Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'angelo in famiglia

183401
Albini Crosta Maddalena 38 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Eccovi giunte a quell'età difficile nella quale, ultimata l'educazione, dovete licenziarvi dal caro collegio dove avete ricevuto il pascolo della mente e del cuore, per entrare in una società che molto pretende da voi, e che nulla, o ben poco, vi offre in compenso. Molte fra voi avranno avuto in casa propria un corso d'istruzione e di educazione, e se per queste è meno sentito il passaggio che corre tra la fanciulla dedita quasi unicamente ai suoi libri ed ai suoi lavori, e la damigella che deve invece dividere il suo tempo fra i libri, i lavori, le cure della famiglia e cento altri piccoli e nuovi e non facilissimi doveri; per tutte io credo sarà bene l'avere un'amica, una sorella che in nome e per amor di Dio indichi loro la via che debbono tenere, e le faccia avvertite altresì dei loro diritti. Vieni, vieni adunque, figlia mia, sorella mia; vieni, io non so il tuo nome, ma ti conosco. Un nome comune ci è dato, tu sei cristiana come son io, come me tu sei stata redenta dal Sangue di un Dio, e quell'Iddio m'inspira in cuore una speciale tenerezza per te, fanciulla carissima, per te che se fai del bene, e se raggiungi un grado solo di perfezione, penserai quando preghi anche a me, che serva inutile ho lasciato passare troppo tempo senza lavorare nella mistica vigna. Tu che fiorente per giovinezza e per cento altri doni che Iddio liberale ha versato sul tuo capo, entri adesso nella carriera della vita, deh! per pietà, non trascurare alcun mezzo, non attendere l'ultima ora; ma sul mattino dell'esistenza diventa operaia del Signore. Gli è per una misericordia singolarissima che il padron della vigna ha chiamato e pagato gli operai che lavorarono soltanto l'ultima ora; vorremo noi porre in forse il premio eterno, il Paradiso? E poi, il Signore ti chiama adesso, ti chiama oggi, vuole che tosto tu incominci a rendergli servigio. Forse sarà appunto per secondare le tue preghiere e premiare i tuoi meriti, che Egli pagherà gli operai tardivi che rimasero indolenti tutta la giornata e che solo alla sera corsero a Lui. Dunque, amica mia, comincia subito; e poichè, giovane ed inesperta, non puoi ancora prestare l'opera tua attiva, mentre attendi la chiamata di Dio piega il ginocchio e prega. Sì, prega prega molto, e non solo per te, ma per tutti; per gli eretici, per gli ebrei, per tutti coloro che sono fuori della Chiesa, pei buoni, pei cattivi cristiani. Non ci ha forse detto Gesù Cristo che dobbiamo pregare il Padre nostro? E non ci ha forse insegnato a dire Padre nostro, appunto per instillarci l'amor vicendevole, per metterci tutti in una comunanza di affetti, di rapporti, di interessi? E non è quello dell anima l'interesse più importante, anzi l'unico? Dunque, ti supplico, ripetila sovente col cuore quella bella preghiera Padre nostro, e dicendo nostro impetra la divina misericordia sul capo di tutti, su tutto il genere umano, e Iddio, stanne sicura, Iddio coronerà le tue preghiere con qualche conversione. Nell'ultimo giorno, in quel giorno nel quale tu ed io saremo chiamate a render ragione del nostro operare, quanto grande immensa gioia ci inonderà l'anima se l'Angelo nostro mostrerà a Gesù il libro d'oro, dove vedremo scritto che per le opere nostre, per le nostre preghiere si sono pentite, quindi convertite molte anime, od anche un'anima sola? Allora Gesù Giudice, ma insieme amante e Salvatore delle anime nostre, cancellerà la pagina nera della nostra vita, e ci farà sentire quella bella parola:Vieni, o benedetta! Ma, e perchè io ti parlo di quell'ultimo giorno, di quel giorno per te forse ancora molto lontano, mentre ti volevo ragionare della tua uscita dal collegio, e del tuo ingresso nella società? Perchè pel cattolico, ed anche pel non cattolico, mi pare, è sempre meglio dimesticarsi coll'idea della morte (che alla fine per noi non è altro se non la liberazione da questo corpo di peccato), affinchè non venga improvvisa ed imprevista la cruda a colpirci, senza che noi abbiamo pensato a premunirci con opere buone. Il pensare alla morte non abbrevia neanche d'un'ora la nostra vita; soltanto c'insegna a vivere cristianamente ed a morire senza rimorsi. Tu ben presto dovrai allontanarti da quelle care mura che ti hanno accolta bambina; quelle mura, se avessero la parola, direbbero chi sa quanti de' tuoi infantili capriccetti, quante disobbedienze, quante cattiveriucce, che se non fossero state a tempo corrette e punite, sarebbero divenute il principio di una brutta catena di superbia e di peccati. Tu imponi silenzio a quelle mura; ti vergogni che siano rivelate quelle brutte tendenze le quali