Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La ballerina (in due volumi) Volume Primo

247068
Matilde Serao 8 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Catania - Stab. tip. a vap. S. Di Mattei e C.

Il ballo finì a mezzanotte e tre quarti. Le otto ballerine si rivestivano in silenzio, frettolose, vinte dalla noia, dalla stanchezza, dal sonno, annodandosi busti e sottane con certe mani rapide, coi volti bianchi di chi dorme di già. Uscivano di lì, ad una ad una, salutandosi brevemente, con un saluto secco; alcune sollevando i colletti delle giacchette e delle mantelline, altre annodandosi delle sciarpe al collo, quasi tutte portando una borsetta dove tenevano i pochi gioielli d'oro, d'argento dorato, di cui si erano adornate. Attraversavano in silenzio i corridoi delle quinte, sogguardando appena il palcoscenico dove si aggiravano delle ombre di scenografi, di macchinisti, di facchini, urtandosi, nell'andar via, con tramagnini, con comparse del ballo che, tutti, si affrettavano alla porta, per correre a casa. Carmela Minino usciva anche lei, affranta, con le gambe spezzate da quelle tredici ore di permanenza in teatro, crucciata dall'idea del cammino che doveva fare a piedi, sola, nella notte d'inverno, per giungere sino alla Pignasecca: e quasi quasi, rallentava il passo. Nell'androne dove vagolava la luce di un solo becco a gas, fra tutti quelli che escivano, vide ferme in un cantone, presso al muro, Emilia Tromba e Concetta Giura. Avevano dato uno sguardo di fuori e avevano visto, le due, che i loro amanti non erano giunti ancora. Sanframondi non doveva accompagnare a casa quella sua eterna moglie? Ferdinando Terzi non aveva altri doveri di società, un altro legame amoroso con una dama, cosa di cui Emilia Tromba, per prudenza, non parlava mai? Le due ballerine aspettavano, anch'esse un po' stanche. Carmela Minino si trattenne un poco, anche lei, a chiacchierare con la Mastracchio che, essendo la figliuola di un terzo ballerino, aspettava che suo padre fosse disceso, per andarsene insieme a casa. In questo, un rotolìo di carrozza si udì fuori la porta, e due gentiluomini ne discesero, chiusi nelle lunghe pelliccie. Erano Sanframondi e Terzi. Il primo aveva l'aria annoiatissima; il secondo, conservava quel suo contegno glaciale, che veniva dal suo volto aristocraticamente affilato, dai baffi fini biondi che covrivano una bocca fine e mai sorridente, dai suoi celestiali occhi azzurri, simili a un cielo terso e freddo, senza sole. Subito, le due ballerine si misero a far gran rumore, protestando perchè avevano aspettato. - Andiamo, andiamo - mormorò Sanframondi, infastidito, col viso tutto storto, sotto la lente a un sol occhio. Quella coppia partì per la prima, dopo aver salutata l'altra, parlando di un convegno per l'ultimo di carnevale. Emilia Tromba e Ferdinando Terzi si attardavano, Emilia verificava se nella sua borsetta vi fossero tutti i suoi gioielli, ne trovava uno mancante... Terzi, impassibile, fumava la sigaretta. - Minino, avevo, stassera il mio trifoglio di brillanti, sul petto? - strillò Emilia a Carmela Minino che, non sapeva neppure ella il perchè, si tratteneva ancora colà. - No, non lo avevate, donna Emilia - disse Carmela, avvicinandosi. - Ah! Va bene, grazie, mi hai rassicurata. Questa è Carmela Minino, una compagna, Ferdinando. Il conte di Torregrande si degnò appena di fissare uno sguardo fuggevole sulla ballerina che stava lì, tremante, muta, in una grande angoscia indefinita. - Senti, Ferdinando - disse Emilia Tromba avvicinandosi all'orecchio dell'amante, mormorandogli una cosa e sganasciandosi dalle risa. Carmela Minino aveva udito perfettamente che Emilia Tromba gli aveva soggiunto, fra le risate scomposte: «è ancora zitella». E distintamente Ferdinando Terzi, guardandola un minuto secondo con quei suoi occhi taglienti, acuti, sprezzanti, disse: - Che sciocca! Carmela Minino sentì mancarsi la terra sotto i piedi. Emilia Tromba prese il braccio di Ferdinando Terzi, poichè ella affettava sempre, per posa, una grande familiarità col conte di Torregrande e uscì nel peristilio del teatro. Carmela Minino li seguì, a tre passi di distanza, e vide che Ferdinando Terzi, galantemente, con una galanteria altiera e taciturna, apriva lo sportello del suo coupé per farvi salire Emilia. Lo sportello si richiuse dolcemente, il cristallo si sollevò, il cavallo scalpitò in cadenza, con quel passo dei cavalli di sangue, il bell'equipaggio sparve, nella notte, mentre una nebbia scendeva sugli occhi di Carmela Minino. Ferma, sulla porta, ella guardava la notte oscura, senza veder nulla: - Donna Carmela, donna Carmela! - le disse una voce maschile, innanzi alla porta. Era Roberto Gargiulo che l'aveva attesa, colà, fra tanti altri amanti, innamorati, corteggiatori che si affollavano innanzi a quell'uscio, famoso nella galanteria napoletana. - Che volete... che volete, don Roberto... - balbettò ella, senza fiato, senza forza, piena d'un dolore ignoto. - Volevo una risposta... perchè non mi rispondete? - Che vi debbo rispondere?... - Buona notte, don Roberto - disse a voce fioca Carmela Minino, cercando strapparsi di là. - No, no, fatevi almeno accompagnare - sino a casa... è così tardi... siete sola... non ho coraggio di lasciarvi andar - sola, a quest'ora - replicò Roberto Gargiulo, che pareva ed era commosso. - Non istà bene... non istà proprio bene... - aggiunse con un'ultima resistenza Carmela Minino. - Siete così stanca! Prendiamo una carrozzella, donna Carmela andiamo, via, in carrozzella si arriva presto; vi lascio alla porta. - Andiamo - disse Carmela Minino, decisa. FINE DEL PRIMO VOLUME

