Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Saper vivere. Norme di buona creanza

248786
Matilde Serao 50 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera, che non porti il timbro a secco della Società Italiana degli Autori. Milano, Tip. Treves.

Si cambii casa il ventinove di settembre, come a Milano, o il quattro maggio, come a Napoli, e a qualunque mese, come a Roma, la prima questione sempre la stessa: bisogna conoscere i nuovi vicini? L'antico costume, sovra tutto meridionale, lo impone. Antico costume abbastanza cafonesco e che, man mano, si è venuto illanguidendo: antico costume che dovrebbe completamente sparire, nelle grandi città. Si comprende, questo costume, fra gli abitanti dello stesso villaggio - o Ventaroli, di Sessa Aurunca, o terra della mia stirpe, di voi parlo! - che hanno bisogno di stringersi insieme, di prestarsi amicizia, assistenza, soccorso, in qualunque circostanza; si capisce, fra gli abitanti della stessa piccola città di provincia, per le medesime ragioni: si capisce, in estate, ai bagni, in villeggiatura, in albergo, per farsi compagnia, per formare una côterie: si capisce, dovunque la gente è poca, dove molte cose mancano, dove la solidarietà umana è più necessaria. Ma in una grande città, dove tutto vi è, a portata di mano, di voce, di passo: in una grande città, dove basta escire dal portone per trovare anche la pietra filosofale, che, si dice, non fu mai trovata; in una grande città, a che può servire di conoscere i propri vicini? A che aumentare le proprie relazioni, inutilmente, quando quelle che si hanno, d'ordinario, sono soverchianti? A che mettersi in rapporto con gente nuova, ignota, forse estranea a ogni proprio gusto, forse antipatica, forse equivoca? Perchè conoscere, proprio i vicini, quando il più savio consiglio di restringere alle persone più tenere, più simpatiche e più utili, le proprie relazioni? E, veramente, esiste una vicinanza, in una grande città, in una grande strada in un grande palazzo, o non si è, veramente, anche gli inquilini di questo medesimo palazzo, completamente estranei, l'uno all'altro ? E in tanto lavoro, in tanti pensieri, in tanti svaghi, in tanti affanni, chi mai s'incarica del proprio vicino? Il vicino non esiste, in un ambiente di metropoli. E non dovrebbe esistere, quindi, la profferta di servigi, barocca e inutile; non dovrebbe esistere l'offerta della visita, che, quasi sempre, è inopportuna e mal gradita; a rigore, non dovrebbe esistere neanche lo scambio dei biglietti da visita. Per questi, passi. Ma non oltre! Non parlo, poi, qui, dei danni delle nuove conoscenze, quasi sempre pericolose, fra nuovi e vecchi inquilini: pensateci voi, o genitori, voi, o mariti, voi, o fidanzati, a questi danni, calcolateli, essi possono essere irreparabili!

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Or dunque, il padrino di battesimo è tenuto, nel giorno del battesimo, a offrire alla puerpera un dono, più o meno ricco, secondo la propria condizione, e secondo quella della puerpera, ma sempre un gioiello; a offrire al neonato o alla neonata una posatina completa, di argento, in iscatola, con le cifre del bimbo, ovvero un bicchiere di argento, dorato dentro, sempre con la cifra e sempre nell'astuccio; a portare la carrozza con cui si deve andare alla chiesa e pagarla lui; a regalare, in sacrestia, al prete, al sacrestano, al chierico: al primo una somma variabile da venti, a cinquanta lire, al secondo dieci lire o cinque, al terzo, cinque o due lire; se si vuol fare qualche elemosina ai poveri, fuori la chiesa, tanto meglio. Durante la funzione, il padrino di battesimo tiene la mano sulla spalla del bambino e risponde, per lui, alle domande del prete, che gli chiede se rinunzia al mondo, se rinunzia alla carne, se rinunzia alla diavolo; infine, tre ab renuntio; risponde al vis baptizari, chiesto dal prete, con un volo, sempre per conto del bambino; infine, dice il Credo insieme al prete, con la madrina, con la nutrice, se vi sono, e con tutti gli astanti. Per lo più, se il padrino molto ignorante di queste risposte latine, vi è chi gliele suggerisce. Dopo il battesimo, il padrino rientra in carrozza, arriva a casa, ed è lui che presenta alla madre e al padre, il nuovo cristianello o la nuova cristianella: in quel momento, dà i doni alla puerpera e al neonato. Poi, la sua corvée non è finita ancora, poichè egli deve regalare alla levatrice, alla nutrice, alle persone di servizio della casa, alla prima una somma variabile da venti a cinquanta lire, alla seconda da dieci a venti lire, agli altri da cinque a dieci lire: tutto questo, partendo da un punto di vista di agiatezza sua e della famiglia, perchè queste mance si possono estendere o ridurre, a volontà. In Francia vi è l'abitudine di offrire anche scatole di confetti, confetti bianchi simili a quelle delle nozze: è sempre il padrino, che li offre, les dragées du baptême; ma in Italia non si usano. Se vi è madrina, bisogna fare un dono, ma modesto, anche per essa: un piccolo gioiello, magari una medaglia, con una data, basta. In chiesa bisogna andare in tight o in redingote; guanti non tortorella, ma chiari, cravatta non bianca, ma d'accordo con la redingote. Se le relazioni fra il padrino e il figlioccio sussistono, il padrino è tenuto a un dono, nell'onomastico e nel genetliaco, e il figlioccio lo ricambia, egualmente, nell'onomastico e nel genetliaco. Alla madre del figlioccio, dei fiori, nell'onomastico. E scusate se è poco!

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Bisogna pensare sempre a una buona preparazione religiosa del cresimando e della cresimanda: dirigersi al parroco della propria parrocchia, a un colto monsignore. Dopo di che, si sceglie la madrina o il padrino di cresima. Scegliendolo, obbedire più a ragioni di affetto, che di interesse o di vanità: scegliere un amico vero, una persona simpatica, una persona rispettabile. Il vestito della cresimanda, sempre bianco, massime se essa ha meno di quattordici anni: dalla mussolina di seta, tutte le stoffe bianche vanno bene: e quindi velo bianco, scarpette di raso bianco, calze di seta bianca: nelle famiglie più modeste, pur mantenendo il color candido, si riduce la spesa, secondo i propri mezzi. Per giovinette oltre i quattordici anni, basta un vestito di una certa eleganza, chiaro: e il cappello, si vada in chiesa e in casa del monsignore, bisogna sempre toglierselo, poichè non si può prendere il sacro crisma, sulla fronte. con cappello sul capo! Al cereo, alla carrozza e a tutto il resto, pensa il padrino e la madrina di cresima. Il giovinetto si veste di un abito nuovo, con una fascia di raso bianco al braccio, con un ciuffo del nastro. Ordinariamente, nel giorno di cresima, il cresimando o la cresimanda sono invitati a pranzo in casa del padrino o della madrina di cresima, salvo che il padrino sia scapolo o la madrina non abbia casa organizzata a ciò: questo invito è facoltativo. E così, la domenica seguente, la famiglia del cresimando o della cresimanda, invita a pranzo la madrina o il padrino: anche ciò è facoltativo. Ora è invalso l'uso che, oltre la madrina e padrino, facciano dei doni al cresimando o alla cresimanda, anche i parenti: abitudine di lusso e di vanità, che guasta il cuore dei giovinetti e delle giovinette. Basta, semplicemente, un piccolo ricordo pio dei genitori: e non già dei fili di perle o delle scrivanie intagliate, come ho letto, in un giornale francese!

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Gli è che si può non dare un soldo alla fanciulla da marito, quando va a nozze ma un buon corredo di abiti e di biancheria bisogna darglielo, se non si vuole mandarla via di casa, come una mendicante. A rigore, a rigore, il corredo di vestiti può essere modesto, modestissimo, se la condizione è modesta: ma il corredo di biancheria deve aver sempre una certa larghezza, la maggiore larghezza possibile, anzi. Uno sposo novello, massime se ama la sposa, se ha mezzi, se vede prosperare i suoi affari, non si seccherà mai, anzi sarà felice di poter donare dei vestiti, anche pochissimi mesi dopo le nozze, alla sposa: ma qualunque sposo, ricco, agiato o povero, si seccherà enormemente di dover/comperare delle calze, dei fazzoletti e delle sottane alla sposa, il primo anno del matrimonio. Non sacrifichiamo la sostanza all'apparenza, cioè il corredo di biancheria a quello dei vestiti: troppi vestiti indicano vanità, frivolezza, desiderio di troppa libertà mondana, prodigalità: mentre un bel corredo di biancheria, per una sposa, indica amore alla casa, gentilezza d'animo, serietà, poesia familiare, vera eleganza personale. Per dire qualche altra cosa sul corredo di vestiti, il più modesto comporta da quattro a cinque vestiti: quello delle nozze civili, che può servire come vestito da visita, da cerimonia, in istoffa di seta, grigio o lilla: quello delle nozze religiose che può, con un corsage scollacciato, servire per una festa, per un ballo: quello da viaggio che può servire, al ritorno, per uscire di mattina: il tradizionale vestito in velluto nero, in charmeuse nero, che serve in tutte le occasioni: e una vestaglia elegante. È il meno, veramente, che si possa dare a una sposa: ma nei matrimonii più che modesti, si può economizzare ancora il vestito dello Stato Civile, mettendone uno da signorina semplice, e avere il solo vestito nero, per le grandi occasioni. Come crescono i mezzi finanziarii, questi vestiti si duplicano, si triplicano, si quadruplicano: vi si uniscono i mantelli da ballo, da teatro, da mattina, da viaggio, le giacchette, le pelliccie: vi si adattano i cappelli, le sciarpe, gli ombrellini, i ventagli, le scarpe, i boa e.... si arriva a un piccolo disastro finanziario. Il matrimonio di una figliuola, così, equivale, a un grosso incendio! In alcuni paesi, in Francia, ancora si usa che lo sposo doni uno o più vestiti alla sposa: da noi un costume assolutamente di provincia remota meridionale e, diciamolo, alquanto cafonesco. Del resto, ciò si va smettendo, dappertutto, e tutto il peso, ahimè, di questi corredi, sulle povere spalle dei genitori!

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Come la madrina, il padrino di cresima deve amare e proteggere, costantemente, il giovane a cui promise di esser secondo padre. In quanto ai piccoli doveri della cresima, essi sono identici, cambiato il sesso, a quelli della madrina: per un cresimanda, la spesa è sempre minore di una cresimanda. Il padrino - ricordarsi che non si può cresimare, se non si è cresimato - deve occuparsi lui di combinare il giorno e l'ora della cresima, in una chiesa, o in una cappella privata, da qualche monsignore: così che ogni regalo che si debba fare al clero, al chierico, al sagrestano, spetta assolutamente a lui; nè il cresimando, nè la sua famiglia vi debbono pensare. Organizzata, così, la festa mistica, il padrino di cresima va a prendere, in carrozza, in un bell'equipaggio, possibilmente, il fanciullo o il giovanetto che deve avere il Sacramento della Confermazione e gli porta un grosso cereo, di buona cera, a cui è annodato un bel nastro di raso bianco, con un ciuffo. la toilette del padrino deve esser secondo la sua condizione sociale: ma essa si aggirerà sempre fra il tight e la redingote, cappello duro nero o cappello a cilindro, guanti chiari, cravatta chiara. Si sa bene che il cresimando porta un vestito nuovo, alla marinaia o da ometto, a cui si aggiunge una fascia di raso bianco al braccio destro, con un bel ciuffo. In chiesa, in cappella, non vi è che da tener la mano destra sulla spalla del figlioccio inginocchiato. Come dono, bisogna cominciare dal dare un libro di messa o altro libro di religione, come la Imitazione di Cristo - il libro dei libri - o la Filotea, infine, un ricordo pio, di quella giornata, con una parola di dedica. Poi, vi è il dono profano, consistente, per un giovanetto, in un orologio d'argento con catena d'argento, o in una bottoniera d'oro, se è già grandicello, o in un lapis d'oro: o se non ama questi ornamenti, in un dono utile e dilettevole, una macchina fotografica, una scatola di compassi, un atlante. Nessun dono bisogna fare alla madre e ai parenti del figlioccio. Se ha casa, il padrino invita a pranzo il suo figlioccio: in nessun caso condurlo in trattoria o ad una scampagnata, nel giorno della Cresima. Conservargli, se la vita lo promette, un affetto paterno, una protezione paterna.

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I doveri sociali consistono nell'accettar subito il compito di madrina, quando vi si è invitata e nel sapere, poi, se la cresimanda si è bene preparata, religiosamente parlando, a quel sacramento, che è molto importante. Nel giorno della cresima, la madrina va essa, con una bella carrozza, a prendere la figlioccia, per portarla alla chiesa: vanno con loro due, i genitori della cresimanda, se li ha, o i più prossimi parenti. Oltre la carrozza, la madrina porta anche il grosso cero, stretto, alla metà, da una fascia di faille bianco. con relativo nodo a grosso ciuffo: il cero deve essere tenuto dalla cresimanda e si lascia, dopo la funzione, alla chiesa. Durante il rito, la madrina deve tenere, continuamente, la mano sulla spalla della cresimanda, che è inginocchiata, ma nulla deve rispondere. Spesso, nel medesimo giorno, per renderlo più solenne, madrina e cresimanda fanno la comunione insieme, prima e dopo la cresima. Quando si ritorna a casa, la madrina offre alla cresimanda un dono ricordevole: o una catenella d'oro con una crocetta: o un braccialettino d'oro con una medaglia sospesa: o una bella broche: infine, un dono non troppo ricco, ma bello e durevole. Insieme a questo, le dà sempre un ricordo pio: o un bel libro da messa, o una bella immagine della Vergine: sempre con la data della cresima, scritta o incisa in qualche parte. A Parigi usano certe collanette, certi braccialetti adorni, intorno intorno, da medaglie religiose, molto belle: ma in Italia non ne ho mai visto. Quando la intimità è grande fra la madrina e la cresimanda, spesso, la madrina, le regala anche il completo vestito bianco della cresima, dalle scarpette al velo: ma ciò è più affettuoso che obbligatorio. Nel giorno della cresima, la madrina, per lo più, dà un pranzo, in casa sua, alla cresimanda e alla famiglia di lei: questo è un costume assolutamente meridionale. In chiesa e in casa vi sono pochi regali, in denaro, da fare ai chierici, sagrestani e servi; ma quei pochi spettano alla madrina. Ma nulla essa è tenuta a donare alla madre o ai parenti della figlioccia. Più tardi, secondo i rapporti, ella fa un dono al compleanno o all'onomastico della figlioccia e così ne riceve il ricambio.

