colà dal desiderio comune di intendere una parola alta, di aprire la mente a nuove verità, di vivere un'ora di vita intellettuale più intensa e più feconda. Tra quegli ascoltatori vi sono spesso uomini che hanno già un nome nell'arte e nella scienza, vi sono vecchi professori che credono di non saperne mai abbastanza, vi sono raffinati intellettuali che colgono bramosi ogni occasione per elaborare e tornire ancora più la loro coltura, vi sono anche dame gentili che sanno coltivare il sapere senza darsi l'aria pedante di superdonne. Un pubblico così fatto (e si riconosce subito) desta veramente riverenza, e impone dei doveri a cui la persona novizia deve sapersi piegare. Si entri dunque senza chiasso e gli uomini a capo scoperto: ciascuno prenda il posto che gli conviene, si attenda l'oratore in silenzio, oppure in moderata conversazione con chi siede vicino, e che deve immediatamente cessare, quando l'uomo col suo rotolo in mano, si presenta alla cattedra che gli è preparata. Si ascolti in silenzio, si approvi con discrezione qualche passo che sembra meritevole, ma senza interrompere frequentemente e senza prolungare un plauso che farà certo piacere al parlatore, ma che alle lunghe disorienta. Non è poi lecito mormorar commenti sottovoce, sia benevoli o no; e non si deve far mostra della propria erudizione, completando le citazioni classiche accennate dal parlatore. E' una tentazione, qualche volta assai viva. Finito il discorso, si applaudisca a piacere e si tributino anche quei segni di amicizia e di consenso che formano il coronamento della cerimonia. Gli amici più vicini gli stringan la mano con lodi e congratulazioni: altri si facciano presentare, tutti gli porgano ossequi e ringraziamenti per la bella ora passata, pel diletto di cui son debitori al conferenziere, il quale, intanto, poveretto, si terge il sudore dalla fronte non sa come fare a rispondere a tutti. Vi sono però conferenze di carattere popolare o informativo, ove le cose vanno molto più semplicemente; si fanno per lo più nei teatri o in altre sale di spettacoli pubblici, il pubblico rimane quasi estraneo all'oratore, e bene spesso composto di sconosciuti fra loro. In tali casi, v'è libertà massima nel vestiario, nell'entrata e uscita, nella scelta del posto: rimangono sempre però i doveri generali delle persone bene educate che devono guardarsi dal fare ogni cosa che possa disturbare o spiacere. E i conferenzieri hanno essi dei doveri verso il pubblico? E come, se ne hanno! Chi chiama della gente a spender una serata per udirlo, e spesse volte fa anche pagar un biglietto, si assume la sua bella responsabilità. Ma purtroppo, al giorno d'oggi, tale responsabilità viene assunta con molta leggerezza. Dante diceva dei suoi tempi guerreschi:

Ab Jove principium, dicevano i nostri antichi, e anche noi cominceremo col tracciare le linee di quel, galateo che, se deve sempre osservarsi dinanzi agli uomini e nelle case loro, a più forte ragione va riguardosamente osservato dinanzi al Creatore supremo e nelle case ove Egli risiede. Fra i miei lettori molti, io voglio sperarlo, possederanno il bene inestimabile della fede sotto quella forma che S. Paolo chiamò rationabile obsequium; sapranno dunque benissimo quali ragioni e quale importanza abbiano anche certe dimostrazioni esterne di culto o di convenienza che giustamente sono prescritte. Ma posso anche supporre che vi sian delle anime, perfettamente e sinceramente credenti, che non abbiano potuto acquistare la cognizione o la pratica di tali norme, posso supporre altresì che alcuni, pur non aderendo alla fede comune, abbiano il nobile e lodevole desiderio di comportarsi in modo che nulla possa offendere o disgustare i credenti con cui si trovino insieme. Le mie avvertenze, dunque, potranno far del bene a tutti, e non faranno male a nessuno. In chiesa si va per le funzioni religiose consuete; si va per alcune cerimonie solenni; si va, infine, per ammirare bellezze d'arte. E comincio subito da questo caso. La nostra Italia è così ricca di meraviglie architettoniche, di quadri, di sculture, di mosaici, intagli, cesellature e oggetti preziosi d'ogni sorta, che non vi è, si può dire, nessuna modesta città di provincia, e forse anche nessuno sperduto paesello che non veda entrar i visitatori nelle sue chiese. Nelle città principali poi, in quelle che la rinomanza ormai mondiale ha classificato tra le artistiche per eccellenza, è un flusso e riflusso perenne: tanto che saggiamente in alcuni luoghi sono state fissate alcune norme riguardo al tempo. E' evidente che non si sceglierà mai volentieri l'ora delle sacre funzioni e specialmente quella della Messa cantata. Chi ha senso di religiosità e riguardo gentile a quella degli altri, sa quanto sia molesto quello scalpiccio, quel mormorio, quel trapassar di luogo in luogo di un gruppo talvolta numeroso di persone, mentre tutto intorno spira e impone il mistico silenzio del raccoglimento. Ma quando fosse assolutamente inevitabile entrare in tali ore, la persona bene educata attenua il rumore dei passi, tien sommessa la voce, e se vi è un «cicerone» sta vicino a lui più che sia possibile, al fine di non costringerlo a parlar troppo forte. Non si creda però che, anche a chiesa vuota e silenziosa, sia lecito dipartirsi molto da queste norme. Vi può esser sempre, in un canto, qualche silenzioso orante che, proprio in quel momento, espande i dolori del suo cuore e chiede soccorso alla bontà suprema: rispetto a lui. E rispetto, sempre, in ogni caso, al luogo sacro. Non tutti sanno, ma tutti dovrebbero sapere che passando davanti all'altare del S.S. Sacramento è obbligo piegare il ginocchio a terra, e che se vi fosse esposizione solenne o per le Quarant'ore o per altra funzione, è prescritto piegarle ambedue. Così si deve fare anche nel momento dell'elevazione, nel caso che durante la visita si stesse celebrando qualche Messa: bisogna allora aver la pazienza di attendere che siano cessati gli squilli del campanello, e proseguir poi, più tacitamente e riguardosamente ancora, il pellegrinaggio d'arte. Le donne dovrebbero entrare in chiesa solamente col capo coperto e modestamente vestite... Ma ahimè! non tocchiamo un doloroso argomento. Basti, a nostra vergogna, ricordare i cartelli ammonitori che sono appesi alle porte d'ogni chiesa: basti dire che alle grandi basiliche, ormai, è stato necessario metter di guardia un vigile, il quale ha l'incarico, non credo gradito certamente, di ammonir le visitatrici (meno male che la maggior parte sono straniere) di coprirsi le braccia e le spalle di cui fino allora avevan fatto esposizione sul listone di Piazza S. Marco o nelle vie e ai caffè circostanti a S. Maria del Fiore, o sotto la Galleria Vittorio Emanuele presso al Duomo di Milano. C'è poi anche l'altro cartello: vietato sputare. E il divieto è espresso ora in questo, ora in quel modo, ma la sua insistenza prova che non siamo riusciti ancora a vincerla su questo importantissimo punto di igiene e di decoro. La persona sana e pulita non sente mai il bisogno di sputare: tuttavia, se circostanze e ragioni specialissime la obbligassero a farlo, non dimentichi che tale atto così schifoso a vedersi, deve essere compiuto con la massima secretezza, in un apposito fazzoletto. Veniamo ora al contegno da tenersi durante le sacre funzioni. Occorrerà dire che non si deve stare sdraiati sul sedile, né accavallar le gambe? Le nostre signore, così avvezze adesso a tale libertà di modi e alla gioia ineffabile di mostrar i polpacci e perfino le loro ginocchia, non sanno talvolta privarsene nemmeno nel luogo più sacro. Quando si deve stare in ginocchio e quando a sedere e quando in piedi è prescritto dalla liturgia. Alle persone deboli e vecchie è naturalmente concessa maggiore libertà; basta per loro che stiano genuflesse nei momenti più solenni, quando lo squillo del campanello li annunzia reiteratamente. Ma chi non può stare in ginocchio non si creda lecito però, se è fra i banchi, di stare in piedi mentre gli altri siedono o stanno genuflessi: è grave scortesia verso quelli che sono dietro toglier loro la vista dell'altare e delle cerimonie che vi si svolgono, per mostrar loro quella del proprio dorso, spesse volte massiccio ed esorbitante. Durante le prediche è prescritto un rispettoso e assoluto silenzio. Nel passato, era invalsa la strana usanza di testimoniar al predicatore la propria ammirazione con un concerto di tossi e raschiature di gola, che si alzava unanime quand'egli faceva punto per la prima pausa, e più ancora alla fine.

L'uomo burocratico, a cui lo Stato ha ceduto colla sedia incerata anche una minima particella della sua sovranità, ne è l'inesorabile difensore, e ama farla pesare su chi gli sta dinanzi. Ciò accade specialmente nei giovani e in quelli che stanno in basso della carriera. Voi sarete ricevuti con molta cortesia da un Prefetto o da un Presidente di Cassazione, ma vi potrà benissimo accadere di tremar davanti a un impiegato dell'anagrafe o ad un ricevitore postale. E' vero che ai tempi nostri la cortesia va generalmente estendendosi a tutte le classi, e che molte volte alla finezza dell'educazione supplisce intuitivamente la bontà dell'animo. Questa, e il senso del dovere, possono essere sufficienti a rendere corretto il contegno dell'impiegato davanti al pubblico. Pensi egli che la gente viene a chiedergli un servizio a cui egli è obbligato, e che tale servizio deve essere reso speditamente e con buon garbo. Pensi che talvolta ha da fare con gente ignara di certe formalità, e che bisogna avere un po' di pazienza e di bontà per compatire e porger gli schiarimenti necessari. E' così triste veder rimandato dallo sportello il povero operaio, il vecchio pensionato che s'aspettava di sbrigare la sua pratica, con un brusco: - Non so che farci! - Guardate quel che c'è scritto! - Tornate colle carte in regola! Quando invece un impiegato cortese spiega quel che si deve fare e facilita per quanto è in lui le pratiche, fa veramente un'opera buona e si guadagna benevolenza e gratitudine. I modi aspri e burberi eccitano poi nel pubblico, che non sia timido o ignaro, una corrispondente reazione. E allora possono accadere fastidiosi battibecchi, e l'impiegato rischia di averne la peggio, o sul momento o in seguito. L'impiegato non deve fumare allo sportello, o immergersi nella lettura del suo giornale, o chiacchierare così animatamente coi suoi colleghi da considerar come un seccatore chi lo interrompe e fargli un viso brusco. E quando c'è ressa allo sportello, e il suo lavoro diviene accanito, procuri di conservar la padronanza dei suoi nervi e pensi che, dopo tutto, la sua condizione non è peggiore di quella della gente che si pigia e fa lunghe code, al caldo e al freddo, colla pena di un'attesa interminabile e spesso coll'ansia di non poter arrivare a tempo. Ma anche il pubblico ha i suoi doveri di tolleranza e di cortesia. Chi va in un ufficio, per prima cosa, deve cercare di informarsi esattamente di quanto deve fare, non presentarsi allo sportello B quando è scritto chiaramente che il servizio ch'egli sta per chiedere gli sarà reso allo sportello G, aver pronte le carte e gli schiarimenti e, se si tratta di pagare, il denaro contato come è prescritto. E se vede che l'impiegato è occupato nell'eseguire un'addizione o nel mettere a posto delle carte, sarebbe veramente indiscreto se lo interrompesse costringendolo poi a rifar tutto il suo lavoro. Se lo sportello è chiuso, e l'ora fissata non è ancor giunta, è inutile picchiare al vetro. Se c'è altra gente fuori, ognuno prenda il suo turno... e si distragga come può. C'è chi legge tranquillamente il suo giornale, c'è chi discorre coi vicini. Ma lo sbuffare, il brontolare, l'impazientirsi, non serve a nulla. Quando è giunto il beato istante, formuli con poche parole la sua richiesta, risponda chiaramente e precisamente se c'è bisogno di qualche spiegazione, e andandosene, contento della pratica sbrigata o dell'informazione avuta, non manchi di ringraziare. Queste regole valgono, a un dipresso, anche tra negozianti e clienti. Ma la condizione del negoziante richiede una prudenza e un garbo anche maggiori; perchè un impiegato scortese potrà destare dei malumori e forse aver in seguito delle noie, ma il negoziante burbero e impaziente finirà col perdere la clientela e dover chiudere bottega. E' dunque tutto suo interesse far che il pubblico sia contento di lui e deve vigilare attentamente sui suoi commessi, affinchè usino sempre modi rispettosi e amabili. Certo, bisogna che chi sta a un banco abbia molta e molta pazienza. Ci sono delle signore incontentabili che fanno metter sossopra tutta una bottega, ci son le modiste e le sartine che si credon permessa ogni indiscrezione, c'è chi disprezza tutto, e chi non vuol dare il prezzo ragionevole. Il commesso o il negoziante procurino di far il possibile per accontentar anche le più bizzarre esigenze, siano prudenti e corretti nella discussione sulla qualità e sui prezzi, e se vedono andarsene lo sperato acquirente senz'aver concluso nulla, si confortino col pensare o col dire, anche ad alta voce e cortesemente: «Sarà per un'altra volta». E così è ben più facile che si guadagnino la clientela, che non facendo come certuni, i quali non rispondono nemmeno al saluto della signora che se ne va, senza aver potuto, per buone ragioni, comprar quello che voleva. Vi son dei negozianti che eccedono però nel loro zelo, e si mostrano indiscreti, e vogliono per forza imporvi la loro mercanzia, anche se assolutamente non vi conviene e non vi lasciano più uscire. Anche questi disgustano il pubblico il quale, dopo tutto, ha diritto di scegliere tra un negozio e l'altro e di spendere il suo denaro come meglio gli sembra. Nelle mercerie e nei negozi di generi alimentari c'è talvolta un po' di ressa. Allora bisogna che chi sta al banco si moltiplichi in sveltezza e usi molta pazienza. Tenga d'occhio chi è venuto prima e chi è venuto dopo, e non faccia preferenze spiacevoli. E si ricordi bene che la gente che aspetta ha il tempo misurato, e che è bensì disposta ad aspettare che venga il suo turno per essere servita, ma non a vederselo prolungare per ciarle inutili fatte tra venditore e qualche cliente di sua speciale conoscenza. La bottega non è un salotto di conversazione, e se può esser lecito, in certi casi, aggiunger al saluto una domanda e una risposta, non si deve stancar la pazienza altrui con dialoghi di carattere personale, scherzi, spiritosaggini o altro. Questo è il difetto in cui cadono i commessi giovani, e le commesse, quando non hanno giudizio... Chi poi entra in un negozio deve prima aver pensato a ciò che deve comprare e press'a poco quello che vuol spendere. Si esamini con attenzione la merce che viene offerta, si chieda pure qualche altra qualità se questa non conviene, ma non si disprezzi, non si facciano confronti con altri negozi, non si faccia buttar all'aria tutta la bottega; quando si vede che il genere richiesto non si presenta fra tanti, è meglio cercar altrove, congedandosi però con un cortese saluto, e con una parola di scusa. Riguardo al prezzo, è giusto fare un'altra offerta se pare esorbitante, ma l'impuntigliarsi quando il venditore mostra assolutamente di non poter cedere di più, e peggio ancora pretendere di cambiare i prezzi fissi, e il fare interminabili discussioni per poche lire, è da persone grette e maleducate. Entrando ed uscendo, è sempre obbligo rispondere con cortesia al saluto. E se nel negozio, tra le persone che aspettano ce ne fosse qualcuna di nostra conoscenza, si saluterà semplicemente, senza chiederle nulla dei fatti suoi, e senza avviare conversazioni perditempo. Un galateo speciale dovrebbe presiedere alle relazioni tra gli operai, i fornitori ecc. e chi si trova nella talora malaugurata necessità d'avere bisogno dell'opera loro. Chi non sa le innumerevoli vane attese? Chi non sa le ripetute chiamate al telefono? Chi non sa i ritardi nel portar il lavoro fissato? La puntualità è diventata, per certi lavoratori e lavoratrici, veramente un nome vano senza soggetto. Essi ben sanno che possono contare sopra una tolleranza inesauribile, che ha le sue basi nella necessità e talvolta ne abusano. L'operaio diligente e cortese, la lavoratrice puntuale son dunque tanto più graditi quanto più rari. Chi si serve dell'opera loro faccia comprendere con buone parole e colla prontezza del pagamento quanto sappia apprezzare tale merito. Accade veramente, però, che talvolta le sarte o le modiste sono così oppresse dal lavoro, in certe stagioni, che non sono veramente colpevoli dei loro ritardi. Tocca allora alle signore clienti usar discrezione e pazienza, non pretendere quello che umanamente è impossibile e non aggravare colle loro esigenze la fatica già eccessiva. Una signora prudente accaparrerà a tempo debito il loro lavoro, e questo le darà il diritto di essere meglio servita: se non avesse molta fretta, facendole lavorare nella così detta stagione morta, recherebbe un vantaggio a loro e a sè. Non si faccia aspettar il denaro a chi ha lavorato per noi. E' questione di diritto, ma quante signore, che pure hanno la borsa aperta per mille capricci, tralasciano il pagamento della sarta, della cucitrice, dell'operaio che ha lavorato in casa loro! E lo fan per negligenza, per dimenticanza, talvolta per una colpevolissima ostentazione. Chi ha il senso del dovere, chi ha l'animo educato a sensi cristiani non tarda mai a compiere il suo dovere verso questi umili, per cui il denaro del lavoro quotidiano rappresenta il pane, l'alloggio, il pagamento forse di debiti urgenti, forse le cure necessarie a qualche povero infermo.

Tutto ciò che indica rilassatezza o negligenza dev'essere bandito, come l'abbandonarsi sui sedili, il tener la testa ciondoloni, le spalle curve, le braccia a dondolo mentre si cammina. Ma si eviti anche la rigidezza delle membra e l'apparenza dello sforzo, che fan pena a vedersi e indicano persona poco assuefatta alle civili relazioni. Chi sta duro o impalato sembra un superbo anche se non lo è, oppure ha l'aria di un coscritto davanti ai superiori. Semplicità e naturalezza. La testa dev'essere diritta, la fronte serena, il volto deve aver sempre una espressione di benevolenza. E per chi è buono davvero, non ci sarà difficoltà in questo; giacché anche quando ha i suoi crucci si studierà di non farli pesare sugli altri. Al contrario, il viso stravolto, lo sguardo torvo, la faccia aggrondata indicano abitudini morali di egoismo e selvatichezza e mettono in fuga la gente. Gli occhi non devono voltarsi qua e là continuamente, e nemmeno devono fissarsi in faccia alle persone con aria di investigazione curiosa, o con ostentazione di superiorità. La bocca sia chiusa; le labbra aperte sono dello sciocco incantato. Le mani non si devono tenere in tasca e nemmeno dietro il dorso, non mettersele alla testa, non cacciarle addosso all'interlocutore. Tener le braccia napoleonicamente al sen conserte può essere opportuno quando un personaggio voglia dare un'alta idea della gravità dei suoi pensieri, o quando posi pel ritratto; proscritto in ogni altro caso. Mettersi le mani ai fianchi è gesto da lasciarsi a Perpetua e alle comari del suo genere. Certamente i gesti aggiungono efficacia e chiarezza al nostro dire, e ne sono spesso il miglior commento, ma non si devono muovere le braccia come banderuole, non si deve agitarsi come burattini, stordire l'interlocutore coll'immagine del moto perpetuo, mettersi a rischio di rovesciare o urtar qualche cosa, dar qualche schiaffo involontario. Chi fa in tal modo mostra piccolezza di cervello, poca padronanza di sè, poca fiducia nell'efficacia delle sue parole. Che le mani non si devono cacciar fra i capelli, nelle narici, o nelle orecchie, non occorre, adesso, insegnarlo altro che ai bambini. Ma ci sono alcuni, e anche persone bene educate, che se le portano talvolta alla fronte, se le fregano sulla faccia, se ne accarezzano le guance o il mento. Son atti non conformi a correttezza e compostezza. E l'appoggiarvi la guancia, reggendosi sul gomito, è graziosa abitudine, purché sia passeggera, e armonizzata coll'espressione del volto e di tutta la persona. Ma fatta abitualmente e goffamente indica poco riguardo per gli altri e amore dello star comodo. Nel camminare, il passo sia franco, regolare, e adatto alle convenienze. L'uomo d'affari camminerà sollecito; la signora o la giovinetta, andando a fare una spesa, o recandosi al proprio ufficio, faranno bene anch'esse a tenere una certa sveltezza. Ma nei pubblici passeggi, nelle riunioni, nel recarsi a qualche cerimonia il passo sarà invece lento e posato. In ogni caso, si guardi poi di non trascinar le piante, e di non battere i tacchi con rumore molesto agli astanti. E' una cosa volgarissima un passo pesante, è grazioso l'incedere leggero e come scivolante. Ma non sta bene nemmeno giunger presso a due che parlano tra loro senza farsi sentire in alcun modo, come se si volesse sorprenderli. Nel sedere, una persona veramente ben educata non accavalla le gambe, non si pone obliqua, non si abbandona sulla spalliera, non si dondola sulla sedia, con manifesta noncuranza dei presenti. Questi modi scorretti, una volta severamente proscritti, sono stati recentemente adottati... chi lo direbbe mai? dal sesso gentile. Una donna saggia e onesta non si mostra mai in una posizione indecorosa, perché sa che sopra il capriccio momentaneo della moda, a cui ciecamente sacrificano le teste leggere, ci sono le leggi inviolabili del pudore e del riserbo. E sa anche che la vera eleganza sta nella compostezza e nell'armonia delle attitudini e delle movenze. Quindi, ad esempio, una signora sedendo non accavallerà le gambe, a meno che l'ampiezza e la lunghezza della sua gonna siano tali da consentirle quella posa senza farle perdere nulla di quella compostezza e di quell'armonia. Alcuni hanno in questo un dono innato di grazia: tutto in loro è disinvolta eleganza, nessuna delle loro mosse è soverchia o impacciata, non mai troppo rapida nè troppo lenta, non mai angolosa e affettata. Di costoro bisogna dire come fu detto della poesia:

Chi, seguendo le norme da noi sin qui indicate, cerca di procurar agli altri tutto il piacere possibile nella sua compagnia e nei suoi atti e di eliminar ogni cosa che potesse dar disgusto, dovrebbe trovare intorno a sè una corrispondente premura di cortesia e di riguardi. Accade sempre così? Sarebbe troppo arrischiato rispondere affermativamente. Tra persone di condizione civile, in società, si sogliono salvare almeno le forme. Ma purtroppo, in certi casi, quando ci sia in gioco una passione, una prevenzione, un interesse, accade anche di veder una mal dissimulata ostilità contraccambiare un tratto gentile. Talvolta è un semplice malinteso! E allora la persona che è veramente dotata di generosità e gentilezza d'animo, non si scoraggerà per questo, e non muterà contegno. La sua perseveranza potrà esser coronata dalla vittoria, quando non ci sia dall'altra parte una vera malvagità: in quest'ultimo caso, resta sempre la consolante coscienza di aver fatto il nostro dovere. Ci sono poi persone di buon animo, ma ignare delle raffinatezze sociali, tagliate alla buona, oppure ostili sistematicamente al galateo. Con queste c'è pure da aspettarsi un ricambio di natura alquanto spiacevole. O rideranno di certe forme o ne avranno dispetto, o non ci capiranno nulla. A un complimento risponderanno con un'alzata di spalle, a un riguardo con una canzonatura, a un servizio con una mossa scontrosa. Abbiate pazienza con costoro, o gentili lettori e lettrici, che mi avete seguito fin qui. Della loro scortesia la colpa può essere una educazione trascurata, una indole infelice: perciò non sarebbe generoso, e forse nemmeno giusto, esiger da loro quello che invece dovremo esigere rigorosamente da noi. Anch'essi, colla frequentazione assidua di persone ben educate, col ricever da loro prove costanti di cortesia, posson pian piano essere indotti a far un esame di coscienza, ed esser punti dalla buona e nobile volontà di fare altrettanto. Ognuno nella società faccia tutto quanto può di meglio, colla parola e coll'esempio, per diffondere la vera gentilezza, e come il progresso si mostra sempre più confortante nello sviluppo della cultura e nella mitezza dei costumi (nonostante le querimonie di certi brontoloni!) così si giungerà anche, e forse fra non molto, a far sì che universalmente regni anche la correttezza dei modi, l'arte di ben trattare, in qualsiasi ceto sociale. E in questo, come in tutto il resto, l'Italia nostra, gentil sangue latino, deve stare al primo posto!

Presentarsi quando la famiglia è a tavola non è lecito se non in casi specialissimi; come pure non si scusa con nessuna intimità il penetrare nelle stanze d'uso personale, se non siamo esplicitamente invitati. Le visite di convenienza si soglion fare nelle ore più tarde del pomeriggio: generalmente dalle quindici alle diciotto. L'uomo che si reca a far visita ad una signora si vestirà correttamente. Introdotto, depositerà nella stanza d'ingresso il cappello, il bastone o l'ombrello, il soprabito, ed entrerà nel salotto facendo un inchino generale, poi rivolgendosi direttamente alla padrona di casa, e inchinandosi a lei. Sedutosi, sosterrà con brio e con disinvoltura una conversazione che non deve essere troppo lunga. Indi, colto un momento opportuno, si alzerà accommiatandosi con brevi convenevoli, inchinandosi di nuovo, con ossequio, prima alla signora del salotto, indi alle altre persone e uscirà rapidamente. Una signora che si reca in visita dovrà essere vestita colla massima accuratezza e con una ben intesa eleganza, giacchè questo è pur un modo di palesar il suo rispetto alla compagnia. Ma non usi un lusso sfarzoso, non si carichi di gioielli. Una signorina poi deve unire sempre la semplicità all'eleganza, altrimenti darebbe prova di pretensione e cattivo gusto. Non si devono nemmeno portar nei salotti le mode troppo originali, i colori troppo vistosi e tanto più le fogge troppo arrischiate. E' raccomandabile anche di non far uso di profumi acuti, che possono dar fastidio alle persone delicate. Veramente, l'uso dei profumi troppo violenti non è mai da consigliarsi alle persone che vogliono mostrarsi serie e di buon gusto, così come adoperare un profumo di qualità scadente è segno di volgarità. I migliori profumi sono, in genere, quelli estratti dai fiori, che risvegliano sempre sensazioni gradite: fra le acque artificiali consigliabili per l'igiene tiene il primo posto l'acqua di Colonia, e noi Italiani abbiamo carissima l'acqua di Felsina. La signora che entra saluterà sempre prima la padrona di casa; rivolgerà poi un lieve cenno alle altre persone, se le sono ancora sconosciute, e non si porrà a sedere se non dopo le presentazioni. In certe case però, si usa che il servo o la cameriera annunzino a voce alta il nome dei nuovi venuti, così le presentazioni rimangono abolite. Se nel salotto vi fossero già persone di sua conoscenza, la signora entrata rivolgerà ad esse i suoi saluti, subito dopo che alla padrona di casa. Prenderà posto dove c'è libera una seggiola o una poltroncina, senza guardar tanto, o siederà sul divano vicino alla padrona, se il posto è libero. A destra o a sinistra?... Il posto dell'ospite sarebbe sempre a destra, tuttavia in certe province si usa che la signora che riceve tenga sempre il suo posto alla destra del divano. Se nel salotto v'è caldo, la visitatrice aprirà con discrezione la pelliccia o il mantello. S'intende che avrà lasciato in anticamera l'ombrello, anche se asciutto. La conversazione dev'essere sostenuta con garbo, e diretta specialmente dalla padrona di casa. Quando poi è passata una mezz'ora circa, si può far l'atto di congedarsi, salvo a rimaner ancora, se la signora ne farà gentile istanza. Si suol approfittare, generalmente, a prender congedo, dell'arrivo di un'altra persona, e ciò per dar meno disturbo. Ma se quella persona fosse una comune conoscenza, la cortesia impone di non lasciarle credere che siamo stati messi in fuga da lei... Non potendo fare diversamente, ci si deve scusare con brevi e gentili parole. La signora che riceve ha l'obbligo di mostrare in tutti i modi il suo gradimento. Perciò farà in modo che il salotto sia ben preparato e ornato di fiori o piante, avrà cura che nell'inverno vi sia un tepore gradevole (e non eccessivo, come purtroppo si fa talora) e nell'estate ombra e frescura. Ma riguardo all'ombra, si badi che è molto spiacevole per chi entra, passar dalla luce del di fuori alle tenebre assolute di cui si compiacciono certe signorine. Spiacevole...e pericoloso. Si urta contro le poltroncine, si mette in pericolo l'integrità dei ninnoli sui tavolini, si cerca un posto a tastoni, e talvolta non si riconoscono le persone. Grazie al cielo, ora, l'usanza dei pesanti tendoni di panno e velluto scuro è sparita, combattuta dalle sagge norme d'igiene; nelle stanze si lasci circolare l'aria e regnare la luce, moderando poi l'una e l'altra a seconda delle ore delle stagioni. La signora che riceve indosserà un abito speciale, per mostrar alle sue visitatrici che desidera trattarle con premuroso riguardo: ma quest'abito, per quanto elegantissimo, non deve mai essere sfarzoso, perchè sembrerebbe, allora, che volesse soverchiarle e umiliarle. Potrà adornarsi dei suoi gioielli, ma scegliendo i meno appariscenti, e non sovraccaricandosi di anelli o di braccialetti. Ella accoglierà con un sorriso e con dimostrazioni di piacere le amiche e le conoscenti, alzandosi e andando loro incontro. Per gli uomini, la signora non si alza mai, se non fossero sacerdoti, o vecchi venerandi, persone di straordinario merito. Farà subito le .presentazioni, se è necessario, e rivolgerà alla nuova arrivata le domande d'uso, sulla salute, la famiglia, ecc., non però con fare convenzionale, ma coll'espressione di un sincero interesse. Farà poi in modo che la conversazione divenga generale, riprendendo anche, se è il caso, l'argomento di cui si trattava prima che giungesse la visitatrice, e accennandone a questa le antecedenze, perchè possa parlarne con cognizione. Si studierà poi di fare in modo che tutti si trovino a loro agio, e darà l'esempio di una moderata allegrezza, dimenticando per quelle ore i crucci e i fastidi che eventualmente potesse avere. E' cortesia cercar di trattenere le persone che fanno atto di accommiatarsi; ma non si potrà usare con un uomo, e nemmeno con una signora, quando sia molto superiore per grado o per età. La signora accompagnerà sulla soglia le sue visitatrici, ma non mai nell'anticamera, per non lasciar sole le altre. Se c'è una cameriera o un servo, è ufficio loro ricevere in anticamera e aprir loro la porta: se per un caso qualunque (non c'è da meravigliarsene in questi tempi!) non ci fossero, la signorina di casa adempirà con molto garbo questo dovere. Riguardo alle visite, l'uso di avere un giorno fisso di ricevimento va quasi del tutto scomparendo. Ora le signore preferiscono dare ogni tanto un tè, a cui amici e conoscenti, numerosi o no secondo l'importanza della riunione, vengono invitati, seguendo il grado di amicizia, per telefono o con un biglietto alcuni giorni prima. Altrimenti, la signora che voglia andare a trovare un'amica si assicurerà per telefono che questa sia in casa nel giorno che le conviene, e le farà visita senza altre formalità, dopo le cinque del pomeriggio. Se per un caso di forza maggiore la signora che ha annunciato o che attende una visita dovesse assentarsi senza poter avvisare l'altra, non dimentichi di farle poi le più ampie scuse. Quando si offre il tè (che ora ha quasi soppiantato il buon caffè, così semplice a offrirsi e a prendersi) bisogna che vi sia un tavolino preparato appositamente, con tazze finissime e tovagliette e tovaglini bianchi trinati. La padrona di casa, aiutata dalla signorina, se c'è, fa circolar le tazze e offre il latte o il rhum, secondo i gusti, e i finissimi biscotti. Ne risulta qualche volta una complicazione poco piacevole, specialmente per le visitatrici che hanno le mani guantate e ingombre: borsetta, piattino, tazza, cucchiaino, dolci... Se però è un tè in grande, ci devono esser tavolini appositi per posar tutte queste belle cose, e il servizio è fatto dai domestici in giro. Per le visite di condoglianza si aspetti almeno una settimana; si faccia una visita breve, portando un abito scuro e serio di foggia, evitando le convenzionalità, e adattando il tono della conversazione al carattere, all'età, alle idee della persona afflitta. Dai malati si vada poco e brevemente; si cerchi d'infonder loro speranza e serenità, e si mostri una sincera premura per tutto ciò che li riguarda. Invitati a ritornare, se veramente si pensa che la nostra compagnia possa riuscir di conforto, si prometta e si mantenga. Alle ammalate è gentile portare fiori non profumati, i quali, nel caso si tratti di una puerpera, saranno di preferenza bianchi. I bambini non si conducono in visita, e nemmeno si dovrebbero condurre le giovinette sotto i diciotto anni. In campagna, naturalmente, si passa sopra a queste regole. E accade qualche volta che il visitatore o la visitatrice si tiri dietro il cane... cosa deplorevole per mille ragioni. Anche nella casa ove si va in visita c'è talvolta un cane (e questo, pur troppo, accade anche in città). Ebbene, si consiglia alla padrona di tenerlo lontano dal salotto intimo. Quelle amabili bestiole considerano, si sa bene, ogni ospite del loro padrone come nemico personale, e gli vanno incontro ringhiando e abbaiando. La musica dura spesso un bel pezzo, e intanto il visitatore non può nemmeno scambiar una parola coi padroni di casa, che invano cercano di far tacere l'insolente, e spesso credono di giustificarsi dicendo questa bella ragione: non abbia paura, non fa nulla. Meglio tenerlo chiuso nel luogo suo, tanto più che simile diletto si rinnova spesso anche nel momento del congedo. E a proposito del congedo non sarà male avvertir le signore che per quanto siano in confidenza con una visitatrice, per quanto sia loro cara la sua compagnia, non devono trattenerla mezz'ora sulla porta o nell'anticamera. Questo avviso naturalmente va dato anche a chi fa la visita. Giungendo in un paese nuovo, o recandosi ad abitare un nuovo casamento, tocca a chi arriva far visita alle persone cui desidera entrar in relazione. La prima visita va restituita entro gli otto giorni. Non sarà male accennar qui ai biglietti da visita, che spesso sostituiscono la nostra persona....Essi devono essere in cartoncino bianco elegantissimo e devono portar col nome e cognome della persona, i suoi titoli e il suo grado. I professionisti vi mettono talvolta il loro indirizzo. Vi son però dei personaggi così insigniti di gradi e titoli, che la litania ne sarebbe un po' troppo lunga: molto opportunamente si suol usar da loro due specie di biglietti da visita: l'una solo col nome e cognome, l'altra con l'elenco dei gradi e dei titoli; adoperando la prima con amici e parenti, la seconda nelle relazioni ufficiali. Il titolo nobiliare non si mette quando si pone la corona. Le signore hanno il loro biglietto da visita col nome e cognome da fanciulla e da maritata; col titolo o colla corona se sono nobili per via di marito. Il cognome del marito precede sempre quello di nascita. Un tempo le signorine non avevano biglietto da visita; ora però questa regola si va eliminando. Una donna generalmente non mette sul suo biglietto titoli professionali; se però le è necessario essere conosciuta anche professionalmente, preferisce ricorrere, come già detto a proposito degli uomini, al doppio biglietto: uno col titolo per la professione ed uno senza per la vita di società. Il biglietto da visita di una signorina non porta nè titolo nobiliare nè corona. L'abitudine di mettere lo stemma sui biglietti è caduto in disuso e sopravvive un po' soltanto in provincia. Sul biglietto si scrivano poche parole di circostanza; non è bello ricorrere alla sigle p. p. c. - p. c. - p. a., che sono asciutte e volgari. Si mandano i nostri biglietti in occasioni d'auguri, di condoglianza, ecc.: si lasciano alla porta quando non si è potuto fare una visita, piegandoli all'angolo. Visitando il Sommo Pontefice l'uomo avrà l'abito nero da mattina, la signora sarà vestita di nero con velo. Non si portano guanti. Dinnanzi al Santo Padre, i visitatori si inginocchiano, Gli prendono la mano senza stringerla, e ne baciano l'anello. Le domande di udienze private si rivolgono al Ministro dei Sacri Palazzi o al Vescovo della propria Diocesi, che le trasmette alla Santa Sede. Nel visitare un Vescovo, la signora si presenta in abito serio e corretto, ma non occorre il velo. Si accenna una genuflessione presso la poltrona ove siede Monsignore, il quale raramente permette che si eseguisca, e si bacia l'anello pastorale.