tentavano farti diventare cattiva, molto cattiva, più cattiva di quel che sei... Non ti avvilire no; ringrazia piuttosto il Signore d'averti dato superiori saggi ed intelligenti i quali hanno saputo modificare le tue inclinazioni, piegarle a bene, e si sono sforzati di cavare dalla pianticella del tuo cuore i frutti migliori. Oh! sì, ringrazialo assai assai il Signore di tutto il bene che hai, poichè tutto ti viene da Lui, tutto; l'intelligenza, gli affetti, la facoltà di sentire il bene e di farlo, tutto hai da Dio e da Dio solo. Le mura del tuo collegio però se parlassero, direbbero fors'anche di molte belle tendenze del tuo cuore da te viziate, sviate, forse anche guaste... Ma no: io non ti voglio contristare con reminiscenze dolorose, poichè alfine tu sei ancor molto giovane, tu puoi, tu devi rettificar tutto. Che dico io? tu devi anzi incominciare adesso la tua vita. Sì; oggi, o almeno presto, tu dirai addio al collegio, ed in quel giorno tu potrai, dovrai incominciare a vivere davvero, il che vale lo stesso quanto incominciare a far del bene. Prepara, disponi il tuo cuore, fa tesoro degli avvertimenti sperimentati e saggi di coloro che t'hanno educata, e non temere; entra nello stato a te segnato dalla Provvidenza, e fidente non nelle tue forze, ma in Dio solo, cammina animosa nella via del bene e della virtù. L'addio al collegio ti lacera il cuore, ed insieme, non lo sai negare, ti consola. Sì lo capisco; è doloroso il distaccarsi da quel luogo, da quelle persone e persino da quelle consuetudini colle quali abbiamo vissuto parecchi anni; pure quanto è consolante il pensiero di tornare alle domestiche pareti, fra i propri cari! Il dolore e la gioia! Oh! tu li troverai soventi volte molto vicini la gioia e il dolore; ma sempre, o quasi sempre il dolore vuole il primato. Ma, per un cristiano, il dolore è appoggiato alla Croce, e la Croce vuol dire speranza, vuol dire amore, vuol dire infine gioja, gioja purissima, gioja celeste, gioja eterna! Quando il dolore ti colpisce, cerca sempre di appoggiarti alla Croce, e di pensare a quello che essa ti promette; il Paradiso. Tu lasci il tuo collegio, ma del collegio porti teco una memoria dolce e grave insieme, che ti allontana dal male, e ti eccita al bene. Conserva gelosamente nel tuo cuore i savi e santi ammaestramenti che ivi hai ricevuto, nè li dimenticare giammai. Conserva sempre grata memoria e riconoscenza grandissima ai tuoi superiori, a coloro che hanno dimenticato sè stessi pel tuo bene, e con un'abnegazione tutta cristiana hanno sagrificato i loro agi, la loro salute, il loro sonno, e perfino, ciò che è più difficile e doloroso, la loro stessa volontà per te e pel tuo meglio. Molti e molte, dopo alcuni anni che sono usciti di collegio, si permettono di dimenticare i loro maestri. Poveretti! se la carità del Cristo non c'insegnasse a compatire la loro ignoranza, bisognerebbe dir loro: Ingrati, mille volte ingrati! Ma voi, o giovinette mie care, voi avete un cuore ben fatto; se fosse altrimenti, già avreste buttato in un canto questo libro, e non stareste volontieri con me... Dunque voi, non ora soltanto, ma sempre ed in qualunque età e condizione possiate trovarvi, non vi vergognerete mai e poi mai di dare testimonianza d'affetto e di riconoscenza 2 ai vostri educatori. Forse allorchè voi sarete già innanzi nella carriera della vita, vi imbatterete con un vostro maestro, con una vostra istitutrice che, trafitto il cuore da gravi dolori e fors'anche reso impotente per età o per malattia a procurarsi il bisognevole, si rivolgerà a voi per avere appoggio... Oh! tu, cara sorella mia, tu non tollerare in quel giorno che quella fronte che stava alta davanti a te bambina, si pieghi ora; che quella voce usa ad alzarsi per correggere i tuoi falli, s'abbassi adesso e si faccia tremola davanti a te!... No, io lo conosco, io lo indovino il tuo cuore: tu, quantunque forse dama nobile e ricca, non isdegnerai abbracciare teneramente la tua antica maestra, baciare la mano del tuo professore, e ripetere ad entrambi le proteste che oggi al tuo uscir di collegio fai con tanto cuore; proteste di riconoscenza, di amore. Prima di lasciare il collegio, pensa alla cara Madonna, a quella santa verginella che passati nel tempio gli anni della sua fanciullezza, ne usciva con pieno l'animo di santi affetti, ricca la mente di utili e sante cognizioni. Oh! pregala ben di cuore quella cara Vergine, e com'essa e con essa saluta le tue compagne, rientra nella tua casa, e preparati a far del bene. Che cosa vuol dire far del bene? Vuol dire vivere. Che cosa vuol dir vivere? Vuol dir far del bene. Oh! sì, comincia adesso, e continua sempre a far del bene ed a farne tanto quanto puoi, più che puoi, e sarai felice quanto io ti auguro.