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La signora che desidera essere presentata a Sua Maestà la Regina, deve prima pensar bene, se il suo ceto, la sua condizione, la sua posizione in società, le possono far concedere quest'onore: ed è, quindi, ben fatto parlarne a qualche dama della Regina, la quale, a sua volta, interpelli diplomaticamente la dama di Corte, che è più accanto alla Regina. Quando si è certi, ufficiosamente, che la domanda sarà bene accolta, allora si farà una lettera-domanda, dalla signora stessa, diretta a questa dama, in forma ufficiale. Ordinariamente, l'udienza viene sempre accordata, quindici o venti giorni dopo la domanda, e la signora ne è avvertita da otto a dieci giorni prima, con lettera della dama di Corte. La signora, per andare a quest'udienza, non veste mai di nero: porta un vestito di velluto, o di broccato, o di grosse soie, una stoffa molto ricca, infine, sempre di seta, mai di lana, mai di panno: questo vestito ha un lieve strascico, come tutti i vestiti di grande cerimonia. Non si porta mai giacca, mantello, mantellina, sia pure del più prezioso ermellino: se si ha, si lascia in anticamera: il boa è escluso, come troppo famigliare. Cappello di grande cerimonia: se è una sposa giovane, può arrischiare la toque rotonda, ma ricca, carica di piume: oltre i trent'anni, sempre il grande cappello sontuoso: veletta mai. La signora che va in udienza reale non porta nè manicotto, nè ombrellino, nè porte - mouchoirs, nè porta-biglietti, nulla che indichi la passeggiata, altra visita; e via via: se ha le lenti, le può tenere: adoperarle, mai. Su questo vestito da grande cerimonia, bisogna portare un grande gioiello, un magnifico paio di orecchini, per esempio, o una catena sautoir splendida, o un grosso filo di perle, sul colletto stretto del vestito: i braccialetti sono ammessi: un solo splendido anello. I guanti sono glacés, grigio perla o bianchi: ma la mano destra deve esser nuda. La signora va sola, all'udienza reale: arriva almeno dieci minuti prima dell'ora stabilita e attende il suo turno, nella terza anticamera, prima del salotto della Regina. Quando la dama, entrata prima di lei, viene via, la signora presentata è accompagnata, preceduta, sino alla porta del salotto della Regina, dalla dama di servizio, che, facendo una riverenza sulla porta, annunzia a Sua Maestà la signora. Costei deve fare tre belle riverenze: una, sulla soglia: una, nel mezzo del salotto: una, presso Sua Maestà, che attende, in piedi, presso un divano e che ha sempre la bontà di stendere la mano alla nuova arrivata, invitandola a sedere. Baciare la mano alla Regina non è obbligo, alle signore: ma atto gentile. Bisogna aspettare di essere interrogata, sempre, per parlare: rispondere brevemente: attendere da Sua Maestà, la conversazione. Beninteso che per tutte le signore d'importanza, l'udienza è da sola a sola, non assiste neanche la dama. A un certo punto, amabilmente, Sua Maestà fa intendere che l'udienza finita. La signora si leva, ringrazia Sua Maestà dell'onore concessole e, indietreggiando, fa le tre riverenze, andandosene, mentre la Regina resta, ritta, presso il divano. Per la presentazione a principesse ereditarie o semplicemente reali, il cerimoniale è il medesimo.

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Non potendo nessun signore e nessuna signora intervenire ai balli di Corte, senza esser presentati, uomini e donne, a Sua Maestà la Regina, verso la metà e la fine di gennaio, vi è sempre un'udienza generale, diciamo così, a cui sono ammessi questi signori e queste signore, che ne fecero domanda, a questo scopo. È naturale che tali domande siano bene vagliate, da chi si deve: per gentiluomini e gentildonne straniere, fa la richiesta l'ambasciatore o il console dello Stato cui appartengono. Questa udienza generale, è sempre nelle ore pomeridiane: le signore v'intervengono in grande toilette di cerimonia, vestito di velluto, di broché, di altra stoffa sontuosa, guarnito di merletti, di pelliccia: non indossano mantello, di nessuna specie: hanno un cappello di grande ricchezza: guanti grigio-perla e i più bei gioielli che si possano portare di giorno. È la medesima toilette che si farebbe all'udienza particolare, salvo che bisogna pensare al paragone con le altre signore, egualmente vestite o meglio vestite, e cercare di essere elegantissima. Gli uomini vanno a quest'udienza pomeridiana in redingote nero, pantaloni chiari, cravatta di raso a rabat, di fantasia, guanti grigio-perla: se si è in lutto, si spezza il lutto. Già, quando si è in gran lutto, non si va a Corte: e il lutto stretto o il mezzo lutto, si può spezzare per un giorno. Tanto gli uomini quanto le signore formano due gruppi, staccati l'uno dall'altro, e quando Sua Maestà la Regina si degna di apparire, si formano in due file. Ella, ordinariamente, con la suprema grazia che la distingue, passa, di signora in signora, e ognuna di esse le è presentata dalla dama di servizio, in quel mese: e, presso ognuna delle signore, si ferma un momento, dice due o tre parole, o anche una frase, ma è sempre opportuna, appropriata, squisita. Quando ha finito di conoscere, diciamo così, le signore che le sono state man mano presentate, Sua Maestà si fa presentare, man mano, dal suo cavaliere d'onore, tutti gli uomini, dice a ognuno una parola e passa innanzi. Solo quando Ella si è ritirata, vanno via tutti, uomini e donne. Dopo di che, ognuno di costoro ha acquistato il diritto di essere invitato ai balli di Corte: ma ciò non si acquista facilmente, poichè si deve passare per un primo periodo, dopo la domanda, di esame, fatto molto prudentemente, molto benignamente, ma esame! Il cerimoniale per prendere parte ai balli presso i principi ereditarii o principi reali, è perfettamente il medesimo.

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Le suppliche comuni, quelle che chiedono un qualche sussidio, vanno, dopo lette, agli uffici di beneficenza reale, che provvedono in una misura equanime, a tali carità: tutte le lettere stravaganti, bizzarre che domandano duemila lire, cinquemila lire, venticinquemila lire, persino, non possono essere soddisfatte, visto che nè la Regina nè il Re potrebbero fare simili elemosine! Le domande di grazia ai carcerati, d' impieghi, di pensioni, di concessioni non possono, naturalmente, aver risultato, poichè Sua Maestà la Regina, in un regno costituzionale, non ha poteri per disporre di ciò. Eccezionalmente, chi ha una domanda grave da fare alla Regina, deve chiedere l' intervento di qualche sua dama, la quale può anche informare Sua Maestà della verità delle cose, offrir testimonianza, infine, in proposito: e così la pietà infinita della Regina si può manifestare, con qualche soccorso materiale o morale, che oltrepassi i limiti usuali della carità. Chi voglia offrire un libro alla Regina, non deve mandarglielo mai in brochure: una gentile legatura, è di obbligo: non si deve mai scrivere, dentro, la dedica a mano. Meglio spedirlo, con una lettera di omaggio, alla dama di servizio. Le più belle legature si fanno in pergamena bianca, in istoffa antica, in pelle di guanto, con qualche borchia di oro o di argento, disegnata da qualche buon artista. Per la musica, bisogna pensare egualmente a farla rilegare o metterla in una fine copertina di stoffa, di marocchino, di pelle, con qualche gentile fregio di oro, di argento. Chi voglia proprio offrire un dono a Sua Maestà, dono che abbia un valore intrinseco ed estrinseco, bisogna che prima ne domandi il permesso, altrimenti ognuno tenterebbe una via simile, per ottenere qualche cosa in ricambio: e ciò non avrebbe limiti. Chi voglia dedicare un libro, della musica, un'altra opera d'arte o del lavoro manuale, dedicare semplicemente, non altro, deve anche chiederne il permesso. Sua Maestà la Regina fa ringraziare sempre, per mezzo della dama incaricata, chi le invia libri e musica, in dono: a persone, che le hanno offerto qualche cosa, col suo permesso, manda un gioiello, con la cifra. Quando un maestro di musica, un concertista, è chiamato a Corte, per un concerto, riceve sempre un bellissimo gioiello, in compenso: anche quando un'attrice o un attore vi recita, un ricco ed elegante gioiello, è il suo compenso. Se la Regina interviene a una serata di onore di una grande attrice, di una grande cantante le offre sempre un braccialetto o un anello. Costoro, naturalmente, oltre le lettere di ringraziamento che inviano, domandano una udienza, per i ringraziamenti personali.

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Gli inviti per un ballo al Quirinale sono fatti dal Prefetto di Palazzo e dalla Dama di Onore a nome delle Loro Maestà il Re e la Regina: sono indirizzati sempre al nome del marito invitato e vi si aggiunge il nome della sua signora: sono strettissimamente personali. L'invito, al Quirinale, è per le dieci: la Corte, entrando alle undici precise, tutte le signore si affrettano a trovarsi puntuali, per vedere l'entrata dei Reali. È molto da poseuse o da ignorante, per una signora, arrivare tardissimo ad un ballo di Corte: nessuna signora elegante, finemente educata, lo fa. Al Quirinale, mentre aspettano la Regina, le dame si dispongono per gruppi: dame di Corte, cavalieresse dell'Annunziata, dame del Corpo Diplomatico, mogli di ministri, ed alti funzionari dello Stato. Quando la Regina entra, fa pochi passi e una profonda riverenza, con cui ha l'abilità di salutare trecento signore e più, tutte quante: e tutte in fila rispondono con una profonda riverenza. Ella, poi, si siede sovra una poltrona preparata nel centro della sala: sull'altra, non siede mai il Re, che ama stare in piedi, e che subito si mette a discorrere con qualche ministro. Vanno a riverire la Regina, subito, per ordine: le mogli dei cavalieri dell'Annunziata e sono invitate, esse sole, a prender posto sugli sgabelli, tabourets, messi accanto alle poltrone reali, poichè, come si sa, i cavalieri dell'Annunziata e le loro signore, sono cugini e cugine del Re: le dame di Corte man mano si schierano, in piedi, dietro le poltrone della Regina. La quadriglia reale si fa subito dopo: la Regina la balla con l'ambasciatore o col ministro più anziano del Corpo Diplomatico: ha per vis - à- vis, o un principe reale con la dama più anziana del Corpo Diplomatico, o un altro ambasciatore: non ha coppie, accanto, e la sola sua coppia dirimpetto. Sui lati le coppie sono tre o quattro, con relativi vis - à- vis. Nel ballare, non si passa mai davanti alla Regina, volgendole le spalle: nè si passa senza salutarla. Finito questo, la Regina non balla più: quando era principessa di Piemonte, ballava anche in giro, e qui, a Napoli, vi è qualche gentiluomo con cui ha ballato un giro di polka o di valzer: e il cerimoniale portava che fosse lei, per mezzo di un suo cavaliere d'onore, a invitare qualche gentiluomo, successivamente. Dopo, la Regina passa, a sua volta, di dama in dama, ora fermandosi un minuto, ora pochi minuti, secondo la loro importanza e secondo la particolare stima che fa Sua Maestà: presso alcune si siede e conversa un poco. È naturale, che ella non possa parlare a tutte. La signora prescelta fa una riverenza al principio e alla fine della conversazione: e non stende la mano, se la Regina non porge la sua. In questo frattempo, le signore cui è poco probabile che possa toccare questo onore, le signorine, ballano. Se s'incontrano sul cammino di Sua Maestà, si scostano, voltandosi a lei, facendo la riverenza. All'una precisa la Regina ha compito il suo giro, si ferma, si volta, saluta con uno dei suoi grandi saluti la società e sparisce. È naturale che le signore vadano al ballo di Corte col loro vestito più suntuoso e coi loro più bei gioielli: a Corte non si va con vestiti di ripiego. Anche le signorine debbono avere una toilette nuova e fresca. Gli uomini portano assolutamente la cravatta bianca, guanti bianchi e i pumps di pelle lucida. Pel cappello va bene il gibus, da portare in mano, chiuso: o quello morbido nero, o il duro rotondo, che si lasciano al guardaroba. Il gilet bianco è ammesso. Per i balli presso i principi ereditarii o principi reali, il cerimoniale è il medesimo.

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Appena la primavera lo permette e se la occasione importante, nei giardini del Quirinale, a Roma, o in quelli della Regina dà volentieri qualche garden party. Questo uso, come si vede dal suo nome, è completamente inglese: la società francese se lo è subito assimilato, e, in Italia, le grandi case, qualche ambasciata, a Roma, danno, spesso oramai, di queste garden parties. Per quella di Corte, le signore indossano dei vestiti di seta, di broché, taffetas, di crespo di Cina, di tutte le stoffe seriche non troppo pesanti e non troppo scure: la garden party, dandosi fra aprile e maggio, fra settembre e ottobre, permette di portare delle toilettes seriche, molto chiare: se è alla fine di maggio, alla metà di settembre, si possono portare delle sete leggere, dei foulard, delle mussoline di seta, dei crespi della Cina. Il cappello di una signora, a una garden party deve essere un piccolo poema di freschezza e di novità: curarlo molto. Anche le signore che hanno passato i quarant'anni e si accostano ai cinquanta, possono portare la grande toque tutta di fiori artificiali, purché non siano fiorellini da giovinetta o sposina. Scarpette mordorés: oppure alto soulier Luigi XV, di una pelle colorata, intonata col vestito, e guernito di fibbie di strass. Grande mantello non pesante, da primavera, da gittare sul vestito, quando si esce: oppure collet di chiffon e merletti, ricchissimo. Un filo di perle, una bella broche, niente altro: ombrellino chic, dal manico artistico. Gli uomini vanno in vestito da mattina, alla garden party: cioè redingote o tight, pantaloni di un grigio tenero, di una lavagna chiara pantaloni eleganti, infine, panciotto bianco, cravatta chiara a grosso nodo, cappello a cilindro, scarpe di pelle lucida e guanti grigio perla: il fiore all'occhiello è sempre ben visto. Il cerimoniale della garden party è meno rigoroso del ballo di Corte, ma solo un poco: dove la Regina interviene, le regole sono sempre le medesime e sono basate sovra un alto rispetto dell'Augusto Ospite. E così, in una garden party privata dove Ella interviene, la padrona di casa è in cappello e guanti, poichè essa diventa ospite della Regina: e gli invitati, come le invitate, debbono essere tutte persone presentate a Corte: e le toilettes, come il cerimoniale, sono sempre le medesime. Anche la garden party a Corte ha una quadriglia reale; un giro per discorrere con le signore e infine Sua Maestà si ritira, dopo avervi partecipato per un paio di ore.

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I miei lettori sanno che questo modesto libro fu da me scritto anni fa, che se ne sono fatte molte edizioni, non per mio merito, ma, forse, per la sua utilità e che, ogni volta, io ho avuto cura di correggere, rifare, completare il mio testo, visto che gli usi e i costumi mondani si venivano mutando, alcuni, anzi, radicalmente. ln questa ristampa, intieri capitoli sono scomparsi e molti nuovi vi sono stati inseriti, Ma per quanto riguarda questa parte «Nelle case del Re non si trattava di addebitare i cangiamenti in questa parte protocollare della vita italiana, poichè, in fondo, il protocollo reale non è stato mal mutato, ma di dire che mutate le persone e gli eventi, necessariamente, a Corte, vi è profonda diversità di vita. Ognuno rammenta gli splendori sotto il felice regno di Umberto e Margherita: e come il Quirinale in quei tempi che parvero beati, rifulgesse come un astro. Vittorio Emanuele III ed Elena di Savoia, sovrani di gran cuore, pensosi di tutti i bisogni crescenti del loro popolo, pietosi a tutte le tristezze, di gusti semplici, di virtù intime ammirabili, hanno regnato e regnano a traverso periodi di alta difficoltà sociale e, infine, a traverso sette od otto anni, fra guerra e armistizio, in cui essi sono stati capaci dei sacrificii più eroici. Ed è naturale che i grandi pranzi e le feste e i balli a Corte, in questo ultimo tempo, fossero eliminati e si facessero solo per ricevere un sovrano amico: la famiglia reale riceve, ora, ma sempre in una forma privatissima, per dare svago alle figliuole. Pure, la prammatica di Corte esiste sempre e conveniva che i miei lettori la conoscessero, nel caso che avessero bisogno di una guida, di un consiglio, per gli eventuali loro rapporti coi sovrani.