Ma si ricordi che l'eccesso è sconveniente per sè, avvezza a volgarità di modi, turba il piacere di quelli che vogliono stare tranquilli. Presto, presto, si organizza una partita a bandiera, o ai quattro cantoni o ad altro gioco preferito: si gode con semplicità quello svago e ci si comporta da buoni fratelli. O si lancia la palla, o si corre in gara... o se il gusto è diverso, si passeggia conversando e ridendo allegramente. Quei discorsi cadono, in generale, su ciò che è avvenuto nella scuola durante la mattinata: le lezioni, i maestri, i condiscepoli ne sono il tema preferito. Ma il discorso non sempre è benevolo. Mancano forse i ragazzi maleducati che parlan con disprezzo dei superiori, che li denotano con qualche soprannome, che si divertono a metterli in burletta? Cattivo spirito, ragazzi miei, e spirito sciocco: ve ne accorgerete giunti a età matura, e ne avrete allora vergogna e rimorso. Non sarebbe meglio, invece, risparmiarveli moderando la vostra lingua e frenando il gusto maligno di giudicare chi sta sopra a voi per età e per meriti? Le ragazzine, poi, oltre al vezzo della maldicenza pettegola, hanno spesso anche quello di far pompa nei loro discorsi di grandezze spesso immaginarie. La ricchezza, la nobiltà, le cospicue parentele, i bei vestiti, le automobili e i gioielli di casa passano in fantastica rassegna durante quelle conversazioni e una s'ingegna di sopraffare l'altra. Una fanciulla saggia non amerà mai siffatti argomenti, e si ricorderà che il vero merito è individuale, e che ad ogni modo esso spicca maggiormente colla modestia. Nelle dispute che talvolta avvengono tra ragazzi è facile che si perda la misura del linguaggio. Volano allora le brutte parole, stupido, insolente, bugiardo, e peggio ancora. Nelle famiglie per bene tali epiteti sono severamente proibiti; perché si dovrebbero usare nella scuola che è come una grande famiglia, e in cui gli scolari sono come fratelli? E allora la disputa si accalora, e ne vengono inimicizie, bronci, rapporti ai superiori, pettegolezzi in casa. Molto meglio, se si vede l'avversario tener duro lasciarlo alla sua opinione, e non perder per questo la serenità... e l'appetito. Brutto vezzo poi è chiamar i compagni con soprannomi, far loro degli scherzi sgarbati, nasconder loro per celia gli oggetti necessari. E non si dovrebbe mai mettersi le mani addosso per nessuna ragione. Gioco di mano, gioco da villano - dice il proverbio, e poi tante volte accade che si comincia per gioco e si finisce sul serio. In qualche istituto, specialmente privato, è uso far regali ai maestri. E' assolutamente condannabile il regalo privato o a gruppetti, e va fortunatamente sparendo. Solo in certi casi speciali si può ammettere un dono collettivo. Ma si guardi allora di non scegliere un oggetto di lusso e che richieda una grande spesa: il professore lo gradirebbe molto meno, e inoltre potrebbe ciò esser causa di umiliazione o di sacrificio a qualche compagno. Si consultino i genitori che sapranno dare un buon consiglio e si eviti ogni singolarità. Il dono, specialmente se destinato a una signora, sarà completato e ingentilito da un bel mazzo di fiori. Anche verso gli inservienti delle scuole si usino modi cortesi, lungi dalla burbanza e dalla soverchia confidenza. Non si diano ordini, non si chieda nulla senza le formule consuete tra persone bene educate, e non si dimentichi una piccola mancia nelle solennità. Ma una mancia si può darla tutti i giorni, ed è quella di non aggravare il loro lavoro, lasciando la classe imbrattata di cartacce, di avanzi, e delle tracce fangose delle vostre scarpe.

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Ma più ancora, come vi si troverebbe un ragazzo abbandonato a sè, senza l'appoggio dei genitori e le norme che suol osservare in famiglia? La disciplina del collegio è quella che lo sostiene, lo guida, gli dà garanzia che tutte le azioni della sua giornata sono buone, utili, ben dirette. Bisogna dunque avvezzarsi a considerarla come un appoggio e non come un ostacolo, e procurare d'amarla. Amandola, la rispetteremo, e il vantaggio che tutti la rispettino ricadrà su ciascuno in particolare. Per prima cosa, puntualità! Quando suona quella benedetta campana, si ubbidisce subito: sia che imponga di alzarsi dal letto (ahi! ahi!) sia che inviti a pranzo, sia che segni il termine della ricreazione. Ma non occorre, per mostrarsi puntuali, incalzarsi l'un l'altro, premendo e urtando alla porta. Nei collegi ben tenuti è d'uso la fila a coppie: ciascuno stia col suo compagno e lasci passar gli altri che lo precedono. Puntualità e ordine. Tutto a posto, tutto a suo tempo. Cresciuti in età, vedrete, o giovani collegiali, quanto preziosa sia quell'abitudine che avrete contratto nell'istituto, dove in generale è più severamente vigilata che in casa. Oltre alla tenuta dei libri e quaderni, pei quali vi è assegnato un luogo apposito, e che dovrete tener sempre pulitissimo, vi è anche affidata, in parte almeno, la cura del vostro vestiario, a cui in casa provvede la mammina buona o la zia. Sicuro, cari giovanetti, voi dovrete avvezzarvi a spazzolare i vostri panni d'uniforme, dovrete fors'anche imparare a lucidarvi le scarpe, e anche, talvolta, ad attaccarvi qualche bottone. E le giovanette poi devono riguardar la loro biancheria, stirarla, accudir alla pulizia del loro vestito, rimediare a qualche strappo, togliersi qualche macchia. La responsabilità del loro piccolo corredo è affidata tutta a loro. Ora pensino i collegiali, maschi e femmine, come disdica presentarsi in mezzo agli altri con le scarpe mal pulite, colle vesti non allacciate, con qualche spilla di sicurezza che tien luogo d'un bottone mancante, col fazzoletto lacero e sudicio! Ad ogni lieve disordine del vestiario si deve invece porre subito rimedio, perchè una piccola macchia o un piccolo buco si tolgono presto, mentre se si lascia andare, dopo, la fatica è doppia e l'esito è incerto. Anche la considerazione economica deve avere la sua parte! I vestiti, la biancheria, le scarpe costano ben cari al giorno d'oggi; può un ragazzo onesto ed affettuoso aggravar colla sua negligenza le spese più grandi che i genitori sostengono per lui? Attenti dunque a conservar bene la vostra roba, attenti a non perdere fazzoletti, calze, pettini, spazzole... Tante volte è colpa della pigrizia e della sbadataggine: non si fa la nota del bucato, non si verifica ricevendo, e la roba va a finire nel cassetto di altri negligenti. Oppure si presta qualche oggetto a un compagno notoriamente sbadato, e non si tien più d'occhio la restituzione. E allora tocca ai poveri genitori provvedere un'altra volta. Il vestito d'uniforme dev'essere caro ai collegiali come al soldato la sua divisa; oltre a tenerlo pulito ed ordinato, è obbligo anche rispettarne l'integrità, ossia non aggiungervi, nè togliervi nulla. Questo specialmente per le giovinette che volentieri correggerebbero con qualche fronzolo la semplicità che a loro pare eccessiva, e che invece è così elegante, e piace tanto se uguale in tutti. E anche nel pettinarsi, stiamo al regolamento che proibisce cincischiamenti, nastri, pettini, arricciature. Credano ai loro superiori, quando affermano che questi attributi di vanità non si possono affatto conciliare con le idee regolatrici di un luogo d'educazione. La cura che si deve aver per la roba propria è doverosissima anche per quella del collegio. Non è lecito tagliuzzare i banchi, sporcare i muri, danneggiare le piante del giardino; bisogna star attenti a non fracassar vetri, a non sgangherar sedie, a non rompere stoviglie. In ricreazione bisogna accontentarsi del luogo a questa assegnato, e non uscirne, per esempio, a calpestar le aiuole o a dar la scalata agli alberi. E' vero che ci sono i superiori a sorvegliare: ma cercate, cari ragazzi, che questa sorveglianza che già per se stessa è una fatica, non diventi addirittura un tormento! Alla ricreazione, i giovanetti educandi devono prender parte con allegria comune. Vadano d'accordo sui giuochi da farsi, e non si facciano esclusioni o prepotenze: ognuno ceda un po' e tutti saranno contenti. Non bisogna poi schiamazzare incivilmente, correre all'impazzata, buttarsi come frenetici all'entusiasmo del gioco. E nemmeno sta bene appartarsi ostentatamente dagli altri e tener muso duro in mezzo alla comune allegria. In sala da studio, è prescritto un silenzio rigoroso. Questo non si deve rompere nemmeno per studiare a mezza voce, con fastidio grande dei vicini: non si deve nemmeno agitarsi continuamente, lasciar cadere a terra per negligenza oggetti rumorosi, sbadigliare, mormorare, disturbar insomma quelli che hanno voglia di star raccolti. Le ore dello studio sono quelle destinate appunto ai compiti e alle lezioni: bisogna tenersele care, e non guastarle nè per noi, nè per gli altri. Se dopo adempiuti questi doveri, avanza un po' di tempo, si potrà leggere qualche buon libro, o disegnare, o far qualche altro piacevole esercizio. A tavola si devono tenere le regole solite prescritte alle persone che vogliono mostrarsi bene educate, e non è qui necessario il ripeterle. Ma vi è un difetto gravissimo in cui cadono tanti e tanti collegiali. E' anzi una piaga quasi generale: quella di ostentar disprezzo per i cibi della mensa comune, e spesso di rifiutarli per partito preso, accontentandosi magari, per soddisfar questo capriccio d'orgoglio, di mangiar pane asciutto, oppure mangiucchiando poi le golosità che in altro modo si sono potute procurare. E', ripeto, più che altro un capriccio d'orgoglio, in cui cadono certi scioccherelli, i quali vorrebbero far credere che a casa loro sono avvezzi con cibi sopraffini, e che quelli del collegio non sono degni di loro. Ed è curioso ciò che si nota quasi sempre dai direttori e dalle direttrici: queste smorfie son fatte assai più frequentemente da ragazzi appartenenti a famiglie volgari che da quelli che provengono da buone famiglie. Il male è che generalmente si montano la testa l'uno coll'altro e allora respingono collettivamente la minestra perchè non piace al loro fantastico palato, la carne perchè sembra troppo dura a quei denti che pur rompono nocciole e sgretolano castagne secche, o qualche altra pietanza che abbia la sfortuna di esser mal considerata nel gusto comune. E' una mancanza gravissima di riguardo e di disciplina; ma c'è ancora di più: pensate, ragazzi, quante povere creature farebbero festa alla roba così malamente sciupata! Bisogna padroneggiare i capricci e la gola, e persuadersi che il cibo del collegio se non sarà sempre luculliano (e questo è un vero bene per voi!) è sempre sano, adatto alla vostra età, e sorvegliato da persone che vi tengono cari. E i genitori si guardino bene dall'assecondar queste tendenze, e dal favorirle, come fanno specialmente quelli di campagna, somministrando agli educandi cibi e goloserie in quantità. Nei collegi si suole usare una cura maggiore per le pratiche religiose, che non nelle famiglie. Generalmente vi è la Messa quotidiana; alla sera il Rosario e altre preghiere in comune. Quei ragazzi che a casa loro erano avvezzi a far solo in gran fretta le preghiere della mattina e della sera, o anche a dimenticarsene, inclineranno forse a pensare che è troppo...Non tocca a loro decider questo: tocca bensì a loro tener durante queste pratiche religiose il contegno più rispettoso e più quieto: non disturberanno gli altri, e potranno star meglio raccolti; per modo che si farà strada nella loro mente, un po' alla volta, un senso più chiaro dei doveri religiosi e vi si affezioneranno, con vantaggio grande, poi, per tutta la vita. Tra compagni è naturale che ci sia più simpatia per questo o per quello. E talvolta, queste simpatie, maturate negli anni, divengono le più care amicizie, e durano per sempre. Ma le simpatie improvvise e capricciose, le simpatie esagerate vanno spesso a finire in delusioni e dispiaceri: attenti a non cadervi. Ma attenti ancor più a non lasciarvi dominare dalle antipatie! Oltre che essere cosa brutta e crudele per se stessa respingere un compagno perchè non piace ai nostri occhi, o perchè ci sembra di condizione inferiore, o per altre ragioni di questo genere, ci si espone spesso a commettere gravi errori. Quante volte, praticando più da vicino una persona che ci era riuscita a prima vista antipatica, conoscendola meglio, abbiamo scoperto in essa delle qualità preziose, che poi ce l'hanno resa carissima! Sia dunque amorevole con tutti il bravo collegiale, pronto più a giudicar bene che male, pronto sempre a render servizio a un compagno, ad aiutarlo onestamente nel fare i suoi compiti, a intercedere in favore, a scusare una sua colpa. Agli educandi nuovi, specialmente, bisogna presentarsi col volto amichevole, incoraggiante: metterli al corrente della vita interna e istradarli all'adempimento dei comuni doveri. E non fare come certi sventati che cominciano subito i loro discorsi col dir male del collegio e dei superiori. I superiori hanno, qui, doppiamente i diritti e i doveri dei genitori poichè ne assumono interamente l'ufficio. Con loro, dunque, un bravo e buon ragazzo terrà il contegno di un affettuoso rispetto, e non si permetterà mai di criticarli, di farli segno alle malevolenze degli altri, di mostrarsi riottoso e sgarbato. E verso gli istitutori subalterni, che sono più a contatto con loro e che hanno obblighi maggiori e non sempre piacevoli, devono usar lo stesso rispetto, e procurar di unirvi fiducia e affezione. Vi sono poi alcune incombenze di collegio che sono affidate per turno agli educandi, e più ancora alle educande. e ciò ha il duplice scopo di facilitare il servizio e di avvezzar i giovani a certe incombenze domestiche, a cui possono ritrovarsi nella vita. Non dispiaccia troppo alle fanciulle, anche di buona famiglia, maneggiar la scopa o il cencio, lavar i bicchieri! Pensino che queste abilità possono giovar molto spesso, famiglia, ora che le persone di servizio van facendosi così rare; e che del resto non si perde la propria dignità in faccende che giovano al comune. Facciano dunque con viso sereno, e colla massima diligenza possibile, quello che loro viene comandato. In un luogo di educazione comune si devono evitare tutte le singolarità. Rispettando dunque la disciplina, e tenendo cari i consigli degli istitutori, si guardino i giovanetti dal chiedere continuamente e senza ragione delle dispense per non fare ciò che fanno gli altri. Pronti alla scuola, alla chiesa, allo studio, devono anche mostrarsi contenti degli svaghi comuni, e non fare gli schizzinosi. Perchè rifiutarsi di uscire alla passeggiata, e trovar mille pretesti? Si ubbidisca a questa legge di uguaglianza e di igiene, e non si insista, con disturbo degli istitutori. Nell'uscir a passeggio, poi, badino gli educandi alla massima pulizia e compostezza delle loro vesti, e procurino di non alterarla mettendo i piedi sbadatamente nella polvere o nel fango, e, quando son rotte le file, correndo e saltando disordinatamente. Camminando per le vie della città non alzino la voce, non stropiccino i piedi, non battano i tacchi. Ogni coppia cammini con passo regolare in modo da non costringer la fila a rallentare o a impedirsi il passo accavallandosi. Non si deve nemmeno rivolger la parola a quelli che stanno davanti o di dietro, e nemmeno camminar colla testa per aria, e mettersi nel rischio di battere contro qualche cosa. Incontrando persone di conoscenza, si può, anzi si deve, rivolger loro un cortese cenno di saluto; non mai alzar la voce e peggio chiamarle per nome. In dormitorio, quiete e silenzio! Se c'è chi non può dormire (ben raro caso a quell'età) procuri di non disturbare gli altri... Vi son dei ragazzi che tormentano i loro vicini di letto, chiamandoli, costringendoli a parlare, impedendo loro di dormire. E aspettano che il sorvegliante si sia ritirato, per far chiacchiericci e burle... No; nessuna regola del collegio dev'essere violata anche se manca la persona che sia preposta alla vigilanza immediata. A questa deve supplire il senso del dovere e il riguardo che ogni anima ben nata deve avere per i diritti altrui e per il proprio perfezionamento morale. Niente soppiatterie, niente indisciplinatezze. Così, il giovanetto educando si guadagnerà l'affetto comune, troverà più leggera la disciplina collegiale, e gli anni passati colà gli lasceranno un dolce ricordo, non esente di rimpianto, per tutta la vita.

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Se per i maschi, a detta di Emilio De Marchi, l'età preziosa è tra i quindici e diciotto anni, per le femmine si può dire che anticipa assai. L'epoca della loro formazione va dai tredici in su, e a diciotto, quando il fratello esce appena dalla preparazione alla vita, e si accinge al lavoro più arduo per formarsi un carattere e una posizione, la giovane donna spesso è già pronta al nuovo destino. Parlo naturalmente della fanciulla che ha la fortuna d'una madre educatrice, o che, pur essendone priva, riesca da sè a comprendere la grave responsabilità dei suoi doveri, e l'assume con animo lieto e volonteroso. La serietà, la grazia, la prontezza a sacrificarsi pel bene e pel piacere altrui debbono essere le sue caratteristiche.

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Si è gridato dai giornali, ma le nostre ragazze si sono accanite a far tutto il contrario. Ora, non sarebbe tempo di fare un po' di macchina indietro? «Così fanno anche le altre!» si suole rispondere da quelle che non sono le peggiori. Ebbene, non sarebbe opportuno, finalmente, imparare a far quello che le altre non fanno? E distinguersi nella massa, non più colle vesti indecenti, colle mosse arrischiate, colla trasandatezza dei modi, colle affettate monellerie, ma col garbo serio e riservato, colla signorile semplicità del tratto? Sarebbe una vera originalità, ai tempi nostri, e una originalità, finalmente!... di buon gusto. Fanno noia e dispetto le ragazze che intorno ai venti anni si atteggiano ancora a bambinone, a monelle, e rincalzano le ridicolaggini della moda con mosse scomposte, con un cinguettio da passere, con smorfie capricci. A diciotto o vent'anni si deve essere donne saperlo mostrare. Vediamo dunque come si può realizzare ancora quel tipo di saggia e graziosa fanciulla che fu l'amore il sospiro d'un tempo, sapendolo, naturalmente, adattare ai tempi nostri. Una giusta libertà è accordata, anche nelle famiglie più severe, alle nostre fanciulle. Guai, una volta, a non uscire accompagnate! O il babbo o la mamma, qualche altro parente anziano; alla peggio la donna di servizio. Ora, in questi tempi frettolosi, i genitori gli altri parenti hanno ben poco tempo per accompagnare le figlie, e le donne di servizio - lasciando stare che in molte famiglie si sono dovute sopprimere - hanno ben altre faccende. Così la giovanetta esce sola per andare a scuola, per andare in chiesa, per le spesucce sue e di casa, e per qualche visita alle amiche. Invero, non c'è nulla di male, purché righi dritto per la sua strada, e tolga ad ognuno il pensiero di considerarla come una capricciosetta che va a spasso, e con cui si può tentare qualche avventura. Ora, questo potrà realmente accadere, se la fanciulla esce con vesti troppo vistose, se si dimena camminando e gira il capo in qua e in là, se si ferma ad ogni momento a guardar le vetrine e le edicole. E se le giovanette che vanno insieme, ridono, e parlano a voce chiassosa, e fanno capannello sul pubblico passeggio, si mostreranno frivole e leggere e non si dovranno lamentare se poi qualcuno manca loro di rispetto. Andando alla scuola, o sole o con qualche compagna, vadano per la via più breve. Ma se la via più breve fosse molto frequentata, convien loro, per economia di tempo e a scanso di fastidi, prenderne una anche più lunga, purchè sia tranquilla. In classe si ricordino che se il galateo scolastico generale dev'essere rispettato da tutti tanto più deve essere una norma imprescrittibile per una signorina. E se avessero da fare con maschi (ora che anche gli istituti secondari sono promiscui) non accordino loro nessuna confidenza... e non abbiano altro pensiero che di superarli nel progresso e nell'amore allo studio. Molto spesso, nelle famiglie facoltose, si tiene una istitutrice o si provvede all'istruzione della signorina con lezioni private. Allora essa deve ricordarsi che la sua posizione privilegiata non dev'essere mai una scusa per la negligenza, la svogliataggine, la mancanza di riguardo per coloro che l'ammaestrano e la educano. Avrà per l'istitutrice tutti i riguardi che si devono avere per una persona superiore in età e. in merito (e spesse volte in natali!) e non si permetterà mai un'osservazione contro di lei o la maldicenza che talvolta forma l'argomento prediletto nelle conversazioni tra fanciulle. Ricevendo poi lezioni in casa, si faccia trovar pronta e puntuale all'ora stabilita, nel salottino da studio, pulita e composta nella persona, e... ben preparata alle lezioni. Se l'insegnante è una signora, tocca a lei aiutarla a deporre il mantello o il soprabito, e a rimetterlo poi. Le chieda brevemente conto della sua salute, con termini gentili, ma non avvii una conversazione. E non interrompa l'insegnante con digressioni oziose, e non mostri stanchezza se si trattenesse un po' più del consueto. Non dimentichi mai di ringraziarla, accompagnandola alla porta. La signorina amerà lo studio sul serio, e non per fare una vana mostra nei salotti, pensando che possa bastare una lieve infarinatura d'ogni materia. Or non è più così, le esigenze sono accresciute, e chi non ha una vera coltura farà molto meglio a tenersi in un prudente silenzio. In una fanciulla, poi, la saccenteria e la presunzione sarebbero intollerabili. Richiesta di dar prova della sua abilità nel canto o nel suono, la signorina consenta senza farsi troppo pregare, se si sente veramente capace di soddisfare l'aspettazione altrui. Ma se così non fosse, rifiuti con bei modi, ma inesorabilmente. Perchè non confessare che quell'arte è destinata solo a procurare un po' di svago a sè, ma non ad esser oggetto di esposizione? Meglio la breve critica che forse taluno farà di questa risposta, anzichè le critiche prolungate e maligne di ascoltatori delusi e annoiati. Un'arte gentile che può coltivare con minore noia degli altri, e che non richiederà mai sacrifici alla timidezza è la pittura o il disegno: anche il ricamo e il l avoro a maglia le faranno passare gradevoli momenti e le forniranno il modo di far dei regali che riusciranno veramente cari. E' giusto che la giovanetta faccia di tutto per meritarsi l'altrui simpatia e per dare agli altri un buon concetto di sè. E ciò accadrà se lascerà trasparir naturalmente la bontà e la grazia dell'animo: mentre ogni affettazione o finzione sarebbe facilmente smascherata e le guadagnerebbe invece la diffidenza e l'antipatia. Bisogna dunque che con tutti quelli che pratica si mostri desiderosa di giovar loro, di compiacerli, di usar ogni rispetto. La signorina deve specialmente assuefarsi per tempo a coadiuvar la madre nei graditi doveri dell'ospitalità. Essa assiste ai ricevimenti di casa: deve dunque sapere come ci si comporta in un salotto. All'entrar di una visitatrice, si alza e le va incontro, salutando e stringendo lievemente la mano che la signora le porgerà. Se vi è qualche sua coetanea, il saluto può essere più espansivo; non sono però consigliabili i baci e gli abbracci davanti ad altra gente. E' naturale che la conversazione sarà più animata tra signorine, ma non è lecito far gruppo a sè, e dimenticar quasi le altre visitatrici. La signorina bene educata sa mescolarsi ogni tanto nella conversazione generale, sempre con qualche frase gentile, e senza mai permettersi (Dio guardi!) osservazioni maligne e inopportune, tratti di spirito di cattivo gusto. Se viene offerto il thè il caffè, tocca a lei far girare le tazze, porger lo zucchero, la panna, i biscotti. Ella poi accompagnerà le visitatrici alla soglia del salotto, e, in mancanza di persone di servizio, aprirà loro la porta, badando bene di non rinchiuderla finchè non sente che sono scese di qualche scala. Nei trattenimenti di maggior importanza, la fanciulla ha una parte assai notevole. Tocca a lei preparar con buon gusto i fiori nei vasi, i dolci e i biscotti nelle coppe, tocca a lei sorvegliare il servizio dei domestici nel giro dei rinfreschi, o sostituirlo addirittura. Per questi ricevimenti, indosserà un vestito chiaro ed elegante, ma non mai troppo sfarzoso, per non aver l'aria di sopraffare le sue ospiti. Se c'è un po' di ballo in confidenza, la signorina suol aprirlo con qualche giovanotto intimo di casa; ma se vedesse scarsezza di cavalieri, dopo di questo, saprà rinunziare con bel garbo, ed esortare invece gli amici del fratello a invitar le signorine, presentandoli all'occorrenza. A tavola, se ci sono invitati, terrà d'occhio che non manchi nulla a nessuno, e rivolgerà specialmente ai bambini o a fanciulli timidi le sue gentili premure. S'intende poi che la preparazione della mensa, con tutte le eleganze permesse dalla condizione della famiglia, suol essere opera delle brave fanciulle di casa. E spesso è opera loro anche qualche pietanza speciale, qualche dolce; del quale però si guarderanno bene d'annunziare: - L'ho fatto io! - Tocca ai genitori, se sono in confidenza, procurar loro questa piccola soddisfazione d'amor proprio. Se vi sono ospiti in casa per qualche giorno, la giovanetta si unisce alla mamma per preparare tutto il necessario nelle loro camere, e nel far passare più gradevolmente che sia possibile il tempo in cui si tratterranno. Naturalmente, si compiacerà di più nella compagnia delle sue coetanee, ma sapendosi sacrificare all'occorrenza anche per qualche signora anziana, o per qualche vecchio un po' fastidioso. Le signorine generalmente non fanno visite da sole, e da sole non ne ricevono, quando si tratta di visite di etichetta, mentre scambiano le normali visite di amicizia, secondo le convenienze, e prendono normalmente parte a riunioni, sia fra loro che con amici. Talvolta queste riunioni hanno uno scopo benefico. E benedetta pure quella carità che prende nuova attrattiva dalla grazia femminile. Ma attente alla beneficenza che prende l'aspetto di un divertimento, e diventa una esposizione di novità! Meglio non far le cose buone che profanarle e snaturarle. La signorina che esce colla mamma le cede sempre la destra e così fa coll'istitutrice. Naturalmente se esce col babbo o coi fratelli, la destra è sua. In altri tempi, una signorina non doveva mostrarsi mai per la strada con uomini che non fossero suo padre o suoi parenti. Al giorno d'oggi questa regola è più che superata; una giovane farà però bene, nell'accompagnarsi a giovanotti, a tener conto dei possibili pettegolezzi ed a non esporvisi troppo. Solamente se fosse un vecchio rispettabile o persona molto a lei superiore che la trattenesse, potrà farlo liberamente. Un ultimo avvertimento. Per quanto alla sua età sia lecito amare il divertimento, e se le condizioni della sua famiglia lo permettono, si guardi bene dall'intervenire a ogni spettacolo, a ogni ballo, a ogni trattenimento. Di una fanciulla che si vede dappertutto, si suppone ch'ella voglia mettersi troppo in mostra, e questa opinione sfavorevole si traduce spesso (chi lo crederebbe? non certo le signorine che in tal modo pensano appunto a trovar più felicemente marito) si traduce, dico, nel far cadere le intenzioni matrimoniali in qualche giovane di buona volontà.

