Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Signorilità

198540
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 50 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
  • paraletteratura-galateo
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Alcune signore si rivolgono a italiani che abitano in India, si fanno fare grandi spedizioni, e poi dividono fra amiche il thè arrivato. Vi sono anche delle case inglesi che mandano direttamente in Italia, franche di dazio, delle scatole da due o tre chili delle aromatiche foglioline. È conveniente usufruire della combinazione, molto più conveniente che comperare il thè a etti o in pacchetti, dove la stagnola porta via la metà del peso. Fra le qualità, è ottimo il «Lipton», quello ormai pronto in pacchetti sigillati e pure è ottimo il «Melrose». Una economia di mezza lira per etto, porta una bevanda sgradevole, amara, poco aromatica e niente profumata, ed è quindi sconsigliabile. Il thè va conservato in scatole di latta in ambiente asciutto; la piccola quantità che va usata giornalmente va messa in barattoli di cristallo, argento, o metallo bianco, a chiusura ermetica, che vanno usati a preferenza di... bomboniere più o meno artistiche, ma che non chiudono bene. Bisogna diffidare di massima del thè che si vende sciolto: esso è, spesso, quello adoperato e sfruttato negli alberghi di lusso, e fatto seccare in stufa, dopo aver perduto la sua parte migliore. Le dosi, secondo le gentildonne inglesi, sono: un cucchiaino per persona e uno per la thejera. La thejera va riscaldata con acqua calda, e l'acqua va buttata sulle foglioline subito dopo aver alzato il bollore, e bollentissima ancora. Cio perchè, a parte che il thè tiepido è odioso, soltanto l'acqua a bollore fa un perfetto infuso, e toglie alle foglioline tutto il loro colore, sapore e fragranza. I russi, ammaestrati dalla loro recente esperienza di miseria, hanno imparato ciò che i «mugiki» delle steppe sapevano da secoli; che, mettendo il thè nell'acqua calda e facendolo bollire per un minuto preciso, si può risparmiare un terzo. Ed è bene, in epoca di generale e mondiale disagio economico, in cui tutti debbono limitare le importazioni, provare questo sistema. Vi sono anche delle qualità di thè specialmente forti e colorate, che possono servire due volte, purchè nello stesso giorno: la prima, gettandovi l'acqua bollente; la seconda, facendole bollire per un minuto. Ormai nessuno più fa venire acqua dalla cucina, per preparare da sè in salotto l'infusione; ormai tutti posseggono i bollitori elettrici sotto forma di lucido recipiente, o di «samowar» elettrico, o di tubo che si immerge nell'acqua a cui comunica il calore. (Specialmente pratici sono questi ultimi, perchè, essendo facilmente lavabili e trasportabili, possono servire - in un giorno d'interruzione del gas - a far bollire una pentola, oppure a far riscaldare una piccola quantità di acqua nella camera da «toilette»). Le più moderne e pratiche thejere, la cui apparenza estetica è bellissima, e che si trovano pronte nei varii stili, in ottone nichellato, sono le elettriche; le «Siemens» per esempio, che sono formate da un recipiente dove l'acqua è portata a bollore e da una specie di gabbietta in maglie sottili attaccata ad una catenella, dove si mette il thè. Questa «gabbietta» può essere calata nell'acqua mediante il bottone di ebano, che finisce esteticamente il coperchio della thejera. Per servirsene, bisogna riempire il recipiente di acqua, attaccare la spina elettrica, e fare bollire l'acqua. Soltanto allora si farà scendere nell'acqua bollente il filtro, (gabbietta) tenendovelo più o meno tempo, a seconda che si voglia fare l'infusione più o meno forte; sempre mediante il bottone del coperchio, si potrà poi rialzarlo. E qui sarà bene rompere un po' il pregiudizio per cui l'Italia è alla retroguardia di tutte le altre nazioni nell'adoperare apparecchi elettrici, apparecchi che sono la felicità e la comodità delle massaje tedesche e svizzere, che permettono alle padrone di ridurre il numero delle domestiche, e che permettono alle donne di ceto modesto di poter anche leggere, uscire, divertirsi senza danno della casa e del suo regolare andamento. Anzitutto bisogna dar tempo al tempo, giacchè tutti siamo restii davanti ad innovazioni; trent'anni fa, le vecchie cuoche minacciavano di lasciare le padrone, dopo vent'anni di accordo idilliaco, perchè non «tolleravano» il gas in cucina, col pretesto che «si aveva sempre cucinato a carbone o a legna»; vent'anni fa, tutte noi eravamo spaventate degli scaldabagni a gas, che, maneggiati male, davano quei «botti» forti...; ora non sappiamo ancora deciderci a sostituire il comodo gas coll'elettricità. E ancora: nei primi apparecchi, mancava la possibilità e la facilità di cambiare la cosidetta «resistenza» in modo che un apparecchio, una volta guasto, era da buttare... Invece, ora, si compera a parte una «resistenza» di ricambio, s'impara a rimetterla (cosa facilissima), e si gode una gran comodità. Ma, poi, bisogna anche saper far durare gli apparecchi, non lasciarli in mano di una zotica domestica, e avere quelle previdenze di organizzazione indispensabili ad ogni padrona di casa, nella nuova èra. Quindi, bisogna accertarsi che il voltaggio dell'apparecchio corrisponda a quello segnato sulla targhetta del proprio contatore; bisogna sapere quale potenza ha la «rete» del proprio appartamento e non sopraccaricarla; adoperare cordoncini e spine di prima qualità; riempire i bollitori, caffettiere ecc., prima di immettere la corrente; riempirli subito di altra acqua fredda, dopo averli vuotati; pulirli senza immergerli completamente nell'acqua, perchè ciò rovina le «resistenze»; staccare la spina colle mani e non tirando il cordoncino e, specialmente, ad un piccolo eventuale guasto, non manometterli da sè o farli aggiustare da chi non è pratico... Tutte piccole cose, che una padrona di casa intelligente, ordinata, accurata, segue e impara con disinvoltura e facilità.

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. - Parva sed apta mihi - (piccola, ma adatta a me) fece scrivere Ariosto nella facciata della sua... e adatta a sè stessi dovrebbe essere, in regime fascista, la dimora di ognuno, lasciando lo sfarzo e le inutili sale ai gran signori, e accontentandosi di quanto basti alla comodità dell'esistenza.

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Cosi pure, se la scelta è possibile, l'abitazione dovrebbe essere sempre un po' fuori del centro cittadino (ma ad esso ben collegata con trams, autobus), tra il verde o, almeno, affacciantesi sul verde, esposta a levante-mezzogiorno, oppure a mezzogiorno-ponente, con nessuna stanza a nord ecc... Ma, siccome, nella grande maggioranza dei casi, bisogna tenere quello che si è ereditato, o che il mercato dà, bisogna adattarsi e combinare nel modo più pratico e igienico che è possibile... Vi è una stanza a nord? Ebbene: il miglior modo di usufruirla è per guardaroba (se ci si può permettere il lusso di averla), o per stanza da pranzo (se vi si entra solo per i pasti), o per salotto (se vi si entra solo per ricevere). Le camere a mezzogiorno, in cui dura più a lungo il passaggio della luce solare, debbono essere riserbate per viverci e per dormire. La cucina deve essere a settentrione, nella parte più fredda della casa, perchè ella ha sorgenti di calore nei fornelli, e deve essere luminosa. La luce deve venire da sinistra, perchè chi cucina possa vedere ciò che cucina. Essa dovrebbe essere possibilmente un po' lontana dalle altre camere, per non invaderle con odori che possono recare disturbo e disgusto. Nelle ville lussuose e anche in molti appartamenti e villini, essa è posta nel sottosuolo, ma questo o affatica enormemente la padrona di casa che voglia vigilare, o lascia tutto in balia della servitù. Quando la cucina è nel sottosuolo, un montacarichi o piccolo ascensore porta i cibi e il vasellame in camera da pranzo, andando a finire in una credenza nello stile della stanza, appositamente costruita. Basta che il domestico ne apra lo sportello, per avere i piatti e le vivande. Generalmente, però, il montacarichi va a finire in uno stanzino chiamato col nome francese di «office», dove c'è anche un fornello a gas, un armadio contenente vasellame, l'occorrente per il thè ecc.

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La parete è laccata in color greggio fino a un metro dal suolo; al disopra è tirata una grossa juta color crudo, su cui spiccano pochi e gai quadretti a olio e a acquerello rappresentanti vari momenti di vita del mandarino; alberelli sullo sfondo dello stretto calabro-siculo, piante in fiore a Taormina, boschi di frutta d'oro in Sardegna. Sotto la juta corre, intorno alla stanza, uno zoccolo di legno lucido e allegro che sorregge numerosi libri e pochi bei ninnoli. L'unico mobile-buffet e la tavola sono in acero; il tavolino da thè e un tavolo che serve per riviste, sigarette ecc. hanno una copertina lavabile dipinta a mandarini. Il comodo sofà-sommier riprende il giallo motivo nella coperta di bellissima lucida «cretonne», cretonne che copre anche varie comode poltrone, sotto forma di cuscini. Le seggiole di legno chiaro, col sedile di paglia intrecciata, hanno un cuscino legato con nastri color oro. Anche il servizio da thè è di ceramica sul tono del marrone dorato. Il lume centrale è formato da un grande tamburo di trina a grosso punto di Venezia con trasparente giallo, sospeso con grossi cordoni al soffitto. Una trina eguale a quella del tamburo, incastrata in grossa tela color Champagne, forma una copertura originale al mobile facente funzione di credenza. Delle tendine in foulard color oro danno una luce simpatica. Se qualcuno non trovasse di suo gusto il motivo... gastronomico dei mandarini, si componga una bella «camera delle rose» o «dei lillà», con delle tendine rispettivamente in batista rosa e viola (di cui si mantiene la tinta immergendole spesso in un bagno di colore); se qualcuno non amasse l'uniformità dei colori, abbia almeno mobili chiari, un sofà «sommier» coperto, in estate, di bella stoffa e, in inverno, da una bella coperta di pelo; abbia la mensola che corre lungo le pareti della stanza, poi ninnoli, fotografie, ricordi, fiori, e libri, molti bei libri nell'angoletto dove la padrona di casa si trattiene più a lungo. Le tovagliette di colore crudo, dipinte a rose o a lillà, - oppure di taffetas nero con riporti in cretonne, oppure a riporti di tazze, frutta (vedi cap. VIII), oppure a frutta ricamate in cotone o in raffia tipo «della Robbia» sono indicatissime. Se, poi, l'ambiente è vasto, una metà di esso, con una vera credenza di bel disegno, una mensola relativa pel servizio di tavola e un bel tavolo, può servire da stanza da pranzo; l'altra metà può ospitare uno stipo, una libreria, una scrivania, i tavolini da thè e da lavoro, e servire da salotto. Nelle nuove costruzioni, spesso due stanze sono unite e divise da un arco, da una tenda o da una grande porta a vetri. Ciò è molto comodo, specie nei giorni in cui la signora riceve. E ancora, quando la stanza è sufficientemente vasta, e la padrona di casa possiede il piano, può trarne partito per aver un secondo angolo molto intimo e carino. Se, poi, il piano è a mezza coda, la parete tutta è ormai piena... e ben piena! Basterà avere una lista di damasco stesa sul lucido istrumento o un vecchio sciallo, o un bel ricamo, al cui colore s'intoni il paralume di un vaso ridotto a lampada, dei fiori in una coppa di vetro soffiato, un quadretto appeso, un portacenere d'argento... Ora, per motivi igienici, le tende di stoffa sono... in ribasso; quando lo stile non richiede «il capriccio», i teli laterali, i grossi cordoni ecc. si preferisce una «store» appesa ad un lucido bastone di ottone, oppure si tappezza il vano della finestra con la medesima stoffa dei mobili, e si applicano due tendine ai vetri. Per le tendine, negli ultimi dieci anni, furoreggiò il «filet» sardo; ora va molto il merletto a fuselli tipo antico, con disegni antichi... disegni a rami di corallo, fiori, figurine veramente meravigliosi. Vanno pure molti e svariati tipi in batista colorata, in «foulard», a rete ricamata a colori - ma le tendine in tela medioevale ricamate o con incrostazioni di merletto a mano, restano sempre moderne e belle. Molto usati per le finestre della camera da pranzo, sono i vetri veneziani, o vetri artistici comunque colorati.

