Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le belle maniere

180175
Francesca Fiorentina 50 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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A FANNY AMORETTI DA ONEGLIA IN CUI DI BUON TRONCO COMPIUTAMENTE RALLIGNA LA CASTA E VIVIDA GENTILEZZA LIGURE NEL MIRACOLO DELLA GIOVINEZZA PENSOSA, DELLA BELLEZZA PUDICA DELLA GRAZIA IMMACOLATA

NON potrò mai dimenticare il triste caso d'un giovinotto, nostro conoscente, d'ottima famiglia, ma molto alla buona, che, essendo stato invitato a un pranzo d'etichetta, sudò sangue quando vide presentare a tavola un fagiano e osservò che le dame non adopravano le dita per aiutarsi nella difficile operazione. Naturalmente non osò offrirsi un candido petto o una coscia polposa; e, avendo da fare con un'ala, piuttosto che raschiarci attorno mezz'ora col coltello, preferì sentirsi scricchiolare gli ossi sotto i denti e trangugiarseli tranquillamente, ingoiandoci sopra un bicchiere di vino generoso. Quanto alla salsa, fu lì per soffocare, perchè - sbagliandola per uno dei soliti intingoli della sua cuoca bonacciona - se ne tirò giù una golata. Era una piccantissima salsa inglese. Gli occhi gli schizzarono fuori dell'orbita, e il viso gli divenne una maschera livida, quando colse qua e là qualche sorrisetto mal dissimulato. Giurò di non accettare più simili inviti, o di digerirsi prima un trattato di galateo:un osso duro anche questo! Potrebbe capitare anche a chi non se l'aspetta di far parte d'una mensa aristocratica e di ritrovarsi a faccia a faccia con ostacoli insormontabili, senza una precedente preparazione. Ebbene, io vorrei che voi, figliole mie, pur solitamente modeste, ve la sapeste cavare in qualunque caso. Quanto allo star bene a tavola in famiglia, spero, via. . . Eppure m'è accaduto di sorprendere una giovinetta, mia conoscente, davanti a un piatto di rape. Che viso, mamma mia! Che sgarbo per respingere la pietanza! Sua madre, senza farci caso in quel momento, assorta nel discorrere con me, aveva riempito il piatto della sua Livia; e lei lo buttò lontano, in una mossa istintiva, di cui s'ebbe a vergognare, incontrando un mio sguardo severo e un tantino indignato. In cuor mio, le augurai di poter sempre disporre, tutta la vita, d'un piatto di rape. A me, quand'ero fanciulla, non piacevano le cipolle che, scivolandomi viscide sotto il palato, mi davano perfino un senso di ribrezzo. Ma, care mie, dovetti sorbirmele a desinare e a pranzo, come odore, come contorno, in umido e in arrosto. Delle rape non parliamo; quell'amarognolo m'irritava in un cibo:c'erano già, amare, le medicine! E la trippa? E i pezzi di pomodoro nella minestra? Ma dovetti sempre far buon viso a cattivo gioco; e ora sono felicissima di poter insegnare a' miei figlioli, senz'arrossire, che devono mangiare di tutto. In questo tempo, poi, in cui d'oltr'alpe ci giungono notizie, a tal riguardo, che fanno accapponare la pelle e la nostra patria mentre chiede a' fratelli nostri la giovinezza, il sangue e anche la vita, esige da noi sacrifizi e rinunzia di tutto ciò che non è indispensabile al campamento, è necessario avvezzare il palato e lo stomaco a essere meno schizzinosi. Altro che leccornie! che intingoletti succosi! che panini di semola! che cioccolato nel latte! Povero ed eroico Belgio! Se a tutte le tue più ricche famiglie non mancassero almeno pane e patate! Anche per pietà de' vostri genitori, che hanno diritto di mangiare tranquilli, loro a cui unico riposo in tutto il giorno sono forse le due mezz'ore dedicate al cibo, io raccomando almeno a voi, fanciulle, che non siete più bimbe, di superare le avversioni del palato e di non far bòccuccia a pietanze grossolane. Chi sa, figliole mie, che cosa vi riserba il domani? E poi, che sodisfazione avrebbe delle vostre smorfie la mamma, che ha preparato quella tal vivanda e che l'ha creduta confacente al vostro organismo? E vorrei che scoppiettassero discorsi vivaci per aiutare la digestione; il trovarne l'argomento tocca alla vostra testolina, dove le idee gaie non sono ancora sperdute fra pensieri grigi e assillanti. Chiacchierate, però, senza procurare in chi v'ascolta un senso di soffocamento, senza interrompere le parole degli altri o urtare col vostro cicaleccio un ordine della mamma, o ingozzarvi voi stesse, parlando magari col boccone in bocca. In questo caso, obblighereste pur chi vi sta vicino a ripararsi con un ombrello.

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". . . mangiando con altri a qualche mensa, non riporre nella custodia il coltello, prima del tempo; non rigovernare il coltello prima de' compagni; forse verrà servito in tavola altro, che tu non t'aspetti".

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M'è capitato d'asssisterere a qualche conferenza e di dover sentire una profonda pietà per il povero oratore, la cui serenità era messa a ben dura prova dal contegno d'alcune delle sue uditrici, signore e signorine. Lasciamo star le prime, e parliamo di quelle giovinette che sbagliano la conferenza per un divertimento e ci vanno col fermo proposito di farsi un'oncia di buon sangue. L'oratore, dopo il caloroso esordio pronunciato con voce lenta, ma calda, è riuscito ad attirarsi gli animi degli uditori e a circondarsene in modo da esser proprio lui il centro di tutte le aspirazioni e di tutta l'attenzione; entra sicuro nell'argomento della conferenza, e comincia a trattarlo con chiarezza d'idee ed elevatezza di forma, credendo di plasmare il suo dire su tutte le menti aperte intorno a lui. Anzi, davanti a quel pubblico che gli sembra palpitare come un sol cuore, si sente eccitare, entusiasmare, vibrare di nuove sensazioni non provate prima, e improvvisa frasi e concetti, che si distendono limpidi e gagliardi in una voce più armonica e suggestiva. Ma eccoti, a un tratto, due occhi, prima spalancati su di lui, volgersi a destra e a sinistra; una bocca, prima socchiusa leggermente, aprirsi incauta, e una mano coprirla, e un'ipocrita tossettina dare il pretesto di quella mossa. C'è di peggio:là, in un cantuccio, una testa si china giù, più giù, e poi si risolleva bruscamente, mentre i due occhi s'allargano come lanterne, nello sforzo della tensione. Io, figliole, m'accorgo di tutto questo seguendo lo sguardo talora stupito, tal altra crucciato, spesso triste del conferenziere. Repentinamente il suo entusiasmo si sfredda, la sua volontà s'infiacchisce, la sua voce s'annebbia, le parole arrivano ai labbri come cercate e, a momenti, s'appallottolano nell'ugola miseramente. E' un attimo. Si riprende, ma con quale sforzo! Il calore che nuovamente infiamma il suo discorso è come la vivace tinta che arrossa le gote in un accesso di febbre; non è naturale. Siete crudeli senza saperlo, figliole mie. Ma il titolo della conferenza vi aveva parlato chiaro:doveva trattare di storia, o d'arte o di letteratura. - Sì, è vero; ma in compagnia speravamo di distrarci, di non lasciarci cogliere dalla sonnolenza. Se ci van tutte le signore! E noi, via, abbiamo studiato! - ribattete voi. Ma, generalmente, questi grandi oratori, da cui accorrete illudendovi sempre di poter tutto capire, supponendo che la magnifica potenza della loro parola, come se fosse pura acqua di ruscello, renda chiare le immagini fra cui passa, discorrono di cose più alte che non sieno stati i vostri studi. E il desiderio di conoscere il famoso oratore non basta a scusare i vostri sbadigli a stento frenati, il moto perpetuo del capo e, peggio, il batter del mento sul petto. O sentite di poter tenere fissa l'attenzione dal principio alla fine, o rinunziate a questo. . . diletto intellettuale, ch'è fatto per chi può veramente gustarlo.

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Soltanto alla parola ballo vi sentite l'argento vivo addosso e una smania di saltare, di ridere, di scuotere la vostra mammina calma e un po'seria, il vostro babbo che si sforza a mantenersi burbero, e perfino quella paciona della vostra Perpetua, che, poi, vi grida dietro come un ossesso, perchè le avete fatto versare il brodo o rovesciare la cazzeruola, dove rimestava tranquillamente. Calma! Siete sicure che questo ballo, che sospirate e vi fate concedere a forza di promesse e di moine, non costi sacrifizi a' vostri genitori? Il vestito di mussola ce l'avete: una rinfrescatina, e addio. Ma ora si usano le fusciacche; bisognerà adattarcene una scozzese o d'un bel verde vivace. Sì, vero, mamma? Oh, non avevate pensato! Ci mancano i guanti. Di pelle no? Ebbene, vi rassegnerete a quelli di seta. Ma ci vogliono anche le calze bianche dello stesso tessuto e. . . le scarpettine adatte. E poi il nastro in testa, e poi qualche ciondolo al collo, e poi. . . Dite la verità:non si finisce più. Ma una volta ottenuto il consenso principale, quello del ballo, vi sentite in terra ferma per queste più piccole concessioni; se non bastano le moine, ci sono i bronci, le pestatine di piedi, gli sbatacchii d'usci, la disappetenza, il mal di stomaco, c'è tutta la serie delle vostre piccole astuzie. . . innocenti fino a un certo punto. La mamma, si sa, non è di sasso, e concede, e compra, e si sacrifica. La sera del ballo, forse un po'per il cruccio de'giorni precedenti, un po'perchè la vigilia è dovuta star su fino a notte tarda per stirare qualche cosetta, per rimodernare alla meglio un suo vestito di trina nera, per lavarsi un vecchio paio di guanti bianchi, la mamma non sta bene; ma bisogna che si faccia forza per accompagnare la figlia. Eh, gioventù! E vi sono altri danni:lo sapete tutte, voi, ma fate da nesci quando ve lo dicono e, alla prossima occasione, affilate le solite armi contro i vostri genitori che, vinti, s'arrendono nuovamente. Non continuo più su questo tono, perchè non mi prendiate per una zia brontolona; ma mi limito a darvi almeno qualche consiglio sul contegno che dovete tenere, perchè non si esèrciti anche su di voi quella maldicenza che dilaga ne'balli, e perchè tutti gli occhi che si poseranno su di voi ne ritraggano l'impressione di gentilezza e d'innocenza che dà un fiore in boccio. Al ballo, mi piacerebbe di vedervi tutte vestite in bianco, di mussola, di trina, di ricamo; una bionda potrebbe spingersi fino al celeste pallido, una bruna fino al paglierino, non più in là. E' un riposo per la vista quella chiarezza di tinte sotto lo sfarzo della luce, tra le vivaci toelette delle signore e quelle nere maschili. Guarnizioni? Poche, poche:il roseo della vostra pelle, l'oro o l'ebano dei vostri capelli; una rosa bianca o tea alla vita e in testa, una lievissima scollatura rotonda o a punta, ammorbidita da un tulle o da un merletto. La pettinatura sia semplicissima:ben ravviate sulle tempie, potrete raccogliere le trecce in un bel nodo sulla nuca, senza bende sugli orecchi o ciocche lente, che la foga del ballo getta sulla fronte, sugli occhi. Non v'abbandonate a una gaiezza sfrenata, a una sventata storditezza, che, se può procurarvi un momentaneo, dubbio successo, v'attirerà critiche mordaci e, certo, più severe di quanto voi non meritiate. Non dico di darvi l'aria di "lasciatemi stare", ma ripeto che c'è modo di prender parte alla comune allegria senza parere di voler sfogare tutta in quella sera la vostra smania di riso e di divertimento:gli è come se, invitati a un pranzo, divorassimo da affamati, a gran forza di mascelle. Nè troppa timidezza, nè troppa insolenza:sempre la via di mezzo. Non ballate due volte di séguito con to stesso ballerino, e mantenete gl'impegni presi con altri; il mancare farebbe sciacquar le bocche sul conto vostro, e non a torto, se non altro per l'atto d'ineducazione commesso. Nè dimenate la lingua ostinatamente, ballando, com'è proprio delle leggerine; aspettate a discorrere ne'momenti di riposo, durante i quali non vi rincantuccerete in un angolo, non vi farete accompagnare nella sala dei rinfreschi, non vi eclisserete nel giardino o sul terrazzo, o nello sguancio d'una finestra. Soprattutto non accogliete le paroline melate de' giovinotti, ridendoci sopra a tutto spiano, o rimbeccando con parole argute, o restando lì timide e imbambolate. Il vostro contegno dev'esser tale da respingere chiaramente l'audacia e le smancerie:se qualcheduno osa avvicinarsi a voi un po'meno che rispettosamente, dovete cercare in voi stesse la causa di quella mancanza. Se poi volete lasciare un piccolo desiderio di voi nelle persone con cui avete passato la sera, non vi trattenete fino all'ultimo, non lasciate che davanti a voi si sfollino le sale e non restino che i moccoli delle candele. Non è da persona distinta l'abusare d'un piacere fino agli sgoccioli, dimostrandosi appassionata del divertimento al punto di dimenticare per esso la buona creanza. Lo svago dev'essere un incidente, figliole mie, non lo scopo della vostra vita, nella quale potrete veramente gustare ogni piccola gioia innocente, se questa sarà alternata coi piccoli doveri quotidiani.

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Ma, perchè vi sia possibile godere spesso e completamente, l'anima vostra dev'essere da voi esercitata al lieve tocco di limpide gioie, alle sfumature di piccole intime sodisfazioni sconosciute a chi ha sensi ruvidi e ottusi. Chè, se voi cercate lo svago unicamente in cose estranee a voi e che non dipendono affatto dalla vostra volontà, troppo dovrete desiderare e aspettare, e poi, dopo quel momento di diletto, a cui il senso della sua fine dà l'acutezza della vertigine, voi vi sentirete mancare come cadendo dall'alto, e guarderete alla gioia passata come a un pericolo che attira con l'insidia del male. Non voglio, per questo, condannare i vostri ansiosi preparativi per un ballo innocente, il desiderio d'assistere a una commedia, di prender parte voi stesse a una recita; anzi io son di parere che, se una ragazza avrà sfogato con moderazione la sua natural voglia di svago, attenderà più serenamente alle sue faccende, e, in avvenire, sarà buona sposa e madre di famiglia, perchè non sentirà il rammarico per la monotonia uggiosa della sua gioventù e, peggio ancora, il bisogno di reazione. Ma ho detto"con moderazione". Perchè, mie care, come l'uso dell'alcool rende il palato insensibile alle delicate vivande, così la passione dei divertimenti eccessivi, degli spettacoli straordinari toglie all'anima il gusto delle gioie miti e più durature, voglio dire quello d'una buona lettura, d'una conversazione con persone superiori e alla mano, d'una musica sentita in piena intimità, o d'una scampagnata in amichevole compagnia. Questi piccoli svaghi che s'offrono a voi spontaneamente, semplicemente, che non costano sacrifizi a voi e ad altri vi lasceranno un senso di dolcezza pienamente schietta. Ma se, per andare a festa, vi sarete tormentate più giorni per la fattura dell'abito, per il timore di non far bella figura, per indurre la mamma a comprarvi una guarnizione costosa o le scarpette di raso bianco:se, passata la festa, vedrete vostra madre un po'crucciata, ne penserete la causa e confronterete il sacrifizio ch'ella forse ha dovuto fare col godimento da voi provato, che rimarrà della vostra gioia? Un non so che d'amaro e disgustoso che dovrebbe darvi la nausea di simili divertimenti. Ma purtroppo l'esperimento non varrà a guarirvi; anzi voi correrete dietro le occasioni. Se sapeste che cosa la gente pensa di quelle signorine che non lasciano un ballo, non una rappresentazione, non un passeggio, per mettersi in mostra! - Ma come? Non conosci la tale? O se l'han tutti sulla punta delle dita? Non si può uscire senza darle nel naso! Lasciatevi cercare, figliole mie; non offritevi! Diffondete attorno a voi il vostro profumo, inebriatene i cuori che vi amano, e non sprecatelo spargendolo a tutti i venti; così la vostra gioia non gettatela a fiotti qua e là impensatamente, come fiori appassiti:ma fatevene tesoro per i giorni grigi che, purtroppo, verranno, e che vi sembreranno ancora più tetri, se vi sarete lasciate prima abbagliare da una luce troppo viva.

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Quando arriva lei in una sala, o prende parte a una conversazione, ha un tal modo d'imporsi, che le sue coetanee, o per evitare ciance, o per una voglia impulsiva d'agire diversamente da lei, devono lasciarla passare, cederle la parola. Qualche piccola gelosia si risveglia qua e là; ma lei ne gode come d'una propria vittoria, come d'una prova lampante ch'ella ha ottenuto l'intento. E per questa manìa di primeggiare non bada che tu le sia amica:alla prima occasione sacrifica la tua amicizia al desiderio di far colpo, ostentando tutte le sue arti vicino a te, che te ne stai rincantucciata e incerta fra lo stupore e l'irritazione. Ma queste piccole vittorie sono ben lontane dal contribuire a una completa vittoria finale. La signorina"Eccomi qui", se piacerà a qualche sciocco, finirà col divenire cordialmente antipatica ai più, e dovrà aprire finalmente gli occhi per convincersi che certi rivolgimenti di testa, certe giravolte improvvise, ch'ella coglie a frullo apparendo, hanno soltanto lo scopo di dimostrarle che la sua compagnia non è delle più gradite. Lo stesso desiderio che ha lei di piacere, se causato non da amore di sè, ma da amore del prossimo, se inteso bene, è così lodevole ch'io vorrei lo sentiste tutti voi, mie figliole. Non esitereste, allora, a cedere il primo posto, a fare un piccolo sacrifizio d'orgoglio, di vanità, a ritirarvi nell'ombra per lasciare ad altri la luce, a dimenticare voi stesse in particolare, per considerarvi come membri d'una grande unica famiglia. Piacendo, darete gioia; ma dovrete piacere col far bene agli altri, con lo sforzarvi di contentare sempre, a qualunque costo, chi vi avvicina. Così otterrete lo scopo, seguendo voi stesse la via del bene, e attirando su di voi una simpatia durevole e incontrastata.

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Quand'è ai bagni, passeggia sulla spiaggia sola, in accappatoio o con un costume eccentrico, coi capelli sciolti sulle spalle, in mano un libro qualunque, da cui solleva ogni tanto gli occhi come ispirata; oppure si sdraia sulla rena con la faccia verso il cielo, e s'appisola come sopra un divano, dandosi l'aria di non curarsi della gente, ma in realtà curandosene tanto da voler esserne osservata a ogni costo. In villeggiatura, si fa notare per l'originalità delle sue acconciature, per la foggia de'suoi grembiulini, per la vivacità de'suoi nastri, e, se prende parte a una gita, cerca d'attrarre l'attenzione o con una stanchezza improvvisa o con una soverchia audacia, che obbliga sempre qualcuno a starle a fianco e a dimenticare i propri comodi per quelli della signorina"io". Tutte queste ostentazioni, oltre a uggire le persone, sono vera e propria mancanza d'educazione. Non andate a forza incontro alla simpatia della gente, se volete attirarla, e soprattutto non fate sfoggio della vostra piccola persona, che darà più gusto se rintracciata in mezzo ad altre, fra cui spicchi naturalmente, che messa a bella posta in disparte perchè la si osservi con ammirazione. Se avete la fortuna di poter godere i bagni di mare, non badate ad altro che alla vostra salute e al vostro personale godimento. Ogni obbligo che vi create è una seccatura di più. Della gente che vi circonda ricordatevi soltanto per i riguardi che le dovete:se v'interessate degli altri, gli altri s'interesseranno di voi, e la vostra libertà sarà incatenata. Procuratevi un costume semplice, dentro il quale vi troviate a vostro agio e non dobbiate arrossire sotto lo sguardo più severo; non uscite dal casotto se non completamente abbigliate, e trattenetevi meno che potete in accappatoio sulla spiaggia. Un bel bagno di sole si può fare anche con un vestitino di tela o di mussola, nè la reazione sarà men efficace. Cercate di tuffarvi insieme con vostra madre o con qualche signora di vostra conoscenza, e nuotate pure, se sapete, ma senza far le leggerine e cacciare uno strillo a ogni ondata che vi avvolge. Serietà, dignità, educazione! Fate sempre in modo di non dover abbassare gli occhi o scappare improvvisamente, sorprese da persona che vi metta un po'soggezione. Anche la villeggiatura cercate di godervela completa, lasciandovi prendere dall'abbraccio delle cose semplici e buone, in mezzo a cui vi siete rifugiate per fuggire la polvere, il caldo e, sì, anche le noie della città; perchè volete procurarvene dell'altre, sorvegliando in modo esagerato la vostra toeletta, o dandovi dell'inutili pose? Un vestitino di percalle chiaro o una camicetta con una gonnellina di lanetta un po'corta, o un bel grembiulone che non impacci il respiro e i movimenti e vi dia l'aria di giovinette linde e ammodino; i capelli ben annodati sulla nuca, perchè viso e collo restino liberi; le scarpe comode con tacco basso per non privarvi della gioia di correre e, qualche volta, anche di saltare; e poi basta! Nelle passeggiate non fate come Coletta:se sentite di non poter resistere, state a casa; ma, se andate, siate agguerrite alla fatica e proponetevi di non dare agli altri le seccature che non vorreste voi. Il troppo amore di noi, mie care figliole, e l'eccessivo desiderio d'essere ammirati conducono spesso all'effetto contrario a quello voluto:dimentichiamoci noi, e saremo ricordati.