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Quando un giovane è giunto all'età del matrimonio, quando s'è formato uno stato che gli permetta di guardar senza timore l'avvenire, quando sente in buona coscienza di poter dare alla sua futura compagna tutta quella felicità che dipende da lui, allora comincia a pensar sul serio all'amore e al matrimonio. E se tra le fanciulle ch'egli conosce c'è quella che gli sembra corrispondere, per l'età, per i gusti, per l'educazione, per le condizioni economiche, a quanto egli ragionevolmente desidera, allora il giovane serio non perde tempo e avanza la sua domanda. Generalmente però, non va lui di persona. Se ha il padre, e tanto più s'è persona autorevole, l'incarico spetta a lui: altrimenti alla madre o al più prossimo parente. E la domanda va fatta al padre della fanciulla, o a chi ne fa le veci, oppure al tutore. Solamente se l'aspirante fosse uomo ormai maturo, potrà andare direttamente a sbrigar da sé questo delicatissimo interesse. E' di prammatica per tale visita un abito accuratissimo. I genitori, generalmente, non sono colti alla sprovvista. Tuttavia pur mostrando di gradire l'onorevole richiesta, si riservano di dare una risposta decisiva fra qualche giorno, e dichiarando di voler interpellare la fanciulla. Essa, naturalmente, non assiste al colloquio: deve ignorarlo... o fingere d'ignorarlo. Eh, sì, probabilmente è nella sua stanza vicina, col cuore che le fa un gran tic tac... Il suo consenso, in generale, è ben presto ottenuto. Ma ci possono davvero esser dei casi in cui la principale interessata ignora il passo di cui è l'oggetto: ci può essere anche il caso, che pur sapendolo, sia affatto contrario ai suoi desideri, e allora è suo diritto rispondere con un fermo e deciso e motivato rifiuto ai genitori, che lo trasmetteranno colla massima cortesia al non gradito pretendente. Dico «è suo diritto» perchè in un caso grave come questo, i genitori possono bensì porger consigli, fare osservazioni, muover forse anche qualche rimostranza, ma non mai imporre la loro volontà. Siamo ben lontani dai tempi in cui le fanciulle venivan patteggiate nei colloqui dei padri, che non si sognavan neppure d'interpellarle. Ricordate la scena tra Lunardo e Margherita nei Quattro rusteghi? Si tratta di Lucietta, già promessa, senza che lo pensi affatto, a Filippetto. Margherita - E la gutta, quando lo saverala? Lunardo - Co i se sposerà. Margherita - E non i s'a da veder avanti? Lunardo - Siora no. Margherita - Seu seguro ch'el gh'abbia da piaser? Lunardo - Son paron mi. Traduzione: - E la fanciulla, quando lo saprà? - Quando si sposerà. - E non s'hanno a vedere prima? - No, signora. - Siete sicuro che abbia a piacerle? - Sono padrone io. E ci vuole uno stratagemma della brava Felicie perchè i due poveretti possano incontrarsi almeno una volta, e poco manca che questo grande atto d'audacia mandi a monte il matrimonio. Tra questo e il moderno costume inglese e americano, che i giovani si fidanzino per conto loro, avvertendo i genitori solo a cose fatte, c'è posto per una quantità di casi e di circostanze graduate. Comunque sia, questo colloquio iniziale tra le due parti deve avere la massima chiarezza e la massima serietà. E non si tema di affrontar la questione finanziaria: dopo, sarebbe molto più malagevole e, del resto, per dare o rifiutare un consenso è giusto che si abbiano in mano tutti gli elementi. Appena accettato come futuro sposo il giovane fa la sua prima visita da fidanzato. Se tale visita deve rivestire la forma di presentazione ufficiale alla famiglia, la fidanzata, vestita elegantemente (ma non mai con troppo sfarzo) circondata dai parenti e dagli amici intimi che sono stati invitati per farle festa e conoscere lo sposo, lo accoglierà, cercando di frenare il soverchio della sua commozione, e di mostrarsi serena, disinvolta, schietta, nella sua letizia. Da quel giorno, egli può frequentar la casa, nelle ore e nei modi che saranno fissati di comune accordo. La convenienza non permette che i due giovani rimangano soli nei loro colloqui, e la mamma o chi per lei non può sempre essere a loro disposizione: è bene dunque che le visite sian fatte con discrezione e quando meglio convenga alla famiglia. E' permesso, però, al giovane dar una rapida capatina, anche ogni giorno, se vuole, e informarsi come sta la sua diletta. Non tarderà molto a consegnar l'anello di promessa, che sarà più o meno ricco secondo la sua condizione, ma nel quale cercherà di indovinare il gusto di lei. Una semplice gemma bene incastonata in un leggero cerchio è meglio adatta di ogni complicato lavoro d'oreficeria. C'è chi diffida delle perle perchè «significan lacrime» si dice in Germania, c'è chi guarda con orrore l'opale, come portator di disgrazia. Avviso a chi credesse di tenerne conto. La sposa potrà contraccambiare con un regalo analogo: una spilla, un paio di gemelli ecc. non mai con un altro anello. Usano in certi luoghi partecipar il fidanzamento con annunci a stampa. Comunque esso si annuncia agli amici e parenti con lettera o a voce, secondo i casi; spesso l'annunzio ufficiale alla famiglia si dà con un pranzo, unendo questa cerimonia colla consegna dell'anello. E comincia allora pei due giovani un periodo lieto e solenne, come auspicio della futura felicità; ma nel quale hanno nuovi doveri di convenienza a cui non possono venir meno. E' il periodo in cui si studiano e si preparano: devono comunque star insieme quant'è giusto e ragionevole, e aprirsi liberamente l'animo loro, e anticipar quella fusione d'idee e di sentimenti ch'è garanzia di felicità matrimoniale. Non si mostrino dunque bramosi di svaghi e distrazioni; se il giovanotto non sarà biasimato perchè talvolta va ancora al caffè coi suoi amici, o si fa vedere al teatro, la signorina eviti possibilmente, se il fidanzato abita nella stessa città, di recarsi per abitudine a divertimenti ai quali egli non intervenga. Ciò dimostrerebbe una smania di godere che darebbe poca garanzia della sua serietà di sposa futura. I due giovani, se escono colla madre o con altro parente, le si metteranno ai lati, e non cammineranno innanzi frettolosi, lasciando dietro a sè, sola e sgambettante, la persona anziana a cui debbono tutto il rispetto. Son cose che non si dovrebbero dire eppure l'amore rende talvolta ciechi ed egoisti, e fa dimenticare un po' le convenienze. I guardiani, alla loro volta, non prenderanno delle arie da carabiniere, e non invocheranno gli occhi d'Argo. Se il giovane è ben educato non oserà certo prendersi una libertà meno che rispettosa verso colei ch'egli deve stimare e onorare per tutta la vita: e una fanciulla saggia e modesta, in nessun caso lo permetterebbe Non ci sarà dunque niente di male, se durante le visite convenute, resteranno per qualche minuto a quattr'occhi. E' bensì severamente proibito dal codice delle convenienze che il giovane dorma sotto lo stesso tetto della fanciulla: ma le mutate condizioni della vita d'oggi fanno sì che spesso questa regola non sia più osservata. Del resto, quando i due giovani siano conosciuti per la loro rettitudine e per la loro solida formazione, nessuno penserà ad interpretare male questa infrazione alla vecchia regola. S'intende che quando i due fidanzati si assenteranno insieme per qualche giorno, in occasione di qualche gita od altro eviteranno di andare soli, a meno che non vadano ospiti di parenti o amici. Se i fidanzati sono lontani, è ben naturale che provino il desiderio di estendere in lunghe lettere i loro sentimenti. Si lasci su questo la massima libertà: e sarebbe veramente indiscreta la madre che, salvo gravissime ragioni, volesse leggere quella corrispondenza... d'amorosi sensi. Non è bene anticipar i nomi di parentela ai futuri suoceri, cognati, ecc. Se poi tutto andasse all'aria? E ciò potrebbe anche accadere. Ci son delle gravi ragioni per cui i due giovani, dopo essersi praticati alquanto, capiscono ch'è meglio rinunziare al disegno vagheggiato. E se la rottura è fatta seriamente, dignitosamente e ragionevolmente, si dirà dalle persone di buon senso: Meglio così che un matrimonio mal riuscito. Durante il fidanzamento (che non dovrebbe mai esser meno di tre mesi o più di un anno, salvo specialissime circostanze) si procede in casa della sposa all'allestimento del corredo. Questo dev'essere adatto alla condizione della sposa e alla vita che dovrà condurre: si preferisca roba solida, di qualità fine e ben lavorata, a quel subisso di trine, di veli, di mussoline e di sete trasparenti che si è cercato di mettere di moda. E' una eleganza frivola, costosa e niente affatto pratica ne conveniente. Una volta, la giovanetta cominciava ben presto a preparare il suo corredo, e se lo trovava pronto al momento delle nozze; ora si ordina, si compra, si commette di qua e di là, e talvolta con troppa fretta. Il corredo personale della sposa vien portato nella futura casa nei giorni imminenti a quello dello sposalizio, e dovrebbe esser tutto pronto e cifrato già colle sue iniziali. C'è poi il corredo della casa, che suol essere fornito dallo sposo o dalla sposa, secondo l'usanza del paese o secondo i comuni accordi: questo deve portar le iniziali del marito ed esser pure composto di roba solida più che vistosa. S'intende però che la pompa delle tovaglie di Fiandra (benchè ora non siano più in gran uso) e dei ricchi lenzuoli di lino ricamato non è vietata a chi può procurarsela. E' uso in certi luoghi esporre il corredo della sposa; uso ch'io non temo di asserire indiscreto e sconveniente. E'. invece normale l'esposizione dei regali, col relativo bigliettino portante il nome del donatore. Agli sposi si regala quello che si può e si vuole: a cominciar dai ricchi gioielli, che però sogliono esser dono solo dei parenti o degli amici strettissimi, giù giù per una serie infinita di cose, utili o inutili, ricche modeste, artistiche o... antiartistiche. Quel che temono specialmente gli sposi e che dispiace anche al donatore è il duplicato, il triplicato dello stesso dono... Si cercherà di evitarlo indagando opportunamente in modo più o meno diretto il gusto e il desiderio degli interessati. Quando poi s'avvicina il gran giorno, si procuri d'aver previsto tutto e provveduto a tutto: gli annunzi, gli inviti, ogni particolare del vestiario e ricevimento, e di esser perfettamente in regola colle carte e colle pratiche sia civili, sia ecclesiastiche. E non sarà male ricorrere, per questo, all'aiuto di qualche buon amico di famiglia, che abbia più tempo a sua disposizione, e meno pensieri per la testa. Ora, in seguito al Concordato del Laterano il matrimonio religioso assume il valore del matrimonio civile: la cerimonia è dunque una sola. I due sposi vestiranno colla massima eleganza relativa alle loro condizioni: «tight» o abito scuro da mattina lo sposo, se è civile, o grande uniforme se è militare; la sposa non rinunzi, se può, alla leggiadra poesia della bianca veste e del velo fluttuante. Ma se essa non fosse più giovanissima, se non si credesse opportuno uno sfoggio di toilette, può avere un bello e ricco abito da società e un elegante cappellino, e in conformità al suo vestire sarà quello delle signore del corteo. Lo sposo eviti l'abito da pranzo (il cosiddetto «smoking») che contrariamente a quanto molti credono, specialmente nei piccoli centri, non va mai portato di mattina nè per altre occasioni che non siano, come dice il nome, una riunione serale. Le automobili se non sono di famiglia, devono essere provvedute dallo sposo. Nel primo veicolo entra la sposa col parente che deve condurla all'altare, nel secondo lo sposo coi parenti più prossimi della sposa suoi, negli altri i testimoni e gli invitati. La sposa è condotta alla chiesa e su per le scale del municipio dal padre, o dallo zio o dal tutore, e apre il corteo; segue immediatamente lo sposo colla futura suocera o la più stretta parente. In Francia e in certe città si usano le damigelle e i cavalieri d'onore, giovani amici e parenti, disposti a coppie (una o due) ed elegantemente vestiti. Nei matrimoni di gran lusso vi sono anche i paggetti che reggono lo strascico della sposa. Ma ora si tende anche in queste cerimonie a una gran semplicità, anche da famiglie molto facoltose, Purchè gli sposi sian felici - si suol dire - che cosa importano tante pompe? Perchè dar tanto pascolo alla curiosità? E taluni spingono questa teoria sino a celebrare il matrimonio quasi clandestinamente. E fanno male, perchè questo atto, compiuto nel libero giubilo del cuore, segna l'inizio di una vita nuova e merita d'esser celebrato con quanto apparato si può. Al ritorno dalla chiesa, la compagnia si trattiene per un rinfresco (che deve essere finissimo ed abbondante) o per una ricca colazione. C'è chi usa farla addirittura all'albergo, per risparmio di tempo e di brighe, ma altri biasimano come troppo prosaico tale uso. Però una bella sala elegante, una mensa riccamente adorna, fiori a profusione possono trasformar anche il banale aspetto di un luogo d'albergo. Lo sposo e la sposa staranno vicini, e intorno a loro i parenti e i testimoni, per ordine d'importanza e di intimità. E' difficile che alla fine del banchetto non ci siano i brindisi: ma, per carità, brevi e discreti! Gli sposi potranno rispondere con un semplice grazie; qualche parente anziano può alzarsi e parlar in nome loro e della famiglia. Ai presenti si distribuiscono confetti. Le scatolette di dolci per amici e conoscenti vanno inviate nei giorni seguenti le nozze. La spedizione degli annunzi matrimoniali, precedentemente preparati, si fa almeno una settimana priprima del giorno del matrimonio. Per gli invitati al ricevimento, si acclude alla partecipazione un biglietto di invito a stampa. Il testo di quest'invito sarà il seguente: «Il signor e la signora X Y saranno in casa il giorno ..... all'ora ..... (oppure: dopo la cerimonia) per un saluto agli sposi». Generalmente sono i parenti degli sposi che figurano nella partecipazione; ma se gli sposi non sono più molto giovani, o se non hanno più i loro genitori, la comunicazione avviene direttamente colla formula più semplice: - Carlo M. e Maria G. annunziano il loro matrimonio -. Alla data si aggiunge l'indicazione del domicilio, affinchè si possano spedire i biglietti di congratulazione e d'augurio.

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Ma è accaduto che, in tempi più recenti, qualche oratore veramente eloquente, che era riuscito a scuoter le fibre più intime in un affollato uditorio, sentì uno scroscio fragoroso di applausi salutar la sua perorazione. Caso d'eccezione, e come tale scusabile, ma guai se divenisse comune. Durante la predica, non si deve mostrar noia né disapprovazione in nessun modo: non sbadigliare, non mormorare, non commentare; se il predicatore infiorasse di qualche barzelletta il suo dire, basta che un sorriso sfiori le nostre labbra, e lasciamo alle donnicciole la risatina discretamente rumorosa e prolungata che a loro sembra un doveroso segno di consenso e di ringraziamento. Nelle preghiere comuni la persona bene educata non alza mai troppo la voce e non batte la cantilena; se poi si cantano i bellissimi inni ecclesiastici, si guardi bene dall'esporre tutta la forza dei suoi polmoni, per quanto grande sia l'entusiasmo devoto ed, eventualmente, anche la sua valentia nell'arte. In chiesa, come in ogni altro luogo pubblico, del resto, si cede volentieri il posto a una signora, a un vecchio, ad altra persona debole che, giunta un po' in ritardo, sta disagiata. In generale, la cortesia impone, in questo caso, più di accettare che di rifiutare. Tuttavia si può, dopo aver seduto qualche tempo, restituire alla persona gentile il posto che essa ha ceduto. In chiesa non si dovrebbe nè salutare, nè stringersi la mano, nè avviar conversazioni nemmeno tra persone che da un pezzo non si vedevano. Senza esser troppo rigorosi, basterà in tal caso accennare col capo e con un lieve sorriso il piacere dell'incontro, riservando poi, all'uscita, i saluti e la conversazione. Vi sono poi delle funzioni e cerimonie speciali, durante l'anno ecclesiastico, che hanno del caratteristico e del pittoresco per modo tale che la curiosità si confonde ben spesso colla devozione. In tali casi è più che mai necessario il debito riguardo ai diritti altrui, che sono pur quelli di vedere e sentire come noi, e il massimo rispetto anche a ciò che può prendere un tantino la sembianza di uno spettacolo profano. Avviso specialmente ai nostri fratelli meridionali, o ai forestieri che si recassero colà, dove la devozione assume talvolta forme così singolari. Durante le meste e suggestive cerimonie della settimana santa, dove molti concorrono, specialmente a Roma, come a uno spettacolo gratuito, silenzio e rispetto! Purtroppo, nelle grandi basiliche, si vede una folla rumorosa e ondeggiante prender d'assalto i banchi, accavallarsi, disturbare e profanare quelle ore di raccoglimento: si sente un rumore confuso di passi, e un suonar di favelle svariate... A quelle funzioni, e in generale, durante la settimana santa, è riguardo e rispetto un vestire serio e composto, a colori scuri. Nei paesi latini, ai Sacramenti le donne devono accostarsi col capo coperto; è questo un obbligo che non esiste nei paesi germanici, ma al quale da noi sarebbe grave irriverenza mancare. Ma forse molti non sanno che alla Comunione si dovrebbe andare senza guanti. Il vestire della donna, del resto, dovrebbe sempre esser modesto, durante ogni funzione ecclesiastica. E' giusto che alla domenica si sfoggi un po' più di eleganza, è anche ragionevole e conveniente, e direi persino rispettoso, portar nella casa di Dio anche la massima cura che ci sia possibile nel nostro vestiario... ma di questo a convertirla in un bazar di nastri, di sete, di frange, di trine, a un'esposizione di braccia e di colli e di gambe, ci corre, oh, ci corre!!... Oltre che per queste consuete funzioni si va in chiesa anche per alcune cerimonie solenni: tali sono i battesimi, le nozze, le prime comunioni e le cresime. E purtroppo ci sono anche i funerali. Nella gloriosa cerimonia del battesimo, al piccolo incosciente che dorme o vagisce tra le candide trine, fa corteo una radunanza più o meno numerosa di persone: il babbo felice, i fratellini, spesso altri parenti, gli amici, i padrini. Tutti hanno l'obbligo di un contegno serio e riverente, e non può servire di scusa alla trasgressione la straordinaria eccitazione del momento. Ma il padrino e la madrina devono anche saper bene quale è il loro ufficio in quel momento: essi assumono una responsabilità seria davanti alla Chiesa e davanti al neonato, e debbono rispondere in suo nome. Sappiano dunque (lasciando ad altro luogo considerazioni più gravi) che quelle cerimonie hanno un profondo significato, e le assecondino debitamente. Durante gli esorcismi, il padrino e la madrina stenderanno la mano senza guanto, insieme col sacerdote, sul capo del bambino, e un'altra volta quando l'acqua è versata. Poi, sempre con la mano destra, prendono un cero acceso che rendono subito dopo che il prete ha benedetto il piccino in nome della Chiesa. S'intende che si devono pronunziare a voce chiara, se non molto squillante, le risposte prescritte, e che si dovrà recitare correntemente e rispettosamente il Credo che forma parte della cerimonia solenne:

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Poichè cominciavano già i tempi in cui solamente l'aspetto di una veste nera metteva in iscompiglio molti nervi, e dava occasione alle manifestazioni di un patriottismo a molto buon mercato. Vennero poi quelli in cui, secondo Massimo d'Azeglio, «a batter sul prete si diventava cavaliere», motivo pel quale a lui faceva voglia lasciarli stare... Ora son passati, grazie al cielo, o, come si suol dire con neologismo di gran voga, sono superati. Era forse una crisi necessaria nella nostra crescenza di popolo giovane e impetuoso; ora gli animi si sono acquetati, l'educazione nazionale si è meglio formata e si è giunti a comprendere che il prete è un uomo e cittadino, partecipante a tutti i diritti comuni di rispetto, se non altro; ma che inoltre la sua speciale condizione richiede riguardi che una persona bene educata non deve trascurare. Cominciamo col richiamare che ad ogni ecclesiastico si deve dar il titolo che dalla gerarchia gli viene attribuito; se questo titolo è un semplice reverendo, si cerchi di pronunziarlo con voce ed espressione di rispetto che varrà o togliergli quel tantino di banale e quasi di familiarmente canzonatorio che l'uso ha finito coll'introdurvi in certi casi. Un prete può aver anche altri titoli, o accademici, o nobiliari, o civili, nia tutti devono cedere il campo, nella conversazione, al titolo ecclesiastico, e nelle soprascritte delle lettere esser posti in seconda linea. Scriveremo dunque per esempio: - Al Rev.mo Monsignor (oppure: Al Monsignor Rev.mo Dott. Comm. A. Z.). Al Sacerdote non si porge mai per primo la mano (e tanto meno farà quest'atto una signora), al Vescovo si bacia l'anello, piegando il ginocchio. A mensa, l'ecclesiastico invitato dev'essere messo al posto d'onore o almeno a uno dei primi posti, se vi fossero altri invitati di condizione molto superiore. S'egli reciterà il Benedicite, tutti si alzeranno in piedi, assecondando rispettosamente la preghiera. S'intende facilmente che alla sua presenza bisognerà vigilare in modo speciale la conversazione, perchè nulla vi si possa insinuare che offenda la sua fede e il suo decoro sacerdotale. E si eviteranno le discussioni politiche e religiose. E nemmeno si tireranno in campo questioni dogmatiche o di carattere troppo spirituale, se non si è proprio nella intimità, nel desiderio di sentire una parola illuminante e confortante. Ma per quelle bisogna saper scegliere il tempo e il luogo, e un salotto di conversazione non è certo il più opportuno. Come non è permesso rivolgere ad alcun professionista domande troppo curiose o indiscrete, così (e tanto più) non si deve indagar nella vita privata, nelle abitudini, nelle relazioni che può aver un ecclesiastico, allo scopo di farsene poi bello con notizie inedite. Qui l'indiscrezione sarebbe doppiamente biasimevole. Naturalmente, ancor più riservata e corretta nel suo contegno, quando abbia a che fare con un religioso, dovrà essere una signora, la quale dovrà evitare ogni familiarità ed ogni libertà che possa prestarsi ad interpretazioni malevole o mettere l'ecclesiastico nell'imbarazzo. Il padre provinciale dei Cappuccini di Monza conduce Agnese e Lucia dalla Signora. «Ma state un po' discoste - dice loro - perchè la gente si diletta a dir male, e chi sa quante chiacchiere si farebbero se si vedesse il padre provinciale con una bella giovane... con donne, voglio dire». Che diremo poi di quelle signore le quali in tram, in ferrovia, trovandosi alla presenza di un religioso, non sanno trattenersi da quella deplorevole libertà di mosse e di posizioni che l'uso moderno (non però delle persone rispettabili) ha introdotto? E di quelle che si fanno trovar in casa propria e in casa di comuni amici con vesti tirate e succinte, e con larga esposizione delle membra superiori e inferiori? Mi raccontava un egregio monsignore che, invitato a un castello per tenervi alcune conferenze, la gentil padrona di casa gli andò incontro coll'automobile, alla stazione del paese. Era d'estate... e l'abbigliamento della signora, tutto veli e trasparenza e svolazzi, lo mise tanto a disagio che per tutto il tragitto non se la sentì di alzar gli occhi su lei. A tavola, le commensali non eran da meno. Ed egli dovette trovar la franchezza cristiana di fare, quando gli parve il momento buono, una rimostranza che fu, del resto, benevolmente accolta, giacchè quelle brave signore non peccavano se non per frivolezza. Interroghiamo insomma il buon senso e il buon cuore, e i suggerimenti che ci daranno rispetto a persone che hanno diritto a riguardi più oculati e a un contegno più corretto, saranno certo i più opportuni. E se ciò si dice per i sacerdoti, e per i frati, e pei religiosi in genere, molto più deve dirsi per le suore. Di queste creature silenziose, raccolte, attive, ora se ne trovano sempre in gran numero, per le strade, nei tram, in ferrovia, nelle anticamere. Esse hanno diritto al rispetto più scrupoloso, a tutti gli atti che la cortesia ci suggerisce come utili. Se ad ogni dama e ad ogni donna si deve riverenza, tanto più ne han diritto queste che dedicano tutta la loro vita al bene, ed è giusto che il contegno pubblico attesti la pubblica riconoscenza. Si rifletta altresì che ad uno sgarbo maschile o femminile, una signora del mondo può ribellarsi, e far sentire le sue proteste, e fors'anche metter molto bene a posto l'insolente. Una suora invece deve tacere e soffrire. Basterebbe questo per frenar la parola e l'atto scortese che assumerebbe un carattere di prepotenza e di viltà. Il che naturalmente è tutto alieno dall'animo dei miei gentili lettori, che non scorrono queste pagine se non per aver una conferma al loro consueto modo di agire.

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E perché non ci sia dubbio che la donna gentile non fosse proprio lei la prima a salutare, leggiamo la graziosa prosetta ov'egli descrive, all'età di diciotto anni, il suo secondo incontro con Beatrice, la quale gli veniva incontro vestita di bianco e accompagnata da due donne di maggiore età. «E volgendo lo sguardo dove io era, molto pauroso, mi salutò così virtuosamente che a me parve trascendere tutti i termini della beatitudine». Povero Dante!...E andò a casa con la testa così in visibilio, che fece un sogno misterioso e bizzarro, e vi compose sopra il primo sonetto. Quando Beatrice poi venne a sapere che Dante corteggiava la così detta donna della difesa, ne ebbe tanto dispetto che non lo salutò più. L'uomo cortese può largheggiare di saluti col sesso femminile, anche senz'essere un fatuo. Luigi XIV, che si faceva chiamare il Re Sole e aveva la sua buona dose di prepotenza e di vanità, era per altro così riguardoso verso le buone usanze che non incontrava su per le scale di Versailles la moindre coiffe (di cameriera o governante, intendiamo) senza togliersi cortesemente il cappello. Anche dunque alle donne di umile condizione e di scarsa appariscenza l'uomo ben educato farà il suo saluto. In America, si usa solo toccare il cappello: noi non ammettiamo questa forma frettolosa se non in gran confidenza tra eguali, e vogliamo che il saluto maschile sia fatto secondo le regole: si alzi il cappello e si abbassi più o meno profondamente davanti alla persona cui si vuole rendere omaggio: non si riponga in capo sinché la persona non è passata, e fermandosi eventualmente con essa, si attenda il suo cenno per ricoprirsi. E si badi di togliersi il cappello colla destra e non mai colla sinistra; se la destra fosse impedita con bastone, ombrello o altro, si passi rapidamente all'altra mano per averla libera. E chi avesse il sigaro in bocca, se lo tolga colla sinistra, e si scopra colla destra. Ma ora che gli uomini vanno quasi sempre a capo scoperto per le strade, queste norme sono buone solo per l'inverno. E allora? anche gli uomini saluteranno come le donne, cioè con un lieve chinar di capo. Se però il saluto è di molto rispetto, bisognerà che si fermino e che facciano l'inchino di società. Chi accompagna per via una signora è obbligato a salutare tutti quelli che la salutano anche se non li conosce. E se essa si arresta un momento a parlar con qualcuno, l'uomo bene educato si tiene in disparte. La strada non è il luogo delle espansioni esagerate: abbracci e baci in pubblico sono sconvenienti e qualche volta un po' ridicoli. Incontrando un amico che da molto tempo non si rivedeva, e la cui presenza improvvisa ci reca una gran gioia, si cerchi tuttavia di non dare spettacolo al pubblico: basta una viva esclamazione, una calorosa stretta della mano o anche di ambedue le mani, e si serbi il resto (lo dico specialmente alle donne che sentono assai più il bisogno di baciarsi e di stringersi) a luogo più opportuno. E non si facciano lunghe fermate per via: talvolta ciò disturba il conoscente, a cui pretendiamo invece, in tal modo, di mostrar affetto e premura, e disturbano gli altri passanti, specialmente se queste fermate si fanno lungo i marciapiedi e sulle cantonate. Camminando in più persone, bisogna aver riguardo alla reciproca dignità. Se sono in due, il posto d'onore è a destra o lungo il marciapiede. Se sono in tre, il più degno starà nel mezzo; a destra verrà chi gli viene appresso per grado o età, a sinistra l'altro. Se la brigata fosse di quattro o più favoriranno dividersi per non ingombrare tutto il marciapiede. Dovendo attraversare un passaggio stretto, è ovvio che si lasci prima passare il superiore; ma se fosse un passo un po' pericoloso o difficile, come può accadere in campagna, il più giovane preceda l'altro per esser pronto a porgergli la mano. Discorrendo coi nostri compagni di passaggio, si abbia cura di non alzar soverchiamente la voce, di non rider troppo, di non far cenno che sembri offesa o scherno a chi si trova sul nostro cammino. E' poi molto scortese, come già si è detto, fermarsi, nell'enfasi del discorso, sul marciapiede e costringer così anche gli altri a fermarsi. E' un perditempo e poi un intoppo alla circolazione. La persona bene educata tiene, o sola o accompagnata che sia, un contegno serio e riservato; una donna poi peccherebbe troppo gravemente d'imprudenza se si allontanasse dalle norme più severe. Essa in tal modo incoraggerebbe i bellimbusti e gli avventurieri, i quali non mancano mai, specialmente nelle grandi citta. Ma può capitare anche alla fanciulla più riservata, alla signora più rispettabile d'aver a fare qualche volta con un mascalzone (altro titolo non merita) che si ponga a darle molestia. Se il contegno più austero, se il silenzio più sprezzante non bastano a scoraggiare colui, la donna seria e prudente non si abbassi a rimproveri nè a minacce; faccia cenno al primo vigile che le capita, e gli affidi l'incarico di dare al malcreato la debita lezione. E' il mezzo più semplice e il più conveniente. Davanti agli avvisi, alle vetrine, alle curiosità d'altro genere, non si facciano lunghe fermate, il che è indizio di curiosità eccessiva e di poco riguardo agli altri. Se poi è uno spettacolo sconcio, come una lite, un ubriaco, o altro, si ricordi il severo rimprovero che si buscò Dante dal suo maestro Virgilio e Maestro Adamo. E il povero Dante ne rimase così umiliato, così vergognoso, che non sapeva nemmeno trovar parole per scusarsi: tanto che il buon maestro ebbe compassione di lui e, concedendogli tosto il suo perdono, gli aggiunse un prezioso consiglio che fa anche per noi e per tutti:

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Si diceva una volta che conveniva tener sempre la destra, camminando nei luoghi molto frequentati, e ognuno stava nel suo diritto, non scendendo dal marciapiede se non per cedere a una signora o a persona ragguardevole. Ora son cambiate le norme e nelle grandi città tutti devon tenere la sinistra. Rimangono naturalmente immutati i riguardi di cortesia, anche se si applicano in modo tutto inverso a quello che s'è fatto fin qui. Ma se qualcuno ignorasse le regole, o fosse distratto, o avesse altra ragione per non osservarle scrupolosamente, si lasci correre senza puntigli e liti e questioni che sogliono indicar testa piccola e tempo da perdere, senza contare eventualmente qualche altra più grave conseguenza. A un alto personaggio del Governo, a un Vescovo, a qualche illustre ospite della città si compete un saluto ossequioso. Incontrando un funerale o una processione, l'uomo si tolga il cappello, la donna si inchini; nessuno si vergogni di far in pubblico quelle testimonianze di riverenza che il cuore e il dovere gli suggeriscono. Se per istrada accade involontariamente di urtare o disturbare qualcuno, si facciano subito le debite scuse. E le scuse devono essere più ampie, se si trattasse d'un cieco, d'un mutilato, d'un vecchio. Essendo la strada il luogo dove si può essere esposti a qualunque incontro, si abbia cura di non scendervi se non vestiti di tutto punto. So di una certa signora, che fidandosi perché era scuro, e doveva far quattro passi e non più nella strada, uscì colle scarpe da casa, col cappello alla diavola, col soprabito male abbottonato... ed ebbe la bella sorte d'imbattersi nella più elegante e più maldicente delle sue amiche... Ma la strada non è soltanto il luogo dove si cammina. Anzi, ai tempi che corrono, ai poveri pedoni vien limitato e contrastato in ogni modo lo spazio: tutto il resto è il regno delle vetture, dei tranvai, delle biciclette, e soprattutto delle terribili automobili. Camminare per certe strade è talvolta un'impresa, traversare certi incroci di vie principali è una fortuna non comune. I vecchi, i malati, i bambini non dovrebbero arrischiarsi, preferendo dare un giro più lungo, ma più sicuro; gli altri faccian uso di tutta la loro prudenza e di tutta la loro calma, attenendosi poi rigorosamente ai cenni dei vigili, che sono messi apposta. S'intende poi che chi corre pazzamente in bicicletta, in carrozza, in automobile, infischiandosi dei regolamenti, dimostra di essere un villano, egoista e superbo. Purtroppo riescono talvolta a sfuggir ai castighi che si meritano, e vi sono di quelli che, dopo aver buttato a terra qualcuno, proseguono con doppia velocità la loro corsa, esimendosi dal dovere sacrosanto di riparare alla disgrazia cagionata, per quanto è possibile, nei vari casi. La persona bene educata rispetta i regolamenti, non si espone al rischio di far male a nessuno, serba un contegno calmo e signorile, sia che guidi la sua bicicletta, sia che tenga il volante di un'automobile.

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Che direbbe il Poeta se avesse a leggere nella cronaca dei giornali ogni lunedì la lunga serie delle disgrazie che accadono per le strade d'Italia ogni domenica? I posti nell'automobile non sogliono aver precedenza, perchè ognuno ha i suoi gusti: è naturale però che i più comodi e i più riparati sono per le persone di maggior riguardo. In vettura a quattro posti la regola è questa: a destra del sedile maggiore interno sta la persona superiore, al suo fianco è il secondo posto; il terzo in faccia al primo, il quarto in faccia al secondo. Nel salire, va innanzi la persona di maggior riguardo che si mette al suo posto, salgono poi le altre secondo il loro grado: ultima chi fa gli onori. Nel discendere si tien l'ordine opposto: l'ultima è la persona più cospicua, a cui si fa l'atto di tender la mano e porgere aiuto.