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Il fuoco dal quale ti devi guardare con tanta cura non è veramente, a mio credere, una sola passione; ma piuttosto quell'insieme di molte passioni che serve ad alimentarlo, poichè come il fuoco di un caminetto nasce e vive per l'insieme di parecchi tizzi che si sacrificano a lui, così il fuoco che tu devi paventare vive della morte delle tue virtù, e riceve alimento dalle molteplici occasioni colle quali ti sei accomunata, con o senza ripugnanza. Perchè adunque tu possa e debba salvarti dal fuoco, puoi e devi schivare le occasioni che ne sono la facile esca. È tanto importante questo punto sul quale si basa l'edificio della tua esistenza, che tu prima di ascoltarmi, ed io prima di parlartene, dobbiamo invocare ajuto di quella Vergine che si sgomentò alla vista di un Angelo e alle Lodi da lui prodigatele, e che soltanto quando seppe esser egli l'inviato di Dio per annunziarle la grande novella, si calmò e pronunciò quella sublime parola: Ecco l'Ancella del Signore! Oh! Maria, ajutatemi Voi, ad infondere nel cuore delle care giovinette che mi ascoltano un salutare spavento delle occasioni di peccato! Dice lo Spirito Santo:chi si espone al pericolo, perirà, e pericolo è per te, cara mia amica, ogni occasione che può mettere in forse la tua fede e la tua virtù; quella fede e quella virtù le quali radicate con fatica nell'animo nostro, ricevuta una scossa, difficilmente si rassodano, o, se si rassodano, gli è con sforzi eroici che ci fanno sanguinare il cuore. Tu lo sai, io non vengo a predicarti il cilizio e la solitudine; questi doni specialissimi il Signore li dà a cui vuole, e noi dobbiamo guardarci dal disprezzarli e dall'invidiarli. Il buon Dio ci ha chiamati a sè per un'altra via, e tutte le vie del Signore son tutte buone, quando non siamo noi che a bella posta e ad occhi aperti ne prendiamo una diversa da quella che Egli ci indica colle interne inspirazioni, coi buoni consigli, e con taluno di quegli innumerabili mezzi dei quali Egli si serve a farci conoscere la santa sua volontà e la nostra vocazione. Io lascio che il Signore ti chiami a quella maggior perfezione che a te si conviene, e mi contento di segnarti la strada retta benchè comune, certa che in essa tu potrai raggiungere uno stato perfettissimo, ove tu corrisponda con impegno alla grazia di Dio. Tu dunque, almeno io credo, sei chiamata come me a vivere nella società, in una società la quale più o meno ristretta, più o meno esigente, non lascia di offrirti pericoli e incentivi al peccato ad ogni piè sospinto. Io suppongo volontieri che la tua sia un'ottima famiglia credente, anzi religiosa; pure raro è che qualche suo membro più o meno importante non abbia credenze ed opinioni divergenti, e non divenga quindi il martello e la croce della virtù degli altri. Può ben essere che questo martello e questa croce siano foderati di oro massiccio, voglio dire da tutta la grazia della persona e dell'educazione, e da tutti i vantaggi di una larga e ben intesa istruzione (profana s'intende); ma allora appunto quel martello e quella croce avrebbero una maggior potenza e tu li dovresti paventare assai più che se si presentassero nella loro natura greggia e pesante. Talvolta, pur troppo (non lo dico a te), talvolta sono i padri, i fratelli, i parenti, e perfino le madri che hanno ricevuto dal diavolo l'indegna missione di tormentare e di scuotere, se fosse possibile, l'altrui fede; e perchè il loro ascendente sia maggiore, il maligno permette in essi taluna od anche molte di quelle virtù domestiche e civili, atte a guadagnar loro una stima cieca ed un intero abbandono del nostro cuore inesperto. Se tu, poveretta, avessi una tale sventura di vedere segnato dal marchio di una missione sì triste una persona che tu ami teneramente e colla quale vuoi e devi vivere in continuo contatto, fa di ricopiare in te, per ipocrisia non mai! ma con una santa emulazione le virtù tutte delle quali ti è dato l'esempio, ed adopera tutta la tua forza di volere e di amore per procurare a quell' anima cara quell'unica virtù che a tutte l'altre sovrasta, e senza la quale tutte le altre non sono oro, ma orpello... Tu devi essere, tu sei l'angelo della tua famiglia! io lo so, lo vedo, tu sei intorno al diletto genitore, al fratello, colle tue amorose cure, colla tua devozione, con quella parola timida ma sicura nel momento in cui il cuore