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ORMAI le giovinette possono uscir sole senza che ci trovi a ridire nemmeno chi cerca il pelo nell'uovo. La donna non è più una chiocciola che a mala pena caccia fuori la testa dal guscio e la ritira al più lieve rumore. La vita complessa e agitata involge lei pure e la trascina. La ragazza d'oggi studia, senza che le si gridi la croce addosso; mette la sua voce in capitolo, senza che nessuno più le imponga silenzio; fa valer le sue idee(nè v'è alcun male se queste sono sagge), e può farsi veder sola per la strada senz'esser presa per una bestia rara. Non ci mancherebbe altro che la madre fosse obbligata ad abbandonare quattro volte il giorno le sue faccende per accompagnare alla scuola o riprendere la sua figliola! O che la domestica - se c'è - dovesse lasciar tutto il lavoro nelle mani della padrona per mettersi a fianco della padroncina! Oppure, se la mamma non può assentarsi da casa nella stess'ora che la figliola, questa non potesse andare a messa, la festa! Non fareste però bella figura, mie care, lasciandovi vedere tuttè sole a un pubblico passeggio, o fuori di porta, e neppure - è inutile dirlo - in piazza ad ascoltare la musica, o ne' giardini più frequentati della città. Anche uscendo per uno scopo prefisso, mi piacerebbe che non vi confondeste nel guazzabuglio delle vie più popolate, ma vorrei che prendeste le scorciatoie per ritrovarvi al luogo a cui siete dirette. Camminando, non voltate in qua e in là la faccia, e, soprattutto indietro a guardare le persone già passate; non fissate quelle con cui v'imbattete, nè squadrate curiosamente le toelette delle signore come se fossero mannequins; o, peggio ancora, non dimostrate, coll'insistente fissare, d'accorgervi della deformità d'un infelice. Non c'è bisogno che stiate impettiti come tacchini, ma nemmeno che vi lasciate andar giù come cenci; nè occorre tener le braccia in modo che sembrino stecchi diritti o, al contrario, nastri svolazzanti. Del resto un pacchettino o, se non altro, la borsetta aiuteranno a dare un contegno alle appendici superiori del corpo. Anche l'estremità inferiori richiedono riguardo e moderazione: il passo è sempre meglio corto e affrettato, che lungo e sgangherato. La giovinetta non deve aver mai l'aria d'andare a zonzo, di bighellonare:ma la sua andatura, se è strascicata, può farlo credere. Neppure, se non volete farvi dare delle curiose, e peggio, vi fermerete a guardare un ubriaco che traballa, un cavallo che scappa, due donne che litigano, un uomo fra le guardie; l'educazione e la prudenza vi consigliano di seguitar la vostra strada come se nulla fosse. E', invece, doveroso tirar via un bimbo dal pericolo, aiutare un vecchio che incespica, a un altro raccattare il bastone, lasciar posto a una persona d'età o vestita di lutto, anche se umile, a un disgraziato, a una donna che porti un carico o tenga in braccio un bambino. Sono pietose eccezioni alla regola:come quella di voltarsi, e prontamente, se un urlo ci avverte del rischio d'una persona o se un'automobile ci strombazza improvvisamente alle spalle. Prima la pelle nostra e degli altri, poi. . . la creanza. Fate a meno, quando siete sole, di fermarvi davanti alle vetrine:ce ne sono delle belle, non c'è che dire, delle attraenti, che mani esperte hanno aggiustate con gusto e furbizia; ma spesso le cose belle ingannano, e le ingannate sareste voi, se vi lasciate tentare. Di quanti gingilli, che non vi bisognano, sentite il desiderio! Quante spesette non necessarie derivano da quelle fermatine imprudenti! Date un'occhiata fuggitiva, e scappate via dalle tentazioni: è tanto di guadagnato per voi e per il vostro contegno. Se vi passa vicino una signora di vostra conoscenza, salutate voi per le prime; rispondete garbate, senza sciocche ostentazioni di pudicizia, al signore o al giovine dabbene che vi fa di cappello; nè crediate d'umiliare la vostra femminilità chinando la testa al vostro professore, anche senz'aspettarne il saluto:la riconoscenza che gli dovete sposta la relazione che comunemente esiste fra signore e signorina. E non vi vergognate a salutare con affabilità una persona povera, vestita male; voi non ci perderete nulla, e otterrete anzi un granello d'affetto di più. Se incontrate un'amica intima, non v'abbandonate a espansioni sentimentali, nè vi perdete in lunghe conversazioni, sostando nella strada come le comari. In compagnia con altre giovinette credete quasi lecito il lasciarvi andare a una maggior libertà di contegno; e, comunicandovi l'argento vivo l'una con l'altra, parlate ad alta voce, sghignazzate sguaiatamente, gestite come burattini, e, quel ch'è peggio, vi sciacquate la bocca sul conto di questo e di quello. Se sapeste che mormorio di disapprovazione si risveglia dietro di voi! Se siete con la mamma, o con altra persona a voi superiore, usatele rispetto, dandole la destra o il posto migliore, contro il muro o sul selciato, portatele i pacchi, entrate dopo di lei in un negozio, porgetele la mano nel salire sul tranvai, e scendete prime per aiutare nuovamente. Se vi càpita d'uscire con la domestica, guardatevi bene dal tenerla quattro o cinque passi indietro, come un cane; statele a fianco e, pur senza giungere a un'eccessiva intimità, rivolgetele la parola, come a una creatura umana. Ricordatevi che molti sguardi, e non sempre tutti benevoli, possono posarsi su voi; comportatevi dunque per la strada in modo da ottenere l'approvazione del giudice più severo, ma prima di tutto della vostra coscienza.

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Mi bruciano queste parole, ma devo dirle:molte giovinette hanno il brutto difetto di mutar faccia o tattica quando si rivolgono a qualcuno ch'esse credono inferiore. Allora si scoprono gli altarini. Se sapeste, figliole mie, quante volte le persone alle quali v'inchinate rispettose sono da meno di quelle a cui voi negate un saluto o che disprezzate del tutto! Io ho veduto qualcheduna di voi strappare con mala grazia il fagotto di mano a una commessa, e sfogare sull'innocente la rabbia che covava contro la sarta per il ritardo nel mandare il vestito; ne ho sorprese altre guardare dall'alto in basso la lavorante, che la mamma teneva a giornata, e rimproverarla malamente perchè non aveva indovinato la fattura d'un copribusto o d'un nonnulla qualunque. M'accadde, una volta, d'accompagnare una fanciulla incaricata dalla mamma malata di pagare un conto della modista:dovetti arrossire per lei e intervenire con un reciso"ora basta", perchè, pur essendo ricca e non consigliata dalla madre, contrattava vergognosamente, dimostrando in modo esplicito di disprezzare il lavoro e la fatica. La modista si sforzava, sudando freddo, a non uscire da'gangheri, e volgeva verso di me occhiate quasi supplichevoli:finì con l'accettare il puro compenso delle spese, rimettendoci certo la mano d'opera. E questa, più ancora che ineducazione, è mancanza di cuore. Nel trattare con gli operai, prima di tutto ci vuole umanità. E' una vera forma d'egoismo il chiuder gli occhi sui sacrifizi che certe povere donne devono fare per contentare i vostri capricci d'ambizione, di lusso; ed è vera malvagità rimproverarle aspramente, costringerle magari a rimetterci del proprio, se hanno commesso uno sbaglio e non si sono completamente modellate sulle vostre esigenze. Quante volte alcune di voi - non tutte spero - per una vostra imperiosa fantasia avrete costretto una giovine sarta anemica e stanca a passare la notte per finirvi l'abito, che volevate assolutamente indossare la prossima festa alla messa delle undici! O avrete creduto naturalissimo far lavorare per vostro conto tutta una domenica, con la minaccia di cambiar sarta! Se non siete perfide come dimostrate, peccate certo d'una vergognosa leggerezza, e non pensate a quello che fate e alle conseguenze delle vostre azioni. Chi lavora per voi ha diritto alla vostra ricompensa; e questa non si dà solo in denari contanti, ma si completa nella dolcezza delle parole, nel sorriso benevolo, nella cortesia del gesto che dona. Quanto sarà più gradito il pronto saldo del vostro conticino, se accompagnato da una parola di ringraziamento e di compatimento, che un'abbondante retribuzione fatta aspettare a lungo e offerta con mal garbo, quasi gettata come un osso al cane! Non vi perdete in chiacchiere con chi deve poi compensare con ore notturne o festive il tempo perduto; andando a provare un abito, a saldare un conto, a fare un'ordinazione, siate svelte e dimostrate di sapere che il tempo è moneta, e che ogni minuto è sacro a chi lavora. Nè cercate di farvi ripetere le notizie che certe operaie, obbligate a entrare in molte case, vengono raggranellando; vi mettereste a pari delle donnicciuole pettegole e curiose che si fermano a comarare sui crocicchi delle vie, e abusereste delle condizioni sfavorevoli di debolezza e d'inesperienza in cui si trovano certe giovani, laboriose, ma spesso mancanti di buoni consigli e di saggio indirizzo. Pur usando umanità e rispetto, non eccedete nella confidenza con chi non è della vostra stessa condizione e non ha con voi gusti e desideri comuni.

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Le stesse cose vorrei ripetervi a proposito de'contadini. Questa gente sana, forte, dalla pelle abbronzata e dalle mani callose, che risparmia denari, ma non fatica, e lavora e suda con la netta e chiara visione del dovere da compiere e dello scopo da raggiungere, anche se non è conscia di dar vita alla prima e principale industria nazionale, deve ispirarvi, non disprezzo e diffidenza, ma stima e ammirazione. Non so perchè, se nell'esteriore contegno si deve rispecchiare il vostro intimo sentimento, voi dovreste degnare della vostra cortesia certe dame futili e vane, che non sono utili nè a se nè al prossimo, e che non hanno per le loro azioni uno scopo superiore all'immaginare una toeletta che vinca in originalità quella della signora tale, o una mobilia che renda il proprio salotto più elegante di quello della signora tal altra. La bianca e morbidissima pelle che ricopre una mano inoperosa non vale la ruvida scorza che nasconde muscoli d'acciaio e sangue gagliardo di lavoratore. Rispettate chi semina il grano per procurare il pane anche a voi, chi lavora la terra, i cui tesori sono i più necessari e costituiscono la massima ricchezza della patria. Vi sono infelici che bussano umili alla vostra porta, che vi tendono la mano per la via, i poveri; vi sono, soprattutto, quelli che non portano in giro la loro miseria, sbandierandola a tutti i venti, ma aspettano che altri le vadano incontro. Come diportarsi con essi? Io non bado quì a insistere"date molto! ", ma piuttosto "date bene! "Non è possibile offrire a tutti i mendici, specialmente in quelle città dove l'accattonaggio pare un'istituzione che allarghi le sue ali protettrici sui buoni e sui cattivi soggetti; ma è possibile sempre farsi perdonare dai primi il rifiuto con una pietosa parola, con un gesto cortese, e ai secondi rivolgere un legittimo rimprovero, ispirato non da un intimo risentimento, ma da compassione. Quanti pericoli, quanti tristi casi suggeriscono loro il male, a cui s'abbandonano quasi inavvedutamente come per una dura necessità! Non l'elemosina, ma la carità vi raccomando, figliole! Ho veduto qualche giovinetta gettare malamente un soldo nel cappello d'un povero, senza voltarsi, senza degnare il disgraziato d'uno sguardo. Una volta, il soldo buttato da una fanciulla cadde a terra, e, poichè lei tirava dritta impassibile, una signora elegantissima si chinò a raccattarlo, e lo mise con una moneta d'argento nelle mani del poveretto, ch'era cieco, e mormorò un"grazie"simile a un singhiozzo. La pietà a cui era atteggiato il dolce viso della signora e la gentilezza che accompagnò l'atto valevano più di qualunque moneta donata; e lo sentì, forse, anche l'infelice che non vedeva. Se il desiderio di far bene e di sollevare una miseria vi spinge a entrare in una soffitta, in un tugurio, fate che la vostra opera buona sia completa, e non ne rompete l'incanto lasciando trasparire il disgusto che v'opprime in mezzo al tanfo di rinchiuso, e forse di sporcizia, che spesso è nelle povere catapecchie; non rifiutate di sedervi sopra una seggiola sgangherata, magari sopra una cassapanca o un tronco di legno; non respingete un bimbo moccioso, che vi posi le manine sui ginocchi; accostatevi al giaciglio della madre malata. Ho detto che codesta vostra carità ha un incanto. Badate di non vestirvene come fareste d'un manto regale, mentre attendete all'opera pietosa di rifare il letto d'un infermo o di spazzare una stamberga; pensate, invece, che ogni atto di misericordia, per un cristiano, non ha nulla, proprio nulla di straordinario. Se chi ha bisogno della vostra carità non è abituato a chiedere, ma fino a ieri viveva nell'agiatezza, adoprate un gran tatto per non urtare menomamente la suscettibilità, acuita dall'angoscia del contrasto. Pensate che potrebbe un giorno accadere a voi d'aver bisogno delta carità altrui, e immaginate quale strazio provereste se vi si facesse troppo pesare il dono, e questo non fosse accompagnato da una parola buona di compatimento, di simpatia, di speranza. No, figliole, non solo educazione vi chiedo, ma buon cuore:se questo aiuta la mano nel donare, io son sicura che lo scopo di far del bene sarà ottenuto pienamente da voi.

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QUEL giorno tornai a casa veramente disgustata. Ero stata invitata a sostituire per una settimana un professore mancante alle complementari femminili, e avevo accettato. Quando entrai nella classe, una buona parte delle alunne erano sedute e non si mossero, altre si sollevarono appoggiandosi al banco, e poche s'alzarono di botto completamente, borbottando un saluto. Mi sentii, dentro, un impeto di rivolta. Ma, tuttavia, m'accinsi a far lezione con entusiasmo, e attaccai con la lettura d'un brano del Mantovani, dove si diceva della mancanza di sincerità nei componimenti de'giovani. Volevo trarre occasione per esprimere alcune mie osservazioni su'còmpiti che m'erano stati mandati a casa per la correzione, e che m'avevano lasciato un'impressione ben poco lusinghiera per le scolare della terza complemantare. Una cominciò a leggere con voce strascicata, monotona, che non si potevava sopportare:a ciò attribuii la disattenzione dell'altre allieve. Allora, vedendomi proprio davanti due occhietti neri e vivaci, che movevano in una facetta rubiconda sopra una boccuccia sorridente, cambiai lettrice. E dalla boccuccia lieta uscirono le parole come una bella canzone; ma delle compagne poche ascoltavano. Alcune, coi due gomiti appoggiati sul libro e il viso fra la coppa delle mani, squadravano proprio me, con l'aria di volersi imprimere nella mente le mie fattezze, e tratto tratto si scambiavano qualche osservazione; una, nell'angolo in fondo, s'era mezzo sdraiata sul banco col busto e guardava fuori de'vetri; un'altra sfogliava le pagine e si fermava a leggere un periodo in qua e in là, a suo capriccio; due, proprio sotto la finestra, sghignazzavano addirittura, cercando di reprimere lo scoppio nel complice fazzoletto; altre borbottavano quel che si veniva leggendo, con la cantilena de'bamberottoli di seconda elementare. La ragazzetta seguitava a leggere, io a far mostra di nulla. Finito il brano, chiamai a sbalzi quelle di cui maggiormente avevo notato la villana disattenzione. Ne vennero fuori delle carine! Vollero dire qualcosa, ma dovettero ricorrere alla fantasia, e cominciarono frasi insulse, poi incespicarono; alcune rimasero confuse, ma altre sogghignarono ardite, e ci fu qualcheduna che alzò le spalle, sfacciata. Sul registro fioccarono zeri. La mal'educazione è imperdonabile. E pensai con un vero struggimento di cuore al pallido trentenne che sedeva giornalmente su quella stessa cattedra ov'ero io, e che aveva certo chiesto quel breve congedo per dare un po'di riposo ai poveri polmoni stanchi e trovare nella tenerezza materna un viatico a proseguire sulla via del dovere, resagli così dolorosa dalla scortesia delle alunne. L'insegnante era debole, malato, buono; e le ragazze, invece di sforzarsi a rendere meno faticoso il suo cómpito, trascinate quasi tutte dall'insensibilità di poche, erano divenute indisciplinate. Intanto la giovinezza del poveretto sfioriva inutilmente nella scuola, come una rosa che lascia cadere i pètali a uno a uno, e nessuno li raccoglie; e tremava la madre lontana, che, dopo averlo, fino a pochi anni prima, corazzato del suo amore contro ogni insidia, ogni male, ora l'aveva dovuto abbandonare all'ingratitudine di quelle fanciulle. Alcune al mio rude"zero! "avevano risposto con un torcere sdegnoso della bocca, altre con un alzare di sopracciglia, altre con un chinare della testa cocciuto, che più m'aveva irritata e quasi avvilita. Mi sentii un groppo alla gola; pensai all'adolescenza, ancor lontanamente futura, delle mie bimbe, con un senso di terrore. No, no! non dovranno esser così. Giorno per giorno parlerò loro delle pene di questi umili martiri che sono i maestri, i professori, dirò della lunga e faticosa preparazione agli studi, circondata spesso da stenti e privazioni domestiche, dalle disillusioni patite poi, appena raggiunto lo scopo. Tutte le belle idealità, che accompagnano i futuri docenti nei penosi anni di lavoro assiduo, svaniscono davanti alla piccola realtà racchiusa fra le quattro pareti della scuola e fremente sui banchi allineati come tante fosche categorie di regolamenti carcerari.

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, "io vi prego:siate buone, compensate come potete gli sforzi di chi faticosamente prepara i solchi nel vostro terreno perchè voi ne godiate i frutti, dimostrategli in ogni modo di capire che siete convinte della pochezza d'una paga materiale in confronto del rovinìo d'una salute, dell'offerta d'una mente e d'un'anima, che si pongono a servizio della vostra anima, della vostra mente. La merce che si consuma si paga con corrente denaro, ma quella che deve restare con noi, accompagnarci nella vita, guidarci a una mèta, non si paga se non con qualche cosa di durevole e di eletto. Se voi tutte mi capite, o fanciulle che sedete sui banchi della scuola davanti a un uomo o a una donna(per la quale vorrei che la vostra riconoscenza fosse mista con un senso di tenerezza pietosa, perchè a lei lo studio e il raggiungimento dello scopo son costati maggiori sforzi e contrasti), io non credo di dovervi consigliare il contegno da tenere nella scuola:verranno i gesti dal cuore. La valutazione della pena di chi v'insegna vi consiglierà di rendergli men dura la fatica, stando in silenzio e attente durante le spiegazioni, perchè que'poveri polmoni non sentano l'oppressione di chi nuota contro corrente; e v'aiuterà a tener i quaderni in migliore stato e a scrivere in modo che gli occhi di chi vi legge non si logorino prima del tempo. Il rispetto per l'opera sublime dell'educazione vi suggerirà quelle piccole e pur necessarie virtù, che sono l'ordine e la nettezza della persona, l'esattezza in ogni vostra azione, il dominio sullo sbadiglio, sul riso, sulla vivacità della lingua e di tutti gli altri muscoli, la cortesia del saluto, del pronto levarsi in piedi a una domanda, del rispondere alle interrogazioni con voce alta e chiara; v'ispirerà l'orrore di certi piccoli inganni con abusate della fiducia che in voi ripone l'insegnante, l'umiltà nell'accogliere i rimproveri e nello scusarsi per un fallo commesso, l'offerta di mille piccole premure che sono come sorsi ristoratori a un assetato. Il desiderio di mostrare la vostra riconoscenza v'incoraggerà a studiare quanto ve lo permettono le forze, perchè chi sparge nella vostra mente i semi della scienza possa trovare fertile terreno e sentirsi rinnovare l'energia e la fede da un'intima speranza, come colui che ne'campi semina rivoltando zolle con fatica, sì, ma con nell'occhio e nel cuore la dolce visione di spighe d'oro e di grappoli vermigli.