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In questi luoghi pubblici tanto è svariata e numerosa la folla, e tanto spesso rinnovata che ognuno può illudersi di conservar la massima libertà, e di non aver a rendere nessun conto del suo contegno. Invece la cortesia, i riguardi vicendevoli, senza lesione dei propri diritti, sono qui più che mai necessari, perchè l'ambiente conservi quella piacevolezza e quella vera libertà che riesce così cara a chi deve o ama passarvi qualche tempo. All'albergo bisogna, subito, fissare la camera o le camere che si desidera occupare, intendendosi sul prezzo, per non aver poi sgradevoli sorprese. In tempo di ressa, si suole anzi scrivere o telegrafare, per esser sicuri, arrivando, di trovar pronto tutto quanto si desidera. Se qualche cosa non corrisponde all'aspettativa e non si può mutare, conviene aver pazienza; se invece è cosa che dipende dall'albergatore si esponga garbatamente il proprio desiderio a lui o al cameriere, e si sarà facilmente accontentati. Sarebbe stoltezza privarsi dei comodi necessari o abituali per un malinteso riguardo. Riguardo invece si deve per non disturbare senza ragione i vicini. Chi rincasa a tarda ora procuri di non far rumore pei corridoi o in camera sua, chi si alza presto non sbatacchi le imposte, non trascini le sedie, non apra rumorosamente i cassetti: pensi che nelle camere appresso c'è forse chi dorme. E anche fra il giorno, nelle ore così dette della siesta, procuri di non far inutili rumori, perchè molte persone deboli o attempate hanno l'abitudine proprio allora di fare un sonnellino. Se poi due o tre persone amiche occupano la stessa camera o camere attigue, non occcorre raccomandar loro di astenersi dalle clamorose conversazioni; oltre che esser prova di gusto poco delicato, potrebbero esporsi al fastidio di far noti i propri interessi agli estranei. I curiosi e i disoccupati son tanti, in giro! E specialmente si trovano numerosi negli alberghi dei luoghi di cura e di svago. Colle persone che s'incontrano nei corridoi, non c'è obbligo di saluto. Ma chi pone la sua dimora all'albergo per un determinato periodo, e incontra frequentemente persone che anch'esse vi si trattengono, farà un cenno cortese col capo: finger di non riconoscere gli stessi visi sarebbe inutile scortesia, e un breve saluto non obbliga a nulla. Nella sala dell'albergo che con termine inglese si chiama hall (ed è un barbarismo assolutamente inutile) si salutano con un breve cenno speciale le persone che stanno vicine al posto ove si colloca per sfogliare una rivista o leggere un giornale. Dopo due o tre giorni di permanenza in un luogo, accade però assai frequentemente che al cenno s'accompagni un sorriso, e al sorriso segua una conversazione. Niente di male: anzi benissimo, se si va in quel luogo per diporto o per cura, e la conversazione è uno dei graditi sollievi. Ma sia una conversazione lieve, impersonale, generica, almeno nei primi tempi! All'albergo ci può essere gente d'ogni specie, talvolta le più amabili sembianze possono trarre in inganno. La persona bene educata, specialmente se è una signora, darà conto per sommi capi dell'esser suo, essendo giusto che si sappia, press'a poco, con chi si conversa, e tale reciproco riguardo renderà possibile una conversazione piacevole ed urbana. Le confidenze, le intimità, potranno venir in seguito, quando l'una possa ben assicurarsi dell'altra, ma sarebbe meglio astenersene in tutto, pensando che tali relazioni, per quanto piacevoli e anche stimabili, durano generalmente solo per quei quindici o trenta giorni che costituiscono il periodo di cura. E poi? E poi, se le persone abitano nella stessa città, e abbiano compreso che c'è tra loro una sincera affinità, ogni buona ragione di stima, la relazione si può continuare, e assume spesso la natura di una vera e stabile amicizia. In caso opposto, mille complimenti! Si prende congedo, ci si scambia tutt'al più qualche cartolina illustrata, e poi, un oblio spesso volontario da ambedue le parti. Dico, spesso volontario, perchè talvolta negli alberghi e nelle pensioni accade spesso di dover stare a contatto con persone i cui gusti, le cui abitudini sociali sono troppo differenti dai nostri. In questo caso, si cerchi di conservar quanto è possibile la nostra libertà; ma se per circostanze speciali si dovesse trovarsi frequentemente con costoro, si cerchi d'aver prudenza e pazienza, e si ricordi che fra le opere di misericordia è stata messa sapientemente anche quella di tollerar le persone moleste. Ed è certo una delle più difficili e delle più meritorie. Coll'albergatore e coi camerieri bando all'albagia e ai modi insolenti che tanto piacevano una volta e che anche ora taluni sembrano creder loro diritto, per la gran ragione che pagano. Se qualche osservazione deve farsi, si usi una forma cortese, la quale certamente produrrà assai meglio il suo effetto. Sedendo a tavola, si salutano lievemente coloro che ci stanno vicini, si siede in silenzio, si chiama con discrezione il cameriere se qualche cosa occorre, si aspetta il proprio turno d'esser serviti e non si mostrano soverchie esigenze. La signora, in un albergo di lusso, entrerà nella sala da pranzo senza cappello e con elegante vestito; i signori porteranno abito nero o smoking secondo il caso. In un albergo più modesto, non occorrerà una toilette speciale, ma sarà sempre da curare una certa eleganza. A tavola d'albergo, dopo qualche giorno, se la clientela è fissa, si finisce col far un po' di relazione coi vicini, e allora le conversazioni fioriscono intorno alla mensa e fanno di quell'ora una delle più piacevoli della giornata. Veniamo ora ai ristoranti, quelli ove non si chiede che il pasto del mezzogiorno e della sera e da dove ci si alza, appena compiuto il rito quotidiano. Sono il regno degli scapoli di tutte le età, che talvolta finiscono per farne la propria casa e la propria famiglia: una signora non vi prende i propri pasti se non per circostanze eccezionali. Si dà il caso, per esempio, di una professionista che non abbia comodità nella propria casa, o di chi risieda in quella città per qualche mese all'anno, come spesso accade alle insegnanti. Molti occhi curiosi sbirciano la donna che entra nella pubblica sala e siede alla mensa aperta a tutti: talvolta gli occhi sono anche maligni e si divertono a dar materia di commento a lingue ancor più maligne. Una signora dunque non sarà mai abbastanza riservata, specialmente se è sola. Entrerà con modestia e con franchezza, si toglierà il mantello se l'ambiente è notevolmente più caldo che fuori, non mai il cappello. Non farà conversazione a voce troppo alta con chi la accompagna, si asterrà dal ridere forte, dal volger troppo gli occhi in giro; lascerà al suo cavaliere dare gli ordini al cameriere e far le osservazioni. Se è colla madre, o colla zia, o in genere con altra signora più anziana, le userà tutti i riguardi nella scelta del posto, l'aiuterà a togliersi e a rimettersi il mantello, e non permetterà mai che il cameriere adempia a questa bisogna, ringraziando, però, con cenno cortese alla sua offerta. Ora è meno raro di un tempo vedere signorine, anche giovanissime, entrar a prendere un pasto in qualche ristorante. Mancherebbe seriamente ai doveri non solo del galateo, ma della più elementare convenienza chi si permettesse con tali giovanette il più piccolo atto di libertà, uno sguardo men che rispettoso. Al caffè vanno per serale ritrovo i signori uomini, e talvolta vi conducono anche le loro signore. Ma una donna sola, che voglia esser rispettata, cercherà di non trattenersi oziosamente a uno di quei tavolini; solo di giorno le sarà lecito sedere quel tanto che è necessario perchè le venga servito un gelato o una bibita qualsiasi di cui abbia bisogno. Se però accompagna i suoi bambini, nessuno troverà a ridire di vederla fermarsi un po' di più. Gli uomini, se sono soli, nel caffè chiuso hanno una grande libertà, di cui però faranno bene a non abusare; fumano, conversano ad alta voce, ridono, scherzano. In generale sono amici e colleghi che si riposano dalle fatiche del giorno. Ma hanno però l'obbligo di rispettarsi reciprocamente, di vigilare che lo scherzo non si tramuti in offesa, che la discussione non divenga disputa... Molte gravi querele, che spesso son finite nel sangue, hanno avuto origine da una parola imprudente, da uno scherzo troppo confidenziale... Tra conoscenti che non siano amici, e tra estranei frequentatori del caffè, si usi cortesia e riguardo: non si accaparrino i giornali e le riviste, non si finga di non vedere chi cerca un posto, non si pretenda d'esser sempre serviti prima. All'aperto, quando i tavolini son gremiti di gente che nelle belle serate gode la musica, i caffè presentano l'aspetto di una piacevole e variopinta confusione. Si odono voci gaie di signore e giovinette, voci squillanti di bambini, trilli e risate. E un tintinnio di bicchieri e di piattini, e un correre affaccendato di camerieri da un tavolino all'altro, e... se è lecito trarre a scherzo una frase classicamente solenne:

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E non si tardi a ricorrere al dentista quando appare il primo guasto: un pronto intervento salva spesso da una interminabile serie di guai. E qui sarebbe il momento di parlare di quella benedetta abitudine (non è un vizio.- disse canzonando Pio IX a quel tale - e se fosse un vizio voi l'avreste) di fumare. Il piacere della sigaretta o della pipa sembra sia connesso colla vita stessa, per certuni; eppure se mettessero in bilancia da una parte quel tale piacere, dall'altra il guasto, l'annerimento dei denti, l'alito puzzolente, le dita giallognole, le vesti in pericolo e anche, perchè no, ora? la spesa non indifferente che se ne va in fumo, credo che gli uomini più sensati si deciderebbero a fare la grande rinunzia. Le donne poi. Via, non sarà un delitto se una signora o una signorina fuma ogni tanto una sigaretta; ma che dire di quelle che se ne son fatte una necessità? Non parliamo poi dell'uso di tabaccare, il quale è rimasto in qualche superstite della trapassata generazione. E ne siano grazie al cielo, perchè la nettezza e il decoro della persona soffrivano da quell'ineffabile uso le più fiere offese. Le mani devono essere oggetto della nostra continua attenzione. Non basta lavarsele nè una, nè due volte al giorno: ogni volta che si abbia terminato una faccenda domestica o un lavoro d'ogni genere, ogni volta che sono state a contatto con qualche cosa che le abbia anche lievemente maculate, bisogna ricorrere alla catinella e al sapone. E così si deve fare anche rientrando dal passeggio o da altro luogo pubblico, e anche diciamo tutto, se abbiamo dovuto stringer le mani del nostro prossimo; mani immacolate, vogliamo credere, e perfettamente sane... ma, insomma... E le unghie van tenute pulitissime e bianchissime; per mantenerle tali bisogna che non sian troppo lunghe; ma nemmeno è bello vederle rase al polpastrello. Il rispetto alla nostra persona si manifesta in modo specialissimo nelle vesti. La biancheria intima deve essere mutata almeno una volta alla settimana, le calze assai più spesso. Chi poi si presentasse in pubblico colle vesti sbottonate, colle scarpe slegate, col lembo dei calzoni o della gonna sfilacciato o fangoso, col bavero del soprabito lucente, ohimè! di untume, o coperto di polvere, costui, dico, fosse anche un Solone o un Galileo, correrebbe un gran rischio di farsi guardare come uno strano animale. Ma si riderà anche del bellimbusto azzimato, si riderà anche del vecchio e della vecchia che ricorrono ai più visibili espedienti: «Pour réparer des ans l'irréparable outrage». Non si veggono forse i belletti stesi sulle guance rugose, e le chiome posticce, e le sopracciglia disegnate, e i capelli tinti di biondo e di nero, che passan per tutti i colori dell'iride, quando sarebbe così nobile e spesso così bella la canizie? Chi rinunzia alla propria personalità fisica dimostra cervello meschino e perde ogni diritto al rispetto altrui. E' orinai generalmente invalsa fra le donne l'abitudine di truccarsi. Premesso che ciò non si addice ad una adolescente, la donna che vi ricorre ricordi che il trucco deve servire a ravvivare o a correggere lievemente il viso, non a cambiarne totalmente le fattezze. Quindi lasci i ceroni e le impiastricciature violente ed eccentriche alle dive, che ne hanno bisogno per esigenze tecniche di palcoscenico, e si accontenti di un ritocco sobrio, appena accentuato di sera, che è sempre molto più signorile ed oltre a tutto anche molto più riuscito esteticamente in quanto il trucco migliore è sempre quello che non appare, avvicinandosi maggiormente alla naturalezza. Quanto detto sopra vale per tutte: ma è evidente che assume anche maggior valore riferito a signore non più giovani, le quali oltre alla naturale dignità ùdella donna devono considerare anche la dignità particolare richiesta dalla loro età. Ma non si corre questo rischio soltanto trascurando o alterando il corpo che Dio ci ha dato, compagno dell'anima e suo strumento nell'operare. Noi dobbiamo rispettar ancor più la nostra personalità morale. O poche o molte sian le doti che ci furono concesse, è obbligo nostro di farle valere in nostro vantaggio e altrui, e se è dissennato e superbo chi ne mena pompa, anche più di quanto si conviene, chiameremo stolto chi si compiace di avvilirsi e di snaturarsi in faccia alla gente. Perciò chi tiene un linguaggio indecoroso manca di rispetto a sè e agli altri, e così pure chi buffoneggia e scherza nelle brigate in modo scurrile. Poichè, dice Baldassare Castiglione, ci sono bene nelle corti coloro che ciò fanno per sollazzo altrui, ma si chiamano con altro nome e non gentiluomini. Non so quanto potesse toccar da vicino l'ammaestramento ai lettori de' suoi tempi. Ai nostri, di questo bel vezzo buffonesco rimane ancora qualche traccia nelle conversazioni di villaggio. C'è qualche specialista nel rifare il verso di questo o quell'animale; c'è chi s'è fatta una legge di non rinunziar mai a nessuna goffa spiritosaggine che gli venga sul labbro, pur di guadagnarsi la fama di uomo faceto... E nemmeno si deve avvilir se stessi con perpetuo atteggiamento servile verso gli altri. La cortesia non deve escludere il decoro, la compiacenza non deve estendersi ad ogni servigio, la lode non deve prender l'aspetto dell'adulazione, il complimento non dev'essere mellifluo e a getto continuo. Chi si mette prono innanzi a tutti, non si deve meravigliare se a molti verrà la voglia di calpestarlo. E nel parlare di sè, l'uomo saggio si terrà tanto lontano dalle ridicole vanterie, quanto da un'affettazione di umiltà. Chi protesta ad ogni istante di non valere nulla, di non esser capace di nulla, di reputarsi l'ultimo di tutti, corre talvolta il rischio d'essere scambiato per un ipocrita... e il rischio non è piacevole. Ma se la gente lo pigliasse sul serio? Se queste ripetute proteste di nullaggine attecchissero nell'opinione pubblica? Si può rispondere che i fatti smentiscono le parole, e che il vero merito si paleserà da sè. E' vero, ma talvolta un preconcetto formatosi di una persona può trovar una certa difficoltà a sparire. L'esperienza ci mostra molti fatti di questo genere. Ad ogni modo, questa può sembrare una originalità di cattivo gusto. Facciamo debita stima dei doni che il clemente creatore ci ha dato, e ricordiamoci che la modestia è verità, come diceva il Manzoni, che di queste cose se ne intendeva, e che se vogliamo essere stimati dagli altri dobbiamo anche mostrare che di noi stessi abbiamo una ragionevole e giusta stima.

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Quando a un tavolino siedono otto o dieci persone dai gusti differenti, cerchino, per carità del povero cameriere, di mettersi ben d'accordo prima su quello che vogliono ordinare. Egli che ha dietro e intorno a sè una quantità di gente che ancor lo sta chiamando, non ha tempo nè voglia di ascoltar discussioni e dubitazioni. E' giusto dunque che con poche e chiare parole il capo della brigata esponga la lista delle ordinazioni, e tanto meglio quanto omogenea. Si paghi subito al comparir del vassoio, per risparmio di tempo e di fastidi, e non si faccia un casus belli se il povero uomo ci ha portato un gelato di fragola invece che di pesca, come gli avevamo detto, o una limonata, invece che un'aranciata. Nel tempo in cui suona l'orchestra, si faccia silenzio, o si parli brevemente, occorrendo, a voce sommessa. Non c'è nulla di tanto sgradevole, per chi siede ai prossimi tavolini, e gli guasta un piacere che forse ha sognato tutta la giornata. Vi sono regole anche pei cinematografi? Sì. Entrare senza rumore, non far commenti inopportuni, non occuparci di chi siede vicino, e soprattutto... andarvi meno spesso che sia possibile, e non condurvi bambini, a cui quei luoghi chiusi sono nefasti, quella tensione mentale pericolosa, quelle scene mutevoli e violente non si addicono alla loro età in cui lo svago più bello deve essere la libera corsa all'aria pura, sui prati fioriti.

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Noi invece, fortunatamente, abbiamo cambiato opinione, e il pubblico giustamente s'inquieta quando, a metà del primo atto o più oltre ancora ode sbatter le porte dei palchetti, ode quei molteplici rumori di assestamento con cui le ritardatarie disturbano l'attenzione tutta rivolta a quel che accade sulla scena. Anzi si è fatto un passo di più: a certi spettacoli eccezionali è vietato l'ingresso oltrepassata l'ora convenuta. Ed è giustissimo che chi va al teatro unicamente per godere la sublime elevazione di spirito a cui lo rapisce la musica o il dramma, e forse per quella volta sola, e a prezzo può darsi anche di qualche tacito sacrificio, non debba aver sciupato il suo diletto dalla scortesia di vanitosi ristucchi. Ma che diremo poi dei palchetti ove si fa conversazione durante lo spettacolo? Costoro dimostrano non solo mancanza assoluta di riguardo verso gli altri spettatori e verso gli attori, ma anche piccolezza di mente, insensibilità artistica, boria insolente. E' anche non è bene commentar lo spettacolo coi vicini (se non fosse quell'esclamazione spontanea e rapida che la passione commossa ci chiama nostro malgrado alle labbra), criticare, far confronti, mostrar erudizione non richiesta, disprezzare, disapprovare. In quanto all'applauso, esso è il compenso più ambito dall'autore e dagli artisti, ed è giusto non lesinar loro questo premio alle loro fatiche. Soltanto gli uomini dovrebbero applaudire colle mani; ora però si transige molto su questo, e bene a ragione. Se a una serata di gala intervengono principi o sovrani, o Capi di Stato il pubblico li saluta con affettuoso entusiasmo plaudendo e sveltolando i fazzoletti, tutti si levano in piedi. Così pure al suono di inni patriottici. E son quelli, bisogna pur dirlo, i momenti in cui l'animo esulta ancor più che per dilettazione per quanto sublime dell'arte perchè allora passa, aleggiando su tutto e tutti, lo spirito della Patria. Gli uomini che intervengono alle serate di gala devono portar l'abito nero, cravatta e guanti bianchi. A spettacoli più modesti basterà, sia per uomini, sia per donne, un corretto abito da passeggio. Negli intervalli fra un atto e l'altro, il pubblico si riposa, per così dire, delle sue fatiche intellettuali, si piglia il gusto di un po' di rassegna, di commenti, di critiche. Si scambiano allora visite di palco in palco si gira intorno lo sguardo armato di cannocchiale. Ma bisogna che le visite siano brevi; al suono del campanello che accenna la ripresa dello spettacolo, ognuno se ne ritorni al suo posto; se pur la confidenza con la signora visitata non permette di trattenersi, per meno male, sino alla fine del nuovo atto. E anche nell'uso del cannocchiale ci sia riguardo e discrezione. E' cosa molto scortese prender di mira con prolungata insistenza quel tal palchetto o quella tal signora. In un palco, il posto d'onore è quello che guarda la scena; ed è quello che la signora occuperà se con lei fosse una figlia o altra signorina, e che cederà ad una signora più attempata e ragguardevole. Non è bello però cambiar il posto ad ogni atto; basterà farlo una volta o due durante lo spettacolo. E' permesso a un visitatore, quando sia in confidenza, offrir qualche dolce alle signore da cui si reca. S'intende che il babbo o il marito o il fratello, non devono lasciar una signora sola nel palchetto per scender in platea o recarsi a far qualche visita: potrà far questo solo se intanto vi è con lei qualcuno che si è recato a visitarla. E non si esca e non ci si alzi se non quando lo spettacolo è veramente finito, e non quando le ultime battute, commozione, ansia, esultanza, strazio, espresso dall'artista colla massima tensione del suo genio, risuonano dalla scena e attirano a sè in un ultimo slancio l'anima protesa di un pubblico vero. Quei momenti sono sacri e vanno rispettati, anche se un insulso qualunque non è più capace a forza di materiale abitudine di intendere il grido supremo di Otello o l'estremo gemito di Violetta. Quando dunque il sipario è calato, e gli artisti lieti della bene spesa fatica, si presentano al pubblico per ricevere il premio dei suoi plausi, nei palchetti si può alzarsi e disporsi alla partenza. E' doveroso per gli uomini aiutare le signore a indossare i loro mantelli; le signorine faranno bene ad essere pronte esse, se fosse il caso, a servir la mamma, la zia, altra parente o amica che fosse con loro. Scendendo le scale non sono proibiti i commenti e i saluti, e spesso qualche incontro amichevole fornisce il completamento più bello della serata, nello scambio sincero e moderato delle impressioni. Così vanno le cose... o così dovrebbero andare, a grandi spettacoli. Ma vi sono spettacoli più alla buona: gli spettacoli di prosa, a cui, come si diceva, si va in abito da passeggio, spesso con una determinazione presa lì per lì, all'annuncio di un lavoro celebre, o anche per procurarsi uno svago inaspettato. Eccettuato che per l'impegno dell'abbigliamento, le regole però rimangono press'a poco le stesse, le regole di persone bene educate, che rispettano sè e gli altri e che hanno il debito riguardo per non far nulla che possa turbare o diminuire il piacere altrui. Si presenta però talvolta un caso. A sua insaputa, una persona onesta può trovarsi al fatto di vedere sulla scena ciò che profondamente disgusta la moralità dell'animo suo. So di due ottime zitellone che da chi sa quando non andavano più al teatro, trattenute da speciali impegni, e che una sera, finalmente, trovandosi libere, stabilirono di regalarsi una serata straordinaria. Si vestirono a tempo, presero i loro posti ed entrarono. Era l'epoca delle riesumazioni classiche cinquecentesche... e le due ottime signore si trovarono ad assistere... alla Mandragola! Se non morirono di vergogna fu un miracolo, e appena finì il primo atto se la svignarono come fu loro possibile, nascondendosi il viso. Bisogna dunque che una persona che va al dramma sappia, press'a poco, qual genere di rappresentazione gli si presenterà, e ciò è obbligo speciale per un capo di famiglia, che voglia condurre la propria moglie o le figlie, al fine di non esporle a una dolorosa mortificazione. Si vuol avvertire talvolta: non è spettacolo per signorine. Ma io consiglierei anche le signore assennate a non intervenire: ciò che disgusta e offende i sentimenti più delicati dell'animo femminile non dovrebbe trovare scusa o connivenza a nessuna età. E forse, davanti a un contegno più serio e più reciso della maggioranza femminile, i capocomici e gli autori cambierebbero rotta! Nei teatri popolari, il pubblico si abbandona più facilmente alla manifestazione clamorosa delle sue impressioni. E passi pure per gli applausi e le esclamazioni, e non ci faccia sorridere di meraviglia scherzevole l'ingenua commozione di qualche buona donna che piglia proprio sul serio la faccenda e piange e freme... Ricordiamo il grazioso sonetto di Neri Tanfucio, in cui il pubblico inveisce contro il tiranno, all'Arena. Fin qui, niente di male. Ma il male è quando il popolo non abbastanza educato, tumultua, grida e fischia. Il fischiare è un atto crudelmente villano contro chi non si può difendere, e ha fatto quanto meglio poteva per divertire il pubblico e farsi un po' d'onore. La persona bene educata non fischia mai. ... Cioè, ammetto un solo caso. Ed è questo: se una scena immorale fosse accolta da una salve di fischi, la lezione sarebbe severa per chi tocca, ma non certo inefficace. In tutti gli altri casi è inutile usare tal modo di riprovazione, quando c'è quell'altro così semplice e dignitoso, e che non fa male a nessuno: alzarsi e andarsene.

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Le feste da ballo presentano una serie di immensa varietà e crescente importanza, a cominciar dai così detti quattro salti in famiglia, giungendo sino ai balli di Corte. E ci sono le festicciuole di campagna e agli stabilimenti balneari, e ci sono le feste nei casini e nei circoli, e i veglioni, e i balli mascherati, e i balli pubblici e i balli da bambini, e chi più ne ha, più ne metta. Prima di tutto, è bene risolvere una questione che molte mamme si pongono innanzi con una certa preoccupazione: E' conveniente o no condurre le proprie figlie al ballo? A queste mamme prudenti e coscienziose, il cui numero pur troppo va sempre più diminuendo, si può rispondere che, colle debite precauzioni, il ballo può benissimo esser concesso alle fanciulle, come svago adatto veramente alla loro età, e anche esercizio di grazia, di disinvoltura, e modo d'imparar a conoscere un po' il mondo e... valutarlo quanto si merita. Si escludano dunque senz'altro i balli nei circoli e nei casini di cui non si conosca perfettamente l'ambiente perchè vi si possono trovare delle sgradevolissime sorprese, si scartino senz'altro i balli pubblici agli stabilimenti e negli alberghi e si accetti con riconoscenza l'invito fatto da qualche famiglia amica, ove non si troveranno che persone della propria condizione, o con lievissima differenza, e soprattutto di garantita moralità. Alle grandi feste poi, nelle ambasciate e nei balli di Corte, le signorine giovani non sogliono intervenire. Ai veglioni potranno fare una fuggevole comparsa, non trattenendovisi mai oltre la mezzanotte, e non accettando nessun invito al ballo. Possono però far qualche danza, se proprio ne hanno voglia, con chi loro serve da cavaliere o con qualche amico di casa. Chi riceve un invito al ballo, riceve anche, presso a poco, l'indicazione dell'abbigliamento che deve usare. A un ballo d'importanza, si va in abito di gran gala: gli uomini in marsina (frac), le signore con ricche vesti scollate, e adorne dei loro gioielli. Se fosse una festicciuola alla buona o almeno senza grande importanza, gli uomini possono usare un elegante abito da passeggio, o da visita, nero o di colore scuro, preferibilmente grigio o turchino, le signore faranno bene a non rinunziare alla gaia parata di un vestitino fresco e chiaro, lievemente scollato. Se poi nell'invito è dettò che il ballo sarà bianco O di color rosa, o violetto, ecc., è chiaro che le danzatrici dovranno indossare un abito elegantissimo, del colore prescritto: gli uomini porteranno all'occhiello un fiore di tale tinta. E se si tratta di balli simbolici (fiori, gioielli, ecc.) di balli in costume, si deve porre la massima cura nel preparare un vestiario che risponda perfettamente al carattere del fiore, del gioiello, della maschera, del tipo che si vuol rappresentare, per non portare una spiacevole stonatura e farsi giudicare persone di poco gusto e di scarsa istruzione. Naturalmente, chi non si sente di presentarsi a un ballo dove le esigenze gli sembrano superiori alle sue forze, farà bene rispondendo con un cortese rifiuto, e adducendo un pretesto qualunque, purchè plausibile. E' poi obbligo suo, entro gli otto giorni, una visita di ringraziamento, come se avesse accettato. L'ora in cui suole incominciare un ballo è fra le nove e le dieci: in generale c'è una certa ripugnanza a comparir fra i primi, ma non è nemmeno buon gusto aspettar a festa troppo inoltrata. Le mamme e i babbi non danzano, almeno per regola generale, e non sono quindi obbligati a conoscere i balli moderni; ma le giovani spose e le signorine i giovanotti vanno proprio per quello: dovranno dunque esser sicuri di ballare bene, il che vuol dire con precisione e con grazia. E' dunque da approvarsi la madre di famiglia che fa istruire i propri figli in quest'arte, la quale potrà benissimo esser detta frivola, ma è pur necessaria a chi vuol frequentare la società. E del resto, intesa bene, la danza giova ad assuefare alla grazia, alla compostezza, alla disinvoltura nel movimento e nel tratto. Ma che diremo di certi balli moderni? Essi hanno ormai fatto tanto discorrere di sè, e hanno sollevato tali tempeste di accuse e di difese, che ormai sembra un fastidio inutile e zelo sprecato aggiungere altro. Si può dire però che ogni ballo può essere più o meno onesto secondo il modo con cui viene eseguito. La saggia madre di famiglia assisterà alle lezioni dei suoi figliuoli, farà eseguir qualche prova, e raccomanderà le opportune correzioni, se ve ne fosse bisogno. E anche mentre danzano le sue figliuole, le terrà d'occhio, e se vedesse che qualche cavaliere non usa con loro i riguardi che si devono, sia nelle mosse, sia nel tenerle avvinte per la vita o pel braccio, saprà facilmente porvi rimedio. Le signore non vanno mai sole al ballo; la moglie deve sempre essere accompagnata dal marito, o se questi manca, un fratello o il figlio maggiore servirà di cavaliere. Entrando nella sala da ballo, la signora o la signorina, a braccio del rispettivo cavaliere si recano anzitutto a salutare la padrona di casa (la quale generalmente si aggira per la sala e muove incontro agli invitati) indi siede dove meglio le sembra, possibilmente presso a qualcuno che già conosce. Le signorine, generalmente vanno al ballo con una grande smania di ballare, e mal volentieri sopportano il caso di restar qualche volta a sedere: i giovanotti, invece, sogliono averne pochissima voglia e spesso si vedono, appena hanno collocato le loro signore, ritirarsi in altra sala, e star lì ore intere, a fumare e discorrere. Questi giovani fanno molto male: mancano di riguardo ai padroni di casa che li hanno invitati per render più animate le danze, mostrano di sprezzare il resto della compagnia e di non aver debiti riguardi verso il sesso gentile. Farebbero molto meglio a rimanersene a casa, anzichè ingombrar le pareti e darsi l'aria di antipatici posatori. Il giovane bene educato, dopo aver salutato la padrona di casa, la invita per un giro, se ella balla, invita poi le figlie o le altre parenti. E' buona cosa non invitar mai una signorina senza esserle presentato: ora si va derogando da questa regola, sia presentandosi da sè, sia facendo a meno della presentazione, ma è abuso da lasciarsi ai balli pubblici, dove, come ho detto, una saggia madre non condurrà mai le sue figlie. Per il cotillon il giovane può invitare anche una signora o una signorina che non conosce, ma dopo deve presentarsi a lei per mezzo di qualche conoscente comune o della padrona di casa. Egli ha l'obbligo di far ballare tutte le signorine, anche se non sono belle o simpatiche, anche se non sono molto eleganti, o non hanno grazia nella danza. In questo appunto spicca la cortesia di un giovane ben nato. S'intende ch'egli può anche lasciarsi guidare dalle sue simpatie, ma con discrezione; perché se troppo frequentemente danzasse colla stessa signora o signorina, farebbe sorgere delle ciarle spiacevoli. In quanto alla signorina, toccherà a lei evitar con garbo e prudenza di aver troppo spesso lo stesso cavaliere. Purtroppo gli occhi che si fissano su di lei non s empre sono benevoli, e talvolta l'invidia fa travedere, e suggerisce male interpretazioni a cose per se stesse forse innocentissime: ella non deve tollerare che la sua riputazione sia nemmeno lievemente sfiorata. S'intende che, dopo aver rifiutato una danza a chi l'ha invitata per primo, non l'accetterà da nessun altro, e starà presso la madre per tutto quel tempo. Per non errare nell'ordine dei balli concessi, una volta si usava il taccuino che i francesi chiamano carnet e che soleva essere presentato alle dame, al loro ingresso in sala. Comunque sia ora, abbia la signorina la massima cura per non commettere dimenticanze e trasposizioni che potrebbero offendere o venire mal interpretate. Un vero gentiluomo, però non si mostra offeso se per caso gli accadesse d'esser dimenticato da una danzatrice con cui aveva preso impegno di qualche ballabile; se è uomo di spirito saprà uscirne con decoro e senza bisogno di umiliare la smemorata. Durante il ballo vi suol essere servizio di rinfresco e gelati che son portati in giro dai camerieri e a cui ognuno pensa da sé; se il ballo è un po' più di riguardo, vi è il così detto buffet a cui i cavalieri conducono le loro dame, e dove è obbligo degli uni o degli altri comportarsi senza indiscrezione e lungi da ogni volgarità. Al ballo di gran gala spesso vi è una cena, che si suol servire per lo più tra mezzanotte e il tocco; in una sala elegantissima, con piccoli tavolini da due a quattro persone al più, dove si servono cibi freddi e molto ricercati. Ogni cavaliere vi conduce la propria dama, le si pone accanto, la serve di quanto essa desidera e la intrattiene in piacevoli discorsi. Se le signore s'accorgessero che la loro toilette ha bisogno di qualche ritocco, sappiano approfittare del gabinetto che dev'essere annesso alle sale, ove una cameriera sta pronta a prestar i servizi necessari. Quando poi una signora s'accorge che il ballo l'ha troppo riscaldata, e sente di non aver più l'elasticità di prima, e di ancare e di perder l'armonia dei suoi lineamenti nello sforzo del moto, si ponga tranquillamente a sedere, rinunziando al resto della nottata a qualunque invito, e contentandosi del piacere di veder gli altri. Le mamme che conducono al ballo le loro figliuole devono mostrarsi oculate e piene di tatto. Si ricordino anzitutto che sarebbero imperdonabili se danzassero anch'esse (sia lecito solo un giro, nelle feste di gran confidenza, fatto per compiacenza con qualche loro... contemporaneo) e badino poi dove vanno e dove si fermano le signorine, e con chi si accompagnano, e si facciano presentare i cavalieri nuovi. Non turbino il piacere dei loro giovani col mostrarsi annoiate o stanche, col profferir troppo presto la spiacevole frase: ora si va a casa... A casa si va dopo che la maggior parte delle danze si sono svolte. Ultimo, o quasi, è il cotillon, che prepara ai ballerini le maggiori attrattive, coi suoi giuochi svariati, colle sue brillanti sorprese. Se non vi è una seria ragione, è una scortesia andarsene prima. Verso l'alba, anche i più infaticabili ballerini cominciano a dare qualche segno di stanchezza. La serie dei balli è stata svolta, e con qualche aggiunta anche, se la confidenza lo permette; i padroni di casa si mostrano i meno stanchi e i più disposti (poveretti!) a prolungare la festa.. ma tutto deve avere una fine a questo mondo, e la musica tace, e la brigata si scioglie con mille ringraziamenti agli ospiti gentili e saluti reciproci. Talvolta però si usa andarsene all'inglese, cioè senza prendere congedo. E veramente non è da disapprovare quell'uso che toglie ai padroni di casa la fatica di reiterati complimenti, e presenta anche il vantaggio di lasciare maggior libertà a chi vuole andarsene e non mettere a disagio chi resta. Nei balli numerosi si faccia dunque così. Ma nei balli più intimi, è meglio salutare e ringraziare, prima d'andarsene; facendo però, se la dipartita fosse sollecita, in modo che gli altri non se n'accorgano e che non interpretino quest'atto come il segnale della fine; cosa che potrebbe spiacere a molti, e più che mai ai padroni di casa. Chi è intervenuto a un ballo deve far la sua visita di convenienza entro gli otto giorni. S'intende poi che si mostrerebbe veramente maleducato e indiscreto chi andasse poi criticando, presso il terzo e il quarto, o le persone che han preso parte alla festa, o il modo con cui è stata data. Se qualche particolare può essere spiaciuto, se qualche incidente deplorevole è accaduto, nonostante il buon volere dei padroni di casa, è stretto obbligo di chi ha ricevuto una cortesia, non contraccambiarla colla maldicenza. Un silenzio prudente e non affettato non costa nulla e risparmia molti fastidi.

