Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Come devo comportarmi. Le buone usanze

185340
Lydia (Diana di Santafiora) 50 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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I professori, i maestri, le maestre che si recano a impartire le loro lezioni nelle famiglie, non sono dei servitori; anche l'umile maestrina, che viene in casa vostra a insegnare a leggere e scrivere ai vostri bambini, ha diritto a tutto il vostro rispetto, e deve esser considerata come una persona di condizione uguale a voi, se non superiore. In certe famiglie di poca educazione, specialmente in quelle arricchite improvvisamente, i maestri sono considerati col disprezzo o con l'indifferenza che si suol mostrare alle persone salariate: nessuno si occupa di loro quando vengono o quando se ne vanno, nessuno si crede in obbligo di far loro una gentilezza; e i ragazzi, che vedono e osservano tutto, approfittano della situazione per mostrarsi con essi sguaiati o ignoranti. Il primo obbligo degli scolari verso il loro maestro, è il rispetto. Il maestro ha diritto al rispetto per la sua età, per la sua superiorità intellettuale, per il suo valore, per l'autorità della funzione che esercita. Il primo modo di mostrare rispetto ai professori o maestri è l'essere esatti e attenti. Il bambino, il giovinetto, la signorina devono esser sempre pronti prima dell'arrivo del maestro, e non si debbono mai far aspettare: il tempo è denaro; e quel che si dà al maestro è appena sufficiente a pagare la sua ora di lezione. Se per caso l'allievo si fa aspettare qualche istante, è suo dovere chiedere scusa. Lo scolaro ha il dovere di ascoltare con attenzione le parole del maestro; durante la lezione, non deve nè gingillarsi nè distrarsi. Ogni distrazione è, in fondo, una mancanza di riguardo, che il maestro ha tutto il diritto di considerare come un'offesa personale. Una madre diligente avvezzerà il suo bambino a presentarsi davanti al suo maestro vestito pulitamente e ben ravviato, com'ella vorrebbe che si presentasse in salotto davanti alle sue amiche; ad offrirgli la sedia o la poltrona, a sbarazzarlo del cappello o dell'ombrello, insomma ad aver per lui tutte quelle cortesie che sono dovute a una persona che si rispetta. Se, per una ragione qualunque, anche di malattia, lo scolaro non potesse prender lezione, è assoluto dovere dei genitori di avvertire in precedenza il maestro; permettere che questi vada inutilmente a casa dell'allievo, per sentirsi dire sulla porta che può tornarsene indietro, è, più che una scortesia, una vera villania, anche se l'onorario è mensile e corre lo stesso. Se si tratta di un impedimento improvviso e non ci sia stato modo nè tempo di avvisare, sono dovute al maestro le più ampie scuse e, se l'onorario si computa a lezioni, il pagamento della lezione non data. Poichè il professore non è un salariato qualunque, ci si guardi bene dal credere che, soddisfatti verso di lui i nostri doveri pecuniari, ogni obbligo cessi: opinione che, purtroppo, è assai comune. No; i genitori dell'allievo devono aver per lui deferenza e riconoscenza, poichè egli, in un certo modo, fa, in una parte importantissima dell'educazione, qual'è l'istruzione, le loro veci. Si cerchi dunque di testimoniargli stima e cordialità, in ogni occasione: per esempio, se si invita a pranzo con altri amici di casa, si ha l'obbligo di trattarlo alla pari con gli altri, fors'anche con maggior distinzione, e di esigere che i figliuoli abbiano per lui riguardi speciali. Se si hanno in casa istitutori o istitutrici, si deve trattarli come persone di famiglia, con perfetta cortesia e con deferenza, specialmente dinanzi ai loro allievi. Se si ha ragione di far loro qualche osservazione o rimprovero, si faccia sempre a quattr'occhi, in modo che i figliuoli non ne sappiano nulla. Ogni rimprovero palese diminuirebbe quel prestigio che è loro tanto necessario per compiere con profitto la loro missione. Si abbia anche cura che i domestici trattino i maestri, gl'istitutori e le istitutrici con gran rispetto; non di rado essi, nella lore ignoranza, li considerano appena appena d'un gradino superiori a sè stessi. Si sia esatti nel pagamento degli onorari. Il maestro non è ricco, anzi, molto spesso, è povero: e pochi sanno di quanto danno, di quante preoccupazioni gli sia causa un ritardo, anche di pochi giorni, nel pagamento di ciò che gli è dovuto e che egli, per delicatezza, non può sollecitare. L'onorario sia sempre offerto in una busta, dalla madre o dal padre dell'alunno, e mai alla presenza della servitù. Il maestro deve, da parte sua, mostrarsi di un'esattezza scrupolosa nell'adempimento del suo dovere; non lascerà mai una lezione, se non per malattia o per qualche grave motivo; e in tal caso dovrà sempre mandare un preavviso. Se non gli sia stato possibile, dovrà poi fare le più ampie scuse. Le sue lezioni non saranno mai abbreviate; piuttosto non esiterà, quando l'argomento lo richieda, a prolungarle di qualche minuto. Tratterà con signorile cortesia i genitori del suo scolaro, e quest'ultimo con bontà e benevolenza. Non alzerà mai la voce, non s'irriterà fuor di misura: se le cose non vanno, se lo scolaro non fa il suo dovere, ne avvertirà il padre o la madre, con serietà e con dignità. Nel trattare le modalità d'un corso di lezioni, affronterà anche la questione degli onorari, con serenità e con delicatezza, ma francamente. È, questa, una questione sempre poco gradita, e molti genitori e maestri non osano parlarne in un primo colloquio. In generale, si cominciano le lezioni alla cieca; e solo qualche tempo dopo, quasi sempre verso la fine del primo mese, il padre o la madre dell'alunno si fanno coraggio e azzardano la delicata domanda. E qualche volta si hanno delle dolorose sorprese: gli onorari variano da professore a professore; molte famiglie poi sono alle loro prime armi, e si son fatte un'idea molto diversa sulla spesa da sostenere: il professore fa la domanda, e i genitori non possono trattenere un oh! di sorpresa; e la situazione, già delicata di per sè, diviene scabrosa. Quanto è meglio definire la questione fin da principio, quando nulla è ancora fissato e si ha sempre il modo, se le condizioni dell'uno o dell'altro non convengano, di mandare a monte ogni cosa! Tocca ai genitori del futuro alunno a intavolar la questione; ma se questi non lo fanno, il professore non esiti a formulare, nel modo più gentile, le sue pretese.

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Ci son persone che provano un gran godimento a salutare e a esser salutate: salutano anche le persone che conoscono appena di vista, quelle incontrate per caso una volta sola in tram o in ferrovia, e con le quali hanno barattato dieci parole di complimento; incontrando poi persone a loro inferiori per condizione o per età, ne provocano il saluto in mille modi, atteggiando la persona e il viso a quell'attesa cortese e insieme impaziente che significa a chiare note: - Salutatemi! - Altri invece hanno un sacro orrore del saluto e fanno di tutto per evitarlo. Se vedono da lontano avvicinarsi un loro conoscente, spiegano tanto di giornale e fingono di leggerlo attentamente; oppure si soffermano davanti a una vetrina tutti intenti a guardare, che so io?, un paio di guanti o un bastone da passeggio; e non si muovono finchè quel tale non sia passato oltre. Conosco perfino di quelli che fanno un brusco voltafaccia e cambiano strada. Non c'è bisogno di dire che una persona normale non cerca nè fugge il saluto. Salutata, risponde cortesemente, o, se tocca a lei, saluta quando è necessario, con serena disinvoltura. Ma del saluto in genere abbiamo già dato le norme. Nella strada, si eviteranno quelle soverchie effusioni, che piacciono tanto a noi, popoli meridionali. Incontrando un amico che non si vede da gran tempo, sarà inutile dare in esclamazioni, alzar le braccia al cielo e poi buttargliele al collo, baciandolo su tutte e due le guance: tutte cose belle e buone, ma sconvenienti in un luogo dove tutti ci guardano. La maraviglia, la gioia si possono esprimere con più moderazione e non meno efficacemente. Si potranno fare delle eccezioni in casi veramente speciali; ma anche allora si farà bene ad evitare ogni pubblicità. C'è già occorso di parlare del contegno di una signorina che va fuori sola. Non si creda però che soltanto alle signorine sole sia imposto un contegno riservato e corretto: anche la donna in genere, anche l'uomo devono sottostare a certe regole d'educazione inderogabili. Così, avremo tutto il diritto di considerare come ineducato l'uomo che parla per la strada ad alta voce, che si abbandona a grandi gesti, che fa roteare il bastone o l'ombrello, che cammina in modo da dar noia ai passanti, che non cede il passo alle signore, che attacca briga per un nonnulla. Gli uomini che, appena passata una signora, si voltano indietro a guardarla con ostentata curiosità, sono degli impertinenti. Colui che, passando accanto a una bella signora, si permetta rivolgerle una parola d'ammirazione, anche innocente, è un mascalzone: se la signora fosse accompagnata dal marito o dal fratello, egli avrebbe probabilmente la lezione che si merita. Una persona bene educata, non scende mai in istrada se non vestita di tutto punto; nè deroga da questa abitudine neppure per impostare una lettera a cinque passi dall'uscio di casa. Non di rado, anche in quei brevi istanti, si possono fare incontri che ci inducono a pentirci amaramente della trascuraggine commessa. Chiunque cammina per la strada deve comportarsi, oltrechè con educazione, anche con prudenza: soprattutto deve evitare le osservazioni inutili, le critiche, i litigi. Non tutti i passanti sono persone educate, e spesso una parola tira l'altra e nascono delle scene spiacevoli. Questa norma di prudenza dev'essere specialmente osservata quando si sia in compagnia di signore, semprechè l'atto altrui non sia tale da meritare d'esser rilevato. Coloro che, per un malinteso senso di cavalleria, si credono in obbligo di difendere l'onore della loro dama attaccando lite in mezzo alla strada con un maleducato qualunque per una cosa da nulla, non mostrano nè tatto nè cervello. 5 E non è neppure una bella cosa vederli piantare in asso la signora affidata alle lore cure, per venire alle mani col primo che capita. Una cosa da nulla può diventare una cosa seria, e le signore in generale sone facili a impressionarsi e spaventarsi. Ognuno del resto capisce che questi sono consigli di prudenza e non di vigliaccheria, e hanno il solo scopo di far evitare eccessi inutili. Se l'occasione veramente si presentasse, un uomo deve saper affrontare ogni pericolo senza esitazione, pronto anche, per l'onore di colei che lo accompagna, ad arrischiare la vita. Ma chi ha veramente coraggio, non lo sciupa inutilmente e se ne serve soltanto al momento del bisogno. A questo proposito, non possiamo astenerci di dare anche alle signore un avvertimento. Le liti per la strada sono sempre spiacevoli, spesso pericolose: non cercate mai di provocarle col vostro contegno, perchè, più spesso che non si creda, esse hanno origine dall'imprudenza vostra. Ci sono molte signore che s'adombrano di tutto, che s'inquietano se non si fa loro posto, che non esitano a buttar là una di quelle parole acri e impertinenti, che irritano ed esasperano. Il marito, il fratello, prendono naturalmente le loro difese, anche se, in cuor suo, riconoscono tutto il torto della loro compagna; e le conseguenze sono spesso dolorose. Siate dunque prudenti, signore mie; sappiate anche, al momento opportuno, non avere nè occhi nè orecchi: eviterete ai vostri mariti, ai vostri fratelli, ai vostri amici delle noie e dei pericoli. Se poi, per disgrazia, una questione avviene in vostra presenza, non intralciate col vostro contegno l'opera di chi vi accompagna: non gridate, non piangete, non date in ismanie. Se ci accade per la strada di urtare involontariamente una persona, si è in obbligo di chiederle scusa; e le scuse saranno più ampie se si tratterà di un vecchio o d'un mutilato. Chi è urtato, se è persona bene educata deve accontentarsi di quelle scuse e rispondere con una parola gentile. Chiunque, transitando per la strada in bicicletta, in automobile o su qualunque altro veicolo di sua proprietà, è causa involontaria di una disgrazia, ha l'obbligo assoluto di mettersi interamente a disposizione del ferito e di curarne il trasporto a casa o in un ospedale: fuggire per timore delle responsabilità nelle quali, sia pure involontariamente, è incorso, è azione da barbaro. Una persona di cuore considera un dovere prestare l'opera sua ai passanti tutte le volte che ne vede la necessità, senza credere di decadere dalla propria dignità neppure se si tratta d'un umile servizio. Una persona di buon senso evita di far circolo intorno ai ciarlatani e soprattutto intorno a coloro che leticano o vengono alle mani. Questa brutta abitudine di godersi come uno spettacolo le baruffe che così frequentemente avvengono nel mezzo di strada, fu già ripresa da Dante che, come di tante altre cose, s'intendeva anche d'educazione. Dice Virgilio a Dante, dopo averlo rimproverato d'essersi fermato ad ascoltare due dannati in lite fra loro:

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Tra la visita intima dell'amico di casa che entra senza farsi annunziare e quella ufficiale che esige la redingote e il cappello a cilindro, non c'è, si può dire, somiglianza alcuna. Ognuno deve dunque sapersi regolare secondo le circostanze. Per le persone intime, la porta è sempre aperta: esse sono ricevute a qualunque ora e in qualunque circostanza. Si badi però che, per comportarsi così, l'intimità deve esser davvero grande, e che, ad ogni modo, non si deve mai abusare della cortesia altrui. Un certo ritegno nelle relazioni amichevoli, una certa parsimonia nelle visite non fanno che rendere più stabile e più sentita l'amicizia. L'amico che è sempre per casa finisce con l'esser considerato meno di nulla, quando non sia d'imbarazzo e di noia. Normalmente, nelle visite fra amici non troppo intimi, si devono osservare certe regole. Per fare una visita si sceglierà sempre il pomeriggio o almeno le tarde ore della mattina. Un amico o un'amica si ricevono senza complimenti, alla buona, anche nel salotto da studio, nella stanza da lavoro. La lunghezza delle visite dipende da tante cose: ma non sarà mai esagerata, specialmente quando si abbia ragione di supporre che la nostra presenza possa impedire al padrone o alla padrona di casa di dedicarsi alle sue occupazioni. Per le visite d'una certa etichetta, ci si atterrà a norme anche più rigorose: le prime ore della sera, fra le quattro o le sei, sono, si può dire, di prammatica. L'uomo che si reca a far visita a una signora si vestirà di scuro, e meglio ancora di nero. Introdotto, depositerà nella stanza d'ingresso cappello e mazza, paltò, calosce, tutto quello insomma che si porta fuori di casa, mantenendo soltanto i guanti. Nel salotto di ricevimento potrà sedersi fino all'arrivo della signora; al giungere di questa, si alzerà in piedi e le moverà incontro; le stringerà la mano soltanto se essa gliela porgerà. Sedutosi, sosterrà con brio e con disinvoltura la breve conversazione (una visita d'etichetta dura appena un quarto d'ora), evitando soprattutto quelle pause silenziose, che son causa di tanto imbarazzo a chi riceve e a chi fa la visita. Nell'accomiatarsi abbrevierà tutti quei convenevoli, dei quali si faceva tanto uso una volta: una parola cortese, un lieve inchino, una stretta di mano, se la mano gli vien porta dalla signora, e uscirà rapidamente dal salotto. Per le visite di gran cerimonia c'è tutta un'etichetta, che varia da caso a caso e subisce anche cambiamenti a seconda della moda. Non è perciò qui il luogo di dar delle norme speciali. Vogliamo tuttavia mettere in guardia il lettore da due eccessi opposti. C'è chi, al solo pensiero d'una visita di cerimonia, si sente venire i brividi, perde il sonno e l'appetito: l'idea di trovarsi davanti a una tal persona illustre lo mette in un orgasmo tale da fargli venir la febbre. Sono timori esagerati: una visita di tal genere è quasi sempre più facile che una visita normale. La persona illustre, abituata ad ogni sorta di visitatori, sa comprendere e compatire: e l'esitazione e la timidezza, lungi dall'annoiarla, le danno invece una chiara idea della bontà e della gentilezza d'animo di chi le si presenta davanti: soltanto gli sciocchi o i presuntuosi non conoscono la soggezione. Neppure c'è da farsi troppo cattivo sangue se il timore o l'ignoranza di certe leggi d'etichetta ci fanno commettere una di quelle che si soglion chiamare, con vocabolo francese, gaffes, cioè atti o parole fuor di luogo. Se l'errore non dipende da sfrontatezza o da mal animo, non ci sarà gran male, e la persona illustre sarà la prima a compatire. Ben diverso è il caso di coloro che, pieni di fiducia nei propri meriti, si recano a tali visite con una sfacciata disinvoltura, e trattano da pari a pari: essi fanno sempre cattiva impressione e meritano quelle accoglienze fredde o quelle parole severe, di cui poi si lamentano. Vogliamo chiudere questo capitolo con un consiglio d'ordine generale. Non fate mai visite se non siete sicuri che saranno gradite. Studiate bene le abitudini, i gusti, la psicologia dei vostri amici e conoscenti; e tutte le volte che avete motivo di supporre che la vostra visita possa recar disturbo o noia, rinunziateci. Fate, per civiltà e per educazione, le visite di dovere; delle altre non abusate mai. Pensate quante volte, anche in casa vostra, si è mandato un respiro di sollievo dopo una visita importuna; pensate quante volte anche le persone più gentili sono costrette a far dire di non esser in casa, per sottrarsi alla noia e qualche volta al danno di un visitatore sgradito; e comportatevi in modo che quel che si è detto degli altri non s'abbia a dire con ragione anche di voi. Nel fissarvi le regole per questa importantissima norma del viver civile, tenete ben conto delle mutate condizioni dei vostri amici e conoscenti. Ci sono nella vita improvvisi cambiamenti di stato, che portano seco modificazioni profonde. L'amico che diviene, per esempio, ministro, ha diritto d'esser lasciato in pace, perchè ha, o dovrebbe avere, poco tempo da buttar via; l'amico che prende moglie è, quasi sempre, un amico perduto: e colui che pretendesse di seguitar con lui la vita di prima, di averlo a compagno al caffè o nelle passeggiate per parecchie ore del giorno o della settimana, mostrerebbe di aver poco senno; peggio ancora se lo importunasse con visite giornaliere e s'avesse per male d'un rifiuto. I rapporti d'amicizia sono forse, fra i rapporti sociali, i più difficili di tutti, perchè non possono essere assoggettati a regole fisse e si regolano più che altro col tatto e con la gentilezza. L'uomo veramente bene educato si riconosce soprattutto dal modo con cui, nelle varie circostanze della vita, si comporta con gli amici.

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Napoleone, che se n'intendeva, protesse a tutto potere attori e autori, e curò personalmente, nei brevi momenti di riposo fra una guerra e l'altra, la messa in scena di commedie e di tragedie, mostrandosi severissimo nella scelta degli argomenti e proscrivendo inesorabilmente tutto ciò che recasse offesa al buon costume. Ma oggi, purtroppo, per quel che riguarda la moralità del teatro non si può essere che pessimisti. Gli autori moderni, e specialmente quelli di oltr'Alpe, fanno a gara per mettere sulle scene argomenti frivoli o peggio che frivoli; e le poche e lodevoli eccezioni non bastano a rimediare al gran male che ne deriva. Fra i doveri d'una madre di famiglia, c'è quello imprescindibile di non condurre al teatro le proprie figliuole se non è sicura che il dramma o la commedia che si reciterà sia tale da poter esser ascoltata senza arrossire. Quante madri, che non hanno preso questa precauzione, si sono poi pentite amaramente della loro trascuratezza! Non c'è cosa più spiacevole che vedere in un teatro delle signorine, condotte a caso ad ascoltare un lavoro scabroso o palesemente indecente, assumere quel contegno di disagio e di simulata indifferenza, con la quale cercano di far fronte alla spiacevole situazione. Nè è a dire quanto poco ci guadagni, nella stima degli uomini, la riputazione della madre e delle figlie. Purtroppo l'uomo, anche il più corrivo, diviene, in questi casi, d'una inesorabile severità. Neanche alle signore maritate, specialmente se madri di famiglia, io saprei consigliare di recarsi al teatro così alla cieca, senza conoscere almeno all'ingrosso a che cosa vanno incontro. Ci sono certe commedie contro le quali si rivolta ogni pudore, e che non soltanto una donna, ma anche un uomo serio e dabbene dovrebbe rifiutarsi d'ascoltare. A che pro andare a passare qualche ora, che dovrebbe esser di riposo e di svago, in mezzo all'oscenità e al sudiciume? Al teatro, come in qualunque altro luogo pubblico, è obbligo d'ogni persona bene educata di comportarsi con dignità e decoro. I gridi, le urla, i fischi, gli applausi insistenti e clamorosi vanno lasciati alle genti di strada: l'applauso discreto o un breve segno di disapprovazione, quando proprio non se ne possa fare a meno, sono quanto di più possa concedersi a una persona a modo: le donne, e specialmente le signorine, faranno bene ad astenersi da ogni manifestazione troppo visibile. Quanto alle disapprovazioni e ai fischi, essi dimostrano, oltre che poca educazione, anche poco cuore. L'artista, attore o cantante, è un individuo che lavora per vivere, e che esercita una delle professioni più ingrate e faticose; umiliarlo se le sue qualità non ci piacciono o sono manchevoli, è un atto incivile. Fatevi un dovere, durante la rappresentazione, di non disturbare gli spettatori. A tale scopo, evitate di entrare e uscire quando il sipario è alzato, non chiacchierate quando gli altri ascoltano, non fate rumore, non tossite. Se siete raffreddato, rimanete a casa. L'abito da indossare al teatro cambia a seconda del genere della rappresentazione e del posto che si occupa. A una rappresentazione di gran gala, e per chi vada in un palco o in poltrona, sono di rigore il decolleté per le signore e l'abito nero per gli uomini; per chi si rechi in altri posti meno di lusso basterà l'abito da passeggio. Mettersi l'abito da sera per una rappresentazione qualunque, anche se si va in palco o in poltrona, è un'esagerazione di cattivo gusto, da lasciare agli americani. Negli intervalli fra atto e atto, non è vietato di guardare in giro, anche col canocchiale; ma si eviti ogni insistenza; si eviti specialmente - e il consiglio va soprattutto ai signori uomini - di fissare ostinatamente un dato palco, una data persona. Oltre a compiere un atto importuno, si può non di rado suscitare un giusto risentimento, e trovarsi in degl'impicci ben meritati. Le visite che si sogliono fare nei palchi siano brevi, e non se ne abusi: al suono del campanello che indica la ripresa dello spettacolo, ognuno deve tornare al suo posto, salvo che non riceva invito di rimanere. E in questo caso, si comporti in modo da non occupare il posto migliore e da non dar noia a chi l'ha invitato.

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Chi riceve un invito a pranzo deve, se non può accettarlo, avvisarne subito chi di ragione; mostrerebbe mancanza assoluta di delicatezza e di tatto disimpegnandosi poche ore prima del pranzo stesso. Quando una grave cagione lo costringesse a un tal passo, ha il dovere di fare ampie scuse adducendo il motivo imprevisto che gl'impedisce di mantenere l'impegno. Si può essere invitati a pranzi di famiglia, presso persone amiche, e a pranzi d'etichetta. Per i pranzi di famiglia, ci si regolerà via via secondo il grado di intimità o d'amicizia. Un corretto abito di colore scuro, nero o bleu, sarà più che sufficiente per gli uomini; per le signore basterà un leggero decolleté. Per i pranzi di parata si ricorrerà all'abito da società. L'invitato deve presentarsi un po' prima dell' ora fissata, ma non molto prima. Nelle famiglie, anche in quelle dove non mancano servitori, la padrona di casa ha, nell'ora che precede il pranzo, un monte di cose a cui provvedere: dare un'ultima occhiata alla cucina e alla sala da pranzo, preparare i fiori, disporre i posti, ecc., e l'invitato troppo solerte le dà impiccio e noia. È inutile dire che non si deve mai giungere in ritardo. Nel passare dal salotto in cui è stato ricevuto, nella sala da pranzo, l'invitato offrirà il braccio a una signora; alla padrona di casa, se non ci sono altri invitati, o se questi sono a lui inferiori di condizione o d'età. Sedutosi al posto che gli sarà indicato, spiegherà il tovagliuolo e attenderà d'esser servito conversando brevemente coi suoi vicini. Se è servito uno dei primi, aspetterà a mangiare che siano serviti anche gli altri, soprattutto le signore. Non mangerà troppo velocemente per non terminare quello che ha nel piatto quando gli altri hanno appena cominciato, nè troppo adagio, per non costringerli ad attendere il suo beneplacito. Non parlerà mangiando, non beverà mentre ha ancora il boccone in bocca. Se vorrà comportarsi da persona veramente ben educata, non toccherà nulla colle dita, salvo il pane. Questa norma, che ci viene dall'Inghilterra, è ormai stata adottata, a torto o a ragione, anche da molte famiglie italiane; e chi la disprezzasse o infrangesse potrebbe passare per un ignorante. S'intende che presso famiglie amiche, delle quali ben si conoscono gli usi e le abitudini, si può anche derogare un po' da questa regola davvero troppo rigida: e quando si è nell'intimità, adoprare le dita per mangiare una coscia di pollo o per sbucciare una mela o un'arancia non è poi un gran male, ed è tanto comodo! Chi, invitato a pranzo in casa altrui, credesse ben fatto toccare appena i cibi e levarsi da tavola con la fame, per dare una buona idea della sua continenza e della finezza della sua educazione, sarebbe uno sciocco, e non raggiungerebbe neanche lo scopo di far cosa gradita ai suoi anfitrioni. Chi invita, non può non desiderare che si faccia onore al suo pranzo, e se vede un invitato che non mangia, ha tutto il diritto di credere che non sia soddisfatto di ciò che gli vien servito. Viceversa (come in tutte le cose di questo mondo, anche in questa gli estremi si toccano) è, più che sciocco, maleducato chi si rimpinza fino a scoppiare, chi beve smoderatamente. Se la mancanza di misura nel mangiare e nel bere è un brutto vizio, diventa addirittura insopportabile quando si è in casa d'altri. L'invitato si ricordi che, durante il pranzo, egli non deve pensare soltanto a saziare l'appetito, sia pure moderatamente. È suo obbligo contribuire a render piacevole il pranzo, aiutando i padroni di casa a tener viva la conversazione, a infonder brio negli altri convitati. Parlando del più e del meno, toccando argomenti graditi ai padroni di casa, egli eviterà tuttavia i discorsi troppo lunghi, le chiacchierate interminabili che allungano il pranzo, e soprattutto le discussioni e le polemiche. Se vede che qualcuno dei commensali non è del suo parere, saprà tacere a tempo e mutar tema. A tavola si chiacchiera ma non si discute. Nei pranzi d'intimità, chi ha vicino a sè una signora, le presterà tutti quei piccoli servizi che sono altrettanti obblighi per una persona educata. Finito il pranzo, l'invitato s'alzerà quando si alzano i padroni di casa e, se sarà il caso, passerà con essi in altra sala. Preso il caso, resterà un po' a far conversazione con le signore. Invece, se gli uomini, secondo l'uso inglese, si tratterranno a fumare in sala da pranzo, egli resterà con loro, anche se non fuma. Si regolerà insomma secondo le abitudini della casa, cercando di rendersi accetto e gradito. Non prolungherà di troppo la sua visita e, a cose normali, se ne andrà dentro un'ora dalla fine del pranzo; si tratterrà di più soltanto se richiestone, o quando dopo il pranzo si faccia circolo o si giuochi. Nell'accomiatarsi troverà qualche parola gentile per i padroni di casa, ma non avrà l'obbligo di ringraziare per il pranzo ricevuto. Farà, dentro gli otto giorni, la così detta visita di digestione; se gliene mancherà il modo, scriverà un biglietto di ringraziamento.

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È un brav'uomo, simpatico a tutti. Ecco invece da quell'altra parte l'avvocato Y. Silenzioso, arcigno, mangia col viso sul piatto, non guarda nessuno, non saluta nessuno, comanda ai camerieri con cenni della testa. Appena ha mangiato, s'alza e scappa via. È un nevrastenico che digerisce male. C'è poi il tipo del malcontento, che strapazza i camerieri, che disprezza ogni vivanda, che rimanda indietro quello che ha ordinato, che lascia a mezzo ciò che ha davanti: scortese, brontolone, è la disperazione di chi lo serve. C'è il chiacchierone, che attacca discorso con tutti, che conosce tutti, che parla dei propri affari, che vuol conoscere quelli degli altri. Ci sono insomma tipi infiniti, che si rivelano con grande evidenza in quell'ora in cui l'uomo si toglie la maschera e si dimostra per quello che è. Quando andate al ristorante, ricordate che vi recate in un luogo pubblico e che siete esposti agli sguardi di tutti. Comportatevi dunque con educazione, mangiate correttamente, non siate troppo esigenti. Entrando nella sala da mangiare, salutate senz'affettazione, e se il luogo è riscaldato quanto potrebbe esserlo una stanza della vostra casa, toglietevi paltò e cappello. Mangiare col cappello in capo non è cosa molto fine, e va evitata tutte le volte che è possibile: non diciamo sempre, perchè in certi locali si gela, e la cortesia non deve essere spinta al punto da procurarci un malanno. Durante il pranzo, cercate di dar meno disturbo che potete agli altri commensali. Non esigete che il cameriere sia tutto a vostra disposizione; non vi lamentate ad alta voce e in tono arrogante se qualche cosa non è di vostro gusto: un'osservazione fatta a bassa voce raggiunge quasi sempre il suo scopo. Se vi trovate in compagnia d'amici, non fate baldoria, non gridate, non conversate rumorosamente in modo da disturbare i vostri vicini. Se desiderate fumare, non abusate del diritto ormai invalso nei ristoranti di accendere il sigaro a tutte l'ore, ma se avete vicino una signora, domandatele il permesso, che essa non vi rifiuterà. Una signora o signorina va quasi sempre al ristorante accompagnata dal marito, dal padre o da persona di conoscenza: e i suoi doveri sono quelli di una signora educata. Non è necessario dire che a lei, ancor meno che a un uomo, si conviene alzar la voce, far chiasso, darsi a un'allegria smodata: essa cercherà soprattutto di non dar nell'occhio, di non abbandonarsi ad eccentricità, di non mettere in imbarazzo la persona che l'accompagna. Tutti questi suoi doveri diventano ancora più rigorosi e più stretti se è sola o in compagnia d'altre signore. La donna emancipata, dalle pose maschili e dai modi troppo disinvolti, non ha fatto ancora fortuna in Italia, se Dio vuole: e le persone dabbene non hanno per lei che parole di biasimo. Terminato di mangiare e pagato il conto, non si resterà troppo a lungo nel ristorante, specialmente se questo è affollato e si ha motivo di supporre che altri voglia prendere il nostro posto. Ad ogni modo, chi vorrà rimanere ancora a fumare o a leggere il giornale, saprà farlo educatamente, senza prender pose sguaiate, non concesse neppure nell'intimità della propria famiglia. Giunto il momento d'andarsene, si chiederà scusa alle persone che si fosse costretti a incomodare, e si uscirà salutando, come nell'entrare.

