Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I miei amici di Villa Castelli

214097
Ciarlantini, Franco 50 occorrenze
  • 1929
  • Fr. Bemporad & F.°- Editori
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA Oggi Mario è tornato a scuola. Egli ha ritrovato la sua maestra dell'anno scorso, i suoi vecchi compagni e qualche scolaro nuovo, che ripete la classe. Mario dice che si vergognerebbe a ripetere la classe, perciò ha promesso che starà attento e studierà.

Sembra di rinascere, sembra che quel liquido vada a ristorare ogni parte del nostro corpo. Non è solo l'uomo che ne ha bisogno. Guardate come buoi, i cavalli e le pecore ricordano il luogo dove vanno ad abbeverarsi. Appena l'animale si sente liberato dalla catena che lo legava alla mangiatoia, si avvia alla gora dove troverà la fresca bevanda, e il suo custode non deve incitarlo a camminare. Le galline, i piccioni, i passerini s'accontentano delle pozze d'acqua che la pioggia lascia nel cortile; ma le anitre e le oche preferiscono vivere accanto ad un corso d'acqua o ad uno stagno. Le piante soffrono, anzi muoiono se manca loro il liquido benefico. Se sopravviene la siccità, le foglie delle piante incominciano ad accartocciarsi, ingiallire, poi cadono; così cadono i frutti che stanno maturando. Se la siccità continua il raccolto va perduto. Per gli uomini però l'acqua da bere deve essere pura. I bambini che, quando sono accaldati, berrebbero qualsiasi liquido, devono ricordarsi che le acque dei fossati, dei casali, delle rogge sono impure e quindi non si debbono bene. Devono pensare che l'acqua del ruscello che essi bevono facendo conca dalle mani, è spesso ancor quella in cui, poco più su, una massaia sciacquava i suoi panni non puliti ad accanto a cui era deposto il letame dei campi. Anche l'acqua del pozzo di casa può essere pericolosa, infatti il secchio e la corda o la catena che vi si immergono venti, trena volte se si lavano in essa, vi portano fango od immondizie, possono quindi introdurvi i germi di gravi malattie. Purtroppo, in più di un cortile rustico, si vede la corda del pozzo pestata, coi piedi e insudiciata come un rifiuto; eppure quella corda ritornerà poi nel pozzo! Che tristezza fa quello spettacolo quando si pensa a tutte le malattie che possono derivarne e a tutte le sventure che possono seguirne!

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SUPERSTIZIONE Nella casetta, accanto a quella di Mario c'è un bambino che ha la febbre da parecchi giorni. Il bambino è affidato alla nonna perchè in questi giorni di grande lavoro nei campi i genitori non possono restare a curarlo. Pensate che cosa ha fatto la povera vecchia invece di chiamare ll dottore. È andata a porre un uovo lessato nella spaccatura di una quercia abitata dalle formiche; quando le formiche avranno mangiato l'uovo, pensa la vecchina, che ricorda questo rimedio usato un tempo dalla sua mamma, la febbre sarà passata! Speriamo che i genitori possano tornar presto dai campi e chiamare il dottore, perchè il povero bambino può morire se la guarigione deve dipendere dalle formiche.

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Le nubi candide, che a maggio ancora passavano lente per il cielo, sono scomparse e una grande serenità si diffonde per l'aria. Su l'aia di Mario, in certe ore pomeridiane tutto pare che dorma, specialmente nei giorni festivi. Il cortilone è bianco per troppa luce e le ombre sembrano più scure. I bambini sono raccolti sul piazzale della chiesa e giocano a palline coi noccioli di ciliegia, d'albicocco o di pèsca. Gli uomini sono andati al borgo vicino o si riposano sotto qualche pergola. Le donne stanno in casa nelle stanze più fresche, tendendo l'orecchio per udire quando si svegli, strillando, il bimbo più piccolo che è nella culla. Appena appena qualche gallina esce sull'aia a becchettare o a razzolare; appena appena dalle stalle giungono i soffi profondi dei buoi, il battere degli zoccoli dei cavalli e il rumore delle catene smosse. Per l'aria si sparge invece l'odore del fieno di cui son colmi i fienili, l'odore acuto delle ultime acacie in fiore e delle piante di tiglio, profumi intensi che invitano a dormire.

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Già le saette sul Cornocchio hanno dei guizzi e il tuono lontano lontano, brontola a più non posso. Tutti ammucchiano il grano. - Sarebbe un peccato - dice Nazzareno, il capoccia - che si bagnasse, ora che ha avuto tre giorni di sole. Forza, donne; forza, ragazzi! - Chi spala ammucchiando, chi spinge con i grandi rastrelli; e le fanciulle, spazzando, seguono gli uomini nell'adunare tutto il grano nel capannone. I più piccoli, non potendo aiutare, pensano di far venire il sole con canti e strilli e si mettono in cerchio da una parte con le mani a catena e incominciano a cantare:

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I ragazzi felici di servire a qualche cosa riattaccano a cantare: -Solicino, vieni vieni, cogli Angioli e coi Santi...