che tu avvicini è titubante o commosso; colla tua costanza nelle tue pratiche di pietà, colla dolcezza inalterabile del tuo carattere, colla pazienza nelle contrarietà e nelle sventure, colla carità indivisibile da ogni tuo atto, da ogni tua parola, e con tutte quelle amorose arti che una pietà, illuminata sa suggerire all'anima tua. Sì, io ti vedo agire in tal guisa che non esito a preconizzarti un completo e non lontano trionfo. Il tuo genitore, il tuo fratello sente per te un affetto irresistibile; pure una lotta interna lo fa teco in quieto, adirato, e talvolta tu vedi un sorriso amaro sul suo labbro; un sorriso che ti fa agghiacciare il sangue, che ti turba, ti desola. Corri, corri a Maria, essa è là ansiosa ad attenderti; forse è oggi il dì di quella lotta tanto aspettata, tanto desiderata; forse oggi è il dì di quel trionfo sì difficile, ma sì durevole. Corri, corri a Maria, e vivi sicura d'aver ottenuta la grazia invocata, ad onta che tutte le apparenze ti dicano ch'essa è non solo lontana, ma impossibile. Ma tu aspettavi da me che solo ti parlassi delle occasioni di peccato, ed io t'ho invece parlato delle occasioni di bene; io stessa ho dovuto raccogliermi un momento a cercare la ragione per cui il Signore ha voluto che ti dicessi questo prima di quello. Ma non ho tardato ad accorgermi che il Signore vuole appunto che noi, e quindi anche tu, sappiamo convertire in occasione buona quella che era e sembrava un'occasione cattiva. Se tu colla persona incredula o poco credente, o indifferente, o beffarda in fatto di religione, con quella persona che sempre o quasi sempre sta al tuo fianco, che esercita sopra di te tutto il prestigio cui dà diritto un santo affetto di congiunto ed i pregi personali, invece di adoperare, come abbiamo veduto poc'anzi, tu avessi agito al modo mondano, certamente invece di trasfondere in essa il bisogno e l'abito di quella religione che è la tua vita, che sola può sostenerti nelle lotte dell'esistenza e che unica può premiare la tua virtù e la tua costanza, l'avresti tu stessa perduta. Ahimè! sola e miserabile ti troveresti in brevissimo tempo sprovvista d'ogni morale virtù, e destituita da quella forza che è la tua forza e senza cui non trova balsamo nessuna piaga, lenimento nessun dolore. Se collo sprezzatore della tua fede (foss' egli pure tuo fratello o tuo padre) ti porrai a patteggiare, a questionare, a disputare, non tarderà molto e la tua fede diventerà vacillante, smorta, nulla! No, per pietà, no, mia cara. Per pietà, guardati dal fuoco! io ti ripeto, guardati da quel fuoco distruggitore che incenerirà ogni tuo proposito, ogni tua buona tendenza... Ma, e perchè insisto io tanto a predicarti l'importanza dello schivare le occasioni, se tu ne sei più che convinta? Se fosse altrimenti, tu non leggeresti con tanto affetto questo libro, il quale, quantunque vergato sotto l'impulso di un potentissimo amore per l'anima tua, non ha che parole severe a dirti, virtù anche più severe ad importi! Quello che tu vuoi da me, e che io voglio dirti, si è dunque non tanto la massima di sfuggire le occasioni di peccato, quanto d'insegnarti il modo di poterle sfuggire e vincere e volgerle a bene. È forse necessario che io ti ripeta:non giuocare come lo spensierato col fucile carico? No; sarà meglio ti suggerisca di sparare all'aria l'archibugio, e tolga così amendue da un pericolo imminente e gravissimo. Se vedi che arde la casa del tuo vicino, ti è inutile continuar ad urlare al fuoco; bisogna invece che tu porti dell'acqua, dopo d'esserti adoperata a segregare la tua casa affinchè non divampi con quella. Te lo ripeto, e tel ripeterò incessantemente, non metterti a disputare e a discutere di religione con persona di te più colta e a te superiore; anzi sarei quasi tentata di dire, con persona alcuna: ma pronuncia la tua opinione con volto ed animo sicuro, protesta di non voler cedere assolutamente agli altrui ragionamenti, e se non puoi imporre silenzio, e neppure ti è dato pregare si voglia con te parlare di un argomento più conforme e più omogeneo al tuo modo di pensare, chiedine con bel garbo il permesso, e ritirati o nella tua camera, o in altro crocchio, o comecchè sia e come darà la possibilità, togliti da quel discorso. Se poi sei costretta a star lì, prega in segreto e segretamente protesta e ripara, atteggiandoti a serietà. Così facendo, l'ardito che si permette innanzi a te di porre in