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Intanto, nella famiglia il dono è un mezzo per esprimere ai genitori la vostra riconoscenza e il vostro pensiero di loro e, anche, per contentarli in qualche tenue desiderio che talvolta v'esprimono a sottintesi, pregustando la gioia della grata. . . sorpresa. Tra fratelli e sorelle quanti piccoli musi lunghi si raccorciano per mezzo d'un nulla offerto con un bacio! Fuori di casa, i doni si fanno per dire qualcosa più d'un "grazie"a persona da cui abbiamo ricevuto un favore e che sentiamo di non poter pagare materialmente; per dimostrare simpatia; per ricambiare una gentilezza; per rispondere "sì"a un'offerta gradita d'amicizia. Ma quanta delicatezza bisogna usare! Non potrò mai dimenticare la sodisfazione piena, il sorriso luminoso con cui una buona signora mia casigliana, che voleva a ogni costo stringere relazione con me, si presentò un giorno alla mia porta con un involto bianco e me lo lasciò nelle mani scappando via precipitosa. Era un magnifico portagioielli d'argento massiccio! Io restai lì intontita, col dono che mi pesava sulle palme, a immaginarmi i begli oggetti preziosi di cui avrei potuto empirlo, se. . . li avessi avuti! Quell'eccellente signora, evidentemente, non era accorta. Ch'ero una donna di casa, alla buona, senz'alcuna pretesa di lusso, doveva averlo capito, vedendomi, se non altro, affacciarmi sul terrazzo a sbattere lo straccio della polvere. Poteva darsi che le gioie fossero nascoste nel cantuccio d'un cassetto, ma era anche probabile il caso contrario. Infatti. . . Primo consiglio, dunque:adattate il dono alla persona che lo deve ricevere, e, se non sapete le sue preferenze e non immaginate quel che le può far comodo, cercate un terzo compiacente che vi possa informare. A una signora ricca, che abbia un appartamento elegante, farete piacere regalando un oggettino di lusso, artistico, un nonnulla prezioso, un mazzo di fiori entro un semplice vasetto; a una persona modesta potrete offrire qualche cosetta che contenti il suo desiderio; a un povero cercate, col vostro dono, di risparmiare una spesa. Non oltrepassate però quel che potete regalare e quel che può essere accettato senza umiliazione da parte del vostro orgoglio. E soprattutto, donando, ricordatevi che "la façon de donner vaut mieux que ce qu'on donne", Corneille nel"Menteur". che il gesto dev'essere semplice come il sentimento che lo ispira. Non è cortese disprezzare troppo il regalo, come se l'offriste perchè non sapete che cosa farne voi; e nemmeno è delicato far sentire il prezzo del dono e lodarlo voi, esponendovi al rischio di vedervelo magari rifiutato. E' di pessimo gusto regalare un oggetto già posseduto da voi, e conosciuto dai frequentatori della vostra casa; a meno che la persona a cui l'offrite abbia mostrato d'ammirare quell'oggetto, che può essere un piccolo capolavoro antico o raro. Soltanto a un"carino! " "come mi piace! "d'un'intima si può rispondere mettendole súbito nelle mani la cosetta che le va a genio. Un'amica che si sposa gradirà molto un lavoretto proprio vostro:un portafazzoletti, una dozzina di piccole pezzuole di batista ricamate da voi, un bel centro tavola co'relativi quadratini, un ventaglio dipinto dalle vostre mani. Naturalmente, seconderete le vostre abitudini e le piccole fantasie della moda. Se non sapete far cose graziose o ve ne manca il tempo, allora potrete donare due cornicette d'argento pel ritratto dei genitori, un astuccio con i piccoli arnesi femminili che dovranno servire ogni giorno alla vostra amica, qualche ninnolo che le sia caro. Se poi chi riceve siete voi, mostratevi sempre liete, sempre sodisfatte, anche se il dono è umile, inutile, contrario ai vostri gusti. Tenete conto della buona intenzione, e il vostro grazie sarà spontaneo, e non vi verrà fatto di cedere, appena sole, a uno sfogo di malumore. Potrebbe capitare anche a voi di sbagliare, in un momento in cui non avrete ascoltato attentamente i consigli del cuore e del buon senso, che san dare de'punti al buon gusto.

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Quanto all'Eccellenze, all'Eminenze, alle Maestà e Altezze Reali, non credo di dover intrattenermi; occorrendovi di scrivere a qualcuno di questi pezzi grossi, voi cedereste la penna ad altri o vi fareste consigliare. Prima dell'intestazione non dimenticate la data, che si pospone soltanto ne'biglietti, e anche il vostro recapito, per non costringere a uno sforzo di memoria o a una ricerca forse inutile la persona a cui scrivete:collocate l'uno e l'altro a destra, sulla sommità della pagina, come distaccate dal resto. Dopo l'intestazione, essendoci la virgola, potete cominciare la lettera con la minuscola. Sulla busta pochi epiteti; lo spreco dei Colendissimo, Illustrissimo, Chiarissimo urta le persone sensate, le quali sanno che l'abuso dei superlativi ha dato maggior valore ai. . . positivi, così che un illustre vale più che non il solito illustrissimo. Tutt'al più, a chi ha titoli non li risparmiate; ma ai vostri pari e agl'inferiori potete mettere il semplice Signore, Signora. L'accenno al vostro rispetto o alla vostra stima, l'invio de' vostri ossequi non sarà esagerato, se scrivete a persona degna, assai maggiore d'età. E anche il far precedere la firma da un Devotissima o Umilissima, se non s'addice a una signora, è doveroso per voi. Un'osservazione ancora. Se, durante la lettera, dovete accennare a qualche signora o signorina, potete servirvi dell'abbreviazione, purchè non si tratti d'un parente stretto o d'altri che stia molto a cuore alla persona a cui scrivete. Così non è delicato mettere un semplice "Sigra Sua Madre", ma è meglio usare intera la parola Signora. E basta, vero? Se avrete ancora qualche dubbio, e volete scrivermi per schiarimenti, non adoperate inchiostro rosso, non fate graticci di righe, non ghirigori, non paroloni che forse non capirei, e, soprattutto, ve lo ripeto, usate chiarezza e semplicità nel contenuto e nel contenente. Ancora la morale:da una persona molto saggia ebbi una volta questo consiglio:"Le tue lettere sieno così fatte che, pubblicate, possano onorarti, sempre".

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TUTTE le mattine, uscendo per le mie spese, mi veniva fatto d'incontrare una giovinetta in punto e virgola, a cui nulla mancava per sembrare un figurino di moda. Camminava con passo elastico, misurato, con la testa in su, le braccia inchiodate contro la persona, il busto eretto, senza volgere gli occhi, senza scartare d'un centimetro dalla via retta, nè per l'urto d'un barrocciaio, nè per il trotto precipitoso d'un cavallo, nè per il frastornio di una automobile strombettante a mezzo metro di distanza. Così mi meravigliai un po' una mattina, vedendola uscire da una porticciola misera, che lasciava apparire una scaletta angusta, buia, sporca. "Chi sa? Ci sarà andata per qualche buona azione! "pensai. Ma dovetti entrare proprio io in quella porticciola, salire quella scala e sonare a un uscio per cercare d'una donna che andava a lavorare a giornata. Mi venne ad aprire proprio la giovinetta che avevo conosciuta per la via, la sorella della donna in questione:pareva una stracciona qualunque, di quelle del ghetto. Mi fece ribrezzo; le dissi che avevo sbagliato uscio, e scappai via. 2 - Le Belle Maniere. Ah, Enrichetta! E'proprio per te questo capitolo! Purchè tu non abbia molte seguaci! Hai un così bel garbino fuori di casa, un contegno quasi distinto, una gentilezza squisita nel parlare, una prontezza ammirevole nel prestare i tuoi piccoli servizi. E in casa? Ne sa qualcosa la tua sorellina quattrenne, a cui ti credi in diritto di comandare imperiosamente, affibbiandole un ceffone; lo sa tuo fratello, a cui rispondi sgarbatamente quando si rivolge a te per un piacere; e lo sa, ahimè! tua madre, a cui non usi alcuna di quelle premure che hai per gli estranei, nè risparmi fatiche. E lei ci soffre tanto, Enrichetta! Non solo; ma t'ho sorpresa, nelle mie frequenti visitine, in atteggiamenti di superdonna davanti alla cara e semplice donnina, cui sgomentano certe idee moderne un po'rischiose, non perchè ella abbia la mente chiusa al loro alito vitale, ma perchè ne vede derivare effetti disastrosi dentro la famiglia stessa. I nostri padri - per non andare più in là con gli anni - usavano il lei parlando con i genitori. Non so se questa abitudine sia da rimpiangere:forse no. Io credo che, in una semplicità maggiore di linguaggio, le fanciulle più facilmente lasciano sgorgare la piena delle loro confidenze, e ne ritraggono benèfici ammaestramenti. Ma se alcuni vantaggi derivano dalle mutate relazioni tra genitori e figli, c'è da temere purtroppo il rischio dell'esagerazione. E tu, Enrichetta, abusi veramente della bontà semplice e quasi timida di tua madre. T'ho sentita chiamarla "buona donna", dirle che lei "di certe cose non s'intende", rispondere con tono arrogante ad alcune sue osservazioni; t'ho veduta ascoltare con un'espressione d'uggia i suoi discorsi, rivolgerle perfino qualche occhiata di compatimento, accogliere con spallucce un suo mite comando, e mostrarti renitente nell'obbedirla. Questa è poi una cosa insopportabile, è - permettimi di dirtelo - una piccola viltà. Perchè, se finisci sempre col cedere alla volontà di tua madre, ci pigli gusto a ostentare la tua mala voglia? Credi che sia debolezza l'obbedire spontaneamente? No, cara, è anzi un atto di forza. Sembra un controsenso questo, e invece è la verità. Che fai tu, obbedendo? Se sacrifichi qualche volta la tua alla volontà altrui e padroneggi il tuo capriccio, che è - direi - una contrazione del tuo volere, ma non è forza volitiva, ti esèrciti intanto in quella gran virtù ch'è il saper vincere se stessi, e ti prepari un avvenire d'indipendenza vera. Perchè la libertà non consiste nel non cedere a nessun costo alle giuste esigenze, ma nel riuscire a far tacere la nostra ribellione a esse. E se tu non cominci a esercitarti nella famiglia, ch'è la tua vera scuola e dove l'obbedienza è più facile e conduce sempre a un bene immediato, ti legherai alla volontà altrui con un'insostenibile catena. Cara mia, non devi soltanto imparare a ricevere, ma anche a dare; non soltanto a comandare, ma anche a obbedire, e soprattutto a obbedire spontaneamente. Ritornando a tua madre, Enrichetta, non sai, non hai capito ancora che tu, più che a chiunque altro, devi rispetto a lei? Che qualunque sgarbo a persona estranea ti sarebbe compatito, se ti si riconoscesse umile e affabile con la mamma? Ma che, se fai la prepotente con quella santa creatura, ti tiri addosso l'antipatia delle persone stesse a cui ti mostri cortese? La maschera di cui ti copri uscendo alla luce renderà più visibile la tua vera apparenza a chi ti conosce nell'ombra. Una bell'usanza esiste presso gli Arabi:che il figlio, entrando nella stanza ov'è sua madre, si tolga le scarpe. No, non è esagerazione! Quando sarai compresa veramente della santità dell'affetto materno, della necessità di mostrare alla tua mamma quanto più è possibile riconoscenza per le pene da lei sofferte, per i sacrifizi da lei fatti, capirai che nessuna espressione esteriore del tuo sentimento è adeguato compenso. Quell'atto gentile indica che davanti alla madre non bisogna portare sozzura o far rumore, perchè dov'è lei è luogo sacro. Tu invece non ti pèriti a stare in presenza de' tuoi genitori co' capelli arruffati, discinta, a entrare nella loro stanza portando di fuori polvere e fango. Ricòrdati che l'affettuosa confidenza che tu hai per loro non dev'essere mai scevra di rispetto, ma questo anzi deve rendere più facile la cordialità de' vostri rapporti. Se tu avessi sempre fisso nel cuore il ricordo di quanto hai ricevuto da tuo padre e da tua madre, se ogni volta che stai per mancare verso di loro ricorressi al pensiero ch'essi, dopo Dio, sono i principali fautori della tua vita corporale e morale, che l'idea di loro non puo' essere disgiunta da quella divina, ti morderesti le labbra su cui era salita la parola irriverente, ti batteresti il braccio ch'era pronto a un gesto scortese. Sentii dire da bimba:l'occhio che guarda torvo il padre o la madre merita d'essere beccato da un corvo. E questa frase mi s'era ficcata minacciosa nella mente, come una delle solite che si ripetono ai bimbi e che, se non sono tutta la verità, di verità hanno un fondo sicuro. Vorrei parlarti, Enrichetta, anche del rispetto che si deve ai buoni vecchi da cui la casa è benedetta, ma te ne dirò a parte, un'altra volta. Invece, lasciandoti, aggiungo ancora una parolina di sfuggita su cose già accennate. T'ho detto d'aver notato i tuoi sgarbi con tuo fratello, il quale, trovando in te - che dovresti rappresentare il sesso gentile - maniere tutt'altro che delicate verso di lui, te le ricambia con vera costanza. Tocca alla giovinetta d'attirarsi un certo rispetto col suo contegno garbato, paziente, qualche volta cedevole, tal altra pieno di ritegno e di dignità. Non può, la sorella, pretendere cortesia da parte del fratello, se a sua volta non è verso di lui dolce e compiacente, se non è pronta a divenire ora la sua amica, ora la sua confidente o la sua ammonitrice; se non sa offrirgli prudentemente il suo aiuto nelle piccole dispute col padre, impetrargli certe volte il perdono, trattenerlo in casa il più possibile con le sue piccole arti innocenti; se, infine, non sa fare in modo che il fratello benedica la provvidenza per avergliela data sorella. E, d'altra parte, non sai che tu hai molta responsabilità ne' rapporti con la tua sorellina che guarda a te come a un esempio da imitare, e che ripeterà con la mamma, col babbo, coi superiori, gli stessi gesti che vedrà fare da te? Eppure, t'è facile trattar bene i bambini che incontri nelle case delle tue amiche! Hai per loro parole affettuose, piccoli cari consigli, perfino saggi e miti rimproveri, che nel ricordo ti dovrebbero far arrossire, quando scacci scontrosamente la bimba ch'è figlia della stessa tua mamma! Chi è veramente cortese è tale dappertutto, e specialmente nell'intimità, e non dispensa le buone maniere secondo le fortune. E' viltà mostrarsi garbati e ossequiosi con coloro da cui s'aspetta qualcosa o per lo meno si teme d'esser giudicati, e, al contrario, sgraziati con i miseri che non potranno giovarci mai, o con i semplici che non sapranno condannarci. Enrichetta, se tu acquisterai l'abitudine della perfetta civiltà, troverai più facile l'usar gentilezza agli estranei, e non correrai il rischio d'esser riconosciuta a un tratto, o al cader della maschera, o a un'improvvisa reazione del tuo essere, o a una sorpresa che altri ti voglia fare tra le pareti domestiche, quella che in realtà sei, scontrosa e prepotente.

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"CICALETTA"non si chiama così; le hanno affibbiato questo nomignolo le amiche, le quali si divertono con lei e la prendono piacevolmente in giro, senz'avvedersi, le bricconcelle, che molte di loro hanno lo stesso difetto per cui si piglian gioco di Cicaletta:il difetto di chiacchierare a perdifiato del più e del meno, a diritto e a rovescio, con misura o no, pur di chiacchierare, di muover lo scilinguagnolo, di dir molte cose, fra le quali spesseggiano le sciocchezze, i marroni e perfino le fandonie. A certe leggerine, le quali non conoscono il peso delle parole, bisognerebbe che accadesse come a Pinocchio:a ogni esagerazione e a ogni bugia, un centimetro di naso in più. Eppure un avvertimento ce l'avete alla fine de'vostri discorsi. Non v'è rimasto sotto il palato lo strascico delle parole vane, delle frasi ch'era meglio tacere, delle allusioni un po' maligne, dell'ironia un po'crudele? E' un sapore amarastro che, per la lingua, cala giù e pare che si sparga nel sangue, tanto ci aduggia e ci nausea. Lo so, è un difetto della gioventù quello d'abbondare, d'esagerare, di rivestire la verità con fronzoli e frange, finchè, compiacendosi e confondendosi in essi, si finisce col dimenticare l'oggetto a cui si vogliono attribuire tali ornamenti e col rendere questi stessi la cosa essenziale. Cominciate a sdrucciolare sulla via della finzione con que' vostri superlativi prediletti"graziosissimo, sublime, ideale, squisito, delizioso, magnifico, terribile"; seguitate chiamando "gioiello"una sciocchezza qualunque, dicendo d'"adorare" il risotto e di"detestare"le rape, di trovare la tale"mortalmente "noiosa, la tal altra"divinamente" piacevole, e non v'accorgerete di falsare i vostri sentimenti, anzi vi lasciate trascinare da una specie d'autosuggestione che v'inebria e v'innamora delle vostre stesse frasi sonoramente vuote e di pessimo gusto. Mi fate pensare alla lista degli oli, dove al"discreto" non s'accenna mai, ma si parla di"finissimo", "extrafine" e"sublime":e pensare che, sotto questi superlativi, scivola giù certa porcheria! Io vorrei, per correggervi a tempo da questo brutto difetto, che le vostre parole fossero ripercosse a una a una dall'eco, e che voi ve le sentiste girare nell'orecchie come non vostre, come di qualcuno che parlasse a voi. Non vi parrebbe strano di sentir rimandare un"tesoro, gioia, amore"e lo schiocco d'un bacio diretti a un gatto accovacciato fra le vostre braccia? Sono le stesse sante parole, quelle, è lo stesso suggello di tenerezza che la mamma offre al suo bimbo in un impeto di divina passione. Vi verrebbe fatto allora di gettar via la povera bestia con un brivido di ribrezzo. Bisogna sentir Cicaletta tessere gli elogi del suo cagnolino prediletto! La sua eloquenza straripa come un fiume in piena. Accennate per caso a una comune conoscente? E giù, di riffe e di raffe, si sciacqua la bocca sul conto della mal capitata, di cui, a malapena, sa nome e recapito. Obbedisce a una sua intima missione:forse il suo cervelletto di grillo non gliene suggerisce una migliore. E giù esclamazioni e sottintesi e reticenze, che corrispondono alle improvvise incertezze e alla fatica dell'inventare lì per lì, e giù paroloni, aggettivi e avverbi paradossali, e cifre seguite da una falange di zeri. Le amiche si divertono a farla parlare, conoscendo il suo debole, e a bella posta lascian cadere una domanda sui fatti del tale o della tal altra. Allora s'apre la stura, ed è un desio per le amiche l'ascoltarla, l'interromperla con qualche loro obiezione, l'imbrogliare la matassa con qualche loro ritrovata che taglia la testa al toro e contradice completamente alle notizie fantastiche dell'interlocutrice. Macchè! lei non si sgomenta e sbrodola giù tutto quel che le viene e che ha già detto magari e ripetuto per altra persona, se pure di quella stessa non dice, ora, tutto l'opposto di quanto mise in circolazione ieri. E' un ridere. Lei ha sempre ragione con tutti, lei vuol sempre avere l'ultima parola, e ha tanta agilità di lingua, che spesso finisce con l'intontire chi l'ascolta e con l'obbligarlo a domandarsi:ma avrà tutti i torti? Il più brutto, poi, è che, per un'intima persuasione di non poter essere in tutto creduta, semina le sue chiacchiere di"ve l'assicuro", "ma è proprio vero", e perfino di giuramenti che in bocca sua assumon l'importanza d'un aggettivo iperbolico, nulla di più. Non v'è possibile incominciare un discorso e condurlo alla fine:lei ve ne spezza il filo ogni istante; se appena interrompete per ingoiar la saliva, vi finisce lei a suo modo la frase, v'imboccona le parole, v'ingozza, vi soffoca. Nè solo con le sue pari. La vidi un giorno avanzarsi ardita verso un gran conferenziere, che aveva offerto l'opera sua per una beneficenza, e la sentii spifferare il suo parere facendogli un mondo di goffi complimenti, ai quali l'illustre professore rispose con un espressivo alzare di cigli, sotto cui lo sguardo lampeggiava d'ironia. Immaginate Cicaletta tra una ventina d'anni, se qualche anima buona non riuscirà a correggerla! Ora le sue cicalate sono come ruscello che sprizza con gorgoglio indiscreto ma saltellante; allora diverranno acqua di mulino, così monotona, irrefrenabile, assordante, che verrà la tentazione di mettersi le mani alle orecchie per non sentire.