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Mario e Sèrafo per la gran calura provano una tentazione: Se scendessero nell'acqua, par così bassa; e giocassero un po' a chi sa farne schizzare di più addosso al compagno? Già han rimboccato i calzoni, già stanno per discendere fra le canne e le foglie grasse galleggianti. «Moschino» intanto guarda i due fanciulli come li interrogasse: forse s'accorge che stan per commettere qualche malefatta. Ma a Sèrafo viene in mente un'idea biricchina; se facesse fare il bagno prima a «Moschino»? Non ci pensa due volte, prende la bestia a mezza vita e la butta nell'acqua. Per fortuna «Moschino » si divincola e Sèrafo non può gettarlo lontano dalla riva. Ecco che la povera bestia si mette a guaire lamentosamente, a zampettare con furia senza poter muoversi dal posto ov'è caduto, anzi, a mano a mano si dimena per salvarsi, affonda adagio adagio nel fango. Ora sì, Sèrafo e Mario han paura: «Moschino» è perduto, «Moschino » sta per morire. Sèrafo capisce il pericolo, capisce che guai a non far presto: la bestiola affonda nello stagno! Si leva in fretta la sottoveste, e tenedo un capo nella mano cerca di lanciare l'altro capo a «Moschino » perchè lo addenti. «Moschino » ha già capito e asseconda Sèrafo. Ecco; i due fanciulli tirano il cane a riva e «Moschino » tutto sporco di fango, ma salvo, si agroppa con forza e fa festa a chi lo ha salvato. Esso non sa che i due bambini, che ora s'allontanano allegri e contenti, dovrebbero ringraziar lui. Se avessero ceduto alla tentazione, povere le loro mamme!

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Mettere insieme quattro bambine senza che si provino a far qualche gioco cosa impossibile. Giangia, la più allegrona, dice subito: - Bambine, si fa alle formiche? - E in coro le compagne rispondono: -Sì, sì!- Giangia siede per terra, serra la mano e la pone su di un ginocchio. Dina, Narcisa, Bianchina, mettono il loro pugno sopra a quello di Giangia. Comincia il gioco: - Che ci sta qui dentro? - Le formiche. - Che mangiano? - La semola. - Che bevono? - L'acqua del mare. Le vogliamo scacciare? - Sì!...- Ma non hanno fatto in tempo a dire «sì» che già si battono i pugni uno sull'altro, finchè nasce una confusione e squillano grida e risate.... Solo Dina non grida e come il solito, guardandosi la mano, piagnucola: - Mamma, m'hanno fatto male!....-

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Deve far la guardia al granturco sparso ad asciugare sull'aia, e invece gioca a nocino dietro il pagliaio. Galline, galli, galletti e colombi fanno festa e beccano a più non posso. - O Pietrino! Ti finiscono iI granturco... - Pietrino corre, tira due o tre tutoli agli... intrusi, grida: «Sciò, sciò, via!» e poi torna a giocare. Galline, galli, galletti e colombi tornano a ingozzare senza perder tempo. - Pietrino, dove sei? Ti finiscono il granturco! - E Pietrino ritorna più indispettito che mai a gridare: «Sciò, sciò, via!» e a tirar tutoli alle bestie golose. Ma non vi sembra che Pietrino sia più colpevole delle galline, dei galli, dei galletti e dei colombi?

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CHI MALE FA, MALE ASPETTI Un giorno il Moscone, la Formica e la Cicala andarono insieme a fare una passeggiata. Dopo un bel tratto di strada mangiarono un boccone e poi si misero al solicchio a riposare. A un tratto la Cicala, che aveva una gran voglia di ridere, disse al Moscone: - Sóffiati il naso!- Il Moscone obbedì, ma si staccò la testa. Poi disse alla Formica: - Stringiti la cintura! - La Formica, obbedì tanto bene.... che si divise in due. Figuratevi l'allegrezza della Cicala! Si mise a ridere; e rise, lise, rise tanto che ne scoppiò

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Il paiolo appeso sopra la grossa fiamma, continua a borbottare forte: blo-bloblò-blo-bloblò Ancora un momento e le prime castagne di ottobre saranno gustate dai ghiotti bambini. Mamma Vittoria ora stacca il paiolo dalla catena del camino, scola l'acqua delle castagne e mentre tutti gli occhi dei piccoli sono rivolti a lei, ella stende sulla tavola grande le castagne e incomincia a distribuirle. Ciascuno siede in silenzio gustando la sua parte e mamma Vittoria guarda i suoi bimbi contenti.

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LA SAGRA DI VILLA CASTELLI Che tintinnare di campane a Villa Castelli! Da alcuni giorni il paesello è svegliato da vocette argentine che balzano dal campanile e par che giochino a correre per la campagna. Den, den, derenden, derenden! Par che dicano alla massaia: - Su, prepara delle buone cose per la lieta giornata quando verranno amiche e parenti a trovarti, - E la massaia, obbediente, s'alza e lava alla fonte e sbatte e insapona e poi stende al sole i lini che, candidi, faranno più il giorno festivo. Den, den, derenden! Par che dicano al villano nei campi : - Su, lavora di lena; c'è ancora un covone da legare, c'è ancora un fastello da issare sul carro, c'è ancora un po' di sudore da spargere: poi verrà il dì festivo, potrai star tranquillo coi tuoi compagni a ridere e a riposare. Den, den, derenden! Parlano anche ai bambini le campanelle ciarliere. Dicono: - Ecco là sulla strada già si avanzano i carrettini coi balocchi nuovi, le frutta e i dolciumi, le tante cosette variopinte e saporite che comprerete il dì della sagra! E tutti si preparano. La giovinetta cerca di finir presto il suo grembiale nuovo da rinnovare in quel giorno; il ragazzino cerca di finire il cómpito che la maestra gli ha assegnato; gli uomini raccolgono presto i prodotti dei campi per poter godere senza ansie giorno estivo. Che bel giorno, quello della sagra! Sul piazzale della chiesa, e lungo la strada principale i venditori ambulanti hanno disposto sui banchi la loro merce, e le donne che escono dalla chiesa si fermano a guardare e a discutere. Un merciaio ha dei fazzoletti da testa, a fiori così variopinti che sembran veri. Un altro ha le stoffe per i grembiali: una stoffa così bella non si è mai vista, egli dice. Le donne ridono e intanto si fermano e qualcuna compra. Su un altro banchetto sono esposte delle carabattole per la casa: in vero alluminio, dice il venditore. E poiché il prezzo è mite anche qui molti fanno acquisti. Ma i bambini sono fermi davanti ai carretti dei balocchi; ci sono bambole vestite, ci sono dei «camions» di legno, col motore fintoli, ci sono cavallini bardati, palloni di gomma e fischietti, tamburi e trombette, rivoltelle e fucili, tutti balocchi che fanno rumore. Qual è quel bambino che non si farà comprare almeno una trombetta da pochi soldi? Tutta la strada è piena di quella sinfonia e dell'odore delle arachidi tostate. Anche Chicchi, accompagnato da Mario, vuoi fare la sua scelta: veramente vorrebbe comprare tutto ; ma poi è incerto tra una frusta, un ombrellino rosso di carta velina, una tromba con mille frastagli, una girandola.... Infine sceglie un gallettino di latta che fischia dalla coda.