forse od in canzone le verità più sante e più care, si accorgerà ch'egli abusa della sua libertà, e violenta la tua coll'importi quanto non vuoi e non devi tollerare. Se poi quel cotale fosse persona tanto rozza e tanto mal educata da pretendere tu subissi intero il suo ragionamento, e vantasse in proposito la sua condizione ed i suoi titoli, non ti curar di lui, ma guarda e passa. Allorchè t'ho parlato di non curarti di quanto dirà il mondo, mi pare di averti detto alcun che di somigliante; ma il ripeto: quando si tratta di schivare le occasioni pericolose, non ci vogliono rispetti umani, o, se ci vogliono, ci vogliono per calpestarli, ed impedir loro di far poi capolino, e ci tentino e ci trascinino miseramente. 10 Ma oltre questi pericoli, in certo modo visibili, ve ne hanno degli altri, tanto più pericolosi e nocivi, quanto meno avvertiti; questi sono non i discorsi propriamente detti, contro la religione ed il costume, ma quelle parole mezzo serie, mezzo buttate là senza studio e senza ritegno, quelle parole ambigue le quali vogliono dire ben altro di quello che si tenta far credere, e fanno intanto salire il rossore sulle tue guancie, il riso sulle tue labbra, ed insieme un qualche cosa che somiglia rimorso al tuo cuore. Queste arti non saranno certo adoperate con te dai tuoi, ma dai così detti amici di casa; da quei bontemponi i quali non avendo meriti sodi da far valere, sfoggiano ed ostentano uno spirito che sarebbe piuttosto spirito da ardere, non da far valere nelle conversazioni. Se adunque in casa tua, o in casa altrui ti trovi vicina a siffatte vespe, chè io non le so chiamare nè considerare con altro nome, schivane il pungolo avvelenato benchè sottile, e non ti lasciar ingannare da loro perchè le vedi suggere il mele e lo zucchero, poichè se ti s'avvicinano e ti pungono, n'avrai deformato il viso e guasto fors'anche il sangue! No, non ti lasciar illudere dalle parole dolci e melate; non t'illuda l'eleganza della persona e del porgere; quello è pericolo, e tu lo devi schivare, e schivare tanto più quanto è più coperto, simulato ed insinuante. Talora perfino alcune signore, d'altronde simpatiche e gentili, hanno il tristissimo còmpito di pervertire le anime innocenti; ma se tu farai sempre con buona volontà ricorso a Maria, sarà illuminata la tua mente, agguerrito il tuo cuore, e non tarderai ad accorgerti delle insidie che ti si tendono, nè indugerai a schivarle. Se poi, il che è difficile, le persone le quali minacciano la tua credenza o la tua virtù sono in buona fede, allora tu potrai volgere a bene le stesse loro lusinghe, e sentendoti sul campo della verità, ti sarà agevole far cadere le squame che, come a S. Paolo, coprono loro gli occhi, e renderli illuminati colla luce evangelica, riscaldati dal calore del Sole di vita, Dio. Ma per tacere delle letture cattive, delle quali ti parlerò separatamente un altro giorno, debbo parlarti di un altro pericolo e grave, che ti può venire non solo dai parenti e dai conoscenti, ma altresì dai maestri e dalle amiche. La penna ripugna a scriverlo, perchè la mente ripugna a pensarlo, che i maestri e le amiche possano essere di pericolo alla tua fede, perchè invero non è, nè può esser vero maestro ed amico colui che insegna il male! Tuttavia, tu non sei più nel caro e sicuro recinto del tuo collegio, di quel collegio tanto ben diretto, sì bene animato; tu sei in una società che non possiamo dire buona e bene intenzionata, ma che ci è forza confessare corrotta e corruttrice, ingannata ed a sua volta ingannatrice. Tu sei obbligata a vivere in questa società, dove lo spirito delle tenebre lancia talvolta alcuni di quegli esseri i quali dovrebbero avere l'ufficio d'illuminare, e che adempiono invece quello d'inondare di tenebre dovunque posano il piede e toccano colla mano. Quando ti ragionerò del modo di schivare le occasioni di peccato non solo contro la fede come oggi t'ho parlato, ma altresì contro il costume, mi estenderò maggiormente; per oggi ti basti il già detto, cioè dover tu usare coi maestri e colle amiche, non altrimenti di quello che fai con chiunque insidia la pace della tua coscienza. Ove e appena ti accorgi che colla letteratura, colla storia e perfino colla musica, ti si vuol propinare l'errore, confidati coi tuoi genitori, e pregali a toglierti da sì grave pericolo o col dirizzare l'insegnamento, o col rimandare chi te lo amministra. Questo ti sarà