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Ora, è in viaggio, bisogna decidersi a uno dei due partiti estremi: essere una persona male educata o una persona bene educata. Soggiungo, anche, che tre quarti della umanità viaggiante, si è decisa fermamente a essere male educata, trovando, pare, in questa mala educazione, i maggiori vantaggi. La persona che vuol essere male educata, in viaggio, cerca sempre di aver il miglior posto, in vagone semplice, nello sleeping, in carrozza o in battello, alla faccia e alle spalle di tutti i viaggiatori, maschi o femmine, giovani o vecchi, belli o brutti. La persona male educata, in viaggio, non cede la destra, non si cava il cappello; non saluta; non s'inchina; non presta il suo giornale; non presta il suo orario; non solleva il cristallo dello sportello; non tira la tendina contro il sole; non dice il nome della stazione, a cui si è arrivati; non ha freddo quando gli altri hanno freddo; non ha caldo quando gli altri hanno caldo; e non lascia di fumare nel vagone dove non si fuma. Egli mangia, beve, dorme in treno, come se niun altro vi fosse; fa la sua toilette, sfoglia i suoi libri, va e viene attraverso il vagone, senza chiedere mai il permesso. In albergo, la persona male educata fischia, canta, strepita, nella sua stanza, senza curarsi del vicino: gitta le sue scarpe contro il muro, se ode un rumore: chiama il cameriere e la cameriera a distesa, senza occuparsi se gli altri dormono: scende alla table d'hôte tardi e vi legge il giornale: si serve del miglior pezzo e se vi è un residuo d'insalata, lo prende tutto: comincia a fumare il suo sigaro a tavola e in sala di lettura, prende, per un'ora, i più importanti quotidiani ed illustrati. La persona male educata non cede mai il suo posto in battello, in barca, alla dogana, in carrozza, in omnibus, in ascensore, all'ufficio postale, a quello telegrafico, dovunque sarebbe amabile il cederlo; in teatro, in sala da giuoco, al café - concert esercita tutti i suoi diritti di primo arrivato, senza badare nè al sesso, nè alla condizione dei suoi vicini. In trattoria, il viaggiatore male educato occupa il miglior tavolino, presso il caminetto, lontano dagli tziganes che suonano troppo forte, e sequestra il miglior cameriere: nei musei, nelle gallerie, nei ritrovi pubblici, egli è sempre e dove si sta meglio, dove non si ha caldo e dove non si ha freddo. Il viaggiatore male educato, facendo questo per principio, è male educato anche con i suoi amici di viaggio e, magari, con la sua compagna di viaggio. Questo viaggiatore male educato, perfettamente felice, in viaggio: salvo quando incontra un altro viaggiatore, male educato più di lui. Il che accade: accade spesso!

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L'uomo perfettamente bene educato, in barca, in omnibus, in carrozza, in ascensore, in automobile, in cima a una torre, in fondo a una cripta, deve sempre eclissarsi innanzi alle signore, lasciando loro il miglior posto, o guidandole, scortandole, proteggendole. Egli, in albergo, non fa chiasso, non canta, non ride, non urta nei mobili, non batte alle porte, non suona a distesa: in ascensore, sta sempre col cappello in mano, se vi è qualche signora; a table d'hôte viene in frack o in smoking, sempre a tempo; si serve modestamente, non mangia molto, non si ciba, ma gusta il pranzo; non si mette a fumare, prima di arrivare al fumoir; non sequestra i giornali nel salon de lecture; non legge quello che scrive la sua vicina nella salle d'écriture. L'uomo perfettamente bene educato, nei teatri, nei café - chantant, nei musei, nelle gallerie, non toglie la visuale a nessuno e se la lascia togliere, senza mormorare. L'uomo perfettamente bene educato, in viaggio, è una vittima: ma ha qualche consolazione. Talvolta, egli incontra una compagna di viaggio che, stupita di trovarsi con un uomo bene educato, dopo aver incontrato tutti uomini male educati, s'innamora perdutamente di lui.

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Vi è gente, nel mondo, che è condannata a sbagliare sempre i proprii calcoli: gente a cui manca, nel cervello, la facoltà aritmetica, per cui, ad ogni passo, mentre crede di aver risoluto il problema dello spender poco o dello spender nulla, si trova a spender molto. Questa gente, per esempio, ha giurato, a principio d'inverno, di fare economia di dare otto pranzi, invece di due grandi balli: e, alla fine dell'inverno, si accorge di avere gittato, in questi otto pranzi, più che nei due balli, perchè si è dovuta rinnovare l'argenteria, perchè si è smembrato il servizio di Sèvres, rompendosene due piatti, perchè, dopo ogni pranzo, si è sempre ballato, perchè..., perchè così è! Vi è gente, che non va a Nizza, fra il marzo e l'aprile, perchè la vita, colà, è diventata enormemente costosa, ma che, invece, giuoca sulle corse di primavera, nella propria città, tutto il denaro che avrebbe seminato sulla Cornice, e forse più. Vi ha gente che, avendo speso molto in inverno, in primavera, si decide a giugno, di partire per una piccola villeggiatura modesta, per un paesello rustico, dove si stia in famiglia, dove vi siano i bagni e la campagna, dove si possa restare da luglio a ottobre e dove non si spenda nulla. Illusione! illusione! Errore! Grave errore! Bisogna andare con la idea semplice e precisa, che qualunque villeggiatura, costa sempre moltissimo, per umile che sia: bisogna convincersi che i borghi, i paeselli, gli alberghetti, le pensioncelle, finiscono per essere sempre carissimi, sotto le loro lusinghevoli apparenze di modestia. Voi mettete in bilancio mille lire e ne spendete duemila: voi volevate restare due mesi e restate quindici giorni, tornando in città, nella pienezza dell'estate, senza quattrini. Voi volevate spendere millecinquecento lire, per la villeggiatura di tutta la famiglia: ne spendete tremila e tornate a casa col figlio malato, con la cameriera impazzita, col borsellino vuoto, e con qualche debito sulla coscienza. Non vi fate ingannare! Nei paesi, dove meno vi è da spendere, più voi spenderete: nei paesi dove non si compra nulla, voi troverete tutto in vendita e a che prezzo! È una pessima speculazione finanziaria, convincetevene, qualunque villeggiatura: ognuno ne torna, il più ricco, seccato, il più povero, preoccupato. La migliore speculazione, sapete quale sarebbe? Quella di rimanere in città, nella propria casa, in solitudine beata, al fresco, nell'ombra, in silenzio pensoso, o non pensoso, conservando preziosamente le mille, le duemila le tremila lire della villeggiatura. Questa sarebbe la migliore finanza: isolamento, permanenza e raccoglimento. Sarebbe, ma....

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Quando i vecchi sono andati a giocare alle carte e i mariti si sono collocati intorno a un biliardo, che cosa fare, quando si ha da sedici, da diciotto, da venti a cinquanta anni - sì, anche cinquanta - o la serata è bella, e il pianoforte suona una vivace fox-trot o l'orchestrina un one-step? Quando, in una giornata, si è già preso il bagno, si è fatto una passeggiata, si è fatta colazione, si è andati in giro, per cercar fiori, si è chiacchierato, si è riso, si è pranzato, e, durante tutte queste cose, si è sempre leggermente flirtato, che cosa fare, alla sera, quando l'aria è dolce, la luna è dolce, e l'ampiezza del salone v'invita a flirtare, ballando, o a ballare flirtando, che è precisamente lo stesso? Quando vi sono delle stelle nel cielo, dei lampioncini sospesi sugli alberi di un giardino o alla ringhiera di una terrazza, e degli occhi, più seducenti di qualunque lanterna giapponese o di qualunque costellazione, che cosa fare, se non ballare? Quando le donne sono belle e giovani, e gli uomini hanno la fantasia sana e il cuore sanissimo, e il vento del mare è profumato, e i leggeri abiti bianchi sembrano di neve, che cosa fare, se non ballare? Quando non vi è altro mezzo per toccare la mano di una donna, per circondarle col braccio la cintura sottile, per tenerla con sè, in una illusione fugace, e quando la notte è piena di farfalle nere, volitanti intorno alle lampade, c i suoi profumi sono irresistibili, come fare a non ballare?

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Sapete voi a chi dovete chiedere scusa, e da chi dovete ricevere scusa? È una materia piuttosto delicata, questa, ed è proprio in questa «liquidazione della villeggiatura» che bisogna portare molto tatto. Anzi tutto, voi avete fatto molte, troppe, troppissime conoscenze, colà, perchè è impossibile non conoscere tutta la umanità villeggiante, quando si è sovra una spiaggia frequentata, sovra una montagna celebre, sovra una collina famosa: troppissime conoscenze! E alcune, così poco accettabili, alcune così indesiderabili! Ebbene, già verso gli ultimi giorni della villeggiatura bisogna, con garbo, escludere, pian piano, i non accettabili, i non desiderabili: e, infine, partendo, dimenticare di averli mai conosciuti, di aver parlato, scherzato e persino ballato con loro. In città, essi non esistono più, per voi: voi non esistete più per loro. Vi è una seconda categoria, che si può raccogliere in una zona neutra, gruppi di persone simpatiche, così e così, importanti così e così, con cui, in fondo, non fa nè male nè bene, essere in rapporti: e, allora, con costoro, prima di tornare in città, si scambiano saluti cortesi, ci si promette di ritrovarsi, di rivedersi, ci si dà qualche vaga promessa, qualche vago convegno: e, dopo, man mano, in città, tutto questo impallidisce, svanisce, si dilegua. Ma rimane un piccolo gruppo, tre a quattro persone, molto interessanti, molto simpatiche, abbastanza importanti, con cui si ha desiderio e necessità sociale di restare in rapporti, in città. E ci si resta! Ci si resta! Talvolta, care donne, cari uomini, queste persone, è una sola. Su questo, nulla debbo soggiungere. Quando si è ritornati in città, bisogua dividere in due categorie parenti e amici che si debbono rivedere: parenti e amici a cui si tiene molto, di riguardo e a cui si va a far visita: parenti e amici che tengono, essi, molto, a voi e voi, molto meno a loro e, allora, sono essi che vi debbono venire a salutare al vostro ritorno della villeggiatura. Vi è gente di riguardo, a cui avete dimenticato di mandare anche una sola cartolina con finezza, con grazia, bisogna riparare quest'oblio. Vi è gente che vi ha dimenticato: bisogna aspettarne le scuse e accettarle con disinvoltura. Dopo di che badare molto a non commettere la indelicatezza di esaltare la villeggiatura a tutti coloro che non si son potuti muovere dalla città.

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Oramai per le donne che si son date a tanti esercizi maschili, bisogna saper anche fumare, ma non fumare sempre. Si può sempre accettare una sigaretta, ma non fumarne dieci o quindici al giorno. Il fumo, anche della sigaretta, fa male alla bocca, e sopratutto ai denti delle donne, e lo sa Iddio se una donna ha sempre bisogno di una bocca bella e sana, per sorridere, per parlare, per baciare! L'alito di una donna non dovrebbe odorare di fumo, come quello di un uomo, perchè verrebbe a mancare una delle grazie più ineffabili della seduzione femminile. Certo, una donna che fuma può spesso avere un aspetto grazioso, ma quanto non è anche graziosa una donna che non fuma? D'altronde è anche da tenersi conto del genere della propria beltà e del proprio carattere, se bisogna decidersi a fumare o a non fumare. Una donna dalla beltà classica, imponente, dalla persona giunonica, è senz'altro ridicola, con una sigaretta tra le labbra; mentre una donna piccola, viva, irrequieta, dalla beltà più espressiva che lineare, può adottare la sigaretta, senza commettere stonature. Una donna sentimentale, malinconica, diciamo la parola, piagnolosa, non dovrebbe mai fumare, mentre tutte le donne di buon umore, spensierate, superficiali, possono adottare la sigaretta. Essa è in generale un sicuro calmante de' nervi femminili; e i mariti infidi, gli amanti perfidi, dovrebbero insegnare alle loro donne a fumare, perchè è una salvaguardia contro molte scene. Però, il fumo è anche uno stupefacente, e toglie allo spirito femminile quella lucidità e quella vivezza, che ne formano il pregio. Per questa ragione, e per tante altre, alle signore che già hanno cominciato a fumare, è consigliabile di non abusarne. In quanto alle signorine, un solo consiglio si dovrebbe dare: di non fumare. Ma esse non obbediranno!

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Si può dare a una mamma, a una sorella, a una moglie. Dono di mediocre effetto, accolto con freddezza dissimulata. Le donne non amano i regali che si consumano. Dono utile, leggermente fantasioso nella forma e spesso superfluo: un ombrellino, un manicotto, un boa di piume. Si dà, idem, a persone femminili di famiglia, talvolta, a persone femminili molto intime, ma fuori famiglia. La differenza è che l'ombrellino per donna, in casa, costa ottanta lire: per donna fuori di casa, trecentocinquanta. Dono pratico, meditato da lungo tempo: un servizio di piatti, di bicchieri, di tazze, che il marito offre alla moglie. Ne mancava, la casa, da tanto tempo! Ma la moglie fa una smorfia agrodolce. Dono elegante, fine, squisito: un orologetto da tavolino, un piattello d'argento per lettere, col coltellino attaccato per aprirle, una lampadina inglese, ecc. Si può offrire a un'amica tenera, a una con cui si flirta. È bene accolto, se la persona è fine. Dono pericolosissimo: un calamaio artistico, una cartella di cuoio impresso, una penna d'oro, un buvard in istoffa antica. A qualunque donna facciate questo dono, essa lo adoprerà contro di voi. Dono sentimentale: fiori rari e freschi. Alla donna che amate. Ma non dimenticate di offrirglieli in un vaso di maiolica antica, o in un'anfora di Boemia: giacchè le donne sono come Calcante: trop de fleurs! Dono dolce e fugace: dei dolci. Alla donna amata. Ma, come sopra, in una bomboniera di Satzuma, o in una tazza di Sèvres, o in una coppa d'argento antico. Dono individuale: una tabacchiera alla nonna, un rosario alla zia monaca, un paio di occhiali montati in argento, all'altra zia, una borsa alla mamma. E sempre messo a buon interesse, questo dono! Dono raro: cercare quello che più piace e che è meno possibile trovare, per la donna amata. Ebbene, dopo grande fatica, molto denaro e grande speranza, la donna amata, ottenuto il dono, resta delusa; e non arriva a nascondere la sua delusione. Voi, siete delusissimo. Dono comune, volgare, che tutti possono fare, che tutti fanno: un gioiello, ricco o semplice, bello o brutto. Tutte le donne più fini, più eleganti, più sentimentali lo accolgono con entusiasmo!

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Anticamente, il compare donava lui la fascetta d'oro matrimoniale. la fascia d'oro che lega per tutta la vita, l'anello delle nozze, infine, e quindi era chiamato compare dell'anello: ora, a questo anello coniugale ci pensa lo sposo, sempre, e invece il compare di matrimonio dona, alla sposa, ordinariamente, un altro anello, molto ricco, con un solitario, per esempio, con un grosso smeraldo, con una grossa perla, unita a un grosso brillante. Il dono dell'anello è il più pratico di tutti, per il compare: egli si distacca, un poco, dalla tradizione, offrendo un fiore di brillanti, o un braccialetto, o altro, la spesa doppia, tripla, e la tradizione svanisce. Nelle province meridionali, un tempo, la sposa, in cambio dell'anello, offriva al compare di matrimonio, un fazzoletto di battista, ricamato con le cifre della sposa: così si aveva il nome di compare di fazzoletto. Nel popolo, in molte famiglie borghesi e anche in qualche famiglia aristocratica, questo ricambio del fazzoletto esiste ancora: ed un uso molto grazioso! Basta; il compare funziona il giorno delle nozze: va in chiesa in redingote, calzoni a righe, cravatta chiara, guanti tortorella e tuba, come lo sposo: offre il braccio, per lo più, alla madre dello sposo, visto che, alla madre della sposa, lo offre lo sposo: e sull'altare si colloca presso la coppia felice, un poco indietro, salvo ad appressarsi, nel momento opportuno. Difatti, quando è il momento che il prete benedice le nozze e che deve metter l'anello al dito della sposa, è proprio il compare che fa l'atto di metterglielo al dito, e lo sposo compie la gentile opera. Come orazioni speciali, nulla il compare deve fare o dire: al ritorno dall'altare, egli ridà il braccio alla dama, che vi condusse prima. Alla colazione nuziale, egli siede alla destra della sposa; se è oratore, fa uu brindisi; se no, è il primo a toccare il suo bicchiere di champagne, con quello della sposa. Tutte le spese, le mance, i regali, in chiesa, sono a carico suo: in casa, deve dare mancie a tutti i servi. Oltre il gioiello di prammatica, il compare molto chic dona anche dei fiori, dei fiori candidi, annodati con una grande sciarpa bianca: ma si può non essere chic ed essere un eccellente compare. A nulla egli è tenuto, verso lo sposo. Beninteso, al ritorno del viaggio di nozze, se egli ha casa, ha famiglia, dà un pranzo, o un ricevimento in onore degli sposi: se è uno scapolo elegante, può dare questo pranzo anche in un grande restaurant,, in sala riservata.