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Un elemento molto usato per un salotto dove ci si vive, per uno studio, per una stanzetta da fumare (fumoir), è ora il cuoio, specie sotto forma di poltrone e di sofà o di quei «tabouret», che vorrei chiamare tipo «Lenci», perchè sono spesso a spicchi, a disegni geometrici. Questi ultimi si comperano molto vantaggiosamente a Tunisi e anche a Tripoli, e sono poco ingombranti pel trasporto. Si montano, riempiendoli solidamente in crine. I sofà e le poltrone ora vanno preferibilmente in cuoio naturale tirato, ma costano moltissimo; sempre però sono belli e di moda i sofà e poltrone di marocchino color rosso scuro, in cui la persona femminile pigramente affonda, e in cui è molto dolce fumare una buona sigaretta... E che può esservi di più intimo di due belle poltrone di cuoio rosso, in un angolo di salotto, accanto a un tappeto color fiamma, e a un immenso vaso di bronzo pieno di foglie?... o di un piccolo sofà veneziano, sotto ad un arazzo del 700, accanto ad un tavolino laccato di verde, con una panciuta «cogoma» d'argento e delle «chicchere» dorate? O di due poltroncine medioevali accanto a un ricco tavolino con gli scacchi? o di un sofà dorato, ricamato a mano con la «tapisserie» francese, accanto a uno stipo in legno di rosa?

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Dopo la morte di Re Umberto, Ella abitò Via Veneto (poi diventata Via Vittorio Veneto), la magnifica arteria alberata che si snoda da Piazza Barberini, e che, sempre in salita, raggiunge le mura di Belisario, finisce a Porta Pinciana, e ha per sfondo la suggestiva pineta di Villa Borghese. Nel magnifico palazzo, già dei Boncompagni-Ludovisi, il salone occupava un grande spazio: aveva i tre balconi centrali prospicienti sulla larga via, ed era ammobigliato con lo squisito gusto personalissimo della Sovrana, con meraviglie appartenute ai Savoia, e con altre che Ella aveva raccolto intorno a sè nel corso della sua vita. Era diviso in tre parti: nella prima, - a cui si accedeva dal salotto dove dominava il quadro ad olio rappresentante Re Umberto vestito da alpinista, - una ricca scrivania, un tavolino da lavoro, parecchi scaffali carichi di libri, dicevano che l'augusta Signora vi sbrigava la sua corrispondenza, vi faceva la sua lettura, lavorava a maglia graziosi indumenti per i nipoti, o cuffie e giubbini per i poveri. Nella parte centrale del salone, ricca di tappeti, di immense piante fiorite, Ella riceveva. Aveva, di fronte, il busto del Canonica raffigurante sua Madre, duchessa Elisabetta di Genova, ed aveva accanto, su tavolini artistici, intramezzati a ninnoli preziosi, le più recenti fotografie dei Figliuoli e dei Nipotini; con, al posto d'onore, quella del Principe Umberto, a Lei tanto caro, perchè in esso sentiva rivivere i migliori dei Savoia... Il salone era chiuso da una parete su cui c'era un grande organo, e l'ultima parte di esso conteneva, fra meraviglie di arazzi, di stucchi, di tappeti, di mobili e di soprammobili, un prezioso pianoforte a coda... Degno salone, degna dimora a quel modello di bontà, di grazie, di signorilità, di ogni virtù, che fu Margherita di Savoia!...

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Massimo D' Azeglio, il grande galantuomo piemontese, scrisse queste savie parole: «Per un giovane, la ripugnanza a far debiti è un vero tesoro. Saper campare del proprio - o poco o molto che sia, - è la prima guarentigia di una vita onorata e tranquilla. Quando, invece, si comincia a vivere dell'altrui, addio tranquillità, e, purtroppo, non di rado, addio onore»... parole che tutti debbono ricordare e praticare.

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Tanto più che essa potrebbe servire, anche in patria, a quei funzionari scapoli che debbono spesso mutare residenza, e a cui ripugnano i letti ignoti. Quando detta camera è a posto, consta di un lettino in ferro su 4 piedi (tela e materasso) chiudibile, di un tavolino da notte, di uno stipo con tre cassetti, sormontato da uno specchio, di un lavabo in legno, di due sedie pieghevoli, di un attaccapanni. Quando essa viaggia, è composto di due colli, dal volume di metri cubi 2 e dal peso di 140 chili. Un collo è composto dal letto completo, cioè anche dal cuscino, coperte e lenzuola, ed ha sufficiente posto pel tappeto e per un lampadario; gli altri mobili entrano tutti nell'armadione. L'ingegnosa trovata ha ottenuto trionfale successo all'esposizione di Tripoli e a quella di Milano.

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Se è appena appena un po' grandina, si può dividere in due parti; la camera propriamente detta col suo letto d'ottone e con il mobile descritto a pag. 192 che fa da lavabo, da cassettone e da armadione. A sinistra della luce ci va una bella e larga scrivania; in un angolo un robusto tavolo che regga un grande atlante geografico, e dove ci sia il gioco della dama o degli scacchi. Tutt'intorno corra una mensola per i libri ben rilegati con carta di Varese; un piccolo portalibri girevole stia accanto alla scrivania con i dizionari e con i volumi che è bene avere a portata di mano; per terra ci sia un tappeto robusto a colori gai, colori che s'intonino a quelli del paralume. L'apparecchio della radio stia sul tavolo grande. Le sedie sieno poche e solide. Sul letto penda il quadretto ricordo della prima Comunione, messo in «passe par tout» con un bordo bianco; un altro «passe par tout» lungo e stretto incornici delle belle stampe di carattere marinaro. Un terzo racchiuda le fotografie di persone e luoghi e bestie che furono e che sono care... La racchetta, con la sua bella custodia di tela bianca, sia posata sulla tavola o sulla mensola.. Ma per la racchetta, il pallone di foot-ball, gli sky, per gli indumenti sportivi, la mamma deve essere così buona da dare un angoletto nel ripostiglio o in guardaroba (vedi oltre), e il ragazzo deve tenere tutto in ordine perfetto...

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Le austriache e le tedesche che, in generale, amano e curano la casa, dopo il pasto principale della giornata trasformano la cucina, nascondendo l'acquaio e i fornelli con un paravento, e si mettono a cucire o a stirare in un ambiente nuovo, pulito, spesso allietato da piante fiorite al balcone o al terrazzino, da piatti decorati e da belle stampe alle pareti. In Svizzera vidi uno di questi ambienti veramente grazioso. Era ammobigliato con un tavolo, con un armadio a sportello e uno a cassetti, tutti laccati in bianco, con maniglie o pomoli d'ottone luccicanti; aveva incastrato accanto alla finestra un piano di marmo, su cui stavano due fornelli elettrici e un motorino, così graziosi da parere soprammobili. Aveva l'acquajo sotto forma di un grande lavandino, una grande mensola laccata di bianco, dei quadretti incorniciati in passe partout, e tendine candide alle finestre. Quando aveva finito di rigovernare, la bionda ginevrina toglieva dal tavolo la copertura in linoleum, vi metteva un tappeto di tela ricamata a ciliegie, nascondeva il lavabo dietro un paravento pure ricamato a ciliegie, e lavorava e riceveva le sue amiche operaje in un ambiente così grazioso e pulito da destare ammirazione e invidia!...

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Se non abbiamo un appartamento immenso, noi signore sappiamo sacrificare un salotto pure di avere una stanza adibita a guardaroba, a stanza da stiro e da lavoro per la cameriera, dove ella lucidi le scarpe, spolveri gli indumenti, li smacchi, lavi i guanti, lavi qualche vestito o della biancheria fine, ecc. Questo locale dovrebbe avere un piccolo lavabo completo di maiolica, qualche presa di corrente elettrica, un fornellino per ferro da stirare a gas, la coperta da stiro, uno stira-maniche in legno coperto di flanellina, la tavola lunga per stirare le gonne ecc. Un capace armadione, dove trovino posto biancheria, coperte, vestiti da inverno, cuscini, copriletti ecc. può formare la felicità di una buona padrona di casa. Esso è più comodo quando è a sportelli scorrevoli e rientranti, e deve avere sempre accanto una robusta scaletta per arrivare ai piani superiori. Per economia (giacchè un grande armadione oggi costa intorno alle 1.500 lire) si può farlo fare smontabile, senza la parete che va attaccata al muro, inchiodando al muro una qualsiasi tela. Generalmente una metà dell'armadio è destinata a coperte e a biancheria; l'altra a vestiti, cappelli, scarpe. In basso c'è un cassone di latta, per rinchiudervi la pellicceria durante l'estate. Nella guardaroba, la tavola da stiro abbia la luce a destra; i bauli e i cassoni, che non mancano in nessuna famiglia, sieno messi bene vicino ai muri o uno sopra l'altro, possibilmente riparati dalla polvere e coperti di stoffa eguale. La biancheria da stirare (che deve stare il meno possibile in giro) trovi posto in capaci cassetti del tavolo o in armadio a muro, o in una di quelle ceste speciali, con coperchio, di giunco o di paglia. La macchina da cucire stia, quando essa è a mano, ben coperta, al riparo della polvere, sopra una mensola. Un armadietto a mensola, chiuso - se non esiste un provvido armadio a muro, - contenga il necessario per pulire e smacchiare, le pinze e qualche cordicella pulita per stendere ad asciugare la roba. E, giacchè siamo in argomento, ecco l'ottima ricetta di un liquido, con cui bisogna ripassare spesso il collo delle giacche maschili e femminili: far bollire g. 200 di saponaria in due litri d'acqua, fino a che l'acqua è ridotta a metà; unirvi, quando è fredda, 2 cucchiaj d'ammoniaca e 2 di benzina rettificata. Per smacchiare vestiti, è bene avere anche un liquido che si ottiene facendo bollire per un istante in un litro d'acqua g. 25 di sapone di Marsiglia, e aggiungendovi, a freddo, g. 25 di etere etilico e g. 25 ammoniaca. E ancora: i merletti nuovi, quando sono fatti un po' lentamente, sono sempre poco immacolati. Per pulirli si rotolano intorno a una bottiglia o a un cilindro di vetro; si ricopre d'acqua, in un caldano capace, bottiglia o cilindro, dopo aver dato qualche punto al merletto per tenervelo ben fisso; si pone nell'acqua del Lux e un granello di soda, e si fa bollire. Si getta l'acqua e se ne mette della pulita, fino a che il merletto sia immacolato; si risciacqua e si toglie dal cilindro solo quando è a metà asciutto. Si stira colle mani e non col ferro. Uguale procedimento si usa per qualunque merletto.

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Vanno poi notate le passività, ed accanto a ciascuna attività e passività va scritto, con inchiostro di colore diverso, un numero d'ordine. Questo numero corrisponderà a quello di una larga busta in carta-tela, dove ci saranno i documenti relativi ad ogni cespite di entrata e di uscita. Se poi si tratta di danaro, titoli, libretti di banca, ecc. che è più prudente tenere in cassa-forte o in una cassetta di sicurezza alla banca, nella busta ci sarà indicazione di riferimento. Nel dare un valore a quella parte del nostro attivo e del nostro passivo che non sia in contanti, o non abbia un valore fisso e immutabile, chiediamo consiglio a competenti, e teniamoci sempre piuttosto al «disotto» che al «disopra» delle cifre suggeriteci; nella valutazione di mobili, arredamento di casa, quadri (non di autore) ecc. ricordiamo che quello che noi abbiamo pagato mille in negozio, diminuisce almeno della metà, se dovesse venire subito realizzato. Le passività possono dividersi in due generi: i debiti propriamente detti, che un saggio ammortamento rateale deve possibilmente eliminare, e i pagamenti rateali di case, terreni ecc., a cui fa riscontro un aumento di patrimonio. Questo primo quaderno deve essere aggiornato scrupolosamente: siamo mortali, e abbiamo lo stretto obbligo di lasciare agli eredi uno stato patrimoniale esatto, a base di documenti!... Secondo quaderno della nostra piccola contabilità sia quello delle rendite, da cui risulti quale è il guadagno o il compenso che i vari membri della famiglia ritraggono dal loro lavoro, e a quanto ammonti interesse del capitale posseduto. Terzo: quello delle scadenze attive e passive. Sono scadenze attive gli incassi di qualsiasi natura; sono passive le sei rate bimestrali d'imposte, i contributi, gli interessi da pagare per somme avute a mutuo, le pensioni a famigliari o a domestici, affitto, le annualità di assicurazioni vita, incendio, i debiti tutti ecc. Al principio di ogni mese, basterà un'occhiata per stabilire su quali immediate entrate si potrà contare ed a quali uscite bisognerà provvedere... ma non bisogna dimenticare quell'occhiata, perchè il trascurare una scadenza, per esempio di una cambiale, può portare danni gravissimi!... Lo scadenziario potrà essere stabilito ogni principio d'anno, ma dovrà avere un posto per quelle nuove scadenze derivate da mutamenti patrimoniali improvvisi, o da nuovi impegni assunti, o da proventi inattesi. Quarto sia il quaderno delle spese giornaliere, su cui siano notate le spese tutte, e sia copiata la cifra complessiva settimanale o mensile della spesa di cucina. Quinto ed ultimo sia il libro su cui la cuoca o la domestica nota la spesa dettagliata pel vitto. Forse un ragioniere, leggendo queste note, potrà sorridere... ma poi dovrà convenire che, nei nostri cinque quaderni, potremo avere una completa e pratica contabilità domestica, sia fine a sè stessa, sia, principalmente, atta a farci stabilire il bilancio annuo.