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BUONE AVVERTENZE Non rimettere mai a domani quello che puoi fare oggi. Non aspettare che altri faccian ciò che puoi fare da te stesso. Non spendere mai danaro prima d'averlo guadagnato. Ricòrdati che la vanità e l'orgoglio costano assai più della fame, della sete, e del freddo. Non pentirti mai d'aver mangiato poco. Se lavori di buon cuore non ti stanchi mai. Piglia sempre le cose dal lato buono.. Quando sei irritato conta sino a dieci prima di parlare, fino a cento se sei in collera.

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A. CUMAN PERTILE.

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A Mario pareva a volte, andandovi, di essere come un prigioniero. Adesso invece gli pare che gli manchi qualcosa. Forse i suoi libri, i suoi quaderni; forse la voce della sua maestra che gli insegnava a guardare le tante bellezze del mondo. Mario ora guarda le finestre e le porte chiuse e s'allontana dicendo a se stesso che l'anno prossimo vuol diventare un vero ometto, più diligente e operoso, proprio come deve essere un buono scolaro di terza classe. FINE

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LA NOVELLA DEI GATTI Due Gatti avevano rubato insieme un bel pezzo di lardo, e, non sapendoselo dividere fraternamente e mangiarselo, perchè l'uno voleva averne più dell'altro, decisero di chiamare a far le parti una Scimmia, che godeva fama di valente avvocato. La Scimmia fece portare la bilancia per pesare le parti da assegnarsi; ma tagliò in modo che una riuscisse alquanto più pesante dell'altra. Poste le parti sulla bilancia, e fatta osservare ai Gatti la poca differenza, die' un morso al pezzo più grosso e ne fece un bel boccone. Ripesò una seconda volta e diede ancora un morso per rendere i due pezzi uguali. Ma mordendo or l'uno or l'altro, finì per mangiarli entrambi, e i Gatti rimasero a denti asciutti.

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LA STALLA Accanto alla casetta rustica di Mario, in un fabbricato a parte, vi è la stalla. Ora che i buoi sono tornati dalla montagna e tutte le mangiatoie sono occupate, Mario qualche volta aiuta iI babbo a portare il fieno alle bestie. Anche lui versa nelle greppie il suo carico odoroso e gli pare di essere ringraziato per la sua fatica, quando vede qualche vacca, mansueta mansueta, voltare lenta la testa verso di lui, e guardarlo con i grandi occhi umidi, mentre un ciuffo di fieno le sparisce nella bocca a poco a poco.

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PRIMA CHE GIUNGA L'INVERNO Prima che giunga l'inverno tutti gli uccellini che non sopportano il freddo lasciano la campagna e se ne volano a stormi verso lontani paesi. Alla metà d' agosto son partiti i rondoni e a settembre sono andate via le rondini. I nidi che stan sotto le gronde, o sotto i porticati delle stalle, o presso le piccionaie, son rimasti vuoti. Passano i cacciatori coi loro cani al guinzaglio; poi nella valle si odono i colpi di fucile e l'abbaiare festoso. Perchè la maestra ha scosso il capo, triste, quando ha visto passare un uomo con la cacciatora piena d'uccellini morti?

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A qualunque ora la si vada a trovare ha sempre le sue stanze rassettate. La cucina è la stanza dove Zelinda trascorre il maggior tempo della giornata. Essa mostra con gioia la sua bella cucina. Ecco il focolare colla cappa del camino, dalla gola del quale pende una catena, al cui gancio è attaccato il paiuolo. Sul fuoco basso c'è un treppiede sopra il quale bolle un tegame che manda odore d'intingolo. Le molle e la paletta pare che facciano da guardiani al focolare. Ad una parete sono appesi vecchi rami lucidissimi insieme con teglie, padelle e casseruole di smalto turchino. In un armadietto sono allineate le pentole, i tegami, i piatti, i bicchieri, le bottiglie. Da una corda tesa si vedono i ramaiuoli, il colabrodo, uno strizzalimoni, la grattugia e il tagliere; i mestoli, sempre puliti, sono infilati alla mestolaia. A un'altra parete è appeso un vecchio orologio che segna le ore, facendo uscire da una finestrina un cucù cuculo che fa «cù cù» tante volte. cuculo. in un angolo si trova l'acquaio per rigovernare le stoviglie e vicino una piattaia o rastrelliera. La tavola posta nel mezzo è grande e pulitissima, attorno sono disposte in ordine le sedie. La cucina di Zelinda è così lucida e ordinata che invita proprio a rimanere.

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Il gioco che piace di più a Pietrino lo conoscon tutti i bambini. Vorrebbe far sempre quello e implora : -Oh, mamma, si fa a gira gira rota? -Ho altro per il capo, bimbo mio- risponde la buona mamma che deve accudire alla cucina. Ma il bimbo insiste e la mamma che non sa dire di noquando il bimbo è garbato, tralascia le faccende per un momento, prende l'anello dalla tasca, lo nasconde in una mano, finge di averlo anche nell'altra e le gira entrambe a mulinello, e il bimbo con gli occhi ridenti dalla gioia le tocca ripetutamente mentre la mamma dice: «Gira gira rota, quale è piena e quale è vuota» Il bimbo canterella: «Però però, dimmi il vero! non mi dire una bugia, dimmi tu qual' è la mia!» Alla fine sceglie la sua; ma sbagli o indovini vorrebbe ricominciare da capo, finchè la mamma non lo manda a raggiungere i fratellini.