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(Queste idee sono esposte per chi può ed ama spendere: e i doni debbono essere destinati a persone ricche e di buon gusto. Parlerò poi dei doni più semplici e dei semplicissimi). Legature antiche: cercando bene, dagli antiquari, si trovano dei bei pezzi di stoffa antica, di cui si possono fare legature di libri, stracciacarte, astucci per musica, e via via. Vasi e mobili: piccoli mobili inglesi di stile Liberty, cioè tavole, scansiette, scaffali; vetri veneziani; piccoli cornetti in argento, con le iniziali incise, per attaccarli nel coupé o nell'automobile e mettervi dei fiori; orologo da carrozza, da automobile. Ceramiche d'arte: vasi, piatti, bomboniere, delle più importanti fabbriche italiane, ma di quelle che riproducono esattamente lo stile antico. Sacchi e sacchetti: in istoffa antica, sacchetti pel ventaglio, per l'occhialino, ecc. Oggetti d'arte: una incisione antica, un bronzo, una miniatura antica, una statuetta di Tanagra. Ninnoli eleganti: stecca montata in oro: porta-odori montato in oro o in argento; borsetta a maglie d'oro; pomo e punta di oro per ombrellino; orologio da scrittoio; paralume con incisioni antiche; ventaglio; ricami di fantasia. Oggetti pratici: tête-à-tête di porcellana di Sassonia o giapponese antico; paravento artistico; tavolo dell' Impero; specchio con cornice di argento; copripiedi di ricamo antico; ventaglio antico; guarnizione di bottoni o di fibbie antiche, per vestito. Regalo alle persone che hanno tutto: marmitta montata in argento, per portare il brodo in tavola; guarnizione di toilette in argento o in vermeil; piccolo cane di razza giapponese, di razza purissima, difficile ad avere; catena d'oro, con pietre fini, lunga un metro e cinquanta; vetri antichi e vetrerie eseguite sovra ordinazioni, da un artista, con le armi di famiglia e che servono per le finestre della stanza da pranzo, della stanza da toilette: tutte le partizioni delle opere di Wagner, legate all'antica tedesca; collezioni di autografi rari, in un casellario; servizio da scrittoio, per carrozza; lampada elettrica per il coupé: disegni originali di artisti conosciuti; miniature del secolo Decimottavo; vaso di Venezia antico, con orchidee; bamboniere Luigi XIV o Luigi XV, con dolci francesi; orologio a sveglia, antico, inglese, pendule de Westminster; piccolo orologio minuscolo, per portare all'occhiello e che sostituisce il braccialetto-orologio; pelle di daino, montata con seta, per il viaggio, molto pratica per evitare il contatto con le lenzuola di albergo. A bambine fortunate: spillo col nome, con perle fine; anello con rubino: porta-fortuna di oro o di argento; piccolo sacco da viaggio; piccola poltrona di giunco dipinto; tavolinetto da lavoro. A ragazzi fortunati: oggetti diversi, con luce elettrica; busta di oggetti per bicicletta; orologio; taccuino; calamaio; carta da lettere; apparecchi fotografici; bel temperino; bastoncino; scatole con collezioni varie per esperienze di fisica, di chimica, per costruzioni.

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. - Grande medaglione di cristallo montato in argento, con fiore simbolico, dentro; cuoricino d'oro, che si apre, a medaglioncino; medaglina d'oro o d'argento dorato, da sospendere; ditale di argento; ventaglietto per teatro; pettinessine con strassi; ferma chignon di vera tartaruga o di pastiglia; penna di avorio; ogni specie di piccoli portafortuna, di argento; scatola di profumeria; scatola di carta da lettere; biglietto elegantissimo di augurio. Sono doni molto modesti, ma carini, a cui l'innamorata può assegnare un'altra origine. Innamorate, che possono mostrare il dono, poiché i genitori sono favorevoli all'amore. - Catenina d'oro con crocetta; cintura di pelle, con borsetta compresa; en-cas con manico di avorio; tour de cou di pelliccia; sciarpa di seta chiara, per metter sulla testa, a teatro; manicotto (oggi quasi fuori d'uso); nécessaire da lavoro; nécessaire da scrittoio; ventaglietto; catena d'argento, per sospendere le lenti o il ventaglio; lenti di tartaruga (se miope): anellino e catena, di oro, senza pietre; fazzolettini di seta, ricamati a fiori (mezza dozzina); portafazzoletti di seta dipinta. Tutti questi doni costano dalle cinquanta alle centocinquanta lire, non oltre. Fidanzate che non pretendono molto e con cui il matrimonio e ancora lontano. - Anellino, di oro con qualche perlina; braccialetto di oro, con campanelluccio sospeso; orologetto di argento bruciato o di acciaio, con cifre rilevate di oro; piccolo nodo di amore di oro e smalto, per sospendere l'orologetto sul petto; catena di argento con lapislazzuli, per sospendere le lenti; orecchini di granate e perle; spilloni di argento per cappelli, non meno di due, ma eleganti; sei forcinelle di tartaruga bionda: un buvard di cuoio impresso o di stoffa antica; libro da messa, legato in avorio e argento. Doni che cominciano da cento e che si accostano, ma non oltrepassano, le trecento lire. Fidanzate molto chic, e con cui il matrimonio è imminente. - Enorme cuore d'oro inglese, a medaglione, con trifoglio di turchesi in un lato; plaid da viaggio, venuto da Londra; anello con grossa perla e grosso brillante; libro da messa, legato in pergamena antica e tutto alluminato; portabiglietti di argento bruciato, disseminato di turchesi; broche con figura di medaglia; braccialetto gourmette, scintillante di gemme; borsa in peau d'antilope, ricamata di acciaio; sacco con ventaglietto da teatro; tour de cou di volpe azzurra; sei fazzoletti con bordo di merletto antico; penna in oro; châtelaine con vari gingilli sospesi, di oro; fascio di porta-fortuna, di oro, sospesi a un anello d'oro; tre piccoli fili di perle. È inutile parlare del prezzo!

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A ogni modo, notiamo!) Doni eseguiti, gentilmente, con le proprie mani. - Stracciacarte, da sospendersi al muro; cestino di paglia ricamata, per carte; copertura da avvolgere ombrelli e bastoni, ove è ricamato: buon viaggio; pianelle; stracciacarte di seta, ricamato, con fiori simbolici; buvard, ricamato a punto antico: portaritratti a scudo, ricamato; fazzoletti ricamati; striscia di lana ricamata, per coprire la tastiera del pianoforte (se è maestro di musica); segnalibro ricamato; portaspazzole ricamato; portagiornali ricamato. Doni di affetto.- Un portafogli di pelle; un portabiglietti, idem; un taccuino; un lapis d'argento; un bocchino di schiuma; un bastone, con pomo di avorio; una catenella di argento, da sospendervi le chiavi: una châtelaine di argento bruciato e platino; sei fazzoletti di batista; quattro cravatte inglesi; una cintura di cuoio, per l'estate; un cachenez; una cartella di pelle; un suggello di argento; un portasigari di pelle, con cifra d'argento; un portasigarette, idem; un portafiammiferi di argento; un ombrello per la pioggia; quattro paia di guanti inglesi, assortiti; un calamaio di media grandezza, con coperchio di argento. Variano da cento lire a trecento. Gioielli, gioielli! — Anche gli uomini, li amano! Bottoniera per camicia, da giorno; Bottoniera di perle, per frack, con bottoni da polsi in ismalto bianco, circondati di brillanti; bottoniera bizzarra di oro inglese, per camicia da estate; grosso anello a serpe, che piglia tutta una falange; catenina sottile, per track: orologio Pateck; orologio cronometro; grossa perla bianca, per cravatta; grosso anello per cravatta, di oro e brillantini; anello di brillanti, solitario; anello di acciaio e grande brillante; spillo artistico, per cravatta; grosso smeraldo, in anello, legato all'antica. È inutile parlare del loro valore, si capisce! Doni capricciosi, talvolta utili, sempre - Fucile da caccia; cane danese; frustino con pomo cesellato; enorme calamaio di cristallo di rocca, con coperchio in vermeil; nécessaire da viaggio; nécessaire per pranzare, in viaggio; allacciaguanti,! allacciascarpe, di argento; rasoi inglesi; macchinetta da caffè, di argento; verre d'eau; portasigarette di argento, disseminato di perle; pelle di orso bianco, scendiletto; piumino di raso, per letto; servizio da fumare di Knight; orologio da tavolino, stecca, portafiammiferi, di Janetti; statua di Tanagra.... e mi fermo! Tutto ciò costa, costa!

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È naturale che un diplomatico, un uomo politico, un alto funzionario abbia sempre il dovere strettissimo di distribuirne una larga parte: e che molti privati, anche per il giro antico delle loro relazioni, non possano sfuggire a questa distribuzione automatica. Ma molti privati e, anche, nella più elegante società, all'estero o in Italia, a poco a poco hanno smesso d'inviare o di deporre, queste carte da visita di Capo d'Anno: e se ne lasciano un centinaio, rigorosamente indispensabili, in cambio di mille, è tutto! Viceversa, piglia sempre più vigore la moda, ed è una moda leggiadra, poetica, adorabile, del Christmas card, dell'augurio, infin, sotto forma di un gentile cartoncino illustrato, sotto forma di un minuscolo calendario, sotto varie forme in cui, anche, l'arte può portare il suo contributo più fine. Giacchè, oramai, il Christmas card, l'augurio, il calendario, la piccola incisione, si fanno nelle forme più delicate e la fantasia degli artisti, degli artefici, si sbizzarrisce in una varietà grande. La banale carta da visita sparisce, con le sue due banalissime iniziali p.a.: per augurii: viceversa, l'augurio, in ogni sua manifestazione come carta d'augurio, come cartolina gentilmente illustrata, come calendarietto, si moltiplica, e i cartolai preferiscono vender queste cose qui, anzi che fare cento carte da visita, e ogni persona di animo affettuoso preferisce inviare l'augurio, il Christmas card, anzi che la carta da visita, e ognuno preferisce ricevere il calendarietto o la cartolina allegorica, invece della carta da visita. Ma non si può mandare a tutti un augurio in cartoncino, una cartolina illustrata, un calendario: è vero: ci vuol troppo tempo: e ci vuole anche una spesa maggiore: è vero! E non tutti gli amici e le amiche noi amiamo, in modo da volerci ricordare ad esse, così! Ebbene, un regime misto, allora, è consigliabile: cioè sbrigarsi di tutti gli estranei e di tutti gli indifferenti, con le carte da visita, diminuendo, naturalmente, il numero di costoro allo stretto necessario: e a coloro che amiamo, che ci vogliono bene, che ci sono lontani e per cui il nostro cuore, la nostra memoria, fremono di simpatia ininterrotta, mandare l'augurio illustrato, la cartolina artistica, l'artistico calendario. E ciò si può fare anche a Natale, come a Capo d'Anno: cominciando dal bel giorno in cui nacque il Divino Fanciullo e finendo nel nuovo anno!

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E allora, se si fanno tutte, tutte, devono passare quindici giorni, a trasportarsi da un capo all'altro della città, a salire al primo, al terzo e al quarto piano? La vita sarebbe ben penosa, se tutte le visite di obbligo e di non obbligo si dovessero fare, in questi quindici giorni! Invece, una delle cose più savie, è quella di pensarci su, bene, un pomeriggio tranquillo o una serata tranquilla e fare una noticina, magari, per stabilir bene l'itinerario del cuore e del dovere. Giacchè le visite del cuore, è vero, voi le farete bene? Quelle ai parenti amati e rispettati, che riceveranno questo vostro atto di tenerezza, con una emozione di piacere: quelle alle due o tre amiche dilette, con cui sempre si passa un'ora di bene morale, durante l'anno, ma di cui qualcuna, da tempo, voi non avete veduta, l'esistenza è talmente bizzarra, essa combina talmente l'unione di coloro che non si amano e la disunione di quelli che si amano! E la visita rara, quella a una vecchia dama simpatica e buona, che tutti, a poco a poco, hanno tralasciato di visitare, quella a un vecchio amico infermo, da lungo tempo infermo, e che, purtroppo, passa i suoi giorni in solitudine, la visita rara, una persona di cuore, la deve far bene, per soddisfazione di affetto? E la visita umile, oscura, a un parente povero, a una amica della giovinezza, quella visita che è una consolazione, un atto di profonda carità umana, non la volete voi fare? Poi, le visite di obbligo: scartandole, quelle di obbligo così così, quelle di mezzo obbligo, quelle di un obbligo indiretto: e lasciandovi solo quelle di obbligo assoluto, a cui voi dedicherete non più di dieci minuti, ognuna; tanto vuole il cerimoniale. Se restate più di dieci minuti, in una visita di obbligo; siete perduta! Per fortuna, vi è sempre il bel caso, cioè che voi non troviate in casa, nei giorni consecutivi, cinque, sei, otto visite di obbligo e voi, con un sospiro di soddisfazione, represso sotto un lieve sorriso di rammarico, lasciate la vostra carta da visita, piegata di traverso e fuggite via, via, a un'altra visita, guardando il taccuino e consolandovi del molto che avete compiuto, del poco che vi resta a compiere!

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Non si fa se non una sola eccezione a tale regola assoluta, vale a dire quando si va a un grande matrimonio, in chiesa. In chiesa non si parla mai forte, con la propria vicina; non si parla, in generale, se non per scambiare qualche rapida parola, con voce sommessa, chinandosi verso la vicina; non si sorride; non si ride; non si fa rumore, sedendosi, alzandosi, inginocchiandosi; non si agita mai il ventaglio, contro il caldo; non ci si volta mai indietro, per vedere chi è entrato, chi entra; non si saluta, di lontano, un amico, un'amica. Rammentarsi sempre, che la chiesa è fatta per il silenzio, per il raccoglimento, per la preghiera. In quanto all'uomo che entra in chiesa, egli è obbligato a una correttezza, anche maggiore di quella femminile: egli deve aver l'aspetto dell'uomo raccolto se non nella preghiera, nei suoi pensieri. L'uomo sta quasi sempre in piedi, in chiesa: senza voltarsi troppo a destra, o a sinistra, senza mai voltarsi indietro; se è seduto, non incavalcherà mai una gamba sull'altra, non si sdraierà mai sulla sedia; se si deve inginocchiare, s'inginocchierà senza chiasso e senza ostentazione; se deve pregare, pregherà sempre mentalmente, con modestia; se deve uscire, entrare, camminerà sempre senza fare nessun rumore. Un uomo bene educato non fa l'occhietto alle signore, alle signorine, in chiesa, perchè è della massima sconvenienza; non si accorge di avere un'amica, una conoscenza, in chiesa, e, quindi, non la saluta; non commette la cafonata, purtroppo molto in uso, a Napoli, di pagare le sedie alle signore e alle signorine di sua conoscenza. In chiesa non si sputa mai, perchè è una grave ingiuria al Signore, oltre che una sudiceria; non si tossisce, potendo reprimersi, e se si è malati, non ci si va. Le prediche si ascoltano attentamente, seriamente; senza dare segno di approvazione, crollando il capo; per chi si confessa o si comunica, inutile dare regola di condotta in chiesa; poichè si tratta, allora, di persona assolutamente abituata a rispettare il Signore e la sua Casa.