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NICCOLÒ GIANNOTTA CATANIA Via Lincoln 271-273-275 e Via Manzoni 77 (Stabile proprio) "Semprevivi,, BIBLIOTECA POPOLARE CONTEMPORANEA Ciascun volume di circa 250 pagine in 16 col ritratto dell'autore prezzo una lira Spedizione franca di porto contro pagamento anticipato VOLUMI PUBBLICATI: 1 - Edmondo De Amicis - Le tre Capitali. 2 - Matilde Serao - Storia di una monaca. 3 - Giovanni Verga - Una peccatrice. 4 - Felice Cavallotti - Italia e Grecia. 5 - Luigi Capuana - L'Isola del Sole. 6 - Cesare Lombroso - In Calabria. 7 - Neera - Fotografie matrimoniali. 8 - Enrico Panzacchi - Morti e viventi. 9 - Vittorio Bersezio - Racconti Popolari. 10 - Ferdinando Martini - A zonzo 11 - Enrico Castelnuovo - Sulla laguna. 12 - M. Savi-Lopez - La dama bianca. 13 - A. Fogazzaro - Sonatine bizzarre - Prose disperse. 14 - A. Olivieri Sangiacomo - San Martino. 15 - A. Rossi - Da Costantinopoli a Madrid. 16 - Giovanni Bovio - Leviatano. 17 - Jarro (Giulio Piccini) - Pagine allegre.

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Con Sonatine bizzarre di A. Fogazzaro, San Martino di A. Olivieri Sangiacomo e Da Costantinopoli a Madrid di A. Rossi, la preziosa collana dei Semprevivi ha raggiunto il considerevole numero di ben 15 volumi. Altri 18 ne sono in corso di stampa, e questi, com'è sperabile, saranno seguiti da molti altri e per lungo tempo. Alla varietà degli scrittori corrisponde la novità continua degli argomenti; sicchè al bozzetto fa eco la critica, ai viaggi gli studi sociali, al mondo reale il fantastico, al civile, il militare, al patriottico il domestico, alla pietà la severità. E I'animo del lettore non esce quasi mai sconcertato da quella lettura, come di altre simili succede, e i più vi acquistano una piccola enciclopedia a buon mercato e in poche ore. Il più utile e il più dilettevole fra i tre ultimi volumi dei Semprevivi è quello del simpatico pubblicista Adolfo Rossi, noto specialmente per aver a suo tempo scritto la migliore monografia sui moti di Sicilia nel 1894. Molte cose si son dette sulle stragi degli Armeni in Turchia, sule condizioni della Sardegna e sulla Spagna nella recente guerra americana; ma un'idea così chiara ed esatta di quelle tre regioni non ce l'avea data nessuno prima di lui. Egli ha una pratica così lunga e un esercizio così costante di accurato scrivere, che la sua fretta giornalistica nuoce poco o punto alla correttezza e all'eleganza dello stile. Solo alle volte lascia desiderare maggiore sviluppo nei particolari, la cui forma telegrafica può piacere sui giornali, ma disdice al libro. È poi sereno, imparziale, obiettivo, talchè molte delle sue descrizioni e narrazioni sono vere fotografie. Acuto e profondo senza voler parere tale, egli penetra nell'indole dei popoli e delle persone, nelle cause vere dei fatti, nelle relazioni internazionali, e con animo altamente umanitario suggerisce e invoca all'occorrenza i rimedi a tante piaghe contemporanee. Ci pare tante volte di non essere in Europa, ma in Asia e magari in Africa, di vivere non oggi, ma molti secoli addietro; ma ciò non è coIpa sua, anzi è il suo merito maggiore. In conclusione nutriamo fiducia che anche i tre recenti volumi dei Semprevivi incontreranno la stessa accoglienza dei loro fratelli maggiori, e daranno modo all'accorto Signor Giannotta di perfezionare sempre più una istituzione così benefica a cui potrà essere legata la sua fama e la sua fortuna. DEMETRIO DE GRAZIA. (Palingenesi di Catania, 1 maggio 1899)

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. - Antonio Fogazzaro ci viene innanzi con Sonatine bizzarre, manipolo di tredici scrittarelli, a cui ha consacrato non il meglio del suo tempo, ma alcune ore perdute, nelle quali però il poeta vicentino non è venuto meno a quella finezza arguta che è uno dei maggiori suoi vanti. - A. Olivieri Sangiacomo ci presenta tre novelle militari, e il libretto va sotto il titolo della prima S. Martino. C'è della spigliatezza, e c'è più che una bella promessa. L'autore ha ragione di asserire che le sue novelle non hanno pretese stilistiche. - Adolfo Rossi dà alle sue impressioni di viaggio: a Costantinopoli; in Sardegna; nella Spagna un vero e prezioso valore di documenti contemporanei, essendo noto quanto sia viva la facoltà di osservazione che lo distingue. (L'Ateneo Veneto di Venezia, marzo-aprile 1899).