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L' OZIOSA La zia Conceda diceva a Bianchina, una bimba assai svogliata:

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UNA BUONA AZIONE Una vecchietta che passava sempre a chiedere l'elemosina, era stata al bosco di Cusona a raccogliere legna per riscaldarsi. Nel tornar a casa la strada era lunga e il peso troppo grave, tanto che la povera donna ogni poco lasciava cadere il fascio. Passò vicino alla vecchia Sèrafo, guardò e tirò di lungo. Però non tardò molto a pentirsene e ne fu addolorato per tutta la strada. Ma passò Amalindo ed ebbe compassione della vecchietta. Si caricò sulle spalle la legna e gliela portò a casa, poi riprese la sua via, contento di aver fatto una buona azione.

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CIÒ CHE MARIO DEVE IMPARARE La maestra di Mario ha assegnato il posto a tutti i bambini, poi quando ognuno è seduto nel proprio banco ha cominciato a dire: «Quest'anno dobbiamo studiar tanto: dobbiamo imparare a conoscere il paese che abitiamo per rispettarlo; le persone che stanno intorno a noi per voler loro bene».

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LE NOVELLE DELLA NONNA Nonna Giuuditta sferruzza vicino al focolare e intorno a lei i quattro nipotini chiedono che racconti qualche novella perché oggi è giornata di pioggia e non si può andare. Fa freddo e i monti lontani sono già coperti di neve. Il babbo è nella capanna che riaccomoda gli arnesi da lavoro per quando tornerà il bel tempo. Mamma Vittoria rammenda i giubboncini e siede vicino alla finestra per vederci meglio. Ma i bimbi non le dànno tregua; essi vogliono una novella e la buona nonna invece delle novelle narra la storia della nascita di Gesù «Una volta nacque un bel bambino: faceva tanto freddo e la mamma non aveva di che coprirlo nè fuoco per scaldarlo. Un asinello si accostò al bambino bello col suo morbido pelo lo riscaldò. Intanto si fece intorno una gran luce e un Angelo si mise a carezzare il bambino annunciando forte che era nato il Salvatore del Mondo, Gesù. Tutti i pastori, a questo annunzio vennero da ogni parte a trovare il bambino cantando gloria a Dio nel più alto dei cieli, e si misero nella capanna ad adorarlo». A questo punto nonna Giuditta con una voce fioca intona la laude:

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IL PRESEPIO Il Priore di Santa Maria ha invitato tutti i bambini dei dintorni nella ricorrenza della festa di Natale a vedere iI Presepio. I bimbi vanno vestiti a festa e prima di entrare nella stanza si tolgono il cappello. Si vede subito la povera Capanna di Betlemme dove nacque il Bambino Gesù, nostro Redentore, per insegnare agli uomini che a Dio piacciono l'umiltà e la semplicità! Il Priore ha collocato il bue e l'asinello. tutti di legno, presso una mangiatoia e lì accanto il Bambino Gesù, Maria santissima e San Giuseppe. Intorno ci sono i pastori in atto di offrire i loro doni al Bambino. Tutto il piano è in borraccina verde e cosparso di bioccoli di cotone che raffigurano la neve: in alto sta una stella dorata. Qualche piccola candela illumina tutto il presepio. Nella stanza regna un grande silenzio CARLO DOLCI. Madonna col figlio. (Fot. Brogi). il prete dice una preghiera mentre i bambini guardano ancora con occhio fisso il Bambino Gesù e se ne ritornano a casa buoni e contenti.

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LA ZINGARELLA Mario è andato coi suoi compagni a vedere una comitiva di zingari che si è fermata appena fuori del paese. Povera gente, ha per casa una rozza baracca oscillante sopra le ruote. V'eran due uomini bruni di pelle e alcune donne scarmigliate e vestite di cenci variopinti; c'era pure una bimba di forse cinque anni infagottata in una giacca militare col capo avvolto in uno scialletto di lana. Da questo però appariva un visetto rosso e due occhietti neri vivi come quelli degli uccellini. Essa andava qua e là mentre gli uomini stavano accoccolati sui calcagni intorno a un foco che avevano acceso all'aperto e sul quale le donne cuocevano la cena in unapentola fuligginosa. A un tratto la bimba si trovò d'accanto a Mario, il quale le chiese: - Di dove vieni? Ella Io guardò un momento, poi rispose: - Non so. - E allora dove vai? - Ma la bambina scosse il capo e disse ancora: - Non so - poi stese la manina e domandò a sua volta: - Dammi qualcosa. - Mario diventò rosso; ma siccome i compagni non lo vedevano ebbe il coraggio di darle una monetina di quelle che il babbo gli aveva regalato la vigilia, poi si allontanò da lei. Ma già la bambina saltellando contenta era andata con gli altri a dividere all'aria aperta il suo povero cibo.

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A dicembre freddo, segue anno fecondo. Se piove a Santa Bibiana (2 dicembre) piove quaranta giorni e una settimana.

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Ogni bambino dice a se stesso che vuoi essere proprio savio, così da non meritare più castighi da nessuno. Anche Mario ha promesso alla mamma di essere sempre savio. Che bella cosa se sapesse mantenere i suoi proponimenti fino alla fine dell'anno! Scriviamo intanto qui alcuni pensieri che non dobbiamo dimenticare mai e che ci faranno buona compagnia se sapremo metterli in pratica: Perdona molto a tutti, ma niente a te. L'ordine è pane, il disordine è fame. Punti lunghi e mai tirati, oggi cuciti, domani strappati. Chi sa ha dieci occhi, chi non sa è cieco affatto. Chi vuoi ben parlare, ci deve ben pensare.