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Ma chi si prepara con calma a un viaggio, farà bene ad attenersi a certe regole essenziali, che gli faranno risparmiare tempo e denaro. Cominciate con lo stabilire la durata del viaggio e la somma che gli destinate. Molti vi diranno che i preventivi non servono a nulla, se non forse a procurare delle disillusioni. È un errore che riguarda soltanto i preventivi mai fatti: un buon preventivo, compilato con spirito pratico e con una certa libertà, è sempre utilissimo. Esso sarà fatto dopo aver assunto informazioni sui luoghi che s'intende di visitare, dopo aver consultato una buona guida, dopo aver stabilito il proprio genere di vita. Tirate le somme, si aggiungerà sempre un terzo per gl'imprevisti. Curate voi stessi il vostro equipaggiamento. Fate una nota di quegli oggetti di vestiario o d'altro genere che vi occorreranno, tenendo conto della stagione, del clima, dei luoghi ove vi recate, degli eventuali cambiamenti di tempo. A questo proposito, evitate due eccessi opposti, poichè c'è chi, per troppa prudenza, non porta seco che abiti gravi e suda durante tutto il viaggio, e chi, per sventatezza, non pensa a una possibile raffrescata, e si ritrova a battere i denti. Una nota fatta un giorno o due prima di partire è pressochè inutile; bisogna cominciare a compilarla molto prima, e aggiungere via via quello che viene in mente: soltanto così essa sarà davvero completa. Giunto il momento, fate da voi stessi la valigia o il baule e confrontate con la nota. Questa di fare i bagagli è forse l'occupazione più importante di tutte. Un bagaglio ben fatto procura durante il viaggio infiniti vantaggi, evita noie, disagi e spese; perchè il privarsi di certe cose è spesso doloroso, talvolta impossibile: e non c'è altro rimedio che metter mano alla tasca. Badate tuttavia, con non minore diligenza, di lasciare a casa tutto ciò che è inutile: non vi sovraccaricate di bauli, di valigie, di valigette, di scatole, di fagotti: tutte cose che vi preoccuperanno durante il viaggio e vi turberanno la gioia che vi ripromettete. Un bagaglio ideale è quello che contiene tutto il necessario e nient'altro che il necessario, ed è contenuto, secondo i casi, o da una sola valigia, o da un baule e una valigia. Mettetevi sempre in viaggio con un itinerario stabilito. Salvo il caso - molto raro del resto - che sia per voi indifferente tornare dopo una settimana o dopo un mese, stabilite preventivamente la durata del vostro viaggio e dei vari soggiorni. Accade spesso che uno parta da casa con l'intenzione di visitare, supponiamo, Venezia, Firenze, Roma e Napoli, e di trattenersi una settimana in ciascuna di queste città. Ma Venezia è così incantevole ch'egli vi trascorre quindici giorni, Firenze così artistica che una settimana non gli basta a vederla tutta; non c'è rimedio: o raddoppiare la durata del viaggio, o rinunziare a Roma e Napoli. Inconvenienti come questo si evitano, mettendosi in viaggio dopo essersi fatti un'idea chiara dei luoghi che si ha intenzione di visitare, e non lasciandosi poi tentare a prolungare un soggiorno in un dato luogo, quando si è visto abbastanza. Se avete intenzione di recarvi in una grande città, assumete informazioni sugli alberghi, sui ristoranti più adatti da amici e conoscenti che l'abbiano in pratica: vi sarà facile di trovarne. Eviterete così l'inconveniente d'arrivare a caso, stanchi dopo lunghe ore di ferrovia, e di capitare in alberghi non adatti per voi, per esser troppo di lusso o d'una categoria troppo bassa. Per una piccola città, ricorrete ad una guida o alle informazioni di qualche viaggiatore cortese. Se vi recate in montagna o al mare, in stazioni climatiche ove non siano che alberghi, è inutile dire che occorrerà scrivere avanti e far patti chiari e precisi. Se scrivete o telegrafate fissando una camera, ricordatevi che essa sta per voi e che siete obbligati a pagarla anche se non arrivate il giorno stabilito. Non fate dunque riserve o atti di maraviglia: sareste dalla parte del torto. Viaggiando lontano dalla propria città o dal proprio paese, ognuno si sente più libero, più indipendente. È questo un sentimento naturale, al quale non è possibile sottrarsi. Nel luogo dove abitiamo, anche se è una grande città, si finisce sempre col procurarci una quantità di legature, di rispetti umani che c'impediscono di compiere certi atti, innocenti di per sè, ma che potrebbero essere interpretati, dal mondo pettegolo, a nostro danno. Lontani da casa, la situazione è diversa: nessuno ci conosce, nessuno si occupa di noi; e possiamo anche permetterci il lusso di fare il nostro comodo. E sia pure; ma ricordiamoci anche che l'educazione non è una vana parola e che il vero gentiluomo è educato dappertutto. Dunque, maggior libertà, sì; licenza o sguaiataggine, no.

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Ho conosciuto una volta un contadino, un bel giovanotto tarchiato e robusto, che volle in tutti i modi comprarsi un vestito uguale a quello del suo padrone. Quando l'ebbe comprato, lo indossò tutto contento una bella domenica e, con un pretesto, si accompagnò per la strada col padrone. Li incontrai appunto mentre chiacchieravano insieme; e non potei fare a meno di ripensare a quel vecchio proverbio: l'abito non fa il monaco. Ahimè! il padrone pareva sempre il padrone, il contadino sempre il contadino. Anzi, il padrone era elegante e disinvolto, il contadino faceva pietà, e stava molto peggio che coi suoi abiti soliti. L'aneddoto ci può insegnare tante cose: e specialmente ci può mostrare quanto sia difficile, anche nei casi più comuni, sapersi vestire convenientemente. Si può spendere migliaia di lire per il proprio abbigliamento e non riuscire a raggiungere quell'eleganza, che altri ottiene con poche centinaia. Tanto vale una scelta giudiziosa della stoffa, dei colori, degli ornamenti. Non possiamo dare qui norme precise sulle fogge di vestito più convenienti. La moda, specialmente quella femminile, muta tutti i giorni, e quel che oggi sarebbe ridicolo, domani diviene comune. Ci limiteremo dunque a dare dei consigli generali, conformi al buon vivere civile. Nel seguire la moda non bisogna essere esagerati: tanto è ridicolo colui che veste secondo le abitudini di trent'anni fa, quanto colui che non appena una moda cambia, corre dal sarto a ordinarsi un abito nuovo. Le signore specialmente, parlo soprattutto di quelle che appartengono a quel medio ceto borghese, per le quali è scritto in particolar modo questo libro, evitino ogni esagerazione, e anche nel seguire la moda sappiano regolarsi con tatto e con buon gusto. Se le gonnelle usano corte, non siano però troppo corte, se le maniche devono esser larghe, non siano troppo larghe. Certe mode che dilagano all'improvviso, e divengono comuni a tutti, sono da seguire con gran prudenza: una signora ben educata rinunzia subito a tutto ciò che diviene o sta per divenire volgare e troppo comune. Sappiate scegliere i vostri vestiti nelle varie circostanze della vita: lasciate i colori vivaci alla gioventù, contentatevi, se siete d'una certa età, di colori sobrii e severi. Una signora coi capelli bianchi è ridicola se veste da giovanetta. Se andate in visita, riflettete, prima di vestirvi, a chi fate visita. Sarebbe sconveniente, e dimostrerebbe cattivo cuore o poca testa, vestirsi in gran gala per recarsi in un ospedale, presso un malato, in una casa di persone povere o infelici, da una famiglia in lutto. Sarebbe un modo indiretto di offendere il dolore altrui, di provocare un giusto risentimento. L'infelicità, la miseria, il dolore hanno diritto, sempre, ad ogni riguardo. Se non si tratti di casi speciali, come battesimi, matrimoni o altre feste di simil genere, è un segno di cattivo gusto vestirsi la mattina in abiti da società, o con toelette sfarzose e troppo eleganti. Una persona distinta preferisce sempre, prima di mezzogiorno, abiti d'una elegante semplicità! È abitudine comune delle famiglie borghesi indossare la domenica gli abiti migliori e curare con maggiore attenzione la toelette della persona: abitudine riprovata da molti, specialmente in Francia, dove è stata anche coniata la parola endimanché, per indicare chi si presenta in pubblico, in circostanze speciali, con una particolare eleganza forzata e di cattivo gusto. Noi non crediamo che una tale usanza sia del tutto riprovevole. Al solito, guardiamoci dalle esagerazioni: ma è troppo naturale, è troppo umano che chi lavora tutta la settimana, ed è perciò costretto a vivere in mezzo agli affari, nei fondachi, nei magazzini, negli uffici, nelle fabbriche, in ferrovia, senta, alla domenica, insieme col bisogno di riposarsi e di darsi buon tempo, anche quello di presentarsi in pubblico in una veste più corretta e più elegante. Soltanto gli oziosi e i fannulloni, per i quali è sempre domenica, possono dedicare tutti i giorni qualche ora alla cura della propria persona. Ma l'abitudine dell'eleganza domenicale non sia scusa o pretesto per una colpevole trascuratezza negli altri sei giorni della settimana. Una persona ben educata veste decentemente e propriamente anche in casa: e lo fa non solo per rispetto verso i suoi familiari, ma anche per un certo riguardo verso sè stessa. I calzoni e le sottane piene di fango o di pieghe, le giacchette o le camicette sparse d'unto o di macchie devono esser buttate via o date a lavare e a smacchiare: non si devono portare per casa fino a rifinizione. Lo stesso si dica delle pantofole, delle ciabatte, delle papaline, delle berrettine: tutta roba che non dovrebbe neanche esistere, se non per gl'infermi e per i vecchi: e in questo caso siano sempre pulite e non manchino, se è possibile, d'una certa eleganza. In campagna, in montagna, si vive più liberamente che non in città; e perciò si deve e si può concedersi una maggior libertà anche nel vestiario. Un uomo può girar per casa o anche uscire nei campi in maniche di camicia, purchè la camicia sia pulita e d'una certa eleganza; una signora può usare più largamente della veste da camera, la quale, come dice la parola, a cose regolari si deve indossare in camera solamente. Lo stesso si può fare al mare, in quei luoghi dove l'eleganza e le regole d'etichetta non siano più esigenti che in città: il che accade purtroppo molto spesso. Vestirsi tutti i giorni con una certa cura per il pranzo della sera è un'abitudine che viene dall' Inghilterra; ed è una bella abitudine. Ma purtroppo, nelle famiglie dove si lavora molto, non è sempre attuabile. Si può tuttavia dare al pranzo serale una certa impronta di festività e d'allegria con qualche piccolo ritocco al proprio abbigliamento, con qualche segno esteriore di cura maggiore. È cosa a cui devono pensare soprattutto le signore: il marito, il padre che torna la sera affaticato dal lavoro giornaliero, prova un senso di benessere se si siede ad una tavola bene apparecchiata, in mezzo alla moglie e ai figli vestiti con proprietà e con una certa eleganza. La questione del vestiario è, come si vede dalle norme che abbiamo suaccennate, del massimo interesse e tutt'altro che facile a trattare. Forse, a trattarla a fondo, non basterebbe un libro intero. A noi basti aver fatto capire al benevolo lettore e alla gentile lettrice tutta la difficoltà dell'argomento, e averli indotti così a non trascurare questo aspetto particolare della vita civile, al quale di solito non si dà tutta l'importanza che merita.

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Sdraiarsi sui sedili o ingombrarli con le proprie valigie, costringendo gli altri a stare scomodi o magari in piedi, è atto villano e, per di più, contrario ai regolamenti. C'è chi crede, perche è in viaggio, d'aver il diritto di fare il proprio comodo ai danni altrui, ma è una credenza da screanzato. Cedere il posto a una signora, in treno, è sempre un atto da gentiluomo, ma non è così obbligatorio come in tram. Quando uno ha da fare un viaggio lungo, e si è scomodato ad andare alla stazione un'ora prima per conquistare un posto a sedere, nessuno può pretendere che una signora giunta all'ultimo momento lo privi d'un vantaggio così necessario. Ma si sapranno fare delle eccezioni a questa regola generale: una signora incinta, o malata, o sofferente, o molto avanzata in età dovrà ottenere quello che si può rifiutare a una donna giovane e sana. Il male è che, purtroppo, accade spesso il contrario: una bella signora trova sempre posto, una vecchia cadente è per lo più costretta a rimanere in piedi. Ad ogni modo le signore non debbono fare assegnamento sulla cortesia del sesso forte; e, all' occasione, debbono saper rifiutare un favore che costa un sacrifizio così grave. Prendano anch'esse le loro precauzioni, e si rechino in tempo alla stazione. Avviso alle signore: se vi dà noia il fumo, non entrate in uno scompartimento per fumatori. Avviso agli uomini: se una signora è in uno scompartimento da fumatori, e voi volete accendere il sigaro o la sigaretta, domandatele il permesso. Può darsi ch'essa non abbia trovato posto altrove e che il fumo le faccia veramente male; e in tal caso la vostra improntitudine sarebbe davvero riprovevole. In ogni altro caso, la signora che con la sua presenza impone un sacrifizio non necessario, abusa della sua posizione e dell'altrui cortesia. Una signora che viaggia sola si comporterà con molta riservatezza. Non sarà facile ad attaccar discorso coi compagni di viaggio, soprattutto con gli uomini. Interrogata, risponderà con ritegno in modo da far capire che non desidera di esser disturbata; se riceve uno di quei piccoli favori, così frequenti in ferrovia, ringrazierà gentilmente, ma senza effusione e con poche parole. Contenendosi così, disarmerà gl'intraprendenti e sarà lasciata in pace. La maggior parte delle noie che possono capitare in treno a una signora sola, derivano quasi sempre dal suo contegno poco riservato, che non di rado sembra autorizzare gl'importuni a tentare una parola o un gesto ardito. Non importa del resto aggiungere che un vero gentiluomo ha per una signora sola tutto quel rispetto che le mostrerebbe se fosse accompagnata. Mostrarsi noiosi, esigenti, brontoloni è segno di cattivo carattere e di poca educazione. In treno non si è a casa propria, e conviene adattarsi anche ai desideri altrui. Sono esigenze imperdonabili voler tener tutto chiuso e tappato, quando nello scompartimento si soffoca dal caldo, o pretendere di aprire i finestrini quando si gela; lamentarsi se un bambino piange o un vecchio ha la tosse. L'abito da viaggio sia semplice e comodo, ma non trascurato. La signora che entra in treno con un vestito di mussolina bianca, non si lamenti se qualcuno inavvertitamente le stampa sulle maniche o sulla sottana cinque ditate nere: la colpa è tutta sua e della sua storditaggine; nè si lamenti l'uomo cui vengano pestate le scarpine verniciate o macchiati i candidi calzoni, che avrebbe fatto meglio a lasciare a casa. Viceversa, non potremo che biasimare l'uomo il quale, entrando nello scompartimento, si toglie il colletto e magari le scarpe, e si sdraia comodamente come se fosse in camera sua, o la signora che trascura quella irreprensibilità e correttezza del vestiario che le è altrove abituale. Sappiate, anche in treno, provvedere a tutto coi vostri propri mezzi. Il viaggiatore o la viaggiatrice che non sa dove deve scendere per cambiar treno, che non conosce le coincidenze e che importuna ad ogni istante i compagni di viaggio o il personale ferroviario con domande sciocche o moleste, si espone a risposte poco cortesi. Una breve preparazione prima di partire rimedia a tutti questi inconvenienti ed evita equivoci talvolta spiacevolissimi. Lo ripeto: se non sapete viaggiare, state a casa vostra.

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Ma poichè gli alberghi ci sono, e in certe circostanze della vita non se ne può fare a meno, lascio la questione insoluta, e mi limito a parlare del modo col quale deve contenersi l'uomo educato quando, lasciata la propria casa, ricorre all'ospitalità a pagamento. Prima di tutto, sappiate scegliere l'albergo secondo la vostra condizione; e ciò non soltanto per evitare sgradite sorprese alla resa dei conti, ma anche, e più, per non trovarvi in ambienti indegni di voi. È questa una precauzione da prendere soprattutto nelle grandi città, ove certi alberghi non sono adatti per le persone per bene. Ad ogni modo, anche se arrivate a un albergo precedentemente scelto, non trascurate d'informarvi di nuovo delle condizioni; non si è mai troppo chiari a tal proposito. Nella vita d'albergo, sappiate fare il vostro comodo senza disturbare i vicini. C'è chi, appena giunto, mette a dura prova la pazienza di tutto il personale con le sue esigenze, e chi, per timore di recar disturbo, fa a meno delle cose più necessarie. Una persona normale e pratica sa provvedersi tutti i suoi comodi senza dar noia al prossimo, e sa rinunziare alle esigenze; sa, in particolar modo, rispettare i diritti altrui: non urla, non grida, non canta in ore indebite; rientrando a ora tarda, cerca di far il minimo rumore possibile, evita di trafficare in camera quando i vicini dormono; si comporta insomma con quel tatto e con quella delicatezza necessari quando si vive sotto uno stesso tetto con altre persone. Chi è in albergo, specialmente se di passaggio, ha il diritto di comportarsi come se non ci fosse nessuno intorno a lui. Non ha obbligo di saluto neppure con quelli che incontra più frequentemente. Una parola detta in sala di lettura, per chiedere un giornale o una rivista, o a table d'hôte per chiedere il sale o una salsa, non porta con sè nessun obbligo di cortesie reciproche. Tutt'al più, incontrando nei corridoi una persona già vista altre volte, si farà atto di dovere abbassando leggermente la testa in segno di saluto, o sollevando il cappello. Ciò non toglie che non si possa, quando si voglia, avviare una di quelle conversazioni, che lasciano il tempo che trovano e servono a far passare un quarto d'ora d'attesa. Ma si anderà molto adagio con queste conoscenze effimere con persone ignote che possono esser ben diverse da quello che sembrano; e soprattutto si eviterà ogni intimità, non si accetteranno inviti, non si faranno promesse di futuri legami. In generale le amicizie contratte all'albergo non hanno seguito, ed è inutile far promesse che si è convinti di non mantenere. Chi sta in albergo deve adattarsi alla vita comune e non pretendere attenzioni speciali, cui creda aver diritto per il suo titolo o per la sua posizione. Tutti sono uguali dinanzi all'albergatore, il quale, se mai, favorirà di più coloro che si mostrano più gentili e meno esigenti. Se lo tengano per detto tutti quelli che credono d'imporsi con l'albagia e con le maniere arroganti. È un buon uso saldare i propri conti settimanalmente, e anche più spesso. Si evitano così molte contestazioni e molti errori, che è quasi impossibile mettere in chiaro, quando il conto risale a quindici giorni o un mese. Ad ogni modo, quando si abbiano reclami da fare, sarà bene farli con cortesia: così, oltre a dar prova di buona educazione, si raggiungerà più facilmente lo scopo. Lasciando l'albergo, si prenderà congedo soltanto da quelle persone con le quali si è fatto conoscenza, approfittando del momento in cui le incontriamo: per esempio a tavola o in sala di lettura. Non usa recarsi a salutare negli appartamenti altrui. Venendo a mancare l'occasione, si lascerà al bureau un biglietto da visita.

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Nelle stagioni balneari estive, sul mare o sui laghi, è concessa a tutti una maggior libertà. Così dicono e così, in conseguenza, si comportano molte signore, le quali, quando sono al mare, si permettono un contegno che si guarderebbero bene dal tenere a cose normali. Non dico che in tutto ciò non ci sia qualche cosa di vero. Al mare, oltre che per salute, si va anche per divertirsi e per ricrearsi; e la vita all'aria aperta, l'animazione della spiaggia e tante altre circostanze non possono non influire sul tenor di vita di qualunque persona; e chi, recandosi al mare, menasse un'esistenza ritirata e monotona, sarebbe ridicolo. Ma ci sono dei limiti che l'onestà e la decenza non permettono d'oltrepassare; e la signora o signorina che si crede lecito, perchè è al mare, di civettare con questo e con quello, di far bella la spiaggia con le sue risate e coi suoi motti arguti, di mostrarsi alla passeggiata in vesti eccentriche o immodeste, non può che attirarsi le critiche delle persone ammodo. Sappia dunque esser allegra e vivace 6 senza esagerazione, socevole senza ostentazione, elegante senza cadere nel ridicolo. Una signora per bene adotta un costume da bagno che, senz'essere inelegante, salvi la decenza e non richiami troppo su di sè gli sguardi degli uomini; e quando lo ha indosso, si ricorda che è un costume da bagno, cioè destinato a star nell'acqua; quindi non si mette a girare sulla spiaggia, nè a far conversazione, come se fosse vestita di tutto punto. Finchè non entra nell'acqua, farà molto bene a non togliersi l'accappatoio. Quando è nell'acqua, evita il contatto e la compagnia degli uomini: non scherza con essi, non giuoca, non si fa insegnare a nuotare; non si allontana a nuoto con un uomo solo, nè accetta da esso inviti in barca o in patino. Se non vuole star sola, trova facilmente compagnia tra le persone del suo sesso. Uscendo dal bagno, evita ancor più di trattenersi sulla spiaggia, perchè il costume bagnato disegna con troppa evidenza le forme del corpo. Non esce dal camerino se non vestita di tutto punto. Il contegno d'un uomo deve esser sempre prudente e corretto. Egli deve evitare con le signore ogni familiarità ed ogni arditezza. Purtroppo, la spiaggia di mare, oltre che delle persone dabbene, è il convegno di gente d'ogni sorta e soprattutto di signore e signorine di dubbia o di cattiva fama; e non sempre, sotto il costume da bagno che tutto livella, è possibile distinguere le une dalle altre. D'altronde, in un luogo pubblico, io non saprei, non dico approvare, ma neppure compatire un uomo che si permettesse un contegno scorretto con una donna, di qualunque genere essa sia; e ciò per ragioni di convenienza e di decoro così ovvie, che non c'è bisogno di enumerarle. Il vero gentiluomo saprà dunque controllare ogni suo atto in presenza di qualunque donna; eviterà gl'inviti, i colloqui a due, le confidenze, gli scherzi. Se, dall'alto dello stabilimento, assiste al bagno altrui, eviterà i commenti, le critiche, le lodi. Ci possono sempre essere, fra coloro che lo ascoltano, amici, parenti, genitori della persona della quale egli parla; e uno scandalo fa presto a nascere. Durante la stagione balneare, sono frequenti i balli, i thè danzanti, le serate di beneficenza. Ci si regolerà per essi secondo quelle norme che abbiamo già date per i balli in genere; ma una madre di famiglia accorta si ricorderà che tutti quegl'inconvenienti a cui accennammo crescono a mille doppi quando, come nel caso presente, a simili ritrovi prende parte una società cosmopolita, frivola e non di rado equivoca. Io la consiglio perciò a pensarci non una ma dieci volte, prima di condurre le proprie figlie a un ballo in uno stabilimento balneare o in un così detto Kursaal; e se non ne farà di nulla, tanto meglio.

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Se si vive in albergo, come accade più frequentemente, ci si atterrà alle norme già date, osservando però che, trattandosi d'un soggiorno in generale assai lungo e in luoghi dove la vita in comune si impone, non sarà possibile rimanere in disparte a far vita a sè: non sarà possibile, e non è nemmeno consigliabile. Perciò, si dovranno fare delle conoscenze, imbastire delle amicizie: e tutta l'abilità consisterà allora nel sapere scegliere, fra le persone e le famiglie con le quali ci troviamo a contatto, quelle che per contegno, per finezza, per signorilità di maniere ci sembrano più vicine a quell'ideale che vagheggiamo. Una persona di buon senso raramente si ingannerà nella scelta; del resto, saprà procedere con cautela, ed evitare una soverchia familiarità nei primi tempi d'una nuova amicizia. Fatta così la scelta, si formeranno in un albergo vari gruppi, a formar ciascuno dei quali avranno concorso la uniformità di vedute e di tendenze: e con un po' di tatto, tutto procederà regolarmente. Screzi, dispettucci, pettegolezzi non mancano mai in un albergo; ma una persona ammodo saprà sempre cavarsene con onore. Eviterà essa stessa di essere causa di simili inconvenienti, sapendo esser prudente, tacere a tempo, e soprattutto non occupandosi dei fatti altrui; coinvolta suo malgrado in qualche fatto spiacevole, o testimone involontario, troverà sempre il mezzo mostrando moderazione e sapendo a tempo perdonare e compatire, di accomodare le cose. E se darà prova col suo contegno d'essere un vero gentiluomo, una persona fine e ben educata, disarmerà anche i più violenti e ignoranti. In un albergo di montagna si organizzano sempre delle gite. Gli organizzatori sono spesso delle persone mal pratiche, che, credendo di darsi importanza, non fanno che commettere degli errori; e spesso la gita riesce male, e lascia malcontenti o inquieti coloro che vi presero parte. Chi dunque si fa promotore di un'escursione, deve essere in grado di far buona figura e di accontentar tutti: si preoccuperà perciò d'ogni particolare, anche minimo, misurerà - se si tratta di un'ascensione faticosa o difficile - le forze di ciascuno, sapendo, quando bisogni, escluder con parole cortesi ma ferme coloro che non giudica capaci di reggere alla fatica; esigerà puntualità e disciplina. Se, come quasi sempre accade, ci saranno spese da sostenere, stabilirà in precedenza la quota individuale, tenendo conto delle possibili evenienze; e la stabilirà in modo che non abbia poi a subire modificazioni in più. Nelle questioni di denaro bisogna procedere con gran delicatezza, e mai giudicare dalla capacità della propria borsa. Per molte persone, la spesa è la cosa più importante; e spesso una modificazione di preventivo reca loro grave danno: bisogna dunque essere esatti su questo punto. Chi è invitato a prender parte a una gita deve, da parte sua, tener ben conto della propria capacità e resistenza, e accettare soltanto se crede di potervi partecipare con onore. Il passeggero che si stanca facilmente, che si sofferma ogni poco o, peggio ancora, si ferma definitivamente a un certo punto dichiarando che non vuole o non può andare più innanzi, non solo si rende antipatico a tutti, ma compromette gravemente l'esito della gita; se è una signora, costringe qualche compagno a rinunziare alla mèta stabilita, sacrificandosi per lei. Durante la gita, tutti debbono deferenza e obbedienza a colui, che ne è il capo. Non è educazione, quando si è in molti, voler fare di propria testa, allontanarsi dal nucleo della comitiva, cambiare itinerario. Se qualche cosa non va, se qualche inconveniente si verifica, ci si asterrà da lamenti e da critiche; si cercherà invece di volger tutto in ischerzo e di ricondurre il bonumore nei gitanti. Chi è di difficile contentatura, chi non sa rinunziare ai propri comodi, chi non vuol sottostare alla disciplina, farà bene a non prender parte alle gite in comitiva.

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E mi sarebbe facile dimostrare che lo straniero è, in certo qual modo, un ospite del nostro paese, e che a lui si debbono tutti quei riguardi che l'ospitalità esige. Ma purtroppo tutte queste parole sono inutili; perchè fra i più grandi difetti nostri c'è quello di usare verso gli stranieri una deferenza così spinta, da arrivare perfino a mettere in mostra i nostri torti, la nostra deficienza, per trovar modo di esaltare i pregi, le grandezze di un'altra nazione. In questo, gli stranieri ci possono insegnare. Non sarà facile trovare un Inglese, un Francese, un Tedesco che in Italia o in casa sua dica male del suo paese o dei suoi connazionali: ne troveremo invece di quelli che li difenderanno accanitamente anche quando il torto o il difetto sono palesi. Esagerazione più che perdonabile; anzi, direi quasi, degna d'encomio. Invece, a uno straniero che loda il cielo d'Italia, un Italiano si sente purtroppo in dovere di rispondere che non bisogna credere che nel nostro paese faccia sempre bel tempo, e che Firenze e Milano hanno caldi torridi e freddi glaciali. A chi gli loderà l'arte italiana, l'Italiano risponderà che l'arte gotica è più severa e più bella, a chi dirà che Dante è il primo poeta del mondo, risponderà che Shakespeare e Goethe gli stanno alla pari; a chi si rallegrerà con l'Italia perchè è immune o quasi dalla piaga dell'alcoolismo, replicherà che però tiene il primato dei delitti passionali. Si potrebbe continuare a citare all'infinito. E il peggio è che lo straniero, che vede l'Italiano così ben disposto a dir male di sè stesso, ne approfitta non di rado oltre il limite del giusto e del ragionevole, e diviene scortese e sgarbato. Io dunque raccomando ai miei lettori e alle lettrici di far prova, sempre e dappertutto, di un decoroso orgoglio nazionale, il quale, senza essere eccessivo, sappia mostrarsi pari alla grandezza e alla gloria del nostro paese. L'esagerazione di questo sia pur nobile sentimento sarà senza dubbio riprovevole; ma oserei dire che, se esagerazione ci deve essere, sarà sempre meglio che sia per eccesso che per difetto. Come regola generale, non dite mai male del vostro paese e non permettete che altri ne dica male alla vostra presenza. Siate gelosi del buon nome della patria vostra, come un figlio della buona fama dei suoi genitori, e siate sempre pronti a rintuzzare, con parole civili ma ferme, l'audacia di chi commetta la grave mancanza d'offenderla. Purtroppo l'Italia di molti decenni fa era così piena di difetti, così povera, così miserabile, e gl'Italiani d'allora così avvezzi a servire e a fare la volontà altrui, che il primo straccione che passava le Alpi poteva permettersi impunemente i giudizi più audaci; ma oggi, se Dio vuole, non è più così, e la rinnovata coscienza nazionale dà il diritto e il dovere di esigere il rispetto e l'ammirazione d'ogni straniero. Si obietterà che anche l'Italia ha i suoi difetti. Senza dubbio; ma non tocca agl'Italiani, suoi figli, a metterli in evidenza. I panni sudici, dice un proverbio, si lavano in casa; e tutte le volte che si può nascondere una cosa brutta o indecorosa, si deve farlo. Spesso mi è capitato di trovarmi insieme con stranieri i quali, non si sono fatti uno scrupolo di far critiche poco benevole verso il nostro paese. Il contegno da tenere in simili casi è di replicare brevemente, facendo intendere che in presenza nostra simili apprezzamenti non sono permessi, e soggiungendo che anche gli altri paesi hanno i loro difetti: se non gli stessi che abbiamo noi, altri non meno gravi. Lo straniero che ha osato permettersi una simile indelicatezza, generalmente se lo tiene per detto, e non tocca più l'increscioso argomento; se seguitasse, non c'è che piantarlo lì, e andare per i fatti nostri. Ogni buon Italiano deve sperare e affrettare col desiderio e con l'azione che venga il momento che l'Italia divenga la prima nazione del mondo, ed avere un giusto orgoglio di quello che intanto produce e fa. Siamo già sulla buona via, ma bisogna percorrerla sino in fondo. Mettiamo dunque da parte ogni sciocca idolatria per ciò che ci viene dall' estero. Fino a qualche anno fa, nessuna cosa in Italia aveva valore se non portava la marca estera: colpa in parte della deficienza della nostra produzione, ma anche della manìa che aveva invaso gl'Italiani: oggi, quel che si fa da noi è in gran parte ben fatto: libri, utensili, macchine, stoffe posson rivaleggiare con quelle delle altre nazioni d'Europa. Dobbiamo esser noi i primi a incoraggiare la nostra industria, dando la preferenza ai nostri prodotti, anche se, per le condizioni speciali d'un dato momento, il far questo c'imponga qualche sacrifizio. È l'unico mezzo per mostrarci buoni Italiani.