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Vi sono degli originali, originali a base di egoismo e di aridità di spirito, i quali dichiarano che il lutto delle vesti, della casa, dei costumi, delle consuetudini, è una vana formula; questi medesimi originali hanno trovato la comoda frase, per esentarsi da tanti doveri, da tanti obblighi, da tanti riguardi: il lutto si porta nel cuore. Benissimo! Ma si deve portare, oltre che nel cuore dolente, anche nelle vesti, anche in quanto vi circonda, bisogna anche che questo lutto si ripercuota nella vita stessa, vostra, se voi volete rendere pubblico, l'omaggio di tristezza e di rimpianto a colui che è sparito. No, il lutto non è una vana formula: gli abiti neri e opachi, i grandi veli di gramaglie, le stoffe semplici, di taglio sobrio e austero, sono più di questo: l'astensione dalle feste, dai teatri, dai circoli, dai ritrovi, più di questo: questa specie di gravità pensosa, di cui tutte le cose dell'esistenza, intorno, si ammantano, dalla livrea dei servi alle carrozze, dai saloni chiusi ai gioielli serrati nei loro astucci, finchè il lutto non cessi, tutto ciò, veramente, non è una vana pompa, non è una posa sociale, non è una convenzione glaciale, è qualche cosa di molto importante, come estrema devozione verso la persona che è morta. Il lutto nel cuore, sì: ma deve essere confermato da ogni vostro aspetto, da ogni vostro atto, se non volete che la gente dimentichi la perdita che avete fatta, se non volete dimenticarla voi stesso. Così è: le gramaglie, i veli neri, la carta listata di nero, tutto serve a fermare meglio, in voi, il malinconico rimpianto di colui che non è più: il non ornarvi di gioielli, il non partecipare ai balli, il non farvi vedere nei caldi e scintillanti teatri, il non ricevere, tutto serve a consacrare, più seriamente, più altamente, in voi, il ricordo mesto. L'uomo non deve lasciarsi vincere e perdere dal dolore: ma deve, di questo dolore, curare tutte le fasi successive, dallo strazio, dalla disperazione, sino alla più dolce mestizia. Ricordatevi di vivere: ma non dovete dimenticare i morti, che vi hanno amato, che hanno sofferto per voi. Se, dopo poco tempo dalla morte di un vostro caro, voi vi vestite di bianco, andate a un ballo, date una festa in casa vostra, voi non farete credere a nessuno, che il lutto è in fondo al vostro cuore. E, difatti, se guardate bene, voi stesso, in fondo al cuore, questo lutto non lo troverete.

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Almeno per due settimane, se il lutto è grave, per una settimana, se è meno grave, non si ricevono visite: e, anche, si cominciano a ricevere, dopo quindici giorni, solo le visite di condoglianza degli intimi. Non bisogna che un grave lutto, diventi la scusa per organizzare dei ricevimenti! Se il lutto è grave, le signore e signorine restano in casa, da tre a quattro settimane; per gli uomini, una settimana basta. Ma, se si tratta di uomini di affari, di chi si deve recare ai proprii doveri pubblici, al lavoro, bastano tre o quattro giorni di casa. Le donne, invece, che non hanno questi obblighi, possono e debbono restare in casa, il tempo stabilito. È naturale che, appena si esca, si vada solo in posti raccolti, in chiesa, a restituire man mano, e non nei giorni di ricevimento, le più doverose e le più intime visite di condoglianza che si sono ricevute. È anche naturale che, in tutto l'anno di lutto grave, per morte di genitori o di merito, non si frequenti nessuna festa, nessun ballo, nessun teatro, nessun concerto, nessun ritrovo di mondanità: il lutto è una cosa assoluta, si rispetta o non si rispetta. Passati i primi mesi, si può andare a qualche ritrovo di carità mondana, a qualche conferenza, a qualche concerto di musica seria; niente altro. Se, per caso, nell'anno di lutto grave, vi sia una solennità, in famiglia, un matrimonio, un battesimo, allora, solo per quel giorno, si spezza il lutto, che si riprende subito il giorno dopo. Se si va, per obbligo, a una festa di Corte, si porta una toilette completamente bianca, come il lutto di Corte. Il gran velo nero, abbassato, dal cappello, innanzi agli occhi, e alla persona si porta così, per i primi sei mesi: dopo, sino alla fine dell'anno, si rigetta indietro: e ciò serve per le signorine, nel lutto dei genitori, per le maritate nel lutto di marito e di genitori. Nei primi tre mesi di lutto grave, non si apre il pianoforte in casa, nè si prende lezione di canto; basta un mese di questo rispetto, per i lutti meno gravi. La carta di chi è in lutto, i biglietti da visita, saranno sempre listati di nero, per qualunque occasione. Chi è in lutto, uomo o donna, non porta mai fiori sulla persona; non festeggia nè compleanno, nè onomastico; ma può, per lettera, partecipare agli onomastici o compleanni di persone amiche.

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Uno dei principali spostamenti e il più seducente, senza dubbio, non è, forse, il tentare studii del tutto maschili, superiori alla media della intelligenza femminile, l'intraprendere fatiche mentali troppo forti e troppo alte, il mettersi per vie scabre, che sono piene di triboli e che dopo aver sacrificato gli anni giovanili e la salute e la gaiezza delle giovanette, non conducono a nessuna mèta sicura e onorevole? Forse che tante giovani, oramai, non frequentano ginnasi e licei e università, mescolati agli uomini? E che serve predicar loro, che questa scienza mal appresa, mal digerita, ha sottili fonti di veleno, nelle vene muliebri? E non è, anche, doloroso dover predicare l'ignoranza, per salvare qualche anima dai turbamenti, che il cosidetto feminismo impone loro? Triste: ma inevitabile. Almeno qualche rimedio vi s ponga, nella forma, se non nella sostanza: che queste assetate di scienza, almeno, non debbano anche immolare una parte del loro riserbo, studiando fra giovanotti, non sempre rispettosi e non sempre onesti. La Germania, dove la gioventù maschile è così austera e la gioventù feminile così semplice e seria, ha già provveduto a questo, fondando dei ginnasi feminili, dei licei feminili, per tutte coloro il cui spirito agitato e malcontento domanda alla scienza un pane dell'anima e del corpo, che, spesso, la scienza non può dare: e se, fra noi, troppo ci vorrebbe, troppo costerebbe, troppo sarebbe difficile, di fondare molti di questi ginnasi e di questi licei, almeno che i ginnasi maschili abbiano, fra le tante sezioni una sezione tutta feminile, quando se ne sente il bisogno: una sezione feminile in cui le studentesse siano sole, non unite a studenti, non esposti a dileggi e a tentazioni. Imparino il latino e il greco, le giovanette, se sperano che giovi alla loro felicità: ma che quando si giunga a un passo scabroso della letteratura italiana, latina, greca, siano sole col professore e non in una folla di studenti, che se la ridono, mentre esse arrossiscono!

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Fino ai tredici anni, si può portare la gonna che mostra il piede e anche il collo del piede: a quattordici anni, non si vede più se non il piede: a quindici anni abbia un grande sviluppo la giovanetta o sia restata gracile, veste lunga. Fra i tredici e i quattordici anni, si può portare ancora la treccia lunga, sulle spalle, o i capelli increspati o legati con un nodo di nastro, alla coda: dopo i quattordici anni, i capelli si debbono rialzare sulla testa, pettinandoli semplicemente, con grazia giovanilmente, senza troppo seguire la moda. Fra i tredici e i quattordici anni la giovanetta può portare ancora i colori molto vivi, delle vesti azzurro cupo con giacche rosse, delle vesti beige con giacche bianche, degli abiti scozzesi, dei mantelli di panno con pellegrina e con grossi bottoni, qualche cosa di molto grazioso, bene tagliato, ma senza lusso; può portare dei grandi cappelli di feltro, con cocche di nastro, in inverno, o delle canottiere di castoro, dei grandi cappelli di velo e nastro, in estate, o canottiere di paglia: le piume, i fiori, sono esclusi. Qualche gioiellino gentile, ma senza gran valore: una catenella d'oro al collo, a cui è sospesa una crocetta: qualche filo d'oro, come braccialettino, a cui è sospesa una daglia, un campanellino: due perline alle orecchie, o due diamantini. In casa, la giovanetta porta, sino a quindici anni, i grembiuli, molto carini, di seta, di surah, scozzesi o a disegno turco: dopo quindici anni, li smette. Nei giorni di ricevimento, ella non è sempre nel salone, ma vi apparisce e sparisce; serve il the, se non vi è una sorella grande; non fa conversazione, non si mescola ai gruppi, va via presto. A quell'età, la giovanetta va raramente a teatro, salvo a quello di musica; in qualche concerto; in nessun ballo ufficiale; in nessun ballo di cerimonia; non balla, se non quando si fanno quattro salti, in campagna. Tutto in lei deve essere semplice, gentile, grazioso, ma non lezioso, ma non civettuolo: se ha molta gaiezza, bene, ma deve moderarla: se ha dello spirito, lo lasci maturare, è meglio, se ne servirà meglio più tardi. Infine, deve prepararsi a essere signorina, imparando a esser cortese, piacevole, giustamente colta, con qualche arte coltivata particolarmente, imparando ciò, ma non facendone sfoggio, se non più tardi, abbastanza più tardi.

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E anche questo stato, che fa orrore a tante donne, può avere le sue dolcezze! Tutto sta ad elevarsi sovra il rammarico di non aver trovato marito, ed avere molto spirito e molto cuore, per poter godere tutti i vantaggi che dà Io stato di vecchia zitella. E così, dai quarant'anni in poi - giacchè calcoliamo da questo limite, Io stato di vecchia zitella - si può uscire sola; viaggiare sola; vivere sola, con qualche fedele persona familiare; ricevere sola: tutto ciò, senza che nessuno vi trovi a ridire. Viceversa, una vecchia zitella può farsi; accompagnare, per la via, in un teatro, in un ritrovo, da un amico di casa; può fare delle conversazioni, con uomini di spirito e simpatici, anche a lungo; può ballare quanto vuole e con chi vuole; può, magari, filare, flirtare sentimentalmente, al solo scopo di passare un'ora graziosa: e tutto ciò senza essere criticata. Oh la vecchia zitellanza, diciamo così, ha i suoi beneticii! Si può andare, venire, discorrere, scrivere, partire, ritornare, senza dare troppi conti, a nessuno: si può amministrare la propria sostanza, grande o piccola, come si vuole, senza tutele e senza osservazioni: si può fare del bene, come si desidera: ci si può dedicare a qualche lavoro d'arte, di pensiero, senza ostacoli: si può consacrare la propria vita a l'amore dei nipoti, o alla beneficenza, o alla religione, senza le critiche del pubblico. Una vecchia zitella può vestirsi come le pare, purchè rispetti il suo stato e la sua età; può ricevere delle visite quando vuole, naturalmente nei limiti del rispetto; può avere delle carte da visita, può mettere il suo monogramma sulla carrozza, se l'ha, può mettere i gioielli di sua madre, se gliene ha lasciati; può, infine, godere di una onesta libertà di azione, di cui non godono punto, nè la signorina a diciotto anni, nè quella a venticinque, nè quella a trentacinque. La vecchia zitella si rammenti; sempre, che gli uomini sono disposti, nella loro vanità, a trovarla sempre ridicola: ella faccia in modo da avere tanta serietà, tanto spirito e tanta disinvoltura, da far loro rimangiare la voglia di burlarsi di lei. Non caschi nell'errore di proteggere gli amori altrui, di diventar una marieuse: resti in una linea di semplicità e di distacco, a proposito di amore e di matrimonio. Si crei delle buone affezioni, delle care amicizie, delle devozioni sicure, intorno a sè; sia benevola, indulgente, gaia, savia, buona consigliera, fedele amica: e la sua vita sarà dolce. Maritarsi è bene, ma è anche male: non maritarsi, è male, ma è anche bene. FINE.

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a quale ora?...... 62 VI. Un'ora, ogni giorno?....... 65 VII. La nuova usanza........ 67 LIETA MENSA.......... 71 I. Invito a pranzo......... 73 II. Grandi pranzi......... 75 III. Pranzo di mezza cerimonia.... 77 IV. «menu » di una colazione..... 80 V. Intermezzo: antipasto...... 82 VI. Il «menu » di un pranzo..... 84 VII. Nuovo «menu » di pranzo.... 86 FESTA DA BALLO......... 89 I. Festa da ballo......... 91 II. Festa da ballo: gli inviti..... 93 III. Festa da ballo: gli obblighi.... 95 IV. Festa da ballo: il trattamento... 97 IV. Questioni mondane: le fanciulle nei balli............ 100 VI. Segue: le fanciulle nei balli.... 102 VII. Segue: le fanciulle nei balli.... 104 PICCOLO INTERMEZZO........ 107 Si cambia casa: nuovi vicini...... 109 Pag. I LEGAMI DELLO SPIRITO. I SACRAMENTI. 111 I. Festa di battesimo....... 113 II. Madrina di battesimo...... 115 III. Padrino di battesimo...... 117 IV. Cresima........... 120 V. Padrino di cresima....... 122 VI. Madrina di cresima....... 124 NELLE CASE DEL RE. PRAMMATICA DI CORTE 127 I. Presentazioni a Corte...... 129 II. Altre pesentazioni a Corte.... 132 III. Lettere, suppliche, dediche alla Regina 134 IV. Ballo di Corte......... 137 V. garden party a Corte......... 140 Avvertenza............. 143 FUORI DI QUI.......... 145 I. L'educazione in viaggio...... 147 II. Ancora l'educazione in viaggio... 149 Ill. DI estate, qui e fuori...... 151 IV. Andar via: la valigia della signora. 154 V. Andar via: la valigia del padrone.. 156 VI. La villeggiatura: perchè ci si va?.. 158 VII. La villeggiatura: quello che si spende 161 VIII. In villeggiatura: poichè ci si deve andare 163 IX. Il caldo: i due metodi..... 166 X. Il caldo: il secondo metodo.... 168 XI. La villeggiatura: i lavori donneschi. 170 XII. Si balla più che mai, in estate... 172 XIII. Saper vivere: ritorno dalla villeggiatura 174 INTERMEZZO: POSSONO, DEBBONO FUMARE LE DONNE?.......... 177 La sigaretta: le donne, possono debbono fumare?............. 179 Pag. FRA NATALE E CAPO D'ANNO..... 183 I. Doni, doni, doni........ 185 II. Il dono: a chi si deve donare?... 187 III. Il dono: quel che si deve donare.. 189 IV. Idea per i doni di Natale e Capo d'Anno 192 V. Ciò che si regala a innamorate,a fidanzate........... 194 VI. Doni da farsi agli uomini..... 197 VII. Christmas cart (biglietto di augurio) 199 VIII. Carta da visita......... 201 IX. Visite di Natale e Capo d'Anno.. 203 X. Fine d'anno.......... 205 ALTRO INTERMEZZO: L'EDUCAZIONE IN CHIESA 209 In chiesa............. 211 LA NOTA DOLENTE......... 215 I. Il lutto............ 217 II. Durata del lutto........ 219 III. Il lutto: come bisogna vestirsi... 221 IV. Il lutto: condoglianze, visite, eccetera 224 V. II lutto: uomini, bimbi, persone famigliari............ 226 PER VOI, CARE FANCIULLE...... 229 I. Per la convenienza....... 231 II. Da tredici a quindici anni.... 233 Ill. A sedici anni......... 235 IV. A diciotto anni......... 238 V. La vecchia zitella........ 240