meno difficile ancora colle amiche, alle quali devi imporre silenzio e rettitudine di pensieri e di discorsi, e se questo nol puoi ottenere, allontanati da esse, pregando molto e sempre per l'anima loro. Oh! sì, molto e sempre devi pregare per tutti coloro che ti fanno del male, o minacciano di fartene, e ove se ne porga l'occasione, non devi essere tarda nè restìa a far loro del bene colla parola, coll'opera, col cuore, e quell'Iddio che promette un premio eterno per un solo bicchier d'acqua dato per amor suo, te ne darà larga ricompensa in questa vita e nell'altra. Un altro pericolo del quale, come dal fuoco, ti devi guardare, si è la medesima tua debolezza, e per quanto ti paja e ti senta forte nelle tue convinzioni religiose, paventa sempre il pericolo. Non già il soldato trascurato e spavaldo è forte al momento della mischia; ma l'eroe è sempre colui che prima ha misurate le sue forze, ha tremato di sè, ed ha lungamente meditato la giustizia della sua causa. Sì, questi è l'eroe, che dimentico di sè tiene con una mano la bandiera, pugna coll'altra a difenderla, finchè o è giunto a salvarla, o è perito con essa. Sii tu pure l'eroe della tua religione, senza temere il ridicolo. Chi ride di te, o ride perchè non arriva a comprenderti, o perchè non ha forza da emularti. Guardati dal fuoco, e le fiamme dell'incredulità cadranno spente ai tuoi piedi. Dio ti benedica!

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Già i capitoli precedenti devono averti fatto prevedere che io non potevo tardare più oltre a dirti di mettere la briglia al tuo cuore; ma certo io non poteva parlarti di questo freno faticoso e costante senza prima essermi adoperata per farti odiare le occasioni pericolose, e le cattive letture. Adesso, io spero, tu avrai concepito un salutare orrore per le une e per le altre, e potrai disporti a provvedere ai mezzi, pei quali sia in tua mano guidare e regolare gli affetti tuoi. Ben lungi dal discutere se o meno risieda realmente nel cuore la sensibilità e l'amore, io mi contento di considerare tale la cosa, perchè come il centro della vita materiale, così mi pare il cuore il centro della vita morale. Il cuore, o in altra parola più propria, l'amore, è una splendida facoltà della quale il buon Dio ha arricchito in modo specialissimo l'uomo: ora a vieppiù alimentarla e perfezionarla, Egli l'ha sparsa in tutte le creature animate, ed i bruti anch'essi si amano e si amano in modo da disgradarne certi uomini brutali, i quali, insensibili perfino ai legami del sangue, commettono orribili iniquità. Sì, l'amore è una splendida facoltà dataci da Dio ad immagine di Lui ch'è: L'increata sapienza e l'eterno amore, e noi dobbiamo esserne oltremodo gelosi, poichè guai a chi abusa dei doni celesti! Vi ha un amore di carità che dobbiamo a Dio come sorgente d'ogni bene e della nostra stessa vita; e questo amore non deve avere nè limite nè restrizione, perchè non sapremmo mai dar troppo a Colui dal quale ci viene tutto quanto abbiamo. Vi ha un altro amore di carità che dobbiamo, in Dio e per Iddio, a tutta intera la umanità, e questo amore ci fa abbracciare in un solo amplesso gli uomini di tutte le età, di tutti i paesi, di tutte le condizioni, di tutte le religioni, gli amici come i nemici, i lontani come i vicini, poichè tutti ci fa chiamare col nome di prossimo nostro; e dicendo prossimo ci dice che tutti debbono esserci cari, che per tutti dobbiamo pregare, che a tutti dobbiamo far del bene, dimenticando le ingiurie di chi ci ha indegnamente offeso. Ma non è ancora di questo amore che io intendo parlare, perchè questo pure preso così in generale non ha bisogno di essere infrenato, perchè con esso non facciamo che considerare Iddio nelle sue creature. Io intendo parlare di un altro sentimento buono e santo; ma che, se sregolato o sviato dal suo giusto indirizzo, può portare in noi gravissime conseguenze, e pur troppo bene spesso irreparabili. Vi ha chi sentenzia che il cuore umano è un sultano ed un despota al quale non si può comandare; altri lo dice un puledro indomito intollerante di freno. Io lascio al libero pensatore la libertà di pensare come gli talenta, ma per me dico ed affermo che il cuore umano se é un re, può e deve essere un re giusto e non un despota; se è un puledro, non è indomito se non quando gli si gettano le briglie sul collo. Oh! credilo, mia diletta, guai a coloro i quali non sanno infrenare