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L'uso di riconoscere e celebrare con una certa solennità le feste di famiglia è, a parer mio, ottimo: esso abitua alla gentilezza, rende più stretti i legami del sangue, è fonte di gioia e di soddisfazione. Non vogliamo per questo dire, ben s'intende, che le feste si debbano seguire a breve distanza, a scapito di tempo e di denaro; e nemmeno che esse debbano essere sempre e soltanto a base gastronomica, come troppo spesso avviene. In una famiglia distinta e bene educata si saprà dare un'aria di festa alla casa anche senza l'espediente del pranzo di parata, ricorrendo invece a quei nonnulla che sono di per sè stessi più che sufficienti, se adoprati con senno e intelligenza, a raggiungere lo scopo desiderato. Tra le feste religiose di carattere, diremo così, occasionale, metteremo come prima, per ragioni evidenti, il Battesimo. Era uso una volta che il Battesimo si facesse subito dopo la nascita, al massimo entro tre giorni; oggi si tende a ritardarlo un po', perchè la puerpera possa anch'essa goder della festa. Si tratta di consuetudini particolari ad ogni famiglia, sulle quali non tocca a noi a pronunziarsi: ognuno faccia dunque come crede. La scelta del padrino va fatta con tatto. Poichè quasi dappertutto v'è l'uso ch'esso faccia un regalo alla madre o al neonato, si farà in modo che la scelta non cada su persona, che si possa anche lontanamente supporre non essere in grado di sopportare una certa spesa; e neppure si ricorrerà a persone con le quali non si sia in qualche intimità. Comunque, messo l'occhio addosso a un individuo, bisognerà interrogarlo con garbo, e in modo da lasciargli facilmente il mezzo, quando lo creda, di rifiutare. Meglio se si potrà scegliere un parente molto prossimo, col quale trattare in tutta confidenza. Al Battesimo si va di solito in carrozza. La cerimonia al fonte battesimale avviene secondo le norme stabilite dalla Chiesa, che sono dappertutto le stesse, pur variando da paese a paese nei particolari di minore importanza. Ci asterremo perciò dal parlarne. Diremo soltanto che per un Battesimo, anche di gran lusso, anche fatto nelle ore pomeridiane, nè il padrino nè la madrina dovranno mai indossare l'abito da società: una severa toelette da passeggio è la più adatta. Al ritorno dal Battesimo, si preparerà agl'invitati il così detto rinfresco, il quale, se nelle ore pomeridiane, sarà ottimamente sostituito da un buon thè. Una famiglia borghese di modesta fortuna non si crederà in obbligo di far grande sfoggio di liquori o di dolci; baderà più alla qualità che alla quantità, contentandosi di offrire qualcosa di fine e di delicato agli amici intimi convenuti. Gl'invitati non si dimenticheranno che la festa è tutta in onore del nuovo nato e per conseguenza della madre a del padre. Sapranno dunque trovar parole gentili e cortesi per gli sposi; e se la madre è ancora in letto, non mancheranno d'informarsi di lei con premura. A cose normali, cioè quando il parto sia stato regolare, le signore potranno chiedere di veder la puerpera; ma, in sua presenza, eviteranno i mirallegri troppo rumorosi, le effusioni troppo esagerate, e la visita sarà più che possibile breve. Gli uomini, se non siano parenti strettissimi, non visiteranno la signora altro che dietro invito del padrone di casa. Tutti gl'invitati a un Battesimo sono tenuti, dentro gli otto giorni, a una visita o a una lettera di ringraziamento.

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Quando esso arriva, i membri sparsi si riuniscono; i figli più lontani si sottopongono a disagi e a spese per riunirsi ai genitori e ai fratelli, nella città che li ha visti nascere e che serba i più cari ricordi di gioventù. Infelice colui che passa il Natale in un albergo o in una casa fredda e muta; infelice lo scapolo che non può sedersi a una mensa «fiorita d'occhi di bambini», che gli diano il dolce nome di babbo o di nonno! Il ricordo del Natale segna le tappe della nostra fanciullezza. Ognuno di noi, anche da vecchio (da vecchio, anzi, più che da giovane) rammenta con un senso di rimpianto le belle serate trascorse dinanzi all'albero di Natale, col fremito dell'attesa per i dolci a i balocchi; ricorda le poesie recitate dinanzi alla Capannuccia, le lettere d'augurio e di promesse ai genitori, scritte faticosamente e più volte ricopiate in bella carta a rabeschi d'oro: ricorda la gioia serena di quando, più tardi, ha preparato l'albero e i regali ai propri figli, rivivendo nel cuore la sua passata giovinezza; ricorda tante cose, a l'anima gli si commuove. La festa di Natale è ormai così stabilmente votata alla tradizione, che sarebbe ridicolo insegnare ai nostri lettori come debbano trascorrerla. Tutto è ormai fissato e decretato, perfino le portate del pranzo familiare, per il quale nessuno ha l'imbarazzo della scelta. Su due cose soltanto ci tratterremo un momento: cioè, sui regali e sugli auguri. Gli uni e gli altri costituiscono due fatiche non lievi e due preoccupazioni che talvolta turbano la gioia del Natale. Non parlo, naturalmente, dei regali a degli auguri alle persone di famiglia: è per i genitori una gioia procurar tante piccole soddisfazioni ai loro figliuoli regalandoli di quello che sanno ch'essi desiderano da un pezzo. E l'augurio nasce caldo e spontaneo quando è rivolto alle persone alle q uali siamo legati da un affetto profondo e sincero. Parlo di quei regali che spesso si è costretti a fare per convenienza, di quegli auguri a persone che ci sono indifferenti. Per i regali aiuta, fortunatamente, la tradizione: ogni città produce quei cibi o quei dolci speciali per il Natale, che si possono senza inconveniente regalare agli amici. Per regali di speciale importanza, si cercherà sempre qualche oggetto utile. L'età nostra ha ormai rinunziato alle superfluità e preferisce di gran lunga l'utile al dilettevole. Quanto agli auguri, ci sono certe circostanze nelle quali essi vanno fatti a voce; specialmente alle persone di riguardo, agli infermi, ai vecchi, ai parenti più prossimi; per gli altri, basteranno gli auguri per la posta: il solito biglietto da visita! L'uso degli auguri e dei regali in seno alla famiglia è un uso gentile, che consolida e raffina i legami di parentela. Più che all'entità del regalo si deve sempre guardare al pensiero che l'accompagna e all'intenzione del donatore. E perciò non hanno scuse coloro che, sotto il pretesto di non aver tempo o denari, si esimono dal far doni. Si ricordino di questo specialmente i figli di famiglia: se essi sapessero o considerassero quanta sia la gioia dei genitori nel ricevere un piccolo regalo che attesti il pensiero gentile dei loro flgliuoli, non lascerebbero passar le feste natalizie senza dar loro questa così ambita soddisfazione. I doni di Natale si fanno di solito dinanzi all' albero illuminato e adorno: gentile usanza, la cui origine si perde nella notte dei secoli. E intorno all'albero è riunita la famiglia: i grandi lieti della gioia dei piccoli, i piccoli tutti intenti alle maraviglie che si succedono davanti ai loro occhi. Purtroppo, quando i piccoli diventano grandi, l'albero sparisce: le candeline, i festoni dorati, i piccoli oggetti di guarnizione vanno a finire in qualche cassetta dimenticata, nell'angolo più buio della soffitta. Ma, assai spesso, la loro sparizione non è definitiva; viene un giorno in cui essi rivedono la luce per i figli dei figli, e la bella cerimonia, interrotta per qualche lustro, ricomincia su per giù nello stesso modo. Soltanto, i giovani genitori d'un tempo sono diventati i nonni, e i bimbi d'allora conducono oggi per mano i loro figli a prendere i doni sotto l'albero benedetto. E benedetta sia la famiglia che conserva così, di generazione in generazione, quest' uso gentile e santo, simbolo perenne di concordia e di pace.

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Le condizioni economiche non floride non giustificano quell'assoluta trascuratezza che alcuni ostentano per simili ricorrenze: se non si possono fare spese superflue, si può sempre dimostrare in qualche modo, a colui o a colei di cui ricorre l'anniversario, il proprio affetto o la propria riconoscenza. Basterà una parola, un augurio affettuoso, un ricordo di poco valore, un piccolo rialto a pranzo. I figli verso i genitori, i giovani verso i vecchi, abbiano cura di non dimenticare questi giorni: i vecchi specialmente, quando vedono i loro figli o nipoti lasciar passare la loro festa del nome o degli anni senza una parola d'augurio, ne provano una profonda tristezza; e non è bene rattristare coloro a cui resta ormai poco da vivere e che hanno rinunziato a quasi tutte le soddisfazioni della vita. A persone di riguardo o ad amici intimi si usa mandare o portare gli auguri per il loro onomastico. Agli auguri giunti per iscritto si risponde ringraziando.

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Abbiamo già avuto occasione di parlare, nella prima parte di questo libro, dei doveri di chi sia invitato a pranzo in casa d'amici. Parleremo ora brevemente del modo con cui l'ospite deve esser ricevuto, e più specialmente delle cure che una buona massaia deve dare alla preparazione del pranzo. Si capisce che non intendiamo parlare dei veri e propri pranzi di parata, noiosissimi per chi li dà e per chi li riceve. Questo libro, l'abbiamo già detto più d'una volta, è destinato soltanto alle famiglie della buona borghesia, che intendono comportarsi educatamente nelle varie circostanze della vita. Vediamo dunque qual siano i principali doveri di chi voglia radunare intorno alla propria tavola qualche amico, o anche delle persone di riguardo, per passare insieme un'ora di piacevole compagnia. La preparazione del pranzo è, naturalmente, la cosa più importante; e da essa si riconosce il buon gusto dei padroni di casa. Un tempo, s'imbandivano dei pranzi pantagruelici, con un'infinità di portate così abbondanti, che più di mezze ritornavano in cucina; oggi, e con più buon gusto, si preferisce la qualità alla quantità, badando più che altro alla delicatezza dei cibi e alla loro elegante disposizione. Ad ogni modo, senza giungere alle esagerazioni dei nostri avi, si provveda a che la roba non scarseggi, e non abbia ad accadere che qualche convitato debba servirsi scarsamente. Un pranzo si compone generalmente dei così detti principî, di una minestra, di alcune portate guarnite, di un dolce o gelato, formaggio, frutta e caffè. I principî possono essere di vario genere, e non è nostro compito indicarne le diverse specie. Ma, di qualunque genere siano, debbono essere fini e delicati e non troppo abbondanti. Servono, come si suol dire, a stuzzicar l'appetito e a preparar lo stomaco ai cibi che verranno: perciò ogni convitato se ne servirà con parsimonia. Quanto alla minestra, l'etichetta vuole che sia servita in piccola quantità; ma a un pranzo che non abbia pretese troppo aristocratiche, si potrà servire, senza incorrere nella taccia di grossolanità, una buona scodella di minestra ben calda. Le portate, per così dire, di prammatica di un pranzo di buon gusto sono tre, raramente quattro. I nostri nonni, su questo punto, erano d'un rigorismo feroce, e i piatti erano sempre gli stessi: lesso, fritto, umido e arrosto; qualche volta, nei pranzi meno sontuosi, si faceva a meno del lesso o del fritto, ma il resto non cambiava; cambiava soltanto la materia prima, per chiamarla così: il lesso poteva essere di manzo o di pollo, l'arrosto di pollo o d'agnello o di manzo, l'umido di vitella o di rigaglie: la scelta, come si vede, era molto ristretta. Oggi invece è ormai sanzionata dall'uso una libertà maggiore; tuttavia, anche nei nuovi e variati aspetti, le portate conservano ancora, almeno nel fondo, il loro carattere primitivo. Ad ogni portata sarà sempre unito un piatto di legumi: così vogliono l'uso e l'igiene. Il dolce sarà fine e abbondante; belle e abbondanti e ricche le frutta; aromatico il caffè. Prima di dire come si debba servire un pranzo, occorre premettere qualche parola sul modo di preparare la tavola; preparazione divenuta nell' uso d'oggi importantissima e da cui traspare il buon gusto e la finezza della padrona di casa. La tavola deve esser disposta e preparata in modo da dare ai commensali un senso d'elegante semplicità. Si eviterà dunque di sovraccaricarla troppo con oggetti incomodi o ingombranti: una candida tovaglia, più fine che è possibile, i piatti e le posate disposti in bell'ordine, i bicchieri di varia grandezza ben allineati; nel mezzo le bottiglie dell'acqua e del vino, le saliere, ecc.; dei piccoli vasi da fiori davanti a ciascun piatto o uno più grande, ma basso, nel centro: ecco quanto è necessario e sufficiente a una bella apparecchiatura. La finezza della biancheria, la bellezza del vasellame, della cristalleria e della posateria contribuiscono più che tutto all'eleganza d'una tavola, anzi si può dire che siano l'unico ornamento di essa. Sbagliano tuttavia coloro che credono di renderla più bella facendo sfoggio di tutta la guardaroba e di tutta l'argenteria; poichè il troppo nuoce, anche se è bello. È quindi da approvarsi l'abitudine ormai invalsa di disporre sulla credenza o su altra tavola tutti gli oggetti che dovranno servire nel corso del pranzo, salvo i bicchieri: sulla tavola da pranzo si troverà soltanto un piatto per ciascun convitato, e una posata. Tovaglia e tovagliuoli di candido lino sono i più adatti in ogni circostanza; potranno anche esser finemente ricamati e traforati con gusto. Oggi, specialmente nei pranzi in campagna e nelle colazioni che abbiano un certo carattere intimo, si fa uso di biancheria colorata; e l'uso non è da disprezzarsi, quando si sappia con gusto scegliere i colori e i disegni. Il pranzo deve esser servito da persone attente e pratiche, in modo che la padrona di casa non sia costretta a correggere gli errori e tanto meno ad alzarsi da tavola. Si cambierà il piatto e le posate ad ogni portata; si serviranno le pietanze alla sinistra di ogni convitato e si eviterà l'uso familiare di posare il vassoio nel mezzo della tavola. Ogni pietanza sarà sempre servita due volte, salvo la minestra e il formaggio; e si farà in modo che fra pietanza e pietanza corra il tempo necessario perchè possano mangiare comodamente anche i più lenti, senza tuttavia esagerare: i lunghi intervalli fra piatto e piatto stancano i convitati e prolungano troppo la seduta a tavola. Nei pranzi di parata, sarebbe una sconvenienza invitare gli ospiti a riprendere ancora di questa o di quella vivanda; ma abbiamo già detto che di tali pranzi non ci occupiamo. In quelli di famiglia, anche se abbiano una certa pretesa d'eleganza, non ci sarà nulla di male se il padrone o la padrona di casa incoraggeranno l'ospite a mangiare con qualche parola cortese; ma, per carità, non s'insista mai su questo punto: detta la parola e ricevuto un cortese rifiuto non è lecito aggiungere altro. Non è neppure segno di buona educazione incitar l'ospite a bere, riempiendogli il bicchiere ad ogni momento, o infastidirlo con dei continui: - Ma Lei non mangia; ma Lei non beve! - L'ospite ben educato sa da sè come deve comportarsi, conosce la capacità del proprio stomaco e ha tutto l'interesse a non levarsi da tavola con la fame come a non prendere un'indigestione. Si lasci dunque fare, o tutt'al più si inviti con parole gentili a non far complimenti e a considerarsi come in casa sua. La parte più scabrosa d'un pranzo è il principio, quando ancora i convitati non si sono ben affiatati, e la tavola è silenziosa. Più tardi, i cibi e il vino, anche se presi in dosi convenienti, faranno il loro effetto: la cordialità regnerà da sovrana e la conversazione diverrà spiritosa e animata. Il padrone e la padrona di casa metteranno perciò ogni impegno a superare quel primo quarto d'ora d'imbarazzo, sostenendo essi stessi la conversazione 7 su argomenti piacevoli e gai; ma sapranno farlo con tatto, in modo da lasciare agl'invitati tutta la libertà di mangiare e di bere. Un pranzo ben riuscito non è soltanto quello in cui siano stati serviti cibi e vini squisiti, ma quello che sia stato rallegrato da una conversazione arguta e piacevole. Quest'ultima qualità essenziale si ottiene soprattutto con una sapiente e prudente scelta dei convitati, invitando persone che per carattere, per cultura, per educazione, per idee, possano stare bene insieme e trovarsi facilmente d'accordo. Esistono individui dotati di particolari requisiti, che sono, in questi casi, veramente preziosi: simpatici all'aspetto, buoni parlatori, faceti, pieni d'un umorismo lepido e castigato. La loro presenza basta a tenere allegra la conversazione, a stabilire legami d'amicizia, sia pure provvisoria, fra i convitati. Un padrone di casa farà gran conto di essi e non mancherà, quand'è possibile, d'invitarli. Finito il pranzo, si suol passare in altra stanza a prendere il caffè e a fumare. Generalmente, si proseguono allora le conversazioni incominciate e la cordialità diviene più espansiva. Il compito dei padroni di casa è quindi di molto facilitato, ma non finito. C'è sempre, fra i convitati, specialmente se numerosi, qualcuno che rimane in disparte, o per naturale timidezza o perchè il genere di conversazione che si sta svolgendo non è adatto per lui. A costui o a costoro si rivolgerà allora l'attenzione degli anfitrioni, i quali troveranno modo di toglierlo dal suo isolamento rivolgendogli parole cortesi o toccando argomenti che sappiano interessarlo. Dopo il caffè, e fatta una mezz'ora di conversazione, gl'invitati prendono generalmente congedo, con parole di ringraziamento, dai loro ospiti. Ma negli inviti che abbiano una certa intimità, e specialmente in campagna, questo periodo del dopopranzo si protrae talvolta a lungo, anche per qualche ora. Se ciò avviene, i padroni di casa hanno il dovere di intrattenere piacevolmente i loro ospiti con qualcos'altro che non sia la semplice conversazione. Se la compagnia è tutta omogenea e vi predomina l'elemento giovane, si troverà modo con molta facilità di passare allegramente il resto della giornata mettendo tutti d'accordo: dei giuochi di sala, i soliti quattro salti, una passeggiata nel giardino o nel bosco sono altrettanti mezzi adatti allo scopo. Ma nel caso, più frequente, di molti gusti da contentare, bisognerà ricorrere a vari espedienti: mentre le persone d'età rimarranno probabilmente in salotto a parlare del più e del meno, gli altri si raduneranno intorno al pianoforte o nella sala da biliardo o scenderanno in giardino all'aria aperta. Toccherà allora ai padroni di casa a farsi in quattro, come suol dirsi, per riparare a questo e a quello, per far sentire la loro presenza dappertutto: fatica non lieve e tutt'altro che piacevole, che si aggiunge all'altra sostenuta durante il pranzo e prima di esso; ma, come dice un proverbio, quando si è in ballo bisogna ballare. Quando gli ospiti si congedano, i padroni di casa li ringraziano dell'onore ricevuto ospitandoli; sicchè, lo scambio di cortesie è reciproco. Dentro gli otto giorni è di regola la così detta visita di digestione.

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Le difficoltà d'un invito, sempre gravi in una casa borghese, crescono a mille doppi quando si tratta d'un ballo. Per dare un ballo in modo dignitoso, occorre una spesa non indifferente, una casa adatta, con sale d'una certa ampiezza, e un'organizzazione minuziosa. Quindi, come regola generale, non si dia mai un ballo se non si è in condizioni di darlo: meglio rinunziare a una cosa non necessaria, per quanto piacevole, che esporsi a fare una cattiva figura. Quando i mezzi e lo spazio non mancano, si abbia cura specialmente di tre cose: della scelta degl'invitati, dell'addobbo delle stanze da ballo, del buffet. Quelle norme che abbiamo già date sul ballo in genere e sull'accettazione o meno d'un invito, valgono anche qui. Se abbiamo consigliato ad una buona madre di famiglia di non condurre le proprie figlie a ballare in case dove non si sia sicuri d'incontrare una compagnia superiore anche al più lontano sospetto, dobbiamo ora consigliare chi si propone di dare un ballo a scegliere con grande oculatezza gl'invitati, in modo da evitare che qualche elemento discordante turbi l'intimità e la dignità della festa. S'invitino dunque persone della cui buona educazione e correttezza si abbiano prove sicure, scartando tutti coloro che anche lontanamente ci siano sospetti. Secondo l'importanza del ballo, gl'inviti si fanno a voce o per iscritto, e generalmente molto tempo prima (una quindicina di giorni almeno) della data stabilita. È bene ch'essi siano limitati, specialmente se lo spazio di cui si dispone non è molto: l'affollamento nuoce quasi sempre all'andamento regolare della festa. Per quel che riguarda più da vicino i preparativi del ballo, è necessario, per far le cose in regola, avere a disposizione almeno tre sale: una più grande, dove si ballerà; una seconda per coloro che non ballano o si riposano dopo aver ballato; una terza per il buffet. La sala da ballo deve essere molto illuminata e vuota d'ogni mobile: tutt'al più, se è molto grande, può aver tutt'all' intorno degli stretti divani, per i ballerini e le ballerine. In un angolo si farà il posto per il pianoforte o per l'orchestrina. Non importa dire che, se appena appena il ballo è d'una certa importanza, ci devono essere per la musica delle persone apposta: sottoporre al martirio di sonare a ballo per ore e ore qualcuno degl'invitati, è cosa alla quale non si deve neppur pensare. Sul pavimento della sala da ballo si stende generalmente una tela a mo' di tappeto, che trattiene la polvere e facilita i movimenti delle coppie danzanti. La seconda sala sarà invece provvista di ogni comodità. In essa potranno stare a loro agio le mamme che non ballano o coloro che si riposano. Ottima cosa sarà poter disporre di una stanza contigua, riservata specialmente agli uomini che fumano o giuocano; servirà mirabilmente, a questo scopo, la sala da biliardo, se c'è, o anche lo studio del padrone di casa. La sala da buffet rimane generalmente chiusa e oscura fino a quando non entra in funzione, cioè verso la mezzanotte. In essa, su una lunga tavola centrale, o su piccole tavole laterali, sono disposti i cibi e le bevande destinati agl'invitati. La preparazione d'un buffet freddo per una festa da ballo di una certa importanza è un affare difficile e complicato; e la cosa migliore è affidarla a persona dell'arte, risparmiandosi fatiche talvolta, sgradite sorprese. Tuttavia, chi voglia farla da sè, tenga conto soprattutto che la nottata è lunga e che i ballerini sono generalmente molto giovani e d'ottimo appetito. Ci sia dunque una certa abbondanza di cibi e di bevande. In generale i cibi principali sono il pollo in galantina, gli sformati, il prosciutto, i crostini assortiti, le paste dolci, le arance, i mandarini e altre frutta; per le bevande, oltre lo spumante, che è di rito, i vini bianchi e in special modo le bibite ghiacciate, come aranciate e limonate, delle quali si fa durante la notte gran consumo. Quando cominciano ad arrivare gl'invitati, il padrone e la padrona di casa debbono interamente dedicarsi al loro ricevimento, non omettendo mai di presentarli gli uni agli altri, quando non si conoscano. È questa la regola più antica e più comoda; oggi, specialmente quando si tratti di balli con gran numero d'invitati, si omette spesso questo cerimoniale; in tal caso, gl'invitati si presentano fra loro al momento opportuno. Durante il ballo, i padroni di casa e le altre persone di famiglia, se ce ne sono, devono occuparsi soprattutto delle persone che non ballano. Sono queste, in generale, le mamma e i babbi, e quelle povere signorine che la natura matrigna, privandole delle doti di grazia e di bellezza, destina a far da tappezzeria. Il padrone di casa farà dunque l'opera buona d'invitarle ogni tanto, e per turno, a fare un giro con lui, e pregherà garbatamente i suoi amici più intimi a far lo stesso. Intanto la signora terrà circolo con le mamme, cercherà di affiatarle fra loro, intavolerà la conversazione; e quando vedrà che tutto procede bene, potrà anche alzarsi per occuparsi d'altro. Di tanto in tanto, farà anch'essa il suo giro di ballo, accettando qualche invito; ma non ballerà tutta la notte, lasciando la sorveglianza generale della festa. Per dei padroni di casa che desiderano che tutto proceda regolarmente, una festa da ballo esige una gran fatica e molto spirito di sacrifizio. L'unica preoccupazione di chi la dà dev'essere di far divertire gli altri senza pensare a sè; l'unica soddisfazione, quella di veder godere gli altri. Abbiamo parlato altrove degli abiti da ballo. Qui diremo soltanto che il padrone a la padrona di casa devono per i primi strettamente uniformarsi alle regole che hanno stabilite. Se si è imposto l'abito nero, sarebbe una sconvenienza presentarsi in giacchetta, col pretesto che si è in casa propria; se non si è imposto, sarebbe un esporre gl'invitati a far cattiva figura, indossando il frac. Quanto ai figliuoli, se sono molto piccoli, non conviene che prendano parte al ballo: essi sono quasi sempre d'impiccio, e la loro salute non gode a perdere per una notte intera il riposo e il sonno; se sono grandicelli, potranno assistere alla prima parte del trattenimento più come spettatori che come attori; quasi sempre, i bambini che ballano intralciano le danze dei grandi. Queste regole non valgono naturalmente per i balli dei bambini, che si danno nelle ore del giorno. In essi, soltanto i bambini devono ballare, e i grandi, anche se molto giovani, devono far la parte di spettatori. Per quel che riguarda il vestito, una madre saprà vestire il proprio piccino con eleganza, senza arrivare all'esagerazione. Purtroppo si vedono talvolta girare per le sale dei bimbi abbigliati come tante bambole, pieni di fronzoli e di nastri; e la madre che è responsabile di una tale caricatura vien subito tacciata di cattivo gusto. Si può, anzi si deve, unire l'eleganza, alla semplicità, perchè ciò che veramente è elegante non può non essere anche semplice. Tornando all'argomento, la festa ha termine di solito la mattina, fra le quattro e le sei; ma gl'invitati possono lasciarla anche prima, quando lo credano conveniente; nè i padroni di casa hanno diritto di aversene per male. Nelle feste di gran parata e molto numerose, si può filare all'inglese, cioè senza salutare gli ospiti; ma nei balli di famiglia, e quando si abbiano relazioni d'amicizia con chi dà la festa, l'accomiatarsi con parole gentili è d'obbligo. Ed è pure d'obbligo una visita di ringraziamento dentro gli otto giorni.

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Vi figurate voi una donna che dovesse a ogni momento, per la strada, togliersi il cappello? Sarebbe un disastro! Ogni saluto richiederebbe, dopo, un quarto d'ora per accomodare i capelli e fermarsi di nuovo il cappello, e ci vorrebbero specchi sui muri di tutte le case. Il saluto dell'uomo dev'esser fatto con eleganza e con semplicità, soprattutto con naturalezza. Il gesto dev'esser sobrio e disinvolto, senza affettazione e nello stesso tempo senza impaccio: esso sarà tuttavia diverso nelle diverse circostanze. Una persona di rispetto, una signora, un uomo illustre devono esser salutati con una certa cerimonia, e il gesto avrà una certa ampiezza e solennità. Per gli amici, le persone di confidenza, i parenti basterà un saluto più semplice. Senza arrivare alla esagerazione di certuni, che colgono continuamente l'occasione di salutare, per far vedere che hanno molte conoscenze, ricordatevi che il saluto è un atto di civiltà, e non ne siate avari. Soprattutto, rispondete sempre a chi vi saluta: non c'è cosa più brutta che vedere un uomo che, salutato, non risponde, o si contenta di un vago cenno del capo. A chi si leva il cappello incontrandovi, fosse anche il vostro servitore o il vostro contadino, rispondete con un saluto uguale. Molte persone, per salutare, hanno la brutta abitudine di portar la mano al cappello, senza levarselo. Un tal gesto non è permesso che a un vetturino; in una persona civile, si considera a buon diritto come un atto di negligenza o anche come un'impertinenza. Quando salutate una persona di rispetto, se avete il sigaro o la sigaretta in bocca, levateveli prima di salutare. Se una signora, che avete salutata, si ferma a parlare con voi, sarà un atto cortese da parte vostra di parlarle col cappello in mano, finchè essa non vi preghi di coprirvi; ed è cortesia da parte sua pregarvene. Salutate la bandiera nazionale, quando sventola in testa a un reggimento o a un corteo: è un atto di patriottismo, doveroso in ogni buon italiano. Salutate i cortei funebri, i carri-lettiga che trasportano malati o feriti; è un omaggio all'infelicità e alla sventura. Non entrate mai in una casa, anche di persone di gran confidenza, col cappello in capo; ma levatevelo sulla porta d'ingresso, e non rimettetevelo che sul pianerottolo delle scale. Quanto alla precedenza del saluto, di regola l'inferiore deve salutare per il primo il suo superiore; ma il superiore preverrà il saluto dell'inferiore, se questo è accompagnato da una signora. Un uomo deve sempre salutare per il primo una signora, anche se inferiore a lui di condizione. In omaggio a quelle norme di civiltà che debbono osservarsi anche fra persone strettamente congiunte, noi stimiamo doveroso il saluto anche fra i componenti la stessa famiglia. È bello vedere un figlio salutare il padre o la madre con la stessa cortesia con la quale saluterebbe un superiore, o un fratello togliersi il cappello incontrando la propria sorella. Chi assiste a tali incontri, si fa subito un buon concetto di quel figlio o di quel fratello. In generale, il saluto, una volta fatto, non si ripete dopo breve tempo. Accade non di rado, su una passeggiata o per le vie d'una piccola città, d'incontrare di nuovo persone già salutate poco tempo prima: non è buona educazione ripetere il saluto. Se incontrate delle persone, e non siete sicuri se esse vi vedono o no, salutate lo stesso, senza avervi a male se il saluto non vi viene reso. Meglio un saluto perduto che il rischio di passare per ignoranti. In questo caso, incontrando di nuovo la stessa persona, rinnovate il vostro saluto. Se siete seduti in un giardino pubblico, salutate levandovi il cappello e facendo l'atto di alzarvi, se si tratta di uomini; se passano davanti a voi delle signore, salutatele alzandovi del tutto da sedere. Se vi trovate al caffè o al ristorante, e siete senza cappello, salutate con la testa. Oggi è di moda girare per la città senza cappello. L'uomo che è senza cappello, o che, per un caso qualunque, lo tiene in mano, saluterà inclinando la testa, su per giù come le signore. Se il saluto dovrà esser profondo e rispettoso, all' inclinazione della testa s'aggiungerà quella del busto, sempre però senza esagerazione. Avvezzate i vostri bambini a salutare tutte le volte che voi salutate. Le signore, come abbiamo detto, salutano con la testa. Come regola generale, esse non salutano mai per le prime, ma restituiscono il saluto, quando s'incontrano con uomini: potranno tuttavia, anzi dovranno salutare per le prime gli uomini di età, gli uomini illustri, coloro cui son legate da vincoli di obbedienza o di rispetto; ma questi, alla lor volta, faranno di tutto per prevenire il loro saluto. Incontrandosi con persone del loro sesso, osserveranno le stesse regole che abbiamo date per gli uomini.