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GUARDANDOSI INTORNO Mario ritorna a casa. E una serena giornata d'ottobre ed il fanciullo, per esser proprio obbediente, guarda meglio intorno a sè. Egli lascia la scuola alle sue spalle e s'avvia per la strada larga, verso le case. Come è bello il gruppetto di pioppi che circonda la chiesa! Basta che tiri un po' di vento perché dai rami si stacchino tutte le foglie gialle le quali vengon giù frullando come tante farfalline.

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LA CASA DI MARIO È una piccola casa che fa parte di una fattoria; è formata di poche stanze: la cucina, a piano terreno con accanto, a destra, uno stanzone dove la mamma fa il bucato, e dietro a questo stanzone v' è un ripostiglio ove si conservano al fresco i cibi e i secchi del latte. Al primo piano vi sono le camere da letto per í genitori, per lui, per le sorelle e per i fratellini. Tutta la casa è assai modesta; ma quando Mario vede da lontano la pergola d'uva americana, che si arrampica sulla facciata e diffonde d'estate la sua ombra; quando vede penzolare dai davanzali delle finestre i garofani rossi e i gerani, che la mamma tiene in alcuni vecchi vasi, allora sorride contento come se scorgesse un amico.

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Questo fanciullo si chiamava Raniero e non faceva proprio male a nessuno. Era molto timido e la gente credeva che invece fosse molto superbo. Per questo gli facevano mille sgarberie. Abituato ad essere trattato male, il mondo gli sembrava una sola cattiveria, e non osava più nemmeno sorridere. Nel piccolo paese, dalla matrigna alla fruttivendola, dal mugnaio al padrone di casa, dal sagrestano al lampionaio, tutti avevano da dire qualche cosa contro il povero orfanello. Era una congiura! Un giorno la matrigna, indispettita perchè Raniero aveva esclamato: - Ah, se ci fosse la mia cara mamma! - gli ordinò di recarsi alla fontana ad attingere acqua con un canestro. - Fa presto - gli intimò - o ti aizzo il cane! - Pensate che paura, povero ragazzo! E non c'era da disubbidire, ché la cattiva donna picchiava senza pietà e lo faceva persino mordere dal cane. L'acqua cantava nella fontana e a momenti pareva ridesse della sorte disgraziata del poverino il quale, dopo un po' scoppiò in un pianto dalla disperazione. A un tratto si scosse: una vecchia gli aveva posato una mano sulla spalla - Non temere, - gli disse - son qui per aiutarti. So tutto; so che sei buono e che nessuno ti vuol bene. Ma tu seguita a far bene, che col tempo diverrai potente e sarai rispettato da tutti. - Raniero, fattosi animo, rispose che in quel momento nulla desiderava di più che accontentare la matrigna per non essere picchiato. Allora la vecchia pronunciò alcune parole misteriose vicino alla fontana e dall'acqua guizzò fuori un pesciolino tutto rosso punteggiato d'oro. Ella lo prese e lo diede al fanciullo: - Prendi questo pesciolino, - disse - esso ha una virtù: quando tu mormori : «Pesciolino, incolla » tutto quello che tu vorrai resterà incollato e nessuno potrà più staccarlo. Soltanto tu, toccando le persone con l'ago che ora ti dono, potrai liberarli. - E scomparve. Quel giorno la matrigna rimase sbalordita vedendo rincasare Raniero col canestro pieno d'acqua. Il pesciolino aveva fatto il miracolo di incollare i giunchi come se fossero tutt'uno. Però il ragazzo non disse a nessuno dell'incontro fortunato e per molto tempo si servì del pesciolino rosso punteggiato d'oro solo per cose buone, e sempre di nascosto. La matrigna cominciava ad essere meno aspra con lui, a dargli un po' più da mangiare e a lasciargli maggior libertà. Ma i vicini no, erano sempre gli stessi sgarbatacci, dispettosi e prepotenti. Per molto tempo Raniero sopportò in pace. Un giorno però, era già grandicello, perdè la pazienza e, ricordandosi della virtù del pesciolino punteggiato d' oro, volle vendicarsi, una volta per tutte. Uno strano e rumoroso corteo attraversò tutto il paese, richiamando gente alle finestre e sulle porte: e tutti ridevano da smascellare! Davanti: Raniero con l'asinello e il carretto carico di cavoli dietro, le oche attaccate ai cavoli che facevano qua qua qua e starnazzavano, alle oche seguivano i due cani più cattivi del luogo che facevano bau bau bau, poi la cattiva ortolana carica di panieri che urlava ohi ohi ohi! quindi il padrone dispettoso tutto sudato e con i capelli ritti sul capo che fulminava con i suoi ohibò ohibò ohibò! e dietro a lui il panettiere con la pala del pane, il lampionaio con l'accendifanale seguìto dal suo fido garzone e ancora un asino che faceva jà jà jà jà con sopra un monellaccio che non s'era potuto più staccare. A un certo punto ecco che raggiunge il rumoroso corteo una carrozza tirata da quattro Era la carrozza della principessa Mestizia. A veder tale spettacolo, lei che non aveva mai mossa la bocca a sorriso, si mise a ridere così di cuore e così forte che pareva davvero una pazza. E siccome il ragazzino ch'era sopra il ciuco fece per aggrapparsi alla carrozza che gli passava accanto, e Raniero in quel mentre diceva «pesciolino incolla», anche la carrozza rimase attaccata. Una fiaba della nonna. Figuratevi l'arrivo al Castello Reale! A quel baccano indiavolato il Re si fece in sul ponte levatolo con tutta la Corte. Visto che la figlia rideva in quel modo, il Sovrano fu così lieto dell'avventura che chiamò a sè il giovanetto e si fece raccontare l'avvenuto. - Tu solo, - disse il Re - sei riuscito a far ridere mia figlia, e siccome avevo bandito di darla in isposa a chi fosse riuscito a vincere la sua cupa mestizia, sin da questo momento tu sei il suo fidanzato e alla mia morte mi succederai sul trono. - Così avvenne che Raniero da povero orfanello, maltrattato e deriso, entrò nel Castello Reale con onori di principe. Mi ero dimenticato di dirvi che, prima di salire le scale del Castello Reale, egli toccò con l'ago regalatogli dalla vecchina le oche per sciogliere il corteo e fece un bel sorriso di saluto a tutti i suoi persecutori che rimasero sbalorditi, e tornarono alle loro case insieme con gli asini, le oche e i cani, mogi mogi.