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Davanti ad ogni commensale va messo un solo piatto (che servirà per l'antipasto o per la minestra asciutta) con a destra la tazza del brodo che si deve far trovare versato. Pure a destra va un coltello; a sinistra va una forchetta per l'antipasto. Se l'antipasto non c'è, e dopo la minestra asciutta viene un piatto di carne, allora vanno messi, a destra del commensale, un coltello ed una forchetta, a sinistra una sola forchetta, provvedendo (dirò così), in questo modo alla posateria per le due prime portate, cioè la forchetta per la minestra, e forchetta e coltello per il piatto di carne. Quando poi chi serve a tavola non è specializzato e praticissimo, è bene porre orizzontalmente fra il piatto e i bicchieri la posata da dessert e un cucchiaino, se il dolce è al cucchiaio, e se si serve la macedonia. Il bicchiere grande, da acqua, posto davanti al piatto, avrà alla sua destra i bicchieri da vino, da Champagne e da liquori. Il bicchiere per vino del Reno o per Porto può essere di un colore diverso e di fattura diversa; rosso cupo, azzurro Savoia, verde-mare... ma una padrona di casa sia certa di fare cosa sempre moderna e elegante, mettendo tutti i bicchieri dello stesso servizio... servizio o in Baccarat, o in cristallo, o in mezzo cristallo, o in Murano. Ora furoreggia il Murano, per cui sono stati riprodotti vecchi modelli, e ne sono stati creati di nuovi artistici. Vidi una tavola apparecchiata con una moderna tovaglia di filo color grezzo, ricamata a mano nella tinta un po' più scura, con trasparente di color azzurro-pastello-smorto, trasparente che s'intravvedeva appena. I cinque bicchieri, le brocche per l'acqua, le bottiglie pel vino, il vaso centrale erano tutti in Murario color azzurro-pastello-smorto, che spiccava mirabilmente sul colore grezzo della tovaglia. Il vaso centrale era pieno di rose bianche - e una foglia di rosa bianca era nell'acqua dei bowls; i bowls erano in Murano, nello stesso tipo e colore, con piattino analogo... Il vasellame era in finissima porcellana bianca con un filetto azzurro, il lampadario era di vetro simile a quello della cristalleria e tutto l'insieme era di mirabile finezza e gusto..., adatto alla casa principesca a cui tutto ciò apparteneva, e all'ospite altissimo che vi era atteso a un'elegantissima colazione.

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., davanti ad ogni invitato va messa una scodella col piatto relativo, scodella che può trovarsi ormai piena e a suo posto, oppure che può venire riempita quando gli ospiti sono seduti a tavola. Naturalmente, per far ciò, occorrono due domestici: uno scodella dalla grande zuppiera e uno porta a tavola. A destra dell'invitato ci va un cucchiajo per minestra e il coltello da pesce, a sinistra la forchetta da pesce. Il resto va preparato come per una colazione elegante. La padrona di casa vesta, secondo l'importanza che vuol dare al pranzo, secondo la circostanza per cui l'offre, secondo la casa, la servitù e i mezzi che possiede, da mezza sera o da sera, scollata e con gioielli, - ricordando che, quando tutto è alla stessa altezza, è molto più signorile sfoggiare merletti e brillanti a casa propria, anzichè in casa altrui. Il padrone di casa, se la moglie veste da sera, mette il frac; gli invitati sieno allora in frac e gli ufficiali in alta uniforme, con pantaloni lunghi. Per recente disposizione ministeriale militare, gli ufficiali possono mettere le spalline e l'alta uniforme soltanto nei pranzi ufficiali. Negli inviti a Corte o nelle Ambasciate, è scritto in calce all'invito il vestiario d'obbligo. Negli ambienti modestamente signorili, la padrona veste da mezza sera e gli uomini in giacca nera.

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L'esempio dei padri che, dalla nascita di ogni figliolo alla sua età maggiore, pagano un ben modesto contributo (una trentina di lire mensili) e così fanno trovare alla prole o una dote (se si tratta di una ragazza), o il capitaletto necessario a un modesto impianto ai maschi, va mille volte lodato e seguìto. Se, poi, i genitori sanno di non aver diritto a pensione, studino fin da giovani una forma di assicurazione destinata a far loro trascorrere una vecchiaia modesta, ma non misera, nè a carico di figli, nuore o generi. Mold dicono: «Noi mettiamo i nostri risparmi alla banca; è la stessa cosa come contrarre una assicurazione»! Non è affatto la stessa cosa! Anzitutto la banca può fallire, mentre le assicurazioni di stato non possono fallire! E, poi, il denaro alla banca è a portata di mano ogni giorno (se è in un libretto al portatore), o ad ogni scadenza (se è vincolato a tre, sei, dodici mesi); è, quindi, spesso, toccato e ben di rado rimesso... E, infine, c'è una grande differenza tra risparmio e previdenza assicuratrice. Per esempio: Tizio risparmia ogni anno 100 lire; dopo 20 anni avrà le 2 .000 lire e gli interessi composti; ma, se dopo due anni muore, i suoi figlioli avranno 210 lire. Caio si assicura versando 100 lire all'anno: dopo 20 anni avrà le sue 2.000 lire, ma, se muore dopo un giorno dalla data di versamento delle prime 100 lire, i suoi eredi ritireranno le 2000 lire subito. In altre parole, il risparmio tiene conto soltanto del bene, mentre la previdenza tiene conto anche del male, cioè della morte. Volendo poi dare a questo libro un carattere di assoluta praticità, ecco alcune forme di assicurazione garantite sul tesoro dello Stato: 1. Vita intera a premi vitalizi. - Si paga un premio annuo per tutta la durata della vita, per assicurare un capitale che viene versato agli eredi alla morte dell'assicurato. 2. Vita intera a premio temporaneo. - Si paga per un dato numero di anni, da stabilirsi alla firma del contratto, un premio per assicurare un capitale agli eredi, in qualunque epoca avvenga la morte dell'assicurato. 3. Assicurazione mista. - Si paga, come per la forma precedente, un premio per un convenuto numero di anni per assicurare un capitale che sarà versato agli eredi in qualunque epoca, anteriore alla scadenza dell'assicurazione, avvenga la morte dell'assicurato, o allo stesso, se in vita, alla scadenza del contratto. 4. A termine fisso. - Si paga un premio per un periodo stabilito, al compiersi del quale la somma convenuta viene versata a chi di diritto, sia vivo o no assicurato. S' intende che, premorendo assicurato al termine del contratto, cessa ogni obbligo di ulteriore corresponsione di premio. 5. Ad effetti multipli. - Il contratto ad effetti multipli si stipula sempre a premio annuo. L'istituto s'impegna di pagare un determinato capitale immediatamente dopo la morte dell'assicurato, in qualunque epoca essa avvenga, e di corrispondere, se assicurato è in vita al termine del periodo convenuto, una rendita vitalizia pari all'importo del premio annuale pagato. 6. Assicurazione di famiglia. - Offre vantaggi diversi da quelli della forma precedente. Fermo restando che, in qualunque momento l'assicurato venga a morire, il capitale convenuto è pagato immediatamente ai beneficiari, allo scadere della polizza, e, se il titolare è vivente, rimane sempre assicurato per la somma stabilita a favore dei suoi, e intanto può godere il frutto di una rendita conveniente; può optare per il ritiro integrale del capitale assicurato, e può anche, rinunziando al ritiro del capitale e della rendita, rimanere assicurato per una somma di molto superiore a quella stabilita, che verrà pagata agli eredi all'epoca della sua morte. 7. Mista. - Nel contratto di assicurazione doppia mista a premio annuo, l'Istituto s'impegna di corrispondere un determinato capitale dopo un certo numero di anni, se allora è in vita assicurato, o di corrispondere metà dello stesso capitale immediatamente dopo la morte agli aventi diritto, nel caso in cui la morte dell'assicurato avvenisse prima del termine del contratto. 8. Mista a capitale raddoppiato. - Si assicura un capitale che viene pagato ai beneficiari della polizza in qualunque epoca l'assicurato venga a mancare. Ma se, alla scadenza del contratto l'assicurato è in vita, riscuoterà il capitale assicurato, che ugualmente poi verrà pagato ancora agli aventi diritto all'epoca della sua morte, posteriore alla scadenza della polizza. 9. Assicurazione dotale. - Questa forma è istituita principalmente per assicurare ai ragazzi, maschi e femmine, un capitale per quando siano giunti alla loro maggiore età: l'età del beneficiario alla scadenza non deve essere superiore ai venticinque anni. In questa forma, supremamente interessante per chi ha figli o nipoti, o ragazzi a cui provvedere, se nel corso dell'assicurazione muoia il beneficiario, l'assicurato ha la restituzione immediata di tutti i premi pagati; se, invece, muoia l'assicurato, alla scadenza il beneficiario riscuoterà ugualmente il capitale stabilito. Chiunque voglia assumere informazioni, assolutamente gratuite e non impegnative, si può rivolgere all'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, alla Direzione Generale in Roma, o agli agenti che si trovano in ogni città, in ogni piccolo Comune del Regno, e nelle colonie. Le domande da inviare, perchè le risposte possano essere esaurienti, sono le seguenti: Cognome e nome, professione, residenza, abitazione, data di nascita, se ammogliato, scapolo o vedovo, se con prole e con quanti figli, quanto può risparmiare annualmente per la costituzione del capitale assicurato, quale forma preferirebbe. L'Istituto Nazionale delle Assicurazioni esamina direttamente il caso speciale per mezzo dei suoi agenti, e invia tutti gli schiarimenti richiesti.

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Infine, come corollario a questo lungo capitolo, ricordiamo, pur sapendo all'occasione imbandire a casa nostra un grande pranzo, d'essere abitualmente parche e di allevare i nostri figlioli parchi, di gusti e di abitudini semplici. Ricordiamo che, a tavola, si vede il vero gentiluomo: che la correttezza e il modo con cui una tavola è servita e imbandita, sono indici di ordine generale e di disciplina. E ordine e disciplina debbono regnare in tutta la casa e in tutta la vita di una famiglia dabbene e modestamente signorile.