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In uno A. Fogazzaro, col titolo di Sonatine bizzarre, raccoglie alcune delle sue saporite prose disperse per i giornali. In un altro, Adolfo Rossi raccoglie le lettere che ha scritte al Corriere della Sera da Costantinopoli al tempo delle stragi d'Armenia, dalla Sardegna dopo la famosa grassazione di Tortolì nel '96 o '97, e dalla Spagna al principio della guerra. In fine il capitano A. Olivieri Sangiacomo ha scritto appositamente San Martino, tre di quelle novelle militari in cui sè acquistata una specialità con molta lode. (L'Illustrazione Italiana, maggio 1899).

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Ora che tutta la stampa s'è diffusamente occupata di questa simpatica «Biblioteca Popolare Contemporanea» edita dal solerte Editore Giannotta, sarebbe superfluo tesserne gli elogi e parlarne a lungo. Diciamo soltanto che essa, accogliendo lavori dei più chiari Scrittori e letterati contemporanei, s'è resa addirittura indispensabile per chiunque tenga a cuore l'arte e la vita intellettuale italiana. Ora con queste pagine A Zonzo di Ferdinando Martini, rapide impressioni e scenette di viaggio rese magistralmente con sobrii tocchi di penna e che hanno il solo difetto di essere (peccato!) troppo brevi, l'editore Giannotta s'é acquistato un altro diritto a la nostra gratitudine e riconoscenza. E noi, da canto nostro, lo ringraziamo di cuore. (Helios di Castelvetrano, 6 aprile 1899).

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Giannotta, e che nei volumi pubblicati conta già i nomi più noti e più simpatici della letteratura e della critica contemporanea, da De Amicis a Panzacchi, da Capuana a Martini, da Matilde Serao a Neera, si è arricchita di recente di tre pregevoli novita: Sonatine bizzarre, San Martino, Da Costantinopoli a Madrid. Ed altri nomi significanti nella storia della produzione moderna stanno per comparire in questa collezione; così sono in corso di stampa lavori di Mantegazza, di Bovio, di Cesareo, di Bruno Sperani, di Lorenzo Stecchetti, di Paolo Lioy, di Ragusa-Moleti, di Ildebrando Bencivenni, di Mario Rapisardi, di Barrile, di Ugo Ojetti, di Salvatore Farina, di Gemma Ferruggia, di Scipio Sighele... di tutta la vecchia e nuova squadra infine di scrittori, poeti, critici che tengono gloriosamente il campo nella affermazione del pensiero, della coscienza, della letteratura nazionale. (Gazzetta dell'Emilia, di Bologna 17 aprile 1899).

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La ballerina (in due volumi) Volume Secondo

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Matilde Serao 5 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
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NICCOLÒ GIANNOTTA CATANIA Via Lincoln 271-273-275 e Via Manzoni 77 (Stabile proprio) "Semprevivi,, BIBLIOTECA POPOLARE CONTEMPORANEA Ciascun volume di circa 250 pagine in 16 col ritratto dell'autore prezzo una lira Spedizione franca di porto contro pagamento anticipato VOLUMI PUBBLICATI: 1 - Edmondo De Amicis - Le tre Capitali. 2 - Matilde Serao - Storia di una monaca. 3 - Giovanni Verga - Una peccatrice. 4 - Felice Cavallotti - Italia e Grecia. 5 - Luigi Capuana - L'Isola del Sole. 6 - Cesare Lombroso - In Calabria. 7 - Neera - Fotografie matrimoniali. 8 - Enrico Panzacchi - Morti e viventi. 9 - Vittorio Bersezio - Racconti Popolari. 10 - Ferdinando Martini - A zonzo 11 - Enrico Castelnuovo - Sulla laguna. 12 - M. Savi-Lopez - La dama bianca. 13 - A. Fogazzaro - Sonatine bizzarre - Prose disperse. 14 - A. Olivieri Sangiacomo - San Martino. 15 - A. Rossi - Da Costantinopoli a Madrid. 16 - Giovanni Bovio - Leviatano. 17 - Jarro (Giulio Piccini) - Pagine allegre. 18 -19 - Matilde Serao - La ballerina (in 2 vol.) 20 - G. A. Cesareo - Conversazioni letterarie (I serie). 21 - Adelaide Bernardini - Prime novelle.