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La dote è poca, o non esiste: il giovanotto guadagna appena da vivere, modestissimamente, lui e la sposa: non importa, si fanno dei debiti, purchè il matrimonio sia chic. l'uso antico, patriarcale, era di organizzare, al completo, la casa dei novelli sposi: le nozze religiose si celebravano in chiesa e a casa, con un altare improvvisato, quasi sempre di sera; dopo le nozze, gli invitati, aperto il ballo dai due sposi, si davano alle danze, si offrivano sorbetti, dolci, confetti e vini, copiosamente; si ballava di nuovo; a un certo punto gli invitati si raggruppavano e accompagnavano gli sposi alla nuova casa. Talvolta, queste nozze religiose, sempre nell'uso antico, si celebravano di mattina e allora, dopo la cerimonia, si faceva un grande pranzo; dopo il pranzo, accompagnamento degli sposi, alla novella casa. L'uso antico, che non era chic, ma che era tenero e dolce, e con cui migliaia di uomini e di donne si maritavano, pur essendo felici, l'uso antico non comportava nè matrimonio religioso alle dieci del mattino; nè fastosi doni; nè lunch o luncheon; nè partenza per un lungo viaggio; nè viaggio di nozze, quindi; l'uso antico aveva la sua beltà e la sua grazia, con la suocera che aspettava la nuora nella nuova casa, con tutte le leggende di augurio, ma non era chic. Adesso, il più misero impiegato, maritando la figlia, deve dare il luncheon, se no, che figura ci fa? Adesso, il più misero professionista, maritandosi, deve fare il viaggio di nozze; e se no, dove va a nascondersi? E la spesa sempre molto rilevante, per la famiglia della sposa, sempre molto preoccupante, per lo sposo, e per queste nozze chic, spesso, nelle famiglie che non sono chic, per questi viaggi di nozze, fatti da chi deve restare, al suo paese, a lavorare; cominciano le prime, acri dispute fra gli sposi: e la luna di miele si avvelena! Chi mai fa più il matrimonio religioso, all'uso antico, oramai? In dieci anni, ho assistito a centinaia di matrimoni col luncheon, spesso, a un quinto piano, in tre stanzette modestissime.... basta, non insistiamo, e non ho assistito se non ad un solo matrimonio bello, simpatico, all'uso antico, fatto con larghezza, con signorilità, ma all'uso antico, col bell'uso patriarcale, di sera, col ballo, coi rinfreschi e con l'accompagnamento a casa degli sposi, cioè quando si maritò la prima figliuola di un grande avvocato napoletano. Ebbene, egli che era ricco, che era di una condizione elevata, che maritava la figliuola benissimo, la quale figliuola è stata ed è felicissima, rinunciò al luncheon e a tutte le mode francesi, per rispettare le antiche costumanze!

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Comincia a girare, fra le coppie che debbono passare a nozze, un nuovo orario di cerimonia religiosa. Invece di seguire il costume della grande maggioranza, cioè di celebrare queste nozze alle undici di mattina, con relativa colazione offerta ai pochi o ai molti invitati, invece di sposarsi all'antica, cioè di sera e in casa, ciò che, oramai, non osa più di fare, neanche la nostra piccola borghesia, ecco che il nuovo orario si stabilisce fra le due e le tre pomeridiane, nell'ora, cioè, più bruciata della giornata, anche se sia in pieno inverno. Taluni vanno verso le tre e mezzo o le quattro: vale lo stesso! Sicchè gli invitati a queste nozze, in un orario così bizzarro e così incongruo, debbono fare colazione, in casa propria, con molta fretta e, dopo, vestirsi per la cerimonia: la quale cerimonia non può mai comportare la messa, che è sempre un rito così pio e così tenero, tanto da commuovere anche l'invitato più arido. Niente messa, dunque: e, alle tre, offerta di una table à the, a cui, naturalmente, nessuno fa onore, poichè tutti han fatto colazione poco tempo prima, e sono in periodo di digestione. Tanto peggio, poi, se coloro che si sposano in un'ora così poco plausibile, offrono una table à the renforcée, cioè con sandwiches, con choux alla maionese, con pasticcini di carne: il colmo dell'inopportunità! Giacchè non è possibile, un'ora, due ore dopo colazione, divorare questi rinforzi gustosi, è vero, ma insopportabili a chi non ha più appetito. Dopo di che, la cerimonia finisce alle cinque pomeridiane ed ecco tutto in un pomeriggio distrutto, per gli uomini di affari, per le madri di famiglia, per i giovani gentlemen, mentre la cerimonia delle undici di mattina finisce, al più tardi, alle tre e lascia l'altra metà della giornata libera. Ma perchè mai si sceglie quest'ora delle due o delle tre, così poco favorevole alla poesia delle nozze e così poco comoda per gli invitati? Forse per risparmiare la grossa spesa del lunch? Ma quella della table à the o buffet che si voglia dire, non è mica piccola: e se vi si unisce il sandwich, lo chou, lo champagne-cup e la torta di nozze, costa quasi quanto una colazione. Perchè maritarsi dalle due alle tre pomeridiane? Per abbreviare la cerimonia? Vana speranza: quella cerimonia è quella che è, nulla la muterà, nulla l'abbrevierà. Con tutte le nostre esperienze di cronista mondano, protestiamo contro quest'orario, destinato a rendere manchevole la bella cerimonia religiosa nuziale.

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Gli inviti per le nozze si mandano almeno dieci giorni prima, alle persone di riguardo: l' invito sempre fatto a nome dei genitori della sposa, o di chi funziona, in mancanza loro: si manda un bel cartoncino stampato, con le indicazioni ben precise, del giorno, dell'ora, del posto. Ad amici e parenti, agli intimi, infine, l' invito si fa a voce, o per mezzo di una letterina affettuosa. L'ora da scegliere varia dalle dieci e mezzo alle undici del mattino: gli invitati, quasi tutti, verranno sempre mezz'ora più tardi. Se si va, quindi, alla chiesa, l' invito per le dieci, sino alle dieci e mezzo: se il matrimonio religioso è in casa, l' invito per le undici, sino alle undici e mezzo. Ordinariamente, ogni invitato che va a nozze di una certa importanza, ha la sua carrozza, o se ne procura una: ma sempre bene che la famiglia della sposa abbia quattro o cinque carrozze, a disposizione di coloro che non ne avessero, non più di quattro o cinque, massime se il matrimonio in chiesa. Se il matrimonio è in chiesa, bisogna curare l'addobbo, con molte grandi piante, formandone dei boschetti, ai due lati dell'altare: ci vuole un tappeto nello spazio ove seggono gli invitati, e una striscia di tappeto, tra le due file di sedie che arrivi sino fuori la chiesa e si prolunghi sugli scalini. Nella strada, domandare qualche guardia di più per il servizio regolare delle carrozze: alla porta della chiesa, vi debbono essere almeno due introduttori, parenti o amici della famiglia, che accompagnino le signore e introducano i signori. Meglio scegliere due giovanotti disinvolti, fra i tanti: se sono due giovani belli ed eleganti, molto meglio. Per quanto più si può, puntualità nell'arrivo della sposa e della famiglia: far aspettare, espone a grandi critiche. La sposa entra in chiesa, al braccio di suo padre, o del parente maschio più prossimo o, in mancanza di tutti, del più vecchio amico di casa: la precedono gli introduttori, per farle fare strada. Spesso un paggetto, un nepotino, sostiene lo strascico della sposa: esso deve essere sempre vestito di bianco, di raso bianco. Dopo la sposa, viene sua madre o la sua più prossima parente, al braccio dello sposo; e così ogni coppia, secondo la gerarchia, unendo le due famiglie. I testimoni e il compare seguono le due prime coppie, immediatamente; prendono posto, coi parenti stretti, sull'altare. Il rito nuziale l'ho spiegato, parlando dei doveri del compare. Possibilmente, domandare a Monsignore, un sermone non troppo lungo. Un po' di buona musica, se è possibile, non guasta: ma non oltre i tre pezzi. La sposa, dopo la cerimonia, dopo aver baciato i suoi parenti e stretto la mano ai testimoni e al compare, prende il braccio dello sposo per uscire, e mentre è venuta in carrozza col padre, se ne ritorna in carrozza con lo sposo, a casa. È a casa che gli invitati, arrivati anch'essi, le presentano, mano a mano, le loro felicitazioni. Ella deve avere smesso il velo bianco, ma conservato il vestito bianco, e i fiori d'arancio nei capelli.

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Pel luncheon, dopo le nozze religiose, molto spesso impossibile avere a disposizione, un così grande salone, per erigervi una sola, lunghissima mensa: e anche avendo questo salone, la grande mensa somiglia troppo a una table d'hôte e, viceversa, le piccole tavole di quattro, di sei, di otto persone, sono così graziose! A ogni modo, una più larga mensa vi deve essere, quella di onore: la sposa si siede al primo posto, avendo alla sua diritta lo sposo, alla sua sinistra il compare, o, se vi è il monsignore, il parroco che ha celebrato le nozze religiose; allora, il compare passa al posto seguente. Dirimpetto alla sposa, all'altro primo posto, vi è sua madre, se l' ha; la quale ha a destra il padre o il più prossimo parente dello sposo, e a sinistra un altro parente immediato dello sposo. Se la sposa ha solo il padre, è lui che le siede dirimpetto, dando la dritta alla madre dello sposo o alla sua più prossima parente, e la sinistra alla parente più immediata, dopo la prima. Così, via via, sono collocati parenti, testimoni, altre notabilità della festa, in questa tavola d'onore. Il menu di questa colazione può esser più o meno ricco: il più semplice è quello che ha una tazza di brodo, un pesce bollito, un pezzo di carne con legumi, un gelato e la torta di nozze, o, se lo capite meglio, il gâteau de mariage.. Ad arricchirlo, non ci vuole che del denaro, un buon cuoco e della immaginazione! Ogni invitato ha, davanti, il suo menu , in cartoncino apposito, con le iniziali degli sposi e la data del matrimonio: il menu , poichè la cucina è sempre di piatti francesi, è scritto in francese. Vi è chi offre alle signore invitate un mazzolino di fiori, facendolo trovare accanto al loro piatto. Bene inteso, che quando gli invitati sono molti, bisogna scrivere il loro nome sopra un cartoncino e deporlo sul loro posto, a tavola. I brindisi, i sonetti, le poesie di circostanza, non hanno un carattere chic: sono completamente passate di moda, in certi ambienti. Ma, se vi è un vecchio amico di famiglia, un sacerdote, un parente importante, che voglia fare un brindisi, leggere una poesia, bisogna fargli buon viso: deve rispondere il padre della sposa, o lo sposo stesso. Dopo il gelato, la sposa, al braccio dello sposo, distribuisce le fette della torta di nozze; dispensa, alle sue amiche ancora signorine, i fiori d'arancio della sua acconciatura: dispensa, a signore e a signorine, i sacchetti o le scatole dei confetti (confetti di mandorle, bianchi, alla vainiglia); dispensa agli uomini, prendendoli da un gran vassoio di argento, cucchiaiate di confetti. Questo vassoio deve essere nel salone, sovra una tavola. Per i sacchetti o le scatole di confetti, vi è molta varietà di moda; più elegante e pratico, è il fazzoletto di seta bianco, legato con un nastro, pieno di confetti; esso è utile, alle signore che lo hanno in dono. Come scatola, di grande chic, un cofanetto di argento: serve, dopo, come portagioielli, e come bel ninnolo da salotto. La sposa, quindi, va a vestirsi per il viaggio di nozze.

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Ho espresso già le mie idee contro ciò che vi è di brutto, di sgraziato e di poco poetico, nel viaggio di nozze: e ho sostenuto l'idea alquanto solinga, di andare a passar quindici giorni, un mese, in un sol paese, lontano o vicino, in una sola villa, per fissare questi dolci ricordi della vita. Una elegante minoranza che ha anche della poesia, nello spirito, presceglie sempre questa dimora, in un sol paese, in una sola villa, dove possa filare l'amore più soave, senza disturbo. Una grossa maggioranza preferisce ancora il viaggio di nozze circolare, diciamo così, correndo di paese in paese, di albergo in albergo, senza veder niente, senza capir niente e non rammentandosi, dopo, se non di un grande disagio e di una grande stanchezza. Non importa! Anzi tutto, per un buon viaggio di nozze, bisogna completamente escludere l'estate, anzi i quattro mesi caldi, da tutto giugno a tutto settembre: in questi mesi, proprio si viaggia per giungere in un sol punto, niente altro. Restano otto mesi dell'anno, dall'autunno alla primavera: solo i matrimoni, fatti in questi tempi, sono ammissibili col viaggio di nozze. Bisogna che lo sposo si provveda, diciamo così, di una buona somma di danaro: giacchè, a viaggiare in due, profondamente distratti dall'amore o dal desiderio di sorprendere la propria compagna, si spende molto. Si debbono scegliere dei buonissimi alberghi e dei buoni restaurant,: si deve andare in carrozza, per il giro della città, andare ai teatri, e tutto questo, dovendo fare la figura di signori, costa e costa. Agli alberghi molto meglio di telegrafare un giorno prima, massime se in novembre, assolutamente da febbraio a maggio, epoca in cui sono pieni di viaggiatori. Da novembre a maggio, anche, per avere lo sleeping car, bisogna avvertire con telegramma; da febbraio a maggio, su quasi tutte le linee, ciò si deve fissare tre o quattro giorni prima. Se poi viene in mente allo sposo di fare dei doni alla sposa durante il viaggio, e se la sposa vuole riportare dei doni a parenti e ad amici, dal suo viaggio, allora ci vuole un'altra grossa somma: per Io più, alla fine del viaggio, la coppia è di malumore, perchè non ha denaro. Naturalmente, gli sposi eviteranno qualunque compagnia: non faranno, nella città che visitano, se non qualche visita importante, di rigore, a persone che conoscono. Con tutto questo, la sposa deve portar seco, tutti o quasi tutti i suoi vestiti eleganti. Non è vero, che in viaggio, ci si vesta semplicemente! Per ferrovia, sì; ma quando ci si ferma, bisogna mettersi sempre in molta toilette. Se lo sposo incontra un amico, una conoscenza, anche un indifferente, bisogna che lo presenti subito alla sposa, perchè costui non creda che egli sia in avventura amorosa illegale; dopo, cortesemente, può licenziarsi da costui e restar libero con la sua compagna. Gli sposi sono tenuti a far sapere loro notizie alle famiglie: ma se si amano molto, se sono felicissimi, si perdona loro, se mandano soltanto dei dispacci. Un viaggio di nozze per persone occupate - voglio dire lo sposo - non può durare più di un mese. Per chi è ricco, e disoccupato, ha il gusto dei viaggi belli, può durare anche sei mesi. Anzi, allora il viaggio diventa chic, quando dura sei mesi.