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Questa grande massima di giustizia sociale che ha una così larga portata, e che se fosse ben compresa taglierebbe corto a molte spinose questioni, va applicata anche a quelle questioni spicciole di convenienza e di cortesia che pur hanno anch'esse tanta importanza nella tranquillità della vita. Ci piace che gli altri siano con noi riguardosi, gentili, previdenti? Ebbene, cominciamo noi col mostrar verso di loro e riguardi, e gentilezze e premure, e mettiamo le basi di uno scambio nel quale raramente o mai avremo da perdere. E questo scambio si cominci nella famiglia, che della società è la base, e più precisamente tra marito e moglie che della famiglia sono il centro. Durante il fidanzamento e nei primi tempi del matrimonio dura ancora la poesia dell'amore che ha spinto l'un verso l'altro i due esseri di cui ciascuno pareva perfetto all'occhio dell'altro. Un po' alla volta, i veli cadono. L'amore dura, se è basato sopra una solida stima, se ci sono le vere qualità essenziali, ma si cominciano a vedere i difetti, si cominciano a dimenticare certi riguardi. Un proverbio toscano, molto pessimista, suona così: «Il primo mese gli è rose e miele, dentro sei mesi gli è miele e fiele, in capo all'anno gli è tutto fiele». Così però non è sempre, grazie al cielo, e così non deve essere, se lo sposo e la sposa avranno cura di conservar sempre accesa la lampada profumata della reciproca cortesia. Un buon marito, una buona moglie non sono soltanto quelli che adempiono ai doveri sostanziali del loro stato, ma che cercano di rendersi bella reciprocamente la vita col rispetto, l'amorevolezza, la sollecitudine. L'art. 130 del Codice Civile che si legge solennemente dinnanzi ai due sposi prescrive l'obbligo della fedeltà, della coabitazione, dell'assistenza reciproca. E va benissimo; ma anche adempiendo perfettamente questi obblighi, la coppia coniugale può, dopo qualche tempo, sentir molto grave il peso della sua catena. Ci vuol qualche altra cosa che il codice non impone, ma che deve sgorgare dal profondo del cuore: una quantità di piccole avvertenze le quali servono mirabilmente a impedir che si senta il peso di quella tal catena, anzi riesce a mutarla in catena di rose. Ci sono dei coniugi che non solo, dopo molti e molti anni di unione, non han perduto nulla della poesia del loro amore, ma che l'han sentita farsi sempre più forte, più pura, più soave, via via che il tempo passava e che diminuivano le attrattive fisiche, e si avanzavano i mali della tarda età. Il marito deve ben essere persuaso che colei che egli ha liberamente scelto, ha diritto, come padrona della sua casa, come madre dei suoi figli, ad ogni rispetto da parte sua. E come non deve tollerare che altri la offenda o la disgusti così deve egli usar sempre nella civile società, verso ogni signora. Egli non si permetterà mai attitudini volgari in sua presenza, nè un parlare scorretto anche nell'intimità; le userà a tavola, a passeggio, in conversazione, le piccole cortesie che il galateo impone, e che non si devono affatto trascurare anche colle persone di maggior confidenza. Cercherà di porgerle aiuto nei piccoli impicci domestici, prestandosi a qualche spesa, a qualche commissione a cui ella non possa attendere. In certi momenti di crisi ancillare è veramente prezioso l'uomo cortese che risparmia alla moglie l'uscir di casa per comprar ciò che occorre, che le porge la mano in qualche faccenduola, che va a sollecitare qualche fornitore. E non credano per questo i signori uomini, di perder nulla del loro decoro. Le persone sagge non potranno che stimarli di più, e la moglie sentirà una tenerezza e una riconoscenza speciale per queste amorevoli e modeste prestazioni. E se qualche volta le cose non vanno proprio a modo suo, il marito non brontoli, non protesti, non si indispettisca. Basta talvolta una parola opportuna, un consiglio chiaro e pratico per togliere un inconveniente, per rimediare a una irregolarità. E soprattutto bisogna ricordare che i modi acerbi e burberi feriscono inutilmente, mentre le belle maniere penetrano l'animo e persuadono: bisogna ricordare che la giovane donna esce talvolta da una famiglia in cui non si è avuto abbastanza cura di prepararla alla nuova vita, e che la sua inesperienza è scusabile. La buona volontà, il desiderio di corrispondere alla fiducia dello sposo riusciranno in breve tempo a farle acquistare le doti necessarie. Sommamente scortese si mostrerebbe quel marito che facesse a sua moglie delle osservazioni pungenti in presenza di persone di servizio o dei figli. Eppure ci sono degli uomini che non sanno frenarsi e che sfogano impulsivamente il loro malumore appena qualche cosa li irriti o li punga: le prime persone con cui inveiscono sono quelle di famiglia. E non badano se a torto o a ragione. Ecco qui; tornano a casa dai loro affari colla luna a rovescio, con una fiera voglia di brontolare e criticare tutto. Siedono a mensa, e mentre nella riunione delle persone più care dovrebbero sentirsi rammorbidire e raddolcire l'animo, si direbbe che si rallegrino d'aver trovato su chi versare tutta l'acerbità e l'amarezza. Nulla va bene di ciò ch'è portato in tavola, nulla lascian passare di qualche inavvertenza del servizio; gridano, protestano, convertono in un supplizio l'ora della più cara intimità domestica. E di tutto fanno responsabile la moglie, a ragione, e a torto, e la mortificano duramente in presenza anche di ospiti, e non pensano forse che sorta di tortura infliggano alla povera donna, la quale spesso deve tacere e soffrire per meno male. «Preferirei cento schiaffi in camera - diceva una buona signora a cui il marito (stimatissimo galantuomo del resto) si pigliava il gusto d'infliggere tale quotidiano supplizio - piuttosto di una mortificazione in presenza di altra gente». Al contrario, il marito bene educato deve sempre mostrare di approvare ciò ch'ella fa, e difenderla contro gli altri, anche se in cuor suo giudichi che ella abbia torto. Tale gentilezza cavalleresca non gli impedirà poi di disapprovarla, o anche rimproverarla a quattr'occhi: è questo, anzi, suo preciso dovere. Ma sarà severissimo nell'esigere dai servi e dai figli il massimo rispetto verso di lei. Vi sono persino dei casi in cui il marito e la moglie, disuniti nell'animo da profondi dissapori, hanno così bene saputo osservar le convenienze reciproche da andar avanti anni ed anni, colle apparenze di una pace domestica che riusciva a ingannare anche gli intimi. E chi oserebbe biasimare un tale inganno, che conservò ai figli il rispetto verso i genitori e risparmiò all'animo loro terribili impressioni in un'età in cui non si cancellano più? Fuori, di casa, il gentiluomo deve sempre mostrarsi lieto e onorato di accompagnarsi con sua moglie, e deve farla partecipe di quegli onesti piaceri che la loro condizione permette. E' brutto veder il marito che frequenta le conversazioni, i teatri, persino i balli, lasciare a casa la moglie senza una legittima ragione. Se poi egli è un uomo di studi e alieno dalla mondanità, pensi che non può pretendere altrettanto da una giovane donna, e procuri di vincere le sue ripugnanze e accompagnarla a qualche ritrovo da lei specialmente desiderato. Nelle sere poi in cui c'è ricevimento in casa, non gli è assolutamente permesso assentarsene del tutto, e dovrà anzi coadiuvare la moglie nell'accogliere gli ospiti, nel presentare i rinfreschi, nel trattenerli piacevolmente. Gli sarà bensì permesso, dopo aver adempiuto questi obblighi, ritirarsi cogli amici nel salotto a fumare o a far qualche partita di bigliardo. Nelle visite di giorno, però, il marito non suole accompagnare la moglie se non nel giro consueto, dopo il ritorno dal viaggio di nozze, e quando, fissandosi per ragione d'ufficio in qualche città nuova, si fa la conoscenza dei superiori e dei colleghi. E in queste visite egli porterà tutto il garbo e la prudenza, astenendosi da ogni osservazione e da ogni frase che possa mettere a disagio la sposa, in riguardo a persone estranee, e assecondandola, anzi, in quello che ella dice e propone. Ma ai doveri del marito corrispondono quelli della moglie, e la mancanza, da parte sua, è ancor più biasimevole. L'amorevolezza, il buon garbo, la cura della propria persona sono doti assai più femminili che maschili: basta talvolta la mancanza di una di queste per mandar all'aria la pace domestica. Uno scrittore francese ha scritto che il primo dovere della donna è quello di essere bella. Un paradosso, si capisce, ma che pure ha un fondo di verità. La fanciulla ha istintivo il culto della propria persona, il desiderio di abbellirsi. E' la natura che glie lo ha messo nel cuore, come ha dato i petali variopinti ai fiori, e le ali screziate alla farfalla. E' il desiderio di attirare, di piacere: desiderio spesso inconscio, e che si accompagna spesso, senza contraddirle, con le doti più belle dell'anima. Ma accade talvolta che, dopo il matrimonio, la cura della propria persona, il desiderio di piacere cedano alla negligenza e alla svogliataggine. E allora la sposina, la giovane madre, girano per la casa spettinate e malvestite, o in pantofole o in veste da camera, scusandosi colle faccende domestiche, e dichiarando che non hanno ambizione... che ormai son piaciute a uno e basta così. Ma proprio quell'uno prova un senso di disgusto e di mortificazione nel veder così sciatta la bella personcina che aveva presentato, a lui, la incarnazione del suo ideale. E' una caduta lacrimevole dalla poesia alla prosa! E sarà feconda di molti guai se egli farà, forse anche involontariamente, il confronto colle signore che vede fuori, linde, agghindate, eleganti. La saggia sposa, dunque, non creda che soltanto le sue virtù domestiche possano bastare: procuri di conservar sempre le sue attrattive fisiche; si pettini con garbo e si mostri sempre con un vestitino accurato e grazioso. Se vuol attendere alle faccende domestiche si copra d'un ampio grembiulone, se non vuol sciuparsi le mani faccia uso di grossi guanti. Ma procuri di mostrare al marito, quand'egli la ritrova tornando dalle sue occupazioni, una donnina graziosa e piacente. E i suoi modi siano sempre gentili, il suo aspetto sempre sereno. Bisogna pensare che l'uomo che talvolta rincasa, stanco e di cattivo umore, ha bisogno di chi l'aiuti a dimenticare i guai della vita, e che proprio a lei è affidato questo ufficio gentile. Largheggi pure di saluti e d'accoglienze affettuose, e insegni ai figliuoli a fare altrettanto. Se lo vede burbero, se riceve qualche parola pungente, non s'indispettisca, non ribatta: lasci passare quel momento, e la serenità non tarderà a comparire. E procuri che la mensa abbia un gaio aspetto, e che nei cibi sia accontentato il suo gusto. Talvolta basta un'inezia di questo genere per rasserenare un animo torbido. Se ella ha avuto qualche fastidio domestico, se la donna di servizio si è licenziata, se i bambini sono petulanti, procuri di dimenticare queste piccole contrarietà e di frenare il malumore. Ma che dire, invece, di quelle mogli che, appena il marito rincasa, lo assalgono col racconto di ogni spiacevolezza, e guastano al pover'uomo quel poco riposo che gli è concesso? S'intende che negli affari domestici esse devono prendere consiglio dal marito, e partecipargli ciò che riguarda la servitù o i figliuoli, ma devono saper scegliere il tempo, e farlo con modi discreti. La saggia moglie gli risparmi tutto quello che può inutilmente infastidirlo; non gli introni il capo con pettegolezzi di vicini, con ciarle sconclusionate. Cerchi invece di portare il discorso su argomenti piacevoli e cari ad entrambi, cerchi d'interessarsi a quanto egli racconta, e se le par il caso di esprimere un giudizio e di dargli un parere, lo faccia con modi prudenti e cortesi e non manchi mai di ringraziare alle piccole cortesie ch'egli le usa a mensa o altrove, e cerchi alla sua volta di mostrarsi servizievole e pronta ad ogni suo desiderio. Talvolta il marito desidera uscire a passeggio o passar una serata al teatro, ma da solo, dice, non si divertirebbe: ci vuole la compagnia della moglie. E allora essa sappia apprezzare quel sentimento, e lo assecondi: anche se il suo desiderio sarebbe stato invece di rimanersene a casa, si vesta ed esca, e procuri di fargli buona compagnia. Solo nel caso che avesse bambini piccoli, il dovere verso di loro l'assolverebbe da ogni altro. Ma, del resto, bisogna ricordarsi che la vita in comune è fatta tutta di piccole condiscendenze e di piccoli sacrifici, i quali però trovano sempre ampio compenso. E a questo mondo non c'è nulla che valga la pace domestica. Se il marito è uomo di studi, se occupa un posto pubblico molto elevato, la donna si ricordi che sarebbe una vera colpevolezza da parte sua molestarlo con esigenze personali, turbargli l'ordine delle sue occupazioni. Sappia comprendere e rispettare il raccoglimento che spesso egli impone intorno a sè, e non mostri un volgare egoismo nel pretendere che i grandi interessi della scienza o della cosa pubblica cedano alle sue voglie e ai suoi gusti. Mostri in tal caso una onesta compiacenza dei meriti di suo marito: si guardi però bene dal forzare le sue confidenze o, peggio, di darsi importanza in pubblico. La casa è il regno della donna. Nel farla bella, ella non deve soddisfar solo una sua personale inclinazione, ma deve anche pensare di gradire al marito, assecondando le sue inclinazioni. Se a lui piacciono i fiori, le piante, gli oggetti d'arte, è una vera fortuna: sarà tanto più facile a lei accontentarlo in cose sì facili e belle e guadagnarsene la gratitudine e l'ammirazione. Abbia poi la moglie tutta la cura verso la biancheria e i vestiti del marito. Anche se vi fossero persone di servizio in abbondanza, ella si riservi di sorvegliar la sua guardaroba, perchè nulla vi manchi. E se il marito ha a questo proposito una qualche mania, una esigenza un po' esagerata, procuri di compatire di assecondare. E' forse meglio che un uomo pecchi di soverchia ricercatezza che di trascuratezza volgare. E, del resto, quando un uomo si presenta in società, si giudica spesso dal suo vestire l'abilità della moglie il grado del suo affetto per lui... Un bottone ciondolante, una camicia male stirata sono stati origine, talvolta, di scene domestiche assai disgustose, e di commenti estranei molto... pungenti per la signora.

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Ma spesso vi sono altri parenti, o trovati all'inizio del legame matrimoniale, o entrati poi a far parte della convivenza domestica. E allora la possibilità di discordanze fra umori troppo diversi diventa minacciosa, e spesso le grandi ali della pace batton via, con triste fruscio, dalle finestre spalancate. La più difficile di tutte le parentele è quella dei suoceri; e, se si vuole specificar più oltre, quella della suocera. Quali relazioni corrono tra suocera e genero lo dicono tutti i giornali umoristici e ne risuonano gli echi giocondi delle scene. Ma se questa coppia forzatamente avvinta si presta con tanta facilità agli spunti comici (perchè in generale la donna inviperita è ridicola, e il maschio impaurito è amenamente assurdo), ben diversamente vanno le cose tra suocera e nuora: spesso la commedia si muta in tragedia. Una tragedia nella quale la colpa è propria del fato antico, e sembra non si possa attribuire personalmente a nessuno. Ci ha colpa la vecchia madre, se soffre nel vedersi soppiantata bruscamente nella direzione della casa, e, come sospetta talvolta, anche nell'affetto del figlio? Se soffre nel vedere intorno a sè, ogni momento, delle novità che turbano le sue abitudini, le sue idee, persino i suoi ricordi più cari? E ci ha colpa la giovane sposa se nella casa ove era entrata regina s'accorge di aver vicino a sè una potenza rivale, gelosa talvolta, tutta intenta a diminuir la sua autorità? Se anche nel cuore dell'uomo che credeva tutto suo, trova la resistenza d'un affetto precedente di lunga data, tenace, nutrito di elementi che a lei sono estranei? Se tollera mal volentieri che le sue innovazioni siano criticate, che le abitudini portate da casa sembrino inopportune? E in quanto al povero marito, la sua condizione è tutto quel che può esserci di penoso e di difficile, e qualche volta di ridicolo. Nemmeno lui ha colpa di quel che gli accade intorno. E non ha spesso voglia di dar pareri fra le due avversarie, per non esporsi a scene fastidiose e di giorno e di notte. In questo caso, il miglior consiglio sarebbe separarsi. Ma non sempre è possibile... E allora bisogna richiamar tutto quello che si possiede di prudenza e di tolleranza, e andar avanti meglio che si può. E cercare, almeno, di avvolgere nel manto della cortesia l'asprezza delle relazioni inevitabili, e rammorbidirne gli urti con quelle buone regole che il galateo impone fra persone che vogliono vivere civilmente. Accade talvolta che la persistenza nei modi cortesi riesca anche a mutare i sentimenti, e che dopo qualche anno gli animi s'accorgano di non essere poi tanto ostili come credevano, e si inauguri pian piano il regno di una vera pace. Ma per giungere a questo, ci vuole dall'una e dall'altra parte un sincero buon volere. E non dica la madre: Io sono più vecchia, ho diritto che i riguardi vengano usati a me, prima ch'io li usi a lei. - Pensi che, appunto perché è più vecchia, ha l'obbligo di esser più saggia e tollerante; pensi che il vero affetto pel figlio deve suggerirle una larga indulgenza per amor della sua pace, quando si tratti di cose veramente gravi. Si ricordi che anch'essa, quand'era giovane, si ritrovò forse a cozzare coi gusti e le idee della generazione antecedente, e non si meravigli se il mondo, in trenta o quarant'anni, è mutato ancora... Perciò non si mostri ostile sistematicamente alle novità che vede introdotte nella casa dalla giovane sposa che viene da una famiglia dove forse ha ricevuto un'educazione affatto diversa dalla sua; non faccia rimostranze nè imposizioni, non sia nemmen troppo larga di consigli, per non avere la mortificazione e la stizza di vedere che non sono quasi mai messi in pratica. Se ne viene richiesta, li dia con discrezione, mettendovi tutto il suo affetto, e corroborandoli di buone ragioni. E si rassegni a cedere ad altre mani il governo della casa, considerando che, dopo tutto, la cosa ha per lei un lato assai buono: le concede la sua libertà e diminuisce la somma delle sue responsabilità e dei suoi doveri. Se poi sorge qualche questione tra marito e moglie, non prenda alla cieca le parti del figlio, e se deve dar torto alla nuora, lo faccia con animo spassionato e con modi posati e amorevoli. La sposina poi si guardi bene dal dire: Io sono ora la padrona di casa, e ho diritto di comandare e di essere rispettata più di... lei. - No, la suocera avrà sempre, sopra di lei, il vantaggio dell'età maggiore e della maggiore esperienza. Per questo ha il diritto a un rispetto assoluto e immutevole; per questo è in grado di dar consigli e di far sentire la sua autorità. Non si mostri dunque riottosa e superba: accetti di buon grado gli avvertimenti che le possono essere dati riguardo all'andamento domestico, all'educazione dei figli, al modo di comportarsi con suo marito. La vecchia suocera l'ha conosciuto per tanti anni prima di lei! E tante volte uno schiarimento sul passato, una spiegazione riguardo al suo carattere possono risparmiare molti guai coniugali. Compatisca anch'essa qualche diversità di gusti e qualche debolezza dell'età: eviti le parole pungenti, i dispetti, le volgarità; guardi bene, soprattutto, di non far pettegolezzi presso il marito. Anzi, sappia, quando avesse da fare con un carattere addirittura bisbetico e petulante, soffrire in silenzio per amore del marito e dei figliuoli. Spesso la vittoria finale resterà a lei, e sarà la più bella e la più pura. A tavola, la suocera ha diritto di esser servita la prima, anche se ha ceduto lo scettro domestico; uscendo colla nuora ha sempre il posto d'onore. Il suocero poi che viva presso gli sposi non ha nemmeno la metà delle preoccupazioni e delle noie che sono descritte qui sopra. Generalmente egli fa vita a sè, occupato o pensionato che sia, passa molte ore fuori di casa, e non ha tempo, in generale, nè voglia, di far critiche minute e osservazioni perturbatrici. Tuttavia, la convivenza con persone d'altra età e d'altre abitudini può dar luogo a qualche pericolo per la pace domestica: si potrà evitarlo s'egli saprà comportarsi secondo le regole che la buona educazione prescrive a qualsiasi gentiluomo. Anche tra cognati o, per meglio dire tra cognate, la convivenza è difficile. Alle ragioni di precedenza nel governo domestico e negli affetti, si aggiunge talvolta un senso di gelosia e di invidia, perchè l'una delle due è più bella, più elegante, più colta e spiritosa. Talvolta il fratello intelligente se la dice più colla sorella simile a lui che colla sposina insulsa, di cui non è stato preso che per la bellezza, o per altre ragioni, e allora questa s'ingelosisce e s'impuntiglia. Talvolta la cognata è una povera zitella, senza bellezza e senza grazia, e la giovane sposa si crede in diritto di disprezzarla. Ma se le due donne hanno press'a poco la stessa età e gli stessi gusti, se hanno un fondamento comune di bontà e di saggezza, può darsi che non solo vi sia tolleranza reciproca, ma si venga formando, a poco a poco, una dolcissima amicizia. E talvolta l'amicizia esisteva già prima della parentela, e allora tutta la cura deve essere nel conservarla intatta e fragrante. Se nella storia sacra vi è un esempio commovente di tenero affetto tra suocera e nuora, in Noemi e Ruth, abbiamo nella storia moderna l'eroico esempio di devozione, in mezzo alle più terribili prove, tra Madama Elisabetta di Francia e Maria Antonietta. La più difficile però fra tutte le parentele è sempre quella tra matrigna e figliastra. Qui il contrasto terribile è nella natura stessa delle relazioni: qui nessun elemento comico può entrare a diminuire alquanto la tensione; qui la tragedia si accampa in tutta la sua severa inesorabilità. L'uomo che è rimasto vedovo ancor giovane ha tutto il diritto di ricostruire il suo focolare: se ha dei figli, il loro stesso interesse lo spinge a metterli sotto la guida di un'altra donna, in cui abbia tutta la sua fiducia. Ma questi figli portano ancora nel cuore il ricordo dell'estinta. Se sono maschi, più facilmente distratti e chiamati fuori di casa dagli studi, dai giochi, da altre ragioni, non formeranno un'opposizione molto grave; ma le figlie! Per loro, l'entrata della nuova moglie è un insulto al ricordo della prima, la sua nuova dominazione è una ingiustizia, una tirannia. E non mancano poi le anime zelanti a rinfocolar queste avversioni; sempre pronte a compatir la fanciulla e a dipinger la matrigna sotto i più foschi colori. Anche qui, spesso, la vittima maggiore diventa l'uomo, preso fra le tenaglie di affetti contrastanti, indeciso spesso fra il torto e la ragione. La donna che accetta di diventar moglie di chi ha già altri figli si ricordi che assume un obbligo doppiamente grave e doppiamente sacro. Se ella entrasse nella nuova casa con animo ostile, se verso quei poveri orfani si disponesse già a una severità ingiusta, a una colpevole intolleranza, ah, darebbe una prova ben dolorosa della meschinità e della bassezza dell'animo suo! Se non può aver per loro il cuore di madre, specialmente nel caso che da queste nozze venisse altra prole, si ricordi almeno di usar quell'amorevolezza e quella tolleranza che si deve a creature innocenti e prive di appoggio. Non faccia sentir loro con troppa durezza la inferiorità della loro condizione: si guardi bene dall'aizzare verso di loro l'animo del marito, dal fomentar discordie tra i fanciulli. E se vi fosse di mezzo anche la terribile questione degli interessi, serbi coll'onestà colla giustizia, colla tutela scrupolosa dei diritti, la possibilità che la differenza di condizione non influisca ancor più sinistramente. Ma si dà il caso talvolta che una donna di cuore di senno si mostri veramente ben disposta verso i figliastri, e invece trovi in loro una ostinata opposizione. Ho conosciuto un'ottima signora, la quale aveva preso, bambina ancora, la figlia di suo marito, e l'aveva educata amorevolmente, e non avrebbe desiderato altro che vedersi corrisposta nella sua affezione. Ma che? La fanciulla pareva che si facesse un gusto maligno di corrispondere colle scontrosaggini alle sue premure, colle ripulsioni alle sue offerte, con tutto un sistema di antipatia e di ribellione alla benevolenza dell'ottima donna... Fanciulla che leggi qui, se la sventura ti ha colpito togliendoti anzi tempo la mamma, non inacerbir la tua sorte vietando all'animo tuo la possibilità di un nuovo affetto. Serba pure il tuo culto verso la cara perduta, ma se una nuova donna ne ha preso il posto, studiati di trovare in lei qualche ragione di benevolenza. Forse essa cercherà di accaparrarsi l'animo tuo... E tu allora corrispondi quanto meglio t'è possibile, e vedrai la tua vita rifiorire di qualche conforto. Ma se ella fosse la classica matrigna, dura, ingiusta, indiscreta, allora pensa che è il caso di mostrare tutta la tua virtù. Soffri paziente, non fare scene inutili e volgari, non tormentare il padre con recriminazioni di esito molto dubbio, e confida nella Provvidenza che saprà aiutarti colle sue vie misteriose. Casi simili sono però, ai nostri tempi, assai più rari, perchè si va formando sempre più un concetto dì larghezza e di tolleranza anche nelle relazioni difficili. E se la guerra c'è, talvolta, e guerra anche accanita, le volgarità e le villanie, e le durezze inutili vanno sempre più scemando col crescere della buona educazione in tutti i ceti. Qualche difficoltà di relazione vi è anche tra parenti vecchi, nonni, e zii, e la turbolenta puerizia e l'adolescenza. In questo caso, i doveri maggiori sono sempre quelli dei giovani, che hanno obbligo di rispettare l'età e di compatir anche qualche debolezza. Generalmente l'affetto reciproco suggerisce senz'altro il contegno migliore; talvolta l'affetto della novella generazione non è molto vivo per l'antica: allora vi si supplisca colla cortesia, e i genitori, come anello di congiunzione, saranno quelli che debbono vigilare perchè tutti i riguardi siano usati; e i vecchi, ospiti nella loro casa, non abbiano mai a lamentarsi di mancanze a loro riguardo.

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Tanto che sia per le enormi difficoltà di trovarne, sia per le paghe esorbitanti e per il crescere di altre pretese, si tende ora sempre più a ridurne il numero, e certe brave signore, con prodigi di attività, riescono ad ingegnarsi con qualche donna a mezzo servizio, o a farne senza addirittura. Chi prende in casa una persona di servizio, specialmente se è donna, assume verso di essa molte responsabilità. E' obbligo suo, non solo trattarla bene materialmente, ma procurar che si trovi anche moralmente a suo agio. Perciò le si devono evitare i dispiaceri e le mortificazioni inutili, e, se non trattarla proprio come una della famiglia (il che sarebbe un errore iniziale, e si conviene solo alle domestiche di provata fedeltà, che sono in casa da anni) usare verso di essa tutta la benevolenza possibile. Bisogna ricordarsi che da uomo a uomo non c'è differenza alcuna secondo la legge di Dio, e se questa differenza c'è riguardo alle leggi sociali, essa si risolve in un obbligo maggiore di cortesia e chi tolleranza da chi ha avuto la fortuna di una buona educazione e di una condizione privilegiata. Bando dunque al tono burbero e aspro, alle attitudini imperiose e arroganti. L'uso di strapazzare la servitù è segno di poca educazione e di animo volgare, e pone la signora al rischio di sentirsi gravemente mancar di rispetto. E' vero che generalmente, ora, quell'uso va sparendo, perché le padrone han troppo paura di esser piantate sui due piedi, ma pure c'è chi approfitta di un carattere mite e timido, di circostanze speciali, le quali non permettono alla vittima di ribellarsi, e in tal caso sono doppiamente colpevoli. Ci si guardi, però, dal cadere nell'eccesso opposto: dal mostrarsi leziose e sdolcinate, dall'invertir quasi le parti; eccesso in cui cadono certe signore di cuor buono e di carattere impressionabile, che a un semplice muso di domestica si sentono mancar la terra sotto i piedi, e nel timore di perderla (anche se non è un tesoro!) le si strofinano attorno con parole insinuanti, con esibizioni (con regali...). - Senti - io dicevo a una mia amica che vedevo far proprio così - se costei ti vuol tormentare, ti tormenterà ancor più, accorgendosi della tua debolezza. Se ti vuol piantare, ti pianterà lo stesso; almeno, se la cosa deve accadere, non avrai perduto il tuo decoro, umiliandoti per nulla. - Eh - mi rispose lei, con un tremito nella voce - tu non sai... non puoi sapere... Credi che, in certi momenti, si diventa vili... Così è, e allora la domestica se ne approfitta e inalbera le sue pretese, e sa di poter fare ogni giorno un passo avanti, proprio come i ragazzi viziati da genitori deboli. Cortesia e fermezza devono essere la regola da cui una brava signora non si dipartirà mai, in queste difficili relazioni. Essa deve ben fissare, al momento dell'accordo, il programma di servizio, deve rammentarlo quand'è il caso, con ordini chiari e precisi, deve distribuire il lavoro in modo che la domestica non rimanga soverchiamente aggravata. E' naturale che, se ne tiene una sola, dovrà aiutarla in molte cose; se può tenerne più d'una, stabilisca con equità il lavoro di ciascuna. Si alternino le faccende più gravose colle più leggere e quando c'è bisogno di un servizio straordinario, o si domandan cose di maggior disturbo non si manchi di usar nel comando una formula cortese e riguardosa. Del resto, sarebbe una caricatura inutile il «per favore» - «per cortesia» usato ad ogni momento. Ai domestici si dava del tu o del voi a seconda l'età: ora prevale il lei, specialmente nell'alta Italia, e sarebbe inutile disgustarli violando quest'abitudine, dove c'è. Le ore di libertà e d'uscita devono essere stabilite fin da principio, quando si assume la persona di servizio, e rispettate sempre, salvo casi di impellente necessità. Ma le brave e buone signore che prendono in casa giovinette inesperte, venute per lo più dalla campagna, faranno bene a sorvegliar anche le loro uscite, e a chieder loro conto del modo con cui hanno speso il loro tempo. - Tener tutto chiuso non si può... - dicono giustamente le padrone di casa. E infatti, le cassette delle provviste che si devono usar continuamente bisogna che siano aperte. Ma aperti anche gli occhi della padrona, senza parere, perchè è incredibile l'astuzia con cui certe domestiche fanno sparire la roba di cucina. In quanto alle grosse provviste, ai cassettoni della biancheria, alle vesti, al denaro, ai gioielli, alla dispensa e alla cantina, è molto meglio che la chiave stia in luogo ben sicuro da tutte le tentazioni. E i domestici non potranno offendersene, se al loro entrar in servizio han già visto che si soleva tener chiuso. Quando però si abbia il sospetto di qualche sottrazione bisogna andar molto cauti nell'accusare; perchè altrimenti si possono aver noie gravissime, ma una volta che i sospetti sian divenuti certezza, colpire risolutamente e colle prove alla mano. Per un fatto di questo genere, o per gravi altre ragioni, si può licenziar un servo sui due piedi. Altrimenti corre l'obbligo dei tradizionali otto giorni, che talvolta poi divengono quindici e più. E talvolta si finisce con una conciliazione. Ma badi bene la signora che ci sia un sincero buon volere da una parte e dall'altra, perchè altrimenti potrebbe un giorno sentirsi rivolgere la frase umiliante: è stata lei che mi ha trattenuta. Un po' d'interessamento ai casi familiari della servitù può essere bontà gentile, ma ci si guardi dal cadere nella curiosità e nel pettegolezzo. E tanto meno la signora parlerà delle cose sue colla domestica. I tempi dei confidenti da scena sono finiti, e la donna che oggi ha raccolto le vostre confidenze, domani, se è licenziata, se ne farà un'arma contro di voi. Le signorine, specialmente le giovinette, sono inclinate all'amorevole e fiducioso chiacchiericcio colle cameriere, e talvolta se ne fanno complici in qualche amoretto clandestino. E' questo un gravissimo errore di convenienza e di dignità: le mamme sagge si servano di tutta la loro vigilanza perchè ciò non accada mai. Impediscano dunque che tra le figlie e le domestiche ci sian conversazioni inutili e le tengano lontane per tutto quel che non riguarda il servizio. E non si discorra in famiglia, e specialmente a tavola di argomenti delicati in presenza dei domestici. Essi stanno colle orecchie tese, pronti a intendere e a fraintendere, e a metter poi in giro ciò che hanno sentito e capto a modo loro. Si dissimulino anche, per quant'è possibile, i dissapori domestici. In certe circostanze di solennità, o per qualche lavoro straordinario, si dà alle persone di servizio una mancia proporzionata all'età, al tempo da che sono in casa, all'importanza del loro lavoro. Si usa anche far loro dei regali in natura; ma sarà bene sceglier sempre oggetti pratici, e badar alla solidità più che all'eleganza, se si tratta di capi di vestiario. In quanto poi agli indumenti smessi, si diano alle persone di servizio solo quelli che possono essere adatti alla loro condizione: non è bello veder la cameriera colla camicetta di raso azzurro, guarnita di pizzi o col paltoncino di velluto che la signora indossava prima. Ed è bene far loro comprendere che tale eleganza sciupata sarebbe di pessimo gusto, e che a loro si addice molto meglio un vestitino semplice, ma fresco e pulito. La livrea ormai non si usa più che dalle case principesche. I padroni che tengono servitù maschile hanno però il diritto di pretendere che si presenti sempre in abito decentissimo, e in ciò devono contribuire secondo accordi speciali: normalmente un domestico porta durante il giorno una giacca rigata; a tavola serve con giacca bianca e guanti bianchi. Le cameriere portano generalmente grembiule e cuffietta nel servizio, e bisogna persuadere le riottose che sono molto più graziose così che non nel figurino svisato che preferirebbero adottare. La balia poi... oh, quella va soggetta a tutti i capricci della gente di cattivo gusto e di molti denari. Una volta, si usava che la balia portasse il costume del suo paese, eseguito con ricchezza e fedeltà che si poteva maggiore. Ora anche in questo campo si preferisce maggior semplicità. La balia, questo importantissimo personaggio, ha ora delle pretese fantastiche, e dei capricci incredibili, ben sapendo che tutto le sarà permesso e concesso. Essa ha in mano un'arma troppo potente... E la condizione della mamma non è davvero molto allegra dinanzi a lei. Cerchi, colle buone, di persuaderla, di domarla, di piegarla; abbia una gran pazienza con quella rozza montanara che crede di poter fare in tutto e per tutto a modo suo. Talvolta, però, la balia si affeziona non solo al bambino, ma anche alla famiglia, e non è raro che si trasformi in una domestica brava e fedele. L'acquisto, allora, è stato prezioso, e compensa il sacrificio che può essere costato. I bambini sogliono essere il tormento della servitù, coi loro capricci, le loro bizze, le loro piccole tirannie. Una saggia mamma non deve permettere che i suoi figlioletti stiano troppo in relazione con loro; ma se ciò qualche volta è inevitabile, guardi di avvezzarli ad essere cortesi, a non impermalirsi di poco o nulla, a non alzar la voce insolente. E nelle questioni che talvolta sorgessero, il suo amor materno non deve accecarla sino al punto di non riconoscere che qualche volta una povera servetta, maltrattata ingiustamente dai piccoli tiranni, merita di essere compatita se le scappa la pazienza... In quanto agli obblighi dei domestici verso i padroni, si riassumono in questi: fedeltà, obbedienza, rispetto. Del primo, risponde la loro coscienza, e non è il caso di parlarne qui: riguardo all'obbedienza, essa può essere talvolta semplicemente questione di rispetto. Può piacere o meno di far una cosa; ma quando i padroni la comandano (naturalmente si parla di cose lecite) il buon servo deve obbedire, e non stare a discutere gli ordini. Le cerimonie di rispetto variano poi, naturalmente, da casa a casa, secondo l'importanza ma il minimum che consiste nel contegno ossequioso e discreto non deve tralasciarsi mai, neanche nella più modesta famiglia. Non si deve dunque permettere che i servi designino la persona dei loro padroni se non con l'appellativo di signore, signora e signorini, oppure col titolo nobiliare, sempre preceduto, s'intende, dal predetto appellativo: signor conte, signora baronessa. Non entreranno nelle stanze senza chieder permesso, non alzeranno troppo la voce parlando, non prenderanno mai per primi la parola. Non entreranno mai nei discorsi dei padroni: è sconvenientissimo poi che a tavola, servendo, mettano bocca nei fatti loro. Avranno cura di non presentarsi se non in aspetto decente, e dovendo porgere qualche oggetto ai padroni, si serviranno sempre d'un piatto o d'un vassoio. Ammoniti, ascolteranno ciò che vien detto loro, senza ribattere scortesemente. Se il rimprovero è giusto, sarà tutto a loro vantaggio, se così non fosse, hanno il diritto di addurre le proprie giustificazioni; e se lo fanno con bel modo e con ragioni persuasive i padroni sarebbero ben caparbi e stolti se non si arrendessero. Tra persone di servizio, quando ce n'è più d'una, bisogna cercar di andar d'accordo. Le vecchie abbiano indulgenza e buon garbo nell'istruire le giovani: queste procurino d'esser docili e rispettose. Tra maschi e femmine si eviti ogni confidenza soverchia, che è male per se stessa, ma che può esser fonte di altri e gravissimi mali.