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Volendo andare a villeggiare in paese o cittadina sconosciuta, è molto pratico scrivere nella forma più cortese (e con busta affrancata per la risposta), al parroco o al podestà, chiedendo notizie. È anche bene non fissare da lontano, per lungo soggiorno, senza aver visto, un albergo, ma limitarsi a scrivere all'albergatore fissando per due o tre giorni, salvo decidere se è il caso di restarvi... e ciò per noia trovarsi impegnati, quando i patti non concordano con la realtà. Per godere la villeggiatura, bisogna mutare vita e abitudini, alzarsi di buon' ora e coricarsi presto, stare all'aperto o in stanze con le finestre aperte, lasciarsi vegetare per riparare alle perdite dell'organismo nei lunghi mesi cittadini, mangiare cibi paesani e onesti, (avete osservato che, nelle grandi città, si dimentica il sapore del vero latte?), non lagnandosi, ma godendo di quell'esistenza un poco primitiva. Una buona e brava padrona di casa, quando va in campagna, deve assolutamente semplificare il genere di vita, anche per un cristiano riguardo verso le persone di servizio, ben più bisognose, in linea generale, delle padrone, di un periodo di relativo benessere e riposo. Il primo giorno si passi a ben arieggiare e pulire la propria casa di villeggiatura, (essa e, specialmente, una casa presa in affitto, sia anche bene disinfettata con una soluzione di formalina, adoprando all'uopo, magari, l'apparecchio «protos» che viaggia comodamente nella sua speciale valigia). Entrambe siano rese quanto è possibile gaie e accoglienti con mezzi semplicissimi; tendine di bucato, cuscini di «crétonne», tovagliette bianche, con una profusione di foglie e fiori campestri, con quadrati di «foulard» a vivaci colori posti come paralumi su di un fusto in filo di ferro, col creare piccoli sofà e nicchie nel vano delle finestre fonde, coll' improvvisare tavolini con una lunga asse dipinta a smalto, divisa in tre parti e udita da cerniere, con due semplici e rudimentali piedi, ecc. Si fanno simpaticissime tende e «stores» di campagna, con relativamente poco lavoro, adoperando cotonina o canapa a teli nel senso della larghezza, intramezzandoli con grossi merletti a uncinetto fatti con grosso cotone o con spago tipo friulano: oppure adoperando un solo telo nel senso della lunghezza e applicandovi, in fondo, un altissimo merletto ad uncinetto, lavorato con spago al solito punto catenella, in modo che risulti un fondo a rete. Detta rete o si può ricamare, adoperando grosso cotone, a fiori dai vivaci colori, oppure si può ricamare sempre all'uncinetto, tenendosi davanti un disegno per ricamo a rete e facendo, con punto a catenella, il pieno che, nei soliti lavori a rete, si ottiene col passare e ripassare il cotone nei vari buchi. Anche di bell'effetto sono i ricami a crocette, per cui esistono, ora, artistici disegni, oppure con raffia, a disegni tipo della Robbia. Questi sono particolarmente indicati per tavolini da thè in giardino, mentre sono indicati, per le sedie da giardino, abbellimenti e rivestimenti di «crétonne» (vedi pag. 219 e 220). Se la casa o l'appartamento hanno una terrazza, una veranda, un giardinetto al riparo della polvere, si prendano i pasti all'aperto. Pel caffè e latte o pel thè, si adoperino delle belle tovaglie colorate; non così per i pasti principali, dato che le macchie di vino, di frutta ecc. richiedono il bucato. Piuttosto si ricami la tela bianca con grossi bordi in punto Assisi con cotone sicuramente lavabile, o si abbia almeno un centro da tavola ricamato con fiori e frutta, e si usi la terraglia variopinta con qualche grappolo d'uva, con qualche bel galletto ecc... (A scanso di poco piacevoli sorprese, per essere certi che il cotone colorato non stinga, lo si tuffi, prima di servirsene, in acqua calda, lasciandovelo un quarto d'ora, dopo di averlo ben sfregato fra le mani. Poi lo si risciacqui fino a che l'acqua, in cui è sbattuto, rimane limpida e si faccia asciugare all'ombra. Naturalmente i cotoni di colori diversi si lavano separatamente). La padrona di casa, e le ragazze di casa vestano in bianco, o in «crétonne» a vivaci colori, in modo che tutto l'ambiente della vecchia casa, o della banale casa di affitto sia gaio agli occhi di tutti... e specialmente del babbo che ha procurato, col suo lavoro, la villeggiatura, e che vuol godere la sua famiglia e i suoi figlioli. ... E i figlioli non si lagnino se mancherà il gabinetto da bagno, o la luce elettrica... rimedino con una larga tinozza, col petrolio, con le candele... col restare all'aperto fino al momento di andare a dormire, ecc....

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Consigliabili, pel fatto che non scolorano facilmente, sono pure quei copriletti, quelle tende, quelle tovaglie, cuscini, «stores» ecc. di tela bianca con impressivi a stampo disegni originali color ruggine. E dappertutto, vi sieno gaje ceramiche di Pordenone...: la camera da letto abbia un bel S. Francesco dorato su sfondo turchino e un servizio da toilette, candelieri, scatole per cipria, per gioielli, vaschette portafiori a fiorami su sfondo azzurro; la cucina abbia dei piatti istoriati, dei boccali con scritte bene auguranti, i vasi contenenti sali, spezie ecc. a ornati tipo antico; l'anticamera abbia un caratteristico orcio giallo per ombrelli, il portalampada dalla forma di vecchio fiasco friulano con quattro anse, color arancione, e un grande portafiori color mordoré. La camera da pranzo abbia in ceramica il servizio da tavola e da thè, i portabiscotti, le bottiglie per l'acqua (che, nella terracotta, si manterrà fresca); il salotto dalle poltrone di vimini o impagliate, unisca alla festosità dei vecchi scialli e fazzoletti friulani, la caratteristica lum (lucerna a olio) decorata a colori vivi, colla catenella in ottone, e la festosità dell'argilla, foggiata a oggetti ornamentali.

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Nessuno pretende che si scenda in acqua come si scendeva trent'anni fa, in un casotto mobile che i bagnini spingevano fino a che l'acqua arrivava all'altezza delle bagnanti... o come descriveva nelle sue memorie Danielle Stern, al tempo della duchessa Du Barry. Ricordate? «L'etichetta voleva che si sparasse un colpo di cannone, proprio quando la duchessa entrava in mare, e che Sua Altezza Reale fosse accompagnata dal medico ispettore. Questi le offriva la mano destra, inguantata di bianco come per un ballo. Dopo di che libertà per tutti. Le bagnanti erano portate a braccia da robusti bagnini in mezzo all'acqua, perchè era proibito a chiunque di lanciarsi solo tra le onde. Si tuffava la cliente prima con la testa e poi la si rituffava parecchie volte di seguito, e si finiva col rimetterla in piedi. Anche il costume, che esse portavano, era alquanto divertente; un copricapo a cuffia di «taffetas» incerato che avviluppava e nascondeva la chioma, pantaloni e gabbano di lana nera senz'alcun ornamento, spessi pedalini di vivagno. All'uscire del bagno, nella sua guaina appiccicosa e viscida, la donna più graziosa sembrava un mostro. Gli uomini, dall'alto di una terrazza, armati di binocoli da «opera» assistevano a quell'andata e a quel ritorno dalla terra all'Oceano, e dall'Oceano alla cabina,... dove le bagnanti riprendevano le pletoriche vesti cittadine». Ma c'è una via di mezzo. I corretti - e pur elegantissimi - costumi da bagno sono formati da un pajo di calzoncini, da una casacca senza manica, tipo blusone russo, che forma tunica e che copre i non troppo corti calzoncini. Entrambi vanno in fine tessuto a maglia di colore unito, di taffetas o satin nero unito a maglia milanese, in jersey con applicazioni bizzarre in tessuto diverso, o a righe, o a piselli, ecc. secondo la moda del momento; con cintura, borsetta; acconciatura analoga; vanno sempre in tessuto di lana, e vanno ben lavati in acqua dolce e stesi all'ombra dopo ogni immersione, fino a che sono asciutti. La moda effimera va trascurata, da serie signore e signorine dabbene per quella stabile, che va unita alla ricchezza dei tessuti e alla bella linea. L'accappatojo è stato sostituito da un mantello negli stessi colori del costume, e nella stessa stoffa, ampio, con maniche o senza maniche, con grosse sigle alle tasche. Elegantissimo è pure in cretonne di seta. Ciò per chi non porta il moderno pigiama maschile. Quest'ultimo ha il vantaggio di essere molto decente, ma di togliere qualsiasi femminilità alle figurette delle bagnanti... specie quando la moda voleva personale stecchito e capelli ingommati. Per passeggiate in barca, sarà molto elegante portare gonna e blusone bianco e giacca alla marinara, con ancore e bottoni dorati; oppure uno «sweater» turchino, con le ancore ricamate, su di una gonna bianca e berretto bianco alla marinara. Questo può essere esattamente eguale a quello dei nostri marinai, oppure perfettamente eguale a quello dei marinai americani.

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Applicazioni di olio sbattuto con acqua, misto a magnesia.

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Le «liseuses» sono specie di giacche calde e morbide per l'inverno, leggere e morbide per l'estate, che si adoperano appunto per leggere o per vedere delle amiche, quando si sta a letto e si sta a sedere sul letto, e che sono provvide quando si allattano sacrosantamente i propri figlioli. Quaranta anni fa, le signore eleganti portavano dozzine di corpetti in «piquet» bianco, tagliati a fianchetti, corpetti che, coll'avvento dei termosifoni, sono completamente aboliti. Ma, invece, bisogna trasformarli in giacche di lana leggera e pesante, lavorate a ferri o a uncinetto, preferibilmente bianche, per far trionfare l'igiene e la pulizia... anche queste preziose in una malattia, in una convalescenza, in un allattamento; oppure in giacche di flanellina, sia bianca a bei disegni colorati, sia tutta di una tinta, con ricami a mano in colori tenui, sia in crespo di lana o foulard, o in batista. Molto di moda, per le spose ricche sono quello che i francesi chiamano «ensembles de lit» cioè lenzuolo, federa in bianco e in rosa, eguale alla liseuse. Per avere una graziosa «liseuse» con poca spesa e con poco lavoro, si fa così: si prende della lana bianca a due capi e, con ferri da lana di media grossezza, si mettono 50 maglie. Si lavora un ferro dritto e uno rovescio, per la lunghezza di dieci centimetri, poi si raddoppiano i punti e si seguita a lavorare con grosse bacchette di legno sempre a diritto, fino a che si arriva a una lunghezza, che può variare da m. 1,50 a m. 1,80, a seconda della... robustezza della signora, a cui è destinata. Indi si riprendono i ferri da calza di prima, si torna a ridurre i punti a 50 e, lavorando un ferro diritto e uno rovescio, si ottiene un rettangolo simile al primo fatto. Questi due rettangoli vanno cuciti in modo da comporre i due polsi della «liseuse»; col restante lavoro si avranno corpo e maniche. Basterà fare, sul davanti, e su misura, due occhielli sporgenti, in cui si passerà un nastro, per tenere la liseuse aderente al collo e alla persona. Se si vuole averla più bella, si lavorano altri m. 1,50 o 1,80 in lana a due capi di altra tinta, colle stesse bacchette di legno. La nuova sciarpa così ottenuta, si unirà con qualche punto ai polsi, e in tutta la larghezza alla sciarpa bianca; la «liseuse» risulta così di due colori e si porta dal lato bianco, con il bordo colorato. Per lavarla (al pari di qualunque scialle, golf o lavoro a maglia) si può usare la benzina (vedi pag. 294) oppure bisogna immergerla in acqua tiepida, poi in una soluzione schiumosa di Lux, senza nè torcerla, nè sfregarla e poi risciacquarla in acqua tiepida. Infine la si pupe in acqua tiepida, in cui sia stata sciolta un po' di gomma arabica in polvere. Quando la «liseuse» sarà bene imbevuta del liquido gommoso, la si spreme leggermente, dapprima colle mani, poi in una tela bianca e si lascia asciugare stesa su degli asciugamani a spugna. È bene anche avere qualcuno di quei calzerotti di lana, eleganti, bianchi e rosa, o bianchi e azzurri, da calzare stando a letto, nell'eventualità di un raffreddore o di una malattia, per causa della quale le estremità si raffreddino molestamente, e due paia di calzettoni assortiti a un vestito sport, se si amano le escursioni. La giarrettiera non si deve vedere, quindi sia semplice e pratica, formata da un robusto e artistico nastro di velluto elastico. 4 cuffie da notte, in tulle o in batista o in merletto sono sufficienti, perchè esse variano con la moda, e perchè ogni signora desidera averle alla moda. 6 fasce addominali di vera lana, molto morbida e sottile, tagliate a garbo per non appesantire il personale femminile, dovrebbero essere portate in ogni giorno della vita, se si vogliono evitare raffreddature e malanni. Qualche golf, o sweater o pull-ower e un costume da bagno completeranno questo corredo.

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Oltre a questo, è bene avere 2 servizi da 12 persone da adoperarsi con più riguardo. La bella Fiandra lucida e autentica va sempre; ora, però, la moda consiglia tovaglie e tovaglioli in grossa tela di scuro lino, ricamata a motivi antichi in filo o cotone color crudo, i cui tovaglioli siano cm. 45 per cm. 45. Occorre, poi, una tovaglia da thè della misura di 12 persone (m. 1,70 per m. 3,30), una bianca della misura di 8 persone, 2 (almeno) ricamate a punto Assisi, o secondo la moda, con i tovaglioli analoghi. Bellissime e sempre di moda, ma adatte solo a chi possegga un castello, sono le tovaglierie di puro lino, con lo stemma della famiglia intessuto.