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La partecipazione classica, quella sempre alla moda, è fatta dai parenti della sposa e dai parenti dello sposo, sulle due facciate del duplice cartoncino: vale a dire che genitori, o zii, o fratelli maggiori, o tutori, o qualunque parente faccia le veci dei genitori morti, dichiarano le nozze della fanciulla parente, col giovanotto, del giovanotto parente con la fanciulla. Le partecipazioni, fatte solamente dagli sposi, sono più indipendenti, più audaci: ma mancano di spirito di famiglia e, sovra tutto, fanno supporre che il matrimonio sia stato fatto contro la volontà dei parenti. Le partecipazioni di nozze debbono essere distribuite larghissimamente: si mandano a tutti, parenti, amici, conoscenze, relazioni all'estero, gente che non si vede da anni ed anni, a tutti infine, perchè questo cambiamento di stato, è il più importante di ogni altro, nella vita di un giovane e di una signorina. Le partecipazioni si mandano persino, a chi ha assistito alle nozze, da invitato. Coloro che le ricevono debbono subito mandare delle carte da visita, due alla persona partecipante che più conoscono, della famiglia dello sposo, o della famiglia della sposa: due altre carte da visita, con la parola felicitazioni, agli sposi stessi: e poi basta. Se non si conoscono bene, per esempio, i partecipanti di una famiglia, è superfluo inviar loro delle carte. Una cosa da notare, importantissima, è che la partecipazione, inviata, non è fatta per provocare delle visite, massime quando arriva a conoscenze di saluto, a relazioni del tutto fredde: bastano le carte da visita, per liquidare il proprio dovere di cortesia. Se gli sposi dovessero ricevere la visita di tutti coloro, cui furono partecipate le loro nozze, starebbero freschi! Le carte da visita si possono mandare per posta: se si è nel medesimo paese, è atto più gentile lasciarle a mano, al portiere, tanto a casa degli sposi, quanto a casa dei parenti partecipanti, che più si conoscono. Nulla è più goffo, sotto le partecipazioni personali degli sposi, di quella piccola linea che dice: in casa, il martedì. Ciò vuol dire che si vuol ricevere il mondo intero! Sotto le partecipazioni, ci vuole solo il duplice indirizzo dei parenti, per l'invio delle carte da visita: spesso, non si mette se non la sola città: spesso si mette, in mezzo, il solo indirizzo degli sposi. Coloro, che sono amici e parenti, relazioni strette, anche se dopo debbano mettersi in visita con gli sposi, le carte da visita sempre debbono inviarle o portarle: al ritorno dal viaggio di nozze, gli sposi si compiaceranno di raccogliere queste carte da visita, di leggerne i nomi, di ricordarsi degli amici, di rientrare nella vita.

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Prima di presentare un signore a una signora - giacchè mai, mai, si presenta una signora a un signore - o in casa di lei, o nel suo palco, o in un salone da festa, o in un pubblico ritrovo, bisogna assolutamente chiedere il permesso. Nulla è più sconveniente di una presentazione improvvisa, inaspettata, che la signora non desidera, che, forse, l'annoia, per sue ragioni: il presentatore, in questi casi, merita qualunque sgarbo, dalla signora. Se vi è il permesso, la presentazione si fa, nominando solo il nome del presentato, mai quello della signora, giacchè presentato e presentatore, lo conoscono bene. Il gentiluomo presentato s'inchina rispettosamente, non dice neppure una parola, e aspetta che la signora gli parli; costei, immediatamente, saluta con un cenno del capo, fa un lieve sorriso e mette il discorso su qualche cosa. Quella tale frase: piacere.... onore.... massime quando un uomo è presentato a una signora, è assolutamente goffa, è disusata. Fra uomini, si adopera ancora: ma è sempre una goffaggine. La signora limita la conversazione; quando ne ha abbastanza, saluta, l'uomo s'inchina ed ella passa avanti. Il giorno seguente, o, al più, dopo due o tre giorni, bisogna portarle due carte, piegate per metà, portarle personalmente e lasciarle al portinaio. Non si va a fare una visita, in casa, se non si invitati. Per Io più, scorretto farsi presentare a signorine, senza conoscere i genitori, o i parenti; ma, in un ritrovo, in un ballo, può accadere. Senza por tempo in mezzo, bisogna, immediatamente, farsi presentare dallo stesso amico, dalla padrona di casa, ai genitori o ai parenti della signorina: mai è permesso ballare con lei, senza essere stato presentato ai suoi. Alle signorine non si lasciano carte: ma ai loro genitori o parenti sì, come al solito. Mai presentarsi in casa, senza esservi chiamato. Appena si è conosciuta una signora, per correttezza, bisogna cercare di conoscerne il marito: egli non deve trovare le carte di un ignoto, dal portiere, nè deve ricambiare le sue carte ad un ignoto. Se la signora vedova, non restituisce carte al presentato: per le maritate, sempre il marito le deve ricambiare, negli otto giorni. I genitori di una signorina, o i suoi parenti, a colui che fu loro presentato e che ha portato le carte, debbono restituirle, anche negli otto giorni. Ho io detto, che non si dà mai la mano, nè prima, nè dopo, nelle presentazioni? Un gentiluomo non dà mai la mano a una signora, se non dopo averla vista otto o dieci volte: con le signorine, poi, questo termine è anche più lungo. Il parlare in terza persona, è del più assoluto rigore. Chi dà del voi, per la prima volta, a una signora o a una signorina, fa la figura di un ignorante e di un malcreato.

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Quella istituzione mondana, irta di difetti e piena di virtù che era, che è il giorno di ricevimento, istituzione che aveva, oramai, tale ampia base, da estendersi dalle più alte cime della società sino alle radici più umili, questo giorno di ricevimento, che infieriva largamente, oramai, anche in provincia, comincia a pesare come un giogo, sulla esistenza delle nostre signore. Varie di esse, se non molte, ancora, a Londra, a Parigi, donde ci venne questa moda del giorno fisso, sono seccate dei suoi gravi svantaggi e non ne vedono più, accecate dal desiderio della novità e dal desiderio di una libertà relativa, i serii vantaggi: e hanno trovato una novella forma di ricevere. Esse dicono, e hanno ragione, che il giorno implica una schiavitù e una fatica intollerabile: che, a quel modo, si ha ogni mercoledì, ogni sabato, ogni giorno che Dio manda in terra, una folla di gente nel proprio salone, e che si finisce per non vedere i propri amici e per non parlare con le proprie amiche. Difatti, quando si ha un largo giro di conoscenze, da novembre a maggio, quanti mercoledì di un'amica si possono seguire, se non due o tre, in tutto? Difatti, calcolati i viaggi, le assenze, le emicranie, le grandi feste, le grandi circostanze, i giorni diventano un ritrovo vano e vuoto, di persone indifferenti, non è vero? Ma ci sono gli altri giorni della settimana, per vedere coloro che sono simpatici, che sono piacevoli, che sono graditi, che sono amati! Ebbene, restiamo ogni giorno, - dicono varie signore, di Londra, di Parigi - restiamo, ogni giorno, un'ora, due ore, a casa, per tutti coloro che ci vengono a visitare. E la novella usanza, piena di lusinghe, ma piena anche di tranelli, viene già adottata, con maggior numero di adesioni femminili: e queste signore sono assolutamente contente di aver superato gl'incovenienti e le fatiche del giorno, e par loro di aver risoluto il problema di ricevere qualcuno, a casa. Due ore, o dalle due alle quattro o dalle sei alle otto, prima di uscire per la spesa, per le commissioni, per la sarta, per la modista, per gli altri giorni, di coloro che tengono ancora al giorno, clue ore, forse, dopo la colazione, non bastano, dicono queste care signore? Due ore, dalle sei alle otto, dopo aver esaurite tutte le noie, tutti i doveri, tutti i piaceri, non bastano forse a raccogliere gli amici errabondi, che vanno di giorno in giorno, non bastano a soddisfare il desiderio che può avere un'amica, desiderio improvviso, di dirvi qualche cosa, di comunicarvi una grande notizia o un piccolo pettegolezzo? Due ore, o in pieno sole o in pieno crepuscolo, nell'ora vibrante dalle due alle quattro o nell'ora snervante dalle sei alle otto, sono una bella trovata per far valere un salotto, il viso di una signora, un elegante tea - gown, una conversazione spiritosa o spirituale. Sono una bella trovata? Noi lo vedremo, lo discuteremo, lo decideremo.

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Se siete un amico, bisogna che, idem, sbrighiate in fretta il vostro lavoro, il vostro piacere, il vostro dovere, di uomo affaccendatissimo, per poter giungere in tempo: e lusingandovi di poter esser solo, capitate, invece, sovra tre seccatori, a cui è impossibile chiuder la porta, con cui bisogna per forza parlare, mentre, nel giorno di grande ricevimento, si possono disperdere nel salone. La signora è nervosa: giusto, in quel giorno, deve andare alle tre dal sarto, dalla modista, dallo antiquario, al Sacro Cuore. La visita è stentata e noiosa, per tutti. E, a farlo apposta, fra le due e le tre, ogni settimana, capitano convegni, inaugurazioni, conferenze, concerti: la signora rinunzia, sospirando, per due o tre settimane: poi scappa una giornata, dicendo fra sè che, forse, in quel giorno, non verrà nessuno: e, al ritorno, si stringe nelle spalle, quando trova due o tre carte da visita: si tratta di gente a cui tiene poco. In conclusione, una delle cose più semplici e più naturali, è di non trovare in casa la signora, che riceve dalle due alle tre! Qualche altra ha scelto di stare in casa dalle sei alle sette, prima del pranzo. Benissimo! Ci andate alle sei in punto: la signora non è rientrata ancora: poichè siete amico vi fanno salire, sedere in salotto. Prendete un libro, leggete, sono le sei e trenta, Ella rientra affannata, dolente di avervi fatto aspettare: va a togliersi il cappello, i guanti, la giacchetta di pelliccia. Sono le sette meno venti. Alle sette è annunziato il suo parucchiere, o l'arrivo del suo vestito, pel ballo della sera. Ella è gentile, vorrebbe trattenervi, domina la sua leggera impazienza, ma voi ve ne andate, mal contento, seccato. Ancora un caso. Andate da lei, la signora non è rientrata: siete un'amica, entrate nel suo boudoir, rosicchiate un dolce, il cameriere serve il the: la signora non rientra ancora. Voi vorreste andar via per non mancare al vostro pranzo, ai vostri impicci di casa, al teatro che vi attende; ma dovete dire qualche cosa di urgentissimo alla signora, per l'indomani mattina. Alle sette meno cinque, la signora ha telefonato, mettiamo, dal Grand Hôtel o ha fatto telefonare che non torna a pranzo, andando da un'amica, che ha incontrata alla passeggiata! Voi scrivete il biglietto, pensando che valeva far meglio così, dal principio. Stare in casa dalle sei alle sette? Ma quando il tempo bello, si sta così bene fuori casa, massime in primavera: significa non vedere più il tramonto. E quando il tempo è cattivo, il tempo è orribile, viceversa, è molto grazioso restare in casa, a quell'ora, ma, viceversa, nessuno vi viene a trovare!

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Nelle regioni settentrionali, e specialmente nei due grandi, civili, mondani centri di Torino e Milano, dove più si sente la influenza dei sontuosi costumi ospitali francesi, ogni specie di pranzo, da quello di alta etichetta a quello intimo, è assolutamente alla moda; chiunque abbia vissuto un poco o molto, a Torino, a Milano, sa bene con quanta larghezza nell'alta società, nella grande borghesia, si pratichi questa forma di convivenza sociale. Come si scende verso l'Italia centrale, e, sovra tutto, come si giunge nella gran regione meridionale, questo uso così bello e simpatico si viene dileguando, sparisce. Fra noi, a Napoli, non esiste, quasi. Un tempo, nella grande vita mondana napoletana, quando venti case aristocratiche ricevevano, allora, sì, vi era questo costume gentile: ma non oltrepassava i limiti della classe patrizia. Poi, a mano a mano, per tante ragioni, più o meno malinconiche, per morti, per partenze, per viaggi, queste case si sono chiuse e di famosi, nell'alta società, non restarono, per un certo tempo, se non i pranzi di un vero gran signore, che era il duca di Castronovo, pranzi perfetti per la loro sontuosità e la loro squisitezza: con la morte del duca, la tradizione finì. Qua e là, dove la dama padrona di casa conserva i leggriadri costumi della ospitalità francese, che imparò per la educazione, a Parigi, per la dimora colà, vi sono dei pranzi eleganti: ma fuori quella stretta cerchia, niente! Gente che ha una bella casa, molti denari, buona servitù, argenterie, porcellane, cristallerie, non pensa mai ad invitare un amico, un'amica a pranzo: - gente, che non ha nulla da fare, che si annoia, che cerca compagnia, non pensa a questa forma così attraente di riunione: niente! Da che dipende? Dalla pigrizia delle signore? Dalla organizzazione, un po' difficile, di quanto ci vuole per dare un buon pranzo? Da uno spirito di grettezza? Da quell'inclinazione che hanno molti ricchi, fra noi, a concentrare tutto il loro lusso solo nei cavalli, gli uomini, solo nelle toilettes, le signore? Chi lo sa! Negli ultimi tempi, qualche passo è stato dato, anche nei paesi meridionali: negli ultimi tempi qualche pranzo è stato dato, si dà, in qualche grande albergo, per non avere fastidi in casa. Speriamo bene.

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Adesso, appena un giovanotto è fidanzato ufficiale di una signorina, è ammesso in casa ogni giorno, e per varie ore al giorno: accompagna la signorina in teatro, alla passeggiata, a messa, nelle visite: va nei medesimi palchi, nella medesima carrozza, siede accanto a lei, nelle visite, nelle feste: infine, diventa la sua ombra. Sembra quasi che i genitori o i parenti della ragazza, temano così fortemente di non maritare la loro signorina, che, acchiappato un fidanzato, non vogliano più lasciarlo sfuggire! Quanti mali produca questa soverchia intimità, questa soverchia familiarità, lo sa Iddio! Anzitutto, per molte ore del giorno, una madre, un padre, un parente, non possono continuare a far la guardia ai fidanzati: ed eccoli soli, questi due. Soli! E se il fidanzato, è un mezzo galantuomo, invece di un galantuomo? Se non punto galantuomo? Se il matrimonio va a monte? Ne vanno tanti, a monte! Bella figura, per una signorina che si è portata dietro il fidanzato, dapertutto, e che, a un tratto, deve apparire senza costui, abbastanza compromessa, in fondo, da tutta quella troppo prolungata ed esagerata convivenza! E se anche il matrimonio si fa, non è desiderabile che tutta la poesia della intimità, della convivenza, delle uscite insieme, di tutta la vita comune, venga dopo, e non prima? Non desiderabile che tutte queste piccole gioie - poesia del matrimonio - dello andare dapertutto insieme, dello stare insieme lunghe ore, del comunicarsi ogni impressione, vengano dopo, dopo le nozze, e non prima? Il riserbo, la correttezza, una certa fierezza, l'amore represso dalla educazione, la passione dominata dal rispetto a sè stessa, non sono, forse, le qualità più belle di una fidanzata e di una futura moglie? Non è una migliore speculazione - chiamiamola così - far molto desiderare la presenza di una fidanzata, e tutte le piccole grazie dell'amore, e tutto ciò che è l' incanto tenero dell'amore, anzi che sciuparlo, ogni giorno, prima delle nozze? Non è meglio.... ma questa è una predica che seccherà moltissimo i fidanzati, abituati, oramai, a spadroneggiare in casa della fidanzata. O genitori, pensateci e pensateci voi, ragazze, perchè io ho ragione!