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Cercava Roberto Gargiulo che aveva promesso di venirla a prendere, verso le cinque, se poteva lasciare per un'oretta il magazzino, mettendovi il suo supplente. Non vi era. «Non avrà potuto», ella pensò mettendosi per la via Pace, volendo risalire verso casa sua. La via era lunga, ma ella era una leggiera camminatrice. Andava, tenendo rialzato il suo bel vestito di setina a righe bianche e nere, il vestito di estate che egli le aveva promesso e che, infatti, le aveva donato. E voleva che lo mettesse sempre, almeno ogni volta che vi era probabilità si vedessero insieme, per la via. Quando fu in piazza Martiri, un fattorino di magazzino la fermò, toccandosi con la mano il berretto gallonato per salutarla. Portava scritto Gutteridge, sul berretto: ed ella lo conosceva, questo ragazzo di dodici anni, Roberto Garginlo glielo aveva mandato varie volte, con qualche biglietto, con qualche ambasciata. - Questa lettera per voi, signorina. Non vi è risposta. Prima ancora che ella avesse aperto la busta, il fattorino era sparito. Ella, si fermò sotto il giardino del palazzo Nunziante, i cui cancelli erano tutti carichi di una glicinia fiorita, a grappoli lilla fra il verde. Diceva, la lettera : «Cara Carmela mia. - Io non ho il coraggio di venirti a dire, a voce, quello che ti scrivo, perchè mi farebbe troppo male vederti soffrire. Debbo lasciar Napoli, per qualche tempo. Alcuni miei nemici sono andati e riferire al signor Gutteridge il nostro amore e costui mi ha fatto delle severissime rimostranze, a tuo proposito. Ho dovuto dichiarare che ti avrei lasciata: se no, mi licenziavano. Povera Carmela mia, tu piangerai, quando leggerai questa lettera; ma pensa, potevo io farmi mettere sul lastrico, dopo dodici anni di lavoro? Tu stessa, non lo avresti voluto. Siccome hanno creduto poco alle mie dichiarazioni e alle mie promesse, poichè ho promesso altra volta e ho mancato - oh, io era nato per fare il gran signore! - ho dovuto chiedere, io medesimo, di essere inviato, per quattro o cinque mesi, a Sarno, nella fabbrica di filati O. Neilly, che, come sai, sono soci del mio capo: e là starò in penitenza dei miei peccati così dolci! Sarno è molto vicino a Napoli, ma io debbo restarvi come carcerato, se voglio riacquistare la fiducia del mio principale. Quando riceverai questa lettera, io sarò già partito. Non piangere, Carmela! Abbiamo passato insieme delle belle ore, io non le dimenticherò: nè tu, credo. Io mi ricorderò sempre di te, come di una buona ragazza: disgraziatamente, il mondo è cattivo e io non potevo, senza rovinarmi, nè sposarti, nè continuare la relazione con te. In qualunque ora della tua vita, pensa che hai in me un amico sincero e comandami in quanto posso, io lo farò volentieri per colei che è stata la mia Carmela. Ti mando un bacio afflitto e mi raccomando alla tua memoria. - Roberto Gargiulo». Non pianse, ella. Era nella via, in una via elegante e popolata che, in quell'ora pomeridiana, dopo la siesta, cominciava a riempirsi di gente. Ebbe bastante forza di camminare avanti, come se nulla fosse, stringendo nelle mani la lettera aperta. Verso Chiaia, anzi, mentre risaliva lentamente il marciapiede di destra, ella rilesse attentamente quello che le aveva scritto il suo amante, lasciandola. Quelle frasi, racimolate qua e là, dalla lettura dei romanzi dove Roberto Gargiulo attingeva tutta la sua rettorica amorosa, quelle vane e vaghe parole di rimpianto - e non una sola parola di amore - nascondevano a mal'appena l'egoismo freddo dell'uomo che, dopo aver goduto, scaccia da sè, irrimediabilmente, l'oggetto del suo godimento, quando gli sia diventato fastidioso e imbarazzante. Un tempo, a principio, tutte quelle belle parole che Roberto Gargiulo le scriveva, per deciderla ad amarlo, l'avevano assai lusingata, col compiacimento delle piccole anime sentimentali, appagate dal luccichìo e dal calore di certe frasi. Poi, man mano, ella aveva compreso tutta l'aridità che si celava sotto quella forma falsa di amore verboso, nelle parole e negli scritti: in questa ultima lettera, tutto il cinismo di un temperamento dato solo ai sensuali piaceri della vita, le completava la figura dell'uomo a cui aveva sacrificato la sua onestà. Neppure lo ricordava egli, così, con qualche dolcezza, questo sacrifizio che ella gli aveva fatto, l'ingrato! Mentre, metodicamente, ella se ne tornava, per Toledo, alla sua misera stanza del vicolo Paradiso - quanto aveva fatto bene a non abbandonarla mai! - ella si sentiva non disperata, no, ma col sangue inondato di amarezza. Quel senso di umilità muliebre che toccava il servilismo, da cui era affetto il suo cuore, le impediva di odiare Roberto Gargiulo per il tranello che le aveva teso, per la menzogna del suo amore, per il modo brutale e irrimediabile con cui l'abbandonava; ella non aveva nè ira, nè odio, contro lui che, infine, aveva fatto il suo giuoco, quello che tutti gli uomini fanno, per vedere se riesce: tutto sta, nella donna, a non entrare nel giuoco maschile! Vi è un detto popolare napoletano che si ripete a tutte le ragazze indifese, a tutte le giovanette pericolanti, a tutte le mogli giovani tentate dall'adulterio, un motto pieno di sapienza e di verità: l'uomo è cacciatore. Non farsi prendere a quella rete, bisognava! Adesso, che avrebbe potuto pretendere lei? Quando aveva ceduto a Roberto Gargiulo, così, per una ragione arcana, ella non gli aveva messo nessun patto, egli non aveva dato nessuna promessa, nè di matrimonio, nè di vita comune, nè di relazione eterna, nè di relazione lunga. In collera, perchè? Che diritto aveva, di essere in collera, lei, disgraziata, prima e dopo, ma la cui sorgente di ogni disgrazia era in se stessa, nella sua debolezza, nel suo isolamento, nell'ambiente in cui viveva, nei suoi ricordi d'infanzia, nella figura ideale di beltà e di piacere che era stata la sua madrina, Amina Boschetti, in sua madre che aveva una figliuola senz'essere mai stata maritata? Roberto Gargiulo aveva ragione, dunque. Ella non era in collera, non era disperata, non spasimava di angoscia: ma era piena di una tristezza mortale, con la bocca amara di quelli che hanno bevuto del metallo liquido. Le lagrime non uscivano dai suoi occhi secchi. Andava a casa, pallidissima, ma dall'aspetto composto. L'indomani, quell'altro giorno, più tardi, ella avrebbe dovuto sopportare i sogghigni e le beffe dei vicini, delle amiche di palcoscenico, di tutte le altre ballerine. Appena una di loro è abbandonata dall'amante, si sa subito: e anche le più buone ne gongolano, poichè esse stesse sono state e saranno abbandonate alla loro