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Perciò chi viene a Roma e vuole avere l'ambito onore, prepari la domanda, a cui faccia apporre la firma del suo parroco e il timbro della parrocchia. Il tenore della lettera sia presso a poco questo: A S. E. Ill.ma e Rev.ma Il Maestro di Camera di Sua Santità Città del Vaticano. Il sottoscritto (nome e cognome) proveniente da X (parrocchia del S. Cuore) trovandosi a Roma, all'albergo X (o in Via X) rivolge viva preghiera alla E. V. affinchè gli sia concesso di ricevere, dalle Mani del Pontefice, la santa apostolica benedizione. Ringraziamenti e ossequi. dell'E. V. dev.mo e obb.mo Data e firma. Chi abita a Roma o vi conosce qualche prelato «introdotto» in Vaticano, può passare a lui la domanda; se poi viene in pellegrinaggio o con un gruppo speciale, non occorre faccia domanda, perchè è il dirigente del gruppo che se ne occupa. Le udienze collettive si dividono, dirò così, in due specie: quelle che si ottengono privatamente, e che hanno luogo in un salone del Vaticano, e quelle concesse a un gran numero di persone, riunite in uno dei storici cortili dell'immenso palazzo. Per le prime, basta un abito nero per gli uomini (e non frac e thigt), e un vestito anche modestissimo, purchè decente, con maniche lunghe, abbastanza lungo e accollato, per le signore. È concesso portare anche un mantello nero, e va sempre il velo nero. Nelle altre udienze di pellegrinaggi e comitive, il Santo Padre dispensa dal nero, ma la sua Corte esige vestiti puliti e decorosi. Gli ufficiali stranieri sono ricevuti in alta uniforme; d'or innanzi gli ufficiali del nostro glorioso esercito lo saranno del pari. Nelle funzioni in S. Pietro (beatificazioni e altre a cui presiede il Pontefice) nelle tribune dell'aristocrazia e della diplomazia, sono di rigore frac e vestito elegante come per le udienze private. Nelle altre tribune e recinti sarebbe di obbligo il nero e il velo in testa, però il Papa, padre tenerissimo, si preoccupa per i non abbienti e non vuole escludere dalla casa di Dio quelli che non posseggono un guardaroba ben fornito. Parecchie invitate spesso approfittano di questa bontà, vestono in rosso o in giallo, e vanno beatamente con cappelli variopinti, dando prova di poca convenienza e di poca educazione... Una veletta modesta costa poche lire, un vestitino scuro è presto rimediato, un mantello nero può essere chiesto ad un'amica...

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Fu la Regina Madre a inventare la festa delle uova, pel nostro Sovrano allora bambino. Ella ne faceva acquistare (oppure ne sceglieva col suo gusto artistico finissimo) di ogni varietà e foggia, e le nascondeva personalmente o nei suoi appartamenti, o nel giardino d'inverno del Quirinale, e assisteva alla gioia del suo augusto Figliolo e dei piccoli amici di lui, quando le trovavano. E, anche negli ultimi anni di sua vita, la prima Regina d'Italia donava ai parenti, alle dame, alle amiche d'infanzia, un gioiello e un gingillo, chiuso in un artistico uovo dorato, d'argento o di cristallo. Le mamme che vogliono far divertire i loro figlioli con la festa delle uova, possono preparare, oltre che quelle che si trovano in commercio, o quelle vere di gallina dipinte e colorate in cento modi, anche delle uova di pezza, che servono poi per una battaglia incruenta. Si fanno tagliando degli spicchi di stoffa dai vivaci colori, riunendoli con un punto a croce in lana, dopo averli riempiti di minutissimi trucioli da imballaggio. Oppure, col medesimo sistema, ma con una piccola chiusura a guaina, si fanno delle uova a sorpresa, contenenti dolci a forma di uova, o regalini. Oppure si ricama del filundente tagliato a spicchi con lunghi punti fitti di lana morbida, avendo cura che ogni spicchio sia di colore diverso. Generalmente si usa, nelle città dell'Italia centrale e meridionale, iniziare, il giorno di Pasqua, delle garden-parties di beneficenza all'aperto, con la cerca o con doni di uova agli intervenuti.

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E, a proposito di dote, va ricordato che chi vuol sposare un ufficiale, deve dare la dimostrazione di possedere una data rendita, e deve vincolarla a beneficio della futura famiglia, e che gli ufficiali e i diplomatici di carriera debbono avere il regio assentimento alle loro nozze.

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P. e. non deve obbligare un'amica a stare appositamente a casa per ricevere quella che, con brutto termine volgare, si chiamava un tempo «visita di digestione», ma deve farsi viva con una riga o una telefonata cortese dopo essere stata invitata a pranzo; una signora moderna e bene educata deve adottare il ritmo del tempo presente, unita all'educazione che non potrà mai passare di moda. E ciò in molti rami (corrispondenza, scambio di carte da visita, lettere di circostanza, visite) e anche nel modo di contenersi nei riguardi alla posizione del marito, in tram, per via, a teatro, nell'organizzare feste di beneficenza ecc. ecc... in una parola nell'ingranaggio della vita sociale.

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Una minestra che si fa senza brodo è la zuppa di cipolle (la soupe à l'oignon: pronuncia ognon) della classica cucina francese, che i buongustai parigini e stranieri vanno a gustare nelle gargottes alla moda di Parigi. Essa è sana, squisita e nutriente. Per sei persone, bisogna affettare sei belle cipolle o farle imbiondire con un etto di burro, a cui, poi, si aggiunge un cucchiaio da tavola di farina. Si fa cuocere un momento a fuoco vivo, e poi vi si unisce un litro d'acqua, sale, pepe e si fa andare a fuoco moderato per un'ora. Infine si passa tutto al setaccio, si versa la purée che ne risulta su pane abbrustolito, o fritto nel burro, e si serve con abbondante Parmigiano. Altre minestre, per cui non occorre il brodo, sono purées diverse (ottime, pratiche ed economiche sono quelle di piselli, pomidoro, asparagi e sedani, che si trovano belle e pronte in commercio, che si preparano con un'aggiunta di burro, in cui sia imbiondita un po' di farina, latte e acqua), minestrone e poi tutte quelle fatte col battuto, col brodo di pesce, col latte, ecc...

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Qualsiasi lettera cominci con due sole formule, a seconda della confidenza che si ha colla persona a cui ci si rivolge: gentile o gentilissima oppure con quella inglese, che è molto usata: «cara» o «carissima»... lasciando per sempre i «colendissimo, illustre, nobile, onorata, stimatissimo ecc.». Ogni lettera finisca con tre sole formule - «dev. suo, obl., aff.» lasciando «dev. servo» al fattore, quando scrive alla padrona. Rivolgendosi a un sacerdote, si mette: «al M. R. (molto reverendo) Don»; rivolgendosi a un prelato: «M. R. Monsignore»; a un Vescovo: «Eccellenza»; a un cardinale: «Eminenza»; al Papa: «Santità». E non si mandano «saluti» o «cordialità» ma «ossequi devoti» oppure «prego l'E. V. di gradire l'espressione della mia devozione». Scrivendo al Pontefice (come può succedere per pregarlo di una speciale benedizione o preghiera... Quante volte ci rivolgemmo a Lui per i nostri gloriosi prigionieri di guerra!), la formula di congedo deve essere particolarmente rispettosa - quale era quella della Regina Margherita nelle Sue lettere a Vescovi e Cardinali «con figliale affetto e colla massima devozione e reverenza, della Santità Vostra umilissima e devotissima».

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L'accludere il francobollo per la risposta (o, meglio, una busta affrancata col proprio indirizzo) è cosa necessaria scrivendo a direttori o direttrici di giornali, a chi si richiede di un favore, a persone molto occupate, che non hanno nessun dovere verso la persona che loro si rivolge. In questi casi, si scrivano degli appunti brevi, chiari e precisi (meglio se dattilografati), in modo che il richiesto dell'informazione o del favore non debba riscrivere per avere altri dati, bensì con un «no», o un «sì», o con una data posta accanto alla domanda, possa rispondere esaurientemente. E ciò specialmente va fatto verso chi abita la capitale, sede di Ministeri, di uffici, di Amministrazioni centrali, e che è generalmente assillato da richieste del genere, pur avendo poco tempo disponibile. Ottenuto il favore o l'informazione, è elementare educazione e dovere il ringraziare con una riga su di una carta da visita, o su di una cartolina illustrata. Ed è anche dovere di ogni cittadino quello di facilitare il lavoro a chi sta agli sportelli di una banca, di un ufficio postale o telegrafico, di un'agenzia di viaggi, presentandosi rispettivamente con la distinta degli assegni da fare e da riscuotere, col telegramma scritto a macchina e ben chiaro, col pacco sigillato come prescrizione, col denaro contato, collo scontrino riempito, ecc.

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Per esempio: l'agnello, in novembre, è cibo da ricconi; a Pasqua, sceso a prezzi modesti; il maiale si trova e si mangia in inverno, e non quando fa caldo; la verdura e le frutta costano meno in estate, ecc...

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Una signora, come fu scritto altrove, eviti di montare in tram vestita molto elegantemente, bensì ricopra la sua «toilette» con un sobrio mantello; se gli uomini non sono abbastanza educati da cederle un posto a sedere, ella mostri di non notarlo e stia tranquilla e composta in piedi. Se un vecchio, o un mutilato, o un operaio dall'aria stanca, volessero cederle il posto, non lo permetta; se ella stessa, quando è seduta, vede accanto a sè in piedi una vecchierella, una donna con un bimbo in collo, o una donna che aspetti un figliolo, o anche un vecchio, un ragazzetto dall'aria stanca o ammalata, si alzi senz'altro, senza ostentazione, e ceda il posto... senza accettare quello che un giovanotto elegante si farà un dovere di offrire a lei, mentre non lo avrebbe offerto ad un infelice... In certe ore di stragrande affollamento, una signora cerchi di evitare il tram o l'autobus. Faccia un tratto di strada a piedi e vada a prenderlo a capolinea, allora che è vuoto; se non le è proprio possibile questo, si metta accanto al conducente, a sinistra, in piedi, e allontani, col suo contegno corretto e impersonale, qualche fannullone maleducato, che volesse recarle in qualche modo molestia.

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Fino a pochi anni addietro, il capitolo «à table d'hôte» aveva grande importanza, nei libri sul genere di questo. Ora la «table d'hôte» è dappertutto abolita, e ciò dopo l'avvento dei nuovi ricchi. Questi commettevano, a tavola, tali sconvenienze, ed erano talmente volgari e rumorosi, che i veri signori, non potendo sopportarli, chiesero agli albergatori un tavolino separato. Così, ora, tutti mangiano in tavolini separati. Il contegno d'una signora, in albergo, deve essere riservato senza essere immusonito. Se ella non è più giovanissima ed ha un certo colpo d'occhio, distingue subito, fra i vicini di tavola e di camera, i tipi consoni alla sua educazione da quelli che non lo sono. Una signora sia paziente, anche se il servizio non è perfetto, riserbando di fare le sue lagnanze al padrone o al direttore con calma e con giusta fermezza; quando ella ha mille ragioni, e proprietario e direttore non vogliano riconoscerle, ricordi il detto: «Chi ha più educazione la mostri...», paghi senz'altro il suo conto e lasci l'albergo. Se canta e suona, non disturbi gli altri ospiti da mane a sera: non invada sempre il campo del tennis, o ipotechi per la sua brigata tutti i tavolini del bridge o del poker. Non faccia la prepotente, soltanto perchè ha un bel nome o perchè ha danaro. Non si faccia notare in nessun modo speciale; non stringa fervide amicizie che forse, a informazioni avute, sarebbe costretta a... piantare, ma cerchi, nel limite del possibile, di fare lì, come dappertutto, un po' di bene. Sconsigli, per esempio, un libro a una ragazza orfana; prenda sotto la sua protezione una gobbina che tutti sfuggono; dica una parola buona o incoraggi con un sorriso l'istitutrice di quei volgari nuovi ricchi, che sanno punzecchiarla così... dolorosamente; inizii una colletta a beneficio della guida caduta nel crepaccio, porti alla vedova di lui anche il conforto della sua presenza e della sua parola... In quanto al modo di vestire, una signora non sieda mai alla colazione del mezzogiorno, in paese di mare, coperta coll'accappatoio da bagno, colle gambe nude e con i sandali!... Ormai i vestitini da spiaggia s'infilano con tanta facilità e sono tanto carini... E se poi non si sente di occupare cinque minuti nel rendersi presentabile, si faccia servire la colazione nella propria camera!... In montagna, a chi è reduce da gite, è concesso di venire in sala da pranzo, a mezzogiorno, in costume sport con i pantaloni; fino a un paio di anni fa, anzi, era concesso anche pel pranzo, in modo che si vedevano vestiti principeschi da ballo, gioielli di gran valore, accanto a costumi sportivi. Ma, ora, ogni grande albergo ha preparati due saloni per le sue ospiti, a seconda che esse vogliano vestire da sera o da alta montagna, cogli scarponi chiodati. Al pranzo, generalmente segue il ballo, per cui valgono tutte le norme per i balli negli alberghi e nelle sale da thè (vedi cap. VIII). Ormai è invalso l'uso simpaticissimo che le signore vestano, da mattina fino all'ora di pranzo, il costume montano della regione, uso che è stato messo in onore dalla Regina Margherita a Gressoney. Infatti Ella, sino a che rimase vedova, indossò il grembiale rosso delle contadine di lassù, e sempre chiese alle sue ospiti di seguire il Suo esempio.