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E m'urtano addirittura quell'altre, le quali, trovandosi fra signore che appena abbian raggiunto l'età dell'erre, atteggiano il viso a uggia, e lasciano a mala pena scivolare qualche monosillabo. Come stonano in quell'atteggiamento con la loro gioventù! Le prime, secondo me, confondono il naturale riserbo con. . . l'ipocrisia. Una giovinetta come si deve, condotta dalla madre in luogo dove la sua anima non può essere urtata, perchè non guarderà attorno francamente, non coglierà il momento opportuno per rinfrescare con la sua voce i discorsi onesti di persone a cui la temperata vivacità giovanile non dispiace affatto? Le seconde sono sfacciatelle. Se almeno si contentassero di sfogare la loro smania chiacchiereccia con le compagne, con le amiche, con le sorelle! Macchè! Non fanno distinzione, e davanti a chicchessia dimenan la lingua come tante macchinette caricate. Le terze sono addirittura maleducate, per non dire senza cuore. A queste ripeterei ciò che dissi già a proposito delle persone antipatiche; anzi, se permettete, voglio rinfrescare anche la vostra memoria, figliole mie. Se a voi pure costa sacrifizio il trattenervi con signore d'età (non parlo delle trentenni, povera me! ), non lo dimostrate, ottenete ancora questa piccola vittoria su voi stesse, fate questa opera di carità:riscaldate i loro cuori stanchi, avviluppandoli con la vostra bontà, con le vostre premure. Quanta gratitudine vi guadagnerete, e quanto bene v'anticiperete per la vecchiaia! Forse i discorsi delle persone anziane s'aggirano sulle cose a voi più indifferenti. "E allora, avendo l'aria d'interessarci, non commetteremo ipocrisia? "mi domandate. Sarà un pietoso peccato, figliole, come quello di mostrarsi lieti a un ammalato. Del resto nessun'aria dovete avere:potete non provare alcun interesse per la conversazione, ma sentirne profondamente per le persone che sono prossimo da amare. Sì, ce ne troverete fra que'vecchietti di molto prolissi, che con pronunzia bisciola e voce strascicata ripeteranno sempre le stesse cose, vi enumereranno sempre gli stessi malanni, sino a farveli sentire anche a voi, sino a disgustarvi:pazienza, figliole, pazienza! Appena avrete lasciato que'vostri fiacchi interlocutori, voi potrete sfogarvi a cantare, sgranchirvi le gambe, stirarvi le membra, compensarvi con la lettura d'una bella poesia, con la contemplazione d'uno spettacolo naturale:loro resteranno, poveretti, con la mente e l'anima offuscate di nebbia. Se questa si sarà un po'diradata pel vostro fuggevole sorriso, benedette voi mille volte! Non vi s'applichera, a suo tempo, la legge del taglione!

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"E molte di voi incolpate le persone che vi stanno attorno e che, non volendo rinunziare al dialetto, obbligano anche voi a servirvene, e soggiungete che non tutti possiamo aver la fortuna di"risciaquare i nostri panni in Arno". Ma tutte - rispondo io - potete leggere le opere di molti scrittori, dove scorre limpidamente la lingua toscana elevata a lingua letteraria, fermandovi sopra ogni parola che voi non usavate o usavate con significato diverso, sopra ogni frase espressiva e vivace, sopra una immagine che, adorna di bella veste, vi sembrerà, anche più bella. Vi bisognerà molto studio prima di far vostra questa lingua che v'appartiene e che pure vi è com'estranea; perchè se, a ogni vostro sentimento, vi sale sulle labbre spontaneo e facile il linguaggio solito, il vostro dialetto, sbocciando dall'anima insieme col sentimento stesso, questo nuovo linguaggio imparato avrà bisogno d'un lavorìo interno per formarsi, e non sarà, sulle prime, così schietto e sincero. Sulla scelta dei libri dovete lasciarvi guidare da vostra madre o da altre persone sagge e desiderose del vostro bene; non pascervi di sotterfugio di letture frivole e malsane che presentano il vizio sotto amabili apparenze, trasportano in un mondo chimerico e disgustano della realtà. E, quando sarà stato scelto il buon libro - quello che eleva lo spirito, fa amare il dovere e risveglia il desiderio d'essere migliore - leggetelo con attenzione e con rispetto, non tralasciando brani interi che vi sembrino noiosi, e neppure saltando qua e là a piè pari per correr dietro all'intreccio che v'interessa. Se volete che le parole belle vi s'adattino all'ugola e al palato, leggete spesso a voce alta:gusterete doppiamente il piacere della lettura, e, talvolta, potrete sollevare lo spirito delle persone care. A dirla schietta, le buone lettrici sono rare, e non sempre si può diventar tali coll'esercizio. Ma si può imparare a ben pronunziare, a ben dividere le frasi, a emettere il respiro a tempo debito, a dare un'intonazione giusta e naturale. Ne ho sentite di quelle che, non contentandosi di pronunziare Dio sa come, precipitavano le parole, mangiandone qualche sillaba, strascicavano e troncavano le frasi, distribuendo le pause a estro, e sollevavano o sprofondavano la voce dandole toni esagerati e falsi. La buona lettrice, invece, distingue ogni frase e ogni membro della frase stessa, lasciando a chi ascolta il tempo di comprenderla, prima di passare oltre; non addossa a casaccio parole su parole, anche quelle che fanno a pugni insieme, ma alle pause obbligatorie, richieste dal senso e dall'esigenze dell'udito, aggiunge abili silenzi, non troppo prolungati, per non stancar l'uditore. Il gran segreto della perfetta lettura è il buon uso del respiro, che bisogna trarre discretamente alla fine delle frasi, ma insensibilmenteperchè l'uditore non se n'accorga e perchè chi legge non s'affatichi e possa aver fiato sufficiente a uno slancio improvviso d'agilità e di forza. Ma oltre questo ondeggiamento respiratorio, ch'è la parte materiale della lettura, c'è una parte più elevata, ch'è l'armonia della frase e il sentimento, che servono di corrente elettrica fra chi legge e chi ascolta. Per ottenere questo risultato bisogna comprendere e sentire ciò che si legge:non solo, ma bisogna saper distribuire le intonazioni, perchè la nostra commozione si comunichi agli altri. Quest'arte della lettura si conviene assai più alla donna che all'uomo. Tale verità ch'io riconosco per l'esperienza da me stessa fatta in proposito, è stata prima che da me, affermata da quella persona competente ch'è Ernesto Legouvé, il quale così la spiega: "Le donne hanno sortito dalla natura un'agilità d'organi e e una facilità d'imitazione che si prestano meravigliosamente a tutte le arti d'interpretazione e, quindi, a quella della lettura. Non solo, ma tale abilità, che per gli uomini è uno strumento di lavoro e di successo professionale, può legarsi, per le donne, alle loro più dolci intime occupazioni, a'loro più cari doveri di famiglia. Esse sono figlie, sorelle, madri, donne. Più d'una ha veduto e vedrà presso di sè un vecchio padre infermo, una madre colpita da un gran dolore, un bimbo malato; il padre non può leggere perchè la vista glielo impedisce; la mamma non vuol leggere perchè il suo cuore glielo vieta; il bimbo vorrebbe, sì, leggere, ma non sa. Che gioia squisita per una giovinetta poter confortare una sofferenza, rasciugare un pianto, mitigare uno spasimo col semplice aiuto di qualche pagina ben letta!" Appunto in nome di questi vostri dolci affetti, il cui più caro compenso è il bene di chi ve li ispira, io vi ripeto, fanciulle, le parole del grande educatore: "Imparate a leggere, e sforzatevi d'acquistare un'abilità che può divenire una virtù".

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Chi non è forte a sopportare il male fisico, si lascia facilmente abbattere anche da quello morale. Alcuni scattano o piagnucolano per una sciocchezza:una parola pigliata a frullo, uno sguardo di sbieco, un saluto tepido, perfino un'osservazione amorevole fa montar loro la mosca al naso:e giù smusate a tutt'andare! Se poi il dolore è reale e sincero, non sanno più tenersi, e s'afflosciano come cenci, tremano come foglie sotto il turbine che passa; e allora rinnegano le più soavi idealità, o annullano tutto un passato di bontà, di devozione, per dar libero sfogo all'insoffribile angoscia, a cui maledicono come a un'ingiustizia. La piccol'anima, non temprata dall'esperienza, viene a galla in queste manifestazione di dolore. No, care, il dolore non si deve sbandierare a tutti i venti. La sofferenza vera ha il suo pudore. - Eh, ma chi raccappezza più qualche cosa in que' momenti? Se vi foste avvezzate a contenere un po'le piccole passioni, ora questa forte e vera non vi riboccherebbe così infrenabile che il cuore par che vi scoppi. Tutti, più o meno, sappiamo lo schianto d'un penoso estremo distacco, nè voi parlate a sordi, quando dite:"Se sapeste quant'ho sofferto! Ero fuori di me! ". E' vero, sembra che ci strappino violentemente le vene, e che il sangue nostro per esse voglia fuggirsene via fino all'ultima goccia; oppure ci prende un impeto di ribellione contro tutti e contro tutto, come se tutto e tutti fossero responsabili del nostro strazio. Allora, quando la ferita è ancora viva, ogni contatto sembra che ne rattizzi l'ardore, e ce ne stiamo lì tutti rattrappiti su noi stessi, per tema che altri ci s'accosti, e guardiamo sospettosi e crucciati e scattiamo d'ira, se ci balena il pensiero che meschina curiosità o falso rispetto umano conduca alcuni fra gli estranei vicino al nostro povero morto. Che cos'è tutto il mondo degli altri davanti a quel piccolo mondo nostro che s'è rinchiuso nella bara ancora scoperta? Che c'importa dell'altre persone, se quella che più amavamo è fuggita via? Le convenienze sociali ci sembrano un'insostenibile catena, che noi vorremmo spezzare con forza brutale. Distraendoci da quell'unico pensiero, ci par di mancare verso la creatura che, morta, sentiamo d'amare mille volte di più. Quanta forza bisogna in quei momenti! Lo so, si preferirebbe essere soli col nostro cuore ferito, anche perchè ci sembra di sentirci portar via, da ognuno che s'avvicina, qualcosa che toccava a noi soli, ch'era tutta nostra. Ma anche quello degli amici, figliole mie, è un tributo al povero morto; e son pochi, rarissimi coloro che, avvicinandosi a una bara, non si sentano compresi di gran pietà e di dolore vero, e non piangano sinceramente con noi, dimenticando le piccole passioni umane. Purtroppo càpita di vedere, in un corteo funebre, qualcuno che dimentica dietro a chi cammina, e si lascia andare a chiacchiere vane, o combina affari, o chiede un parere, o approfitta d'essersi ritrovato dopo tanto con un suo conoscente per aver notizie della famiglia perduta di vista, o, perfino, dice male della persona defunta. Ma voi non sarete così! Se siete obbligate voi pure a seguire una bara, posate lo sguardo sul feretro nero che vi precede, sul cero che, simbolo della vita, si consuma nella vostra mano; immaginate che l'anima separata da quel corpo portato al cimitero chieda l'aiuto d'una vostra preghiera, e allora vi passerà il ticchio di ciarlare di cose vane, di voltarvi in qua e in là, di curarvi della figura che può fare il vostro vestito:pregherete.

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Restringete, quant'è possibile, il mondo della vostra vita nuova:più piccolo sarà, meno vi peserà sulle fragili spalle l'inflessibile critica della gente, e più facile sarà per voi il riconoscere chi v'è amico e chi invece s'accosta a voi per giudicarvi. Visite? Poche:le necessarie e le intime. A queste potete andar sole, a quelle vi farete accompagnare dal babbo o da una persona d'età seria e fidata, e vi tratterrete non più di mezz'ora. Vi capiterà forse di ricevere, qualche sera, alcuni amici di vostro padre:voi dovete esser loro riconoscenti, perchè v'aiutano a fare compagnia a una persona a voi cara, a trattenerla in casa vicino a voi. Abbiate per loro tutte le premure, preparate la modesta bevanda preferita, o l'occorrente per fumare, o il mazzo di carte per una partita, nella quale, sebbene con un po'di sacrifizio, farete il quarto, se occorre. Non sfoggiate la vostra cultura; non vi date delle arie; dite pure il vostro parere, quando si tratta di cose attinenti alla famiglia, alla casa; ma non prendete parte alle conversazioni non adatte a giovinette; del resto sarà facile per voi isolarvi, pur rimanendo nella stessa stanza, con un semplice lavoretto. Non c'è bisogno, si sa, di mettere in mostra toppe e rammendi:un ricamo, una trina, un grembiulino saranno più adatti.

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Ma ecco che un giorno vostro padre v'annunzia la necessità d'invitare a pranzo, oltre i suoi intimi, alcuni conoscenti di soggezione. Tocca a voi scegliere la minuta, preparare la tavola, dare al convito la vostra impronta di buon gusto e di gentilezza. Non s'usano più, ora, i famosi banchetti luculliani; l'esagerazione della moda, in questo caso, fa eccezione a se stessa. La ricchezza e la signorilità si rivelano oggi non nella quantità, ma nella qualità delle pietanze che s'apprestano, e anche nella varietà. Una minestrina leggera e, possibilmente, col brodo, un pesce, qualche antipasto appetitoso, un piatto forte di carne, un altro freddo, un altro di verdura e il dolce e la frutta possono bastare per il vostro pranzo. Ma l'arte vostra apparirà soprattutto nella delicatezza de'gusti che voi offrirete al palato degl'invitati. E abbiate la stessa cura per i vini, più o meno abbondanti secondo l'importanza del pranzo, e di cui i comuni saran serviti in bocce di cristallo, i più fini nelle loro bottiglie. Tutto qui? No, care; bisogna che anche l'occhio abbia la sua parte, bisogna che la tavola sia degna di ricevere i cibi squisiti da voi preparati, e che i vostri invitati ammirino l'eleganza pratica della padroncina, in ogni particolare. La tavola dev'essere sufficentemente ampia per il numero dei commensali, a cui non garberebbe certo starsene striminziti come acciughe nel barile. Se c'è diversità di seggiole, guarderete sempre di riserbare le più comode alle signore, che avranno più cara l'attenzione d'un panchettino. Alla tovaglia, me l'immagino, avrete dato una sferrata di fresco:non si sa mai, alle volte nel guardaroba si formano delle pieghe secche così antiestetiche! Una leggerissima insaldatura non nocerà, ma sarà indispensabile un perfetto nitore. Della medesima qualità della tovaglia dovranno essere i tovaglioli:o damascati, o di Fiandra, senza o con iniziali. Ma, per carità! non vi scervellate a immaginare forme bizzarre per le salviette: un quadrato quasi perfetto sarà preferibile a qualunque poligono. Le metterete, per caso, dentro il bicchiere? Scusate, ve l'ho domandato per eccesso di prudenza. Mi par già di vedere i coperti disposti in una bella fila: ognuno ha il suo piatto, a cui fan da sentinella tre o quattro bicchieri, quelli necessari per tutto il pranzo, e tengon compagnia il coltello e il cucchiaio a destra e la forchetta a sinistra, dalla qual parte trovo anche il panino posato sul tovagliolo. Non manchino i fiori dal profumo tenue, o disposti in ghirlanda, o affacciati a graziosi vasetti sparsi qua e là, non in trionfi ingombrati, come s'usava una volta, nel Seicento! Se a ogni portata non v'è possibile cambiar le posate, sarebbe almeno necessario farlo quando l'invitato ha lasciato le sue sopra il piatto e, anche, dopo il pesce, il cui gusto è appiccicaticcio. Mi sembra superfluo dirvi che per il dolce bisogna aggiungere al piccolo coltello la forchettina dello stesso servizio, e per le frutta in composta o per la crema il cucchiaino. E guardate di preparare con una certa eleganza anche le frutta e le paste, che devono essere fini e leggere. Sicuro, anche nella loro disposizione si rivelerà il vostro gusto! Il caffè sarebbe meglio servirlo in una tavola a parte, non in quella seminata di bicchieri e di bricciole. Le tazzine si usano piccolissime, perchè s'immagina che la qualità del caffè ne compensi la quantità. Prima che gl'invitati vadano via, sarà bene servire il tè o qualche rinfresco, secondo la stagione. Per finire:non ripiegate neppure in casa vostra il tovagliolo. Sa di provinciale! Badate, io v'ho parlato soltanto di pranzi relativamente modesti, pe'quali basti, a servire, una cameriera giovine, ravviata, con un bel grembiulino bianco ricamato, e, magari, la cuffietta in testa; lascio quelli di gala, a cui bisogna rassegnarsi a sopportare, impalata alle spalle, l'ombra nera de'camerieri, e a vedere i loro guanti bianchi portarci via il piatto, magari nel momento che si cominciava a gustar la pietanza. Che soggezione, mamma mia! Ma di questi pesi sullo stomaco non ne auguro nè a voi nè a me. Intrattenendovi su questo vostro ufficio di padroncine, v'ho immaginate sole col babbo e col ricordo della povera mamma. Se ci sono fratelli, toccherà ugualmente a voi a fare gli onori di casa; se c'è qualche sorella, con lei dividerete i vostri piccoli doveri.