volta. Ella entrò in via Pignasecca, più commossa del momento in cui aveva letta e riletta l'ultima crudele missiva di Roberto Gargiulo. L'avvicinarsi alla sua casa, a tutti coloro che la conoscevano, le dava un tormento interiore che le faceva abbassare il capo sul petto. Aveva così poca fierezza ella! In piazza della Pignasecca, sulla soglia della ricca ed elegante farmacia del Caprio, il cavaliere Gabriele Scognamiglio era sulla porta, mentre un suo commesso inaffiava la via innanzi a lui. Il cavaliere stava sempre, dalle cinque alle otto, in farmacia, geloso dei suoi interessi, in fondo, sapendo bene dividere le ore dello svago da quelle del lavoro. - Oh donna Carmelina bella! - egli esclamò giocondamente - donde venite? - Dalla pruova, cavaliere - disse lei, fermandosi per cortesia. - Va presto, il Rolla, alle Varietà, cara carina? - Va sabato prossimo; fra tre giorni. - Verrò ad applaudirvi. Anzi, vi manderò dei fiori. Siete di prima fila alle Varietà? - Sì, sono guida di prima fila - mormorò ella, a occhi bassi. - Caspita, che avanzamento! - Sono teatro di estate, le Varietà: le buone ballerine mancano e allora... - No, non dite questo. Io verrò ad applaudirvi e vi manderò dei fiori. Non dirà nulla, Gargiulo? - ...No - rispose ella, dopo un momento di esitazione. Egli la guardò meglio: la squadrò, coi suoi occhietti vivi e maliziosi di uomo che capisce tutto, da una pausa, dalla velatura di una voce. - Che avete, donna Carmelina? siete malata? - No, grazie, sto benissimo, cavaliere. - Roberto Gargiulo vi ha lasciata - disse lui, crudamente. - Come lo sapete? - balbettò la poveretta, guardandolo con occhi persi. - Come se me lo avesse detto lui, Carmelina. Non poteva essere diversamente. - ...Già - sussurrò lei, a voce fioca. - Non vi disperate troppo, mia bella ragazza. - Le lagrime guastano la faccia e rovinano lo stomaco. - Io non ho pianto, cavaliere. Egli la scrutò bene: e le chiese, subito: - Dunque, non gli volevate bene? - ...No, cavaliere - rispose ella, voltandosi in - Neppure, lui, allora, ve ne voleva? - Lui, niente - ella replicò. - E allora... perchè? - Perchè?... e chi lo sa?... non si sa, il perchè. Buongiorno, cavaliere. - Ve ne andate? Restate. Ricordate che vi dissi, alla Regina d'Italia! Il vostro don Gabriele è qui, per voi. Siete una cara ragazza, io vi voglio molto bene, mi piacete assai; sono contento, in fondo, che vi siate liberata da quell'egoistaccio di Roberto. - Buongiorno, buongiorno, cavaliere - diss'ella, volendosene andare, non sopportando di udire quelle parole, ascoltandole per gentilezza e soffrendone molto. - Vi vengo a prendere questa sera. Andiamo a cena insieme? Non volete? Perchè non volete? Sono un galantuomo, sono un signore; vedrete subito la differenza con quel commesso! Non volete, siete ancora triste, eh? Andate a chiudervi in casa, un poco? Bene, bene, aspetterò, don Gabriele è un uomo paziente. Cara ragazza, non perdete tutta questa fortuna, non capita ogni giorno! E se ne rientrò in farmacia, indispettito in fondo, ma sereno nell'aspetto. La sera della prima rappresentazione del Rolla, il bel teatro estivo delle Varietà era gremito di una folla quasi simile, nella composizione, a quella che frequenta, nell'inverno, il teatro San Carlo, poichè la gente elegante napoletana lascia Napoli solo alla metà di luglio: nelle prime file di poltrone erano i soliti frequentatori del Massimo, fra cui don Gabriele Scognamiglio, e la corte che egli faceva a Carmela Minino era così evidente, i suoi bravo, Carmela! così udibili da tutta la fila, i fiori, che le aveva mandato nelle quinte, così olezzanti, che la ballerina ancora tutta triste dell'abbandono di Roberto si sentiva imbarazzata, confusa. Le compagne che l'avevano derisa per tre giorni, ora, la invidiavano, poichè, per quasi tutte loro, don Gabriele Scognamiglio rappresentava il tipo perfetto dell'amante di una ballerina, vecchio, ricco, donnaiuolo, generoso, occupato in molte ore della giornata, facile a ingannare: le sorelle Musto, scritturate anche esse, in prima fila, la tiravano in tutti gli angoli del palcoscenico, per dirle di non fare la imbecille, di non perdere questa magnifica occasione, di fare quattro giorni di buona vita, di accumulare un po' di denaro, almeno, per i tempi cattivi. E don Gabriele non era, anche, un simpaticissimo uomo, ben vestito, profumato? Carmela, stordita, confusa, crollava il capo, dicendo no, fiocamente, decisa a rifiutare, ma non sapendo farlo sgarbatamente. Così, solo per disimpegno, dichiarandoglielo, anzi, accettò di cenare, quella sera, con lui, al restaurantStarita, in Santa Lucia nova. Il restaurant Starita è collocato sulla penisoletta fra terra e mare, che è attaccata al forte Ovo: penisoletta circondata dal mare, in un piccolo porto artificiale, dove si ancorano piccoli yacht, piccoli cutters e le yoles dei due Circoli di canottieri, che sorgono dirimpetto. Colà sono delle case che furono fatte, in inizio, per albergare i marinai della vecchia strada di Santa Lucia, che è tutta in rifazione, da dieci anni; anzi, quelle poche case, a un piano, prendono il nome di Borgo Marinai. Però, veramente, marinai non ce ne sono ancora, poichè essi abitano sempre Santa Lucia vecchia, immobile sotto la lentezza della sua trasformazione: e la modicità delle pigioni di quel borgo vi ha indotto delle piccole famiglie di infima borghesia, vi ha indotto dei pittori poveri, e quasi tutti coloro che sono impiegati, in estate, al grande stabilimento di bagni Eldorado, con relativo cafè-chantant. La banchina di terrapieno, colà, fa un gomito lungo e sui due lati di questo gomito sono sorte tre o quattro trattorie, in piena aria, con le loro tavole imbandite sotto le tende, dietro alcune leggiere balaustre di legno dipinto, coi lumi che si riflettono nel mare, che è a un paio di metri di distanza. Ivi, di estate, con la vicinanza dell'Eldorado, delle Varietà, vi sono sempre persone che pranzano, che cenano, prima dello spettacolo e dopo lo spettacolo: alle famiglie borghesi si mescolano delle coppie d'innamorati; delle chanteuses, delle ballerine, delle equilibriste, delle mime, vi appaiono, in lieta compagnia. Due o tre di quelle trattorie sono più modeste, più volgari e vi va gente minuta: il restaurant Starita ne rappresenta l'aristocrazia. Si sta sul mare, al fresco, di sera: sotto le chiglie dei yacht, dei cutters ammassati si vede scintillare l'acqua bruna del piccolo porto, chiuso dalla scogliera; sulla via del Chiatamone brillano i lumi dei grandi alberghi Royal e Vésuve, passano equipaggi continuamente: alle spalle, il forte Ovo dirizza la sua singolar linea di