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e nessuno può negare questa piccola legittima soddisfazione... ma a patto che essa resti nello stretto ambito della realtà e della verità. E ancora... attenzione!! Vi è spesso tanta cattiveria nel mondo, che ciò può produrre invidie e vendette ignobilissime... Le vanterie poi sono come le ciliegie: una tira l'altra... Così, S. E. Mussolini, diventa, un po' per volta, «l'amico Benito che nulla fa senza chiedermene il parere»; viceversa «le Loro Maestà...». Le mie amabili lettrici si divertano a questo piccolo aneddoto autentico. Un noto e buon pittore, molti anni fa, fu lodato dai compianti Sovrani Umberto e Margherita, per un certo quadro che egli esponeva a Venezia. Questa lode gli diede alla testa. Al primo conoscente incontrato, raccontò la verità. AI secondo aggiunse: «E che stretta di mano ricevetti dal Re!» Al terzo: «E che stretta affettuosa!» Al quarto: «E la Regina mi guardò con amicizia!» Al quinto: «E la Regina mi guardò con amicizia, dicendomi: - Sarei molto lieta di rivederla! -». ... al decimo: «Le LL. MM. mi invitarono a prendere il caffè con loro». Infine, a distanza di anni, la semplice cortesia dei Reali, aveva fatto germogliare questo racconto, che tutti si facevano ripetere, per divertirsi a spese dell'artista: «Passavo un giorno davanti alla Consulta, quando udii gridare: - Oh, amico!... -«Alzai gli occhi al balcone del Quirinale e vidi Umberto. - Buon giorno, Maestà. - Buon giorno, amico; da bravo, salite! - Non posso, Maestà. Tengo n' appuntamento. -Ma come? Scherzate! Su; vi aspetto. - Non posso, Maestà. Tengo n' appuntamento, - e faccio per andarmene...». (Ognuno vede, oltre che l'immensa inverosimiglianza, anche l'irriverenza di presentare il Re d'Italia a colloquio col primo venuto, su di una finestra alta dieci metri dal suolo). ... ma il Re non si diede per vinto. - Eh, amico! Adesso farò venire io una persona, a cui non potrete dire di no. Margherita! Margherita!... - «Ecco la bionda Sovrana apparire al balcone. - Caro cavaliere, a me non direte di no! Venite su, e mi darete il braccio per andare a pranzo!... - «Ed io, finalmente, - terminava l'artista vinto dalla grazia regale, - salii a pranzo con i Sovrani...». Senza commenti.

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Sarebbe molto meglio che ognuna di noi avesse una sola famiglia veramente bisognosa a cui provvedere, perchè così sarebbe creato, fra benefattore e beneficato, un vincolo di cordialità, di fraternità, di gratitudine... ma, in ogni modo, è sempre meglio beneficare ballando, anzichè non beneficare del tutto... Una signora può dare il suo nome, (specie se il marito occupa una posizione ufficiale), a vari comitati, ma, se lo dà, è tenuta a lavorare almeno un poco per ognuno di essi. La forma di beneficenza di sicuro successo è la lotteria, magari gastronomica, purchè: la raccolta dei doni sia organizzata razionalmente con calma, con tempo, colla suddivisione della città in zone ben determinate; nel comitato vi siano bei nomi rappresentativi e buoni nomi attivi; vi sia una sola, pratica, capace ed energica signora alla direzione; purchè i giornali ne parlino a lungo e in forma allettante; purchè ci sia un dono delle Loro Maestà (dono di cui i Reali d'Italia, sempre pronti a incoraggiare ogni forma di bene, sono larghi), dono che va richiesto dalla presidenza del Comitato a S. E. il Ministro della Real Casa, o alla dama di Corte di servizio presso S. M. la Regina; purchè tutte le persone del Comitato si occupino onde avere tutto gratis (biglietti, bollettari, locali, urne, ecc.); purchè i doni siano disposti negli appositi scaffali con gusto e con pedantesca esattezza di numerazione; purchè vi sia sempre una piccola riserva di oggetti non disprezzabili, con cui colmare il vuoto lasciato da un oggetto introvabile (malgrado la migliore buona volontà e organizzazione, qualche piccolo sbaglio è sempre inevitabile); purchè alla cassa vi sia persona pratica, fidata e sicura, e vi sia un rigoroso controllo; purchè non vi sia ombra di irregolarità apparente o reale; purchè i doni più belli e appariscenti non siano vinti subito (per ovviare questo pericolo, la signora che è a capo, prenda e riponga nella sua borsetta i foglietti col numero corrispondente a quello dei doni migliori, foglietti che poi, uno per volta, metterà nell'urna per l'estrazione); purchè, oltre che la «réclame» sui giornali, ve ne sia altra di efficace (per es. quella di foglietti multicolori volanti, gettati da automobili signorili, all'ora del passeggio, in tutte le vie della città); purchè ai banchi vi siano, a distribuire gli oggetti, signore appartenenti alla buona società, carine, ben vestite, gentili con tutti; purchè, se un membro del Comitato ha avuto la fortuna di vincere qualche bel dono, lo rimetta subito in lotteria, facendolo sapere al pubblico; purchè, a festa finita, sia pubblicato e diffuso un esatto rendiconto minuzioso.

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Venendo poi alla famiglia che non può disporre, pel vitto, che di L. 9.000 annue, pari a L. 750 mensili, essa deve imporsi economia e restrizione. Invece di mangiare tre giorni su sette il bollito, onde avere il brodo, deve mangiarlo cinque giorni su sette. Ma, allora, la padrona di casa deve cuocerlo a metà, e poi metterlo o in umido o alla cacciatora, onde variarne il sapore; far sì che solo il padrone di casa beva vino; fare il caffè d'orzo, anzichè quello coloniale; diminuire un po' i condimenti o il formaggio nella minestra; il venerdì, invece di pesce, adoperare baccalà (il quale ben fatto, e mangiato non troppo spesso, è sano e gustosissimo, e ha fatto la fortuna di trattorie specializzate e frequentate da un pubblico elegante di buongustai), sostituire il dolce con la marmellata piu economica fatta in casa, che è quella di fichi. Cosicchè allora potremo dividere le L. 750 mensili nel seguente modo: Pane un chilo e mezzo L. 3,00 Latte un litro e mezzo L. 2,25 Companatico per i due pasti principali L. 9,00 Verdura o patate L. 2,00 Caffè e zucchero L. 1,00 Vino L. 1,00 Frutta L. 1,25 Varie (sale, spezie, ecc.) L. 0,70 Condimenti (avendo sempre brodo o sughi per le minestre) L. 2,00 Riso molto più spesso che maccheroni, in modo da non spendere per le due minestre più di L. 2,00 Per la marmellata settimanale L. 2,10 divise in giornaliere L. 0,30 Gas o legna, curando molto l'economia L. 1,50 Totale L. 26,00 E siamo a L. 26 anzichè a L. 25... È da notarsi, però, che questi prezzi sono calcolati in base a quelli di città grande, al minuto e nell'epoca in cui sono in pur lenta diminuzione. In quanto alle provviste all'ingrosso, è savio, in generale, limitarsi, vivendo in grandi città, a comperare riso, pasta, strutto casalingo, droghe, vino, olio, purchè la padrona di casa consegni ella stessa, ogni mattina, ciò che serve per la giornata a chi fa la cucina. Nelle grandi case ricche e signorili, la governante e la padrona «fanno la dispensa». Questo uso dovrebbe essere seguito anche nelle piccole famiglie, perchè impedisce lo spreco. Prima cosa necessaria in cucina è una bilancia; essa va tenuta chiusa a chiave in un armadio o nella dispensa con le provviste... (purchè la padrona non perda cento volte al giorno le chiavi, o le nasconda... dove non le trova più, o le lasci girare a portata di tutti!...).

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Venendo ad altre feste di beneficenza, ora usano molto i thè danzanti, ma essi, generalmente, rendono poco, perchè gli alberghi, le sale da thè che danno locale, musica e thè, lasciano uno scarso margine per l'opera a cui beneficio gli intervenuti danzano. Per ottenere molto pubblico, è necessario avere un grande numero di patronesse attive, avere sempre qualche regalo donato da estrarre a sorte, e qualche divo del canto, del ballo e del cinematografo da presentare. S. M. la Regina e le Reali Principesse di Piemonte, d'Aosta ecc. onorano talvolta qualche pubblica festa di loro presenza. In caso ci sia questa speranza, la Presidente del Comitato benefico fa la domanda, per mezzo del Gentiluomo d'onore della Maestà Sua o delle Loro Altezze; avutane risposta affermativa, ringrazia subito per lettera, sempre con lo stesso tramite. Ella, colle signore del comitato, stia pronta all'ora fissata a ricevere la Sovrana o le Principesse, a cui offrirà un mazzo di fiori finissimi, legati con nastro, e che accompagnerà o al palco o al posto d'onore. Nel caso che la M. S. o le LL. AA. RR. gradissero un rinfresco, esso sarà servito loro in apposito salotto o locale, e mai in pubblico. La Regina o le LL. AA. verranno riaccompagnate all'automobile collo stesso cerimoniale; la Presidente del Comitato è tenuta a ringraziare subito per iscritto dell'alto interessamento, indirizzando sempre al gentiluomo di servizio. Altre feste che, bene organizzate, possono dare buon ricavo alla beneficenza, sono le così dette «Garden parties» (al singolare «garden-party», cioè letteralmente feste in giardino e italianamente «feste all'aperto»). Il segreto del successo è nel mettere il biglietto d'ingresso a prezzo moderato e a moltiplicare le attrattive nell'interno della villa, o del parco, o del giardino, o del «dancing». Queste attrattive possono essere, per i bambini: corse sui somarelli o in triciclo, il gioco dei cerchietti, delle bottiglie, dell'altalena, i burattini, ecc.; per i grandi, teatrino, lotterie, pozzo di S. Patrizio, chiromante, ecc.; per piccoli e grandi, gelati, rinfreschi, orchestra o banda musicale, corse in canotto, ballo... Le feste con prezzi molto alti, dedicate ad un pubblico scelto, come quadri viventi, recite, ecc., debbono venire preparate da qualche personalità altissima (a Roma, ogni anno, la Principessa di S. Faustino e il Principe d'Assia, consorte di S. A. R. la Principessa Mafalda, organizzano un programma artistico di numeri nuovi e originali). Ora verranno di moda, invece dei soliti quadri viventi, gli arazzi viventi, dacchè S. M. la Regina, nel 1929 e nel 1930, li presentò al Palazzo del Quirinale, facendovi partecipare le LL. AA. Mafalda, Giovanna, Maria e Adelaide di Savoia-Genova. Una signora, che voglia assumersi l'impegno di condurre a buon porto una festa di beneficenza, ricordi che occorre sempre il permesso del Podestà, della Prefettura e il pagamento di una tassa erariale. Anche su ogni biglietto di thè danzate o di ballo, va pagata una tassa fissa (che, trattandosi di beneficenza, può essere minore, se combinata a «forfait»); dove c'è un'orchestrina, su ogni pezzo vanno pagati i diritti d'autore, ecc. ecc.

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Figliole, imparate a memoria queste forti e calde parole di R. W. Trine: «Non perdete mai tempo a lagnarci, ma utilizzate il tempo che sprechereste in tal modo, aspettando ed attuando le condizioni desiderate. Suggerite a voi stesse la vittoria. Vedete già raggiunto ciò che desiderate; affermatelo con calma e tranquillità, ed anche con forza e fiducia. Credetelo, credetelo assolutamente. Vi rendete così calamita, che attira le cose desiderate. E non abbiate paura di suggerire, di affermare queste cose, perchè, ciò facendo, produrrete un ideale che si rivestirà di forma materiale. In questo modo utilizzerete agenti fra i più sottili e potenti dell'universo».

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Ricordate che una donna ricca, bella, piena d'ingegno e di volontà, può essere odiosa a tutti, se non è gentile, amabile, pronta a rendere un servizio, a cedere o a sacrificarsi. Ricordate che la prima carità deve essere fatta in casa... quindi cominciate a trattare più che umanamente, ma cordialmente le vostre domestiche. E siate graziose e educate con i fornitori, con i negozianti, che hanno messo in soqquadro il negozio per accontentarvi, con le signorine del telefono (dove non esiste l'automatico); in una parola, con tutti quelli che vi circondano. Ricordate che i veri signori si riconoscono dalla cortesia, tanto più grande, quanto più umile è la persona a cui si rivolgono. Ricordate una frase della marchesa Paola Pes di Villamarina, la compianta dama d'onore della Regina Margherita: «Oggi si dice spesso: «Come è è bene educato il tale!... Una volta si ometteva questo elogio, perchè era naturale che tutti, in un certo mondo, fossero bene educati!»