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LA VEGLIA La sera dei giorni di festa a Villa Castelli la gente si riunisce a veglia in casa degli amici o dei parenti. Gli uomini siedono intorno alla tavola e ragionan fra di loro le donne e i bambini stanno volentieri intorno ai camino e fanno cuocere le castagne sotto la cenere o ascoltano le novelle. Nonna Giuditta sa le storie più belle ed i bambini non la lasciano mai in pace perchè essa le racconti. Quando la cara vecchina è stanca, dice che non ne sa più; ma i bambini si mettono a protestare ed ella con pazienza ricomincia. In una domenica di gennaio, ella raccontò una bellissima fiaba che ora vi ripeterò.

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Essa è tanto buona e fornisce il latte a tutta la famiglia Francini che è la famiglia di Mario. Questa mattina, quando il babbo è sceso per ripulire il letto alle bestie e rifornire le mangiatoie, ha visto ch'era avvenuta una disgrazia. La mucca vicina alla buona Morella, le aveva dato nella notte una cornata in un occhio. Ora la bestia perdeva sangue e tremava tutta. Il babbo ha chiamato il veterinario, per cercare un rimedio. Mario, che vuol bello alla Morella, vorebbe vendicarsi della sua compagna che Ie ha fatto tanto male: già ha preso una grossa bacchetta per darle una botta quando il babbo non lo vedrà. Ma poi pensa: - Capiscono le bestie di far dei male? Non sarei più bestia io a volerle punire? - E allora depone la bacchetta in un angolo e va invece a fare una carezza alla povera Morella.

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LE LACRIME DELLA MADONNA La Madonna, dopo la morte di Gesù, andò a vivere in un cantuccio romito, con la sua grande tristezza e passava le giornate a filare. Solo al tramonto del sole Ella abbandonava la casuccia, e saliva il monte Calvario, lentamente, come aveva fatto Gesù sotto il peso della croce. Intanto scendevano dal cielo a gruppi gli angioli e baciavano la terra ancora sparsa del sangue del Redentore. In cima al Calvario la Madonna, contornata dagli angioli, si fermava ed abbracciava piangendo la Croce nuda. Le lagrime che Ella spargeva intorno si cambiavano in perle bianche. Nei libri dei botanici si chiamano vischio bianco, ma il popolo le chiama «le lacrime della Madonna».

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I GINGILLONI Mario, Bianchina e Nello qualche volta trasgrediscono agli ordini della mamma e si gingillano per la strada mentre si recano a scuohla. Oggi però l' aver disobbedito alla mamma ha portato male ai ragazzi. Essi hanno posato le cartelle e l' involtino della colazione sul ciglio della strada e si son messi a giocare a nocino in attesa dell' ora giusta per entrare in scuola. Mentre eran tutti intenti al gioco, il gattone del Razzanella addentò l'involtino della carne e corse a mangiarsela in un fossato lontano. Finita la partita, i bimbi riprendono la cartella, raccattano il pane incartato e, cerca che ti cerca, non trovano più l'involtino col lesso da mangiare a colazione. Mogi mogi vanno a scuola e, per non essere sgridati, all' ora di mezzogiorno tirano fuori iI loro pane e lo mangiano con le noci! Chi sa se un'altra volta si gingilleranno ancora per la strada?

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NEL CORTILE Nel cortile della casa di Mario, a primavera, la popolazione dei volatili, aumenta. Uccelli grandi e piccini e d'ogni specie. Le galline, che hanno covato pazientemente, escono con la loro famigliola di pulcini. Come è attenta la chioccia quando vigila i suoi piccini! Li chiama a raccolta con un grido speciale, se trova qualche verme o qualche grano tenero ; poi col chioccolare continuo, avverte i pulcini inesperti che non devono allontanarsi da lei e se si avvicina un gatto o un cane, allora diventa aggressiva e mentre affronta ardita chi vuole offenderli, fa scudo di sè ai piccolini. Questi, a sera, si raccolgono tutti sotto le sue ali a godere il tepore del suo corpo: ed è una meraviglia vederla accoccolata nel paniere mentre di sotto un'ala, tra le penne fan capolino una testina giallognola, un beccuccio impertinente, due occhietti neri neri di pulcini irrequieti! Anche le anitre, le oche, sono cresciute di numero. Le anatrelle gialle gialle e dondolanti, nome piccole cune, hanno preso dimora, lungo il giorno, nel fossatello che scorre dietro la stalla e mai non si tediano di sentir l'acqua scorrere attraverso le loro zampette palmate con cui sembrano tenersi a galla. Quando la massaia le chiama sull'aia col grido ripetuto: «nane.... nane.... nanee....» esse escono in fila dall'acqua come scolarette obbedienti e sempre col loro movimento di culla, corrono al richiamo. Ma appena han mangiato il becchime non attendon molto: una di esse si mette a capo fila, le altre la seguono per due e via tornano nel loro fossatello. Si direbbe che giochino le anatrelle e voglian far vedere ai bambini come sono ubbidienti. Il tacchino però è il vero padrone del cortile. Egli passeggia con gran superbia tra i polli che gli lasciano il passo e, tratto tratto, sfoggia la sua ruota di penne bianche, cineree e nere: sembra un pallone dipiume che fremono, mentre, battendo il terreno con le zampe, par che dica: «Qui comando io!». I ragazzi allora gettano un fischio e il povero tacchino sembra andare in collera. La sua testa a bitorzoli bluastri, s'accende, diventa di color rosso così vivo da parer tutta insanguinata. Ma la collera passa presto e a poco a poco il tacchino riprende le sue passeggiate in su e in giù per l'aia. La massaia non dIimentica nemmeno i suoi colombi: mattina e sera getta loro mancita di granone, ed essi escono dalle colombaie, scendono dai tetti delle rimesse, si radunano in gruppo con un largo ventilare di ali e si affrettano a beccare i grani sparsi al suolo. Alcuni sono cenerini, altri candidi, altri color tortora: i più belli hanno come un collare di penne verdi dorate e le zampine rosee. Vi sono colombi tranquilli che lasciano in pace i compagni e becchettano la loro parte con moderazione, ve ne sono altri che vogliono tutto il grano per sè, e s'affannano e si fanno largo per paura di non mangiare abbastanza. Proprio come certi bambini....