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Messi gli occhi addosso a una fanciulla e ricevuto il consenso del figlio, il padre e la madre del futuro sposo indossavano i loro abiti da cerimonia, lui il soprabito e il cilindro, lei la crinolina e la cuffia di merletti; poi si recavano in gran pompa a casa dei genitori della sposa futura, e in un segreto e grave colloquio stabilivano ogni cosa fino nei più minuti particolari. Dopo, soltanto dopo, i due promessi avevano la facoltà di vedersi e di parlarsi.... insomma, di fare all'amore. Sarà; ma io scommetterei che c'erano anche allora delle testoline vivaci, dei giovani innamorati, che pensavano da sè a scegliere in cuor loro l'anima gemella e che inducevano i genitori a fare a modo loro. C'erano senza dubbio, per quanto con meno frequenza d'oggi; ma di questo cambiamento di costumi e di abitudini non dobbiamo dolerci. Il matrimonio è cosa tanto importante nella vita dell'uomo e della donna, che è bene avvenga per iniziativa o per diretto consenso ed accordo degli interessati, senza la costrizione imposta dall'uso o dalle convenienze. Anche oggi la domanda si fa spesso dai genitori dello sposo; ma quando c'è il consenso dei genitori, nulla vieta che il giovane stesso si rechi in persona dal padre della fanciulla e si levi d'impaccio da sè. È certo un momento scabroso, e di cui resta il ricordo per tutta la vita. Il giovane, sebbene il più delle volte sia già sicuro dell' affetto della fanciulla (in quanti modi quell'affetto si è saputo manifestare!), è pieno di dubbi e d'esitazioni. E se si fosse sbagliato? E se il padre avesse altre mire e gli rispondesse un bel no? Il padre, a sua volta, sa già a un dipresso di che cosa si tratta, ma non è neanche lui perfettamente tranquillo: troppe sono le cose che gli restano ancora da sapere, troppe le incognite da mettere in chiaro. E intanto in un luogo non lontano, forse nella stanza accanto, c'è un'anima in pena, che comprime a fatica i battiti del cuore. La domanda di matrimonio dev'esser fatta con dignità e con franchezza. Alle inevitabili interrogazioni che il padre della fanciulla rivolgerà al giovane o ai suoi genitori, si deve rispondere con leale sincerità, anche se si teme che la risposta possa avere tristi conseguenze. Tutto, sul principio delle trattative, è preferibile a un malinteso che può produrre poi dissapori e discordie dolorosissime. Si riconosca nel padre della fanciulla il diritto di veder chiaro negli affari del futuro genero e non si trovi strano s'egli insiste nel chiedere schiarimenti di natura intima, che in tutt'altra circostanza potrebbero sembrare sconvenienti. Il giovane o i genitori di lui, che fanno per i primi la domanda, si sottintende che sanno già molte cose sul conto della fanciulla e che la trovano di loro gusto. Perciò essi hanno minor diritto a chiedere chiarimenti e dilucidazioni. Tuttavia possono anch'essi, durante il cordiale colloquio, mettere in chiaro quello che è di principale importanza. Se, dall'una o dall'altra parte, la domanda di matrimonio coinvolge questioni d'interesse, sarà ottima cosa metterle in chiaro in quel primo abboccamento o, se si crede più opportuno, in un secondo; sempre però prima che sia dichiarato ufficialmente il fidanzamento. Le questioni d'interesse sono sempre gravi e noiose a trattare, ma è un grande errore rimandarle di giorno in giorno, per un falso sentimento di convenienza. Le parole a mezzo, i complimenti, le reticenze danno spesso origine ad illusioni, che poi svaniscono bruscamente con dolore di chi ci aveva fabbricato sopra castelli in aria. Il matrimonio non è e non dev'essere un contratto commerciale; ma poichè la vita ha le sue necessità materiali, bisogna adattarsi anche in tale circostanza a parlar chiaro e senza doppi sensi. Il padre della fanciulla ha tutto il diritto di sapere quali siano i mezzi di sussistenza del giovane che aspira ad entrare nella famiglia, e, se vi sono dei beni immobili, quale parte gliene spetterà un giorno. A sua volta, il padre del giovane ha diritto d'informarsi se la fanciulla ha una dote, e in che cosa precisamente questa consiste, e come le sarà data, ecc. Messe in chiaro una volta per sempre tutte queste cose, si potrà non parlarne più per tutto il periodo del fidanzamento, nella mutua fiducia delle già fatte dichiarazioni.

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Spessissimo invece il giovane potrà offrire a colei che ama dolci e fiori. Durante il fidanzamento, specialinente se si protrarrà per qualche tempo, bisogna che ambedue i promessi sposi si sottopongano a certe norme, volute dall'uso e dalla convenienza. Il fidanzato eviterà d'andare ogni momento a casa della fidanzata, anche se le sue occupazioni glielo permettono, e sceglierà sempre, ad ogni modo, ore adatte. Fisserà, insieme coi parenti di lei, un orario, al quale, salvo eccezioni, cercherà di attenersi rigorosamente. Ogni madre di famiglia ha le sue occupazioni e, quando arriva il futuro genero, essa è costretta ad abbandonarle tutte. Quali sono i doveri d'una madre quando la figlia è fidanzata? Quale il contegno ch'essa deve tenere verso la giovane coppia? Una volta, le norme a questo proposito eran chiare e precise: i fidanzati non si vedevano, non si parlavano, non uscivano a passeggio se non sotto la sorveglianza oculata e continua della madre della fanciulla o d'altra persona della famiglia; per eccezione, questa sorveglianza era qualche volta affidata ai parenti dello sposo. Oggi, anche in questo, come in tante altre cose, si procede con meno rigore e si arriva anche a lasciare che i fidanzati vadano a passeggiare insieme soli, all' inglese. Qual'è, fra questi due estremi, la via da tenere? Noi crediamo che non si possano dare precise regole generali; poichè la necessità d'una maggiore o minore sorveglianza dipende da tante cose, che cambiano da famiglia a famiglia, da consuetudine a consuetudine. Una madre intelligente che conosce a fondo la propria figliuola e che ha avuto modo di far pratica delle inclinazioni e del carattere del futuro genero, saprà via via come regolarsi; e, quando crederà di poterlo fare senza danno, rallenterà un po' i legami d'una stretta sorveglianza. Ad ogni modo, essa si guarderà dall'eccedere nella sua condiscendenza; e ciò non solo per evitare inconvenienti che potrebbero sempre verificarsi, ma anche per non incorrere nel biasimo del mondo, la cui opinione, anche se errata o maligna, ha sempre gran peso. Così, noi non approviamo assolutamente il sistema di lasciare andar fuori soli i fidanzati, contravvenendo ad un uso particolare di tutta la stirpe latina. In Inghilterra, in Germania, si fa diversamente, lo so; ma quante altre cose si fanno in quei paesi, che in Italia non sono possibili! E ciò, senza tener conto delle differenze di clima, di razza, d'educazione. La madre lascerà invece una certa libertà alla figlia in fatto di corrispondenza. I fidanzati, si sa, hanno molte cose da dirsi, e anche se si vedono tutti i giorni, non possono fare a meno di scambiarsi spesso delle lettere. Una madre che ha fiducia della propria figlia e di colui che le sarà compagno, lascerà che i due colombi serbino per sè il dolce segreto della corrispondenza d'amore: spesso un senso di delicato pudore impedisce alla figlia di confidare i suoi intimi sentimenti a chicchessia, anche alla propria madre. Ma la madre reclamerà i suoi diritti tutte le volte che avrà ragione di credere che le cose non vadano come debbono andare. I due giovani, insieme coi genitori dell'una e dell'altro fanno, sul principio del fidanzamento, alcune visite ai parenti più stretti. Sono visite di famiglia, che non hanno nulla d'ufficiale; ma doverose per chi le fa, e gradite per chi le riceve. Con esse, ciascuno dei due giovani comincia a farsi conoscere ai suoi futuri parenti, comincia a far parte della famiglia nella quale sta per entrare. Un consiglio ai fidanzati, prima di terminare questo capitolo. Per quanto due cuori battano all' unisono, per quanto l'affetto e la stima reciproca siano grandi e profondi, vien sempre un giorno, durante il fidanzamento, nel quale una nube oscura vela il sereno delle giornate d'amore. Il più delle volte si tratta d'una piccolezza, della quale si ride volentieri quand'è passata; qualche volta anche di cosa d'una certa gravità. In tali circostanze, noi raccomandiamo vivamente ai giovani, la cui natura è quasi sempre ardente e impulsiva, una gran calma e una gran prudenza. Si guardino dalle parole acri e pungenti, dalle decisioni improvvise e irrimediabili: si risparmieranno lacrime e pentimenti. Una giovinetta intelligente, quando sia sicura dell'affetto del suo fidanzato, non abbia esigenze irragionevoli, non pretenda da lui sacrifizi gravi e continui; gli uomini in genere, e i giovani in particolare, amano d'essere indipendenti, desiderano di non sembrare schiavi delle volontà e dei capricci d'una donna; sono talvolta bruschi, impazienti, autoritari. In questi casi, la dolcezza e una ragionevole sottomissione, i rimproveri fatti con mitezza e con affetto valgono a raggiunger lo scopo molto più che non le scenate clamorose e violente. D'altra parte, una signorina fidanzata ha dei doveri ai quali non può sottrarsi; essa dev'esser pronta a fare dei sacrifizi, a rinunziare a dei divertimenti, anche innocenti. La società non impone all'uomo e alla donna eguali doveri: sarà forse un'ingiustizia, ma è così, e non è dato a noi di mutare uno stato di cose che dura da migliaia d'anni. Per esempio, una signorina che si recasse a un ballo senza il permesso o all'insaputa del fidanzato, commetterebbe una colpa grave; la mancanza non sarebbe ugualmente grave se fosse invece commessa dal fidanzato. Ma il giovane che ama veramente colei che deve esser sua moglie, non abusi dei suoi privilegi d'uomo libero e indipendente. Si ricordi che, se la donna non può far appello a privilegi sociali, può però soffrire e addolorarsi, può sentir diminuire in sè l'affetto e la stima per lui. La tratti dunque da pari a pari, e ai sacrifizi che le richiede sappia trovar compenso con sacrifizi propri. Soltanto così si cementerà quell'affetto che deve poi durare, secondo la bella espressione biblica, per tutta la vita e più in là.

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Accade qualche volta che quando tutto è pronto, magari alla vigilia del matrimonio, la mancanza d'un foglio o d'una formalità costringe a rimandar tutto di qualche giorno. Se dunque si hanno amici o parenti di buona volontà, che prendano sopra di sè l'incarico di fare i fogli, come suol dirsi volgarmente, si accetti con entusiasmo e si serbi loro gratitudine del non lieve favore. In caso contrario si faccia da sè, ma con metodo e senza furia, e non si fissi nulla definitivamente se non si è sicuri che tutto è pronto. Gl'inviti ai parenti e agli amici si facciano almeno otto giorni prima, per dar tempo alle signore di preparare le loro toilettes. Se la cerimonia è d'una certa importanza, si faranno per iscritto e magari a stampa; se si tratta di cosa intima, basterà farli a voce. Di ritorno dalla cerimonia religiosa e civile, gli sposi e gi'invitati si riuniscono a una colazione intima. Quest'uso è preferibile all'altro, più antico e ormai quasi abbandonato, del pranzo di nozze. Una lunga seduta a tavola male si addice a persone, quali gli sposi e i loro genitori, che hanno passato una mattinata piena di emozioni dolci ma gravi, e che hanno in cuore il pensiero doloroso del prossimo distacco. Una colazione richiede tempo e fatica minori, e si svolge con più comodità. Essa si fa generalmente nella casa della sposa; ma oggi si usa anche farla in un locale pubblico, in un albergo o in un ristorante; e bisogna convenire che un tale uso, per quanto poco simpatico, offre vantaggi non trascurabili, togliendo ai parenti della sposa, affaticati e preoccupati da tante altre cose, una causa di nuove e non lievi fatiche e preoccupazioni.

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Generalmente, usa che la sposa sia accompagnata alla Chiesa e al Municipio dalla sua più prossima parente; giunta a destinazione, essa prende il braccio del padre o, in mancanza di esso, di un fratello o d'un vecchio parente od amico, seguìta dallo sposo che è accompagnato dai suoi e dà il braccio alla sorella della sposa o a una delle signore. All'altare e davanti al Sindaco essa dà la destra allo sposo poichè, forse in quest'unico caso, la legge s'impone all'etichetta. Secondo le disposizioni vigenti, il matrimonio civile deve precedere quello religioso. Quasi sempre essi si fanno nello stesso giorno, anzi nella stessa mattina; ma qualche volta la cerimonia davanti al Sindaco avviene il giorno prima, la mattina o nel pomeriggio. In tal caso essa si fa senza pompa: la sposa indossa un elegante abito da passeggio, lo sposo un vestito nero o molto scuro. Terminata la cerimonia, ognuno ritorna a casa sua, in attesa del giorno seguente. Terminato il matrimonio religioso, la sposa dà il braccio a colui che ormai è suo marito davanti a Dio e agli uomini. Ambedue entrano nella stessa carrozza e sono generalmente lasciati soli; nelle altre carrozze prendono posto i genitori e i testimoni, secondo quell'ordine che si crederà più conveniente. Alla colazione di nozze siedono tutti gl'invitati. Nel centro, lo sposo alla sinistra della sposa; a sinistra dello sposo, la madre della sposa e il padre dello sposo; a destra della sposa, la madre dello sposo e il padre della sposa; poi di qua e di là, i testimoni; infine gli altri invitati in ordine d'importanza. Verso la fine della colazione la sposa si alza e, aiutata dallo sposo che sorregge il vassoio, distribuisce ai presenti i confetti di rito. Se, nel fratternpo, si faranno auguri o discorsi, toccherà alla sposa, ormai donna e non più fanciulla, a trovare parole gentili di ringraziamento; per quanto stanca o commossa, essa non può esimersi dai suoi nuovi doveri di signora maritata! La distribuzione dei confetti segna generalmente la fine della cerimonia intima. Gl'invitati faranno bene a non trattenersi troppo in una casa dove tutti, per tante e diverse ragioni, hanno desiderio e bisogno di restar soli; e prenderanno commiato con parole affettuose d'augurio. Il grand'atto è compiuto: e la giovane coppia entra nella vita nuova.

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Il fidanzamento è, come tutti sanno e dicono, un periodo di prova, durante il quale i due promessi si studiano, e imparano ad amarsi e a conoscersi a vicenda. Tutto questo è vero fino a un certo punto: certo, se l'uno o l'altro dei due ha dei difetti gravi, essi vengono fuori durante il fidanzamento; ma la vera conoscenza reciproca dei due cuori e delle due anime non avviene che dopo il matrimonio, nell'intimità giornaliera della vita. Allora veramente ciascuno dei due sposi esplica il suo carattere, mette in mostra le sue buone qualità o i suoi difetti; allora veramente si ha la prova di aver raggiunto la felicità o di aver dato principio ad una vita di miserie e d'affanni. I primi mesi di matrimonio hanno perciò un'importanza grandissima, perchè sono come un periodo d'adattamento, durante il quale ognuno dei due sposi deve stabilire la sua posizione, pronto a imporre la sua volontà e a fare nello stesso tempo delle piccole rinunzie e delle concessioni. Anche nei matrimoni meglio assortiti non possono non esistere divergenze d'opinioni, d'idee, d'abitudini. Lo sposo e la sposa provengono da due diverse famiglie, le quali, anche se appartengono allo stesso ceto, hanno tuttavia una differente impostatura; essi furono una volta paragonati da un grande scrittore francese a due ciottoli di forma rotondeggiante ma pieni di angoli e di scabrosità, i quali si affinino e si liscino a forza di soffregarsi l'uno con l'altro. Ed è proprio così: il vero affetto, fondato sulla vera stima, consiglia ed impone ai giovani sposi una quantità di espedienti, per i quali pian piano le asperità si smorzano, le differenze si appianano e la buona pace di famiglia brilla finalmente in tutto il suo splendore. Non si spaventino dunque, i giovani sposi, alla prima nube che sorge sul loro orizzonte. Un menage che procedesse sempre uguale e tranquillo, senza il menomo inciampo, dimostrerebbe che almeno uno dei due sposi è un essere passivo e inerte. Ora, un marito non può desiderare una compagna senza volontà e senza carattere, incapace perciò di sentire fortemente anche l'amore e il dovere; sopravvengono nella vita circostanze gravi e dolorose, nelle quali l'uomo più energico ha bisogno del conforto e dell'aiuto di colei che lo ama. D'altra parte la donna, anche se intelligente e piena di volontà, ha sempre bisogno d'una mente virile che la regoli e la sostenga, nè le si conviene quella parte di padrona dispotica che essa stessa, in cuor suo, non può non trovare disadatta all'indole femminile. Si cerchi dunque, dall' una parte e dall'altra, di procedere con prudenza e con tatto. Se la giovane sposa ha talvolta degli scatti, dei capricci, delle parole brusche o scortesi, il marito non aggravi la delicata situazione con delle sfuriate, con dei rimproveri troppo acri o violenti. Poche frasi giustamente severe, e più che altro un contegno che mostri tutto il dolore dell'affronto subìto, saranno più che sufficienti a far di nuovo risplendere il sole dopo la nube passeggera. D'altra parte, la donna pensi che, nonostante tutto quello che oggi si dice e si fa, la sua missione è e rimane sempre quella di esser sottomessa al marito, che è il capo naturale e legale della famiglia. Intendiamo parlare non di quella sottomissione passiva e quasi bestiale, com' era un tempo, quando la donna non aveva diritto di alzar la testa o la voce dinanzi al suo signore e padrone; ma di una sottomissione attiva e intelligente, voluta dalla moglie più che imposta dal marito, e consigliata dalla differenza di sesso e d'attribuzioni. La donna che sente questa sua condizione di lieve inferiorità è veramente la regina della casa e della famiglia, oggetto di cure amorose e di delicati riguardi da parte del marito; colei invece che è riuscita ad imporre la sua bella parte di dominatrice e di tiranna, ha nello stesso tempo rinunziato a tutti i privilegi del suo sesso e non può più pretendere da colui che ha soggiogato attenzioni particolari. Con questo non intendiamo dire che una moglie debba sempre sottostare alla volontà e ai capricci del marito: anch'essa, come il marito, ha diritto di osservare e di rimproverare; ma l'osservazione e il rimprovero sian fatti come li deve fare una donna: con mitezza, con affetto, con quelle parole che commuovono e disarmano. Soprattutto, se il marito vede nella moglie, o la moglie nel marito, abitudini, idee, desideri non buoni e non convenienti, non abbia la sciocca pretesa di rimediare a tutto in quattro battute, con poche e imperiose parole. Il carattere della donna è spesso impulsivo e permaloso, e si ribella a imposizioni perentorie; preso invece pel suo verso, e dal lato dell'affetto, cede facilmente e volentieri; l'uomo ha quasi sempre un senso esagerato della propria dignità, e non di rado gli ripugna cedere a una volontà femminile; cede invece alla preghiera, all'osservazione fatta con tatto e con delicatezza. L'uomo deve evitare con cura particolare, soprattutto nei primi tempi del matrimonio, di opporsi con troppa ostinazione alle abitudini che la sposa ha portato seco dalla sua famiglia. Sono abitudini inveterate, adottate fin dall'infanzia, alle quali non si rinunzia facilmente; se esse sono davvero tali da dover esser cambiate (se non lo sono, è meglio, per la pace della famiglia, lasciarle stare), si procederà per gradi, con pazienza, facendo più concessioni che sia possibile. Il più delle volte, ripensandoci bene, si troverà che non vale la pena di sollevare incidenti per questioni di secondaria importanza. Non importa dire che la donna dovrà a sua volta rispettare e, fin dove può, adottare le idee e le abitudini del marito: essa si è già dedicata tutta a lui, davanti a Dio e alla società, accettandone il nome.

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Un elemento che turba spesso la pace a la concordia d'una giovane coppia è.... la suocera. Dei rapporti fra suocera e nuora abbiamo avuto occasione di parlare incidentalmente nella prima parte di questo libro; ma l'argomento è così importante, che nessuno troverà strano che ne parliamo ancora, e più a fondo. Sulla suocera c'è, si può dire, un'intera letteratura: ne dicevano male gli antichi, ne dicono male i moderni. «Suocera a nuora, tempesta e gragnola», è un detto popolare, ripetuto ormai migliaia e milioni di volte. Ma, a forza di parlarne, s'è finito con l'esagerare. Si consolino dunque e si tranquillizzino i giovani sposi: con un po' di tatto e di.... furberia, si rimedia facilmente anche a questo guaio. La causa dei rapporti agrodolci fra suocera e nuora è quasi sempre, come dicemmo già, la gelosia; gelosia sui generis, ma sempre gelosia. La madre dello sposo, che ha educato il suo figliuolo con tanto amore e sollecitudine, che è stata fino a ieri il suo più grande affetto, che l'ha consigliato e diretto e ne ha avuto in contraccambio una rispettosa obbedienza, vede tutt'a un tratto sorgere sull'orizzonte un'altra donna, verso la quale il frutto delle sue viscere si rivolge con tutto l'amore, con tutta la fiducia, con tutta la cieca obbedienza che finora erano riserbate soltanto a lei. Lo vede perdere abitudini a lei care per prenderne altre suggerite o imposte dalla nuova sposa; lo sente esprimere idee nuove e, per lei, spiacevoli; s'accorge infine con immenso dolore che, messo alle strette, suo figlio preferisce la sposa alla madre. Ne nasce il più delle volte una sorda gelosia, che trasparisce in ogni parola, in ogni atto della povera madre ferita nel più sacro dei suoi affetti. D'altra parte la nuova sposa, con tutto l'egoismo della gioventù e dell'amore, vuole il marito tutto per sè, e non intende fare a mezzo con nessuno. Padrona in casa sua, non le piace ubbidire alla volontà altrui, tranne a quella del marito; conscia dei propri diritti, si ribella ad ogni imposizione che cerchi di menomare la sua indipendenza. Gelosa dell'affetto del marito, s'impenna tutte le volte che lo vede propenso ad assecondare i desideri di colei ch'egli ama ancora - e come potrebbe essere altrimenti? - di un affetto immenso e profondo. Di qui lotte sorde e tenaci, battibecchi, e talvolta guerra feroce ed aperta. E il povero marito soffre e non sa a che santo votarsi. Peggio ancora, se la suocera s'accorge che la nuora non ha per suo marito tutto il rispetto e l'affetto, che dovrebbe. Ogni sgarbo fatto al proprio figlio, è un'offesa fatta a lei, anzi più grave e più profonda; e ci vuol molto tempo, prima che la ferita si rimargini. Certo, messo in questi termini, il caso è grave e il più delle volte senza rimedio. O meglio, il rimedio c'è, ma doloroso: che suocera e nuora divengano fra loro come due estranee, e limitino i loro rapporti alla stretta convenienza, rinunziando alla dolcezza d'ogni intimità. Ma se l'una e l'altra sapranno esaminare bene il carattere della loro inimicizia; se avranno animo retto e coscienza onesta e si sentiranno la forza di fare qualche rinunzia reciproca, le cose potranno accomodarsi con relativa facilità e con mutua soddisfazione. Una giovane sposa non deve mai dimenticare che la suocera è la madre di suo marito; e che questi le deve sempre rispetto, amore, obbedienza. È troppo naturale ch'egli subisca ancora la sua influenza; ed è per lo meno una crudeltà, per non dire un delitto, metterlo alle strette e costringerlo a scegliere fra la madre e la moglie. A questo non si deve mai giungere, per nessuna cagione. E poichè una suocera vede nella nuora soprattutto una rivale, il mezzo migliore per disarmarla è di metterla a parte delle proprie idee, di chiederle spesso aiuto e consiglio. Se la suocera vede la nuora venire a lei con atto di filiale sottomissione, è ben raro il caso che l'intimo compiacimento che prova non la induca a prender verso di essa un atteggiamento di materna benevolenza. L'idea d'aver le chiavi del cuore di colei di cui tanto temeva, la predispone a concessioni e a gentilezze che per ogni altra via le sarebbero impossibili. Così la fine sposina finisce col fare quasi sempre a modo suo, con l'approvazione della suocera e del marito soddisfatto e beato. Di più, essa consegue un altro e non indifferente vantaggio: gode della fiducia d'una persona d'esperienza, che non solo può consigliarla utilmente sul modo di governare la famiglia, ma le può dare preziosi suggerimenti sulle abitudini, sui gusti, sui desideri, magari sui difetti del marito. Da parte sua, la suocera accetti ormai il fatto compiuto e non cerchi nella nuora una condiscendenza e un'arrendevolezza, che ad ogni modo non potrebbero esser sincere. Ripensi a quando essa stessa, sposa novella, pretendeva per sè tutto l'amore del marito, e non ammetteva di dividerlo con altre. Se non approva le abitudini, il modo di parlare, di fare, di vestire della nuora; se la vorrebbe più casalinga, più sottomessa al marito, meno amante dei divertimenti, sappia fare le dovute concessioni all'età giovanile, ai tempi cambiati. Dire: - Ai miei tempi non si faceva così, - non significa nulla. In un periodo di tempo di venti o venticinque anni le cose sono necessariamente mutate, poichè tutto, a questo mondo, si evolve e si modifica. Nè si deve credere che tutto muti in peggio; spesso anzi si va migliorando, con vantaggio del buon senso e dell'igiene. Una delle più gravi questioni fra suocera e nuora verte specialmente, e anche di questo abbiamo già fatto cenno altrove, sull'allevamento e sull'educazione dei figliuoli. La suocera, forte della sua esperienza, ha un monte di consigli, di suggerimenti da dare; e vorrebbe che la nuora, nella sua inesperienza, si lasciasse guidare interamente da lei; ma la nuora, fiera e orgogliosa della sua nuova missione, vuol fare da sè: ha letto dei libri d'igiene del bambino, ha preso consiglio dal medico, ha consultato le amiche; e le idee della suocera le sembrano errate o antiquate. In generale, dopo qualche battibecco, l'una si ritira sdegnata, l'altra, piena di baldanza, si mette a far di sua testa. Di qui, fino dalle prime prove, incertezze, errori, rimpianti da parte della madre novella, che manca d'un aiuto prezioso e non sa decidersi a richiederlo dopo averlo rifiutato; inquietudine e talvolta sdegno del marito che in fondo, in cose di questo genere, riconosce in cuor suo la superiorità della propria madre. Se invece le cose si son sapute accomodare con tatto e con prudenza, tutto procede per il meglio: la suocera, senza pretendere di far da padrona in una casa che non è sua, consiglia e guida senza averne l'aria, lasciando alla giovane mammina l'illusione della sua indipendenza; la nuora, lusingata dalle attenzioni della suocera e convinta ch'ella non ha affatto intenzione di attentare alla sua libertà, trae tutto il giovamento da un'esperienza consumata e affettuosa. Concludendo, si cerchi dall'una parte e dall'altra di smentire con le parole e coi fatti il brutto proverbio citato al principio di questo capitolo. Da un normale stato di cose e da una serena concordia fra suocera e nuora, trarranno vantaggi incalcolabili non solo le due persone interessate, ma il marito, i figliuoli, la famiglia intera.