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IL PORTAMENTO - LE VESTI A MENSA - IN CONVERSAZIONE PRESTAZIONI - SALUTI COMPLIMENTI 2

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Ricevere in casa propria un amico che giunge nella nostra città o viene a passare qualche giorno in campagna con noi, è uno dei piaceri più vivi della vita. E non meno grande è il piacere di chi viene, quando sa che il cuore gli è aperto come le braccia, e che la sua presenza non porterà nessun disturbo. Bisognerà pertanto andar molto adagio nell'accettare gli inviti. Talvolta son fatti per pura convenienza, talvolta son fatti con reale cordialità, ma al buon volere non corrispondono i mezzi, e la presenza d'una persona in più pesa un po' troppo sul bilancio e turba le modeste abitudini di casa. E' meglio resistere amichevolmente, in tal caso, anzichè sentirsi poi a disagio. Ma quando le condizioni richieste si presentano in realtà tanto chi riceve quanto chi accetta deve manifestare con tutto il suo contegno, lieto, cordiale, espansivo, quanto sia grande la propria soddisfazione. Chi riceve è in obbligo di recarsi alla stazione all'ora dell'arrivo, o di mandare qualcuno della famiglia. Se la stazione fosse notevolmente distante dalla casa, come accade spesso in campagna, e non vi è servizio pubblico, bisogna pensare a far trovare pronto un veicolo, sia noleggiandolo, sia mandandolo di proprio, se l'invitante ha la fortuna d'aver vettura o automobile! Condotto a casa festosamente l'ospite, dopo i primi saluti si introduce nella camera a lui destinata, e lo si invita ad accomodarvisi, esortandolo a considerarsi come in casa propria. Se l'ora del pasto è ancora lontana, si offra un ristoro di caffè, biscotti, bibite fresche o altro, secondo la stagione, poi si lasci in libertà, supponendo che abbia bisogno di riposarsi alquanto, o almeno di metter in ordine la sua roba. La camera dev'essere pulitissima, adorna della migliore biancheria, fornita di tutto ciò che può essere necessario, e deve spirare anch'essa, per così dire, l'allegrezza e la festa dei padroni di casa. E ciò non è difficile: bastano pochi fiori nei vasi, o qualche tralcio di verdura, chiare tendine ai vetri, qualche ninnolo di buon gusto sui mobili. La padrona di casa deve vigilare perchè questo aspetto giocondo del primo arrivo non venga poi meno e deve insistere cordialmente presso l'ospite, perchè manifesti ogni suo desiderio, se mai avesse bisogno di qualche altra cosa per sue speciali abitudini. A tavola gli va dato il posto d'onore, e si deve cercar di trattarlo meglio che sia possibile, indagando i suoi gusti e cercando di soddisfarli. Nel corso della giornata, si cerchi di tenergli compagnia senza imporsi in modo da privarlo della sua libertà, e s'egli desidera talvolta di rimaner solo, si rispetti il suo desiderio. Talvolta una persona si reca in una città per vederne le bellezze: se v'è nella famiglia qualcuno che abbia pratica e cultura sufficiente per essergli di guida gradita, è obbligo suo di farlo: altrimenti si lasci libero di provvedere in altro modo. Se poi viene per affari, basta contentarsi di dargli quelle indicazioni che eventualmente egli richiede: metterglisi alle costole sarebbe una vera indiscrezione. In campagna poi, si deve lasciargli ampia libertà di girare il parco o giardino o i campi, e nel tempo stesso indicargli le passeggiate più gradevoli e accompagnarlo. I padroni di casa devono poi cercar di divertire gli ospiti, quando son giovani e vivaci, con qualche bella gita, con qualche invito ai vicini, con qualche partita di piacere secondo l'opporportunità dei luoghi. La conversazione dev'essere vivace, serena, improntata al buon umore: non è permesso mostrare una faccia immusonita che faccia sospettare all'ospite di esser venuto a noia, o di dar qualche disturbo. Se i padroni di casa hanno dei pensieri fastidiosi loro particolari (può capitare a tutti, purtroppo!) cerchino di dissimularli. E si guardi anche di evitare in sua presenza di sgridar i bimbi, di rimproverar i servi di... discutere troppo vivacemente tra marito e moglie o tra altri membri della famiglia, di raccontar liti o pettegolezzi avuti coi vicini. Queste cose disgustano una persona di delicato sentire, e la mettono spesso in una condizione di penoso imbarazzo. Infine, chi è ricevuto in casa altrui ha però molti e delicati doveri. Anzitutto, non giunga con un corteo di valige e involti che faccia supporre in lui l'intenzione di una lunga permanenza. Tuttavia, egli deve avere con sè tutto ciò che serve al suo uso personale e alle sue speciali abitudini, giacchè sarebbe sconvenientissimo che lo chiedesse agli ospiti; e deve anche aver seco quel tanto di vestiario che sia richiesto dalle svariate circostanze. Non potrà dunque mancare, oltre l'abito da passeggio o da casa, anche un abito elegante da serata, quando abbia da supporre che dovrà intervenire a qualche pranzo di gala, a qualche ricevimento, a qualche concerto o rappresentazione. Il rispetto a sè ed ai suoi ospiti esige che l'abbigliamento sia sempre accuratissimo, e la pulizia scrupolosa. Quantunque gli sia stato detto ch'egli può e deve considerarsi in casa sua, egli non prenderà alla lettera questa espressione, se proprio non fosse presso amici intimi o parenti cordialissimi. Invece bisognerà ch'egli cerchi di uniformarsi agli usi e ai costumi di chi lo ospita, e senza parere di far un sacrifizio. Che se realmente fosse tale per lui, se avesse delle abitudini alle quali non sa rinunziare, è meglio che non vada in casa d'altri. Si astenga, per quant'è possibile, dal parlar inutilmente dei suoi gusti e delle sue preferenze; quando ne fosse richiesto, bisogna regolarsi secondo i casi. Qualche precettista severo impone di non palesarli affatto, e ciò, evidentemente, per evitare il pericolo che gli ospiti troppo cortesi e premurosi si affrettino ad assecondarli anche con loro disturbo. Ma io credo invece che, se si tratta di cose molto importanti e facilmente possibili, sia anche un piacere per loro di sapersi come regolare, e che nulla dia noia quanto l'incertezza d'aver fatto o no cosa gradita. A tavola, procuri di contribuire con una amabile conversazione al piacere comune. Si guardi bene dal contrariare le opinioni o i gusti altrui, di mostrare fastidio o sprezzo per qualunque cosa o persona, si astenga dalle discussioni in cui c'è pericolo di accalorarsi troppo. Se vi sono altri ospiti in quella casa, anche se non fossero persone molto a lui gradite, è obbligo trattarle con ogni cortesia. La tolleranza e la discrezione debbono essere una regola costante del nostro contegno, e se non sappiamo imporcela, sarà meglio evitar di stare in casa altrui. Il precetto che dette Don Abbondio ad Agnese, mentre salivano l'erta del castello dell'Innominato, è ottimo per sè, anche spogliato di quella impronta paurosa che era nel carattere del brav'uomo. «Ricordatevi, le disse, che qui bisogna far sempre viso ridente, e approvare tutto quel che si vede». Naturalmente, una persona dabbene che si rechi presso i suoi amici non si ritroverà mai nel caso di veder cose che la sua coscienza non approva. Tutt'al più dovrà chiudere un occhio sulla petulanza d'un bimbo, sulla vanità d'una fanciulla, sulla negligenza di qualche servo. Un rimprovero non potrebbe esser permesso che nella strettissima intimità. L'ospite deve saper bastare a se stesso, nel caso che i suoi amici non potessero molto occuparsi di lui. Legga, passeggi, stia nella sua camera, non vada indagando le occupazioni e gli affari della famiglia o della servitù. Sfugga ogni cosa che possa sembrare curiosità indiscrezione: si offra invece, opportunamente, a qualche servizio. Una giovinetta, una signora giovane anche anziana, purchè goda buona salute, possono benissimo tener in ordine la camera loro, e dar aiuto nelle faccende domestiche, dove non c'è molta servitù. Possono anche, eventualmente e con discrezione, dar una mano in cucina, se ci fosse qualche invito straordinario. Appena spirato il tempo precedentemente stabilito, l'ospite si disporrà alla partenza. Naturalmente, i padroni di casa gli faranno cortese insistenza perchè si trattenga ancora, ma egli deve avere il buon senso di comprendere se tali insistenze vengono solo fatte a fior di labbra, o se rispondono a un sincero desiderio, e deve avere la fermezza di resistere assolutamente, se abbia ragione di credere che la sua permanenza, quantunque gradita sotto l'aspetto dell'amicizia, possa recar disturbo protraendosi ancora. In tutti i modi, è sempre meglio lasciar desiderio di sè, anzichè correre il pericolo di esser ritenuti indiscreti. In campagna, generalmente, ci si trattiene più che in città. Partendo, si scambiano calorosi ringraziamenti. Gli ospiti affettuosi e gentili ringraziano chi è venuto a far visita in casa loro: chi ha ricevuto le cortesie ringrazia ben più a ragione. In realtà egli rimane con un debito morale, e qualche volta anche con qualche obbligazione materiale. Alle persone di servizio deve dar una mancia proporzionata ai servizi ricevuti e alla durata dell'ospitalità: sarebbe molto sconveniente far questo in presenza dei padroni di casa. Ma non deve temer che essi lo abbiano poi ad ignorare: il viso ridente dei domestici nell'accompagnarlo alla porta sarà testimonianza sufficiente, e tanto più quanto sarà stata più larga la mancia. Giunto a destinazione, l'ospite dovrà scriver subito alla famiglia presso cui ha dimorato lettera a cui è obbligo di risponder subito, per non far nascere il dubbio fastidioso che non sia giunta e il timore d'aver fatto cattiva figura. In essa egli renderà conto del viaggio, e rievocherà i bei. giorni passati insieme, ripetendo i suoi vivi ringraziamenti. Chi credesse di cavarsela con una cartolina illustrata mostrerebbe di essere uno screanzato. Bisogna poi ch'egli pensi a un modo anche materiale per manifestar la propria riconoscenza: ma sarebbe indelicatezza mandar subito un regalo: si aspetti alla prima occasione, per la ricorrenza di qualche festa. Il regalo può essere di ogni genere, ma sempre proporzionato all'entità delle cortesie ricevute, e al gusto dei padroni di casa: un oggetto d'arte, un libro di valore, un lavoro eseguito di mano propria, qualche giocattolo, se vi sono bimbi. Una specialità gastronomica di qualche valore può essere pure molto gradita, ma solo fra persone di confidenza. Un'altra avvertenza è importantissima per chi è stato qualche tempo in casa altrui. Naturalmente egli è rimasto unito alla vita di famiglia, e ha veduto e sentito molte cose. Partendo, cerchi di dimenticarsi tutto quello che non potrebbe tornare se non a onore degli ospiti. Non si lasci vincere dalla voglia di dimostrarsi più informato degli altri, taccia gli interessi a cui fosse stato immischiato, i discorsi che potesse aver udito. E va da sé che si mostrerebbe sommamente villano e ingrato se osasse andar sparlando di loro, in qualsiasi maniera. Quando fosse richiesto delle sue impressioni, si limiti a parlare delle cortesie ricevute, del buon volere dimostrato, del piacere goduto, così genericamente, e scansi ogni inchiesta indiscreta. I precetti che qui sopra abbiamo esposti si applicano anche, con qualche lieve differenza, alle pensioni di famiglia. Chi tiene pensione deve cercare di accontentare in tutto i suoi clienti, che in fine son poi come ospiti, e di dar loro quegli agi e quel trattamento che si convengono ai patti stabiliti, mettendovi di più un'amorevolezza cordiale. E chi sta a pensione abbia riguardo anche al comodo e al gusto altrui: cerchi di essere puntuale ai pasti, non disturbi col rientrar troppo tardi in casa, non abbia esigenze irragionevoli. Gli è bensì consentito di esporre i suoi desideri e anche le sue preferenze: non gli è permesso brontolare e lamentarsi o per questo o per quello, ad ogni istante: piuttosto cambi pensione. Ha naturalmente l'obbligo di dar le mance usuali alla servitù, nelle solennità, e quando lascia la casa, e, se gli sembra opportuno, farà cosa gentile offrendo tratto tratto qualche dono alla padrona di casa. Lasciando la pensione, non mancherà di ringraziare per le cortesie ricevute (o poche o molte che siano state!) e se veramente ha avuto da lodarsi di chi la teneva, scriverà almeno una volta dalla nuova sede, e si ricorderà poi con qualche biglietto o cartolina illustrata nelle ricorrenze festive.

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L'invito a una festa da ballo deve essere fatto quindici giorni prima; quello a un tè pomeridiano o a un trattenimento serale almeno una settimana prima, e così pure a un pranzo di gala. Per un pranzo alla buona, si può invitar anche due o tre giorni prima. Si può fare l'invito a voce se si è in confidenza. Altrimenti si scrive un cortese biglietto oppure si manda un cartoncino elegantemente stampato. In quest'ultimo caso, la dicitura è press'a poco questa: «Il signore e la signora X Y saranno in casa la sera del ..... alle ore .....» Si suole anche aggiungere: abito da società o abito nero, il che vuol dire la massima gala, a cui corrisponde abito scollato per le signore. Ciò è comodo a sapersi dagli invitati. Dare una festa da ballo è certo un grave impegno, e non ci si deve mettere chi non abbia il modo di cavarsela con molto onore. Bisogna anzi tutto stabilire nel bilancio preventivo una spesa notevole, bisogna poi avere una casa adatta, e poter disporre di almeno tre sale libere e comunicanti, dopo l'anticamera. Nella prima sala, ch'è la più ampia, si svolgono le danze. Essa dev'essere abbondantemente illuminata, adorna secondo il gusto della padrona di casa. Nessun mobile, se non divani e sedie lungo B. muro: una tela stesa a terra a guisa di tappeto. In un angolo, dissimulata tra i fiori e gli arbusti, l'orchestrina. Si capisce che in una vera festa da ballo si chiamano suonatori di professione, e non si pensa neppure d'inchiodar al piano qualcuno della famiglia, o magari di pregare qualche invitato. Al giorno d'oggi però, quando il ballo non debba avere un carattere speciale d'ufficialità o etichetta, l'orchestrina è spesso sostituita da un radiogrammofono con buoni dischi, sempre s'intende se è ballo in casa privata. La seconda sala è ad uso delle mamme che non ballano, e in generale delle persone mature che stanno a discorrere fra di loro: qui vengono anche i danzatori a riposarsi. Abbandoneranno poltrone, sedie, divani e ogni comodità. Per gli uomini però sarà meglio, potendo, preparar una saletta apposita, perchè vi stiano a fumare e trattenersi a loro agio; tanto meglio, se c'è, il bigliardo. Finalmente c'è la saletta del buffet, che deve rimaner chiusa sin verso mezzanotte. Essa avrà una lunga tavola centrale su cui stanno disposti cibi freddi e bevande, e, se vi è spazio sufficiente, piccole tavole ove siederanno gli invitati. Il trattamento deve essere finissimo: pollo in galantina, sformati, crostini assortiti, pesce in mayonnaise, arrosto di vitello ecc.; paste, dolci in quantità, biscotti e confetture, aranci e mandarini. Per bevande, vini bianchi, asciutti e dolci, e lo champagne che può benissimo essere sostituito dal nostro spumante d'Asti. Generalmente gl'invitati si servono da loro, o per meglio dire i cavalieri servono le loro dame, dopo averle fatte sedere. Ci devono però essere almeno due domestici al servizio generale. E s'intende che, anche prima o dopo la cena, devono circolare altri rinfreschi: limonate, aranciate, gelati, ecc. I padroni di casa debbono essere pronti qualche tempo prima dell'ora fissata, per ricevere i loro ospiti. Indosseranno l'abito prescritto: se gli invitati devono portare la marsina sarebbe una grave sconvenienza che il padrone di casa avesse la giacchetta o l'abito chiuso, per le signore sarebbe poi una mortificazione assai grande giungere, per esempio, con un vestito di mezza gala, e trovar la padrona scollata e tutta scintillante di gioielli. Il padrone di casa, sua moglie, gli altri della famiglia devono dedicarsi esclusivamente ai loro ospiti. Se sono in età ancor giovane, aprono il ballo rispettivamente coll'ospite di maggior riguardo: se così non è, tale ufficio spetta ai loro figli o nipoti. Avranno cura che nessuna signorina resti a sedere troppo a lungo, invitando e facendo invitare quelle che non avessero molti cavalieri desiderosi di loro: faranno buona compagnia alle mamme sedute, gireranno per le sale, osservando che tutto vada bene e incoraggiando con piacevole serenità il divertimento comune. Avranno poi d'occhio la sala del buffet perché ognuno si serva e sia servito agiatamente, e avranno anche pensato - cosa indispensabile - a un gabinetto di toilette dove una cameriera stia pronta a rimediar qualche guasto accaduto durante il fervor delle danze. La festa suol finire generalmente verso le quattro o cinque del mattino, dopo il cotillon nel quale saranno distribuiti doni graziosi ed eleganti: talvolta anche di qualche valore. Invitando a un trattenimento serale con musica, è bene dar anche il programma dei pezzi che saranno eseguiti. Non si faranno cantare e suonare solo dei dilettanti, ma ci vorrà anche qualche artista. Si badi però che il programma musicale non sia troppo denso... perché molti amano più conversare che ascoltare, e nemmeno troppo grave, perché la musica classica non è da tutti. Anche per questo, sarà cura degli invitanti preparare una o più sale ampie e ben illuminate, ornate con eleganza severa, e disporre perché circolino abbondanti rinfreschi. L'abbigliamento può essere di gran gala (e allora i padroni avvertiranno) oppure di mezza gala, non mai da visita o da passeggio, ed essi ne daranno l'esempio. I tè sono riunioni che tengono la mezza via tra gli inviti di lusso e quelli intimi, e terminano a volte con quattro salti. Si svolgono fra le cinque e le otto del pomeriggio. La prima cosa per offrire bene un tè... è farlo buono, il che non è sempre facile. Un buon tè dev'essere biondo, chiaro, caldissimo. La padrona di casa serve il tè ella stessa, facendosi aiutare dalle signorine o anche da qualche giovanotto intimo di casa. Sulla tavola coperta di una finissima tovaglietta stanno la teiera, il bricco del latte, il limone o la caraffa del liquore; tartine, dolci e biscotti svariati e abbondanti. Soltanto se il numero degli invitati fosse molto grande, si serve a gruppi, su piccoli tavolini, altrimenti ciascuno rimane al suo posto. Ad ogni persona si chieda, servendola, se gradisce limone, panna o liquore coll'aromatica bevanda, si ripete poi il giro, offrendo una seconda tazza e magari anche una terza. Ma siccome non tutti hanno pel tè una grande simpatia, sarà bene aver anche pronto un bricco di ottimo caffè, nonché vermouth e aperitivi per chi arriva sul tardi. Oltre ai biscotti, ai crostini (non mai paste con crema o panna) si suol mettere sulla tavola, seguendo l'uso inglese, un dolce di larghe proporzioni: torta, marzapane, plum cake o simili, che si taglia per ultimo. Si faranno poi circolare bibite svariate, caramelle e cioccolatini in eleganti coppe. La padrona di casa che offre un tè riceve con un abito elegantissimo, non però scollato; le visitatrici in abito da visita con qualche ricercatezza. Non si toglieranno il cappello. In questo dopoguerra sono venuti di gran moda, sulla scia dell'uso americano, i cocktails, che permettono di invitare anche gli uomini, i quali, essendo occupati durante la giornata, difficilmente possono intervenire a un tè. Si tratta di riunioni che iniziandosi verso le sette di sera, dovrebbero di regola durare due tre ore, ma volendo si possono anche protrarre (comunque, non oltre la mezzanotte) assumendo un po' il tono di cena in piedi, e che possono essere anche danzanti. Ai cocktails non si offre tè, ma aperitivi, vermouth, bibite varie e soprattutto quelle misture di liquori che danno il nome alla riunione: il tutto accompagnato da tartine, pasticcini salati e dolci come per il tè, ad esclusione delle torte. Se la riunione assume il tono di cena si offrirà anche una tazza di brodo, o un risotto, e qualche piatto freddo. Le signore indosseranno per questi inviti un abito più elegante che non per i tè, da mezza sera, che può essere un po' scollato ma non lungo; gli uomini un abito normale grigio scuro o blu. I pranzi di gran lusso, quelli a cui si va in marsina e abito scollato, sono, più che altro, noiose parate di convenienza. Chi è al caso di offrirne ha generalmente a sua disposizione anche un maggiordomo e un capo cuoco coadiuvato da numerosi vassalli (come dice Dante) e non ha bisogno dei consigli di questo libro. La sala ove si darà il pranzo dovrà essere ampia in proporzione degli invitati, riscaldata moderatamente nell'inverno, aereata nell'estate. L'illuminazione deve essere abbondante. Generalmente pendono dal soffitto le eleganti lumiere o circondano i doppieri le pareti, ma qualcuno usa anche mettere bei candelabri con candele di cera. Questione di gusti. La tavola ampia, in modo che ognuno disponga almeno di sessanta centimetri di spazio, sarà coperta da una tovaglia ricadente ai lati: la tela damascata di Fiandra, benchè ancora usata dalle famiglie che ne hanno guarniti gli armadi, non è più moderna, e viene sostituita piuttosto da altre tele di lino, purchè finissime, variamente lavorate. Sotto la tovaglia ci deve però essere una grossa coperta, bianca o di colore adatto alla trasparenza se la tovaglia è traforata, per attutire i rumori e preservare il tavolo dalle eventuali macchie. La decorazione di fiori si può fare in vario modo: grandi coppe larghe e basse, per non impedire la vista, ricolme di fiori variopinti, o vasetti di fino cristallo o di metallo collocati presso ogni convitato, o ghirlandine leggere che corrono lungo la tovaglia. Si badi però di evitare ogni ingombro soverchio. Per questo sono state abolite anche le grandi alzate di frutta e dolci che una volta solevano guarnire le mense. Il tovagliolo va messo alla sinistra del piatto, piegato in quattro, semplicemente: a destra coltello e cucchiaio, a sinistra la forchetta. La piccola posata per frutta e dolce si colloca orizzontalmente davanti al piatto. Tre calici di varia dimensione servono per l'acqua, pel vino da pasto e pel vino bianco. Le coppe dello spumante si possono portare al momento. Sulla credenza e sopra una piccola tavola, ambedue coperte di fini tovagliette, staranno pile di piatti, posate di ricambio, tovaglioli di riserva, bicchieri, boccie di acqua e di vino già pronto, oltre alle bottiglie che vanno sturate al momento. L'argenteria abbondante e massiccia, la fine porcellana, i cristalli delicati sono la gloria e l'eleganza della mensa, oltre la biancheria. E' troppo giusto che gli invitanti sfoggino quanto hanno di meglio in queste occasioni, e non lo fanno certamente per vanità, ma pel desiderio di onorare gli ospiti. I posti sono talvolta indicati da cartelli, e così pure si suol collocare vicino ad ogni piatto la lista dei cibi, in elegante cartoncino fregiato da decorazioni artistiche. Ma questa usanza sa troppo di albergo... o di banchetto diplomatico. Il padrone e la padrona di casa siedono l'uno di fronte all'altro ai due capi della tavola, avendo ciascuno ai lati le persone di maggior importanza. Se vi è un sacerdote, spetta a lui il posto d'onore che è quello a destra della padrona di casa. Il servizio comincia il suo primo giro dalla signora che sta a destra del padrone, il secondo dalla signora che sta a sinistra, il terzo dal signore che sta a destra della padrona, il quarto da quello che le sta a sinistra. Ad ogni portata, si deve far girare due volte il vassoio. Le persone che fanno il servizio devono essere addestrate a farlo con precisione e disinvoltura; la padrona le tenga d'occhio, ma se qualche principiante commettesse una svista, non metta in evidenza la cosa, e si riservi a far dopo le sue avvertenze. Nulla è più spiacevole di sentir a tavola, una signora dar lezione alla cameriera, e peggio ancora se la rimproverasse o mortificasse. La scelta delle portate dev'essere varia e gustosa per avere il gradimento generale. Ora non si usano più, grazie al cielo, i banchetti pantagruelici a cui resistevano, e non si capisce come! gli stomachi dei nostri avi. Ma non bisogna esagerare nell'altro senso. Chi si reca alla mensa altrui ha diritto che sia soddisfatto ampiamente il suo appetito, e il numero e la varietà dei cibi deve in certo modo compensare la libertà ch'egli avrebbe a casa sua, di scegliere e mangiare comodamente, nonchè il sacrifizio delle sue abitudini e dei suoi gusti personali. Bisogna dunque usare una certa larghezza. Francesco Petrarca si compiaceva per conto suo dei pesciolini che gli riusciva di pigliare nelle «chiare, fresche e dolci acque» della sua Sorga, e del pane scuro che si faceva dare dall'ortolano, ma quando riceveva ospiti li trattava splendidamente. Un pranzo di gala è composto di tre o quattro portate oltre la minestra e il dolce. Dopo la minestra si avrà un primo piatto leggero, generalmente pesce con salsa; anche un fritto variato può andar bene. Indi un piatto di carne con contorno, uno sformato o pasticcio, l'arrosto di pollo o vitello con insalata, e finalmente il dolce e le frutta. In pranzi più semplici si sopprimerà il primo piatto di carne e magari anche il piatto di mezzo. Una colazione sarà sempre molto più semplice di un pranzo, poiché si suppone che gli invitati debbano andarsene presto avendo altri impegni per il pomeriggio: in generale avrà al massimo una portata di carne ed una di verdura, oltre, si capisce, dolce e frutta. Alla minestra asciutta si potrà sostituire un antipasto variato (prosciutto, burro, acciughe, sottaceti, insalata alla russa, ecc.), accompagnato magari da una tazza di brodo. Si tenga comunque presente, nell'organizzare un pranzo, che in nessun caso la durata di esso dovrebbe superare l'ora. La minestra non si porta in tavola, ma si serve da un lato, o si fa trovar pronta nelle scodelle. La prima portata deve sempre essere presentata da sinistra, mentre il piatto usato si porta via da destra: le posate si cambiano ogni volta. A tavola non si scalca: i polli devono comparire già fatti a pezzi e la carne tagliata a fette. L'insalata si presenta già condita. Per evitare la sbucciatura delle frutta è molto elegante l'uso della cosidetta macedonia, molto impropriamente chiamata, all'inglese, insalata di frutta. Zucchero e vino bianco finissimo si versa nelle coppe ove prima saranno disposte sbucciate e tagliate a spicchi o a fette le frutta più delicate. Se si serve il gelato, vi deve sempre essere unito un piatto di pasticcini leggeri. Il caffè dev'essere aromatico, caldissimo, abbondante: si serve in eleganti tazzine che sono di stile speciale, oppure analoghe al servizio già usato per la mensa. I vini si servono gradualmente secondo i cibi, dai più leggeri ai più forti. Ogni regione di questa nostra fertilissima Italia ha i suoi, sicché si potrà pasteggiare con Chianti e il Barbera, servir il Capri dopo il pesce, il Barolo dopo l'arrosto, il vin Santo e lo Spumante d'Asti in fine di tavola. Ma nessuna eleganza di preparativi, nessuna squisitezza di cibi o bevande potrà valere quanto la cordiale cortesia degli invitanti. Essi devono tener presente che tutto, in quelle ore, deve contribuire alla gioia e alla serenità dei loro ospiti. L'accoglienza dovra dunque essere improntata al desiderio di compiacerli e rallegrarli in tutto. Essi li attenderanno in una sala attigua, vestiti con eleganza, e pronti un quarto d'ora almeno prima dell'invito; faranno festa ad ogni arrivante e lo presenteranno agli altri, trattenendo la compagnia in piacevole conversazione, sino a che non viene dato l'annunzio che il pranzo è servito. Allora il padrone di casa offre il braccio alla dama più ragguardevole: vengono poi gli altri, a coppie, e ultima la signora di casa col suo cavaliere. Durante il pranzo gli anfitrioni devono vigilare che tutti siano ben serviti. Toccherà a loro mantener nutrita la conversazione, proponendo piacevoli argomenti, ed eliminando avvedutamente ogni soggetto meno che conveniente. Se c'è un festeggiato, il padrone di casa farà, alla fine del pranzo, un breve brindisi in suo onore; se il brindisi è fatto da altri, si alzerà a rispondere in nome di tutti. Avvertiamo che ora, nei brindisi, non si usa più toccare i bicchieri: basta alzarli moderatamente. E dopo tanta... prosa, non dispiaccia la poetica descrizione d'un banchetto, dovuta a quell'impareggiabile artefice di versi che fu Ugo Foscolo:

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L'occasione di far qualche dono ai parenti e agli amici si presenta con molta frequenza: o sono i doni di prammatica per le solenni circostanze delle cresime, delle prime Comunioni, degli sposalizi, o son quelli che si offrono per Natale e Capodanno e per gli onomastici e i natalizi, o sono finalmente quelli che ci sentiamo in bisogno di offrire a testimonianza del nostro affetto o in ricambio d'un favore ricevuto. Spesso accade, però, che il piacere di far un dono è schietto e generoso; ma vien turbato e diminuito dall'incertezza della scelta. E può anche capitare, che a forza di dubbi e di incertezze, si vada proprio a far la scelta peggiore, salvo ad accorgercene e rammaricarcene poi! Non sono forse piene le corrispondenze delle riviste, specialmente femminili, di domande e di risposte su questo argomento? Ora dobbiamo metterci in mente che un consiglio dato così distrattamente, val sempre meno del criterio di opportunità che noi ci possiamo formare, conoscendo la persona a cui vogliamo offrire il dono, e indagando, con un po' di avvedutezza, il suo gusto e le sue preferenze. Perchè un dono sia ben fatto, dev'essere adatto alle condizioni economiche di chi lo fa e di chi lo riceve, e adatto alle circostanze, nonchè alle abitudini e al grado sociale della persona cui lo vogliamo offrire. Una persona ricca si farebbe tacciar di spilorceria se presentasse un dono meschino per un matrimonio o in ricambio a un servizio, e ciò anche se si trattasse di gente alla buona. E un povero non dovrà mai fare un dono così fastoso da lasciar credere che non abbia potuto pagarlo, oppure gli sia costato pesanti sacrifici. Riguardo alle circostanze, abbiamo già accennato, nei vari capitoli, i doni che si offrono per i battesimi, per le cresime, per le prime comunioni; quali doni si scambiano i fidanzati fra loro, e quali si offrano dai padrini e da parenti e amici in occasione del matrimonio. Ripetiamo però ad ogni modo che qui c'è una gran libertà, che va crescendo sempre coi tempi. Ed è naturale: crescono le graziose creazioni dell'industria, mentre crescono sempre più i piccoli bisogni, o reali o artificiali. Così, mentre una volta era quasi di prammatica il dono di gioielli, ora invece si vede fra i regali ai giovani sposi una gran quantità di oggetti eleganti e pratici: argenteria, ceramica, tappeti, scrignetti, lampade elettriche, cartelle, mobilucci intarsiati, ecc. Presso gli anglosassoni c'è un'usanza molto pratica. La signorina che sta per maritarsi compila una nota degli oggetti desiderati e la sottopone ai parenti e agli amici, perchè scelgano l'oggetto che credono; poi, cancellato questo, passano la nota ad altri, sinchè la lista rimane esaurita, e tutti rimangono pienamente soddisfatti. Questa usanza comincia ad apparire anche fra noi, sebbene essa tolga un po' troppo la poesia del dono, che deve rappresentare un pensiero proprio. Ma per indovinare, chi sa far le cose con garbo, facendo abilmente un po' d'inquisizione presso gli intimi della persona cui vuol fare il dono, riesce ugualmente nel suo intento. C'è anche chi, invece dell'oggetto, offre il denaro corrispondente, ma questo non è da farsi se non tra strettissimi parenti. In ogni altro caso, il dono deve aver l'aria di una gentile sorpresa, e rispondere a un desiderio determinato dall'età, dal carattere, dalle abitudini, ecc. Ai bambini si regaleranno giocattoli e libri illustrati, e anche qualche scatola di dolci, affidandola però alle mani della mamma. Alle fanciulle qualche oggettivo di utilità diretta: astucci da lavoro, cartelle da disegno, musica, mobilucci eleganti, scrignetti intarsiati, fazzoletti di seta, ecc. A un giovanetto un astuccio da compassi, un album per cartoline, una macchina fotografica, un servizio da scrivere, un pallone pel gioco del calcio e, se volete essere molto generosi, un bell'orologio o... una bicicletta! A maschi o femmine, poi, sarà sempre un dono opportuno e gradito un libro illustrato, o una raccolta di monografie, o una serie di opuscoli a collana. Anche l'abbonamento a un giornalino potrebbe andar benissimo. Per gli adulti, la scelta è ancora più ampia, fra tante cose belle e utili che presenta la civiltà moderna. Basterà che la scelta sia ben fatta: allo studioso darete un libro pregiato o un servizio da scrittoio, o uno strumento dell'arte sua; alla signora elegante un astuccio con profumi, un portafazzoletti ricamato, un cofanetto da gioielli. Vi sono poi doni che possono piacere ed essere utili a tutti: un cannocchiale da campagna, un portaliquori o un servizio da tè, una lampada elettrica, un necessario da viaggio, o un gioco di dama, scacchi, o simili. E i libri belli e buoni, di recente pubblicazione, e statuette di bronzo o di ceramica, e le belle stampe e incisioni, e le riproduzioni fotografiche di monumenti e i quadri a olio, e le miniature e gli acquarelli... Un dono qualunque dev'essere sempre presentato con garbo e allora acquisterà un valore assai maggiore a quello intrinseco, mentre in certi casi anche un soggetto di gran pregio può riuscire poco gradito, e forse anche offendere. Non si creda di far bene, e di dimostrar modestia, se nell'atto di presentare il nostro dono, si affetti di spregiarlo e considerarlo cosa da nulla: sarebbe anzi una vera indelicatezza. Non occorre poi dire che non tocca a noi di magnificarlo, e di esaltarne il gusto e l'arte, e magari di lasciarne indovinare il prezzo. Non si crederebbe possibile, ma c'è ancora della brava gente che cade o nell'uno o nell'altro di questi eccessi, mentre sarebbe tanto opportuno ricordare il volto amico e il tacer pudico di cui parla il Manzoni. Un oggetto di casa, come un gingillo, un quadretto, un vaso, ecc. non si devono mai offrire come regalo di circostanza. Solo sarà lecito farlo, e anzi gradito, quando chi lo abbia veduto e ammirato ne abbia mostrato desiderio, ma sempre come regalo extra. Non si deve però in tal caso, se la persona rifiutasse, insistere con queste volgari ragioni: - Sono stanco di vedermelo sotto gli occhi! - Non so che farmene, ecc. Diremo invece garbatamente: - Sono ben lieto di poterti fare un piacere. - Quest'oggetto starà meglio in casa tua che nella mia. - Giacchè ti piace e lo gradisci, è tuo, ecc. Dono gradito e gentile è quello di un lavoro delle proprie mani. Ma chi non sa trattare con vera perizia il pennello, il bulino, i ferri da pirografare, l'ago da ricamo, ecc., si astenga dal presentare saggi infelici del suo buon volere. La persona gentile che li riceve, farà buon viso e ringrazierà anche di cuore, pensando alla fatica che avete fatto per amor suo, ma essa e chiunque altro veda il lavoro lo giudicherà, nel suo intimo per quel che vale. Un dono non deve mai essere fatto nel momento in cui chiediamo un favore, e nemmeno subito dopo l'averlo ricevuto. Gravissima sconvenienza poi sarebbe chiedere un favore a una persona poco dopo averle presentato o inviato un regalo. I regali si portano di persona, se è possibile, altrimenti si accompagnano con un biglietto gentile. Chi poi riceve il dono è obbligato a dar una mancia al portatore. E riguardo al donatore deve mostrar la più cortese riconoscenza, e gradire e lodare l'oggetto, anche se veramente non ne sappia che fare e non gli piaccia; bisogna che tenga conto della gentil intenzione e del sacrificio di spesa e di tempo che può anche esser costato. E se il dono non fu in ricambio di qualche importante servigio, egli si terrà obbligato ad un contraccambio, che farà però con tatto e delicatezza, alla prossima occasione. A proposito di doni, vien naturale anche qualche parola sui servigi che si possono chiedere e prestare tra amici. Vi sono taluni dal carattere molto espansivo che largheggiano in offerte... Quando poi viene il momento, sembra che se ne siano dimenticati del tutto. Il meno che si possa fare con questi cotali è di considerarli come gente dal cervello leggero, e procurare di non mettersi nel caso di aver davvero bisogno di loro. Agli amici buoni si potrà chiedere, con discrezione, e quando si sappia che davvero lo facciano volentieri, e senza loro troppo grave sacrificio, una raccomandazione presso qualche personaggio, una presentazione a chi ci possa giovare, l'ospitalità per noi o per uno della nostra famiglia per breve tempo e ragioni imprescindibili, e anche il prestito di qualche oggetto: una bicicletta, un cannocchiale, uno spartito, un libro, ecc. ecc. Chi prende a prestito una cosa qualunque assume l'obbligo di conservarne perfetta l'integrità. Se accade qualche guasto, deve ricomperar l'oggetto e far le sue scuse: restituirlo sciupato è una mancanza che non si può scusare nemmeno nella più stretta intimità. In quanto ai libri, c'è una pessima abitudine imperante anche tra persone agiate e civili: quella di non restituirli, che è ladreria bella e buona. Chi poi chiede a prestito un oggetto personale, come oggetti di vestiario, gioielli, finimenti, ecc. ecc. mostra di non conoscere i limiti della discrezione che va rispettata anche fra gli intimi. La questione del prestito di denaro esce veramente dai confini del galateo... C'è sempre però un suggerimento buono da dare: se prevedete che la persona non possa o non voglia, risparmiatele il penoso momento del rifiuto. Ricevendo una richiesta di qualsiasi favore, si rifletta un momento prima di negare o consentire: l'impulsività può farci errare talvolta. Promettere senza potere poi mantenere sarebbe spiacevole e mortificante: e nemmeno si deve dir un no reciso, mentre, pensandoci bene, può darsi che troviamo il modo di accontentare l'amico. E se il favore si concede, non si faccia con aria d'importanza; se si nega, il rifiuto deve essere almeno addolcito con gentili parole e buone ragioni. A chi ci chiede in prestito un libro o altro oggetto, non usiamo la scortesia di dirgli: bada che ne ho bisogno presto - spero che non lo sciuperai - non far che te lo abbia a richiedere. Tali formule sono scusabili appena con fanciulli; ma se voi non vi fidate di quella persona, trovate piuttosto una buona ragione e tenete il vostro oggetto al sicuro. Si tenga anche presente quando si vien richiesti d'una prestazione qualsiasi, o di una persona, o di borsa o d'altro, che chi dà presto dà due volte, e che iI modo premuroso e grazioso accresce pregio al servizio. Belle sono a questo proposito le parole che il Manzoni pone in bocca al conte di Carmagnola:

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Le persone veramente educate non dovrebbero mai farne una speculazione nè rendersi troppo schiave di questa passione: tuttavia la realtà non corrisponde sempre a questo principio. Perciò fu detto che a tavola e a tavolino si rivela la gente. La persona fine e saggia si comporta nel gioco con serenità e delicatezza, e non gli chiede più di quel che può dare, ossia un modesto svago, un piacere che però non deve essere soltanto suo. E perciò non mostra dispetto nelle perdite, e non imbaldanzisce vincendo: non lascia poi nemmeno lontanamente supporre che, oltre alla soddisfazione d'amor proprio, abbia anche la vogliuzza di quel poco guadagno... Se gioca con un compagno poco avveduto, e che è causa delle sue perdite, si guarda poi bene dal mortificarlo con rimproveri e col mettere muso. In caso di contestazioni, dopo esposte le sue buone ragioni, se vede che non valgono, preferisce lasciar cadere anzichè dar motivo di incresciose questioni e magari di liti. Non occorre poi dire che nel gioco, fosse anche colla posta di due soldi o nulla, si deve usare la più scrupolosa correttezza. Accade talvolta ai giovani di aver tutt'altra voglia che di sedere a un tavolino con delle carte in mano, eppure devono farlo, per compiacere un vecchio parente o un amico di casa. E' un piccolo sacrificio: lo facciano volentieri, senza mostrar che loro pesa, per riguardo a quelle care persone, e se queste avessero poi anche l'innocente vanità di voler vincere con frequenza, non rifiutino loro questo piccolo vanto. Nelle serate, specialmente di campagna, sono talvolta usati i cosidetti giochi di società, che sono occasione di gioconde risate, di scherzi piacevoli, di piccole malizie... Tra persone educate, sono innocenti e simpatici; possono anzi qualche volta esser perfino interessanti e istruttivi. Ma non sono esenti da qualche pericolo. Il cosidetto gioco della berlina, quello dei segreti, le domande e risposte, le cosidette penitenze si prestano talora a indiscrezioni e malizie. I giocatori dunque devono astenersi scrupolosamente da ogni personalità, da ogni allusione offensiva, da ogni confidenza soverchia. E questo si raccomanda specialmente nei riguardi reciproci tra giovanotti e signorine. Più ancora sono in uso adesso i giuochi all'aria aperta: il tennis, la pallavolo, la pallacanestro, tutti quelli che abbiamo importati dall'Inghilterra anche coi loro nomi esotici. Sono giochi eccellenti, e molto meno pericolosi per la moralità e la convenienza che quelli di salotto: si possono dire anzi assolutamente innocenti per se stessi. Tuttavia vi si mescola sempre un po' di varietà e di puntiglio; vi può essere da parte delle signorine un po' di civetteria, e un'affettazione di mascolinità che non è di buon gusto. Si evitino anche le soverchie familiarità: i giovanotti trattino con cortese cameratismo le loro compagne di gioco, e queste si contentino dell'onesto piacere dell'esercizio fisico e della soddisfazione di saper giocar bene. Per questi giochi si suol usare uno speciale costume, elegante e comodo: giovanotti e signorine si attengano a quello senza ricercatezze e senza affettazioni. E la bicicletta? Ormai essa è diventata d'uso tanto comune che il discutere se convenga o no alle signore e alle signorine è fuori posto. Vadano dunque, se loro piace, in bicicletta! E non solo per i bisogni eventuali di ufficio, ma anche per piacer loro, in campagna. Ma non facciano mai gite o passeggiate da sole, o nemmeno in due, troppo lontano. Non si sa mai!... E il vestire della ciclista sia pratico, sia corretto, sia modesto, sia... più abbondante che scarso. Pensino ai movimenti che devono fare e alla necessità d'esser convenientemente coperte. In campagna, e specialmente in montagna, si fanno anche gite a piedi, oppure aiutandosi con muli, asinelli, ecc. Sono piacevolissime quando sono ben organizzate, e vi prendon parte persone valide, allegre e ben affiatate fra loro. Coloro dunque che non si sentono in forze, e non vogliono assoggettarsi a qualche disturbo, o hanno delicatezze eccessive, rimangano a casa e non disturbino il piacere degli altri. Coloro poi che vi prendono parte, uomini e donne, devono stare al programma fissato dal capo gita, presentarsi vestiti ed equipaggiati secondo che vien loro prescritto; portar nella compagnia tutta la migliore disposizione per contribuire all'allegrezza comune, ad esser tolleranti e servizievoli reciprocamente. Al capo gita si deve ubbidienza cortese e cooperazione in quello che egli domanda. Siccome poi l'organizzare una gita di qualche importanza richiede spesso tempo, preoccupazioni, ricerche, fatiche, è giusto che gli venga testimoniata riconoscenza da chi ne ha profittato. Ed é anche doverosissimo pagare colla massima sollecitudine la quota di spesa. I gitanti hanno il diritto e il dovere di essere allegri. Possono dunque ridere, scherzare, cantare all'aria aperta. Ma negli alberghi, nei ristoranti, nei rifugi, devono astenersi dalle chiassate che fanno distinguere la gente per bene da quella che non è tale. E si ricordino anche che la familiarità dei due sessi durante questi innocenti piaceri non deve mai trasmodare in confidenze e contatti biasimevoli. Ciò vale naturalmente anche per ogni altro genere di sport, nel quale la persona veramente fine ed educata saprà sempre conservare, nel modo di vestire come nel contegno, una linea ed una misura di equilibrio lontane da ogni eccentricità e da ogni eccesso.

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Nulla è più sgradevole di una voce chioccia, o stridula, o rimbombante, nulla toglie di più il suo fascino a una signora, pur bellissima ed elegante, che il sentirla strillare in falsetto. Al contrario, è un dono grandissimo quello d'una voce nè troppo alta nè troppo bassa, dalle inflessioni svariate, dal tono penetrante, or soave e carezzevole, ora incisivo e squillante. Chi la possiede ha un'arma potente per vincere molti ostacoli, ha una chiave magica per penetrare i cuori. L'educazione musicale può contribuire molto a formar simili voci: ma l'educazione più comune dovrebbe bastare a farci evitare vizi spiacevoli come lo strillare, il tener sempre lo stesso diapason, e specialmente nei toni acuti, l'esplodere improvvisamente e rumorosamente... Ma l'educazione della voce si dovrebbe cominciar molto presto. Ora accade che nella scuola, in tempo di ricreazione, si lasciano liberi fanciulli e fanciulle di gridare con quanto ne hanno in canna, e sotto l'aspetto igienico non si può biasimare questa libertà. Ma il male è che si lasciano i ragazzi interpellarsi stridulamente e vociar fra di loro, anche conversando; e anche quando recitan le preghiere fanno un coro rumoroso e screanzato, e quando ripeton la lezione, specialmente nelle scuole di campagna, ad altro non badano che ad urlare quanto possono, per mostrare che son sicuri del fatto loro. Dovrebbero invece i maestri, e più ancora le maestre, imporre un tono moderato, una giusta modulazione. E nella recitazione di poesie a memoria, dovrebbero trovare la più bella occasione di formar la voce e il modo di porgere. Vi sono, è vero, delle voci disgraziate per loro natura, e appartengono talvolta anche a persone di condizione ragguardevole e di buona educazione. Ma in questo caso, se l'opera di un bravo specialista non ha potuto giovare a correggere il difetto, c'è sempre il modo di attenuarlo, parlando poco, e cercando di tener sempre basso il tono. In tutti i modi, tener troppo alta la voce, parlando in società, è cosa sgarbata e spiacevole, specialmente se le voci tendono a soverchiarsi, e può anche dar idea di presunzione e alterigia. E il riso? C'è un proverbio che dice: dimmi con chi pratichi e li dirò chi sei. Tante volte ho pensato che si potrebbe anche dire: Da quando e da come uno ride, si può giudicare il suo carattere. Lo stolto ride a ogni momento e per ogni più piccola cosa: il superbo non si degna neppure di stender le labbra arcigne, lo sguaiato ride alle volgari facezie; lo scostumato ai racconti scandalosi; l'uomo colto e arguto ai motti sottili, alle allusioni sagaci. I fanciulli hanno sempre il riso sulle labbra: benedetto privilegio dell'età! Ma l'uomo adulto e il vecchio ridono solo quando sono in lieta compagnia, a qualche spettacolo ameno, e dimenticano per qualche tempo i loro affari e i loro guai. La donna ride forse più spesso e facilmente dell'uomo. Ma l'estetica del riso ha le sue regole molto severe. Lo sghignazzare è una delle cose più spiacevoli all'orecchio: ma sconvolge e contorce anche la fisionomia: non c'è bellezza di donna che non ne rimanga alterata. E il riso stridulo, e il riso prolungato, e il riso a singhiozzi... Generalmente chi ha sgradevole la voce ha sgradevole anche il riso: di qui la necessità di sorvegliare e l'una e l'altro. Si avvezzino i fanciulli, e specialmente le giovanette, a ridere moderatamente, con grazia, senza sussulti e cachinni. Un riso argentino e trillante piace sopra una fresca bocca giovanile. Ma non si abusi nemmeno di questo. «- Ah - dice Dante nel «Convivio» - lo mirabile riso della mia donna lo quale non si sentia se non per gli occhi...». Il che, tradotto in lingua moderna, vuol dire che non se ne accorgeva se non chi la guardava. Se brutta è la sguaiataggine del ridere sgangherato, se fende il cervello il riso stridulo, se è vero che il riso abbonda in bocca agli stolti, è vero altresì, però, che spiace anche un muso duro, una continua affettazione di malcontento. Soffiare, sbuffare, sospirare rumorosamente, corrugare la fronte e volger gli occhi torvi, indica che la compagnia vi riesce fastidiosa, e che non sapete sacrificare il vostro cruccio particolare alla convenienza delle reciproche relazioni. Talvolta però la malinconia è ostentata, è una posa, come suol dirsi con parola non prettamente italiana, ma espressiva; una posa per attirar su di noi gli sguardi, per atteggiarsi a vittime del destino o di ideali troppo alti per la maggioranza del genere umano. Nella prima metà del secolo scorso, imperanti Lamartine, Byron, Foscolo, Leopardi, un giovane ben nato e specialmente una fanciulla, si sarebbero creduti disonorati, abbandonandosi alla festiva spensieratezza della loro età. Ora, le arie cupe e misteriose, i volti pallidi, le fronti corrugate, son passate di moda. Ma per chi credesse di scegliere tale atteggiamento allo scopo di particolare eleganza, trascrivo le parole del Leopardi: «I giovani assai comunemente credono di rendersi amabili, fingendosi malinconici. E forse, quando è finta, la malinconia per breve spazio può piacere, specialmente alle donne. Ma vera, è fuggita da tutto il genere umano...». Si badi a quel forse e a quel per breve spazio. E si rifletta che la malinconia finta, oltre ad essere per se stessa una deplorevole ipocrisia, finisce poi col mutarsi in abito reale dell'animo e frutta uggia e malumore in noi e negli altri. Con quanto vantaggio della piacevolezza sociale e della simpatia che ognuno ama destare, si vede ben facilmente.

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A tavola, più che altrove, si conosce la persona di buona creanza, poichè il mangiare e il bere, essendo azioni per se stesse tutt'altro che poetiche, richiedono l'osservanza di molte regole intese a diminuirne quanto è possibile la materialità, e a dar loro una certa eleganza. Per prima cosa, si osservi di non sedere prima che le persone superiori ne diano l'esempio. Prima gli ospiti, poi i padroni di casa, quelli che con loro convivono; ultimi di tutti i bambini, che devono essere avvezzati a tempo. Ognuno al suo posto, e, sedendo alla mensa altrui, a quello che gli vien assegnato, senza contestazioni o complimenti inutili. Si segga non troppo lontani e non troppo vicini alla tavola, si spieghi il tovagliolo solo quando il capo di casa lo ha fatto, e si stenda sulle ginocchia, non mai lo si infilzi all'abito presso il collo. Diamine! Una persona adulta deve ben sapere evitare di spruzzarsi o imbrodolarsi il panciotto o la camicetta!... E' anzi bene non spiegarlo totalmente, ma solo a metà. Il busto dev'essere eretto, le mani sopra la tovaglia (non però i gomiti!) e pronte al servizio: i cibi vanno alzati al livello della bocca, e non mai chinata la bocca verso il piatto. Nel ricevere il piatto che gira, non si facciano inutili complimenti riguardo alla precedenza. E' molto più corretto servirsi senz'altro, con un semplice ringraziamento, o al più con una lieve protesta, anzichè star a discutere un pezzo, mentre la persona che serve sta lì ritta al vostro fianco, senza saper a chi ubbidire, e tutti i convitati devono aspettare che la gran questione sia decisa. In famiglia si servono prima i genitori, poi i figli; quando ci sono ospiti il piatto comincia a girare da uno di questi, cominciando dal più ragguardevole, e alternando poi. Si prenda moderatamente di ogni cibo quel che si crede necessario: non tanto mai da lasciarne sul piatto; se viene offerto per una seconda volta, si può accettare, senza però esagerazione. Il cucchiaio si tiene leggermente colle tre prime dita della destra, e s'introduce in bocca dalla parte anteriore. Qualcuno usa (all'inglese) di portarne il lato alla bocca e sorbir lievemente il brodo o la minestra, quando è molto leggera... Ma quel verso dell'assorbire non può riuscir che disgustoso; la persona bene educata deve evitar questo e ogni altro rumore masticando la carne, o sgretolando crostini, pane biscotto, fritture, grissini, ecc. E' prescritto masticare a bocca chiusa. Le mamme vi avvezzino presto i loro bambini. La forchetta va tenuta con la sinistra, mentre con la destra si taglia la carne o altro cibo resistente. Con cibi minuti e molli si può senz'altro adoperar la destra per portarli alla bocca per mezzo della forchetta: non mai col coltello come usa qualche persona... distratta. E ognuno sa che il pesce non si tocca mai col coltello; o vi è una posata apposita, o si adopera la forchetta a divider quella molle carne, tutt'al più aiutandosi con un pezzetto di pane. Le uova sode si posson tagliare col coltello: in tutti gli altri casi vanno prese con la forchetta o col cucchiaino. Dopo aver preso un uovo da bere, si usa talvolta schiacciare il guscio prima di deporlo sul piatto, alla francese. Gli asparagi si prendon con le dita... in famiglia. Non mai alla mensa altrui, ove si adopererà la posata ad hoc, e Dio guardi, in casa nostra e fuori, dall'accostarne la punta alla bocca e mordere! Si adoperi sempre il coltello per staccare la parte mangiabile. E così di ogni altra vivanda che presentasse resistenza. C'è chi ammette di prendere una coscia o un'ala di pollo e di accostarsela ai denti, adducendo a questo atto confidenziale un esempio di autorità indiscutibile. Ma l'augusta gentildonna che ricorse, a quanto si dice, a tale sudicio espediente, se ne servì in una colazione all'aria aperta, e fu forse l'unica volta in vita sua. In ogni altro caso si stacchi dall'osso, aiutandosi come meglio si può con la forchetta e coltello, la polpa e la pelle che vuol venire... e il resto si lasci a beneficio del gatto. Le frutta molli vanno tagliate a spicchi e sbucciate pezzo per pezzo prima di portarlo alla bocca (ci sono le posatine apposite, alle mense eleganti) e non mai succhiate. I fichi si dividono con quattro tagli, e se ne stacca la parte molle col coltellino: le arance s'incidono nella buccia, prima attorno ai poli, indi longitudinalmente, e poi si sbucciano e si aprono con le mani. Nessuno potrà lamentarsi del profumo che esse prenderanno al contatto! I noccioli delle ciliege, delle susine, ecc. si dovrebbero far passare dalla bocca al piatto mediante l'apposito cucchiaino se la frutta è cotta; altrimenti si consiglia da taluno di chinar lievemente il capo e lasciarli cadere nel piatto, dissimulando l'atto colla mano, o, nell'antico modo, di usar la mano a prenderli e deporli, purché si sappia fare con garbo. Il pane si spezza colle mani volta per volta, secondo il bisogno. Il sale si prende coll'apposito cucchiaino, ma se questo non ci fosse, si adoperi pure la punta del coltello, quando sia pulita. Non si facciano complimenti inutili pel cambiamento del piatto e della posata: sembrerebbe una indelicatezza verso gli ospiti. Non occorre ringraziare il servo o la cameriera che vi servono il piatto, o il pane, o altro. E non si parli, servendosi, per non correre il rischio di qualche malestro, ma nemmeno si deve assumere, mentre si sceglie un pezzo di carne, l'aria grave di chi ha alle mani una importante faccenda. Si prenda quello che si presenta più vicino, e non si lasci nemmeno sospettare l'ingorda voglia di chi accaparra per sé il pezzo migliore. Non si guardi mai ciò che sta nel piatto del vicino: solo la padrona di casa può far questo per assicurarsi che tutti siano ben serviti, e incoraggiare amichevolmente i timidi e i renitenti. E non si deve mai mostrare impazienza e fretta di essere serviti, anche se il piatto tardasse molto a venir dalle vostre parti. Avviso, naturalmente, che si rivolge ai ragazzi e alle persone un po'... novizie. Se cadesse per terra una posata, o un pezzo di pane, o un frutto, si lasci stare, toccando ai domestici di raccoglierlo e portarlo in cucina; nell'intimità, si può fare da noi, non però mai servendosene dopo, se pur non fosse un frutto a guscio. Il pane e il vino - si dice in Toscana - si possono chiedere senza vergogna. Tal detto credo si possa applicare molto più liberamente al pane che al vino: tuttavia tocca ai padroni di casa vigilare perché non si deve chieder nè questo nè quello. Una persona di gran confidenza può versarsi il vino, chiedendo brevemente il permesso, e offrendone prima al suo vicino; ma tale atto, permesso a un uomo, sarebbe sconveniente in una donna. Si abbia garbo e riguardo nel servirsi di vino e di salse in modo da non farne cader nulla sopra la tovaglia: le posate si appoggino sul piatto quando non vi sia il reggiposate, come si usa in certe famiglie; si tenga presente però che l'uso del reggiposate non è elegante ed è ormai per di più sorpassato. S'intende poi che una persona appena appena civile non mangerà parlando, non si empirà spropositatamente la bocca, non berrà quando non ha ancora inghiottito il boccone... E' se per disgrazia le toccasse di trovar nel suo piatto (può accadere una volta tanto anche alle mense più curate) qualche cosa che desti la sua nausea, e possa destarla in altro, saprà bellamente dissimulare, e far sparire... il corpo del delitto. E' lecito commentar i cibi che vengono in tavola? S'intende commentare in senso favorevole... Ai pranzi d'invito ciò sarebbe sconvenientissimo. Ma in famiglia e tra amici la cosa è diversa: si può far elogio di un piatto speciale, tanto più quando è preparato dalla padrona; si possono lodare i vini che son prodotti dalle terre possedute dall'anfitrione. E così delle frutta, del burro, dei salumi, ecc. Ma starebbe male il padrone di casa che avviasse egli stesso le lodi, e male la signora che vantasse l'abilità della sua cuoca o delle sue figlie nella preparazione di quei cibi. I discorsi che si fanno a tavola devono essere improntati ad amorevole allegria. Se siamo in famiglia, è l'ora che dobbiamo render piacevole in tutti i modi. Bando dunque alla musoneria, bando alle discussioni gravi, bando alle dispute di qualsiasi genere. Non si discorra di malattie, non si discorra di morti, o di sventure pubbliche o private. Ognuno porti il suo contributo di notizie, di osservazioni, di amabili facezie. Se la compagnia è numerosa, generalmente si divide in gruppi, e le conversazioni si avviano più intense tra vicini. Alla fine del pranzo, però, accade che gli animi sono più accesi, l'affiatamento è maggiore, la conversazione si alza rumorosa e generale. Le persone bene educate non eccedono però mai nemmeno in questo, e soprattutto tengono presente l'antica avvertenza che imponeva ai commensali di conservare il silenzio, uscendo, su quanto era stato detto nella forse troppo libera espansione degli animi. Il caffè si prende a mensa in un salotto a parte, accompagnato generalmente da liquori. E' vietato versar il caffè troppo caldo nel piattino e sorbirselo in tal modo; si aspetti piuttosto che si raffreddi alquanto mentre vi si scioglie lo zucchero, e si sorbisca pian piano. Non è ben fatto, ricevendo dalle mani della signora la tazzina di caffè o altro, di passarla ad altra persona in segno di riguardo, perchè sembra tacito biasimo a chi ci ha servito di non aver ben tenuto l'ordine di gradazione. Un ultimo avvertimento. Il Parini, accompagnando alla mensa il suo hgiovin signore, lo avverte che a lui non è lecita in nessun modo la mediocrità:

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Ma noi che viviamo in tempi di maggior naturalezza e libertà, useremo dei piaceri della mensa quanto si conviene a persona temperata e civile, e in proporzione ai bisogni del nostro organismo. L'avidità e l'ingordigia destano l'idea di un bruto, ma chi tocca appena i cibi, chi mangia a fior di labbra, chi crede di mostrar la sua continenza e la sua fine educazione col rifiutar quasi tutto ciò che gli è offerto, dà l'idea di uno schifiltoso e disgusta gli altri. A questo proposito, mi sia lecito citare la massima di un mio buon amico, persona di appetito invidiabile e di umore allegro. - Io - diceva egli - quando sono invitato, faccio onore largamente alle portate. Perchè, se i padroni di casa sono gente cordiale e generosa, ne avranno piacere; se poi fosse il contrario... allora mi godo nel far loro dispetto.