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Purtroppo, spesso, la donna perde... il bene dell'intelletto a sessant'anni, e, proprio nell'età in cui potrebbe spandere tanto bene intorno a sè, spande su di sè il ridicolo. Un umorista scriveva queste parole: «Per esclusivo merito e perseverante sforzo delle nostre contemporanee, noi uomini finiremo, un giorno, per conoscere la vecchiezza. Ma la loro, la vecchiaia delle nostre compagne, quella non la conosceremo mai più. Ciò non è poco, e noi dobbiamo esserne profondamente riconoscenti. L'angelo del focolare vuol conservare intatte tutte le nostre dolci illusioni. Essa ci lascia invecchiare, quando pur non ci aiuta a tal fine. Ma, per conto suo, si sacrifica e consente a farsi ringiovanire sino al rimbambimento incluso, non fosse altro per dimostrare quanto sia fallace l'amara parola di colui, il quale pretendeva che bastava guardare le madri, per rinunciare a sposare le figlie»...

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Appena tornata dal viaggio di nozze, una sposa disponga in ordine speciale, nell'apposito armadio, la sua bella ricchezza, assieme a dei mazzi di lavanda e a dei sacchetti di gaggia, per darle quel profumo famigliare e onesto tanto gradito. Anzitutto prepari alcune carte da visita con grosse scritte in inchiostro rosso (lenzuola da sotto, tovaglie di uso corrente, asciugamani ecc.) e alcune puntine da disegno, con cui fisserà i cartoncini al piano dell'armadio, sotto ogni pila di biancheria. Metta insieme le lenzuola, le federe, gli asciugamani, così detti di lusso, e poi, man mano, la roba divisa per specie, e secondo il numero progressivo che vi è ricamato. Nell'ultimo reparto metta le coperte da letto e la biancheria della servitù. Così saprà subito, con un'occhiata ai cartoncini, dove mettere le mani quando dovrà togliere questo o quello. Poi attacchi uno spago nel mezzo di un lungo quaderno, sul tipo di quelli che servono alla cuoca per notare la spesa, quaderno su cui ella avrà notato tutto quanto la famiglia possiede in biancheria, e lo appenda allo sportello interno dell'armadio. Per la rotazione della biancheria, rotazione indispensabile, onde non avere della roba sempre in opera, ed altra che si deteriora perchè tenuta sempre stirata in fondo all'armadio, basta qualche mezzo minuto di pazienza e di accuratezza, nonchè una matita stabilmente attaccata allo sportello dell'armadio. Infatti: ammettiamo che la padrona di casa abbia fatto il suo letto con lenzuola N° 1 e N° 13 rispettivamente, e l'abbia notato sul quaderno, o, magari, sul rovescio di una partecipazione di nozze, fissata con una puntina da disegno allo sportello; non ha che a togliere, per un cambio, quelle segnate col N° 2 e i 14, operare egualmente per federe e asciugamani, e notare i nuovi numeri sul quaderno o sul cartoncino. È molto più lungo a scriversi che a farsi!... In quanto alla tovaglieria, dove non sarebbe bello vedere un numero ricamato, ma che è di disegno diverso e, quindi, facilmente riconoscibile, si fa così. La padrona di casa tenga ogni servizio legato con un nastro, e appunti o ingommi sul nastro un cartellino con numeri progressivi, numeri che, sul registro, possono essere specificati così: N. 1 corrisponde a tovaglia con ricamo siciliano. N. 2 corrisponde a tovaglia di Fiandra con à jour basso. N. 3 corrisponde a tovaglia ricamata a stile antico ecc. Il giorno del bucato basterà dare un'occhiata sul quaderno o sul cartoncino-partecipazione attaccato all'armadio, per sapere che, se si mette a lavare il servizio N. 4, viene la volta del N. 5 ecc. ecc. Altra norma importantissima per una brava padrona di casa è quella di non lasciare per anni la biancheria di filo ben stirata e piegata in un armadio, senza adoperarla. Quando una signora mostra orgogliosamente il suo armadio, dove c'è tutta la roba apparecchiata e stirata, dimostra di non sapere che quell'apparecchiatura e stiratura compromettono la roba per l'avvenire. Quando una famiglia riceve molto e mette in rotazione sempre tutta la roba, allora è bene essa sia pronta, ma quando la famiglia non adopera che a intervalli di anni quel pomposo servizio da 18, o quelle lenzuola ricamate, o va in campagna per dei mesi, allora dette lenzuola e detti servizi non vanno stirati, bensì accuratamente piegati e riposti. Quando una famiglia è costituita da anni, la signora che vi è a capo, deve tenere la biancheria sotto il suo continuo controllo, e deve rivederla ad ogni bucato e rammendarla al primo accenno della stoffa che si fa rada. Quando le lenzuola erano a teli, era molto facile sapere quando era il momento di voltarle (operazione che la rendeva nuove) cioè quando il filo della cucitura era consumato; ora che, generalmente, sono di tela o cotonina alta m. 1,50 per letti piccoli e m. 3 per letti matrimoniali, bisogna stare bene attenti a fare questo piccolo lavoro, quando la stoffa diventa rada nel centro del lenzuolo. Altro lavoro pratico è quello di ridurre da lenzuola grandi delle piccole; da qualche buon rettangolo di tela di lino delle federe, da qualche pezzo di lenzuola di servitù degli asciugamani da cucina ecc. Stabilito poi quanto debba essere il quantitativo di biancheria necessario e sufficiente alla propria famiglia, esso sia sempre mantenuto tale. Un asciugamano comprato ogni mese, per un anno di seguito, rappresenta una quindicina di lire mensili, di cui il bilancio non si avvede, ma rinnova in tre anni la provvista ecc. ecc. Ogni donna italiana segua questa organizzazione facile e semplice, che «cammina da sè», se le si dà un paio di ore di tempo ogni anno... abbia per proprio orgoglio il suo armadio della biancheria, e se qualche amica le dice: «Voltare le lenzuola... rammendare gli strofinacci di cucina... che tirchieria!...» le risponda che l'illuminata economia e l'ordine sono le più belle doti di una signora e di una stirpe... e radii subito quella tale dal numero delle sue amiche.

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Le stesse norme o presso a poco, valgono per i domestici uomini; un po' diverse sono quelle che regolano il servizio dell'attendente... Anzitutto vien naturale di rilevare che un motivo di semplificazione domestica per la moglie di un ufficiale è dato dall'attendente, cioè da un servo che «sente» la disciplina, che è, 999 volte su mille, un bravo ragazzo dabbene, che si affeziona se è ben trattato, che è la gioia dei bambini di casa, che è giovane e sano, e che è, quindi, un ottimo elemento da mischiare con l'altra servitù. Ma, appunto per questi motivi, l'attendente deve essere trattato in modo speciale, ricordando che egli è «un soldato»... e, quindi, non deve essere messo, per un certo senso di dignità, a lavare i piatti, o occupato in mansioni basse e femminili. Non deve, per esempio, condurre a spasso il cane, (a Roma, se l'attendente fosse sorpreso col cane, sarebbe messo in prigione, e il suo padrone si prenderebbe una brutta «grana»), nè fare la spesa con un capace fazzoletto, nè portare fiaschi o valigie ingombranti. La padrona di casa deve dargli gli ordini chiari e precisi, tenendo a mente che talvolta egli parla un dialetto indiavolato, e capisce con difficoltà la pronuncia di altre parti d'Italia; deve fare in modo che, se egli non è dispensato dal rancio, lasci sempre la casa in tempo, e possa giungere in caserma puntualmente, non rischiando di trovare il brodo freddo e la pasta collosa; non lesinare un bicchiere di vino, una porzione di carne o un dolce, quando l'attendente serve a tavola, o in giorni di ricevimento e di maggior lavoro. Egli può proficuamente e dignitosamente essere adibito al riordinamento della casa, alle commissioni, a condurre maschietti a scuola, a servire la tavola... ed avere una lista dei lavori da compiere settimanalmente: battitura dei tappeti (per chi non abbia l'aspiratore elettrico), lucidatura dei pavimenti, lavatura dei vetri, lucidatura degli ottoni e di argenteria, dato che, nella massima parte dei casi, egli ha le mansioni di un cameriere. Una padrona di casa coscienziosa e dabbene ha, poi, lo stretto obbligo di vigilare quando ha per domestiche delle ragazze e, specialmente, una ragazza, sul contegno suo e dell'attendente. In quanto al modo di vestire quest'ultimo, non si abbia il cattivo gusto (stavo per dire la «cafonata»), di metterlo in frac, e di farlo apparire come un domestico di gran stile. Qui a Roma e dappertutto, cominciando dalla casa del Ministro della guerra, in tutte le famiglie distinte si usa vestire l'attendente con la giubba bianca, a cui sieno attaccate le mostrine della Brigata, con un ottimo paio di pantaloni grigio-verdi e con buone scarpe, a cui si aggiungono i guanti di filo bianco, quando esso serve a tavola o prepara il thè. È inutile aggiungere che l'attendente deve avere almeno un paio di pomeriggi liberi durante la settimana, e che deve usufruire della licenza annuale, come gli altri soldati della stessa classe.

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Altrimenti, come si potrà insegnare a servitù intelligente, ma non pratica... come si potrà calcolare quanto tempo occorre per una data faccenda, come si potrà valutare la fatica e lo sforzo, premiare il successo, biasimare l'insuccesso? Ed ecco sorgere la necessità di scuole professionali pel le giovinette abbienti, e la necessità di quelle scuole per domestiche, che, dopo un certo tirocinio, rilasciano un diploma, - scuole che sono numerose all'estero e che vanno sorgendo in Italia - scuole basate su caratteri di assoluta praticità... Ecco sorgere la necessità che tutto, in casa, sia deciso con ponderatezza, senza nulla lasciare al caso. Per esempio: una volta una signora fece ridere delle amiche, dicendo loro che la previdente intelligenza e praticità della padrona di casa, deve esplicarsi anche... negli strofinacci da spolverare! (ancora non era inventato l'aspiratore elettrico...) ma, poi, esse dovettero convincersi che, adibendo a quest'uso qualche vecchio straccio, o qualche tessuto bucherellato o bucato, andava a finire che il buco entrava... proprio nel braccio di una figurina di porcellana o nell'ansa di una zuccheriera, e che, ritirando con forza lo straccio, figurina e zuccheriera andavano facilmente a terra in frantumi. Il posto del telefono deve essere bene studiato, in modo da risparmiare tempo e moto a chi lo adopera maggiormente, in modo da essere al riparo da indiscrezioni, ecc.; quando una casa è a due piani, l'avere un secondo apparecchio con derivazione, costa cento lire annue in più (tariffa di Roma), ma risparmia notevolmente gambe e anche nervi. Il libro degli indirizzi deve essere tenuto sempre aggiornato; esso deve avere anche una piccola rubrica o aggiunta coll'indicazione degli onomastici e natalizii delle conoscenze più intime, e del giorno in cui le amiche ricevono... Piccole cose, ma utili nel senso sociale, e pratiche, perchè risparmiano tempo... tempo di cui, teniamolo bene a mente sempre, abbiamo il sacrosanto dovere di essere avare.

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- Rispondiamo loro che nulla, come la religione bene intesa e bene applicata, dà la felicità e la serenità, che nulla piace a Dio quanto in gioja, e che, dal progredire nell'assiduità delle pratiche religiose, - senza arrivare al bigottismo odioso - la famiglia, per prima, avrà da avvantaggiarsene. Infatti, una caratteristica delle anime femminili che sentono profondamente Iddio, è la serenità, e la serenità è la moneta spicciola che rende felici, in ogni giorno e in ogni ora, noi stesse e chi deve vivere con noi. Le donne serene si possono paragonare alle piante sempreverdi, che, d'inverno e d'estate, sotto il sole e sotto la pioggia, sono sempre eguali, dignitose e belle: da esse (che non trascurano i doveri del loro stato, che frequentano il mondo, che vestono alla moda con gusto, che discorrono con brio, che ricevono con signorilità nella loro bella casa), si vede partire una luce, che dà loro, persino, una prolungata giovanezza di linee, un riflesso della giovanezza fisica anche nella vecchiaia... Esse pensano che è meglio percorrere allegramente il sentiero della vita, saltando con agilità al disopra delle spine e degli ostacoli, invece di sedere presso ogni siepe a gemere sulla sorte e ad aspettare...; e, che, quando giunge il male, il miglior partito è di correre in cerca del rimedio. Da esse, ripeto, si vede partire una luce, che non verrà mai dalle atee per progetto, dalle indifferenti per infingàrdia, dalle spregiudicate per vizio, dalle sprezzanti di ogni regola, perchè esse molto hanno da nascondere della loro vita, trascorsa a violare la legge di Dio... Chi, a Roma, passa da via Lombardia alle nove del mattino, vede, davanti a un gran deposito di verdura, sostare una specie di piccolo «omnibus» nero, con due finestrelle semichiuse, del tipo di quelli che una volta servivano a condurre i condannati alla Corte d'Assise. Vede soendere due graziose suore, le vede entrare a prendere della verdura - non guasta, certamente, ma un po' appassita - che il padrone cede a minor prezzo per ospizio dei vecchi, a cui esse amorosamente attendono. Una di queste suore possedeva, un giorno, un palazzo nell'aristocratico quartiere Ludovisi, dove ora viene a chiedere la carità; altra conduceva la sua «victoria» nei viali di Villa Borghese, dove, ora, passa chiusa nella carrettella nera; entrambe sono ancora abbastanza giovani, fresche e belle. Ebbene: nei loro visi intelligenti c'è una espressione di serenità e di gioia perfetta, che non è simulata a beneficio del vecchio negoziante di verdura...