il loro cuore! da indomito ch'egli era diventerà presto indomabile; da fonte di vita, si muterà in fiumana devastatrice che tutti s'ingojerà i frutti passati e perfino i frutti avvenire, ed in luogo di terreno fertile e fecondo non ti resterà che un letto di arena... Attenta, figliuola, non ti lasciar pigliare la mano dal tuo puledro; ma infrenalo, tieni tese le briglie, in modo che sia sempre in poter tuo regolarne le mosse. Lo so essere questa ardua impresa, ma se ogni giorno, in ogni pericolo dirai col cuore: Madonna, ajutatemi! e ne invocherai veramente la protezione, ciò che a tutta prima ti sarà sembrato ostacolo insuperabile, non sarà se non una lieve difficoltà che vincerai in brev'ora. Non finirò mai di ripeterlo, e tu fa di rammentartelo ognora:la briglia al cuore, tieni la briglia al cuore, se non vuoi essere da lui trascinata dove non vuoi, dove non devi; se per poco egli s'accorge che tu lo lasci ire a suo capriccio, ti si metterà a far tali salti, tali capriole, da non lo poter più richiamare al dovere. Ti rechi talora in una conversazione, ad un passeggio, e, mi ripugna a dirlo, perfino in chiesa; e nella conversazione, al passeggio e perfino in chiesa vi ha un cotale che pare abbia il torcicollo, e sia sempre sempre obbligato a guardare dalla parte dove tu sei. Ti trovi talora in una società o ritrovo, e quel cotale non trova bello se non ciò che è tuo o piace a te; non sa discorrere se non con te e di te; trova eloquente il tuo silenzio, affascinante il tuo parlare, e se suoni, o canti, o dipingi, non v'ha per lui chi suoni, canti, o dipinga come tu fai. Io sono ben aliena dal distoglierti dall' idea di un giusto e buon collocamento; ma ti assicuro questa non è la via per ottenerlo, e se ti vedessi attorno uno di codesti vagheggini non esiterei a dirti: metti la briglia al cuore, non è costui che ti vuol chiedere in isposa, non è costui che renderà invidiate le tue nozze e il tuo focolare. Eppure, pare incredibile, io so di qualche giovinetta che si strugge d'invidia, vedendo taluna delle sue amiche soggetto di una simile cortigianeria. Inconsiderata! e non capisci che questo è un agguato del maligno per rubare il cuore dell'inesperta? Sì, probabilmente tu sarai chiamata da Dio a ricevere il settimo Sacramento; ma se lo vuoi ricevere degnamente, devi prepararti ad esso con raccoglimento e con fede. Sì, probabilmente tu sarai chiamata a donare il tuo cuore ad un uomo...; ma se vuoi riceverne il suo in cambio, bisognerà che il tuo si conservi vergine, intatto, non offuscato da nessun alito, da nessuna macchia... Sì, probabilmente il Signore benedirá le tue nozze; ma se vuoi che copiosa scenda la benedizione sul tuo capo, fa che il tuo velo nuziale sia candido ed immacolato come il giglio che rappresenta la tua purezza, odoroso come il fiore d'arancio che s'intreccia nella tua chioma!... Ma forse, forse, neppure tu sei chiamata a porre in dito quell'anello che nel suo circolo senza sortita rappresenta la continuità del vincolo che con esso si suggella: forse tu sei destinata ad essere l'appoggio dei vecchi giorni dei tuoi genitori, ovvero il bastone e la guida dei minori fratelli e dei nipoti... Forse Gesù ti vuol fare sua sposa... Pretenderesti forse, col legare e vincolare il tuo cuore ad un uomo, di mutare il tuo avvenire? Oh! no, il buon Dio vuole per te quello che è pel tuo meglio; vuole per te quello che ogni giorno tu gli domandi dicendo: Sia fatta la vostra volontà; e se sprechi il tuo cuore, se lo sciupi in folli amori, quel povero tuo cuore tornerà a te sanguinante, indebolito, incapace di forti e santi affetti! Fanciulla, io ti amo, ti amo molto in Dio; ma non ti conosco, e, ti conoscessi ancora, sarei bene stolta se pretendessi, nuova Sibilla, vaticinarti la sorte che ti attende. Quello però che so infallibilmente si è che sarai chiamata a formare ed a reggere una famiglia. Colui senza del quale neppur uno può essere toccato dei tuoi capelli, se saprai infrenare gli affetti tuoi, ti presenterà l'uomo del quale assumerai il nome, i diritti, i doveri, vivessi, tu pure lontana dalla società, in un monastero o perfino ti trovassi relegata in una spelonca. Che se sarai chiamata a vivere celibe, l'essere circondata da mille adoratori, nè il brillare in società per le più belle e vistose doti, non ti gioverà punto a procurarti ciò che tanto ambisci e che per te sarebbe certo un male. In ogni