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Vantaggi del collegio - Doveri verso la Rettrice e gli altri superiori - Confidenza in chi può consigliar bene - Con le compagne - Non eccessiva dimestichezza, nè infondate e improvvise antipatie - Leggi e divisa pareggiatrici - Allo studio - A ricreazione - Ordine! ordine! - Il pensiero di Dio. CHE lunga lettera m'hai scritta! E quanto pepe ci hai sparso! Ci ho sentito, dentro, tutta l'impetuosa vivacità dello sfogo; ma te lo perdono per la melanconia che te l'ha ispirata. Io ti risponderò ancor più lungamente, dovessi passare su queste mie pagine metà della notte. Sopra due punti soltanto della tua lettera sono d'accordo con te:primo, quando furbescamente m'insinui che io, al momento di lasciarti, ero veramente commossa; secondo, quando affermi, in generale, che a una fanciulla giova più non allontanarsi dalla famiglia. Quanto alla mia commozione, come potevo non sentirla profondamente, pensando che, al rientrare in casa, non avrei veduto la mia monella saltarmi addosso, non avrei sentito il suo arruffato cicaleccio? non me la sarei trovata accanto a tavola, e, la sera, non mi sarei addormentata con nelle orecchie l'eco delle sue parole, che mi giungevano a riprese dalla camera vicina? Sì, ero commossa davvero; ma poi mi rassegnai, riflettendo che la risoluzione presa dal babbo e da me era tutta a tuo vantaggio. Alla tua seconda affermazione rispondo un po'titubante, perchè sento che la questione è molto delicata e non si può risolvere con una fanciulla della tua età. Ne'casi normali, è sempre meglio tenersi vicine le nostre figliole:ma, quando manchino in famiglia le condizioni favorevoli a una buona educazione, o - come nel nostro caso - si abiti in una cittadina non provvista di scuole, il distacco è necessario. Il collegio, del resto, non è che la continuazione della famiglia; con questa differenza, che l'influenza della famiglia è più intima e duratura, mentre quella del colleggio è tutta di persuasione e di conquista, perchè lavora attorno ad anime già provvedute di virtù e di difetti. E poni mente, Clelia, a queste parole"già provvedute di virtù e di difetti"che rispondono alle tue un po'arrischiate e insolenti, con le quali insinuavi - forse sperando di smuovere tuo padre e me - che in collegio si prendono, non si lasciano i vizi. No, cara, non vi si prendono:ma si portano! Ti aggiungerò che, se veramente in alcune scuole le anime si guastano, accade, purtroppo, spesso che si guastino anche nelle famiglie. Alla serie di pericoli che tu m'hai enumerati nella tua lettera io voglio opportene un'altra di vantaggi, che tu, naturalmente buona, benchè vivace e irriflessiva, riconoscerai in breve, risentendone il benefizio. Intanto, nell'istituto che tuo padre ed io abbiamo scelto, fra gli educatori a cui noi abbiamo accordato tutta la nostra stima, tu imparerai a rispettare la legge e a temere l'autorità che la rappresenta:non potrai uscire dalla regolarita dè'movimenti senza incontrare un ostacolo, nè deviare dalla via retta senza scontarne immediatamente la pena, la stessa pena che qualunque altra dell'educande dovrebbe scontare nell'identico caso:una scuola di giustizia, come vedi! Non solo; ma tu ch'eri abituata a vedere, in casa, tutti occuparsi di te - la nonnina, troppo indulgente pe' tuoi capricci, la mamma un po'deboluccia, la zia sempre propensa a scusar le tue colpe, la vecchia domestica addirittura schiava de'tuoi desideri - dovrai vivere per conto tuo in quel piccolo mondo, dove non c'è previlegio che per i migliori e dove, essendo la legge uguale per tutti, non s'urta senz'essere urtati, non s'offende senz'essere offesi:dove, infine, chi ha il carattere un po'bisbetico, oltre i giusti rimproveri de' superiori, deve temere - e come! - l'accanimento d'un gruppo di compagne più audaci o più maligne intese è punzecchiare i suoi ghiribizzi. L'egoismo è aborrito, l'orgoglio e gli stolti vanti di ricchezze o di nobiltà derisi, i capricci e il disprezzo per altri rintuzzati. La tua famiglia t'ha, finora, eccessivamente protetta con la sua tenerezza; non è male che, per qualche tempo, tu proceda sola per rinforzarti, tu ti trovi nella necessità di bastare a te stessa, di spiegare tutte le risorse del tuo temperamento e di guardare un po'più dentro di te, pur apprendendo a dimenticare te stessa come individuo. Sei permalosa, irritabile? Le campagne ti perseguiteranno per mettere alla prova la tua suscettibilità. Sei indulgente, affettuosa? T'accerchierà la simpatia generale. Sei d'umore lunatico? Anche l'umore di chi ti circonda subirà degli sbalzi che ti costringeranno a mutar condotta. Sei alquanto pigra e golosetta? Hai un granello di troppo d'ambizione? Questo ti sarà soffiato via, non temere, e anche al resto penserà la regola del collegio, alla quale non potrai sottrarti senza sentirti tu stessa umiliata dall'incapacità di fare quanto le altre educande fanno. In collegio tutte v'alzate di buon'ora, concedete alla toeletta pochi minuti, studiate a lungo, frenate i vostri muscoli nel silenzio o nella compostezza, sedete a una mensa uguale ch'esclude le ghiottonerie e offre cibi sani, tutti misurati, fuorchè il pane che il povero chiede elemosinando. E io sono sicura che la mia Clelia, aiutata dalle condizioni propizie, svilupperà le sue belle qualità a danno di quelle cattive che si rattrappiranno sempre più, vergognose di sè, fino a scomparire.

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Tutto a suo posto, tutto a suo tempo! Che al momento d'avviarti a scuola o alla passeggiata, tu non debba affannarti a cercare lo scartafaccio da una parte, la matita dall'altra, o a rimediare con una spillo da balia alla mancanza d'un bottone o con un nodo alla rottura d'una stringa già da tempo consumata. Sta'sempre ravviata, da'cappelli ben pettinati alla punta delle scarpe ben lucide. E i buchini, mi raccomando, fa' che non diventino buconi per la pigrizia di dare a tempo i due punti necessari. Ora costa tutto così caro, ch'è centuplicato - s'è possibile - l'obbligo di tener da conto quello che abbiamo. Guàrdati dalle macchie, dallo stropiccío delle scarpe che valgono un occhio dallo sfreghío delle maniche, dallo spreco della carta e de'pennini, che in questi tempi tengono il loro posto nell'economia domestica; smetti l'abitudine d'adibire a uso di puliscipenne il rovescio del grembiule che, se è nero, è tuttavia soggetto a sporcarsi. Vuoi bene alla tua mamma? Pensa che, dimostrandoti disordinata e sciatta, fai sfigurare anche me, che sono la tua prima educatrice. Quante cose t'ho scritte! Ma la più importante te l'ho serbata all'ultimo:è un ammonimento soave e grande, come una benedizione. Tienti stretta al cuore la tua religione, ch'è la più bella poesia dell'anima, che ci dona la felicità e la virtù, che c'insegna a camminare nella via de'nostri doveri; e rendila sempre più forte e serena, perchè la sua dolcezza e il suo vigore possano rinsaldare altre anime inquiete e fiacche. E prega! Prega con le labbra, col cuore, prega con tutte le tue azioni, uniformandole alla legge divina, che tutte le leggi umane comprende e purifica. Quando avrai pregato, sentirai l'anima più leggera e contenta, perchè la preghiera è luce per la mente, riposo pel cuore, forza per la volontà. Nel pensiero di Dio incontrerai sempre quello di tua madre, che t'ha insegnato a credere perchè la vita di chi non crede è come un albero senza succo, e le sue azioni cadono a terra come foglie vizze e ingiallite:mi sentirai così vicina quando, con te, invocherò da Dio il tuo conforto e il tuo bene, come in questo momento in cui mi sembra d'averti proprio sul cuore mentre ti bacio con tenerezza infinita. LA TUA MAMMA

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Fra lui e cinque o sei giovinette erano già corsi accenni a matrimonio; ma poi le candidate l'avevano veduto, a una a una, alzare il tacco, e ci avevano sospirato sopra invano. Belline, non c'è che dire, ricche, ammodino tutte. . . dunque? I comuni amici se ne stupivano:non era una farfallina l'avvocato, e un perchè ci doveva essere. Eccolo. Naturalmente, il giovinotto aveva chiesto informazioni, nè s'era fermato all'esteriorità. Quasi concordemente gli avevano risposto d'ognuna:"E' così ben educata! E' tanto gentile! Ha un tal garbino nel parlare! Oh simpatica! "Ma lui non si fidava, e, poichè la cosa gli pareva di non lieve importanza, volle vederci chiaro co' propri occhi. Un giorno ne seguì una di lontano, e la vide, non veduto, gettare con mal grazia una moneta nel cappello d'un povero; d'un'altra, entrando in un negozio appena lei n'era uscita, seppe che aveva fatto buttar in aria metà della merce, e poi se n'era andata senza una parola di scusa; d'una terza sentì parlare da una buona ragazza che andava a lavorare a giornata in casa di quella signorina, da cui appunto aveva ricevuto, la povera operaia, sgarbi e, perfino, insolenze. E così via. . . Dunque la gentilezza di queste"damigelle"si limitava a una parte del genere umano, alla parte forte e potente:l'altra, debole e inerme, non sembrava loro degna di riguardi. E l'avvocato, che la sapeva lunga, pensò:Se la tale tratta bene soltanto chi le ispira un po' di soggezione, la sua gentilezza non è che superficiale, non tocca il fondo dell'anima, non è bastevole a mantenere l'accordo perfetto nella famiglia, dove la domestichezza e la speranza che"non si venga a saper fuori"renderanno più possibile lo sgarbo e l'arroganza. Così le piantò tutte, e scelse, infine, una buona ragazza affabile, soave, umile con gli umili più che con i superbi. E fu contento.

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. - Vuoi dirlo a me, eh? Sicuro, son sempre io. . . - e séguita la filastrocca. - L'hai studiata stamattina la lezione? - la interroga amorevolmente una compagna. - Eh, già perchè le altre mattine non la studio mai! Per la strada una bimba, passando frettolosa, le urta il gomito? - E la creanza dov'è? - le borbotta dietro. Qualcuno le getta un'occhiata a casaccio? - Chissà che cos'ha quel lì da guardarmi! - brontola fra'denti. Piglia foco per nulla, per nulla schizza, s'irrita, offende. Per fortuna gli altri non sono tutti fiammiferi come lei; se no, chi sa che incendio si svilupperebbe! Ora domando se questa non è villania bell'e buona! E, secondo me, c'è sotto lo zampino dell'orgoglio che insegna a "Fiammiferino"a far sè centro dell'universo e a credersi bersagliata dagli sguardi, dall'osservazione, dall'interesse del pubblico, per il quale invece lei è una formica in mezzo allo sciame, dove, invece d'un granello, porta sulle spalle il carico della sua boria.

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Se tu dici verde, per lei è rosso; se tu vai in collera, e lei canticchia; se ridi, lei mette su il grugno; se d'uno dici il meglio che puoi, e lei gli dà di nero; se parli, e lei ti pesa ogni parola o coglie a volo un tuo incespicare e ti mozza il discorso con de' se, de' ma, degli ohibò che farebbero saltar la mosca a un santo. Per amor della pace, tu sei costretto a chiuder bocca e a lasciar che dimeni lei la sua lingua e, non sapendo chi contradire, contradica se stessa.

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E' sempre linda e leccata come se uscisse da un profumiere; sdilinquisce in sorrisi e paroline melate; non hai una frase, e già è pronto il suo assentimento o la sua meraviglia per il tuo acume; se tu le dici che splende un magnifico sole e fuori diluvia, lei non ti dà torto; se apre bocca, te ne chiede scusa; se la urti o la pesti, lei ti ringrazia dell'onore; se, stufo e fuori de'gangheri, ti metti a sbuffare, lei ti fa un complimento e offre i suoi servigi a pro del tuo malessere. Non ti resta che scappartene via e lasciarla lì a farsi succhiare il miele dalle mosche sue pari.

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T'occorre una matassina di seta, e nel negozio ove tu sei solita a comprare non la trovi? Non osi entrar in un altro e disturbare per così poco. Sei invitata a partecipare a un'opera buona? Il cuore ti dice"corri", ma ti trattiene il pensiero di trovarti fra persone che non conosci e con le quali ignori come trattare. Sai perfettamente la lezione? il viso severo del professore, che so? quegli occhiali che dànno una certa durezza al suo sguardo, ti fan confondere le idee:tu chini la testa, pronunzi qualche monosillabo, balbuziando perfino, e poi ti fermi, in mezzo al silenzio stupito delle tue compagne. Devi fare due volte di séguito la stessa strada per esserti dimenticata qualche cosa? Svolti la prima cantonata e ti attardi in un lungo giro, affannandoti magari, per ritornare al negozio che t'era lontano pochi passi. Giuliana mia, quanti ostacoli ti prepari per l'avvenire, se non modifichi a tempo il tuo carattere! Non credere che ti possa convertire soltanto l'età; tu devi aiutare l'opera sua, tentare con ogni sforzo di superare la tua timidezza. E come? Entra in un negozio pieno di gente anche senza necessità, per una cosa da nulla; incàricati tu di chiedere a un estraneo un piacere per un'altra persona; pensa, quando parli a superiori, ch'essi potrebbero giudicarti una giuccherella o, peggio, una gattamorta; e infine, se proprio la tua timidezza dipende da eccessiva modestia, da troppo scarso sentire di te, da sfiducia nelle tue forze, allora cerca di metterti al tuo vero posto verso te stessa, riconosci i doni che t'ha dati natura, non crederti orribile mentre sei graziosa, non scipita se hai una certa intelligenza, non goffa se invece la tua personcina è svelta e ben fatta. Non bisogna però esagerare nella compiacenza del giudizio di noi stessi. Guai! Allora ci capiterebbe qualche disillusione. Io conosco una certa signorina, la quale si mostra timida, restia a farsi vedere, impacciata ne' modi, incerta nel discorso, proprio come te. Ma il suo contegno non ha le stesse cagioni del tuo:la sua modestia assomiglia alla tua come una perla falsa a una vera. Lei si crede intelligentissima e dubita di non mostrarlo abbastanza; s'attribuisce una bellezza meravigliosa e teme di velarla; ha la velleità di voter possedere una pronunzia infallibile, e ha soprattutto la sicurezza d'essere proprio lei il centro dell'universale attenzione. Pròvati, Giuliana mia, a cominciare un discorso fra molte persone, così alla buona, come parleresti in famiglia, e poi, a un tratto, immàginati che tutti stieno ad ascoltare te sola, che guàrdino te, che osservino la tua pronunzia, i tuoi gesti. Patatrac! Non saprai più azzeccarne una buona:le mani ti peseranno sulle ginocchia come un impaccio qualunque, ti si farà una confusione nella mente, e le parole ti s'appallottoleranno in una maniera pietosa. Questo avviene a quella signorina ch'io conosco, la quale ha pure la smania d'umiliarsi per essere esaltata. "Sono così sciocca! . . . vorrei esser bella, ma purtroppo. . . ". Ma una volta gliene capitò una carina davvero. Un signore, serio e schietto, a cui certe ipocrisie accartocciavano i nervi e quel fare melenso faceva venire il latte a' ginocchi, al sentirsi dire, con una voce smorente fra un pallore e un arrossamento repentini: - "Lei sa parlare così bene! Chi sa che cosa dirà di me, che non so spiccicar due parole come si deve! " - non potè trattenersi, e le spifferò il suo"te la do io! "lasciando scivolare tranquillamente la risposta: - Non è mica necessario essere degli oratori! Del resto lei è una donna, e certe deficienze può compensare con altre intime virtù che non appaiono a prima vista. Le ci voleva! La falsa modestia della signorina le suggerì di riparare alla sua sconfitta, dando una solenne smentita; ma le parole che le vennero sulle labbra uscirono con un gorgoglio di rabbia e di rancore, e sembrarono cincischii d'un balbuziente. Così a te, Giuliana, come a quella tal signorina, io vorrei insegnare un segreto efficacissimo a darci quella sicurezza spontanea ch'è di grande aiuto nelle nostre azioni e ne' nostri discorsi. Non ricordatevi troppo di voi, nè per pensare bene, nè per giudicarvi male; fate come l'ondina del mare, che si perde nell'infinita massa acquea, e talvolta trae dai raggi più vivo luccichìo e tal altra lo cede alla compagna vicina, e ora si solleva e ora ricade giù perchè un'altra la superi, e non s'illude che il sole debba illuminare lei sola o che sempre a lei tocchi d'innalzarsi su tutte. Perchè i vostri occhi sono sempre fissi su di voi, credete che tutti gli altri occhi debbano prendervi di bersaglio ma se cesserete di guardarvi con tanta compiacenza, vi libererete nello stesso tempo da quella stolta illusione che grava su di voi come un incubo e, con la semplicità spontanea, ritroverete la franchezza delle azioni, impacciata prima dalla mania di scambiare per giudice ogni vostro simile. Ma non vorrei che le mie fanciulle mi fraintendessero. Io son del parere che uno zinzino di timidezza nella donna, e specialmente nella donna ancora in boccio, non disdica affatto; anzi direi che una donna, senza quel certo granello di peritanza, è come un uomo senza forza, come un bimbo senza purezza. Il pronto affluire del sangue alle guance d'una fanciulla sorpresa nella sua ingenuità è naturale come lo scatto violento d'un uomo offeso nell'onore d'una cara persona. E io, mentre tento di riscuotere quelle di voi, fanciulle, che troppo si lasciano vincere dalla loro timidezza ammiro le altre che la limitano a un gentile riserbo, a un freno puramente fisico dell'animo ancora inesperto, ma consapavole di se stesso e della propria inferiorità di fronte ad altri, a una delicata titubanza, ch'è d'aiuto nel vigilare i propri atti e nel fortificare il proprio animo contro le cattive tendenze. Questo sia, o Giuliana, il tuo pudore; ma non eccessivo a tal punto da divenire dannoso.

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La vedevo a mezzogiorno:giù un bacio. Mi capitava d'incontrarla nuovamente alle due:e daccapo! In casa, per la via, in piazza, magari in un negozio, lo schiocco sonoro era inevitabile. Finii con lo spiattellarle la mia avversione a quella sua inutile espansività. - Ti secca? Dovevi avvertirmi prima. Sai, dalle nostre parti s'usa così. Era una meridionale. Da quel giorno, se volli un bacio, dovetti chiederglielo; nè ebbi amica più cara di lei. Credete a me figliole:non c'è nulla di più insipido che il bacio abituale, di convenienza, quasi obbligatorio. Si bacia quando s'incontra una persona cara da lungo tempo non veduta; o impulsivamente, per esprimere simpatia, riconoscenza, ammirazione, pietà che non trovan parole; o attratti dalla grazia di persona che ci appartiene; ma solo si baciano le persone per cui si ha dell'affetto. Il porgere le labbra ogni momento, a ogni occasione, il pretendere a forza ciò che altri spontaneamente non darebbe, è fastidioso, nauseante. E poi, guai se prendiamo quest'abitudine! Finiremo coll'imporcela come un obbligo, col baciare quando non se n'ha voglia e chi vorremmo forse graffiare; se pure non ci capiterà di veder tirare indietro la faccia da qualcuno che assolutamente è contrario al bacio. Evitate anche di baciucchiare i bimbi degli altri; potreste guadagnarvi qualche giusta osservazione, perchè il contatto frequente della bocca altrui è contrario all'igiene, con cui in questo caso s'incontra l'educazione. Se proprio le vostre labbra si sentono attratte da quel profumo d'innocenza, posatele sui morbidi capelli, sulla fronte pura, sui cuscinetti della piccola mano, ma non accostatele a quelle gotine rotonde e tanto meno a quei rosei labbruzzi. Delle malattie che si possono comunicare a'bimbi per mezzo dei baci han già parlato giornali e riviste, voci più autorevoli della mia; quanto all'educazione... Non c'entra? Eccome! Soffocandoli di moine, abituate i bimbi a non farne più caso e a pigliarle come un omaggio dovuto, non come un segno della vostra tenerezza o un premio che volete dar loro. In generale l'eccessive dimostrazioni d'affetto e d'amicizia sanno di volgaruccio. Vi sono tanti generi di saluto, anche fra amiche o parenti, che c'è modo di distinguere. Un grazioso chinar della testa, una cordiale stretta di mano, un sorriso luminoso si possono dispensare con grande affabilità, senza lasciarci andare a smancerie. A un giovine o a un signore - a meno che questo sia vecchio e, quindi, in un grado di superiorità rispetto a una giovinetta - tocca a voi porgere la mano per le prime. Ma se un buon uomo distratto, o ignaro di certe esigenze che gli puzzan forse di grottesco, vi tende la sua, stringendola senza dimostrar meraviglia o disappunto. E, a proposito, un'avvertenza:la stretta di mano non dev'essere una tenagliata, ma neppure una molle contatto di dita; dev'essere l'espansione d'una persona franca, fiduciosa, che non dimostri nè volgarità, nè superbia, nè diffidenza. Il saluto può dir tante cose a chi sa leggere! come il sorriso. Ricordate?

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Càpita a volte, per certe strade! E allora lasciate cadere sul fazzoletto due gocce d'acqua di felsina o di colonia, ch'è perfino leggermente disinfettante. Ma via i profumi acuti, che urtano i nasi delicati e dànno nausea agli stomaci deboli d'alcune signore. Sapete che cosa vien fatto di pensare d'una giovinetta che s'inonda di profumi acuti? Che abbia il naso foderato d'ovatta, che sia una volgaruccia qualunque, e perfino che voglia nascondere un alito cattivo. Un mio parente - un simpatico originate - cercò moglie per molt'anni, ma non riusciva mai a trovare la sua. Già, aveva delle velleità aristocratiche; ma voleva che, pur essendo distintissima, la sua dolce metà non avesse alcuno degli artifizi con cui certe donne credono d'attrarre maggiormente. E finì con lo sposarsi un po'tardetto, ma proprio di suo gusto. S'invaghì a prima vista d'una signorina nobile, che gli venne incontro timida nel suo abitino scuro, odorante di. . . naftalina. Lo stesso avvertimento per la cipria. Non capisco il perchè di quella nuvola bianca sulla vostra carnagione rosea e fresca. Non soltanto fate danno all'estetica, ma anche alla salute; tanto più che la cipria usualmente adoperata dalle ragazze non è delle più fini. Ve n'accorgerete a quarant'anni, se seguitate a otturarvi, con uno strato di polvere, i pori pe'quali la nostra pelle respira! Tutt'al più se, rasciugandovi in fretta la mattina, sentite il bisogno di togliervi l'ultimo avanzo d'umiduccio, limitatevi alla polvere d'amido, inodora e innocua anche, a patto che ve la togliate súbito, strofinandovi con uno spazzolino di pelo o, più semplicemente, con un fazzoletto. Piacete più a tutti come siete, figliole mie; non come vi fate!