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bensì mandarli volentieri a volare, a viaggiare e specialmente a colonizzare... (l'Italia ha troppi impiegati, occorre trovare una via di lavoro più sana, più agile, più patriottica)... ma, fino a che i nostri figlioli sono bambini, facciamoli girare il mondo con noi, e non soli, a portata di tante insidie. Come insegnare, per esempio, a volere? Obbligandoli e poi persuadendoli, appena sono in condizione di comprendere qualche cosa, ancora barcollanti sulle gambine tonde, a star fermi sul loro seggiolino, due, tre, cinque minuti: persuadendoli, quando sono più grandini, a starvi una mezz'ora, e mettendoli sul punto d'onore, dicendo: «Tu sei tanto caro, sai fare tante cose... e, certamente, saprai anche volere...». Come insegnare loro la doverosa fraternità per chi soffre? Abituandoli, fin da bambini, a vedere che gli ospiti più graditi, nelle nostre case, sono i più disgraziati; a osservare, al Pincio, le ricche «limosines» che scivolano sui viali, portando una signora dall'aria stanca e annoiata, mentre giù, nelle strade dell'immensa Roma, convalescenti e paralitici a decine sospirano invano: «Oh, potessimo fare un giro all'aria aperta, lassù!...»; mandando, se possediamo l'automobile, loro stessi a prendere la maestra anziana, il vecchio ufficiale pensionato; oppure, se possiamo avere un palco a teatro, facendoveli accompagnare da persone modeste, e desiderose di buona musica... Come allontanarli da malsane curiosità e impurità? Spiegando loro con le parole dell'Ave Maria, il saluto alla Vergine Purissima, la dolcezza di un bambino unito tanto tanto alla sua mamma ancora prima di nascere; spiegando serenamente, come fosse una lezione di astronomia, certe leggi di natura nella loro grandezza e bellezza divina, allontanando il pensiero da ogni malizia umana, non pretendendo una simulata ignoranza, ma un linguaggio e un pensare correttissimo. Come abituarli ad accontentarsi di quello che posseggono, e a non essere invidiosi? Facendo loro constatare, toccare con mano, che nessuno al mondo ha tutto e tutto può godere, per una legge divina di giustizia distributiva; che la signorina X si veste da Patou, è vero, ma che ha una madre notoriamente di cattiva condotta... che quel giovane guida la Roll-Roice ultimo modello, ma che, al suo passaggio, molta gente maledice suo padre, che è un usuraio... E quando sapranno questo, i nostri generosi ragazzi italiani, affettuosi, tutto cuore, saranno ben felici di correre ad abbracciare la loro mamma anche se non veste da Patou; di saltare sul tram col babbo, che tutto il mondo cita a modello di onestà... Parliamo loro sempre al cuore, memori del motto di Stefano Türr, il cavalleresco ungherese che adorava la sua bambina: «Senza il cuore niente»... Come allontanarli da persone e da luoghi di corruzione? Facendo penetrare profondamente in essi la convinzione che la violazione di certe leggi, di certi ordinamenti, danneggia le energie fisiche, spirituali e morali dell'individuo, e che, in questi casi, la natura fa cadere su di lui dei castighi e la società li aggrava; facendo toccare con fatti alla mano, con esempi, che è così, che non può essere che così, che non potrà essere che così. Infine, diamo un'abilità, una via di lavoro ai nostri figlioli. Non ne avranno bisogno? Tanto meglio! Ne avranno? Lavoreranno gaiamente o, almeno, coraggiosamente, sapendo che Dio dà e ritira le ricchezze, in quanto possano servire al nostro posto nel mondo, e al nostro miglioramento. E potrei continuare, ma parlo da 40 minuti e non ne ho che cinque disponibili...

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Una passeggiata giornaliera all'aperto a indispensabile in ogni stagione dell'anno e in tutte I' età. La paura dell'aria esterna fredda è errata. L'organismo sano e normale ha tali mezzi fisiologici da non risentire danno dal buon freddo frizzante... mentre, vivendo al disopra dei 18 centigradi, in aria poco o punto mutata, esso diventa facilmente vulnerabile, perchè viene accresciuta la sensibilità delle mucose nasali e della gola. La temperatura negli ambienti non dovrebbe scendere, in inverno, al disotto dei 12 gradi, ne salire oltre i 18. Il miglior sistema di riscaldamento artificiale sarebbe quello del caminetto a legna... ma è quello che disperde maggior calore. Le stufe a petrolio sono, generalmente, poco profumate; per quelle a gas, occorre una vigilanza speciale, onde evitare scoppi e eventuali fughe. Le stufe cosidette americane, a carbone minerale, possono riscaldare vari ambienti, ma hanno bisogno di un perfetto e forte tiraggio, per l'uscita del fumo. Alle stufe elettriche è riservato, indubbiamente, l'avvenire: esse sono a irradiazione (ottime per scaldare un piccolo ambiente o un determinato angoletto); oppure a radiatori per riscaldamento continuo di comuni ambienti; oppure ad accumulazione, nelle quali, durante la notte, mediante una comune «spina» e una comune «presa di corrente», viene riscaldata una massa di sabbia asciutta, sabbia che, il giorno seguente, cede il calore, attraverso un apposito condotto. Il sistema di riscaldamento generalmente usato e ottimo, è quello a termosifone: quello centrale, con una sola caldaia per varii appartamenti, è più economico, ma più pratico è quello per cui ogni appartamento ha la sua caldaia. Il termosifone può essere anche a gas o elettrico.

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Un grande e noto chirurgo che vive a Roma e che lavora molto, cena alle venti, poi studia o cerca uno svago nella musica o a teatro, e prende il suo bagno a mezzanotte, prima di coricarsi. Ottimo sistema quanto mai, il bagno essendo anche preferibile a qualunque altro mezzo per combattere l'insonnia, la dolorosa «piaga» di tante esistenze... Infatti, un uomo può restare varii giorni senza mangiare, ma non senza dormire. Il sonno è il buon rigeneratore della vita (e non «il fratello della morte» come cantarono dei poeti), ed esso va educato fin dalla nostra prima infanzia. Fino dai primi anni le madri devono abituare i figlioli a coricarsi presto, provocando loro un buon sonno con moto che non arrivi alla stanchezza; debbono sempre combattere quegli svaghi e quei divertimenti che incominciano alle ore in cui deve iniziarsi il sonno rigeneratore... In quanto alle ore necessarie all'organismo umano, ricordiamo che il bambino deve dormirne dieci, il giovane nove, adulto sette o otto, i vecchi cinque o sei. Ad esse si aggiunga, soltanto però per i vecchi, i deboli, i convalescenti, il riposo a letto e al buio. Il detto in voga anni or sono «il letto indebolisce», è stato combattuto dai medici moderni e dalla moderna medicina; il letto è indicatissimo, invece, nei casi di esaurimento, in cui conviene risparmiare il più possibile le forze.

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Oggi, in cui il cotone abilmente mascherato entra dappertutto, è una buona precauzione far preparare sotto i propri occhi delle imbottite veramente ideali, leggerissime e caldissime, procedendo così: Si compra della genuina lana di pecora e la si fa tirare a falde in qualche lanificio, si fa poi disporre su del satin (oppure della seta, ma, allora, seta vera e non artificiale) e si fa trapuntare da persona del mestiere su apposito telaio. Invece della lana, nei paesi dove si fa grande allevamento di bachi da seta, si può adoperare la così detta spellaia, cioè la seta che adombra il bozzolo quando è al bosco, e che si toglie a mano o a macchina prima di mandarlo alla filanda. Per chi è obbligato a lunghe ore d'immobilità a tavolino, sono stati inventati degli scaldapiedi elettrici, in lamiera di ferro laccato con griglie in legno, con un lungo cordone che si attacca a una presa elettrica; per chi soffre il freddo a letto, ottimo rimedio è quello d'indossare un paio di calzini di lana. E qui torna opportuno consigliare alle amabili lettrici un'opera buona, che costa poco tempo e poco denaro. Cerchino nei vecchi cassetti, nei vecchi involti dei pezzi di vera lana anche multicolore, anche appartenente al genere di tappezzeria in uso anni or sono, e ne facciano dei sacchetti con una guaina, grandi tanto da farci stare un paio di piedini. Li regalino a famiglie povere, che non hanno buone coperte e caricano il misero letto di stracci; serviranno per terser caldi i piedi dei bambini, dando loro un benessere generale...

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Anche il cacao al latte è indicatissimo; per avere pronto un ottimo concentrato di cacao che, sciolto in latte o in acqua, dà un risultato particolarmente adatto per ristorare lo stomaco nel più freddo inverno, ecco la ricetta della signora Ada Boni: «Riscaldare un etto di cioccolata, rammollito con un po' di acqua e frullarlo a fuoco debole, fino a che esso abbia l'aspetto di una crema vellutata. Unirvi allora, sempre mescolando, gr. 400 di zucchero, e sciogliere poi il tutto con due bicchieri di acqua. Mescolare bene e scaldare il composto senza però farlo bollire. Lasciarlo raffreddare e unirvi un bicchiere di alcool purissimo, in cui sia stato sciolto mezzo grammo di vaniglina. Uno o due cucchiai di questo composto danno un ottimo cacao igienico e corroborante». In qualche sera particolarmente fredda, quando si torna da teatro, può riuscire utile e piacevole trovare pronta, prima di andare a letto, una tazzina di punch... Spesso un raffreddore o un piccolo malanno sono evitati, prendendo qualcosa di forte e di bollente e ficcandosi poi sotto le coperte, con un fazzoletto in testa. Per ottenere in casa un buon sciroppo di punch, sempre secondo la ricetta della signora Ada Boni, bisogna far macerare per dieci giorni la buccia di un grosso limone in mezzo litro di alcool a 90 gradi, dove sia stata tagliata a pezzetti una stecca di vaniglia. Bisogna poi unire questo alcool aromatizzato a un litro di buon rhum, e all'infusione di gr. 10 di thè fatto in un bicchiere d'acqua bollente, quando questa infusione sia divenuta fredda. Infine unire due chili di zucchero sciolti in un litro di acqua calda e un grammo di acido citrico sciolto in un cucchiaio di acqua. Chiudere il tutto e lasciar riposare per tre giorni; indi filtrare e riporre. Con la spesa di circa 50 lire si possono quindi avere quasi tre litri di una composizione perfetta e profumata, atta a dare del punch eccellente, se sciolta in acqua calda, in proporzione d'un cucchiaio per tazza. Altra ottima ricetta pel punch, sia da bersi a bicchierini, sia da mettere nel thè, è la seguente: Lasciare in fusione per tre o quattro giorni una buccia di arancio e una buccia di limone (tagliata sottile e a pezzetti) dentro 1 / 2 litro di alcool e un litro di buon rhum. A parte preparare a caldo uno sciroppo con un chilo di zucchero in un litro di acqua; unire il tutto a freddo.

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Ugo Ojetti, spietato osservatore del mondo femminile, scriveva, nell'immediato ante-guerra: «A veder queste lunghe donne disarticolate, coi violenti contrasti di una berretta verde sopra un abito nero, di un pennacchio giallo sopra un vestito turchino, di una giacchetta rossa sopra una gonna grigia, ci si chiede perchè non si sia ancora pensato a ripiegarle in due o tre pezzi come i metri e i compassi e i temperini, per trasportarle più facilmente e poi aprirle a comodo, quando occorra. E forse questo, in tempi più pratici, avverrà».

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Come, in tempi lontani, un re impose la moda dei collari alti e pieghettati per nascondere il collo difettoso; un principe impose quella delle parrucche perchè era calvo; un altro quella dei pantaloni larghi, adorni di pizzi e nastri, perchè aveva le gambe storte; un'imperatrice impose la crinolina per dissimulare la sua prossima maternità, così ora la moda ha imposto un abito femminile che è corrispondente alla volgarizzazione dello sport, alle nuove abitudini di lavoro, d'indipendenza femminile, e all'igiene, ma anche intonato a arte e a signorilità.

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