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L'invito si fa su un cartoncino elegante, elegantissimamente stampato, coi nomi del padrone e della padrona di casa - sempre prima, il nome del padrone - e con uno spazio bianco per iscriverci, a mano, il nome dell'invitato. (Inutile indicare la toilette: solo un cafone non sa come vestirsi,a un grande pranzo: solo un cafone può andarci in abito montante). Sotto, si fanno stampare le lettere: r. s. v. p. Ciò significa: réponse s'il vous plaît. Poichè i posti sono stabiliti, ai grandi pranzi, l'invitato che non vi può intervenire, lo deve far sapere. E si fa sapere, al più presto, perchè i padroni di casa debbono poter variare, a tempo, i loro inviti. Nei grandi pranzi, la signora che invita deve essere pronta, e in salone, almeno una mezz'ora prima: inutile soggiungere che ella indossa il suo vestito più elegante da pranzo, con quel décolleté speciale, che serve per tali riunioni, e con molti gioielli. Il marito, o chiunque fa gli onori di casa con lei, anche deve essere in salone, mezz'ora prima dell'ora stabilita. L'invitato che arrivasse proprio mezz'ora prima, fa una figura goffa: bisogna giungere da dieci a quindici minuti più presto, il tempo di lasciar la pelliccia, di scambiare una riverenza, quattro parole, in piedi, niente altro. E non si arriva mai tardi, ai grandi pranzi. Meglio non andarci, se si è fatto tardi, e mandare un telegramma straziante ai padroni di casa. Certo, se l' invito è alle otto, qualche minuto dopo le otto, mentre le coppie si formano, si perde: ma qualche minuto. Per lo più, la padrona di casa presenta a ogni signora, colui che la condurrà a tavola, dandole il braccio: a un certo punto, il marito dà il braccio alla dama più autorevole, la marcia comincia, senza fretta, una coppia distante dall'altra e la padrona di casa, alla fine, con il cavaliere più degno. A tavola, la padrona di casa ha, a diritta e a sinistra, e così via via, i personaggi più importanti: il padrone di casa, le due signore più importanti dell'invito e così via via. Questo assegnamento di posti implica una grande finezza: è così facile non misurar bene l' importanza di una signora, di un individuo! I nomi sono scritti sovra un cartoncino, posato sul tovagliolo. Ogni posto, oltre la batteria di argenteria, di cristalleria, di piccoli oggetti d'argento di moda inglese, ha un piccolo cavalletto d'argento dove è posato un menu elegantissimo, scritto a mano o acquarellato. Le signore non tolgono, in generale, i lunghi guanti scamosciati: li sbottonano e ne rovesciano la parte che covre la mano, sul polso; il braccio resta coperto. Inutile dire che questi grandi pranzi, appunto per la loro etichetta, la sontuosità dell'apparecchio, dei fiori, sono un po' freddi: la conversazione vi è languida. La padrona di casa dà il segno della fine, alzandosi, ma aspetta che tutti e tutte siano alzati, per riprendere il braccio del suo cavaliere e aprire la marcia verso il salone. Beninteso, che non vi si fuma. Chi fuma, va al fumoir; alcuni, non fumatori, restano a conversare con le signore.

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Gli inviti a questi pranzi si mandano sempre otto giorni prima, specialmente se si è in una stagione in cui vi sono molte riunioni mondane, circoli, ricevimenti, balli: chi ha molti inviti, deve potersi decidere a tempo, e chi molto invita, deve sapere chi interverrà al suo pranzo. Però, non vi è bisogno del cartoncino stampato, per questi inviti; bastano due parole gentili, scritte dalla padrona di casa, poichè è sempre lei, che invita, a nome di suo marito. Bisogna rispondere subito, se si accetta o no. Nei pranzi di mezza cerimonia, la sontuosità è minore, ma la raffinatezza è maggiore, si deve vedere che la signora si è occupata di persona del menu , delle primizie, come legumi, frutta, caccia, che si è occupata dei fiori, dell'addobbo della tavola. Ella è sempre in abito scollacciato, ma meno che nei pranzi di cerimonia: la scollacciatura è a scialle, a quadrato: lo strascico è meno lungo: i gioielli sono elegantissimi, ma non ricchissimi. Il padrone di casa è sempre in marsina, ma non in cravatta bianca: appena spunta maggio, può indossare lo smoking e il panciotto bianco: così, i suoi invitati porteranno la marsina e la cravatta nera, e nella crescente primavera lo smoking e il panciotto bianco. Nei pranzi di mezza cerimonia, si è meno rigorosi sull'ora dell'arrivo: vi è il così detto quarto d'ora di rispetto, il quale, talvolta, si prolunga sino a trenta minuti. La padrona di casa, quindi, in quell'intervallo, fa sedere i primi arrivati, apre delle conversazioni, cerca di avere molta vivacità, per calmare le impazienze di quelli che hanno fame e non vogliono dimostrarlo. Il cerimoniale per recarsi nella sala da pranzo, è sempre il medesimo: chi si avvia primo, è il padrone di casa con la signora più importante, e la padrona di casa chiude la marcia. Il pranzo di mezza cerimonia è più breve ed è più divertente. Vi si può fare una conversazione generale più briosa, mostrare il proprio spirito, intavolare una discussione viva, ma amabile: ciò è richiesto, anzi, e gli uomini e le donne di spirito sono invitati a questi pranzi, appositamente. Curare che il servizio sia rapido: che regni più gaiezza che imponenza: mettere accanto le persone che si simpatizzano, ma non le coppie d'innamorati, che sono odiosi, in società, perchè s'isolano dalla conversazione, per tubare o per litigare. Badare molto alla bontà e alla generosità dei vini: nei pranzi sontuosi, la sostanza è molto trascurata. Finito il pranzo, si passa in salone, col medesimo ordine: ma, anche Iì, vi è più familiarità, arriva qualche amico, qualche amica - le «pastiglie di Vichy» dei pranzi, perchè aiutano la digestione - si ride modestamente, si fa persino della musica, si furia un poco e, persino, si passa una buona serata. Il che non accade mai nei pranzi sontuosi.

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Fra gente per bene, dunque, corretta e anche cordiale, il fidanzato non ispadroneggia, in casa, ma i rapporti si regolano di accordo, con la famiglia, in modo da non creare troppa familiarità, pur contentando gli innamorati, Da due a tre visite per settimana, di sera, per lo più, vale a dire quando ambedue i genitori, se la signorina li ha, si suppone che siano in casa: alla domenica, all'ora della messa, il fidanzato può recarsi nella medesima chiesa, a udire la messa, beninteso, mettendosi a una certa distanza dalla fidanzata, e andandole incontro, quando esce dalla messa, permettendosi di accompagnarla nella via, solo quando ne sia invitato dalla madre o dal padre, camminando sempre accanto alla madre, a cui darà la destra, non avanzandosi mai, innanzi, solo, con la fidanzata. In quanto al teatro, il fidanzato può andar nello stesso teatro, dove va la fidanzata, ma non nel medesimo palco, dal principio dello spettacolo, sino alla fine: può e deve recarvisi, in visita, fra un atto e l'altro, al più trattenendovisi per un atto intero: dopo, ritorna alla sua poltrona, a udire il resto dello spettacolo. In quanto alle feste.... intendiamoci bene, una fidanzata, per quanto le sia possibile, deve astenersi dal partecipare a feste, a balli, a riunioni. Massime se il matrimonio non a lunga scadenza, per quanto meno va in giro, la fidanzata, tanto meglio è: quindi, poco o niente, come teatri, come feste, come balli, come altri svaghi. E così, anche il fidanzato si astiene dal frequentare simili ritrovi, non va troppo in caffè, non si fa vedere nei restaurant,s alla moda, insomma fa una vita raccolta, come la fa la sua fidanzata. Più si approssima il matrimonio, e più è permesso uscire insieme, per iscegliere le stoffe dei mobili, i mobili stessi, cercare casa, comperare i vestiti, ordinare i cappelli: ciò è permesso, ma con modestia e moderazione. Durante il fidanzamento, come l'affetto cresce, si viene al tu: ma in presenza di persone di riguardo, quando vi sono visite, meglio darsi del voi. Il fidanzato dà del voi ai futuri suoceri, alle future cognate e ai futuri cognati: il nome di parentela, suocera, padre, cognato, non si assume se non dopo il matrimonio. Negli onomastici della futura suocera, delle future cognate, il fidanzato manda dei fiori e qualche oggettino di gusto, ma non di gran valore: per il suocero o pei futuri cognati, non ve n'è bisogno, se no, il giro dei doni si allarga troppo. È inutile dire che il compleanno, l'onomastico della fidanzata, la Pasqua, il Natale, il ritorno di un viaggio, comportano sempre dei doni belli e ricchi - se vi sono denari - da parte del fidanzato: la fidanzata li ricambia, spendendo meno denaro, ma non molto meno. Per ogni evento, potendo sconchiudersi il matrimonio, meglio non abbondare in iscambio di lettere, di fotografie, di capelli, Non si sbaglia mai, essendo affettuosi, sì, ma riservati, in caso di fidanzamento.

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Piccola o grande che sia, essa costa più o meno denaro, ma ne costa sempre molto, troppo; essa costa molte cure, molte fatiche, molti fastidi e molte noie; essa vi può procurare molti invidiosi e molti nemici: e bisogna vedere bene, se valga la pena di affrontare tutto ciò, se la ragione di convenienza, di obbligo morale, di decoro, d'interesse, che v'induce a dare questa festa, piccola o grande, sia abbastanza possente, da compensare tutto questo. Io so di un principe, mio grande amico, uomo d'intelligenza, di spirito, pieno di chic, che dette una splendida e simpaticissima festa da ballo: cinque giorni dopo, uno dei suoi più importanti coloni, gli scrisse una lettera, dichiarandogli di non poter pagare l'affitto, e domandando una dilazione, tanto più - diceva il colono - che Vostra Eccellenza ha dato una ricca festa, e non ha bisogno di denaro!Or dunque, pensarci un poco. Un altro inconveniente delle grandi feste o piccole, è che esse vi espongono alle critiche più amare; più aspre, più crudeli dei vostri invitati. Per uno strano fenomeno psicologico, i vostri invitati, coloro che voi avete chiamati a divertirsi, in casa vostra, a cui avete offerto un appartamento sfarzosamente adorno di piante e di fiori, illuminato a meraviglia, una raccolta di persone elette, di belle donne, di gaie signorine, dei rinfreschi squisiti, una cena sontuosa, tutti costoro vi diventano acerrimi nemici. Tutto è pessimo, per essi, da voi; i fiori odorano troppo; le piante, ve le siete fatte prestare; i gelati puzzano di petrolio; la luce elettrica, è volgarissima; il the sa di paglia; la cena è meschina e scarsa; e le donne, poi, le donne, tutte brutte, tutte mal vestite, che orrore! Una sera, in un ballo, poco prima di andare a cena, io ho udito, inavvertita, due perfetti gentiluomini, correttissimi, sorridenti, profferire, a voce sommessa, tali infamie sul conto del padrone e della padrona di casa, da far arrossire qualunque ingenuo: e, dopo, avviarsi placidamente a mangiare la squisita cena. È scoraggiante! Ma, naturalmente, vi è chi, per onorare il proprio nome e il proprio censo, per celebrare un anniversario, un compleanno, un onomastico, una promessa di nozze, deve dare una festa; vi è chi ama tanto poco sè stesso e tanto il proprio prossimo, da voler, assolutamente, esercitare la ospitalità; vi è chi, infine, ha bisogno, per suoi interessi, per suoi fini, di farsi vedere ricco e ospitale.

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I padroni di casa, che dànno una festa da ballo, debbono essere pronti a ricevere, cioè in grande toilette, almeno tre quarti d'ora prima del loro invito: non si sa mai, vi sono sempre degli invitati che vengono prestissimo! Poi, sempre necessario dare un ultimo sguardo alle sale, ai lumi, ai fiori, alla table à the, al buffet. Se non vi sono, fra gli invitati, o sovrani o principe del sangue, basta che i padroni di casa stiano nella seconda anticamera, quella che viene subito dopo il guardaroba: colà essi aspettano i loro invitati per salutarli, per iscambiar con loro qualche frase, per accompagnarli sino alla porta del primo salone, non più oltre, ritornando a mettersi al proprio posto, nella seconda anticamera, subito. Se vi sono sovrani o principi del sangue, il padrone di casa, il solo padrone di casa, con la sua ambasciata, se è un ambasciatore, con la sua famiglia maschile, se è un semplice privato, principe o duca che sia, attende i sovrani o i principi del sangue, ai piedi dello scalone: vale a dire che ha conbinato un sistema di avvisi e di staffette, per cui scende ai piedi delle scale, giusto cinque minuti prima che arrivino i sovrani o i principi del sangue. La padrona di casa aspetta nell'anticamera. Ricordarsi che ovunque entrano i sovrani o i principi del sangue, diventano essi, immediatamente, i padroni di casa, e costoro i loro invitati, tenendo il secondo posto dappertutto, nei saloni, nella quadriglia di onore, alla cena, dovunque. Nei balli, ove non sono sovrani o principi del sangue, i padroni di casa restano nella seconda anticamera almeno dalle dieci alle dodici: coloro che arrivano dopo mezzanotte, non meritano di essere attesi particolarmente. In un ballo grande, i padroni di casa, dopo la mezzanotte, specialmente, non finiscono di occuparsi dei loro invitati: debbono restare in piedi, nei saloni, passare di gruppo in gruppo, dire una parola alle persone solitarie, fare delle presentazioni richieste, invitare qualche persona più autorevole a passare alla table à the: talvolta, per atto di familiare cortesia, prendere un sorbetto dal vassoio che il cameriere porta in giro e darlo a un'amica, a un amico. Tutto questo, senza aver l'aria di pesare sui proprii invitati, non disturbandoli quando si vedono bene occupati, a chiacchierare gaiamente, a flirtare, a ballare, a cenare: farsi dimenticare, infine. Ricordarsi, i padroni di casa, in una grande festa, che l'arte sublime della ospitalità, deve essere esercitata con un tatto sublime: e che la propria personalità non esiste, dalle nove della sera alle sei del mattino. I padroni di casa, che non si sentissero le gambe infrante, la testa piena di ronzii e pesante, che avessero bene cenato, che si fossero divertiti, insomma, alla propria festa, sarebbero degni, l'indomani, del pubblico disprezzo.

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Perchè esso sia completo, lauto, sontuoso, deve constare di tre parti: di rinfreschi, cioè gelati e gramolate, che si servono in giro, dai camerieri, e che, in un ballo, debbono apparire da due a tre volte; di una table à the, aperta dal principio del ballo: di una cena, che si apre solo verso l'una del mattino. La table à the, non renforcée, poichè è inutile di rinforzarla, quando vi è la cena, è composta di caffè, caffè e latte, the e cognac, limonata in bottiglia, aranciata in bottiglia, paste, petit four, pastarelle, bonbons, fondants, marrons glacés, vini da dessert come Marsala, Moscato, Lunel, Frontignano, qualche buono e vero vino di Spagna, preferibilmente lo Xères de la Frontera, qualche buon liquore; tutto questo dato con larghezza, con profusione, specialmente a coloro che non ballano e che sono, naturalmente, i devastatori più accaniti delle tables à the; e che quanto è paste, dolci, babas, gâteaux, pastarelle sia scelto dal padron di casa stesso, da un pasticciere di prim'ordine, perchè la golosità e la raffinatezza nulla trovino a ridire, su questa table à the. La sala della cena si apre all'una; e la grande sontuosità ammette servizio per piccole tavole di quattro, di sei, di otto persone, in cui si può spiegare un lusso altissimo, cominciando dall'argenteria, dai cristalli, dai fiori, terminando alla folla di camerieri e servitori, che fanno il servizio. Costoro debbono essere silenziosi, austeri, rapidissimi, cortesissimi e capacissimi: da loro dipende, in gran parte, il successo di una cena, la cui minuta,naturalmente, deve essere quella di un gran pranzo, freddo: dall'antipasto squisito, passando alla tazza di consommé, al pesce di taglio, con una salsa originale ed eccellente, al filet guarnito, alla mousse de foie gras, al faisan et perdrix in bellevue, alla salade russe, a un altro servizio completo di dessert, cioè gelato, pasticceria, frutta, bonbon. Per lo più, tre tipi di vino: uno bianco dall'antipasto al pesce, uno rosso sino all'arrosto, uno da dessert e, infine, come quarto, lo champagne cup, cioè mescolato con aranciata, con maraschino e via via. Ciò costa enormemente: ma chi dà una grande festa da ballo, lo sa bene, quello che deve spendere! Per una festa da ballo di minore importanza, la cena non è necessaria: ma, oltre i rinfreschi, allora, si deve rinforzare la table à the, con sandwiches, svariati, da quello di salmone a quello di caviale, da quello di foie gras a quella di caccia, con pasticcini alla montglas e pasticcini di maionese di pesce, con altri rinforzi simili. La cosa costa anche molto, ma si può limitare la spesa. E, infine, in una piccola festa da ballo, si possono dare solo rinfreschi in giro, e avere un piccolo buffet col caffè,, con qualche vino, con qualche dolce. È il trattamento più modesto che si possa offrire.

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