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Entra ogni tanto nella camera in punta di piedi, spia sul viso della dolce signora le tracce delle passate sofferenze, da un'occhiata ancora quasi indifferente a quell'altro essere che ha portato nella sua casa tanto scompiglio, scambia sottovoce una parola con la donna che assiste la puerpera, esce, gira per la casa, rientra in quella camera dalla quale non può star lontano. È stato in piedi tutta la notte, è stanco e le gambe gli si piegano; ma non trova posa, non può star fermo un minuto. Per fortuna, salva la paura e l'apprensione, tutto è andato bene; e ogni ora che passa riporta nella casa la tranquillità e la calma. Ecco che il bimbo si sveglia, e coi suoi vagiti mette in movimento tutta la casa. La mammina solleva il capo dal guanciale, e domanda con inquietudine la causa di quel pianto; rispondono la madre o la suocera, sorridendo della sua preoccupazione, e rassicurandola; il neonato vien tolto dalla sua culla e posto accanto alla puerpera, che lo guarda amorosamente. Cominciano a giungere i parenti e gli amici, a rallegrarsi e a chieder notizie. Non si stanchi la giovane madre nelle prime ore dopo il parto: lo strapazzo, l'esaltazione, la commozione possono produrre in lei conseguenze spiacevoli; è, per ora, un essere fragile come il vetro, che si turba per ogni minima cosa, che si stanca per un nonnulla. Si lasci in pace, nella quieta penombra della sua camera, accanto al dolce frutto delle sue viscere. Chi entra in casa d'una puerpera non deve mai chiedere di vederla, anche se è la sua amica più intima. Solo le persone di casa - il marito, la madre, una sorella - hanno il diritto di entrare nella sua camera, ma con tutte le precauzioni e a uno per volta. Chi viene a chieder notizie o a congratularsi, si contenti di parlare con chi lo riceve, anche se è una persona di servizio, e non chieda neppure di passare. Invitato ad accomodarsi, faccia una visita breve, di pochi minuti: il marito, la madre, la suocera sono stanchi ed hanno da pensare a tante piccole cose, e non è bene far perder loro del tempo. Visite più lunghe si possono fare, sempre dalle persone intime, parecchi giorni dopo, quando la puerpera è ormai in forze e comincia ad alzarsi. Tali visite non si restituiscono. Il medico, l'ostetrica, daranno al marito tutte quelle istruzioni che si riferiscono al trattamento della sua signora. Quando le cose vanno normalmente, tutto si riduce a procurarle quiete, tranquillità, riposo. L'uso di prendere in casa, per i primi giorni e per le prime notti, un'infermiera o una donna pratica dell'assistenza dei malati, è ottimo: tante cure, tante attenzioni non vengono in mente a chi non è abituato, o ne vengono in mente troppe. Ma non si abbandonerà assolutamente la puerpera alle cure altrui, riserbandosi d'invigilare a che tutto proceda bene. Il neonato, il re della festa, la causa prima di tante novità e preoccupazioni, non ha bisogno, nelle prime ore di vita, di cure speciali. Lavato, fasciato, messo nella sua culla dorme coi pugni chiusi, muove ogni tanto la testina, storce la bocca, emette un vagito. Non vede, non sente, non sa nulla. Si lasci stare e si disturbi il meno che è possibile. Ma come impedire alla mamma di baciargli le manine, alla nonna di cullarlo sulle ginocchia, al babbo di sollevarlo sulle braccia, con un movimento goffo e impacciato, mentre la mamma sorride e l'ava guarda con inquietudine? Oh, le graziose scenette familiari, che poi da vecchi si ricordano con tenera compiacenza! Un padre si ricordi che quando gli nasce un figlio, ha l'obbligo di denunziarlo al medico condotto per la visita di riconoscimento, e al Comune, alla presenza di due testimoni.

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Colei che vi si sottrae per liberarsi da tutte le fatiche e preoccupazioni ch'esso impone, è indegna del nome santo di madre, e si pone al disotto delle bestie che a tale ufficio si sottopongono con commovente abnegazione. Solo nel caso in cui speciali condizioni di salute lo impongano e il parere del medico sia perentorio, si dovrà ricorrere per dolorosa necessità all'allattamento mercenario. La mancanza assoluta di latte in una madre in condizioni normali di salute è un caso rarissimo; più spesso invece accade che il latte sia deficiente o scarso. Ma un tale inconveniente non basta a giustificare una così triste rinunzia. Oggi, sotto la guida di un buon medico ed osservando scrupolosamente speciali norme di regime e di igiene, si può allevare magnificamente un bambino con aiuti artificiali. Ho detto, con aiuti artificiali; e non a caso. Per quanto io sia nemica giurata dell'allattamento mercenario, non credo che l'allattamento artificiale possa sostituire del tutto quello materno; e quando veramente la madre non può allattare, la scelta d'una balia s'impone. Ma se la madre non è malata ed ha quel tanto di latte necessario per nutrire il suo bambino per i primi tre o quattro mesi, adempia il suo dovere con fiducia e con tranquillità, senza temere spiacevoli conseguenze. A una madre che allatta si devono, come alla donna incinta, riguardi speciali. Un turbamento, una cattiva nutrizione, lo strapazzo, uno spavento possono costringerla a rinunziare, improvvisamente o quasi, alla sua bella missione. Le cure e le attenzioni del marito o delle persone di famiglia non 9 saranno dunque mai troppe. Ma soprattutto deve la giovane mammina aversi cura da sè: deve rinunziare ai divertimenti, ai balli, alle feste, ai viaggi, e riserbare tutte le sue energie all'essere caro che cresce e si sviluppa sotto i suoi occhi. La rinunzia non le costerà poi molto, poichè le gioie che proverà nel compiere il suo dovere di madre la compenseranno ad usura di tutte quelle futilità a cui ha detto addio. D'altra parte, si guarderà bene dall'esagerare nelle cure al piccolo tiranno. Ci sono delle mamme giovani, amorose ma inesperte, che sussultano ad ogni vagito del loro bambino, che lo tengono sempre in collo, che se lo attaccano al petto ogni mezz'ora, per chetarlo e saziarlo: non sanno che, facendo così, attentano alla loro salute e a quella del loro figliuolo. Una mamma saggia seguirà scrupolosamente i consigli del medico, il quale le consiglierà senza dubbio di lasciar quieto il suo bambino, di non dargli il latte che a certe ore stabilite, di riposare la notte. L'esattezza nell'orario del cibo è forse, fra le doti necessarie in un allattamento, la più essenziale. Trascorsi i primi mesi d'allattamento materno, la mamma può cominciare ad aiutarsi con l'allattamento misto. Le norme per il passaggio dall' uno all'altro le saranno date dal medico, ed essa vi si atterrà con grande scrupolo, perchè è questo il momento più delicato e più difficile. Avrà cura soprattutto di preparare i nuovi cibi, siano essi di puro latte di mucca o misti di farinate e di malto, con gran pulizia e in dosi esatte. Il bambino, abituato al latte materno che è naturalmente sterilizzato, soffre subito se gli si fanno ingerire cibi mal preparati o acidi o in qualunque modo non perfettamente sani. Il più delle volte il difetto è nel biberon non abbastanza pulito e più specialmente nella parte di esso ch'egli mette in bocca. La boccetta di vetro e il poppatoio di gomma vanno sempre lavati accuratamente con acqua bollente e tenuti lontani da contatti che possano inquinarli. Abbiamo detto che la madre deve seguire scrupolosamente i consigli del medico. Insistiamo su tale particolare importantissimo; e aggiungiamo che, in questo, essa farà bene a non dar retta alle esortazioni delle così dette persone pratiche, siano pure la suocera o la madre. L'igiene è una scienza moderna, che ha pochi anni di vita e che progredisce di giorno in giorno; di più, solo da qualche decennio l'allevamento del bambino è stato studiato razionalmente e scientificamente, sottraendolo all'empirismo d'un tempo. Ne è venuto fuori un complesso di norme e di disposizioni, che le persone della passata generazione guardano con sospetto e spesso anche con palese ostilità; per esse i vecchi espedienti, i vecchi rimedi, sono sempre i migliori. Bisogna che la mammina moderna, con dolce fermezza e senza suscitar risentimenti, faccia a modo suo o meglio a modo del medico; ciò che non le sarà poi troppo difficile, se si appoggia sull'autorità di colui a cui tutti devono riconoscere, in un certo campo, il diritto di comandare e d'essere obbedito. La madre e la suocera, alla lor volta, lascino alla figliuola e alla nuora la più ampia libertà; e si ricordino che l'istinto materno ha, in ogni occasione, vedute e risorse meravigliose.

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Un impianto male eseguito costa in un anno, in riparazioni, quello che avete risparmiato da principio; un impianto che non comprenda tutta la casa è fonte di gravi imbarazzi, e vi costringe a far uso di candele o di lumi d'altro genere, procurandovi noie e spese. Chi sa far buon uso della luce elettrica risparmia denaro in confronto di qualunque altro genere d'illuminazione: il petrolio, il gas, l'acetilene costano di più. Ma tutto il segreto sta nel non sprecare inutilmente l'energia: la stessa facilità con la quale si accende una lampada elettrica induce spesso a fare spreco di luce, lasciando accesa la lampada anche quando non serve più. È questa purtroppo un'abitudine delle persone di servizio, un po' perchè alcune non sono abituate agl'impianti elettrici, un po' perchè non tocca a loro, alla fine del mese, a pagare il conto. La padrona di casa starà dunque attenta e non mancherà di redarguire chi si renda colpevole di negligenza su questo punto. Chi non bada a questo particolare importantissimo spende ogni mese quasi il doppio del necessario. Oggi, col trasporto delle energie a grandi distanze, se l'illuminazione elettrica si è largamente diffusa, si è anche reso più frequente il caso di guasti o d'interruzioni lungo le linee. Ne deriva che non di rado una casa resta al buio, talvolta per qualche ora. Un'attenta massaia prevederà un tale inconveniente e terrà in casa sempre pronto il necessario per una illuminazione di compenso. Un pacco di candele, qualche vecchio lume a petrolio si dovranno sempre poter mettere in attività al momento opportuno. È raro il caso che un appartamento moderno di città non abbia luce elettrica; ma ciò può capitare spesso in campagna e in montagna. Bisognerà allora ricorrere ai vecchi sistemi, e sarà una cosa tutt'altro che piacevole. Tuttavia si farà di necessità virtù, e ci si rassegnerà a fare un passo indietro di parecchi decenni. In campagna non ci sarà da scegliere che fra il petrolio e l'acetilene, due mezzi d'illuminazione, ognuno dei quali ha i suoi vantaggi e i suoi inconvenienti: il lume a petrolio si prepara più facilmente e in minor tempo, ma dà una luce gialla, pesante e poco intensa, alla quale l'occhio si abitua difficilmente; il lume ad acetilene dà una luce viva, chiara, brillante, altrettanto simpatica quanto quella elettrica, ma è più noioso a mettere in ordine e richiede una sorveglianza continua; l'uno e l'altro poi non sono privi di pericoli, se non si usano con le dovute cautele. Ad ogni modo, qualunque dei due sistemi sia il preferito, la brava massaia farà in modo che i lumi siano preparati la mattina, alla luce del giorno; prepararli la sera richiede più tempo e aumenta il pericolo d'uno scoppio o d'un incendio. E poichè tanto i lumi a petrolio quanto quelli ad acetilene non si devono portare nelle camere, si metteranno in ordine ogni giorno i candelieri, togliendo via la cera colata e sostituendo a suo tempo le candele ai mozziconi. I candelieri e le bugie si puliranno a fondo di tanto in tanto, lustrandoli e lucidandoli se sono di metallo. A chi possiede una villa o una casa di campagna e non può avere la luce elettrica, consigliamo di metter su un piccolo impianto ad acetilene. È cosa utilissima, che richiede oggi una spesa relativamente piccola: ci sono dei gasometri semplici, sicuri, economici che servono mirabilmente allo scopo e risparmiano tante noie: una sottile conduttura di piombo si dirama nelle varie stanze (escluse le camere) e termina ai vari beccucci. È precauzione essenziale mettere il gasometro fuori di casa, per evitare che qualcuno si avvicini ad esso con un lume acceso; si otterrà così anche il vantaggio di non riempire la casa di quell'odore tutt'altro che piacevole che emana dal carburo. Questo si terrà in scatole o bidoni di latta ben chiusi e in luogo asciutto. Il caricamento del gasometro va fatto sempre di giorno. Piuttosto che avvicinarsi ad esso con un lume, si rinunzierà, per quella sera, alla luce del gas e si ricorrerà alle candele. Meglio così, che mettere a rischio la propria vita.

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Il bambino che dormiva a pugni chiusi nella sua culla quasi tutte le ventiquattr'ore della giornata, ha cominciato a dar segno di sè. Creatura passiva per qualche mese, un bel giorno egli ha sorriso alla madre e le ha teso le braccia. Un altro giorno dalla sua rosea boccuccia sono usciti dei suoni inarticolati: ma-ma; e il cuore della giovane madre ha esultato di gioia. I miracoli si susseguono ai miracoli. Eccolo là, il piccolo erede, che si regge sulle sue gambine, appoggiato a una seggiola. Ancora qualche giorno la bella notizia vola di bocca in bocca: il bambino s'è staccato, cammina da sè. La madre corre incontro al marito che torna dall'ufficio, depone il bambino in terra, e il bambino corre barcollando ad abbracciare le ginocchia del babbo. Quando i bambini sono in grado di camminare e di correre, bisogna lasciare che in essi si sviluppi la vita animale; intendo dire che conviene che il loro piccolo corpo cresca liberamente. Ciò non impedirà di reprimere, con dolcezza ma con fermezza, i primi capricci. I bambini si laveranno ogni giorno dalla testa ai piedi (l'uso del bagno giornaliero, per chi ne ha i mezzi, è eccellente); si vestiranno di bianco o di chiaro, ma poi si lasceranno giocare sui tappeti o in giardino, senza troppi riguardi ai loro vestiti. Il vestito dei bambini dev'essere molto semplice. A questo modo, non ci sarà bisogno di tormentarli gridando loro tutto il giorno: - Badate di non insudiciarvi, di non strapparvi i vestiti. - Senza dubbio, è bene insegnar loro per tempo ad esser puliti e ordinati, ma si deve anche capire che, nell'ardore dei loro giuochi, essi non possono pensare continuamente a sorvegliare i loro abiti. I bambini quieti, tranquilli, puliti, sono generalmente di salute cagionevole. Le madri hanno una tendenza a rimpinzare i loro bambini di dolci, guastando loro lo stomaco e l'appetito. Sarà difficile non dare a un bambino, di tanto in tanto, un confetto o un cioccolatino; ma non se ne farà un uso costante, e soprattutto si eviterà l'abuso che è sempre nocevole. Nei pasti, è bene fare in modo che i bambini non sorpassino mai i limiti del loro appetito e che non mangino cibi che eccitano o riscaldano. Ai loro piccoli stomachi non giova nè il vino, nè il caffè, nè la carne in gran quantità. I latticini, i legumi, le uova, un po' di carne bianca sono i cibi che più loro si confanno. Quanto alle bevande, l'acqua pura di fonte o minerale è la migliore di tutte; ma non arriveremo fino a proscrivere, come oggi è di moda, un po' di vino molto allungato. La prima e la seconda dentizione sono talvolta difficili e pericolose. Sarà bene, se si vede che tutto non precede regolarmente, consultare il medico. I bambini hanno bisogno di dormir molto. Si metteranno perciò a letto la sera molto presto, e si farà buio intorno ad essi. È una pessima abitudine tenerli svegli insieme coi grandi, finchè non si addormentano su una poltrona o sulle ginocchia della mamma: il vero sonno riparatore si fa a letto e svestiti. Generalmente, una mamma ha per il suo primo nato attenzioni e cure esagerate. Un po' per inesperienza, un po' per troppo affetto, essa finisce con l'avvezzarlo male e col rendergli necessari e indispensabili tanti riguardi perfettamente inutili e talvolta anche dannosi. Ecco: il bimbo dorme, e tutta la casa deve mantenere un religioso silenzio: guai a chi alza la voce, a chi non cammina in punta di piedi! Così abituato, il bambino si sveglia ad ogni più piccolo rumore: basta che una porta sbatta o un mobile scricchioli. Ancora: il bambino piange se la mamma non l'addormenta cullandolo; e la povera donna, vittima colpevole, passa ore e ore in camera a canticchiare sottovoce, perdendo un tempo prezioso. Care mammine, date ascolto a una mamma piena d'esperienza. Fino dai primi tempi mettete il vostro bambino nella sua culla, accomodatevelo con tutto l'amore e la diligenza possibile, e poi lasciatelo lì. Forse egli piangerà un po'; ma poi s'addormenterà placidamente; e una volta avvezzato così, non avrà mai bisogno d'esser cullato o tenuto sulle ginocchia. Quando dorme, evitate i rumori forti e improvvisi, che potrebbero farlo svegliare di soprassalto, ma lasciate che la vita della casa si svolga regolarmente intorno a lui. Oltre a risparmiarvi preoccupazioni e perdita di tempo, farete anche il vantaggio del vostro piccino. Quando sarà grande avrà il sonno più facile e più profondo, e non gli accadrà, come accade a tanti, di passare in un albergo una nottata bianca, per i rumori della strada o del corridoio.

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Del resto, le spese per mantenere a scuola i figliuoli non sono così gravi da non poter esser sostenute anche dalle famiglie meno abbienti. Un giorno troverete largo compenso dei sacrifizi fatti: nessuna soddisfazione può esser pari a quella che provano dei genitori ormai avanzati in età, vedendo i loro figliuoli ben collocati, con professioni dignitose e remunerative. Non crediate però che, per adempiere ai doveri che concernono istruzione dei figliuoli, basti mandarli a scuola provvedendoli di libri e di quaderni. I genitori hanno l'obbligo sacrosanto di sorvegliare gli studi dei loro bambini, ammonendoli, incoraggiandoli, aiutandoli. Così sostenuto, il ragazzo studia più volentieri e sapendo di dover render conto a casa di quel che ha fatto a scuola, si guarda con più cura dal commettere errori o negligenze. Nei primi anni di studi, la madre è la naturale compagna e consigliera dei suoi bambini. Essa li accompagna e li manda a scuola vestiti con proprietà e con nettezza, curando che libri e quaderni siano puliti e in ordine. Quando tornano da scuola, s'informa di ciò che è accaduto: delle domande fatte dal maestro, delle risposte date, dei voti meritati; vuol sapere quale siano i compiti da fare per il giorno dopo, sorveglia i bambini mentre leggono, scrivono o studiano, si fa ripetere le lezioni, dà un aiuto a risolvere un problema o un esercizio. Così, dall'interesse che la mamma dimostra, il bambino comprende tutta l'importanza del suo dovere e studia con passione. Ci sono delle buone mammine - che siano benedette! - che ricominciano insieme coi figliuoli il corso dei loro studi. Con essi imparano di nuovo la grammatica, la storia e la geografia, rileggono gli autori classici, li spiegano, li imparano a memoria. Sono perfino capaci di applicarsi a studi nuovi, al latino, al greco, per essere in grado di seguire i loro figliuoli anche nelle classi superiori. L'intelligenza e l'amore materno fanno miracoli; e bisogna vedere con quanta abilità maneggiano le declinazioni latine e greche, e poi Cicerone e Demostene! Che care mammine, tanto più degne di stima di quelle che credono d'avere adempiuto a tutti i loro doveri provvedendosi d'un ripetitore a un tanto al mese! Anche se gli studi procedono bene, sarà utile recarsi di tanto in tanto alla scuola per informarsi direttamente presso gl'insegnanti dei progressi del loro alunno. Non è vero - almeno nella maggior parte dei casi - che il maestro non voglia seccature e preferisca non aver che fare coi genitori degli scolari; una madre o un padre che si recano spesso a chieder notizie mostrano di comprendere il vero valore della scuola e sono oggetto di considerazione e di stima. Se poi si ha ragione di credere che le cose non procedano troppo bene, una visita al direttore o al maestro diviene uno stretto dovere. Quando i figliuoli sono cresciuti e compiono studi più alti, gran parte dei doveri di sorveglianza passano dalla madre al padre. Un padre, anche se molto occupato, deve saper trovare ogni giorno un po' di tempo da dedicare ai suoi ragazzi. Anche se gli studi da lui fatti non sono tali da permettergli un'ingerenza diretta in quelli di loro, egli potrà sempre, con la sua presenza e coi suoi consigli, contribuire validamente a che tutto proceda con regolarità e con ordine. Esercitando una sorveglianza giornaliera, egli si accorgerà facilmente degli eventuali difetti di negligenza e di svogliatezza, e potrà metter mano ai rimedi prima che la cosa diventi grave. Soprattutto, il padre e la madre invoglieranno i figliuoli a uno studio diligente e continuo con l'esempio efficace della loro abituale attività. I figli d'un padre probo e lavoratore, d'una madre solerte e affaccendata raramente riescono nella vita dei fannulloni; nei rari casi in cui questo avviene, la causa va ricercata nell'abbandono in cui molti genitori, anche ottimi, lasciano, in fatto di studi, i loro ragazzi. Un tempo, tutti i pensieri degli studi riguardavano i figli maschi: per le femmine si giudicava sufficiente un'istruzione superficiale, quanto bastasse nelle normali occorrenze della vita: leggere e scrivere, un po' d'aritmetica, qualche lettura, e lì. Oggi, per le mutate condizioni della società, non è più possibile contentarci di così poco; e si tende a dare alle femmine un'istruzione uguale a quella dei maschi. Noi consigliamo ai padri e alle madri di famiglia di seguire quest' uso divenuto ormai generale, anche se hanno ragione di sperare che alle lore figliuole non mancherà un giorno di che vivere senza lavorare, anche se non sono disposti a permettere che si dedichino a una professione o a un impiego. L'avvenire è pieno di punti interrogativi e la società modifica i suoi usi e le sue abitudini di giorno in giorno. Quante povere fanciulie d'agiata famiglia non sono costrette, per un improvviso mutamento di fortuna, a lavorare per vivere! In quante famiglie non si vedono, ad ogni ora del giorno e talvolta anche della notte, bionde testine e pallidi visi curvi sul telaio e sulla macchina da cucire, mentre le mani lavorano svelte a compire lavori faticosi e mal remunerati! Se la sventura bussa alla porta d'una casa, non è meglio che la fanciulla possa tirar fuori il suo bravo diploma e darsi con coraggio all'insegnamento, alla contabilità, al commercio, a una professione insomma che le dia maggiori vantaggi e non le rovini la salute? Ci pensino, i padri e le madri di famiglia, e non si mantengano schiavi di consuetudini ormai passate, stolte e dannose. Una fanciulla che si può guadagnare all'occorrenza la vita col suo lavoro guarda l'avvenire senza paura: probabilmente troverà marito e sarà felice; ma se non lo troverà potrà levarsi qualche soddisfazione, potrà vivere senz'essere a carico di nessuno, ed anche, se le circostanze lo richiedessero, esser di aiuto e di sostegno ai suoi vecchi genitori.

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Con questo non intendo dire che i ragazzi non comincino molto presto a discutere fra loro e coi genitori su quello che faranno da grandi; ma finchè l'età e l'intelligenza non sono mature, son tutti disegni senza importanza. Domandate a un bambino di dieci anni che cosa farà da grande, ed egli avrà subito la sua risposta pronta; domandateglielo quattro o cinque anni dopo, e la risposta sarà ugualmente pronta, ma diversa; con tutta probabilità sceglierà poi, a diciott'anni, una carriera che non sarà nè la prima nè la seconda. Nell'età fra l'infanzia e l'adolescenza, i ragazzi hanno una grande ammirazione per tutto ciò che fa effetto, che s'impone per dignità o per abilità. Di ritorno da una rivista, dichiareranno che da grandi saranno soldati; uscendo dal teatro, s'innamoreranno della professione di comico o di direttore d'orchestra. Due miei bambini, a nove e dieci anni giuravano che sarebbero divenuti un giorno l'uno cocchiere, l'altro carabiniere! A quindici anni, la naturale tendenza agli esercizi ginnastici e violenti, la lettura di libri di viaggi e d'avventure fanno inclinare i giovinetti verso carriere eroiche e pericolose: chi vuol farsi marinaro per andare al polo, chi esploratore per studiare le sorgenti del Nilo, chi poliziotto dilettante per arrestare i ladri e gli assassini.... Lasciateli dire e, finchè non è giunto il momento di discutere sul serio, non vi preoccupate delle loro idee fantastiche. Quei genitori che credono utile di discutere coi loro bambini su simili argomenti e di ricondurli alla ragione, sprecano il tempo e il fiato e mostrano di non conoscere la psicologia infantile. I ragazzi hanno bisogno di vagare con la mente fuori della realtà della vita, di crearsi un mondo a modo loro, senza limiti e senza inciampi. Togliete loro questa bella prerogativa e li renderete inquieti e tristi. Del resto, ogni vostro sforzo riuscirebbe vano: nessun ragionamento al mondo potrà convincere un bambino di dieci anni che la vita del cocchiere, con la frusta a con le briglie in mano dalla mattina alla sera, non sia la più bella di tutte; nè un ragazzo di quindici si piegherà ad ammettere che la carriera dell'impiegato, sempre chiuso in una stanza, sia da preferirsi a quella dell'esploratore, che s'aggira liberamente nelle foreste del centro dell'Affrica. Soltanto l'esperienza, e la realtà della vita, lo indurrà un giorno a più miti propositi. Quando il giovinetto sta per finire gli studi medi, quando da ragazzo è per diventare un giovinotto, allora, s'egli non ha ancor preso una decisione, è il caso d'intavolare con lui colloqui seri e gravi, di esaminarne le tendenze, di guidarlo e d'indirizzarlo. Nel consigliarlo sulla futura carriera, si deve tener conto, e indurlo a tener conto, delle condizioni della famiglia e, se esistono, delle difficoltà che si oppongono a studi lunghi e costosi. Se si tratta di un giovane diligente e studioso, d'ingegno pronto e vivace, ogni sacrifizio, anche grave, sarà giustificato per assicurargli un brillante avvenire; ma se l'ingegno non è troppo sveglio, se l'amore allo studio è meno che normale, si farà il bene della famiglia, e di lui stesso, persuadendolo a scegliere una carriera dignitosa ma modesta, adatta alla condizione e ai mezzi paterni. Nè si creda, con ciò, di sacrificarlo: meglio un buon impiegato che un cattivo medico o avvocato, così dal lato morale, come da quello materiale. Oggi, la spietata concorrenza in ogni ramo professionale elimina senza pietà tutti gli spostati. Di cento laureati in medicina o in legge, solo gli ottimi riescono a conquistare una posizione capace di dar loro fama e ricchezza; gli altri stentano la vita, scontentando se e il prossimo. Nella carriera degli impieghi invece c'è posto per molti, e chi non ha ingegno può facilmente supplire con la diligenza e la buona condotta. Soprattutto, non si creda che una carriera modesta sia poco dignitosa: ogni professione è onorevole, se esercitata con onore; e un onesto meccanico o un abile tipografo sono più degni di rispetto d'un medico ignorante o d'un avvocato senza coscienza. La moderna società soffre assai della tendenza dei genitori a dare ai loro figliuoli una posizione superiore alla propria; e se tale tendenza è scusabile, anzi, degna d'approvazione in certi casi eccezionali, quasi sempre serve soltanto a sparger nel mondo degli spostati.

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In certe famiglie, quando uno è ammalato, tutto va a rotoli: stanze in disordine, oggetti fuor di posto, colazione, pranzo mal fatti e fuori d'ora; è una confusione da non si dire. Ora, se un tale stato di cose è compatibile in certi momenti terribili, in cui è in forse la vita di una persona cara, è invece da evitare assolutamente quando la malattia fa il suo corso normale. Una madre di famiglia non deve mai, l'abbiamo già detto, perder la testa nè, per adempiere ad uno dei suoi doveri, trascurare tutti gli altri. Se la malattia è contagiosa ma non grave, come, nei bambini, la rosolia o il morbillo, si cercherà di isolare il malato in una stanza della casa, tenendone lontani gli altri membri della famiglia, e specialmente gli altri bambini. Ma non si esagererà neanche in questo, e ci si rimetterà un po' al caso e alla Provvidenza. Non intendiamo con questo di disprezzare quelle norme d'igiene, delle quali siamo invece partitanti convinti; ma è un fatto che talvolta l'allontanare, in quelle occasioni, parte dei bambini da una casa, produce inconvenienti più gravi di quelli che si vogliono evitare. Non di rado, i bambini, che hanno vissuto a contatto fino a ieri con l'ammalato, hanno già contratto in sè il germe della malattia, e s'ammalano alla lor volta non appena installati nella casa della nonna o della zia; e la povera mamma, costretta a curare un po' l'uno un po' l'altro, e cioè a trascurarli tutt'e due, darebbe volentieri il capo nel muro. Tenuti in casa coi dovuti riguardi, i bambini forse resteranno immuni; se no, almeno saranno curati dalla loro mamma. Naturalmente, se si tratterà invece di una malattia contagiosa veramente grave, varrà la pena di fare qualunque tentativo di preservarne gli altri, anche se si teme che la precauzione sia inutile. La camera d'un ammalato deve essere ampia ed ariosa. Se tale non è quella nella quale egli dorme abitualmente, si cerchi, se è possibile, di trasportarlo in un'altra che abbia i requisiti richiesti. Lo spazio facilita le cure necessarie e rende più igienico il soggiorno; la luce e il sole rallegrano l'ammalato e contribuiscono alla sua guarigione. Tutto ciò che è nella camera deve esser tenuto con pulizia meticolosa, dal pavimento ai mobili e agli oggetti d'ornamento. L'aria deve esser cambiata spesso, o aprendo la finestra quando si tratti di malattia che non interessi i bronchi e i polmoni, o aereando le stanze adiacenti, in caso contrario. Generalmente, seguendo un'antica abitudine, si esagera sempre nel tener chiusi e tappati in camera gli ammalati, sottraendo loro quell'ossigeno che è condizione essenziale di vita: oggi, negli ospedali meglio tenuti, si curano gli ammalati con le finestre aperte. Non vi trattenete mai in molti nella camera d'un malato. Se è grave o debole, lo stancate e affaticate con la vostra presenza; ad ogni modo, gli rendete l'ambiente malsano, impoverendogli l'aria respirabile. Quando siete presso di lui, non parlate a voce alta, non chiacchierate troppo, non fumate; se siete in visita, trattenetevi solo pochi minuti. Per la cura diretta della malattia, attenetevi scrupolosamente alle prescrizioni del medico. Una volta chiamato il medico, egli diviene padrone assoluto dell'ammalato, ed è necessario avere in lui intera fiducia. Se avete ragione di dubitare della sua scienza o della sua coscienza, cambiatelo (questi cambiamenti devono tuttavia esser fatti con gran cautela e senza precipitazione); ma una volta che vi siete affidati a lui, i vostri pareri e le vostre ipotesi non contano più nulla. Niente è più antipatico e insieme più pericoloso che mettersi a discutere il metodo di cura, la diagnosi, le ricette, le prescrizioni: peggio ancora se si dà ascolto ai parenti e agli amici, i quali hanno tutti da suggerire un medico più bravo, una cura diversa. L'uomo della scienza ha fatto studi lunghi e difficili, ha senno, pratica, abilità; è quindi, per ogni verso, in condizioni migliori di voi per giudicare. Chi di voi si attenterebbe a dar consigli a un muratore sul modo d'inalzare una parete o a un legnaiolo sul come costruire un armadio? Eppure quasi tutti non si riguardano dal sindacare l'opera d'un medico! Superata la malattia, incomincerà la convalescenza. È questo forse il periodo più pericoloso, quello che richiede, da chi assiste il malato e specialmente dalla madre che cura il proprio bambino, la più attenta sorveglianza. Il medico ha ormai compiuto il suo ufficio; egli dirada le visite, dà le ultime prescrizioni e se ne va. Restano, l'uno di fronte all'altra, il convalescente e la sua infermiera: l'uno pieno di desideri, di voglie, di capricci, l'altra con un'autorità diminuita, ora che le cose vanno bene. Se il convalescente è un bambino, e l'infermiera la mamma, le cose si complicano ancor più. Il bambino, che si sente rinascere, non vuol più stare a letto, rifiuta il brodo, il latte, le minestrine; ha una fame che lo divora, vuole la carne, il pane, e tutto in grande abbondanza. La mamma, poverina, felice di vedere il suo caro pieno di vita, così allegro, così rumoroso, si prova da principio a far la severa, a dir di no; ma poi si lascia commuovere e finisce col cedere. Il bambino fa a modo suo, e il giorno dopo.... daccapo la febbre, daccapo preoccupazioni e pensieri. E il medico, che non doveva più venire, è richiamato in fretta. Mammine indulgenti, non vi lasciate convincere; siate inesorabili e sorde a ogni preghiera. Avete sofferto troppo, nei giorni d'incertezza e di paura, per rischiare, con un'imprudenza, di tornar da capo. La salute, e soprattutto quella riacquistata dopo tante trepidazioni, è un dono così prezioso, che non val la pena di arrischiarla di nuovo per soddisfare un capriccio. Fra qualche giorno il vostro bambino sarà completamente ristabilito, sarà alzato, uscirà fuori, si sederà a tavola con gli altri, e il vostro cuore esulterà. Volete ritardare l'arrivo di quel bel giorno?