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La conversazione non deve degenerare in chiacchiericcio volgare; non è necessario però che si aggiri sempre su argomenti sublimi, e tanto meno che chi parla, a volta a volta, assuma il tono di conferenziere. Tutti devono trovar posto nel discorso comune, tutti hanno diritto di esporre le loro idee, e siano pur modeste, purchè sincere, rette e onorevoli. Naturalmente il discorso prenderà varie impronte dal genere degli interlocutori e dalle loro speciali occupazioni, ma quando la società è mista, è dovere della padrona di casa, e rispettivamente di ciascuno, far che i discorsi abbiano una piacevole varietà, affinchè la conversazione ottenga il suo scopo che è quello di ricreare e ingentilire gli spiriti. Vi sono pertanto degli argomenti che vanno esclusi a priori, e son quelli che riescono spiacevoli alla maggioranza. Non si parli dunque di malattie, e tanto meno se ne descrivano i ripugnanti particolari, non si parli di sventure pubbliche alle quali non c'è rimedio, tormentandoci reciprocamente con piagnistei, non si intavolino discussioni letterarie, religiose e politiche, che possano riscaldare gli animi e turbare la serenità del ritrovo. E soprattutto si rispetti l'onore degli assenti. La maldicenza deturpa la conversazione e crea delle inimicizie, oltre ad essere indizio di animo vile e maligno. Il Manzoni ha, a questo proposito, una pagina severissima. Egli fa la rassegna delle passioni che spingono alla maldicenza, e le mostra in tutta la loro bruttezza. Volete sentire la triste litania? Eccola: E' l'orgoglio che tacitamente ci fa supporre la nostra superiorità nell'abbassamento degli altri, che ci consola dei nostri difetti col pensiero che gli altri ne abbian dei simili o dei peggiori; è l'invidia che si rallegra del male, e respira più liberamente quando una bella reputazione è macchiata; è l'odio che ci rende tanto facili sulle prove del male; è l'interesse che ci fa odiare i concorrenti d'ogni genere. «Non di rado, aggiunge, è una adulazione, tanto più ignobile quanto più ingegnosa, verso chi ascolta». Ammettiamo pure che il quadro sia eccessivamente fosco, e concediamo che talvolta son meno ignobili le ragioni che ci spingono a menar un po' di lingua sul conto del nostro prossimo: per es. la voglia di parer più informati degli altri, la vanità di fare un po' di psicologia, il piacere di sapersi (o di credersi!!) esenti da quel difetto, il gusto di brillare con motti spiritosi e osservazioni argute... Ma è sempre pericoloso avventurarsi su questo terreno, e lo proibisce la carità cristiana non meno che il galateo. Infatti, nei salotti ben tenuti, per tacito accordo la maldicenza è esclusa, e fiorisce solo nei discorsi delle comari, o di coloro che abbiano a loro somigliante l'animo. Non per questo è proibito qualche frizzo, qualche motto sarcastico. Ma si badi che sia discreto, ben diretto, appropriato al caso, e che abbia un valore morale. Chi potrebbe chiamar insolenza l'ironia sapiente e garbata di Socrate contro i sofisti? Ed è anche molto graziosa la risposta degli Ateniesi a chi annunziò loro che Dionigi il tiranno era morto di gioia perchè una sua commedia era stata coronata in Atene. «Se l'avessimo potuto prevedere, dissero, lo avremmo coronato venti anni prima». Ad ogni modo è sempre meglio tacere e sacrificare un motto, anzichè offendere l'altrui amor proprio e farsi un nemico senza ragione. E perciò stesso si eviti di scherzar troppo familiarmente cogli astanti, e di pungerli senza ragione: e si badi che ciò è molto più sconveniente con le persone inferiori a noi per condizione e che non possono ribellarsi. Non faremo mai oggetto di celia qualche difetto fisico delle persone, o presenti o assenti che siano; ciò è regola vecchia, ed ogni eccezione può essere pericolosa. E nemmeno è permesso scherzar imprudentemente sulle usanze particolari, sulla professione, sulla patria di taluno. E' un triste vezzo, quest'ultimo, di noi italiani, che ancor abbiamo nel sangue il germe delle antiche discordie, e sentiamo l'eco di tanti detti ingiuriosi che un tempo si scambiavano tra di loro gli abitanti delle città vicine... Ma non solo lo diciamo per celia; purtroppo c'è chi ha il mal gusto di criticar per metodo la città nella quale il caso lo ha portato a vivere, di metterne in ridicolo le usanze, di deplorarne il clima, di biasimarne la cultura, la vita intellettuale e materiale, di lamentarsi perchè troppo rumorosa o troppo quieta, o, quando non si sa più che dire, censurar velenosamente gli abitanti e dire per esempio: Gran bella città sarebbe Napoli... se non ci fossero i Napoletani. Bisogna far guerra a questa scortesia antipatriottica ed ingiusta: è tempo che i benefici dell'unità non siano frustrati da piccolezza d'animo e di idee. Tornando all'argomento di prima, la celia però tra amici dev'essere amichevolmente tollerata, e chi ne è fatto segno, non deve mostrarsi permalosamente indispettito. Parlando di celie e di motti spiritosi, è opportuno qui ricordare che il buon gusto interdice le parole a doppio senso, i bisticci, i calembours nei quali si deliziano i provinciali dallo scarso intelletto, e che formano il tormento di chiunque sia dotato di vero spirito. Passi per una volta o due, ma farne un fuoco di fila, introdurli per forza in ogni discorso, sviare talvolta o interrompere un argomento importante con simili scempiaggini, è veramente spiacevole... I discorsi frivoli e leggeri annoiano le persone di buon senso e si devono sfuggire. E il parlar del tempo e della stagione? E' questo l'argomento satireggiato come il più insulso e impersonale... Pure non a torto Melchiorre Gioia difende chi. se ne occupa notando che le vicende delle stagioni hanno grande influenza sullo stato fisico e morale della specie umana, sui prodotti dei campi, sul corso del commercio, e non di rado sui pensieri degli uomini grandi e piccoli: a un punto tale che gli uomini di scienza ne osservano l'andamento progressivo e ne desumono delle leggi. Ora poi che la metereologia va pigliando basi scientifiche così stabili, si può escluderla davvero dagli argomenti frivoli. Se però non si avessero a mettere in campo che inutili geremiadi sulla siccità o sulla pioggia ostinata, è meglio tacere. E non vorremmo essere troppo severi con le madri di famiglia che si confidano le loro angustie domestiche, piccole e grandi, tra cui è l'eterno argomento della servitù... Questi e altri discorsi, però, come quelli dei colleghi d'ufficio riguardo alle miserie della loro professione, vanno tenuti nell'intimità, e sono compatibili solo se non si prolungano troppo. Chi poi ha noie, dolori, fastidi, preoccupazioni tutte personali si guardi bene dal metterle come tema in una conversazione: non avrà altro effetto che di annoiare gli astanti, e di riceverne qualche parola di stereotipato compianto, che ben mostra la loro indifferenza. Certe confidenze non sono permesse che tra intimi amici, da cui veramente possiamo avere conforto e consiglio. Si deve cercar, invece, nel soggetto del nostro discorso, di scegliere ciò che comunemente è gradevole. Le notizie buone, sia degli amici, sia delle vicende pubbliche, le festività, le ricorrenze, gli spettacoli, i libri, le esposizioni, i viaggi, i lieti incontri... E la lista sarebbe infinita. Tra le persone colte e fini, si parla volentieri di argomenti letterari e scientifici, si pongono e si sviluppano questioni morali e psicologiche, e la conversazione resta continuamente nutrita. Trovandoci poi in gruppi ristretti, o in dialogo con una persona sola, è arte cortese quella di saperla intrattenere con ciò che la riguarda e la interessa di più. Alla madre di famiglia si farà parlare dei suoi figli, colla modesta massaia ci potremo intrattenere di economia domestica, colla persona devota delle ricorrenze e solennità e funzioni religiose, col giovane studente dei suoi studi e dei suoi progetti per l'avvenire. Al vecchio chieder notizia sugli usi del suo tempo, all'agricoltore dell'andamento dei suoi raccolti, dei vari modi di coltivazione, ecc. ecc. Ma bisogna stare attenti. Ci son per esempio certi letterati che si impuntigliano e si seccano quando il profano vuol entrare nel suo campo; ci sono gli scienziati che tengono volentieri per sè le loro cognizioni; ci sono i medici che stanno all'erta per paura di essere indotti a dare un consulto gratis, ci sono i funzionari pubblici che hanno paura che si voglia carpir loro qualche segreto d'ufficio. Vi sono poi moltissimi, (anzi è tendenza comune) che nella conversazione voglion dimenticare le noie delle loro consuete occupazioni, e dimostrano chiaramente che tale argomento non è loro gradito. E noi rispetteremo le loro riserve. Così pure, mentre è cortesia informarsi di ciò che riguarda gli interlocutori, e interessarsi delle loro vicende, bisogna star ben attenti che tale interessamento non abbia a sembrar loro indiscreta curiosità. Ci sono taluni così ombrosi che solo a chieder loro dove andranno a passar le vacanze o a che ora arriverà quel tal parente che desiderano tanto, piglian l'aria di chi riceve una domanda indiscreta, e si esimono dal rispondere, o lo fanno con aria dispettosa. E anche questa gente va lasciata stare e con loro bisogna tenersi sulle generali. Si devono cercare, discorrendo, argomenti su cui facilmente si va d'accordo, ma è bello e utile ravvivar la conversazione anche con qualche obbiezione, per meglio svolgere tutti i lati di un argomento, e permettere ad ognuno di dire la sua. La discussione è uno dei piaceri più delicati. Ma si badi però di non andar mai tant'oltre che la disputa si accalori, e quando così si vedesse che accade, è bene sviar l'argomento, o troncarlo con una celia opportuna. Ognuno deve portare il suo tributo alla conversazione comune. E' disdicevole e offensivo per gli altri starsene sempre a bocca chiusa, e quasi sdegnoso della compagnia; è presunzione e petulanza voler sempre tener tutti pendenti dalle nostre labbra. E' bene, se si deve fare un racconto piuttosto lungo, chiederne prima licenza con una parola gentile, e se vediamo che il discorso annoia o non interessa, si interrompa senz'altro, sviando con garbo, senza mostrare risentimento o dispetto. Ma se gli ascoltatori si infastidiscono, bisogna pensare che talvolta è colpa del parlatore, che la tira troppo lunga, confonde troppe cose insieme, apre interminabili parentesi, ripiglia stentatamente il filo del discorso. Chi sappia di aver tali difetti, abbia la prudenza di non metterli in mostra. A un amabile e facile parlatore si presta orecchio assai volentieri anche a lungo, e gli si perdona un po' d'indiscrezione. Non è bene però che una donna prenda la parola e la tenga per tempo notevole, essa correrebbe il pericolo di passare da saccente e presuntuosa, taccia intollerabile nel suo sesso. Coloro che poi non vorrebbero mai lasciar parlare gli altri, e troncano e ripigliano loro le parole in bocca sono paragonati da Mons. Della Casa a quei polli che nell'aia si rincorrono per togliersi di becco la spiga di grano. Giacchè nella conversazione l'arte necessaria è non solo di saper parlare, ma anche di saper ascoltare. Bisogna ricordarsi che anche gli altri hanno diritto a esporre le loro idee, e non annoiare con continue interruzioni; bisogna aspettare la fine di un discorso prima di far una domanda superflua o un commento forse inopportuno. E bisogna tollerare con pazienza certi sfoghi prolungati di vecchi e d'infermi, e la ripetizione delle stesse cose, e spesso anche fastidiose e inutili querimonie. E se talvolta accade di sentir cose anche spiacevoli, per una ragione o un'altra, e non si abbia autorità sufficiente a imporre il silenzio, bisogna rassegnarsi a udire anche quelle, senza impegnarsi in dispute inutili: basterà il tacere come segno della nostra disapprovazione e come salvagaurdia della nostra responsabilità. Bene inteso però che se fossero offese alla morale o alla fede o ai più sacri sentimenti umani (il che non si suppone che come eccezione in una brigata civile) non è il caso affatto di dissimulare una ben legittima indignazione. Si può e si deve interrompere il discorso in bocca al malcreato, e allontanarsi da lui. In tutti gli altri casi, dobbiamo cortese ascolto a chi parla, e partecipazione alle sue idee. E' perciò sconvenientissimo, mentre uno intrattiene la conversazione, alzarsi, passeggiare per la stanza, guardar l'orologio, tamburellar le dita sulle ginocchia e sui mobili. E quando siamo in dialogo diretto con qualcuno, si devono tener gli occhi rivolti a lui, e mostrar di comprendere e gustare ciò ch'egli dice, e non mai guardar qua e là, mostrando una scortese distrazione. Ma il nostro interesse per ciò che viene raccontato non deve però estrinsecarsi con interruzioni inutili, con domande anticipate, con commenti ad ogni passo. E anche non bisogna esagerare nelle esclamazioni e nelle approvazioni. Si lasci finire il discorso, e poi si risponda con calma e con moderazione: daremo maggior prova di cortesia e d'interesse. Che dire poi di taluni, che dopo aver f atto una domanda non aspettano la risposta, e foggiandola da sè, fabbricano su questa osservazioni e commenti che naturalmente riescono a sproposito, e senza dar tempo a rettificazioni proseguono con una ridda di altre domande, di esclamazioni, di consigli?... Dio ci scampi da questi cotali!... E Dio ci scampi anche da coloro che, dopo essersi appena preso il tempo di salutarci, aprono immediatamente le cateratte della loro eloquenza per narrarci enfaticamente tutto ciò che è loro accaduto da che non ci siamo visti, e tutto quello che hanno fatto o fanno o faranno, e quel che non faranno altresì, e il perchè... Dico ce ne scampi Iddio, perchè i rimedi della prudenza umana sono a questo proposito assai scarsi. Tacere, e aspettar la fine del diluvio, per esaurimento? Ma l'esaurimento non avviene mai, le riserve sono eterne. Mettere una frase d'approvazione o di contrasto sarebbe appoggiar imprudentemente una mano sopra una valvola che provocherebbe nuovi getti impetuosi. Non c'è altro, se non liberarsene al più presto possibile, e cercar di scansare simili incontri, quando si disegnano da lontano. Coloro non sono, in fondo, altro che egoisti, e l'egoismo è nemico capitale di ogni cortesia. Per questi, la conversazione non è che un monologo, a tutto loro perpetuo beneficio. Badiamo anche al nostro modo di parlare. Non si devono metter fuori le parole con tal rapidità da soffocare gli altri e non farsi intendere; e nemmeno così lentamente da indurre a noia chi ci ascolta, oppure con una pronunzia strascicata, con innumerevoli ripetizioni. E si guardi anche di non prender l'abitudine di intercalari, innocenti bensì, ma ridicoli, e che talvolta nel senso del discorso producono bizzarri accozzi di idee, e curiosi equivoci. A persone bene educate è inutile poi raccomandare di non usar mai espressioni di imprecazione, o altre che vi somiglino, nemmeno per via di figura rettorica. Si scansino anche le esclamazioni popolari proprie al parlare d'ogni città. E in quanto alla bestemmia (che purtroppo infierisce in certe regioni d'Italia anche nelle classi elevate) l'opinione pubblica va fortunatamente segnando una energica reazione, e il Governo saggiamente l'ha assecondata con sanzioni punitive ai colpevoli. Può accadere, nel discorso, di dover nominar qualche cosa che la decenza vieterebbe. La persona urbana evita lo scoglio con mutar l'espressione, e se poi è anche persona colta, sa cavarsela graziosamente con una metafora, una perifrasi, una citazione classica... Ognuno sa poi che in una conversazione non è lecito appartarsi in due, e parlar segretamente. Ma se ciò qualcuno facesse, non si deve mostrar curiosità, anzi allontanarsi e guardar altrove. Nel parlare si eviti l'enfasi, l'esagerazione, la prosopopea. Certuni si rendono intollerabili col parlar sempre di sè e delle cose proprie, in perpetua lode, altri, raccontando ciò che han visto o sentito, vanno tanto esagerando che divengon ridicoli, e perdono il credito, come millantatori e bugiardi. Nel discorrere, si tenga il volto atteggiato a corretta piacevolezza, senza smorfie e contorsioni; non si apra troppo la bocca, non si gestisca continuamente, si evitino i suoni onomatopeici. Raccontando poi una facezia, si conservi la serietà sino in fondo: chi s'interrompe a mezzo col riso sciupa il piacere altrui e perde l'effetto. Il linguaggio da usarsi in conversazione dev'essere corretto ed elegante, ma senza affettazione. Si evitino le parole troppo ricercate, i termini troppo tecnici, gli inutili barbarismi. E' poi una sconvenienza, in un salotto dove si trovano persone di altre provincie, parlar il dialetto locale. Purtroppo tale uso permane, in certe regioni, anche tra persone altolocate, ma speriamo che col tempo si faccia luogo alla nostra bella e cara lingua comune. Quando due o più persone, dopo aver ben cinguettato nel loro dialetto, si rivolgono al forestiere e gli chiedono: Lei capisce non è vero? - è naturale che quello risponda: Io non ascoltavo ciò che non è diretto a me. Usar poi una lingua straniera in presenza di chi non la comprende, è mancanza ancor più grave, perchè, oltre metterlo fuori dalla conversazione, gli si aggiunge una specie di umiliazione per l'inferiorità intellettuale di quella tal ignoranza, mentre può valer più di noi per mille altre ragioni. Nel discorrere, insomma, bisogna aver una quantità di grandi e piccoli riguardi, i quali palesano la persona gentile e padrona di sè, e destano la simpatia e la gratitudine. Con la conversazione si collegano naturalmente le presentazioni, i saluti, i complimenti.

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Ognuno sa a chi si deve dar dell'Eccellenza, a chi del Monsignore, a chi dell'Onorevole, a chi del Reverendo. Chiameremo il gentiluomo: Marchese, Cavaliere, Professore; senza far seguire il titolo, nobiliare o professionale che sia, dal cognome, a meno che la presenza di più persone con lo stesso titolo non possa ingenerare confusione; alle signore daremo il titolo nobiliare se lo hanno, senza bisogno di farlo precedere dalla parola: signora, giacchè il più comprende il meno. Si badi però che l'inferiore non deve mai permettersi questo verso il superiore; dirà dunque sempre: Signor professore, signor direttore, ecc. In quanto alle insegnanti, di qualsiasi grado e genere, la forma più cortese è: Signorina, o signora, senz'altro. E così con qualunque altra professionista. Il titolo professionale si può usare nelle presentazioni. Parlando poi dei nostri familiari è doverosa la massima semplicità, come già si è detto a proposito delle presentazioni. Perciò è giustamente riprovata come uggiosa e affettata l'espressione che certi mariti hanno sempre in bocca: la mia signora... Ed è veramente ridicola nella classe popolare dove è penetrata, specialmente in certi paesi. Bisogna sentir con che sicurezza baldanzosa dice la mia signora il calzolaio, il fabbro, il venditore di castagne. Ma c'è un grado ancor maggiore di ridicolo, che s'è introdotto recentemente: quello delle mamme, che chiaman la propria figlia: la mia signorina! Una di queste smorfiose ebbe però un giorno quel che le si doveva. Era una donnetta di mezza età, con un certo cappellino di traverso... - La mia signorina oggi non può prender la sua lezione di piano. - Ah va bene. Ma... Lei, scusi è la domestica? - Oh, no grazie al cielo! Sono la mamma. - Ah, scusi, credevo!... Coll'interlocutore c'è chi crede più elegante usar la terza persona e dir per esempio: - Non credo che il signore abbia torto. -- Son ben contento di veder la signora stabilita nella nostra città, ecc. Ma questa forma è in realtà affettata e si presta anche all'equivoco. Lasciamola ai francesi, e noi dichiariamo invece: - Credo che Lei Signore, non abbia torto. - Son ben contento, Signora, di vederla stabilita nella nostra città, ecc. Per finire, ecco un mazzetto di consigli a proposito della conversazione. - Parlate meno che potete, ascoltate più che potete. - Quando non siamo cogli intimi, riflettiamo sempre sulle conseguenze che possono venire dalle nostre parole. - Difendere sempre quando si può, accusare solo quando si deve. - Mai costringere quando si può convincere. Possibilmente discorrere di fatti e non di persone. Meglio mostrarsi poco spiritosi che troppo. - Per trovarsi bene con una persona occorre procurare, quando stiamo con essa, di vestirci delle, sue abitudini e di partecipare ai suoi gusti. - Chi non ammette mai che gli altri possano aver ragione, ha quasi sempre torto. - Non date giudizi assoluti; esponete solo le vostre opinioni. - La pedanteria è noiosa; insoffribile la leggerezza. - Non date mai consigli senz'esserne richiesti; e anche quando sia così, disponetevi serenamente a non vederli quasi mai messi in pratica. - Trattenete quant'è possibile sul vostro labbro la frase amara: «Ve l'avevo pur detto!». - Procurate che ognuno si stacchi dalla vostra conversazione più amico di prima. - Sia sempre l'animo vostro sì alto, il cuore così puro, da poterlo scoprire. - Procurate di non metter mai il vostro interlocutore nella spiacevole alternativa di una menzogna o di uno sgarbo. - Parlate di voi meno ch'è possibile: il lodarsi è da fatuo, l'avvilirsi da stolto. - Non tutte le verità sono da dirsi: ciò che offende senza giovare, più che franchezza, è scortesia malevola.

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I BAMBINI - IL FANCIULLO A SCUOLA - IN COLLEGIO LA GIOVINETTA TRA SIGNORINE E GIOVANOTTI FIDANZATI E SPOSI 3

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Invece, l'ufficio dell'educatore è quello di togliergli a poco a poco queste brillanti illusioni. E non è veramente ufficio gradito! Se noi consideriamo però la parte che al fanciullo vien fatta nella società odierna, dobbiamo riconoscere che tutto sembra concorrere a dargli un'idea della sua straordinaria importanza. Mode per bambini e figurini appositi, giornali per bambini, spettacoli per bambini (che non hanno a far nulla colle marionette di buona memoria), balli per bambini, tutta una letteratura infantile, e persino... perdonate, o grandi ombre di Omero, di Virgilio, di Dante!... persino la riduzione e l'adattamento dei grandi capolavori letterari alle loro povere testoline! Nel fanciullo si considera l'uomo dell'avvenire; è giusto dunque, per amore della società, di porre ogni cura nel preparargli assistenza sempre migliore. Ma cautela massima, assolutamente necessaria perchè non fallisca l'opera educativa, è che il fanciullo non s'accorga se non in parte delle cure, delle prevenienze di cui è l'oggetto, finirebbe col gonfiarsi di vanità, col credersi il centro intorno a cui gravitano tutti gli altri mortali, come i pianeti intorno al sole, e assumerebbe naturalmente il tono e i capricci di un tirannello. Si suol dire che l'educazione di un bambino comincia sin dalle fasce; può sembrare esagerazione, e invece è verità. Il bambino deve essere avvezzato ai suoi pasti regolari, al bagno quotidiano, all'addormentarsi senza ninna nanna. E' una vera schiavitù per la povera mamma (o per chiunque altro sia) girare per la casa ore e ore, col piccolo ribelle tra le braccia, che ride coi suoi occhietti aperti, e comincia a guaire appena lo mettono nella culla. E nemmeno il dondolio della culla è cosa da permettersi: il bambino che ne prende l'abitudine tormenterà colla sua insonnia intempestiva la mamma o la balia. Non si dovrebbe nemmeno aver troppo timore dei rumori domestici, mentre il bimbo dorme: altrimenti il piccolo esigente finirà coll'arrestar la vita della casa in quelle ore. S'intende che non per questo si crederà necessario il battere e il picchiare; ogni sensazione violenta è malefica a quei teneri organismi, e per questo, altresì, risvegliando il bambino sarà bene procedere con dolcezza e non esporlo, nemmeno, alla luce improvvisa e troppo viva. Bisogna anche avvezzarli a non aver paura del buio, e far che s'addormentino tranquillamente anche da soli: s'intende quando sono sani e tranquilli. Ma le piccole malattie dei bambini non devono impensierire soverchiamente la mammina; sono tributi che la natura chiede o prima o poi, e colla saggia igiene e i consigli di un buon medico quelle piccole crisi si risolvono benignamente. Non deve dunque, per la dentizione, per una piccola costipazione, per la rosolia o altro male infantile, perder la testa, impensierire maggiormente il marito, trascurar i doveri domestici, annoiare i visitatori. Quando il bambino comincia a camminare e a parlare, allora è il momento di infondergli le idee, i sentimenti, le abitudini di bontà e cortesia che dovranno accompagnarlo per tutta la vita. Chi non ricorda la severa educazione che Massimo d'Azeglio ricevette dai suoi genitori? Essi sapevano - dice egli - che noi siamo d'una stoffa ove non si cancellano mai le prime pieghe. Il bambino piace per la sua grazia, per la sua ingenuità, per la semplicità e la pulizia della sua personcina e delle sue vesti. E' dunque necessario avvezzarlo a non macchiarsi e lordarsi per negligenza e sbadataggine, è necessario avvezzarlo a lasciarsi lavare pettinare senza smorfie e pianti e strilli. Nessuno gli deve impedire di giocar allegramente e liberamente: Dio ne guardi dalla crudeltà d'imporre al bimbo di star fermo e compassato per amore dei suoi vestiti! Ma nemmeno si lasci che si butti e si rotoli per terra, cacci le manine in ogni luogo... Un senso di decoro rispetto alla sua personcina deve formarsi presto in lui e crescere cogli anni. Il bambino rida e scherzi pure allegramente, ma non gli si deve mai permettere nè trivialità, nè soverchie confidenze. E si badi bene di non farsi udire da lui, quando ci venisse la mala ispirazione di criticar qualche assente. Gli imprudenti genitori potrebbero esser sicuri che la loro maldicenza aprirà le ali e giungerà volando dove meno s'aspettano e dove meno vorrebbero. Son così osservatori i bambini! Sembra che non vedano e non odano nulla, e invece le impressioni si fissano nel loro cervellino con una incancellabile sicurezza, e vengono poi fuori nelle loro parole quando meno ce l'aspettiamo. Non per nulla si chiamano gli enfants terribles. Son quelli che chiedono alla vecchia signora che viene in visita perchè mai le son più tornati i denti davanti, quelli che dicono: Sì, sì la mamma c'è, mentre la donna di servizio sta pronunziando la formula rituale: La signora non è in casa - quelli che notano il colore cangiante nei capelli di qualche frequentatrice della casa, o si meravigliano perchè ha anch'essa i peli intorno alle labbra o sul mento. Si guardino bene i genitori dall'incoraggiare nel bambino un tale spirito di osservazione. Le mamme sudan freddo, è vero, davanti all'ospite malcapitato, ma ci son di quelle che poi, in famiglia, se ne divertono, e raccontano agli intimi le bravate dei loro demonietti (mettendo in questo epiteto una mal celata compiacenza) e ridono e mostrano di ammirare tanto ingegno e tanto brio. I bambini non chiedono altro! Lasciateli fare e, alla prima occasione, rincareranno la dose. I parenti hanno, si sa bene, l'inclinazione di veder nei più semplici atti e nelle parole più comuni dei loro piccini, i segni d'uno straordinario precoce ingegno. Quante sciocchezze, a questo proposito ho sentito dire da babbi e mamme e, più ancora, da nonni e vecchie zie idolatre! Quel bambino poi che si annunzia a tre o quattro anni come un genio, si palesa ben presto un ragazzetto ordinario, poi un giovanetto dappoco, e spesso spesso un uomo da nulla. Ma la persuasione dei suoi meriti che gli è stata ben ribadita nella testa non lo lascia più, e gli fornisce il modo di far una serie di sciocchezze, rendendosi uggioso agli altri, e danneggiando se stesso. Qualunque sia l'opinione dei genitori riguardo alle doti eccezionali dei loro bambini, abbiano almeno la prudenza e la cortesia di tenerla per sè, e di non costringer gli amici a una ammirazione seccante e fittizia. Ma è ben raro che tale saggia norma sia messa in pratica. Il visitatore che capita nel salotto dove già si trova la piccola meraviglia è costretto a udir la strimpellatina sul pianoforte, la poesiola d'occasione, la canzonetta in francese. Ricorderò sempre un bambino dai cinque ai sei anni, che era stato ammaestrato a cantar l'aria del Trovatore: - Di quella pira... - e l'aveva eseguita in un pubblico concerto. Il giorno dopo, in un salotto di signore, apparve con la sua mamma, e ci fu chi le rivolse qualche complimento sull'esito di quel concerto e sulla disinvoltura che il piccino aveva mostrato. La buona mamma, tutta ringalluzzita, credette dovere di gratitudine offrir di nuovo lo spettacolo e il bimbo accondiscese subito, e con molta serietà. Uscì dal salotto e passò nel corridoio attiguo, poi, sollevando la tenda, proprio come gli avevano insegnato a fare, si presentò sulla soglia e fece un grande inchino. E non dimenticherò mai l'espressione crucciata e sdegnosa del visetto, perché, alla sua comparsa, non si fece immediato silenzio. Poi eseguì la sua cantatina, fece di nuovo un inchino, e si ritirò colla gravità di un hidalgo spagnolo. Comparendo poi di nuovo nel salotto, apparve non molto soddisfatto degli applausi e delle lodi che pure non gli furono lesinate. Mamme di buon senso, risparmiateci questi miserandi spettacoli. Per regola generale, i bambini non dovrebbero esser condotti in visita, e nemmeno trovarsi nei salotti. Se una mamma vuol tuttavia procurare ai suoi piccini il gusto di star con qualche lieto coetaneo, lo faccia pure, quando sappia che la casa ove li conduce ha un giardino o un cortile, o almeno una stanza dove potranno giocare sorvegliati da una donna, non mai in altro caso. Bisogna anche avvezzare i bambini a non toccare quel che vedono, a non mostrarsi indiscreti, se vien loro offerto qualche dolce o qualche frutto. E se nascesse qualche piccola lite fra loro, la mamma prudente tagli corto, non dia importanza alla cosa: rimasta poi sola coi suoi, potrà farsi raccontare com'è andata la cosa, ma si guardi da quella benedetta parzialità che la farebbe inclinare a dar loro ragione, anche quando non la meritano. Ci sono ora, e in gran voga, i balli di bambini. Meglio sarebbe per quelle creaturine delicate e impressionabili, una bella passeggiata all'aria aperta; più igienica e soprattutto più educativa. Ma poiché ormai non si può abolire l'usanza, e non sempre si possono rifiutare gli inviti, la buona mamma abbia almeno cura che le sue creaturine (specialmente le femminette) non abbiano a ricevere troppo anticipatamente colà quelle tristi impressioni di vanità, di leziosaggine che purtroppo son destinate a trovare in seguito. A tavola, devono avvezzarsi presto e conoscere e osservare le buone regole. Si avvezzino inoltre a parlar poco, a non essere esigenti, a far buon viso a ogni cibo. Quando ci sono invitati, i bimbi sotto i dieci anni non dovrebbero sedere cogli altri così pure i genitori, invitati da un'altra famiglia, dovrebbero lasciar a casa i loro figlioletti. Ma se questo spiacesse agli ospiti, se per i figli di questi fosse una gioia desiderata l'aver dei piccoli compagni, si può condurli, a patto però che sappiano stare da personcine bene educate. Allora si prepara loro una piccola mensa presso a quella dei grandi e, pur sorvegliandoli, si lascino godere in libertà. Nelle famiglie aristocratiche, però, i bimbi non compaiono mai a tavola se c'è invito, e pranzano con la governante in altra sala. Sarebbe molto desiderabile che i bambini non fossero nemmeno condotti in chiesa, finchè son troppo piccini. E' impossibile tenerli quieti durante le funzioni, e con la loro irrequietezza, con le loro strillatine, con l'andare e venire fuori del banco, disturbano gravemente. Inoltre mi sembra anche più rispettoso e più educativo serbar loro come un'attrattiva e come un premio il recarsi alla chiesa quando avranno la capacità di starvi convenientemente. Ma se bisogna condurveli, si sorveglino almeno con molta serietà, e si conducano fuori se non si possono frenare. In viaggio... la faccenda diventa seria. Passato il momento della prima sorpresa, dopo aver assaltato i canapè e i finestrini, i bimbi cominciano ad annoiarsi, ad aver mille bisogni, a piagnucolare. Gli altri viaggiatori sbuffano, la povera mamma arrossisce, si tormenta, cerca di contentare una voglia, di frenar un'altra e promette e minaccia come può, e chiede scusa ai molestati, e ricorre a tutti gli espedienti. Se la irrequietudine dei poveri bimbi chiusi in quello stretto spazio e privati dei piccoli comodi a cui sono assuefatti non tocca gli estremi limiti, i viaggiatori devono mostrarsi cortesi e arrendevoli, e pronti a compatire. Ma se i bimbi sono stati viziati da una mamma troppo debole, la mamma raccoglie, in questi primi contatti col pubblico, i primi amari frutti delle sue mancanze. A buon conto, ci sono i compartimenti per signore sole e bambini: la mamma viaggiatrice procuri di accaparrarsene uno, e si sentirà meno a disagio. Una buona abitudine da far subito prendere ai bambini è quella della lingua nazionale, invece che del dialetto. Ma badiamo bene, sia lingua buona, e non un intruglio di provincialismi: una bambinaia toscana sarebbe a questo proposito un elemento prezioso. Circa l'uso che c'è ancora, nelle famiglie ricche, di prendere una straniera perchè i bimbi agevolmente s'impadroniscano di altre lingue, non v'è nulla da biasimare; si badi soltanto che queste lingue straniere non prendano la precedenza sulla lingua nazionale, col bel risultato di renderla malagevole e imbarbarita sul labbro dei nostri ragazzi. Il bambino deve essere lieto spontaneamente, per la sua anima ingenua e aperta a tutte le impressioni. Se lo vedete scontroso e crucciato, cercate di guadagnarvi la sua fiducia con modi carezzevoli, ottenete la confidenza del suo dispiacere, che sarà cosa ben facilmente consolabile e rimediabile, e mandatelo poi a giocare. Non si deve dargli vinti tutti i punti, perché non diventi capriccioso e ostinato, ma nemmeno si deve contrastarlo o affliggerlo senza ragione, il che gli metterebbe nel cuore i germi della tristezza, dell'invidia, della ribellione. E si usino sempre con lui modi soavi e tranquilli: al fare ruvido e sgarbato egli risponderà, per reazione, con altrettanto sgarbo, e ne prenderà l'abitudine. Quanto male gli porterà poi questo nella vita! Che diremo poi di quelli che si godono a stuzzicare i bambini, facendoli inquietare a bella posta? Che nascondono i loro giocattoli, li contrariano nelle loro voglie, li beffano, li irritano, per lo stupido gusto di goder le loro bizze? Costoro sono responsabili dei caratteri irascibili, diffidenti, dispettosi, che si formeranno in tal modo. Non è bene nemmeno stuzzicarli a una smoderata allegria, come fanno altri, per divertirsi in modo tutto opposto. Il bambino ha il diritto di esser trattato con quei riguardi che si devono a un essere in formazione, sacro per la sua innocenza e per la sua debolezza. Lasciamoli alla naturale ingenuità, alla loro grazia timida e sincera, e non guastiamo il bello che veramente è in loro; ci basti assecondare con senno l'opera santa della natura.

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A. G. Fronzoni ERMINIA VESCOVI Come presentarmi in società Vannini

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Grazie a questo e a chi ancora avesse utili osservazioni da farci. Quando un libro prende le mosse per le ampie vie del mondo, capita spesso di veder l'autore accompagnarlo fin sulla soglia, tutto modesto, e, inchinandosi al pubblico, chieder quasi scusa d'averlo incomodato. In realtà, aggiunger materia su materia a quella che si va aggravando già tanto nel campo librario, può rappresentar qualche volta un'audacia tale, da aver bisogno di scuse. Ma questa volta, più che al pubblico, le scuse dovrebbero essere dirette a coloro che ci hanno preceduto trattando l'argomento. E son tanti e valenti! Non solo i classici, ormai canonizzati e lasciati, si può dire, a godersi tranquillamente la loro gloria; ma anche moltissimi moderni che han scritto di buone regole di galateo con garbo e con competenza. Ma ciascuno d'essi, si direbbe, ha avuto d'occhio una porzione speciale di pubblico, oppur ha considerato le cose sotto un aspetto generale. Ne viene che quei libri, tanto pregevoli per altre ragioni, presentano il grave difetto di qualche lacuna, ora in un punto, ora in un altro. L'Editore e l'Autrice di questo nuovo trattato hanno avuto l'intenzione di dirigersi invece a tutte le classi di persone e di presentar norme a ciascuno nei casi particolari. Perciò la dama nel suo salotto e l'impiegata nel suo ufficio, il professore e lo studente, il gentiluomo e il collegiale, l'operaio e il negoziante troveranno tutti una parola adatta per loro. E si accompagnerà l'uomo nelle varie circostanze della sua vita, sia ch'egli serva di padrino a un battesimo, sia ch'egli faccia visita a Corte. No, non avremo questa imprudenza. Diremo solo che s'è cercato, per quant'era possibile, di fare un'opera completa, che si avvicini, quant'è possibile, al compimento di ogni desiderio e bisogno. Se il pubblico vorrà assisterla col suo favore, se la critica benevola vorrà additarci impensate lacune da riempire, difetti da correggere, sarà opera questa di altre edizioni, nelle quali il manuale potrà avvicinarsi sempre più al grado sognato di perfezione. L'EDITORE

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