castello tragico. Si mangiano delle zuppe di pesce, delle fritture di pesce, come al lontano Posillipo che tutti trascurano, oramai, poichè ci vogliono tre quarti d'ora per arrivarvi, e Santa Lucia nova è nel centro della città; si paga molto caro, ma è così bello, sul mare, nelle sere di estate, a un passo dal centro, sotto gli occhi di tutti gli uomini chic, scapoli specialmente, o mariti le cui mogli sono già partite per la villeggiatura, guardando tutte le bellezze vere o artifiziose che si agitano nel mondo del piacere, in estate, a Napoli! In verità, quella sera, don Gabriele Scognamiglio ebbe un tatto squisito per non impaurire Carmela Minino. Gli bastava, infine, a lui, per cominciare, che la ragazza avesse accettato di venire a cena con lui, al restaurant Starita, in un posto dove tutti quanti li avrebbero visti; non voleva altro, per allora. Egli non era innamorato di Carmela, giacchè, alla sua età, egli lo dichiarava, non si sentiva tanto stupido da innamorarsi di una donna qualsiasi, più giovane o meno giovane: forse, in tutta la sua vita, non era stato innamorato mai, sentendo, nel suo egoismo, che un tale sentimento, in tutta la sua esplicazione e in tutta la sua forza, avrebbe turbato la sua linea di condotta, dedita solo alla gioia. La ragazza gli piaceva, da più tempo, malgrado che non fosse nè bella, nè aggraziata, nè elegante: era giovine, era nuova, diceva lui, non aveva tutte le perfidie e le perversità di chi ha già troppo precocemente vissuto, e ciò gli bastava, a don Gabriele Scognamiglio. Non era una gran conquista, tanto più che vi era stato un altro prima di lui: ma, a circa sessant'anni, il gaudente farmacista sapeva contentarsi, e, quasi, quasi era contento di poter succedere a Roberto Gargiulo, senza preoccupazioni, senza rimorsi. Carmela Minino glielo aveva preferito: era troppo filosofo per seccarsi, quando le donne gli preferivano un giovane. E ora raccoglieva quella povera anima afflitta e abbandonata, la trattava con gentilezza, non le parlava d'amore, sapendo bene il modo come vanno prese le donne, esseri capricciosi, malati e incomprensibili: non incomprensibili a chi, da quarant'anni, non si occupava che di loro. Le camminava accanto, per la via del Chiatamone, senza darle il braccio, cercando di farla ridere con le sue barzellette, raccontandole qualche aneddoto spiritoso, narrandole qualche avventura di viaggio. Don Gabriele Scognamiglio presiedeva ai suoi affari, in farmacia, per dieci mesi dell'anno: ma due mesi, in primavera o in autunno, li consacrava ai viaggi all'estero, dove vi era grande vita e belle donne, o donne, senz'altro, ma donne diverse, donne varie. Più spesso andava a Parigi, anzi, malgrado la sua professione, malgrado i contatti delle sue giornate di lavoro e delle sue notti napoletane, era un parlatore di francese perfetto. Nel discorso, quando furono nella viottola che porta al forte Ovo, egli disse: - Carmelina, vi voglio portare a Parigi. Ella abbozzò un assai smorto sorriso. Sapeva che don Gabriele le diceva quello per solo atto di galanteria: ed ella, per buona educazione, non lo interrompeva. Malgrado fosse tardi, il restaurant Starita era pieno: i suoi lumi piovevano luce su tavole dove cenavano i Napoletani, a gruppi di tre, di quattro, di cinque, con un affaccendarsi di camerieri, che non bastavano alle richieste. - Vi piace, qui, Carmelina? - Sì, è bello - ella disse, guardando la città, il mare e il Vesuvio, macchinalmente. Trovarono un tavolino piccolo, per due, accanto a una tavola imbandita per otto persone, coperta di piattini di antipasto, da trionfi di frutta e da due mazzi di fiori, ma vuota. Era fissata la grande tavola, per una cena, dalla mattina. I commensali sarebbero arrivati fra un quarto d'ora: e il cameriere, che don Gabriele interrogava, sempre curioso, ne nominò qualcuno. - Il conte di Sanframondi, don Ferdinando Terzi, il conte Althan... - Tutti amici, tutte conoscenze... - approvava il farmacista gaudente, felice - di esser vicino a quella cena. Carmela Minino lo guardò con certi occhi supplici e smarriti; ora provava un imperioso bisogno di andarsene: ma non aveva il coraggio di dirlo al suo compagno. Fuggire, dove? Che avrebbe pensato, don Gabriele Scognamiglio? Che ella era una malcreata, una pazza. Come dirgli? Che cosa dirgli? E perchè fuggire? Là, o in altro posto, non era la medesima cosa? Trangugiando delle rade lacrime ardenti, che le erano salite agli occhi, ella restò al suo posto, sulle spine, rispondendo come meglio poteva a don Gabriele Scognamiglio, che le chiedeva che volesse da cena, tutta rigida nel suo vestitino di seta bianco e nero, il solo buono che possedesse, un po' terrea sotto un cappellino di velo celeste che la modista le aveva voluto fare assolutamente e che le stava abbastanza male. Così vicina, quell'altra tavola! E, infatti, dopo poco tempo, con un gran rumore di voci, di risate femminili giunsero le quattro coppie, Emilia Tromba, Concetta Giura, la chanteuse spagnuola Mariquita che cantava e ballava all'Eldorado, la mima Alina Bell che agiva nel ballo Rolla alle Varietà. Si sedettero, con gran fracasso di sedie, accanto ai quattro gentiluomini che le accompagnavano in silenzio. Carmela Minino non vedeva Concetta Giura ed Emilia Tromba dalla primavera, dalla fine della stagione di San Carlo: le due ballerine si davano il lusso di non ballare in estate. E malgrado si dicesse che Sanframondi non ne poteva più di Concetta, che Ferdinando Terzi tenesse Emilia Tromba solo per rimedio, oramai, ai sospetti di un marito geloso, i due continuavano a portare in giro le loro amanti, a pagar loro da cena. Ferdinando Terzi, nel sedersi, capitò dirimpetto a Carmela Minino. Nulla era mutato in lui: con una bottoniera di garofani bianchi allo smoking, egli era sempre il bel gentiluomo dai fini mustacchi biondi, rialzati mollemente sopra una bocca rossa e sensuale, che non sorrideva mai, dal profilo nobilissimo ma così rigorosamente aquilino che pareva tagliato col coltello, dagli occhi azzurro pallidi, freddissimi, altieri, glaciali. Per un istante li fissò sovra Carmela. Poi si curvò ad Emilia, facendole in due parole, una domanda. Carmela comprese subito che s'informava di lei, di quel posto e di quella compagnia in cui ella si trovava: e comprese anche, che, ridendo, in poche parole, Emilia Tromba gli narrava la sua caduta. Guardava Carmela intensamente e dal modo sprezzante delle labbra di Ferdinando Terzi, ella intese, sentì magicamente le due parole: - Che sciocca! Carmela guardò, nell'ombra, la città, il mare, la montagna ardente, senza vederli: e pensò che tutto, tutto era inutile.