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È una gioia a starci insieme. - Son dialoghi, son giudizi che si sentono ogni momento. E, a chi pensa e ragiona, insegnano tante cose. A tutti gli uomini piacciono le donne belle, a tutte le donne i bei giovanotti. Ma la parola bellezza è una parola molto complessa. Non è bello soltanto colui che ha bei lineamenti, begli occhi, bella bocca, bel personale: anzi può avere tutte queste bellezze e non piacere che agli sciocchi; viceversa, un viso a tratti irregolari, un personale tutt'altro che slanciato può esercitare attrattive tali, da apparir bello anche ai più incontentabili. Come avviene ciò? Permettetemi, prima di rispondere, di portarvi un paragone. Siete mai entrati in certi salotti di case borghesi, pieni di mobili antichi, di quadri, d'oggetti d'ogni genere? Qua c'è una tavola di mogano stile impero, bellissima; là una scrivania di noce stile Luigi XIII, maravigliosa; più in là, sei seggiole antiche di gran pregio e tre eleganti sgabelli stile liberty; sulle pareti delle bellissime riproduzioni: una Madonna di Raffaello, un quadro del Barabino, il ritratto del padrone di casa.... e tante altre belle cose. Voi ammirate questi capolavori ad uno ad uno, poi date uno sguardo all' insieme e.... storcete la bocca. Non avete invece che parole di lode sincera per un salottino semplice e modesto, ammobiliato con seggiole, tavolini, scaffali di stile rustico, con qualche acquaforte, leggermente incorniciata, alle pareti, con un tappeto di cocco sul pavimento. Perchè? Il perchè ve lo dirò io, se pure ne avete bisogno. Nel ricco salotto borghese c'eran molte cose belle, ma non era bello l'insieme; c'era molto lusso, ma poco o punto gusto; nel salottino rustico non c'era nulla di veramente bello, ma c'era grazia, semplicità, armonia; e l'occhio vostro si posava volentieri su quegli oggetti tutti omogenei, tutti concordi fra loro. Quello che avviene nelle cose, avviene anche nelle persone. Una signora non bella, ma vestita con semplice eleganza, ben educata nei modi e nel parlare, cólta, distinta, piacerà infinitamente più di un'altra che abbia tutte le attrattive della bellezza, ma non si sappia vestire, manchi d'armonia, di finezza, sia sgraziata nel muoversi e nel parlare. Una volta, un artista di buon umore si divertì a ricopiare le più belle statue greche: la Venere di Milo, la Venere dei Medici, la Diana del Vaticano, l'Apollo di Belvedere; e le presentò al pubblico vestite d'abiti moderni. Che disillusione! Quei visi, così belli nella loro classica severità, nella purezza delle loro linee, non si riconoscevano più; parevano diventati duri, arcigni, rozzi. Tanto la veste moderna sciupava l'armonia che lo scultore greco aveva intravista e affermata tra la faccia e il resto del corpo. Tutto quel che abbiam detto ci porta a una sola conclusione: che le doti naturali sono una gran bella cosa, ma che non bastano da sole a render l'uomo perfetto; e non sono poi tali da non potersi, quando mancano, esser sostituite da qualità acquisite; chè anzi assai spesso si rimedia con l'arte a quello che l'avara natura ci ha negato. Ora, l'uomo che vive nella società degli altri uomini può e deve valersi di tutte quelle risorse che giovino a mettere in valore i suoi pregi o a rimediare alle sue manchevolezze; e i mezzi per raggiunger lo scopo sono appunto le buone maniere, la correttezza, l'educazione; le quali non si potranno mai ottenere, se non si conosceranno le norme del buon vivere, le regole sociali, i doveri e i diritti dell'uomo nella famiglia e nella società. Queste norme, queste regole, questi doveri e questi diritti saranno esposti nel libro che incomincia; e saranno esposti così alla buona, in tono, quasi, d'amichevole conversazione. Poichè non ci piace salire in cattedra e prendere un atteggiamento dottorale; nè, d'altra parte, intendiamo di rivolgerci a un ceto particolare di persone, ma a tutti coloro, in generale, che intendono vivere civilmente, lontani da ogni eccesso, così dalla troppa rigidezza di costumi come dalla soverchia libertà. Chè tanto è riprovevole colui che si crede lecito infrangere le leggi più comuni e più sante del consorzio civile, quanto colui che, attenendosi ad esse con ferreo rigore, finisce col precludersi ogni mezzo di perfezionamento morale e materiale.

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O almeno, se in questa vita, «che è un correre alla morte» , ognuno è destinato a perdite angosciose, possiate almeno lasciare un giorno vivi e felici coloro che, per legge naturale, son destinati a sopravvivervi. È questo l'augurio migliore ch'io possa farvi. Ma purtroppo, in caso di disgrazia, in mezzo al dolore e all'abbattimento, è necessario prendere una quantità di disposizioni e di provvedimenti, imposti dalla circostanza e dalle convenienze. L'etichetta e anche - chi lo crederebbe? - la moda hanno trovato il mezzo d'esercitare il loro dominio anche in un campo, dal quale sarebbe stato molto meglio che rimanessero lontane. Ma tant'è: chi vive nella società non può in nessuna occasione sottrarsi alle sue tirannie. In caso di decesso, come in caso di nascita - gli estremi si toccano - è necessario far denunzia al medico condotto per la constatazione di morte, e al Comune. Di questo triste ufficio s'incaricano generalmente qualche parente o qualche buon amico, i quali anche, per lo più, tolgono ai parenti stessi del defunto la pena di fissare il trasporto funebre, e il posto al cimitero. Oggi si usa annunziare la morte d'una persona cara con un avviso sul giornale. È un uso comodo, che risparmia una fatica non lieve e soprattutto non dà luogo a dimenticanze. Tuttavia noi crediamo sempre preferibile mandare le partecipazioni, secondo la vecchia abitudine, che ha un carattere tanto più intimo e affettuoso. Le partecipazioni vanno mandate per tempo, e possibilmente a mano quando sono dirette a parenti e amici che abitano in città; quelle indirizzate a persone lontane si possono spedire con più comodo, ma sempre nelle ventiquattr'ore. Sulla carta listata a lutto (la lista nera non sarà mai troppo alta) si scrive sempre, oltre il nome e cognome del defunto, anche la sua età, i suoi titoli, il giorno e l'ora del funerale, l'indicazione della casa da cui parte il corteo funebre e della chiesa o del cimitero a cui è diretto. I nomi di coloro dai quali è fatta la partecipazione non sono generalmente preceduti da titoli, salvo quelli di carattere religioso. Sono da evitare nelle partecipazioni i discorsi troppo lunghi e le lodi esagerate. Un tempo, nessun parente stretto del defunto seguiva il suo feretro; e l'ufficio d'accompagnarlo all'ultima dimora spettava ai congiunti meno prossimi e agli amici. Oggi, in questo campo, vige la massima libertà; e non è raro il caso di vedere a un trasporto la moglie e le figlie di colui che non è più. A noi sembra migliore di tutti l'uso, del resto diffusissimo, di lasciare il triste compito ai soli uomini; ma, se si tratta d'una signora, non vediamo nulla di male che le amiche l'accompagnino almeno in chiesa, se non proprio al cimitero. Usa invece, da pochi anni, di trasportare i defunti con un carro automobile. A noi, lo diciamo francamente, non piace questo mezzo sbrigativo, che dà quasi l'idea che i parenti vogliano sbarazzarsi al più presto di un compito noioso. Meglio il vecchio sistema, più lento e più dignitoso. Anche l'uso d'inviare corone a un funerale va gradatamente perdendosi; e sono i parenti stessi del defunto, o esso stesso nel suo testamento, che pregano gli amici di destinare a opere di beneficenza quello che spenderebbero in fiori; tuttavia dei fiori bianchi per una giovinetta o per un bambino sono sempre una cosa molto gentile. Chi riceve una partecipazione di morte e non può assistere ai funerali, manda un biglietto di condoglianza o scrive una lettera, se è intimo della famiglia. Chi si reca ai funerali scrive il suo nome in un apposito foglio; e la famiglia gli manda, negli otto giorni, un biglietto di ringraziamento.

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Naturalmente, dato che così vuol l'uso, nessuno pensa a male: il donatore non si adonta d'esser costretto a fare a modo altrui, e chi accetta il dono è tutto contento, tanto se riceva l'oggetto desiderato o il denaro corrispondente. Ognun vede quanto un tal uso sia fecondo di ottimi resultati; ma la suscettibilità latina non riesce ancora ad adattarsi a un simile modo di procedere, in verità un po' commerciale, e preferisce fare il dono di sorpresa. Il male è che, quando non si ha un po' d'immaginativa, si finisce sempre col regalare su per giù le stesse cose; e più d'una giovane coppia, alla vigilia delle nozze, guarda con malinconia cinque o sei serviti da caffè, tre o quattro ombrellini da sole, sette o otto ventagli, giunti da parti diverse. Noi siamo dunque di parere che quando si debba fare un regalo a persona che ne riceverà parecchi, com'è il caso d'un matrimonio, la cosa migliore sia di prendere informazioni su ciò che può far più piacere. Se non si vuol proprio far la domanda all'interessato, ci si può rivolgere ai genitori o ai parenti più prossimi, che sono sempre in grado di dare un buon consiglio. Costretti, per qualunque ragione, a sceglier da sè, si pensi sempre a regalare una cosa utile, se si tratta di sposi novelli o di persone che vivono modestamente e senza sfarzo. Gli sposi che metton su casa non hanno bisogno, in generale, di oggetti inutili o di pura eleganza; se son persone serie, se non sono ricchissimi, preferiscono ciò che può loro servire nella nuova casa, e tengono a risparmiar denaro. Lo stesso si dica delle persone che vivono del loro lavoro: uno studioso farà maggior festa a un libro di valore o a un oggetto da tavolino, che a un oggetto elegante ma insulso; una signora di modesta condizione accoglierà più volentieri un taglio d'abito di buona stoffa che un ombrellino di fantasia col manico intagliato. Anche, si dovrà tener conto dell'indole e del carattere di ciascuno, oltre che delle sue condizioni economiche. Un giovinetto amante dello sport gradirà immensamente un bastone da montagna o una maglia di lana da ciclista, mentre non saprà che farsi d'una collezione di libri che costino il doppio; una signorina amante della musica preferirà uno spartito a un oggetto da toelette; e così via di seguito. Alle persone di riguardo, se capiti di dover far loro regali, non si doneranno invece oggetti di confidenza, ma soltanto cose che siano insieme graziose ed eleganti. Non si facciano mai regali con secondi fini; e tanto meno si chiedano servizi o favori a colui al quale si è da poco inviato un regalo: è una delle sconvenienze più grandi che si possano commettere e una vera e propria mancanza d'educazione. Non è neppure cosa molto fine inviare un dono a qualcuno, subito dopo averne ricevuto un favore; se si ha motivo d'essergli obbligati, gli si mostri con le parole o col contegno la nostra riconoscenza; quanto al regalo, gli si farà in seguito, prendendo pretesto da una qualche buona occasione. Chi riceve un regalo contrae naturalmente un obbligo verso il donatore; e l'unico mezzo di sdebitarsi sarà di rendere il contraccambio. Ma, anche in questo caso, non si abbia furia, e si aspetti l'occasione propizia. Chi replicasse subito ad un regalo con un altro regalo, mostrerebbe di non voler avere obblighi di riconoscenza verso chicchessia; e passerebbe anche per scortese.

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Gl'inviti possono essere di varie specie: da un semplice invito a colazione, fatto ad un amico incontrandolo per la strada, fino all'invito ufficiale a una cerimonia o a un ballo di gala. Qualunque sia la sua importanza, l'invito va fatto con chiarezza e precisione. Il fare degli inviti a mezz'aria, lasciandoli poi cadere e fingendo, al momento decisivo, di non ricordarsene più , è una delle mancanze più gravi d'educazione e una delle cause più frequenti di dissapori. Quante persone, all'avvicinarsi d'una festa o d'una ricorrenza, ne parlano con gli amici e coi conoscenti senza troppo badare a quello che dicono! - Quando daremo la tal festa, spero che anche Lei sarà del nostri. - Quando verrà al nostro ballo, vedrà come abbiamo disposto le nuove sale.... - La festa, il ballo avvengono, e l'amico non riceve il promesso invito! Siate dunque prudenti anche in questo, fate prima i vostri calcoli, non prendete impegni vani, e quelli che avete presi, adempiteli. La persona invitata a mezzo ha tutto il diritto d'aversi per male d'esser lasciata da parte all'ultimo momento. Quando date una festa e preparate la lista degli invitati, calcolate bene le vostre forze, l'ampiezza dei locali, il servizio di cui potete disporre. È inutile, anzi è dannoso, invitare una folla di gente, quando non si ha modo di accoglierla degnamente: la festa riesce male, in mezzo alla confusione e al disordine, e gli apprezzamenti del giorno dopo sono tutt'altro che benevoli. Non dal numero degli invitati, ma dal modo con cui sono stati ricevuti, si giudica della finezza dei padroni di casa. Siate dunque molto parchi nel diramare i vostri inviti, se volete far buona figura, e tenete conto che all'ultimo momento ci sarà sempre da rimediare a qualche dimenticanza. E a proposito di dimenticanza, badate bene, nel compilare la lista, di non lasciar da parte quei parenti e quegli amici che sono a voi legati con vincoli più stretti, posponendoli a persone di più lontana parentela e amicizia: ne deriverebbero, al solito, recriminazioni e impermalimenti. Compilata la lista, preparate gl'inviti e inviateli per tempo. Bisogna che gl'invitati possano prepararsi alla vostra festa, specialmente le signore, che hanno sempre da fare qualche ritocco alle lore toilettes. Per un pranzo o un trattenimento di famiglia, basterà un anticipo di alcuni giorni, al massimo d'una settimana; ma ci vorranno quindici giorni, se si tratta d'una festa d'importanza. Se il numero degl'invitati è ristretto, si scriverà a ciascuno una lettera; o anche s'inviteranno a voce, se l'occasione si presenta. Se si tratta di molti inviti, si potranno fare a stampa, su cartoncini semplici ma eleganti. L'invito, l'abbiamo già detto, sia sempre chiaro e preciso, in modo da non ingenerare incertezza e confusione. Se è in iscritto o a stampa, porti sempre il giorno e l'ora del trattenimento e le indicazioni del caso sull'abito da indossare. Specialmente sulla famosa questione del frac è bene essere espliciti, per non mettere gl'invitati nel caso di far cattive figure, delle quali sarebbero sempre responsabili i padroni di casa. Se si vuole l'abito nero, si dica espressamente nell'invito: chi va alla festa sa allora come regolarsi, e se non ha l'abito nero può sempre trovare un pretesto per rifiutare. Quando si dà alla festa un carattere familiare e non si vuole il frac, è una bella abitudine, che ora va facendosi strada, di dirlo ugualmente nell'invito. Ad ogni modo, quando in un invito non è detto nulla, l'invitato ha il diritto, anzi, secondo noi, il dovere, di non indossare l'abito nero. Non è bella la situazione d'un invitato vestito inappuntabilmente in frac e cravatta bianca, in mezzo a tutti gli altri uomini in giacchetta! Oggi va divenendo sempre più comune, per gli uomini, l'uso dello smoking. È infatti un abito semplice, elegante e comodo, che sostituisce con vantaggio la giacchetta o la redingote. Si badi però che non è, a propriamente parlare, un abito da società, e non può mai sostituire, come da qualcuno si crede, il frac; non è, insomma, un abito nero. Le signore si regoleranno, in questo, seguendo le norme indicate per gli uomini. Se nell'invito è detto che l'abito nero è di rigore (frase sacramentale), esse dovranno indossare un abito decolleté di gran parata. Negli altri casi sarà sufficiente un abito elegante da sera, senza la grande scollatura di rito. Quanto ai colori, si regoleranno secondo la loro età, secondo il genere della festa, secondo l'ora in cui è data: abiti chiari per le fanciulle e giovinette, in ogni circostanza; più seri e di colori scuri per le mamme e per le signore anziane; maggior libertà nei colori e nel taglio di mattina che non di sera, in campagna che non in città, d'estate che non d'inverno. Ma son tutte cose, queste, delle quali le signore hanno un'intuizione precisa; ed ogni consiglio a tal proposito sarebbe pressochè vano. Gl'invitati, quando arrivano nel vostro salotto, devono esser presentati a coloro che li hanno preceduti. L'uso di evitare le presentazioni, lasciando ciascuno sbrigarsela come crede meglio, non è italiano, e, secondo noi, non è da approvare. Come regola generale, si presentano gl'inferiori ai superiori: quindi, un giovane a un vecchio, un uomo a una signora, una signorina a una signora. Ma è una regola che soffre molte eccezioni, perchè la superiorità e l'inferiorità non si misurano nè dall'età nè dal sesso. Così, per esempio, a un uomo illustre, anche se giovane, si presenteranno gli uomini d'età e anche le signore, senza tuttavia esagerare nelle manifestazioni d'ossequio. Le presentazioni si facciano semplicemente, non omettendo i titoli, nobiliari e accademici, ma nello stesso tempo evitando le lodi personali che potrebbero mettere in imbarazzo la persona che si presenta. Se i presentati sono due uomini, essi si stringeranno la mano e si diranno qualche parola cortese, iniziando anche, se lo desiderano, una conversazione. Invece, l'uomo presentato a una signora, s'inchinerà profondamente e non prenderà mai per il primo l'iniziativa della conversazione. In ogni caso, chi presenta e chi è presentato cerchi di comportarsi con scioltezza e con disinvoltura per vincere quel primo momento d'esitazione che si verifica sempre al principio d'una festa e che è così spiacevole per tutti. È inutile aggiungere che chi, per qualunque motivo, non può accettare un invito, ha il dovere di scrivere subito ringraziando e rifiutando: bisogna dare a chi invita tutto il tempo di sostituire con altri coloro che vengono a mancare.

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La definizione è molto ovvia, ma, se sia meditata con cura, può dare occasione a utili insegnamenti. Poichè la lettera sostituisce la conversazione, tutte le volte che questa non è possibile, essa deve avere anche della conversazione tutti i principali requisiti. Molte persone parlano con scioltezza e con facilità, ma quando prendono la penna in mano scrivono con uno stile faticoso, con frasi contorte e poco chiare. Il difetto non deriva sempre da inesperienza, ma il più delle volte dal desiderio di essere eleganti e di far cosa bella letterariamente; si può quindi liberarsene con un po' di buona volontà. Quando scrivete, fate conto di parlare, e usate quella medesima disinvoltura e semplicità di cui vi servireste in un colloquio. La vostra lettera riuscirà così vivace e piacevole e produrrà buona impressione in colui al quale è indirizzata. La preoccupazione dello stile e delle eleganze retoriche è in generale minore nelle donne che negli uomini; ed ecco perchè le signore scrivono generalmente meglio degli uomini. Le loro lettere sono quasi sempre più sincere, più vivaci, più amabili; rispecchiano cioè meglio il loro carattere di conversazione. Nelle poche pagine che seguono noi parleremo soltanto di quelle lettere che si possono chiamare, in senso molto largo, familiari: cioè di quelle dirette, oltre che alle persone di famiglia, anche ai conoscenti, superiori e inferiori; tralasceremo invece di dar norme sulle lettere d'affari, la cui compilazione è regolata da particolari esigenze. Come regola generale, e prima di trattare partitamente l'argomento, consigliamo alle lettrici e ai lettori di ricordarsi bene, quando si accingono a scrivere una lettera, di attenersi con scrupolo a tutte le norme di educazione e di civiltà. Certe persone, soprattutto quelle di carattere timido e ombroso, preferiscono scrivere piuttosto che parlare. - Per lettera - affermano esse - le cose si dicon meglio. - È questa un'opinione sbagliata, almeno nella maggior parte dei casi. Può darsi che certi argomenti difficili e delicati si possan trattar meglio per iscritto (è necessaria, fra l'altro, una grande abilità); ma in generale nulla è preferibile a una spiegazione chiara e franca a viva voce. Di più, come dice un vecchio proverbio latino, scripta manent, verba volant, gli scritti restano, le parole volano; e se qualche volta è bene, specialmente quando si tratta d'affari, che gl'impegni rimangano sulla carta, in tanti altri casi si darebbe chi sa che cosa per non avere scritto frasi affrettate o imprudenti. Quanti giovani si son trovati in brutti impicci per qualche parola buttata là a caso su un pezzo di carta; quante signorine darebbero il loro sangue per riavere lettere scritte in un momento di abbandono! Il risentimento, l'ira, il dispetto sono tutte passioni da tenere in quarantena prima di sfogarle per iscritto. Tanto più poi non si deve mai trascendere in una lettera a offese o a parole che non si direbbero a voce. In quest'ultimo caso, oltre a violare le norme della buona educazione, potremmo anche andare incontro a gravi conseguenze. E non si creda, trattando con amici, di poter fare a confidenza: le amicizie fanno tanto presto a trasformarsi in inimicizie! Le lettere, quando siano di semplice corrispondenza e non debbano comunicare notizie dolorose, dovrebbero sempre essere apportatrici di gioia o almeno di pace. Se ciò non è sempre possibile, e se talvolta dovranno contenere rimproveri o lamenti, siano almeno scritte con tatto, con misura, con tutti quei riguardi che rivelano una buona educazione e un buon cuore. La così detta letteraccia è indegna d'ogni persona seria ed onesta.

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., sarà bene lasciarli alle cameriere a alle altre persone di servizio. Non si esagererà nei profumi. Meglio di tutto non usarne; ma quella signora che desidera profumare leggermente la propria carta da scrivere, potrà anche levarsi questo gusto, badando bene a non passare il limite. Le lettere fortemente profumate danno, come ognuno sa, un cattivo concetto di chi le scrive. L'uomo che scrive su carta profumata è, in ogni caso, ridicolo e sciocco. Molti oggi usano carta intestata col proprio nome e indirizzo. È un uso comodo e che risparmia a chi scrive molto, la noia di metter da sè su ogni lettera quelle necessarie indicazioni. Se si tratta d'un uomo, sarà utile far precedere al nome l'indicazione della professione, abbreviata: per esempio: Avv., Prof., Ing., ecc. Si ometteranno invece i titoli, specialmente quelli di ordine cavalleresco, come Cav. o Comm. Se son titoli nobiliari, si ometteranno ugualmente, ma si potrà se ci si tiene, porre al di sopra del nome e cognome lo stemma familiare. Lo stesso farà anche una signora, omettendo ogni altro titolo, salvo quelli che riguardano la professione. La data si metterà abitualmente in principio della lettera, e si cercherà di non dimenticarla: consiglio, questo, che rivolgiamo soprattutto alle signore, che si rendono spesso colpevoli di tale omissione. Alla data segue l'intestazione. Con le persone di famiglia ci si regolerà come si vuole, seguendo l'impulso del cuore e del momento. Con gli estranei, si eviteranno così le intestazioni troppo confidenziali, come quelle pompose ed esagerate. A persone ignote o poco conosciute, che siano della nostra condizione, si faranno intestazioni cortesi ma semplici: Egregio Signore, Gentile Signora, Egregio Signor Avvocato, ecc. A persone che si considerano superiori a noi, si intesterà così: Il.mo Signore, Ill.ma Signora, Ill. mo Signor Avvocato, Chiarissimo Signor Professore, ecc. A persone d'una certa confidenza, sarà sufficiente un'intestazione più semplice: Caro signore, Caro amico, Caro signore ed amico, Cara signora, Caro avvocato, ecc. Con gl'inferiori, sarà sempre bene abbondare in cortesia: Caro signore, Cara signora, non costano nulla a scriverli e fanno piacere a chi li riceve. Ai titolati si metterà sempre il loro titolo. A seconda del grado di confidenza o d'amicizia, si oscillerà fra Ill.mo signor Conte o Caro signor Conte o Caro Conte. Scrivendo a persone che cuoprono cariche speciali, ci si regolerà secondo le norme ormai stabilite. A un ministro, si intesterà Eccellenza; a un deputato, Onorevole signore; a un vescovo, Eccellenza reverendissima; a un Cardinale Eminenza; a un prelato, o a un canonico, Monsignore; a un sacerdote, Molto reverendo signore, a un principe del sangue, Altezza Reale; al re o alla regina, Maestà. La firma in fondo alla lettera deve constare soltanto del nome e cognome. Sarebbe ridicolo farla precedere da Cav. o Comm., o anche da Avv. o Prof. Tuttavia, si potranno mettere i titoli indicanti la professione quando si scrive ad ignoti e quando sia necessaria un'indicazione di tal genere per l'affare che si sta trattando. Alla firma si fanno precedere generalmente delle parole di congedo e di saluto. Esse possono variare quasi all'infinito, ma non dovranno mai essere esagerate o false. Ecco, come esempio, alcune espressioni correnti: Una signora ad un'altra: Riceva, signora, un cordiale saluto dalla sua aff.ma N.N. Una signora ad un'altra più anziana: Mi creda, signora, con devoto ossequio, sua N.N. Una signora ad an uomo: Coi migliori saluti, N.N. Un uomo ad un altro: La saluto cordialmente e mi confermo suo aff.mo N.N. Un uomo a un superiore: Coi sensi della massima stima, me le offro dev.mo N.N. Un uomo a persona di gran riguardo: Coi sensi del maggior rispetto mi dichiaro, della S. V.Ill.ma , dev.mo N.N. Un uomo a una signora: Mi è grato esprimerle tutto il mio rispetto, mentre mi confermo suo dev.mo N.N. A un inferiore: Vi saluto cordialmente; vostro N.N. Per l' indirizzo sulla sopraccarta, ci si regola come per l'intestazione. Una volta si abusava di frasi e di titoli onorifici anche sulla busta, ma oggi si tende, e giustamente, a semplificare. A una persona qualunque, inferiore o uguale, basta un Preg.mo Signor N.N., o Egregio Signor N.N. A persona d'un certo riguardo si dirà meglio Ill.mo Signor N.N. A chi ha un titolo professionale, si potrà omettere la parola signore: Ill.mo Avv. N.N., Chiar.mo Prof. N.N.; e lo stesso si potrà fare per i titoli accademici: Ill.mo Cav. N.N., Ill.mo Comm. N.N. A persone illustri si usa ora togliere, nelle soprascritte, ogni titolo. Per esempio: A Giovanni Marradi, A Guglielmo Marconi. Talvolta il titolo si mette dopo: A N.N. deputato al Parlamento, A N.N. senatore del Regno. Ai nobili si mette solo il titolo: Conte N.N., o si fa precedere dalle parole Nobil uomo o Nobil donna abbreviate generalmente in N.U. (anche, alla latina, N.H.) e N.D. A signora di riguardo per posizione o per età si suole preporre il nome Donna: Donna N.N. L'indirizzo sulla busta sia chiaro, senza svolazzi, senza girigogoli. Si scriva cominciando dalla metà della busta, in modo che resti al disopra spazio sufficiente per i francobolli e per la timbratura. Il francobollo deve esser sempre applicato sull' angolo destro superiore della busta. Ciò facilita la timbratura ed evita ritardi. È un uso cattivo applicarlo sul di dietro della busta o in un altro angolo. Se la lettera si spedisce a mano, affidandola a persona amica o conoscente, si scriverà su un angolo « per favore». E un'ottima abitudine scrivere sul di dietro della busta il proprio nome e indirizzo. Con questa precauzione, in caso di irreperibilità del destinatario, la lettera ritorna al mittente. Le lettere che avete scritte o che vi sono state affidate, impostatele subito. È un avviso questo che va agli uomini, che tanto facilmente se le dimenticano in tasca.

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A una persona di riguardo non si scrive mai una cartolina, neppure se si ha da comunicarle cosa di poca o nessuna importanza. Ma si può far uso delle cartoline coi familiari e con gli amici, risparmiando tempo e denaro. Spesso non si hanno da dire che poche parole, e non val la pena di sciupare un foglio di carta e una busta, senza contare la maggiore spesa per la francatura. Con le cartoline ci si regolerà come con le lettere. Si abbia tuttavia cura di far in modo che lo spazio disponibile sia sufficiente a scrivere quel che ci preme di dire. Molti usano, dopo aver scritto tutta la cartolina, di seguitare a scrivere per traverso, formando una specie di reticolato tutt'altro che piacevole e comodo a leggere. È una pessima abitudine e una mancanza di riguardo. Conosco delle persone nervose che quando ricevono una cartolina o una lettera scritta così la buttano nel cestino senza leggerla; e non hanno tutti i torti. I biglietti da visita sono riservati alle persone adulte: uomini, signore maritate, vecchie signorine. I ragazzi e le signorine da marito non ne devono avere. Il biglietto da visita dev'esser semplice, in cartoncino bianco, possibilmente impresso in litografia, in caratteri seri senza svolazzi e girigogoli. Porterà impresso il nome, il cognome da maritata seguìto da quello da ragazza (di quest'ultimo si può fare anche a meno) per le signore; il nome e cognome per l'uomo. Poichè il biglietto da visita serve spesso da presentazione a persone che non ci conoscono, sarà necessario che porti anche i titoli, accademici o nobiliari, del titolare. Ma si farà in modo da evitare ogni sciocca ostentazione. Le persone alto-locate o comunque insignite di cariche o di onorificenze, faranno bene a usare due specie di biglietti da visita, una col semplice nome e cognome, un'altra con tutta la bardatura dei titoli. Se in certi casi il biglietto « ufficiale » può essere utile, in tanti altri servirà molto meglio quello semplice e familiare. Sui biglietti si scrivono spesso poche parole di augurio o di condoglianza o di congratulazione. Si cerchi sempre di esser brevi e cortesi. Le partecipazioni, gl'inviti a pranzi, a balli, a ricevimenti, ecc. si facciano sempre stampare su cartoncino. Per tal genere di stampa ci si può permettere anche un certo lusso di carta o di caratteri, non escluso qualche fregio elegante e di buon gusto. Ma si badi di far cosa artistica e di non degenerare nello sguaiato o nel comune. Quanto alla dicitura degli inviti e delle partecipazioni, non è qui il caso di dare consigli troppo particolari. Come norma generale, si cerchi sempre di esser semplici e corretti, evitando frasi troppo lunghe o contorte, periodi sgangherati o mal fatti. Se non si è in grado di compilare qualche cosa di adatto, si ricorra a chi, per cultura e intelligenza, ci è superiore. Per le partecipazioni di matrimonio, usava fino a pochi anni fa, e senz'eccezione, un cartoncino doppio. Sulle due facciate interne il padre e la madre dello sposo e della sposa annunziavano, ciascuno per conto suo, il lieto avvenimento nei riguardi della propria prole. Oggi quest'uso tende a scomparire: gli sposi stessi fanno da sè la partecipazione: N.N. ed N.N. annunziano il loro matrimonio; oppure: N.N. ed N.N. oggi sposi. Sono questioni di moda, sulle quali non c'è da ridire: tuttavia, se ci è permesso di esprimere il nostro parere, diremo che l'uso antico aveva un non so che di più intimo e di più solenne. Per finire, due parole sui telegrammi, brevemente come richiede l'argomento. Il telegramma deve fare a meno di parole inutili, di frasi lunghe o inconcludenti. Tuttavia si cerchi sempre di compilarlo con attenzione per non incorrere in equivoci o malintesi, pur mantenendo la brevità, e si eviti il difetto comune a quasi tutti di renderlo inintelligibile per risparmiar parole. È strano come tanta gente, che non esita a sprecar cinque lire in un gelato o in un pacchetto di sigarette egiziane, perda poi dei quarti d'ora su un modulo da telegramma, per risparmiare pochi soldi!