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E a quante piccole astuzie ricorrete, per assicurarvi se c'è accanto a voi qualcuno con cui possiate scambiar discorso, fermarvi un tantino sulle scale, lanciar qualche frase attraverso il vano delle finestre vicine, o, meglio ancora, dar la stura alle confidenze fra le sbarre del piccolo cancello, che divide i due terrazzi contigui come una grata discreta! Volete un consiglio dettato a me dall'esperienza, ch'è veramente una saggia maestra? Se bramate un'intimità, fate ch'essa esista con persona lontana, non mai con chi sta a uscio a uscio con voi e, a qualunque ora del giorno, può ficcare il naso in casa vostra e informarsi sul programma della vostra giornata, o chiedervi conto delle vostre azioni, anche quando vi sentireste il bisogno di piena libertà. Tutti abbiamo de' momenti in cui desideriamo un raccoglimento completo, a tu per tu con la nostr'anima, co'nostri pensieri, e in tali momenti possiamo dircela appena con quelli della nostra famiglia: sarebbe addirittura seccante che l'intimità co'vicini ci obbligasse a divenire schiavi e a non ritrovare mai noi soli con noi stessi. Buoni amici sì, ma intimi no! Gentili sì, ma non mai schiavi! Tanto più che, generalmente, nelle case ci sono bambini, e, se gli uni cominciano a invadere giornalmente la casa degli altri, sono guai! Quante rotture d'amicizia, per causa di que'piccoli tiranni! Quante brutte figure! E guardate d'avere, quanto meno è possibile, bisogno dei vicini. Non bussate ogni momento all'uscio de'casigliani per uno spicchio d'aglio, per un pizzico di pepe, per una ciocchetta di ramerino; piuttosto fare una corsetta fino alla bottega vicina, voi che avete gambe buone. Pensate che anche alla vostra mamma darebbe noia d'esser sempre obbligata a rimediare alle dimenticanze degli altri. Di riguardi siate pure prodigi co'vostri coinquilini. Camminate più leggermente che potete e frenate la vivacità de'vostri fratellini per rispetto a chi abita sotto di voi; non trascinate inutilmente mobili, ma, se proprio vi bisogna, fatevi aiutare a sollevarli; non ballate e cantate, nè piantate chiodi troppo tardi la sera o troppo presto la mattina; prima di sbattere i tappeti fuori della finestra, guardate che non ci sia sotto nessuno o nulla che patisca; fate insomma ai vicini quello che desiderate per voi. Ma arrestatevi a tempo sulla via delle cortesie reciproche, perch'esse non impongano a voi e alla vostra famiglia obblighi esagerati. I nostri vincoli sociali non devono diventare catene!

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Così, ragazze mie, se siete accompagnate dalla mamma o da persona a voi superiore, aiutatela a salire a scendere, assicuratele un posto, se è possibile, e sedetele accanto. Non è superfluo, entrando, chinar la testa alle signore e, passando loro davanti, chieder permesso; ed è necessario scusarsi, se si urta contro qualcuno. A me non piace troppo vedere una giovinetta ammodo in piedi sul ripiano; ma la approvo pienamente se ci sta per aver ceduto il suo comodo posto a una signora, a una persona d'età, a una donna carica, a un'altra giovinetta che le sembri sofferente. Se vedete una persona affannarsi dietro il tranvai e fare inutilmente cenno al conduttore, avvertite pure il fattorino o sonate addirittura il campanello per la fermata; così potete aiutare voi stesse ad aprire lo sportello a chi voglia entrare e non ci riesca, o perchè imbarazzato da carichi o perchè debole e vecchio. La dignità non si sminuisce che nelle azioni vili e scortesi. Nè ci perderete nulla, rispondendo a persona, anche umile, che vi rivolga una domanda o attacchi discorso con voi; se questa persona è un giovinotto e voi siete sole, sarà meglio far súbito capire che preferite star zitte. Accettate ringraziando, ma senz'esagerazione di complimenti, la cortesia d'un signore che vi ceda il posto interno, vedendovi diritte sulla piattaforma; poichè tale offerta al giorno d'oggi non avviene troppo spesso, è bene accoglierla a volo quando avviene. Se siete sole e non dovete badare che a voi, approfittate, per scendere, d'una fermata vicina alla vostra mèta; non è delicato l'obbligare le persone che sono nel tranvai e il conduttore stesso a un altro, sia pur breve, perditempo, per risparmiare a voi, giovani e sane, quattro passi di più. Ma, per eccessivo rispetto umano o per darvi qualche aria di troppo, non scendete mentre la vettura è in moto. Potreste pagar cara la vostra leggerezza! Piuttosto, se vi trovate in una giardiniera, lontane dal campanello, fate un cenno gentile al fattorino e, se v'è possibile, ringraziatelo. Alla noia e alla fatica del lavoro è spesso dolce compenso un sorriso, una premura, una prova che si conosce la scarsezza della ricompensa materiale, e, nel caso vostro, che voi non v'approfittate del vostro diritto per trattare da servitori coloro che la legge o un contratto obbliga a obbedire a'vostri cenni.

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Eccovi sul treno; un'ora prima ci avete trascinato i vostri genitori, a forza di "Ma è tardi, l'orologio dev'essere indietro! il treno parte anche senza di noi! è meglio aspettare che vedercelo passar sul naso! "Ci siete, dunque:che sospirone! Il carrozzone è vuoto, e voi potete prender d'assalto il posto che vi garba; naturatmente, accanto al finestrino. Alla mamma, al babbo non si domanda neppure, vero? Loro sono già abituati alle rinunzie con voi, piccole prepotenti, e lo fanno volentieri; ma, trovandovi con altri meno indulgenti e a voi superiori, dovrete esser voi a cedere, senza dar a vedere il minimo sforzo. Se poi vi càpita di salire in una stazione intermedia, quando molti posti sono occupati, rassegnatevi a prender quello che c'è, senza disturbar troppo gli altri, senz'urtar co'fagotti o dimostrare uggia per non aver trovato da star meglio, forse inducendo qualcuno a sacrificarsi per voi. Con la vostra giovinezza e la vostra salute certi disagi, come l'andare all'indietro, il mancare d'appoggio, l'essere un po' striminzite, non si devono sentire; mentre una signora un po'debole o d'età, un vecchio, un sofferente possono patirne. Ebbene, siate generose, e non solo lasciate a loro il posto migliore, ma offrite il vostro se vi par tale. Giorni fa, io, arrivata un po'in ritardo in una stazione, infilai, tutta trafelata, il primo scompartimento che mi trovai davanti:era di signore sole, e zeppo. Stavo male, e dovevo avere cattiva cera:feci sedere la mia piccina, che viaggiava con me, sopra una valigia, e io m'appoggiai alla parete, con gli occhi socchiusi pel capogiro. Nelle orecchie mi ronzava il chiacchiereccio di tre ragazze sedute lì accanto, che, certo, erano normaliste:parlavano di patenti, di scuole moderne, di norme pedagogiche, si spifferavano anche qualche corbelleria con voce sicura, guardandosi attorno, per cogliere l'effetto della loro saccenteria. Io dovetti parere una provincialuccia qualunque, con quell'aria di buona donna che arriva all'ultimo momento carica di fagotti; così le lor signorine non si degnarono d'offrirmi un posticino, mentre la mia bimba di prima elementare insegnava il galateo alle tre damigelle che presto sarebbero state maestre. "Mamma, siediti qui, io sto dritta. Mamma, ti senti male? Hai gli occhi rossi". Soltanto più tardi, dopo due o tre stazioni, potei sedermi al posto d'una di loro che discese, e ascoltare la maldicenza dell'altre alle sue spalle. "E dire che alla loro educazione sarà affidata quella di tante animucce! "mormorò una vecchia signora. Vi serva d'avviso, figliole mie! Tenete anche a freno la lingua, durante il viaggio, quando v'ascoltano persone estranee:dalla vostra vana loquacità potrebbero derivarvi seccature e, forse, dispiaceri. E' già troppo se non tradiscono i vostri segreti le amiche del cuore! Se il viaggio è lungo, è naturale che, a un certo punto, proviate un tantino di languore allo stomaco e, con esso, il desiderio di qualcosa che lo calmi. Ma non c'è bisogno di dare spettacolo, imbandendo una vera mensa sulle ginocchia e urtando le altrui narici con odori acuti e, magari, l'altrui suscettibilità con libertà eccessive. Vi sembra proprio necessario accostare alle labbra la bottiglia e tracannar giù come un beone? oppure addentare la fetta di pane a mascelle spalancate? o fregarvi la bocca con un pezzo di carta? Dopo aver chiesto permesso ai compagni di viaggio, potete sodisfare il vostro appetito, osservando le regole d'educazione; non è così difficile portarsi dietro un bicchiere, un coltelluccio, un tovagliolino! Alle persone con cui avrete attaccato discorso potrete offrire dolci o frutta, ma non altro cibo, se proprio non v'è intimità. Date una mano a chi scende o sale; aiutate a prendere o a deporre i fagotti; trastullate il bimbo che v'è accanto; cercate di far posto a una vecchia signora che vorrebbe distendersi un po'; abbassate la voce se qualcuno s'appisola o dimostra stanchezza. Fuori dal finestrino guardate pure, se v'è possibile senza scomodare alcuno; se però vedete che l'aria fa male a un vecchio, a una signora, a un bimbo, chiudete senza indugio. Può darsi che qualche timido non osi pregarvene; ma vi sarà tanto più grato se indovinerete il suo desiderio. Del resto, se potete procurarvi i vostri comodi col danno di nessuno, non ve ne dissuado. Anzi voglio farvi una confessione in un orecchio:io mi son trovata spesso malissimo, e in viaggio mi son buscato il mal di denti per la corrente, il granchio alle gambe per lo striminzimento, il torcicollo per l'immobilità, la tosse convulsa per il fumo...proibito, la nausea per l'acutezza di certi odori. E tutto questo perchè? Perchè ho sempre osato poco, ridicolmente poco. Ma fra un'esagerazione e l'altra c'è il posto per il giusto: e appunto il giusto io vi consiglio, per evitare, da una parte, vere sofferenze a voi e, dall'altra, per attirare sulla vostra gentilezza la simpatia della gente.

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NON mi risolvo a lasciarvi:e faccio come una mamma che vede allontanarsi la sua figliola, e la richiami per ripeterle ancora i suoi consigli, per battere di nuovo su quello che le sta più a cuore. Fine? Macchè! Ho tante cose ancora da dirvi, che mi pare d'aver appena incominciato. E sento d'avervi tutte vicine, avvinte a me, sospese ad ascoltarmi, sento che anche voi non sapete come fare a lasciarmi. Ancora? Non la finirei più, se non mi sforzassi a tacere. I moti della vostra, della nostra anima sono infiniti, ed è impossibile volerli tutti fermare; le pieghe sono troppe per svolgerle tutte, ed è meglio che qualcheduna resti intatta per voi, nella lieve ombra del suo mistero. Le vostre mani, già esperte, la schiuderanno tremando un po'; e poi si congiungeranno in un evviva di vittoria. L'anima. . . Ho accennato all'anima, e devo trattare di galateo! Ridete. . . ? L'avete tutte capito ormai - eh, l'ho ribattuto tanto! - che la vostra cortesia non dev'essere una vernice, costosa quanto si voglia, buttata là sopra un mobile rozzo e tarlato per darla a bere ai faciloni. La vostra vita apparente non dev'essere che un riflesso della vita intima, reale. Il bello - quel bello espressivo e caldo ch'io considero come un insieme d'armoniche movenze - deve accompagnarsi col buono. La cortesia fredda non comunica agli altri quel senso di benessere, di dolcezza di riconoscenza - direi - ch'è offerto invece dalla gentilezza piena, nella quale tutti i muscoli non fanno che obbedire spontaneamente, facilmente all'intima volontà di procurare piacere. Sicuro, di"procurare un onesto piacere! "Questo, figliuole, sia lo scopo delle vostre"belle maniere". Come ci stonerebbe quel "belle", se altri ne dovessero soffrire! E ora vi lascio proprio sul serio. . . - Così su due piedi? Ebbene, vi racconterò ancora qualche favola, perchè voi giochiate a chi ci tira fuori più presto la morale. Chi sarà la prima? Giuliana? Enrichetta? Iole? Rina? Cesira? - Oh, guarda, facevo un peccato di curiosità:si predica bene e si razzola male! O state dunque a sentire. . .

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NON posso dimenticarmi della prima volta ch'io ebbi a ricevere il compenso d'alcune lezioni impartite a una giovinetta, figlia d'un ricchissimo pizzicagnolo. . . a riposo. Sua madre, quel giorno, s'era piantata a sedere vicino al tavolino, e ogni tanto interrompeva le mie spiegazioni con una domanda. Io sudavo freddo; ma mi sentii addirittura gelare quando, terminata l'ora, la signora, sogghignando e tirando fuori un portamonete, m'annunziò: - Dunque aggiustiamo i conti. Da quel donnone, che sembrava tagliato con la scure, che aveva gli occhi da bove fuori della testa e un riso forte che le sgangherava la bocca, non dovevo aspettarmi di meglio. Si mise a snocciolarmi i soldi sulla faccia, e m'invitò a ricontarli. - Mi basta che l'abbia fatto lei in mia presenza - le risposi, e, preso in mucchio il denaro, chinai frettolosamente la testa, e uscii. Per la strada feci proponimento di non ritornare più in quella casa; ma poi mi vinsi, pensando che, col mostrarci troppo infiammabili, invitiamo gli altri ad accenderci. Ebbi il coraggio di continuare sino alla fin dell'anno a sopportare quell'oltraggio mensile, per sentirmi dare il colpo di grazia. Poichè io non ero riuscita a trar sangue da una rapa, e la sua figliola era stata sonoramente bocciata alla licenza ginnasiale, di cui la madre voleva adornarla come d'un finimento di lusso, quella mastodontica donna ebbe la cortesia d'accompagnare l'ultimo salario con queste parole:"Li darei più volentieri se la mia Silvia fosse passata". La risposta che mi venne sulle labbra era troppo audace, perchè io la dicesse, e me la stritolai co' denti in un morso furioso. Nè dissi altro. Morale? Quella signora non aveva tatto. E' una virtù, questa, che ci bisogna troppo spesso, perchè noi la trascuriamo. Troppi sono i dolori umani, troppa l'umana suscettibilità, troppo diversi i caratteri, e infinite quindi le cure ch'essi richiedono. La parola"tatto"è per se stessa espressiva. Fra i cinque sensi ce n'è uno che si chiama appunto così, ed è quello che prova impressione per mezzo della pelle, e distingue una scorza ruvida da una tenera buccia. Ebbene, come le cose materiali, ci accade di dover toccare gli affetti, le sofferenze, le debolezze morali; anche per queste bisogna crearci un tatto vero e proprio, e bisogna educarcelo per non pigiare dove già duole, o per non produrre nuovo dolore. Che direste d'un medico che calcasse la mano sopra una piaga aperta, o strappasse via ruvidamente una benda di sopra una ferita sanguinosa? Dio ci salvi dal provare! Il male s'incrudisce, la piaga si slabbra ancor più, e torna a gemere: il paziente maledice al curante. Con le stesse precauzioni con cui un medico s'accosta a un malato, noi dobbiamo accostarci a ogni anima umana, cercarne la parte dolente e toccarla con dolcezza. Se ci saremo ammaestrati in quest'arte che richiede esperienza del cuore umano, penetrazione per leggere in quello degli altri, generosità per vietarci le parole che offendono, prudenza per non oltrepassare i confini, avremo pronta la parola che conforta, il gesto che soccorre, il silenzio che salva. Non ci capiterà, allora, di parlare di ricchezze a chi non ha pane, di dolcezze domestiche a chi ha in casa l'inferno, d'affetto materno a chi è orfano, di tombe ai malati, di corse a uno zoppo, di begli orizzonti a un cieco; non ci schizzerà sulla bocca un'esclamazione dolorosa davanti a una persona amica ridotta in pessimo stato dopo lunga assenza; non spiattelleremo, nudo e crudo, il suo difetto a chi ci preme di correggere, ma l'avvolgeremo, come in un velo, in buone parole atte a propiziarci l'anima di chi ci ascolta; non consoleremo chi piange per un lutto recente con frasi inconsiderate: "Era cosi vecchio. . . Piuttosto che penar tanto. . . Devi pensare a te che sei vivo. . . "E così di séguito. Nè imiteremo quella signora che gettava i soldi davanti a un'insegnante come aveva fatto comprando i maiali de' cui salami s'era arricchita, e che non riusciva a farsi perdonare con un po' d'accortezza la cretinaggine di sua figlia, per la quale io avevo dovuto sprecare tanto fiato:e il fiato buttato via non c'è moneta che lo paghi!

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Le sue conoscenti, quando vogliono far sapere qualche cosa a una persona, a cui in un altro modo non potrebbero dirla, la spifferano in forma di assoluto segreto alla signora Zaira e le fanno promettere di tacere con tutti, ma specialmente con la tale; così sono perfettamente sicure che appunto la tale, il giorno dopo, magari la sera stessa, saprà tutto. Come le confidenze, così non rispetta le cose degli altri; è sempre all'uscio delle sue casigliane per farsi prestare ora questa ora quella cosa, e spesso, col pretesto di chiedere uno spicchio d'aglio, s'intrattiene a chiacchierare tre quarti d'ora sul pianerottolo, senz'accorgersi neppure che la sua interlocutrice freme d'impazienza. Ma amiche vere non ne ha. Anche le pochissime che sulle prime, attratte da' suoi modi affettatamente blandi e affabili, le s'erano affezionate, ora si son ritirate a poco a poco; se la ravvisano di lontano per la strada, cercano di sfuggirla alla chetichella, e, se dalla finestra la scorgono avvicinarsi alla casa, si propongono di non aprir l'uscio quando sentiranno sonare il campanello. Non c'è difetto più odioso dell'indicrezione così nelle parole, come nei fatti. Immaginate, figliole, che voi, in un momento d'espansione, aveste offerto a un'amica di prestarle la vostra musica, il vostro piccolo telaio, la vostra macchina a mano; niente di più naturale tra amiche! Ma quella a cui voi avete fatta l'offerta ha, in germe, il difetto della signora Zaira:i vostri cari oggetti corrono il rischio di perdere in giro il profumo della vostra anima, di cui s'erano impregnati. Spesso voi scappereste alla macchina per un'impuntura, ma dovete farla a mano perchè la macchina è dall'amica; quel fiorellino verrebbe meglio col telaio, ma per andarlo a prendere mettereste più tempo che a sbrigarvela senz'altro aiuto che le vostre dita. Ah, se aveste lo spartito della Norma, o quella bella canzone norvegese, così suggestiva! Vi mettereste al piano, e quel certo momentaneo malessere scomparirebbe. Ma la vostra amica s'è presa quel che avevate di meglio, e non v'ha lasciato che poche sonatine scolorite. Le cose vostre non sono più vostre. Chi è indiscreto non rispetta nemmeno il tempo degli altri. Vi sarà capitato di sentir la mamma lagnarsi d'aver perduta la giornata per una visita d'una sua conoscente, che ripeteva ogni dieci minuti il ritornello:"ora me ne vado"e non si risolveva mai ad alzarsi. Vi serva di norma, figliole! Spesse volte vi si fa buon viso in una casa al vostro apparire; ma, se fate tanto di trattenervi più del giusto, notate una cert'aria di scontento sui visi, sentite un certo raffreddamento attorno a voi, e v'accorgete che i discorsi smuoiono sulle labbra, che a stento si riempiono le pause con monosillabi insulsi. Ebbene, andatevene, prima che il freddo diventi gelo. Ma, anche senz'essere addirittura sfacciati, c'è un modo d'essere indiscreti ch'è proprio delle donne e vostro specialmente, figliole. Quando vi par di scorgere nel viso d'una vostra amica o compagna un'espressione diversa dal solito, v'immaginate che ci sia qualcosa, e allora l'avvicinate, la circondate, la stancate, la forzate a parlare. - Come sei pallida, stamattina! - Già, non sto bene! - Sembri così di cattivo umore! - Ho mal di testa. - Eh, via, per il mal di testa non si sta così imbronciate! - E se non ho voglia di ridere, debbo fingere per farti piacere? - Ci dev'essere una ragione. - Oh, bella! che vuoi che ci sia? - Lo saprai tu, ma non vuoi dirlo. . . E così di séguito, finchè il segreto, se c'è, deve scappar fuori. Neppure è prudente il diffondere una notizia, prima che sia data come ufficiale:il fidanzamento d'un'amica, il fallimento del tale, la partenza del tal altro. Discrezione! discrezione, figliole! Le confidenze, chi vuol farvele, ve le fa senza che voi le chiediate; ma se le tirate fuori a forza, lasciate, in chi ve l'ha fatte, uno scontento che si cambierà in malumore verso di voi. Se volete mantenere un'amicizia o riuscir gradite a chi vi conosce, non abusate mai dell'offerte, che a volte sono sincere, ma spesso son fatte a fior di labbra, senza che il cuore c'entri per nulla; non dite mai più di quel che dovete, ma piuttosto meno; non obbligate a parlare chi non ne ha voglia; non andate in casa d'altri nell'ora del pranzo, o quando sapete che vi sono ospiti, o che si dà una festicciuola alla quale voi non siete state invitate; fate insomma di non assomigliare alla signora Zaira, che, se ha molte conoscenti fabbricate dalla smania di voler ficcare il naso dapperturto, non ha però alcun'amica.