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I Semprevivi sono una simpatica raccolta, una sceltissima collezione dei migliori e novissimi lavori dei più chiari scrittori e letterati di casa nostra: da De Amicis a Panzacchi, da Capuana a Martini, da G. Bovio a S. Sighele, dalla Serao alla Neera, ecc., ecc. Quanto vi ha di meglio nella produzione moderna dei nostri più brillanti romanzieri, novellieri e poeti, l'Editore Giannotta ha raccolto e sta raccogliendo in questa sua elettissima Biblioteca popolare che si raccomanda anche per la squisitezza del formato e dei tipi e per la tenuità del prezzo. Letture amene, attraentissime che le signore possono leggere senza scrupoli; che anche noi leggiamo con entusiasmo, e che raccomando perciò a tutti. Uno degli ultimi volumetti della biblioteca dei Semprevivi, porta il nome di G. Bovio, il quale ha consentito, dopo di averlo soppresso sulla scena, che il coraggioso Giannotta salvasse nella stampa il suo «Leviatano», il dramma tanto lodato e tanto criticato dalle diverse scuole, così freddamente accolto dal pubblico del teatro, ma così ardito, così forte da essere ritentato nel suo concetto, (purtroppo non con successo migliore) da qualche super-artista in buone grazie col pubblico e con la fama. Avv. A. FRANCO. La provincia di Lecce, 2 luglio 1899.