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Una persona dabbene non si vale mai d'una lettera privata per creare a chi l'ha scritta danni o imbarazzi; un atto così indegno non ha scusa, per nessuna causa al mondo. Il codice punisce, in certi casi, chi si vale del cosiddetto segreto epistolare a vantaggio proprio o d'altri; ma più che la paura del codice, deve valere presso una persona onesta il sentimento della propria dignità, il riguardo verso il prossimo, il compatimento delle altrui debolezze. Una signorina per bene non deve mai scrivere lettere ad estranei, senza il consenso dei suoi genitori. Ma ci son purtroppo, nella vita d'una fanciulla, certi momenti d'inconsideratezza e quasi di follia, nei quali si commettono imprudenze imperdonabili. Un giovanotto che, approfittando di tali circostanze, sia riuscito a carpire lettere e promesse a una donna, ha già commesso un'azione indegna; ma commetterebbe addirittura il delitto più nero se di queste lettere si servisse a scopo di ricatto, tenendo nell'ansia o nel terrore una povera infelice. Nulla può giustificare un simile modo di procedere: chi cerca di scusarsi col dire che il suo scopo è onesto, che cerca soltanto d'indurre la signorina a fidanzarsi con lui, mantenendo le promesse fatte, è uno sciocco o un malvagio. Certe promesse non si ottengono con la forza; e se si ottengono, qual sarà mai la vita di due persone unite così? D'altra parte, poichè il mondo è pieno di malvagi e di disonesti, si usi gran prudenza quando si scrivono lettere, anche quando son dirette ad amici fedeli e provati. Quante volte un'amicizia, che pareva dover durare eterna, si tronca all'improvviso e irremissibilmente! E quante volte l'amico una volta fedele, divenuto ora nemico inconciliabile, possiede lettere compromettenti, che potrebbero da un momento all'altro, se pubblicate, produrre danni incalcolabili? Anche se ciò non si verifica, basta il sospetto ad avvelenare la vita. Fanciulle che leggete, riserbate la vostra fiducia alla mamma, al babbo e, dopo prove irrefragabili e lunghe, a colui che sarà il vostro compagno. Diffidate, in fatto di lettere, di tutto e di tutti: anche delle amiche più affezionate. Signore maritate, non scrivete mai a uomini parole sia pure innocenti, ma tali da poter dar luogo a interpretazioni malevole; tali parole, lette da vostro marito, potrebbero porre tra lui e voi un abisso, che vi affatichereste invano a colmare. Uomini, non prevaletevi dei vantaggi del vostro sesso, non scrivete e non chiedete mai lettere compromettenti: farete delle infelici intorno a voi! La vita è, di per sè, piena d'ostacoli e di difficoltà. Val la pena di renderla, per malvagità o per stoltezza, ancor più difficile e pericolosa?

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Ecco che, in una conversazione e in presenza di signore, il signor tale comincia a sbadigliare. Il primo sbadiglio è soffocato alla meglio fra le mascelle semiaperte, il secondo da una sapiente applicazione del fazzoletto; ma sopraggiunge poi il terzo, e poi il quarto, e poi il quinto. È una vera disperazione: quel povero signore non sa più che pesci pigliare; si dimena sulla sedia, cerca di distrarsi, si volta, si alza: tutto è vano. Lo sbadiglio, come una bestia in agguato, è sempre lì e riappare a intervalli sempre più brevi. Già le belle signore guardano con maraviglia, e sulle loro labbra si delinea un sorriso canzonatorio. Che fare? Sono, l'abbiamo detto, momenti difficili, che solo con la presenza di spirito e con la pratica della buona società si riesce a superare. La prima regola da seguire sarà di non spaventarsi troppo se ci capita un caso simile: l'apprensione, lo spavento non fanno che accrescere lo stato nervoso dell'individuo e rendono il fenomeno anche più insistente. Nel caso dello sbadiglio, si dice generalmente che esso è segno di noia; ma tutte le persone di buon senso sanno che può derivare anche da stanchezza, da cattiva digestione, da spasimo nervoso, e che, ad ogni modo, è un movimento involontario, al quale nessuno può porre rimedio da sè. Rendendosi ragione di tutto questo, il paziente prenda con filosofia quel passeggero incomodo, e sia il primo a riderne, scusandosene garbatamente e lepidamente con chi gli parla. Lo sbadiglio, che è contagioso, s'attaccherà probabilmente ad altri, e di qui un nuovo argomento di scherzo e di riso. Ridendo e scherzando si finirà probabilmente col non pensar più alla causa prima di quello scherzo e di quel riso; e siccome in certi casi il distrarsi è il miglior rimedio, lo sbadiglio cesserà e il povero tormentato sarà lasciato in pace. Quel che si dice dello sbadiglio, vale anche per tutti gli altri movimenti involontari. Per certi casi più gravi, come per esempio quando alcuno venga colto - come dire? - da necessità urgenti e improrogabili, noi non sapremmo dare consigli precisi. Ognuno deve regolarsi secondo le circostanze, e le circostanze variano infinitamente. Ma, come regola generale, occorre sempre comportarsi con spirito e con disinvoltura; essere i primi a ridere della propria situazione, mostrare per i primi confusione e imbarazzo, in quella forma un po' umoristica, che spunta le armi del ridicolo. E tutto questo va fatto con tatto e con finezza, per non incorrere nella taccia di sguaiati o di maleducati. L'abitudine di fumare si è ormai così diffusa in tutto il mondo civile, che ha ormai dato origine a tutto un galateo di norme, di regole, di usanze. Forse, il meglio sarebbe che gli uomini non fumassero, con guadagno della salute e della tasca. Ma poichè tutti fumano, nè a noi è concesso sperare che l'abitudine cessi, è meglio considerare il fatto compiuto e cercare piuttosto a quali norme debba attenersi il fumatore. Un uomo civile e educato non fuma mai davanti a una signora con la quale non abbia dimestichezza: e ciò non soltanto in casa o in luogo chiuso, ma neanche per la strada; e non deve neppure chiederle il permesso di fumare, per evitare che questo gli sia data soltanto per cortesia. Per la strada, se la signora sa che chi l'accompagna è un fumatore, farà bene a invitarlo a fumare, salvo che veramente l'odore del fumo le sia insopportabile: nel qual caso si scuserà con lui. In casa, essa non ha obbligo alcuno, specialmente se si tratta di visita breve. Ad ogni modo, un uomo ben educato, se pure potrà, dietro invito, fumare una sigaretta davanti a una signora, si asterrà sempre, in simili circostanze, dall'accendere un sigaro toscano e, peggio ancora, la pipa. Incontrando per la strada una signora che si fermi a parlare con lui, un signore ben educato getta via il sigaro o la sigaretta: lo stesso fa in teatro, in un ristorante, al caffè. Invitato dalla signora, può ricominciare a fumare; ma non fumerà mai, neppure invitato, se la signora ha preso il suo braccio. L'uso della pipa era una volta riservato solo alle persone volgari; oggi si è esteso anche alle persone civili; sicchè s'incontrano ad ogni passo, non solo in campagna ma anche in città, signori ben vestiti e distinti con la pipa in bocca. È una questione di moda e d'abitudine, sulla quale ci sarebbe molto da ridire, ma purtroppo le cose non cambierebbero. Ricordiamoci tuttavia che, almeno per ora, la pipa risente ancor troppo da vicino la sua origine plebea, e che perciò va usata soltanto fra uomini. L'odore della pipa è forte e, per chi non c'è abituato, tutt'altro che gradito. Sicchè sarà bene evitare sempre di fumare a pipa in presenza d'una signora; e se anche questa darà il permesso di fumare, daremo segno di buona educazione contentandoci d'accendere una sigaretta. Oggi fumano anche le signore e le signorine, mentre, fino a non troppi anni fa, veder fumare una donna era un'eccezione rarissima. Fumano in casa, in campagna, in città, nei luoghi pubblici. Nei caffè e nei ristoranti si può quasi dire che il numero delle fumatrici uguaglia quello dei fumatori. Che dire di questa abitudine? Noi non possiamo che deplorarla. Che una signora o anche una signorina fumi una sigaretta, in casa sua o in campagna, in qualche circostanza particolare, non sarà forse un gran male; ma che fumi in ogni luogo e in ogni ora del giorno, consumando pacchi di sigarette, annerendosi i denti, ammorbandosi l'alito, sporcandosi le dita, è cosa che nessuna persona, che ami nella donna quelle qualità così speciali di gentilezza e di finezza a lei proprie, può approvare o tollerare. La donna crede forse di mostrarsi così libera ed emancipata, ma non sa che un uomo dabbene ricerca in lei ben altre qualità, molto più serie e più solide. L'abitudine di fumare è, checchè se ne dica, un vizio bell'e buono; un vizio costoso, un vizio poco pulito, fors'anche un vizio dannoso alla salute. Come tutti i vizi, esso rende schiavi tutti coloro che si sono ad esso dati in braccio: il fumatore senza sigarette è un essere infelice, disperato, a cui par di mancare della cosa più essenziale alla vita; per procurarsi da fumare egli sfida il sole di mezzogiorno, le tenebre della notte, le tempeste, gli uragani. Se è in campagna, è capace di percorrere miglia e miglia per trovare un appalto. Lasciate all'uomo, signore gentili, questa triste prerogativa: non gli siate compagne nel suo vizio, non lo eccitate ancor più col vostro esempio. Quei denari che, è proprio il caso di dire, vanno in fumo, spendeteli piuttosto in quei mille gingilli che sapete scegliere con tanto gusto, che adornano la vostra toelette, che abbelliscono il vostro salotto; spendeteli in fiori, degno emblema della vostra gentilezza; spendeteli in opere di carità; buttateli via, piuttosto! Di un'altra cattiva abitudine, sempre a proposito di tabacco, ci sbrigheremo in poche parole. C'è ancora qualcheduno che annusa tabacco: sono, in generale, persone di grave età, che presero quel vizio davvero nauseante una cinquantina d'anni addietro, quando tutti pigliavan tabacco e pochi fumavano. Oggi, se Dio vuole, pigliar tabacco da naso non usa più: i giovani, e anche le persone di media età, non conoscono quell'abitudine; sicchè c'è da sperare che fra un'altra ventina d'anni le nostre Regìe non fabbricheranno più nè macubino, nè semolino, nè scaglietta. E sarà quello un bel giorno. L'annusar tabacco, oltre ad offendere il senso dell'olfatto, è causa spesso di spettacoli stomachevoli, sui quali non è neppure decente insistere. Per finire questo capitolo di miserie, resterebbe a parlare di certi atti sconvenienti, ai quali le persone poco fini si abbandonano non di rado: tali sarebbero, grattarsi, pulirsi le unghie in pubblico o mordersele, ficcarsi le dita nel naso, ecc. ecc. Ma noi non ci spenderemo sopra parole inutili. Sono atti, questi, che tutti sanno non esser permessi alle persone per bene; sono atti che si proibiscono perfino ai bambini, all'inizio della loro educazione. Tanto più dunque debbono astenersene i grandi, per i quali non vale la scusa dell'ignoranza o del poco giudizio, che invece vale tanto per i bambini. Del resto, questi ed altri simili atti o cattive abitudini sono ormai così universalmente condannati dal moderno galateo, che non c'è da temere che qualcuno possa innocentemente crederli leciti. Riassumendo, l'uomo civile deve, in ogni circostanza della vita, attenersi rigorosamente a quelle regole di vita sociale, sancite dalla lunga esperienza di secoli e affinate e ingentilite con l'avvento della moderna civiltà. Più egli si atterrà scrupolosamente ad esse, più osserverà le norme universalmente conosciute e approvate, più avrà fama di persona corretta e finemente educata. Sappia egli adattarsi all'ambiente in cui vive, e, se gira il mondo, sappia anche, pur mantenendo intatti i fondamenti della propria educazione, rispettare le abitudini degli altri paesi; accolga le usanze straniere, se è in paese straniero, senza maravigliarsene, senza criticare, senza alterarsi. Si ricordi che, accanto a certe regole fisse, alle quali ogni galantuomo deve sottostare, ce ne sono tante altre, che dipendono dalla moda, dalle diverse abitudini, dal clima, dal carattere, dalla razza, le quali cambiano da paese a paese, da regione a regione, da città a città; e non si può dire quali siano le migliori, quali siano da preferire. Tutte son buone, quando non contraddicono alla legge suprema della morale, della decenza e della civiltà.

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Non solo le grandi città, ma anche i più piccoli villaggi avevano le loro terme: e ogni cittadino romano considerava il bagno come una necessità giornaliera, della quale non si poteva fare a meno. Con la caduta dell'impero romano e col sopraggiungere della decadenza medievale, i bagni caddero in disuso; si può anzi dire che in quell'età sudicia e trascurata furono del tutto dimenticati. E l'oblio durò a lungo, anche quando il medio evo lasciò il posto all'età moderna. Nel 500, nel 600, nel 700, se pure si cominciò ad avere un po' più di cura della persona, a lavarsi le mani e il viso, l'idea d'immergersi tutti nell'acqua era ancora tutt'altro che diffusa. E purtroppo l'Italia fu, tra i paesi civili, quello che più tardi di tutti ritornò a quell'usanza, che pure aveva avuto in essa la sua maggior diffusione. L'uso del bagno giornaliero è un uso eccellente. Chi può, ne approfitti largamente, chè ne ritrarrà gran vantaggio per la sua salute: nulla dispone meglio per tutta la giornata, quanto un buon bagno caldo o freddo (secondo la stagione e secondo i temperamenti), fatto la mattina scendendo da letto. Alcuni amano fare un bagno caldo la sera, prima di coricarsi: il bagno serale concilia il sonno, ed è quindi raccomandabile alle persone nervose ed eccitabili. Per poter fare il bagno con facilità e senza incomodo soverchio delle persone di servizio, è necessario avere in casa una stanza da bagno con uno di quegli apparecchi di riscaldamento a gas o almeno a legna, che in poco tempo portano l'acqua alla temperatura voluta. Purtroppo poche famiglie, specialmente della piccola borghesia, possono permettersi questo lusso; e perciò molti devono rinunziare alla gioia del bagno giornaliero. Tutti però possono, con poca spesa, avere in casa una di quelle tinozze di zinco, in cui immergersi almeno una volta la settimana; tutti possono, con un po' d'acqua calda e con un recipiente adatto, per esempio con uno di quei grandi vassoi che gl'inglesi chiamano tub, procedere con sufficiente comodità e facilità alla nettezza del proprio corpo. Noi non sapremmo davvero raccomandare il bagno nei locali a pagamento. Oltre al suo costo non indifferente e alla perdita di tempo che impone, non sempre si può esser sicuri della nettezza delle vasche e della proprietà della biancheria. Molte malattie della pelle, che sopraggiungono all'improvviso e senza una causa apparente, hanno avuto il loro principio in una vasca da bagno. Il bagno in casa costa meno, si può fare a qualunque ora, e non espone a pericoli. Il bagno di mare non è un bagno di pulizia: di più esso dà alla pelle una secchezza speciale, tutt'altro che gradevole. Nulla è più piacevole, dopo un bagno di mare, quanta una bella doccia, d'acqua fredda. Nelle acque dei laghi e dei fiumi il bagno è, rispetto all'igiene, eccellente. Ma si abbia cura di bagnarsi dove l'acqua è limpida e dove si ha ragione di credere che non sia inquinata. Se si tratta d'un fiume che attraversa una città, bagnatevi a monte di essa, e non mai a valle: perchè una gran parte dei rifiuti d'una città vanno a finire nel fiume. Se si tratta d'un lago, scegliete un Iuogo distante dall'abitato. Ogni bagno freddo è salutare se è seguìto da un'energica reazione. La reazione va facilitata con un'attiva ginnastica o con una rapida passeggiata. Se dopo il bagno siete presi da freddo, da brividi, da malessere, interrogate il medico. Probabilmente egli vi dirà che il bagno freddo non è per voi.

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Un arsenale di ferri e di strumenti, da far concorrenza a un chirurgo, sono disposti sulla toelette di certe signore, le quali passano ore ed ore ad arrotondare le unghie o ad appuntirle, a limarle, a raschiarle, a scarnirle, applicandoci poi sopra una rosea vernice, che fa pensare a un tuffo delle dita nell'inchiostro rosso. II bello è che qualche volta, quelle dita, quelle unghie così curate, sono tutt'altro che pulite! Esagerazioni! Una signora distinta cura le sue mani con molta attenzione, ma sa evitare anche in ciò ogni eccesso; e lascia alle donne di dubbia fama il cattivo gusto di parere originali. All'uomo serio e dignitoso non è neppure permessa quella raffinatezza, che non disdice a una donna: mani pulite, unghie bianche e ben tagliate, e basta. Il viso, il collo, gli orecchi si lavino a fondo, più volte al giorno, insieme con le mani. È un'abitudine che non si può mai raccomandare abbastanza. Non basta lavarsi la mattina, alzandosi da letto: il viso e le mani sono esposti tutto il giorno all'aria, alla polvere, al fumo, e non possono non insudiciarsi a questi contatti. Del resto, una buona rinfrescata ogni tanto è tutt'altro che spiacevole; e chi una volta ci si abitui, non può più farne a meno. Oggi la moda femminile scuopre molto volentieri il collo e le braccia. Sia dunque cura delle signore che queste parti del corpo così delicate, che esse espongono agli sguardi altrui, siano sempre d'una scrupolosa nettezza, senza neanche la più lieve ombreggiatura. L'uso dei cosmetici, dei belletti, della cipria, del carminio sulle labbra, è assolutamente da condannare. Nel vecchio passato, e fino alla Rivoluzione Francese, di tutta questa roba si faceva un uso smodato; dopo, e fino ai nostri giorni, parve che la metà, più gentile dell'umanità avesse ormai rinunziato, e per sempre, a quegli sciocchi ornamenti; ma proprio in questi ultimi anni la moda di tingersi il viso e le labbra è risorta all' improvviso, e ha dilagato con impressionante rapidità. Sembra quasi che le donne si vergognino di comparire in pubblico coi loro colori naturali! Una signora per bene non adopra cosmetici. Se è giovane e sana, si contenti dei colori che le danno la gioventù e la salute; se ha ormai una certa età, non cerchi di celare, con astuzie che non ingannano nessuno, quei segni che gli anni portano seco, e che non sono nè colpevoli nè indecorosi: è una questione di dignità e di buon gusto. Rifletta anche - ed è una riflessione importantissima - che ogni colorazione artificiale della pelle è gravemente dannosa e non fa che accelerare i danni e le stimmate dell'età. Un giorno, quando, ormai vecchia, rinunzierà per forza a tutti questi pietosi inganni, si troverà ad aver la pelle floscia, avvizzita, piena di rughe; mentre avrebbe potuto, con una cura semplice ed igienica, mantenere, fin negli anni più tardi, una certa floridezza senile.

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Togliere tutta questa untuosità, con lavaggi a base di sapone o di soda, è un errore grave, che può esser causa della caduta dei capelli o d'un precoce incanutimento. Coloro che vogliono, anche in questo, comportarsi secondo le buone norme igieniche, cerchino dunque di mantenersi nel giusto mezzo. Per gli uomini, è abitudine eccellente lavarsi la testa tutte le mattine con acqua pura, e solo di tanto in tanto con acqua e sapone; per le signore la cosa è, naturalmente, un po' più complicata; nè è facile dar regole che servano per tutte. Occorre tener conto della qualità dei capelli, della quantità, del colore, di tante altre cose. Ci sono dei capelli di per sè molto untuosi, che hanno bisogno di esser detersi con assai frequenza; altri invece, molto aridi e secchi, ai quali giova, di tanto in tanto, di essere unti. Ci sono, per questo, medici specialisti e persone dell'arte, cui rimandiamo le cortesi lettrici; ci limiteremo soltanto a consigliare di sceglier sempre, per la cura del capo, i mezzi più semplici, che sono quasi sempre i più igienici: acqua e sapone, sapone e acqua; e insieme con questi, altri due elementi importantissimi: aria e luce. I capelli sono come una pianta che cresce sul nostro corpo, e come tutte le piante hanno bisogno, per crescere e svilupparsi, dell'aria vivificante e dell'alma luce del sole. I contadini, i marinari, tutti coloro che vivono all'aperto sono raramente calvi; divengono calvi precocemente coloro che tengono quasi sempre il capo coperto: che portano il cappello quando son fuori, il berretto quando sono in ufficio, la papalina quando sono in casa, la berretta da notte quando sono a letto! In un libro onesto, come è questo, non sarebbe neanche necessario far parola di quella stolta abitudine di tingersi i capelli, propria ugualmente degli uomini e delle donne di poco cervello. Ogni persona che tiene a mantenersi la stima e il rispetto dei suoi simili, lasci che i suoi capelli abbiano quel colore che la natura ha dato loro, si rassegni se li vede incanutire, come a cosa inevitabile. Tanto, con la tintura più perfetta non riuscirà mai a ingannare il prossimo; la barba, i baffi, i capelli tinti si riconoscono da lontano mille miglia, ed espongono colui che si tinge alla compassione, se non al disprezzo delle persone serie. Non importa poi dire che, come i cosmetici, anzi più assai che i cosmetici, tutte le tinture sono più o meno velenose, e non di rado producono gravi malattie in chi le usa: talvolta anche la morte. Non vi fidate dunque della réclame della quarta pagina dei giornali che ogni giorno vi fanno l'elogio di questa o di quella tintura, assolutamente innocua: son tutte ciarlatanerie, son tutte menzogne per ingannare i gonzi, che si lasciano facilmente prendere all'amo. Un bel viso, una bella bocca sono spesso guastati da una brutta dentatura. Abbiate dunque una cura solerte e continua dei vostri denti: non tutti possono avere dei denti regolari, ma tutti possono averli puliti: è una questione di pazienza, e soprattutto di abitudine regolare di pulizia. I denti devono esser lavati con lo spazzolino e con un buon dentifricio non una volta al giorno soltanto, ma più volte. È un'ottima abitudine quella di lavarseli dopo ogni pasto, e la sera prima d'andare a letto; e il lavaggio dev'esser fatto a lungo e a fondo, in modo da toglier via tutte le materie estranee rimaste fra dente e dente. L'uso di fumare annerisce i denti, ed è anche per questo che una signora che tiene ad apparir bella e piacente deve rigorosamente astenersene; ma dell'annerimento dei denti vi possono essere molte altre cause, fra le quali la più frequente è una digestione faticosa o imperfetta. In generale, chi digerisce bene ha i denti sani e bianchi. La regolarità dei denti, oltre la loro candidezza, è una delle bellezze più ricercate in una donna; nulla è più piacevole d'una bella fila di perle, quando le labbra si schiudono al sorriso. Ora, le madri amorose, che amano di veder belle e ammirate le loro figliuole, è bene che sappiano che, nella maggior parte dei casi, nulla è più facile che raddrizzare dei denti storti; basta rivolgersi a un buon dentista, che in un tempo relativamente breve saprà rimetter le cose a posto. La spesa non grave che un tal trattamento richiede è largamente compensata dai molti e grandi vantaggi che ne conseguono.

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L'uso di essi, passato dall' Oriente in Grecia, e dalla Grecia a Roma, dilagò per tutto il mondo civile e si mantenne vittorioso attraverso i secoli; ed anche oggi le nostre signore, e non le signore solamente, si profumano con un accanimento e con una costanza, degne di miglior causa. Sconsigliare alle nostre lettrici l'uso dei profumi sarebbe forse eccessivo; e d'altra parte le nostre parole sarebbero buttate al vento. Ma si può e si deve metterle in guardia da quell'abuso, così nella qualità come nella quantità, che oggi sembra tornato di moda. Chi vuole oggi far uso di profumi, bisogna che si rassegni a spender molto: non esistono profumi buoni a poco prezzo. I soli veri profumi sono quelli estratti da sostanze vegetali, con processi lunghi e costosi, e si vendono a prezzi fantastici; costano poco quelli chimici, ma sono generalmente troppo forti e assai spesso anche sgradevoli: una vera signora non ne usa mai. Se dunque non volete o non potete profondere molti denari in quell' abitudine di lusso, rinunziate francamente a profumarvi: la vostra dignità e la vostra bellezza non ci scapiteranno. Ad ogni modo, se userete profumi, sappiateli scegliere con fine discernimento. Tutti i profumi forti, anche se di buona marca, non convengono a una signora distinta, e tanto meno a una signorina. Saranno invece preferibili i profumi delicati, usati con parsimonia: una goccia appena nel vostro fazzoletto sarà più che sufficiente. Nulla è più volgare di certe signore che, per dove passano, lasciano una traccia persistente di profumo violento. Accanto ai profumi veri e propri, ci sono anche le così dette acque, come l'acqua di Colonia, l'acqua di Felsina, l'acqua di lavanda, che esalano un tenue odore, che presto svanisce. L'uso di queste acque è consigliabile sotto tutti i rapporti non solo alle signore, ma anche agli uomini; i quali invece dovrebbero astenersi in modo assoluto da ogni altro profumo. L'uomo che manda odore di muschio, o d'altro profumo, sia pure dell' ultima moda, è un effeminato, degno del disprezzo dell'uno e dell'altro sesso.

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E, neanche a farlo apposta, spesso questi due lati della questione fanno ai cozzi tra loro, e mettono in gran perplessità chi deve prendere una decisione. Per esempio, ecco che abbiamo in vista un bell'appartamento pieno di sole e di luce, con le stanze grandi e ben aereate, con una bella vista su orti e su giardini: proprio quello che farebbe per noi, e il prezzo non sarebbe neanche eccessivo; ma.... ma è molto lontano dal centro, della città, e il marito non si sente di fare a piedi tutti i giorni una lunga camminata, e il fare uso del tram lo secca e l'annoia; la signora.... la signora rimpiange quelle belle strade centrali, piene di botteghe e di magazzini; pensa che per far visita alle sue amiche dovrà fare un vero viaggio, che il ritorno dal teatro, la sera, sarà tutt'altro che piacevole. Ci sarebbe invece un quartierino proprio nel centro, piccolo sì, è vero, e anche un po' buio e con una lunga scala; ma l'ufficio del marito è lì a due passi, e la signora non ha che a scender le scale per trovare tutto quello di cui ha bisogno. Che si fa? Che cosa si decide? Noi non possiamo che ripetere quello che abbiamo già detto. Sulle questioni d'igiene non si può rimanere incerti: aria, sole, luce soprattutto, a qualunque prezzo, con qualunque sacrifizio. E i sacrifizi non son poi troppo gravi; con un po' di abitudine, le distanze, che prima sembravano eccessive, si accorciano; e la necessità di muoversi un po' di più, di far giornalmente qualche chilometro, finisce col ridondare in tanta salute. Chi vive in città, diviene pigro, lento, pallido; ingrassa eccessivamente, o dimagra, si rovina la salute: e ciò per mancanza di moto, per mancanza di sole e d'aria. S'egli si troverà in un ambiente più sano, se sarà costretto a concedere qualche quarto d'ora della giornata a una rapida passeggiata, s'accorgerà ben presto di tutto il vantaggio del suo nuovo regime di vita. Non si esiti dunque, non si dia ascolto alla nostra pigrizia: prendiamo la casa più lontana, ma più igienica. Una casa sana, oltre ad avere aria e luce, deve anche esser priva di qualunque traccia d'umidità. Generalmente, dove c'è sole non c'è umidità; ma dovremo ad ogni modo esaminar bene gli ambienti della nuova casa prima di affittarla, specialmente se si tratti d'un pianterreno. C'è un certo genere d'umidità, che nè l'aria nè il sole valgono a scacciare; e l'umidità d'una casa, specialmente della camera, può esser causa di gravissime malattie. La vostra casa sarà arredata con lusso maggiore o minore, secondo i vostri mezzi; potrà anche, se i mezzi sono pochi, essere arredata poveramente; ma dovrà esser sempre igienica e sana. Se siete ricchi, e vi potete concedere il lusso di mobili eleganti e costosi, di tappeti soffici, di tende e di tendine ricamate, badate che tutta questa suppellettile non faccia ingombro e impedisca la pulizia giornaliera. Si può far del lusso anche con semplicità, e poche cose sono così brutte a vedere quanto certe stanze piene zeppe di mobili, con le pareti coperte di quadri, col pavimento nascosto dai tappeti; regno della polvere e dei ragnateli. In ogni stanza ci dev'essere, invece, spazio sufficiente per le persone: i mobili si devono poter smuovere facilmente; i tappeti non dovrebbero esser mai fissi e inchiodati sul pavimento, ma a forma di pedane e asportabili con facilità. Le tende siano leggiere e trasparenti, di colori chiari, da potersi lavare ogni tanto; oggi vi sono delle signore di buon gusto, e veramente moderne, che hanno avuto il coraggio di abolirle, e di sostituirle con eleganti tendine ai vetri delle finestre, can gran vantaggio della pulizia e dell'igiene. La casa deve esser sempre tutta pulita, anche nei suoi più piccoli bugigattoli. Se avete una così detta stanza da sbratto, anch'essa deve esser sempre in ordine, senza polvere e senza ragnateli. E in ordine e pulita dove essere la cucina, in modo da peter esser mostrata, in qualunque ora del giorno, a qualunque persona che desiderasse vederla. La pulizia della casa va fatta la mattina, al più presto possibile. Una casa coi letti sfatti e con le camere in disordine sull'ora del mezzogiorno accusa di negligenza e di sciattezza la padrona e la donna di servizio. Quando si fa pulizia, si devono aprire le finestre, in qualunque stagione. Non abbiate paura dell'aria: la più parte dei malanni si prendono a star tappati in casa. Oltre alla pulizia giornaliera di tutta la casa, qualche brava signora ha l'abitudine di pulire a fondo una stanza per giorno, a turno, cominciando dal levare i mobili, sollevare i tappeti, lustrare il pavimento, ecc. È un'ottima abitudine, che non possiamo mai raccomandare abbastanza; e su di essa ci fermeremo ancora a lungo. La casa è il regno della donna; ed essa deve esserne gelosa come di cosa che appartiene tutta a lei. Una casa ben tenuta non solo fa onore alla padrona di casa, ma è fonte d'armonia fra i coniugi e di felicità familiare. Il marito che torna stanco dal lavoro, entra contento nel suo nido tutto lindo, dove ogni più piccolo oggetto rivela le cure amorose d'una persona gentile; da una casa sporca e mal tenuta egli si stacca invece volentieri, e cerca altrove, nelle sale del circolo o nei caffè, una distrazione alle fatiche della giornata. Pensateci, lettrici cortesi.