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Se la giovinetta osserva, ne viene di conseguenza che le s'affacciano alla mente molte incertezze, a cui corrispondono altrettante domande. No, non questa curiosità io deploro in voi, o figliole:ma quella, per esempio, della Cesira, che tutti nel vicinato chiamano "ficcanaso", perchè la si vede sempre spiare fra le stecche delle persiane, o scivolare nell'ombra del pianerottolo, o affacciarsi alla porta di casa, se dalle scale giungono le voci di due o tre persone, o far combriccola colla portinaia per sapere gli affari di questo e di quello. Prima di tutto, vien fatto di pensare che Cesira non abbia un briciolo di dignità, poi che non conosca affatto il valore del tempo, della cui stoffa è tessuta la vita; in terzo luogo, che non abbia nel cervello un pensiero serio da sostituire a tutti quelli vani che le frullano dentro, sodisfatti di trovare tanto spazio vuoto a loro disposizione:in quarto luogo, che darà molto da fare a sua madre, la quale dovrà perdere tempo e fiato per correre dietro alle sue fantasie; in quinto. . . Via, non finirei più, se seguitassi! Ma verrà il momento in cui qualcheduno si vendicherà della sua smania di tenere occhi e orecchi sempre spalancati sulle cose altrui, spiattellandole il fatto suo, come se nulla fosse, attraverso la serratura d'una porta, o spalancandole addirittura l'uscio sulla faccia mentre meno se l'aspetta. E, a poco a poco, tutti s'allontaneranno da lei come da un pericolo. Io non voglio che accada così anche a voi. E allora, datemi retta:curatevi soltanto di quanto avviene a casa vostra, e lasciate che gli altri sbrighino da sè i loro affari. Due o tre compagne parlano fra di loro? Non gettate occhiate di traverso, non mostrate di star sulle spine per timore che si pronunzi il vostro nome:le invogliereste a interessarsi per forza di voi. Non perdete il sonno per la smania di sapere chi sposa la tale, quanta dote porterà la tal altra, perchè una terza è partita improvvisamente, senz'avvertire. Se v'incamminate per questa via, mie care, vi mettete da voi stesse un laccio al collo, e vi togliete il respiro. Sodisfatta una curiosità, vi resterà sempre un certo disgusto, un non so che amaro, da cui crederete di liberarvi cercando di sapere qualche altra cosa che odora di mistero, ripagandovi con lo scoprire ciò che si velava davanti ai vostri occhi. No, no! Quello che voi aspettavate, quello che vi fingevate con la fantasia era sempre migliore; e, dopo, non vi rimane che la disillusione e perfino un po' di rimpianto. . . Era dunque meglio il mistero? Ma il disinganno provato non v'impedirà di voler togliere un altro velo e d'oltrepassare nuovamente i limiti di quanto v'è concesso; di voler leggere in un libro messo all'indice per voi, o cogliere a frullo un discorso appena sussurrato, o forzare una confidenza, o impacciarvi in tutto ciò che non vi riguarda. "Une âme livrée à la curiosité est comme les flots de la mer, livrée a tous les vents" ha detto il Fénelon. Figliole mie, provvedete a tempo, se amate la vostra tranquillità, che sarebbe eternamente turbata dalla smania di sapere ciò che non bisogna o è malsano sapere, e se desiderate di piacere al vostro prossimo, che generalmente rifugge dai pettegoli e dai curiosi.

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MA come fate voi a saper sbrigare tante cosette? Che? Anche la camicetta vi cucite? Rammendate voi il bucato? Le scarpe. . . ? Ma il fumo che esce dalle cazzeruole guasta la carnagione! Ah, io non sono proprio buona a nulla! Non so tener l'ago in mano! Le calze? Che roba uggiosa! A me le rammenda sempre la nonna. Non so nemmeno dove sia la paniera dei cotoni. . . Non escono che di queste frasi dalla bocca di Sofia, la quale, per di più, piglia in giro quelle sue conoscenti che s'ammattiscono a imparare le dosi d'una pietanza, o s'affaticano attorno a una rete di punti per coprire i buchi della biancheria. Le persone più sensate s'accigliano, quelle più alla buona si congratulano con se stesse perchè si riconoscono capaci a qualcosa, superiori almeno a quella grullina; ma c'è qualche scioccherella che pretenderebbe d'imitarla, e intanto l'invidia. La verità è, invece, ben lontana da quelle parole vane che si sforzano di fabbricare un'opinione assai poco lusinghiera di chi le pronunzia. Sofia aiuta in casa sua madre malaticcia, non teme di sciuparsi le mani col carbone e neppure di screpolarsele rigovernando; più volte risparmia garbatamente il lavoro noioso de' rammendi alla nonnina, che ci si leva gli occhi; avvolta in un grembiulone di rigatino, s'inginocchia e consuma olio di gomito sui pavimenti; e, con la stessa disinvoltura, copia da' figurini la foggia d'un abito, per adattarselo con le proprie mani sulla graziosa personcina. Ma, per falso rispetto umano, non vuol palesare queste sue abilità, e fa come l'avaro che nega la vista delle sue ricchezze alla curiosità del prossimo, e gode di possedere quel che lui solo conosce. Sofia danneggia se stessa:con le proprie mani allontana da sè la stima del prossimo; anzi, il prossimo lo urta manifestando idee contrarie al buon senso e disprezzando ciò ch'èdegno di rispetto.

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Non così accade a quell'arruffona della Gigetta, ch'entra in classe sempre in ritardo, tutta scalmanata, co' capelli penzoloni sugli occhi arrotondati, e si butta nel banco come un cencio, dopo aver cincischiato una scusa qualunque. Oggi le manca la penna, domani il quaderno degli appunti; ora non a potuto risolvere il problema, perchè soltanto la sera tardi s'era accorta d'aver perduta l'intestazione scarabocchiata su un foglietto; un'altra volta le tocca farsi imprestare una matita per il disegno; e sempre nella sua persona è un arruffío disgustoso. E m'immagino la sua camera. Vestiti, cappelli, guanti, scarpe gettati giù alla rinfusa, non importa dove; un guazzabuglio di libri, di quaderni, di penne, di matite sul tavolino e sul cassettone, e, in mezzo, gettati a casaccio, gomitoli, forbici, ganciascarpe. Dio ce ne liberi, se improvvisamente càpita a un'amica! Per un passeggero falso pudore, un mucchio di cenci - forse avvolgenti un foglio, un libro - è cacciato nel comodino, le scarpe nell'armadio in mezzo ai vestiti, un pacco di libri nel primo cassetto sbadigliante di traverso, il cappello, dove? Ah! nel cestello del lavoro, là nel cantuccio. L'amica entra. - Scusa il disordine, sai. . . - Eh, mi pare che sia tutto a puntino! Ma lo dice un po' sogghignando, perchè dalla stanza vicina, nell'attesa, ha udito il tramestio rivelatore, e, poi, nella camera stessa, qualcosa fa sempre la spia. Quella trina che esce dal cassetto del comodino! Quella stringa ciondoloni dalla fessura del guardaroba! Figuratevi poi le idee in quella povera testa sventata. Sono la perfetta immagine delle cose esteriori; e i sentimenti lo stesso:un caos! Se le domanderete di raccontarvi un fatto a cui ella ha assistito, Gigetta comincerà dal fondo; poi, per arrivare al principio, dovrà ripetere, disdire, aggiungere, inventare. Chi non è sincero dimostra di non rispettare il limite delle cose. Non sapendo distinguere il valore delle parole, ignorerà anche quello degli oggetti ch'esse rappresentano; non essendo avvezzo a separare il vero dal falso ne' discorsi, trasporterà tale abitudine nelle azioni, nelle quali violerà i confini. Ecco che, senza volere, ritorniamo alle parole del Pestalozzi, che, a tutta prima, sembrano un paradosso. Quel ladro avrà cominciato col non aver un posto distinto per ogni cosa sua, e avrà finito col non averlo per ogni sua idea, per ogni sua sensazione e, peggio, col mescolare giusto e ingiusto, lecito e illecito, bene e male.

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Con la vettura Negri - La sorellina del D'Azeglio - Mancanza di rispetto - Egoismo - Ogni cosa a suo tempo e il suo tempo per ogni cosa - L'orario per la giornata della giovinetta - Gli scampoli di tempo - Piccole occupazioni - La lancetta lunga dell'orologio - La misura del tempo - Puntualità e ordine. CHI manca? Eh, la Rina! C'era da aspettarselo! E sempre così! Arriva finalmente, tutta trafelata, col cappello sulle ventitrè, le ciocche de' capelli sugli occhi, il cuore in gola. - Se sapeste! me n'è capitata una bella. . . Lasciatemi prender fiato. Non ne posso più! E così via:ne spiattella una, la prima che viene in bocca, tanto per dare un po' di polvere negli occhi e acquetare sommariamente la propria coscienza, che del resto non è molto agitata. Tant'è vero che un'altra volta è la stessa storia. A scuola arriva con un quarto d'ora di ritardo e perde la prima parte della spiegazione; al desinare lascia sempre il tempo a' suoi di vuotare la scodella della minestra e, spesso, anche il piatto che segue; a un appuntamento giunge sempre con la vettura Negri, e a chiunque ha bisogno di lei porta immancabilmente il soccorso di Pisa. Io non so come professori, genitori, amiche, conoscenti non abbiano ancora perduto la pazienza e pensato d'affibbiarle una bella lezione alla D'Azeglio:come capitò appunto alla sorellina del gran patriota, che, ritornata a casa in ritardo per il pranzo, si vide portar davanti la minestra ghiacciata e con un dito di neve sopra. Nell'attesa, l'avevano tenuta in caldo sul terrazzino. La mancanza di puntualità è anche mancanza di rispetto verso gli altri, che obblighiamo a sottostare ai nostri comodi; è una specie di disprezzo del tempo e delle occupazioni altrui; è una forma, più o meno velata, d'egoismo, e, come qualunque altra manifestazione di quest'odioso eccessivo amore del nostro io, indispone gli altri verso di noi, li rende impazienti, aspri, ingiusti forse. Piuttosto che trascurarla questa semplice, ma grande virtù, è meglio esserne schiavi, servirla fedelmente; è meglio, per ubbidirla, sacrificare un lavoro incominciato, interrompere il riposo, far i sordi a un piccolo malessere, non procurarsi una grande sodisfazione. Ma la lettera aspettata dev'essere scritta, ma all'appuntamento dato si deve giungere senza un minuto di ritardo, ma ciò che s'è convenuto per quella tale ora, a quell'ora precisa si deve fare. Ogni cosa a suo tempo, e il suo tempo per ogni cosa:questa è la regola fissa, a cui ogni eccezione è vietata. Io vorrei consigliare a ogni giovinetta un orario per la sua giornata, e vorrei con dolcezza obbligarla a osservarlo scrupolosamente: pena, la privazione del bacio materno alla più lieve in esattezza. La mattina, intanto, ci dovrebbe essere l'ora precisa della levata:unica eccezione una malattia riconosciuta da giudice scrupoloso. - Che danno sarebbe sgusciar fuori de' lenzuoli venti minuti più tardi? - mi domanda una monella di quindici anni. Intanto, signorina mia, lei non potrà ripassare la lezione studiata - immagino - la sera prima tra sonno e stanchezza, sarà obbligata a sacrificare la nettezza personale, a ingozzarsi per tirar giù la colazione, a scalmanarsi per giungere a scuola, se pure ci giungerà a tempo. Chè, se no, le conseguenze cattive si moltiplicheranno. Eh? ne sa qualcosa? e allora non sto ad aggiungere altro, per non farla arrossire. Vorrei che ogni giovinetta tenesse conto degli scampoli di tempo, che sono utili come quelli di stoffa:costano poco e rendono molto. Co' dieci minuti sparpagliati fra le occupazioni maggiori si formano delle ore destinate per le minori; anche i soldi buttati qua e là impensatamente, senza scrupolo, compongono le lire e. . . lasciano le tasche vuote. Un piccolo lavoro facile a lasciarsi e a riprendersi, la lettura d'alcune massime o di libri già noti, ma degni d'esser più noti, una breve lettera da scrivere, un'assestatina all'armadio, due punti per riattaccare la spighetta della sottana scucita qua e là, o per fermare due bottoni penzolanti, una lustratina alle scarpe:quante, quante cosette! E che sodisfazione, poi, non trovarsi tutto il lavoro così ammucchiato che vi soffoca come bocconi gettati giù in fretta un dietro l'altro e fermi in gola, in modo che non si sa qual cacciare giù prima. Vorrei che s'abituassero presto le fanciulle a tener d'occhio la lancetta più lunga dell'orologio e a sapere il tempo che ci vuole per la tale faccenda, o per andare nel tal luogo, o per scrivere una pagina, o per fare - che so io? - una soletta. Allora non accadrebbe a una nostra figliola di riserbarsi un'ora per assestare la casa e preparare la colazione, o d'illudersi di arrivare in venti minuti in un luogo distante un'ora di cammino, e così via. Lasciatemelo confessare, benedette ragazze:c'è dell'indolenza bell'e buona nel vostro modo d'agire. Se sapeste di dover prendere il treno alla tal ora per recarvi nel paese della Cuccagna, non manchereste certo di trovarvi a tempo alla stazione; anche - oh, piccola viltà! - perchè il signor treno non aspetta i comodi vostri. La puntualità è sorella dell'ordine:questo vuole ogni cosa a suo posto, quella a suo tempo. E' questione d'avvezzarsi; ma l'abitudine ci sarà di grand'aiuto nelle nostre occupazioni, che scivoleranno via come le ruote nel binario, senza deviazione, senz'incertezza. Pensate un po', se il lattaio, il fornaio, l'ortolano e tutti i vostri fornitori non fossero puntuali nel servirvi, qual danno ne deriverebbe; riflettete - ahimè! - se al sole saltasse il ticchio di dormire un'ora di più la mattina, e gli altri seguissero il suo esempio. Mamma mia, che disastro!

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"La mamma ha un bel ripeterglielo, ma Lisetta non può resistere più di cinque minuti senza mettere le sue mani a servizio delle cose che la circondano:o stuzzica le frange del tappeto o rincincigna la tenda, o strappa una pagliuzza ritta della seggiola, o ne graffia la spalliera. Se è a tavola, arrotonda co' polpastrelli i minuzzoli del pane, o con la punta del coltello riga la tovaglia; se un'amica discorre con lei, deve rassegnarsi ad avere sgualcita la trina del goletto, strappata una sfilacciatura del vestito, tormentata la catena dell'orologio. E' un supplizio! Se Lisetta, ora ch'è giovane, comincia con queste piccole mancanze d'osservazione, di sorveglianza su se stessa, finirà - divenuta donna matura con l'esagerare ogni sua abitudine e far sì ch'essa degeneri in mania. Conosco una zitellona, a cui la passione dell'ordine rende insopportabile la minima infrazione alla sua regola fissa:una seggiola spostata, uno stoino sgusciato fuori dal suo rettangolo, un tappeto penzolante da una parte più che dall'altra, un filo caduto a terra nel cucire le dànno un'oppressione vera e propria. Quando una conoscente va a trovarla, deve subire un esame su tutta la linea. Se si muove sulla poltrona, la zitella sussulta; se col gomito preme il bracciolo, quell'anima in pena non smette di fissare il gomito colpevole, almeno finchè è costretta a ficcar gli occhi sul panchetto stropicciato da' piedi della visitatrice; e tanto fa che questa, per non stare e far stare sulle spine, si risolve ad andarsene. Allora lei l'accompagna fino alle scale con eccessiva premura, che troppo sa di riconoscenza, e si spiccia a chiuder la porta con un certo sbatacchío per correre a raddrizzare la poltrona, a lisciarne la copertina, a spazzolare il panchetto, a strofinare il pavimento su cui la visitatrice è passata. Soltanto allora respira. Tutte le care virtù di cui ci dobbiamo circondare possono divenire manie, tali da rendere esosa la virtù stessa da cui derivano. Il risparmio si muta in avarizia, la generosità in scialacquio, la franchezza in sfacciataggine, la prudenza in viltà. Ora, nei nostri rapporti con gli altri, oltrepassare i limiti significa uscire dalla virtù per entrare nel difetto contrario:ma, quando la nostra abitudine sarà divenuta mania, il contegno del nostro prossimo ci metterà in avviso. Appena ci accorgeremo d'annoiare, di far in qualche modo soffrire chi ci avvicina, torniamo su' nostri passi e rientriamo ne' confini del giusto.

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. - Canti di Castelaecchio. e quella stessa mano s'ingentilisce nell'atto di rendere nitide e quasi sfolgoranti le semplici cose su cui si posano gli occhi della mamma buona, del babbo stanco; o quando ammannisce sane pietanzine per lo stomaco delicato dei genitori, a cui dona qualche cosa di suo, consigliata dal cuore che ama, mentre lei, la manina, rimesta e guida la cottura. Benedette quelle piccole mani che non esitano a sostituirsi ad altre ruvide e callose in umili faccende, quando la necessità o la carità lo consiglino! Anche nell'atto di rigovernare, la giovinetta può conservare la sua grazia; il personalino quasi scomparirà sotto il grembiulone di ruvida tela grezza, ma il visetto avrà la gentilezza d'una rosa perduta in un vaso di terra. Lo straccio dev'essere netto, l'acqua abbondante, non floscia la mano e il busto lontano dall'acquaio: come stridono lieti i piatti stropicciati ben bene, come scintillano i bicchieri, come luccicano le posate! L'asciugatoio non riceverà quelle brutte chiazze nere che sono il tormento delle buone massaie, nè servirà a togliere l'untume dimenticato sulle stoviglie e specialmente tra i denti delle forchette! Io scommetto che, anche in quest'atteggiamento, ispirereste a Omèro uno squarcio di vera poesia. Ma quanti Omèri moderni la pensano come l'antico! Quanti a una languida signorina strimpellante il pianoforte o abbandonata sul divano con un romanzo fra le mani o ascoltante con compiacenza un suo vago dolorino di stomaco, sempre preoccupata del"come far passare il tempo", quanti a tale signorina preferiscono una ragazza alla buona che riduce la casa uno specchio, che sa dire quale vernice meglio s'adatti a' pavimenti, che non si trova in impaccio davanti a una macchia d'inchiostro, che sa ripiegare una giacca da uomo, che, colta alla sprovvista, sa spiattellarti il prezzo di tutti i generi alimentari più comuni e che, nell'assenza della domestica - se pure è abituata ad averla, - sa tirarsi su le maniche e cavarsela col mestolo e col pennacchio! Le figliole della regina Vittoria d'Inghilterra, chiamate poi a reggere paesi, furono sorprese più volte da illustri personaggi con le mani imbrattate d'uovo e di farina. Nausicaa ha dunque avuto delle seguaci tra le famiglie reali. E voi. . . ? Lasciatemi credere che non manchino fra noi italiani di queste ideali creature, che sono fate benefiche nella piccola reggia abbellita dalle loro mani animate, e diffondono attorno grazia e sorriso, salute e benedizione.