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A. CUMAN PERTILE

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Partirono a piedi prima dell'alba. L'aria era fresca e la campagna silenziosa come se dormisse. Mario seguiva il babbo, dandosi un'aria di uomo fatto, appoggiandosi ad un bastone che si era tagliato il giorno prima in una siepe. Ben presto all'oriente si diffuse un po' di chiarore, poi una riga dorata tagliò il cielo! Allora nei nidi gli uccellini incominciarono a pigolare, poi a cinguettare finchè tutte le piante, le siepi sembrarono piene di trilli e sussurri. Ma quando il sole si alzò luminoso dietro la montagna e i suoi raggi si diffusero dappertutto scacciando le nebbie e le ultime ombre, gli uccellini tacquero per principiare anch'essi i loro lavori. Giunti sulla strada maestra, il babbo e Mario incominciarono a incontrare i bovari che guidavano al mercato i buoi pacifici, le mucche mansuete e, talvolta, accompagnate dal loro vitellino. Mario stava attento che nessuno di quegli animali, che spesso per gioco cozzano tra di loro, si prendesse troppa confidenza con lui. Ma ciò non avvenne: ognuno andava lento guardndo a terra, raramente d'intorno, rassegnato al suo destino. Qualcuno tuttavia si fermava, si voltava dalla parte dov'era venuto, odorava l' aria, poi metteva un muggito, come se chiamasse o salutasse; ma il bovaro giungeva e gli faceva riprender la strada. Al mercato le bestie erano radunate in un piazzale, legate a gruppi intorno a dei grossi platani. Alcuni buoi ruminavano; altri giacevano sull'erba, altri si guardavano intorno, con lento volgere della testa come smarriti. Gli uomini che li vendevano oli acquistavano stavano più lontano, intenti ai loro contratti.

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Rosa non è mai contenta dei suoi polli: ha una gallina nera che ogni giorno le fa un uovo e pure essa continua a darle da mangiare a più non posso. Così, a furia di impinzarla, la gallina è ingrassata troppo e non fa più l'uovo.

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A stare in buona compagnia c'è sempre da guadagnare.

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I BALILLA C'è un inno che tutti i ragazzi che frequentano la scuola sanno a memoria e si chiama l'inno di Mameli, perchè l'autore si chiamava Goffredo Mameli, poeta e guerriero, che mise a servizio della nostra Patria il suo braccio e il suo ingegno. Quando sarete più grandicelli saprete anche che questo eroe morì combattendo per la grandezza dell'Italia. Nell'inno di Mameli ci sono anche questi versi: «....i bimbi d'Italia son tutti balilla.... ». Ciò vuol dire che tutti i fanciulli italiani debbono somigliare al ragazzo genovese chiamato Balilla. Nella scuola di Villa Castelli tutti sanno che Balilla, quantunque fosse piccolo, odiava i prepotenti nemici della Patria, e un giorno che a Genova, tanti anni fa, gli Austriaci bastonavano la gente per obbligarla a trascinare un cannone, che si era affondato nella strada, lanciò un sasso contro quei soldatacci stranieri. Allora tutti seguirono il suo esempio, i cattadini presero le armi e cacciarono gli Austriaci dalla città. Il gesto del piccolo eroe genovese dimostra che si può amare e servire la Patria anche da piccoli.

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- Sèrafo aveva proposto -La superbia andò a cavallo e tornò a piedi.- Si chiama Giorgio che era fuori, ed egli comincia con Maria: -Perché stai lì dritta? -Dritta io? Non sono la superbia.- Tutti ridono e Giorgio pensa: -È «la superbia».- Poi domanda a Narcisa: -Che cosa fai?- Narcisa, confusa, risponde: -Andò.... andò.... - e non sa dir altro. Tutti la beffano e non la vogliono più nel gioco. Narcisa va fuori, e Chicchi che non sa, le corre dietro.

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Quando devono partecipare a qualche cerimonia, Il saluto romano delle Piccole e Giovani italiane. hanno una Maglia bianca sulla sottanina scura, e portano il berretto con la nappa come i Balilla. Sono sempre a scuola all'ora precisa. non dimenticano mai le promesse che hanno fatto, non trascurano i loro doveri, sono obbeedienti, rispettose e si amano fra di loro, perchè le Piccole Italiane debbono essere così.