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La camera deve essere abbastanza ampia, specialmente se deve ospitare due persone; deve esser luminosa e, possibilmente, esposta a levante. Non c'è cosa più gaia che alzarsi, d'inverno, col sole in casa; d'estate, l'esposizione a levante preserverà la vostra camera dai calori del pomeriggio e vi concederà notti più fresche. Se dovrete imbiancare le pareti, preferite i colori chiari: purtroppo, si può esser costretti a stare in camera per qualche malattia, e una tinta scura è sempre fonte più o meno latente di malinconia. Il letto sia sempre disposto in modo che la vostra testa non sia vicina a una parete esterna. Se avete l'abitudine di dormire a finestra aperta o socchiusa - ottima abitudine,- disponetelo più che sia possibile lontano dalla finestra, affinchè l'aria esterna non vi colpisca direttamente mentre dormite. Se dormite a finestra chiusa, tenete almeno l'uscio aperto, in modo che l'aria possa rinnovarsi. Avete mai provato ad entrare la mattina nella camera di una persona che dorma a finestra e uscio chiuso? Avete sentito che aria grave e mefitica s'era rinchiusa là dentro? Quell' aria è tutta veleno per i polmoni del dormente, il quale si alza con la testa grave e con le membra indolenzite. Un buon letto non dev'essere nè troppo duro, nè troppo morbido: nel caso, dicono gli igienisti, meglio troppo duro che troppo morbido. Una volta, coi sacconi di foglia e con quelli a molla, si andava da un eccesso all'altro; oggi, con l'uso delle reti metalliche, si è trovato il giusto mezzo. Una buona materassa di lana, delle lenzuola pulite, qualche coperta e un guanciale, ecco quanto è necessario per un sonno piacevole e riparatore. Le coperte non devono esser nè troppe, nè troppo poche. La sensazione di freddo impedisce il sonno, come la sensazione di caldo. Ma sulla misura del coprirsi non si possono dar norme generali: c'è chi ha sempre caldo, e chi ha sempre freddo. Ognuno dunque si regoli secondo i suoi gusti. Chi può concedersi il lusso d'uno stanzino da toelette separato dalla camera da letto è una persona fortunata; ma questa, nelle nostre case di piccoli borghesi, è un'eccezione. Rassegnamoci dunque ad avere, in un angolo della nostra camera, un piccolo lavabo di marmo o un semplice lavamano di ferro, purchè provvisto d'acqua in abbondanza, nel quale si possano fare con comodo le nostre abluzioni giornaliere. Tutti quegli oggetti, così cari alle signore, come spazzole, spazzolini, pettini, lime, ecc., dovranno esser disposti in buon ordine sulla vera e propria toelette, davanti allo specchio mobile. Un armadio a specchio, un cassettone, una poltrona, qualche seggiola, completeranno l'arredamento della camera, la quale dovrà esser semplice nella sua eleganza, senza fronzoli, senza mobili inutili.

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Parlare di questi doveri e di questi diritti spetterebbe, più che a un libro di buone usanze, a un libro di morale; ma come può la buona educazione star separata dalla morale? Ci si permetta dunque di trattare anche questo argomento; ma così alla buona, senza pedanteria. I bambini solo gli esseri deboli della famiglia, quelli che hanno molti diritti e pochi doveri. Un antico detto latino insegna che si deve avere il massimo rispetto per i fanciulli; e pochi detti sono tanto saggi come questo. Il bambino è un essere delicato, nel quale tutte le impressioni esterne s'imprimono come le impronte sulla cera molle; perciò l'influenza della famiglia è decisiva sul suo spirito. I genitori troppo deboli saranno perciò responsabili dei difetti dei loro bambini, perchè questi conserveranno sempre, nel loro contegno, la traccia delle cattive abitudini contratte in famiglia. Se i bambini devono mostrare ai loro genitori un rispetto inalterabile e una confidente franchezza, i genitori alla loro volta hanno il dovere di sorvegliare il carattere, il contegno, il linguaggio e la condotta dei loro figliuoli. Tocca ai genitori di prepararli ai loro doveri futuri, di sviluppare in essi i sentimenti generosi, dei quali essi dovranno poi far mostra nella vita. Nell'educazione dei bambini bisogna tenersi lontani da due opposti difetti: dalla troppa severità e dalla troppa condiscendenza. In certe famiglie i bambini sono tenuti con una specie di regime di terrore: sgridati ad ogni momento, puniti per ogni più piccolo fallo, essi vivono in un continuo timore della voce dei loro genitori, tremano alla loro presenza, si nascondono, se possono, al loro avvicinarsi. Non ancora dotati di discernimento, essi finiscono col non saper più quel che è lecito fare e quello che è vietato, finiscono col credere che tutto quello che fanno non si debba fare e perdono interamente il senso del giusto e dell'ingiusto. Sempre sotto il timore delle sgridate, essi non hanno più fiducia nei genitori, e per evitare i rimproveri ricorrono volentieri, quando possono, alla bugia, che è forse, nei bambini, il difetto più grave e più fecondo di tristi conseguenze. In molte altre famiglie, invece, i bambini sono i veri padroni di casa: i loro capricci sono legge; il padre, la madre, i nonni, le persone di servizio, tutti devono sottostare a loro: e guai a chi osasse far l'atto di rimproverarli o di punirli. Abituati così a ottener sempre quello che vogliono, essi crescono arroganti, prepotenti, egoisti; e, nella vita, si rendono presto tristemente noti per il loro cattivo carattere. Un padre e una madre non devono lasciar passare nessuna occasione di mostrare la loro tenerezza ai bambini. Il tono col quale parlano, il modo stesso con cui li rimproverano devono sempre mostrare che sono soltanto ispirati dall'affetto e dal desiderio di far loro del bene. Tuttavia questo affetto, questa familiarità non devono impedire, quando l'occasione si presenti, il rimprovero severo e, se sia necessario, anche acerbo. Il bambino deve sapere che il dolce sorriso della madre, l'aspetto sereno del padre possono a un tratto cambiarsi, per giuste ragioni, in una serietà correttrice, in un severo cipiglio; deve soprattutto sapere, per esperienza più volte fatta, che i suoi capricci non saranno mai soddisfatti, qualunque sia la loro gravità e la loro durata, che la volontà dei genitori è una legge fatale, alla quale non gli è possibile sottrarsi. Quando egli si sia formata questa convinzione, non tenterà neanche più di far valere le sue pretese e si assoggetterà tranquillamente all'ineluttabile. Conosco un bambino che non può soffrire la minestra in brodo: tutti i giorni a mezzogiorno, quando il padre è assente, egli fa il suo bravo capriccio e la madre, che è debole, glielo dà vinto; la sera, quando il babbo è presente, mangia la sua minestra tranquillamente, senza neanche provarsi a resistere: perchè sa, per prova fatta due o tre volte, che se non mangiasse la minestra non gli toccherebbe altro.... Ricordiamoci che i bambini sono, a modo loro, pieni di logica, e raramente si ostinano in ciò che sanno assolutamente irraggiungibile. I bambini devono esser tenuti sempre ben puliti; non solo per igiene, ma per decenza e per buona educazione. Il fatto ch'essi sono così facili a insudiciarsi da un momento all'altro, non giustifica quella trascuratezza, con la quale li tengono molte mamme. Ci vuol pazienza, e rassegnarsi a cambiarli e a lavarli d'ora in ora. Facendo così, conseguiremo anche un altro vantaggio: quello di avvezzare il bambino stesso alla pulizia. L'esempio materno e quel dovere continuamente sottostare al cambio delle vesti e alla lavatura lo indurranno ad aversi più cura e ad evitare le occasioni di sporcarsi. Abituate il bambino fin da piccolo, senza esagerare ma con fermezza, a tenersi correttamente. Impedite fin da principio, con energica severità, gli urli, le bizze, il pianto noioso e prolungato. State attenti alle persone che pratica, e fate in modo che non impari, fin dalla prima età, modi o parole sconce e volgari. Se per caso le impara, correggetelo con amorevolezza e senza mostrar di dare troppa importanza alla cosa, per non ottenere, eccitando la sua curiosità o la sua astuzia, un effetto contrario; meglio se potrete fare in modo che, piuttosto che accorgersi della sconvenienza di quell'atto di quella parola, se ne dimentichi. A genitori onesti e ben educati non occorre dire quanto importi che i cattivi esempi non vengano da loro. Il padre che, in certi momenti d'ira o di malumore, si lascia sfuggire parole triviali o sconce, non ha diritto di lamentarsi se il suo bambino le ripete; piuttosto che rimproverarlo, pensi a correggere sè stesso; la madre che, in qualche occasione, si mette a strepitare contro le persone di servizio, non deve maravigliarsi se i suoi figliuoli si credono autorizzati a far lo stesso. Come regola generale, siate indulgenti verso tutte quelle mancanze dei bambini, che derivano non da malizia, ma dalla naturale esuberanza di vita propria dell'infanzia. Se i vostri piccini fanno troppo chiasso, se, giocando, rompono un oggetto a voi caro, non vi lasciate trasportare dall'ira, non infliggete punizioni esagerate: pensate che i bambini non possono, per la loro stessa natura, avere quel senso di moderazione, quel continuo controllo dei propri atti, che è invece doveroso negli adulti; se l'avessero, voi stessi ve ne maravigliereste come d'una cosa strana, e forse vi mettereste in pensiero. Siate invece inesorabili quando il fallo commesso rivela malignità o cattivo cuore: soprattutto punite senza indulgenza la menzogna, l'inganno, la calunnia. Se un bambino guasta o rompe un oggetto del vostro salotto, se mangia di nascosto un pezzo di dolce rimasto nella dispensa, non vi fate pregar troppo a perdonargli; ma se del danno fatto accusa un'altra persona, gastigatelo in modo che gli passi la voglia di ricorrere ancora a un simile espediente. I bambini sono, oltre che dei buoni logici, dei fini osservatori; e molti babbi e molte mamme non tengono il dovuto conto di questo fatto. Pretendere che il padre e la madre siano sempre d'accordo sul modo di educare i propri figliuoli, è pretendere troppo: anche nelle coppie matrimoniali meglio assortite c'è sempre qualche piccola divergenza di vedute, specialmente nei primi tempi: divergenze che si compongono con facilità e che finiscono poi con lo scomparire. Ma guai se di queste divergenze, per quanto piccole, si rende conto il bambino, se s'accorge che un suo malestro è giudicato diversamente dal padre e dalla madre. Con una certa sua innata astuzia, egli ne approfitterà per fare a modo suo, appoggiandosi via via a quello dei suoi genitori che sa essergli più favorevole in quel dato caso. Mostratevi dunque, in faccia ai vostri figliuoli, sempre concordi, anche se la concordia non è perfetta: avrete poi tempo, a quattr'occhi, di discutere le vostre opinioni, di vagliare il pro e il contro, di trovare insieme la via migliore. L'uso comune della società moderna è che i figli diano del tu ai genitori, mentre, poche diecine d'anni fa, il tu, nelle famiglie distinte, era un'eccezione. In qualche parte d'Italia usa ancora il voi, in qualche famiglia si mantiene ancora il lei. Questioni d'abitudine, tutte rispettabilissime. L'importante è che i figli abbiano per i genitori affetto, fiducia e un salutare timore: il resto è questione di modalità, fors'anche di moda, sulla quale, anche se ne valesse la pena, non sapremmo davvero dar norme precise.

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Ma a partire da una certa età, è tale il divario fra gli uni e le altre, che anche il sistema d'educazione richiede una distinzione ben chiara e netta. Coi bambini i genitori devono spesso far uso di quella autorità assoluta, che comanda e non dà spiegazioni: persuadere un bambino non è sempre facile, spesso è assolutamente impossibile; perciò, si ordina e non si ammette replica. Coi giovinetti, bisogna procedere con più precauzione: e per quanto è possibile cercar sempre di raggiungere lo scopo che ci proponiamo con la pazienza e con la persuasione. Il giovinetto comincia ormai a ragionare da sè, ed è orgoglioso di questa nuova facoltà che si va sviluppando in lui; gli piace di rendersi ragione di quel che fa o deve fare, s'impunta o s'impermalisce se deve obbedire alla cieca, come un bambino. I genitori savi e prudenti non solo non ostacolano queste sue tendenze ma ne sanno approfittare, volgendole, con sapiente artifizio, a loro favore: e così il giovinetto, guidato da abile mano, crede spesso di regolarsi secondo il proprio arbitrio, e non fa che seguire le orme che gli sono state tracciate. Sistema questo veramente eccellente: poichè le buone abitudini sono tanto più durature, quanto più praticate spontaneamente. Fin da quando i giovinetti sono in grado di comprendere e di ragionare con sufficiente larghezza, inculcate loro quelle più importanti norme di vita che formano il vero galantuomo: prime fra tutte, l'onestà, l'amore al lavoro, il rispetto dei più vecchi. Noi crediamo fermamente che chi praticasse sul serio queste tre grandi virtù, potrebbe anche fare a meno, senza gran danno, di tutte le altre. Avvezzate i vostri figliuoli all'onestà assoluta e senza restrizione: onestà d'atti, di contegno, di parole. Se, anche nell'ambito ristretto della famiglia, commetteranno una di quelle azioni poco corrette, non gravi in sè, che ogni ragazzo commette, fate loro vedere, magari esagerandole un po', tutte le conseguenze del loro errore. Se si tratterà d'una promessa non mantenuta, fate capire che il vero galantuomo non ha che una parola sola, e che quando ha promesso, deve mantenere ad ogni costo; mostrate che sulla sicurezza della parola data è fondata in gran parte la fiducia commerciale e il buon nome. Se si tratterà d'una bugia, d'un giudizio avventato su persone di conoscenza; fate comprendere tutti i danni che possono derivare agli altri dalla nostra mancanza di sincerità o di prudenza, e il cattivo nome che ne può venire a noi stessi. Non tralasciate insomma nessuna occasione per indirizzare alla rettitudine la mente e il cuore del vostro figliuolo: e tutto ciò sia fatto con semplicità, senza pedanteria, senza ingenerare dispetto o stanchezza. Non si può immaginare a quali effetti salutari possa condurre un tal metodo, se si sappia usarlo come si deve. Io so d'un maestro ch'era riuscito a togliere a tutti i suoi scolari il brutto vizio di copiare i loro compiti e gabellarli come roba propria, soltanto col far loro notare che quel che essi facevano era nè più nè meno che un falso; e che quando mettevano la loro firma sotto un lavoro fatto da altri, commettevano lo stesso reato di colui che mette una firma falsa in una cambiale! Più che tutti gli esempi tolti dalla vita, gioverà l'esempio vostro: se il padre e la madre, ciascuno per la parte sua, saranno veramente e profondamente onesti, tali riusciranno anche i figliuoli, purchè padre e madre si occupino davvero della loro educazione e non li lascino invece liberi di abbandonarsi ai loro istinti. Purtroppo, in molte famiglie non accade così: la madre, una santa donna, per mancanza d'energia o di cultura, o per le troppe occupazioni, non può più occuparsi con frutto dell'educazione dei figliuoli, quando ormai sono giunti a una certa età; il padre, perfetto galantuomo, è occupato tutto il giorno dalla sua professione o dai suoi affari, e non ha nè tempo nè voglia di sobbarcarsi a un compito così grave, che richiede fatica e costanza. E i figliuoli vengon su come possono, abbandonati a sè stessi, o ai cattivi consigli dei falsi amici. Poi, a un tratto, si sente dire che il figlio del tal dei tali, di quel gran galantuomo che tutti conoscono, ha rubato, ha falsificato la firma del padre, ha coperto d'infamia il nome della sua famiglia. Conseguenze fatali d'un errore d'educazione. E l'esempio varrà anche per inculcare nei vostri figliuoli quell'altra grande virtù dell'amore al lavoro. Il figlio d'un padre ozioso e fannullone, d'una madre che abbandoni la casa a sè stessa per far visite o prender parte a ricevimenti, difficilmente diventerà un lavoratore; preferirà anch' egli di darsi buon tempo, che è cosa tanto più facile. S'abituerà invece a considerare il lavoro come un obbligo, se vedrà il padre occupato seriamente nei suoi affari o nella sua professione, la madre interamente dedita alle cure della famiglia. Il lavoro d'un giovinetto è, nelle famiglie borghesi, lo studio. Ed è un dovere imprescindibile dei genitori di sorvegliare gli studi dei loro ragazzi, continuamente e assiduamente. In molte famiglie, quando si è mandato a scuola i figliuoli, quando si son provveduti di carta, di libri, d'inchiostro e di penne, si crede di aver fatto tutto: tocca al maestro a insegnare, e ai ragazzi a imparare. Teoria comoda, che dà ai genitori l'illusione di viver tranquilli e senza sopraccapi. Ma è proprio un'illusione, che molto spesso riserba delle brusche sorprese: una lettera del preside della scuola, un rapporto dei maestri vi fanno a un tratto sapere che il vostro figliuolo non studia, che è indisciplinato, che manca ogni tanto alle lezioni. Sorpresa generale: lacrime della madre, ira violenta del padre, rimproveri, gastighi.... e poi si ricomincia da capo. Sorprese di questo genere, in una famiglia dabbene, non devono mai verificarsi. Se i figliuoli non studiano, i primi ad accorgersene devono essere i genitori; e se ne accorgeranno facilmente, se avranno l'abitudine di sorvegliarli di continuo, di interrogarli, d'informarsi di quel che fanno giornalmente, di fare ogni tanto una visita ai maestri e ai professori. Se li vedranno distratti, svogliati, più proclivi ai divertimenti che allo studio; se li vedranno tornar tardi da scuola, o imbrancarsi coi compagni, o ricercare amicizie non adatte alla loro condizione, avranno elementi sufficienti per far la loro diagnosi, e dovranno senz'altro correre ai rimedi; ai rimproveri, alle correzioni, ai gastighi, se la persuasione e le buone parole non bastano. Purtroppo, l'educazione dei figliuoli è fra le cose difficilissime di questo mondo, e chi volesse darne le norme dovrebbe scrivere un libro apposta; senza contare che le norme sole non bastano. L'animo del ragazzo è mutevole, incostante, e varia da individuo a individuo; e chi si occupa sul serio d'educazione sa che, caso per caso, individuo per individuo, bisogna saper scegliere il modo di correggere, di rimproverare, di punire. Ci sono dei giovinetti d'animo sensibile, coi quali tutto s'ottiene con la dolcezza e la persuasione; anche nei casi più gravi, basta un'occhiata, una parola severa, per rimetterli subito sulla buona strada; per altri invece le parole non bastano, ci vogliono i gastighi, ci vogliono qualche volta, purtroppo, anche delle correzioni più gravi. I genitori devono saper leggere nell'animo dei loro figliuoli come in un libro aperto, e valersi via via dei mezzi di correzione che si adattano di più al loro carattere. Il rispetto alle persone d'età non è soltanto un atto di buona educazione, una norma di civiltà; è, soprattutto, un dovere, fecondo d'ottimi resultati. Rispettare un vecchio vuol dire riconoscere in lui una persona di grado superiore, per coltura, per senno, per pratica della vita. E poichè molti degli errori giovanili dipendono più che altro da inesperienza, non è a dire quanto sia utile nel giovinetto la convinzione che i vecchi ne sanno più di lui: in tale persuasione, egli non sdegnerà di ricorrere ai loro consigli, quando l'occasione si presenti, e lo farà spontaneamente e con fiducia. Toccherà poi ai vecchi a non abusare di questa fiducia, a non mostrarsi noiosi e esigenti, a non far passare ai giovani la voglia di ricorrere ai loro consigli: ciò che sarebbe un gran danno. Due altre cose devono i genitori sorvegliare con gran cura nei loro figliuoli: la scelta delle letture e degli amici. Giunto a una certa età, il giovinetto prova, in generale, un gran desiderio di leggere; e poichè gli manca l'esperienza della vita, tutto quello che legge crede che rispecchi la verità di quel mondo che ancora gli è in gran parte ignoto. L'adulto legge in una maniera del tutto diversa; e qualunque sia il libro che ha sott'occhio, istituisce sempre, anche involontariamente, un confronto fra quel che in esso è detto e quello che è in realtà; e finisce col far la sua critica, dichiarando il libro o vero, o falso, o esagerato, o troppo crudo, o troppo sentimentale. Il ragazzo no: egli si fida ciecamente di quel che legge, e crede e spera di trovarlo poi nella vita. Non di rado si legge di giovinetti di dodici o quattordici anni, i quali, montatasi la testa coi romanzi d'avventure, hanno improvvisamente abbandonato le loro famiglie e si sono messi a correre il mondo per imitare i protagonisti dei loro libri prediletti; e ci fu un tempo in cui la lettura delle Ultime lettere di Iacopo Ortis, romanzo d'amore che finisce con un suicidio, fu causa della rovina di molte giovani vite. Sorvegliate adunque le letture dei vostri figliuoli, scegliete i libri che si adattano alla loro indole, e se non potrete sempre impedire che leggano certi libri un po' fantastici, che sono la loro passione, sappiate almeno porger loro un contravveleno, invitandoli a leggere anche libri d'altro genere e soprattutto aiutandoli, con la parola e con l'esempio, a separare la fantasia dalla realtà, a riconoscere tutta l'esagerazione di ciò che leggono. Se si deve essere severi e oculati nella scelta dei libri, severità e oculatezza anche maggiori saranno necessarie nella scelta degli amici. Non permettete mai che il vostro figliuolo si accompagni con ragazzi della sua età o maggiori di lui, se non li conoscete in modo da esser sicuri della loro moralità. Non è esagerazione dire che i cattivi compagni sono quel che di peggio possa capitare a un ragazzo, tanto essi influiscono sul suo carattere, sulla sua indole, sulle sue idee. E badate che, in generale, non è per malizia che i giovinetti stringono amicizie equivoche: quasi sempre essi credono ingenuamente d'aver trovato la perla degli amici; e solo più tardi, e insensibilmente, prendono il fare, i modi, le abitudini del cattivo compagno. Siate dunque, in questo, severissimi e sorvegliate anche voi stessi, perchè non accada che, in un eccesso di fiducia, non abbiate ad accogliere in casa vostra chi non è degno della vostra confidenza.

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Raramente, e solo in casi eccezionalissimi e quando si abbia che fare con caratteri speciali, si è costretti a ricorrere con lei ai grandi mezzi, alle severità, ai gastighi: i buoni consigli della mamma, le sue dolci parole, bastano in ogni occasione a farle compiere, con buona volontà e con serenità, il suo dovere. Ogni fanciulla è come un fiore delicato, che cresce sotto le cure amorose a pazienti del giardiniere; trascurato, avvizzisce o intristisce. Una volta, la giovinetta stava in casa con la mamma, usciva fuori con la mamma, viveva tutta la sua vita di fanciulla con la mamma. Oggi non è più così: sarà un bene, sarà un male: non lo so e non voglio giudicare; ma il fatto è che la signorina moderna va a scuola come i ragazzi, sta in iscuola coi ragazzi, esce di casa sola e ritorna sola, con una libertà un tempo assolutamente ignota. Se tutto ciò fosse frutto soltanto di una nuova moda, si potrebbe anche esser tentati di consigliare di tornare all'antico; ma di tutte queste nuove abitudini sono causa principale le mutate condizioni della società moderna, la quale sembra voler imporre il precetto che la donna debba guadagnarsi la vita come l'uomo. Le fabbriche, gli uffici, le scuole sono oggi piene di operaie, d'impiegate, di maestre; e in molte famiglie numerose, anche d'antico stampo, non si vede di mal occhio che le figliuole si assicurino un avvenire, indipendentemente dalla speranza, sempre aleatoria, di accasarsi. Prendiamo dunque le cose come sono, che è il più saggio dei consigli; e vediamo come ci si debba regolare in questa nuova condizione di cose. L'uso delle scuole promiscue, che al suo primo apparire fu così biasimato, non ha poi prodotto quei danni morali che i pessimisti avevano preconizzato. Maschi e femmine, abituati fin da piccoli a vivere insieme, sanno comportarsi con correttezza e con disinvoltura, senza danno della convenienza e del decoro. Tuttavia, non consiglieremmo mai una madre a mettere in una scuola promiscua, una figliuola già grande, abituata a vivere in famíglia o in scuole femminili: sarebbe un esporla a un troppo radicale cambiamento d'abitudini, che potrebbe condurre a conseguenze spiacevoli. I giovinetti e le giovinette debbono sapere vivere insieme, acquistando, specialmente le giovinette, quel fare semplice e spigliato, e nello stesso tempo riservato e modesto, che non si acquista che con la lunga abitudine. Non sempre, specialmente nelle piccole famiglie borghesi, si può permettersi il lusso di accompagnare o far accompagnare le proprie figliuole alla scuola; ed oggi vige quasi dappertutto l'abitudine di mandarle sole. Non c'è gran male; ma una madre saggia e oculata farà in modo che questa eccezione, imposta dalle circostanze, non divenga un'abitudine: altro è vedere una signorina recarsi la mattina a scuola, coi libri sotto il braccio, o ritornarne nel pomeriggio, percorrendo sempre la stessa strada con passo frettoloso, altro vederla aggirarsi per la città, in qualunque ora, soffermandosi alle vetrine delle botteghe a osservare e curiosare. L'andar fuori sole sia dunque una necessità e non un'abitudine; e si ricordi che a una signorina sola incombe il preciso dovere di sorvegliare più che mai il proprio contegno, di non accompagnarsi con nessuno, e meno che mai con uomini, di vestire modestamente, per non dar nell'occhio ai passanti. In casa, una signorina per bene veste sempre con correttezza, non esce di camera se non interamente abbigliata e pettinata, non fa uso di vestaglie, che sono permesse soltanto alle signore maritate. La sua camera è semplice e modesta, senza sfarzo e senza stonatura; non è ingombra d'oggetti d'ogni genere, ma delle sole cose necessarie, disposta con ordine e con metodo; la biancheria, le vesti, le scarpe stanno al loro posto e non sono sparse qua e là in disordine; le pareti, il soffitto, le tende, le tendine sono a tinte chiare, e danno a tutto l'ambiente un'aria incantevole di festività e di gentilezza. La madre deve educare la sua figliuola in modo da sviluppare in lei i sentimenti più delicati, più femminili, cercando soprattutto, se ha altri figli, di tenerla lontana dall'influenza dei maschi. In certe famiglie, nelle quali i maschi sono in maggior numero, la figlia o le figlie finiscono col prendere abitudini maschili: saltano, gridano, fischiano, vengono alle mani. Moderate questi eccessi e fate comprendere alle vostre bambine tutta la sconvenienza del loro modo di comportarsi. Una giovinetta fine e gentile è la consolazione della casa. Essa è sempre ilare e tranquilla, non ha scatti di malumore, non alza la voce, non si lamenta; se ha dei fratelli, li tratta con cortesia, con una premura quasi materna. Col padre e con la madre è affettuosa, attenta, e cerca di prevenire i loro desideri: tratta tutti con gentilezza, così le persone di casa come gli estranei. Giunta a una certa età, essa è l'aiuto della mamma in tutte le faccende domestiche; e se studia e va a scuola, non per questo deve credersi dispensata da tali suoi doveri di figliuola; ma sa trovare il tempo per compierli con serenità e con piacere. La futura maestra, la futura impiegata, dovrà anche essere, un giorno, una buona massaia; avrà probabilmente una famiglia da curare, un marito, dei figliuoli; e se non avrà fin da principio imparata l'arte difficile di governare la casa, sarà costretta a impararla in seguito, con maggior fatica e con resultati molto meno soddisfacenti; se pure non preferisca - e gli esempi purtroppo non mancano - di abbandonar la casa a sè stessa, con danno suo e della famiglia. Soprattutto, la madre cerchi di avvezzare la propria figliuola alla più severa economia: economia in tutto, nelle spese personali, nelle spese di famiglia. Il buon andamento d'una famiglia dipende, più spesso che non si creda, dall'abilità finanziaria della madre di famiglia. Se non si tengono con diligenza i conti giornalieri, se nelle compre non si cerca di risparmiare acquistando via via i generi più convenienti, se non si sa rinunziare ai capricci della moda, alle stoffe troppo costose, ai gioielli, ai ninnoli troppo cari, la famiglia si avvia inevitabilmente al fallimento. Ora, accade spesso che i genitori, per un malinteso affetto, si studiano di tenere i figliuoli all'oscuro di tutte le loro difficoltà, cercano di accontentarli nei loro desideri, anche se non conformi alla loro condizione, e non hanno altro scopo che di tenerli lontani da ogni preoccupazione; e i figliuoli crescono su spensierati, egoisti, proclivi a spendere il loro denaro nelle cose più frivole. Quando poi devono essi stessi metter su famiglia, hanno, per così dire, un triste risveglio, e si trovano improvvisamente a contatto con le aspre difficoltà dell'esistenza, senza la preparazione necessaria. I genitori che non impongono ai loro figliuoli quei sacrifizi che richiede la loro condizione, commettono dunque un grande errore; e invece di spianar loro la via della vita, non fanno che preparargliela più grave e più difficile.

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