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C'entra col galateo come i cavoli a merenda? In qualche modo, anche per il buco della serratura, ce lo faccio entrare. Siete, o no, future massaie? Sì. E allora abbiate la pazienza di starmi a sentire. Quanto allo scolparmi di trattare un argomento estraneo, sono súbito pronta. Parlando del contegno che dovete tenere in istrada, accennerò alla tentazione delle vetrine. Vedete? C'è un punto di contatto:e ve lo dimostro. La nonnina o lo zio compiacenti una mattina hanno regalato a Renza una lira:è sua dunque, e Renza non deve renderne conto a nessuno. La via è aperta per le tentazioni, che scivoleranno giù giù fino al cuoricino palpitante di riconoscenza e di gioia. Eccola in istrada; non una vetrina passa inosservata. Guarda, guarda! Qui c'è tutta una profusione di ninnoli; quanti! C'è un bel fermacapelli ricamato e rotondo, proprio come lo desidera lei; un cerchietto per trattenere le ciocche sulle tempie, semplice ma grazioso; un giro di perline leggermente crema, che rassomigliano molto alle vere. Ecco, questo le farebbe comodo con la camicetta scollata. Costa un franco, più venticinque centesimi che toglierà dai denari dati dalla mamma per la spesa: a farsi perdonare penserà lei. Oh, che respiro! Li ha proprio impiegati bene quei soldi. Ne aveva bisogno:quale giovinetta non possiede neppure un gingillo per il collo? Ma, tornando a casa, guarda altre vetrine, prima di sfuggita, poi più attentamente. Le pare che quel vezzo sia ben misero in confronto ad altri, che al posto di quel nonnulla avrebbe potuto comprare una dozzina di forcine, un golettino bianco per casa, un bello spillo per appuntare la sottana che dietro le pende sempre un poco; s'accorge, ora, che facendosi anticipare o. . . regalare due lire e ottanta centesimi, sempre dalla nonna o dallo zio, si sarebbe arricchita del taglio d'una bella camicetta di mussola. Peccato che non fosse passata prima da quella parte! Le avrebbe súbito dato nell'occhio lo sfoggio di quelle stoffe vaporose. Ce n'è una, color paglierino, ch'è un amore. Che rabbia! E stringe nel pugno l'innocente giro di perle a rischio di stritolarle. Ebbene, la signorina ch'è uscita di casa con una lira tutta sua e una folle smania di spenderla, che cosa s'è comprata? Un pentimento. Quella lira poteva starsene tranquilla nel cantuccio d'un cassettino chiuso a chiave, ad aspettarne altre, che sarebbero venute più facilmente sapendo di trovar compagnia:e presto Renza si sarebbe veduta crescer sott'occhio un bel gruzzoletto, frutto di qualche minuscola lotta, di qualche lieve sacrifizio, ma prova palpabile d'altrettante piccole vittorie e causa d'una grande, completa sodisfazione.

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Fate così anche voi, ragazze; quando avrete ammucchiato una sommetta, allora varrà la pena di fare una spesa, ma una proprio utile, anzi necessaria, che solleverà la mamma e le darà una consolazione bastevole a compensarla di tanti dolori. La nonna ha bisogno d'uno scialle? La nipotina esce alla chetichella e rientra per dispiegare davanti alla cara vecchietta il suo desiderio fatto realtà, su cui i piccoli occhi raggianti sbattono un poco e si sciolgono in lucciconi. La mammina s'è alzata ora da una lunga malattia e soffre sempre un po' di freddo: che soffici babucce le potete comprare! C'entra anche una bella cravatta per il babbo. E la felicità fa capolino nella vostra casa, di cui diventate voi l'angelo tutelare. Ma bisogna che nella vostra testolina entri prima questa grande verità:che gli spiccioli fanno la lira e che molte lire fanno le centinaia e le migliaia e. . . i milioni! Provate a mettere la sera un catino vuoto sotto la cannella gocciolante:lo troverete quasi pieno d'acqua la mattina dopo. Introducete in un sacchetto due soldi ogni giorno:alla fin dell'anno ci troverete press'a poco quaranta lire. E queste, se non avete da comprar nulla di necessario per voi o per la famiglia, potrebbero costituire il fondamento della vostra dote. Ridete? Vi dimostro che in ogni modo ho ragione. Può darsi che alcune di voi abbiano la fortuna di possedere già un bel gruzzolo per la loro futura famiglia. Benissimo! Ma se la signorina non avrà imparato prima il valore del denaro e il modo di saperne disporre, se non si sarà abituata a vincere le piccole voglie inutili, a fare a meno delle cose superflue, le sue esigenze cresceranno con gli anni, e faranno scemare a occhiate la provvista, perchè gli spiccioli e le lire scivoleranno, come rena, fra le dita. Se, invece, tutta la ricchezza è nelle vostre braccia e nella vostra buona volontà, fate che questa si accresca di ottimi propositi e s'unisca alla gran virtù che insegna a tener conto delle piccole cose, a contentarsi del poco. Il covone è composto di chicchi di gran, e il granaio di covoni:e chi sa valutare il poco, dal poco sa trarre profitto. In ciò appunto consiste la ricchezza de' contadini, nell'abitudine ch'essi hanno di raccattare fin l'ultimo chicco di miglio, di non lasciar sulla vite, vendemmiando, neppure un acino d'uva.

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Continuarono a fioccare proibizioni per le trine esageratamente preziose, i guanti ricamati d'oro e di perle, la profusione di gemme sugli abiti, le follìe, le perversioni del lusso. Ma le donne perchè come certe monelle, che, sgridate dalla mamma perchè han mangiato le pere rinchiuse nella credenza, un'altra volta credono di essere in piena regola attaccandosi alle noci. Erano proibiti i topazi? C'erano gli zaffiri. Si condannava lo strascico come eccesso di lusso? E le dame se l'appuntavano con fermagli che costituivano essi stessi un tesoro. Ebbene, siete, secondo me, più condannabili delle ricche dame veneziane quelle di voi, giovinette, che, appartenendo a famiglie d'operai, obbligate i genitori a sacrificare i loro bisogni reali a' vostri bisogni fittizi, a non comprarsi un cappotto più soffice o un abito più decente per contentare il vostro desiderio d'un paio di scarpette o d'una camicetta di seta. Ma voi, abituate a non tener conto della lira regalatavi dalla nonna o dallo zio, e smaniose di spendere in qualunque modo, pur di spenderli, i tre soldi che tentennano nella vostra borsetta, non capite il valore degli oggetti che indossate e di quelli che vi circondano, e non sapete distinguere l'utile dal superfluo, ciò ch'è adatto alla vostra condizione da ciò che stona con le vostre abitudini e il vostro ambiente; e via via, salendo per la scala de' desideri, vi trovate alla cima, donde a molti, per non aver saputo riflettere prima di salire il primo scalino, è capitato di dover precipitare giù rotolando.

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L'intellettualità femminile, quale io la intendo, non dev'essere quindi scambiata con la saccenteria e non deve condurre a quell'assurdo femminismo che aspira all'uguaglianza de' sessi:il suo culto deve, secondo me, occupare quel tempo che generalmente le donne consumano nel sodisfare la propria vanità, i propri capricci, nello sciacquarsi la bocca sul conto degli altri, nel far la caccia alle lodi e agli sguardi, nel girare come farfallette di qua e di là senza scopo, nell'empirsi la testa di mille fanfalucche e fantasie raccolte ne' salotti, ne' teatri o ne' romanzi futili e insensati sparsi su' tavolini delle nostre signore alla moda. A voi, a cui parlo, la vostra cultura servirà forse a scopo professionale; ma, se pur così non fosse, vi sarà nell'avvenire assai più utile che il vano ozio di troppe giovinette moderne. Non solo vi procurerà la pura sodisfazione di vedere il vostro cuore e la vostra mente nobilitarsi giorno per giorno con un lavoro intimo ed elevarsi il vostro valore personale, ma vi renderà anche più simpatiche e più gradite a chiunque vi avvicini. V'accadrà, intanto, più raramente di dover tacere, quand'altri parlano, per ignoranza dell'argomento, o di pigliare lucciole per lanterne, o di non poter difendere un'opinione retta che sentiate abbattere o disprezzare. Un altro vantaggio sarà questo, che acquisterete una maggior precisione di linguaggio, di cui mancano assolutamente quelle vanerelle pettegole che non hanno un'idea propria o netta nella mente. Fidandosi delle ciance che raccolgono qua e là e non sapendole valutare con la propria testa, le ripetono come pappagalli, con entusiasmo o lode o disprezzo o biasimo eccessivi, adoprando superlativi ridicoli e iperboliche espressioni, servendosi di piccole astuzie, di giri di parole per dissimulare l'ignoranza dell'argomento. E quanto bene potrete fare! Le donne hanno il merito, riconosciuto anche dagli uomini, di possedere una più pronta intuizione delle anime, un tatto più fine, una sensibilità più squisita; con queste doti, congiunte al buon senso e a una cultura seria e non superficiale, voi, giovinette, potrete unire alla carità materiale, o sostituire a questa che sempre non ci è dato di fare, l'altra, più eletta e più vera, della parte più nobile di voi. Potrete educare più illuminatamente chi vi avvicina, ispirare la sete di tante cose belle a cui molte anime sono cieche; o, se a questo non riuscirete, vi sarà possibile almeno allontanare il male da voi e dalle persone più care. Non vi date pose, soprattutto! E poi siate pure intellettuali, nel senso buono dell'espressione. Del resto, v'assicuro che, anche se sulla parola"intellettualità"si spargesse un pizzico di quell'ironia che generalmente le va congiunta, il suo significato sarebbe sempre preferibile a quello di ozio e di frivolezza.

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Se dovessi mettermi anch'io sul viso la maschera e ricordarmi una regola a ogni movimento che faccio, a ogni parola che dico, ti giuro che non ficcherei più il naso fuori dall'uscio! Ma ce lo ficcò lo stesso, la signora Luisa, e proprio per andare a restituire la visita a donna Giulia. Eh, la buona creanza lo vuole! Ma, questa volta, non pensò più; "Come terrò le mani? Dove mi sederò? ". Ci andò sicura, col passo ardito di chi ha fiducia nelle proprie forze. Entrò, si sedette, e, poichè c'erano altre dame in salotto, ascoltò frivoli discorsi di sarte, di viaggi di piacere, di splin signorile, di scelta servitú e d'automobili a quaranta cavalli, e rispose fatuamente, press'a poco come uno ch'è senza pane e che senta ragionare d'arrosto e di stufato. Con questa differenza, però, che all'affamato viene l'acquolina in bocca per lo struggimento di stomaco acuito dal desiderio; mentre la signora Luisa provava un certo senso di disgusto per lo stimolo di quelle chiacchiere vane, ch'ella confrontava con le proprie ragioni di vivere e col soggetto de' propri pensieri, disprezzando in cuor suo quella convenzionale educazione ammorbidita dall'ozio quotidiano e dall'abitudine del possedere cose ricche e comode e dalla piena sodisfazione d'ogni desiderio. La signora Luisa, ritornando a casa, aveva un sorriso di beatitudine sul viso:fece l'elemosina a tutti i poveri che incontrò, dètte una carezza a tutti i bimbi, trotterellò dietro a un piccino che incespicava, perchè non cadesse, lasciò la destra alle donne cariche e agli uomini vecchi, si voltò indietro, perhè un barocciaio aveva urlato per avvertire una povera scema che correva pericolo. Quante infrazioni all'etichetta! Ma ne aveva bisogno:si sentiva nelle stesse disposizioni d'un monello che fosse stato per un'ora appiccicato a' banchi della scuola a beversi una filastrocca di regole grammaticali e, uscito fuori, provasse un gusto matto a cincischiare strambottoli e sgrammaticature.

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Accompagnando la mamma - Visite di svago - Visite d'obbligo - Visite di condoglianza, di congratulazione, d'augurio, a malati - In casa vostra - Fra giovinette amiche. VORREI non dover trattare di questo soggetto con voi, a cui risparmierei volentieri la noia delle visite. Veramente alle giovinette non tocca d'accompagnare la madre, se non in quelle famiglie dove si trovi una loro amica, o dove le loro orecchie sieno al riparo dal rude urto della cronaca mondana; ma le occasioni, alle volte, saltano fuori impreviste, ed è sempre meglio non lasciarsi cogliere impreparate. Come vi dovete comportare nella conversazione vi dirò meglio in altro capitolo; del resto il mio consiglio è riassunto in un saggio proverbio: "La parola è d'argento, il silenzio è d'oro". E' così facile, alla vostra età, prendere un granchio secco nell'esporre un'opinione, o semplicemente esagerare, o passare per saccenti o per chiacchierone, che di riffe o di raffe voglion dire la sua! Il primo saluto, entrando, sarà per la padrona di casa, verso la quale vostra madre andrà direttamente; un leggero chinar del capo alle altre persone potrà bastare. Attente soprattutto a non scomodare nessuno. Un cantuccio vuoto ci sarà; occupatelo voi, senza star troppo a cercare, senz'obbligare l'ospite vostra a procurarvi un posto. Se c'è una giovinetta della vostra età, di casa o estranea, conoscente o no, mettetevi possibilmente vicino a lei, ma non dimenticate, per lei, gli altri visitatori, e non date la stura alle confidenze, al sommesso cicaleccio, alle risatine mal represse; nè permettetevi sbirciatine espressive e ironici sorrisetti verso questa o quella visitatrice. Ci sono tanti occhi nel salotto, che qualcuno può cascare su di voi e giudicarvi farfalline. Se la padroncina servirà il tè, aiutatela a porgere le tazze, la panna o le paste, prevenite il gesto della padrona che vuol sonare il campanello, cedete il posto a una signora anziana che, entrando, non ne ha súbito uno pronto, scostate un panchettino che ingombra chi cammina, raccattate un fazzoletto o una borsetta che cada, torcete il raggio del sole che batta sugli occhi d'una signora; siate pronte a ogni atto di rispettosa cortesia verso chi v'è superiore d'età e d'esperienza. Chi sa quante occhiate vi lancia di quando in quando la mamma! Voi coglietele a volo; sono tanti avvertimenti. Non fate troppo le schizzinose se vi pregano d'accennare un'arietta sul pianoforte o di far sentire i vostri progressi; schermitevi un po', adducendo la vostra poca sicurezza, e poi, nuovamente invitate, acconsentite, scusandovi di non esser degne di chi v'ascolta. L'ora e la durata della visita vi saranno indicate da vostra madre. Ora, fortunatamente, questo genere speciale di riunioni che, anni fa, era accolto con entusiasmo addiritura eroico dalle signore, tende a decadere, o, almeno, a mutare nella sua forma. Le nostre dame hanno, ora, altre occasioni di ritrovarsi per scambiare le loro opinioni, scialare la loro cultura più o meno superficiale, sfoggiare i loro capolavori d'eleganza, dar libero sfogo alle loro fantasie:i veloceclubs, i pattinaggi, i concerti, le conferenze, l'esposizioni generali e particolari sono altrettanti mezzi di comunicazione femminile, fra' quali s'insinua timidamente la visita, chiedendo un posticino, che spesso le è negato. Il giorno di visita, intanto, è quasi abolito. Sembra esagerato togliere un pomeriggio intero all'altre indispensabili esigenze s ociali o, semplicemente, alle domestiche faccende; si preferisce concedere un'ora tutti i giorni o due ore - generalmente dalle diciassette alle diciannove - due o tre volte la settimana. Che rete intricata di date e di nomi, di regole e d'eccezioni sul taccuino delle signore moderne!

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IN CHIESA Contegno - Occhi a zonzo - Ambizione e curiosità - Toeletta - Rispetto al raccoglimento degli altri! NO, figliole, non voglio mettermi io sul pulpito; temerei di non aver la pazienza che il predicatore usa con molte di voi, quando entrate in chiesa durante il suo discorso sbattendo magari la porta, scomodando la gente perchè vi faccia posto, strisciando la seggiola sul pavimento, facendola scricchiolare nel frequente voltarvi a destra e a mancina, o lasciando cadere la borsetta. Neppure ho intenzione di raccomandarvi che andiate spesso in chiesa a concentrarvi un pò la mente, a rinfrancarvi l'anima, e che non manchiate alla messa nessuna festa:non è affar mio. Ma, se capite che l'obbligo vostro è d'andarci, dovete anche dimostrare di sapere in qual luogo voi andate. Eh, via! Siete proprio voi quelle che temete tanto la critica entrando in un salotto elegante o prendendo parte a un pranzo di gala, che sbirciate di quando in quando, di sottecchi, il padrone e gli altri invitati per indovinare l'impressione prodotta dal vostro contegno? Sì? E allora come mai non vi curate d'usare le maniere più elette, mentre vi trattenete nell'abitazione di Dio, d'un signore che voi non potete guardare negli occhi, ma da cui la vostra condotta è osservata e valutata con la maggiore esattezza e giustizia? Voi tenete il libro fra le mani"per darvi un contegno"(che frase gelida, in confronto all'ardore della preghiera! ), ma non ci leggete sopra, o, tutt'al più ci date una sbirciatina a fior d'occhi; la corona vi pende dal polso a modo di braccialetto, o, se è intrecciata alle dita, non vi scivola lenta, chicco per chicco, col ritmo soave dell'avemaria; nè i vostri occhi stanno raccolti o guardano a qualcosa d'immateriale e di rispondente a un particolar bisogno della vostra anima orante, ma si posano irrequieti sul cappellino della tale, sul manicotto della tal altra, s'indugiano sulla nuova foggia d'un goletto sforzandosi a ritenerla, s'incontrano con altri due occhi vagabondi, mentre la persona si dondola, si piega, si drizza a ogni capriccio vano della vostra testolina bizzarra. Vergogna! Per tutto questo non c'è la passeggiata? non il teatro? non il cinematografo? non ci sono i salotti? non c'è la spiaggia o la montagna? non c'è tutto il mondo, palpitante con la sua vanità e le sue illusioni, fuori di quel luogo di pace e di rifugio? L'esteriorità del vostro aspetto e ogni vostro movimento io vorrei che corrispondessero all'intimo desiderio di piacere alla persona a cui voi parlate. Non fate così quando rivolgete il discorso a qualche"pezzo grosso"? Ogni nervo, allora, vibra al comando della vostra ferma volontà di far buona impressione. Ma, in chiesa, voi parlate con un Essere superiore a tutti, che non solo giudicherà i vostri atti, ma anche i piccoli moti dell'animo a cui essi ubbidiscono. Non c'è un po' d'ambizione in quel vostro reclinare del capo? in quello scoprirsi della scarpetta civettuola? in quell'abbandono della persona nell'inginocchiarvi? Non c'è curiosità nel sogguardare certe toelette che vi circondano? Non c'è. . . no, no! Tanto meno potrei dire invidia. Lo splendido tulle ricamato che abbella l'esile personcina d'un'amica non l'invidiate. Il vostro accigliarvi ha ben altra cagione:forse voi pensate che quel vestito non è adatto al luogo. Non siamo mica a un ballo! Un abito decente, sia pur elegante, sì, ma sfarzoso no, mai! E che cos'è quel chiacchierare fitto fitto con la giovinetta ch'è accanto a voi? Maldicenza? Non voglio crederlo, perchè allora uscirei fuori de' gangheri; e nemmeno frivolezza, ch'è inconciliabile con la religiosa severità del luogo. Da brave, figliole! Composte, ferme, attente al vostro colloquio con Dio! E tenetevi a mente che dovete rispettare anche il raccoglimento degli altri:non soffiatevi forte il naso, non tossite a gola spiegata, cercate di frenare quel raschìo all'ugola che v'obbliga a una tosserellina fastidiosa, non sfogliate sgarbatamente il libro, non appoggiate i piedi sulla stecca della seggiola ch'è davanti, non premete forte sulla spalliera in modo da farla scricchiolare; comportatevi per lo meno come vi comportereste se il babbo o un fratello vostro fosse assorto in un suo difficile cómpito e vi chiedesse silenzio. Silenzio nell'anima nostra! La quale - siamo sinceri - ci fugge troppo, per gli occhi, traverso il velo di tutto il nostro corpo, in cerca di svaghi, di chiasso. Freniamola, così che possa vivere la sua vita intima, in unione con Dio, di cui, quand'è giusta, è tempio. E dire che non volevo far prediche! Ma spero che m'abbiate ascoltata volentieri e con l'intenzione di non rendere vane tutte le mie parole.

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