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PASQUA Tutte le campane suonano a festa. Si sono sciolte dopo tre. giorni di silenzio. Che sole, che allegria, che festa! il Signore è risorto! Le rondinelle sono tornate ai loro paesi e volano felici di aver ritrovato la propria casa. Pare che dicano al sole: «Grazie del calore che ci dài». Le piante mostrano le prime gemme e l'ape si fa vedere a volare di corolla in corolla contenta di aver presto molti fiori da succhiare. I vecchi, sulla porta di casa, si scaldano al bel sole che ridà loro la vita. Benedetto il sole di primavera che ci dona luce, calore, letizia!

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LA PREGHIERA DELLA STAGIONE RISORTA Quando la primavera trionfa siamo grati a Colui che ci largito nuovamente luce, fiori, speranze! Eleviamo quindi a Lui la nostra preghiera: «Gloria al Padre e al Figliolo e allo Spirito Santo, com'era nel principio, e ora, e sempre nei secoli dei secoli. Così sia».

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. - I cattivi, sentendo Gesù predicare in tal modo, cominciarono ad odiarlo e pensarono di condannarlo a morte. E cosi fecero: per ucciderlo lo crocifissero. Gesu` però terzo giorno dopo morto risorse a vita e disse agli uomini che i buoni vincono i catliivi. «Siate buoni ed io vi assisterò sempre». Noi ogni anno nel dì di Pasqua, festeggiamo la Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

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I conigli, affamati, si fanno coraggio e escono dalle loro tane; ma basta il più piccolo movimento dei ragazzi perchè scappino a rintanarsi subito. - Ma perchè, babbo, son così paurosi i conigli? - domanda Nello ch'è tutto coraggio. - Già, son bestie paurose, e nessuno è riuscito a levar loro di dosso la paura. Sentite questa favola e cercate di capire perchè mai queste bestiole abbiano paura. «Una volta c'era un coniglio bianco, assai bello e si chiamava appunto il Coniglio bianco. Un giorno un Gallo sentì piangere il bel Coniglio e gli domandò: - O di che Piangi? - Ho paura. - Ma di che hai paura? D'ogni cosa rispose il Coniglio bianco. - Oh, vergogna! - Eh, già, tu parli bene, perchè hai il becco e gli unghioli in fondo alle zampe e ti puoi difendere. Allora, se credi che questo ti possa bastare, recati dalla vecchina del poggio e chiedi aiuto a lei. - Il Coniglio bianco, tutto contento, va saltellando dalla vecchina del poggio e le dice della sua gran paura di tutto. - Oh, di che hai paura? - dice la vecchina. - D'ogni cosa. - Che vergogna! - Tutti sono prepotenti con me ed io non posso difendermi. - Se questo è, chiedi ciò che vuoi e l'avrai. - Vorrei due belle corna. - Non aveva finito di chiedere, che le sentì spuntare e crescere. Il Coniglio bianco, senza neanche ringraziare, fuggì tutto contento. Ma non aveva fatto venti passi, che trovò una vecchia pecora la quale non aveva fiato per camminare. Appena il Coniglio la vide, scappò di gran corsa e tornò dalla vecchina. - Che succede? - chiese la buona donna. - Succede che le corna non mi bastano per difendermi e vorrei una ventina di unghie. - Ed ecco la vecchina mettere alle zampine del Coniglio venti unghie aguzze aguzze. Avute così le unghie, senza ringraziare, il Coniglio bianco se la diede a gambe. Dopo cinque minuti la vecchia se lo vide tornare spaurito col cuore che gli batteva forte forte perchè aveva trovato per strada un gatto e voleva addosso un becco per potersi difendere meglio. La buona donna gli mette un becco appuntito e il Coniglio va via contento. Ma dopo un po' rieccotelo, tremante, a chiedere due speroni per potersi difendere a calci in caso di bisogno: poi volle due zanne come quelle dei cinghiali per potersi difendere a morsi. Ma la paura non passava neanche con tutte queste armi e quando il Coniglio bianco tornò ancora dalla vecchia a chiedere qualche altra difesa, la buona donna gli disse: - Caro mio Coniglio, per te ci vorrebbe un po' di coraggio, ma questo non lo vende nessuno.-» I bambini contenti della favola, risero di cuore e si persuasero ch'era inutile domandare perchè mai i conigli hanno tanta paura.

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- rispose il grande sapiente - la felicità è tanto difficile a trovarsi. C'è solo un mezzo per raggiungerla. - Quale? - chiese il principe Febo. Bisogna indossare, sia pure un solo momento, la camicia di una persona felice. - Il Principe si mise in viaggio per il mondo e girò grandi città e poveri villaggi senza mai riuscire a trovare la persona felice che cercava. Stanco tornò al paese natio e mentre camminava per la campagna sentì la voce di un contadino che cantava a squarciagola un allegro stornello:

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Un giorno passeggiando per una via di campagna trovò un ragazzo che teneva in una gabbia quattro bellissime tortore selvatiche Il Santo gli domandò dove si recasse con quelle povere bestiole, e saputo che il ragazzo le portava a vendere al paese, gli disse con voce angelica : -Puoi darle a me, per amor di Dio?— Il ragazzo non seppe dir di no a quella dolce implorazione e consegnò subito le tortorelle a San Francesco. - Iddio vi ha creato tortorelle perchè voliate libere nel cielo: andate pure! - E in così dire il Santo aprì la gabbia alle bestiole che volarono felici pel cielo. Il ragazzo non seppe pronunziar parola e guardò estasiato San Francesco.

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Un Re aveva, condannato a morte un contadino, il quale era stato sorpreso a rubare. Però, poichè il contadino si era mostrato pentito e desideroso di ravvedersi, gli lasciò scegliere la pianta a cui doveva venir impiccato. Si prepara la corda, si prepara il confortatore e il contadino è condotto un'ultima volta davanti al Re. - Dunque - disse questo - hai scelto la pianta a cui dovrai essere appiccato? - Si - rispose timido il contadino - io vorrei essere impiccato a una pianta di fragole. Tutti i compagni di Sèrafo si misero a ridere, e voi capite perchè.

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