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Giannotta, con eleganza di tipi veramente ammirevole e con costanza che fa di lui uno dei più solerti e benemeriti editori italiani, non posa mai dal mandar fuori pubblicazioni pregevolissime d'arte, storia e letteratura, pubblicazioni che si devono a' più rinomati scrittori italiani. Da Costantinopoli a Madrid, del collega A. Rossi, San Martino di A. Olivieri Sangiacomo, e Sonatine bizzarre di Antonio Fogazzaro, sono valide prove di quanto diciamo. C. PADIGLIONE. Il Paese di Napoli, 29-30 giugno 1899.

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Giannotta ha dato fuori cinque altri volumi, seguitando a dar prova di un'attivita e di un coraggio veramente commendevoli. Ci spiace di doverli passare in rivista proprio a tamburo battente! Gazzetta di Torino, 5 maggio 1899. FEDERICO MUSSO.

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Rosario. Dramma in un atto

249312
Federico de Roberto 37 occorrenze
  • 1899
  • Copisteria Presaghi
  • Roma
  • verismo
  • UNICT
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Se potessimo mandar noi a prendere notizie...

Uscio a sinistra, uscio e finestra a destra. Ritratti di famiglia alle pareti. Sopra un tavolo una lumiera con quattro becchi. Altre lampade antiche che si accenderanno per il rito del rosario. Qualche vecchia sedia con lo stemma di famiglia ingiallito.

(Agatina è dietro la finestra di destra, a spiare, inquieta. Entra dall'uscio di sinistra Carmelina, guardinga).

(Agatina va a schiudere l'uscio di destra, cautamente, guardandosi dietro. Nel frattempo entra dalla sinistra Caterina, turbata come le sorelle)

Questi li porto a distendere?

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Di'; come sarebbe bello se i suoi bambini potessero venire a starsene sempre con noi!...

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Bacio le mani a vostra eccellenza...

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Le terre erano assetate, i seminati cominciavano a patire.

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Padre nostro che state in cielo, santificato il Vostro nome, venga a noi il vostro regno, sia fatta la volontà vostra, così in Cielo come in terra... Avete sentito la pioggia stanotte?

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I magazzini non basteranno a contenerlo!...

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Lo diremo a Massaro Crispo, Santa Maria ecc. ecc.

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Eccellenza, quel cristiano e tutta la sua famiglia mandano a pregare l'eccellenza vostra di fargli la carità...

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Domani faremo stendere le corde nella terrazza, le coperte le diamo a lavare?

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Chi a venti anni non sa, a trenta anni non fa; a quaranta non ha fatto e non farà. Ave Maria, piena di Grazia il signore è con voi, voi siete benedetta fra le donne e benedetto il frutto del ventre vostro, Gesù.

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Si dice che il negozio di vino non è riuscito a quell'imbroglione di Cola Rava.

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Padre nostro che state in cielo, santificato il vostro nome, venga a noi il vostro regno, sia fatta la vostra santa volontà, come in cielo come in terra.

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Eccellenza picchiano all'uscio, vado a vedere?

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E' venuta la comare Angiola a narrarci...

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(a mani giunte):

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A stasera non ci arriva...

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E intanto a quella poveretta muore il marito, l'unico suo sostegno, lasciandole per tutta eredità tre creaturine sulle braccia...

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O perchè non lo dite una buona volta, a vostra madre? E' sua figlia come voi altre, si o no? Non sarà mai perdonata, finchè campa?

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Se voleva bene a questo qui?

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Se campava, avrebbe migliorato la sua condizione, senza chiedere niente a nessuno... Ha chiesto nulla a sua suocera? Vostra sorella ha forse chiamato in giudizio la madre? Un'altra avrebbe voluto gli alimenti, che sono nella legge!... Lei no, invece; perchè la rispetta, perchè le vuol bene ancora...

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Ditele che le ho serbate apposta per lei, a soldo a soldo...

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(A Caterina)

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(Sovvenendosi a un tratto)

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A noi non manca nulla... Ma quella disgraziata sorella nostra!... Povera Rosalia!... Era la nostra gioia, povera piccina... Le volevamo bene come a una figlia, tanto era più piccola di noi tre... Anche la mamma: era la sua favorita, un tempo...

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Tornate, tornate presto a darci notizie...

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Andate da vostra madre e ditele ogni cosa, se vi movete a pietà!...

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Quando sconta a lacrime di sangue la sua disubbidienza, se pure doveva ubbidire? Ora che chiama: "Mamma mia!... Sorelle mie!..." Ora che bacerebbe la terra dove mettete i piedi?

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Gran profitto ha da farle all'anima, il Rosario recitato a quel modo!

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Vado a vedere.

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(Portando a un tratto la mano alla fronte):

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Uno non crea una famiglia se, morendo, deve poi lasciarla in mezzo a una via!

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Doveva desistere, doveva, vedendo l'opposizione della mamma; invece di far perdere la testa a Rosalia, e di strapparla per forza alla famiglia.

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Quando sono dinanzi alla mamma, mi pare, guarda, che un bel giorno potrebbe anche venire qualcuno a chiedermi in isposa!

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