modo, sia che ti mariti o no, non devi donare il tuo affetto ad un uomo prima ch'ei t'abbia chiesta in isposa, e prima che tutto sia combinato e sia prossimo i tempo di congiungerti a lui. E poi non basta; dà a quell'uomo il tuo affetto con misura e con ritegno, prima di essere a lui unita in modo indissolubile, perchè potrebbero nascere ostacoli tali da allontanarlo da te, e rendere vane le trattative precedenti. Che ne sarebbe di te se tutto gli avessi abbandonato il tuo cuore? Un fatto si può dir giornaliero, e che tu stessa potrai constatare se addentri un momento lo sguardo nelle famiglie che ti circondano, si è che sono più strette e più invidiabili quelle unioni le quali non sono state iniziate con pazzie amorose. E ciò è ben naturale, se consideriamo che appunto chi è facile una volta a donare il suo cuore, senza ritegno nè precauzione di sorta, non saprà poi infrenarlo allorchè sarà consacrato irrevocabilmente al compagno ricevuto da Dio. I divorzj, le guerre delle famiglie, quelle guerre intestine che ne rovinano gli animi e gl'interessi, quei blasoni caduti nel fango, le discordie d'ogni maniera, se risaliamo all'origine, non la troviamo forse sempre in un amore mal collocato, intempestivo o colpevole? Se tu mi dicessi che ti è fatica porre la briglia al cuore, io ti risponderei che neppur io la credo agevole cosa; ma la credo bensì possibile, possibilissima coil'ajuto di Dio, se conscia della tua fiacchezza ed impotenza ti rivolgerai a Lui per essere sorretta e guidata. Sì, tieni la briglia del tuo cuore in modo che sia sempre in tua mano il dirigerne e regolarne gli affetti, tel ripeto, e qualunque sia lo stato al quale ti chiamerà la Provvidenza, sarai sempre contenta e fortunata, se potrai dire; il mio cuore l'ho custodito gelosamente. Non ti fidare per pietà di te stessa, di chi ti guarda, ti ammira, ti adora! Pensa che Dio solo è degno delle nostre adorazioni: Lui adora, Lui ama, a Lui cerca dirigere sempre il tuo cuore; a Lui pensa prima di donarlo a chicchessia, fosse pure un angelo sceso dal cielo, fosse... A Dio, a Dio il tuo cuore! non lasciarne la briglia a nessuno se non a Colui che te lo ha donato così ricco di affetti, di buone inclinazioni. No, non te lo lasciar rapire: guardati dai ladri!

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Ma rimarresti priva d'appoggio se rifiutando una cosa, non ne abbracciassi subito un'altra che te ne compensasse, se cioè abbandonando le illusioni mondane non ti attaccassi di proposito al Signore; tu avrai, ne son certa, fatto al buon Dio le tue proteste di voler servire Lui solo, e di adoperare tutti i mezzi per servirlo più fedelmente che per te si possa, rinunciando per sempre a tutto quanto non conduce a Lui, fine unico, meta sicura della nostra esistenza. Oh! se nel tuo cuore Iddio ha posto queste buone risoluzioni, e tu hai amore a coltivarle, vorrai certamente accogliere i miei consigli, e seguire la via che io ti indicherò per le varie occorrenze, pei diversi stati dell' animo tuo e della tua condizione sociale. Io vorrei poter spargere il tuo cammino di sole rose; ma non posso ingannarti; le rose ci sono sì ma alla meta; talvolta ne troverai anche qualcuna sulla tua strada, e sarà per incoraggiarti a proseguire il tuo viaggio; ma la strada è difficile, angusta, spinosa, nol so, nè il posso, nè il voglio dissimulare. Ma te l'ho detto e tel ripeto: il giogo del Signore è soave e il suo peso è leggiero, ed armata da un vero orrore al peccato, animata da un vivo desiderio del bene, la strada difficile, angusta, spinosa alla carne, diventerà per te agevole, cara e perfino amabile. Non credi alla veracità delle mie parole? Prova, e vedrai. Ti sei mai provata nella state a camminare per le viuzze scoscese del monti? Dimmi; talvolta la fatica della salita, il caldo, i sassi pungenti, le siepi che buttavano i loro rami intralciati sul tuo sentiero, tentavano di farti troncare a mezzo la tua ascensione, e taluna delle tue compagne ha ceduto alla tentazione, e s'è arrestata prima di raggiungere l'altezza. Ma tu pensavi:se mi fermo qui non godo le delizie del piano nè quelle del monte: avanti, avanti, lassù godrò finalmente e riposerò. Ed animata da questo pensiero hai proseguito l'erta faticosa; hai sudato ancora, hai lacerato perfino la veste; ma quando le tue forze pajono esaurite ed il tuo respiro si è fatto ansante, l'occhio tuo è colpito, entusiasmato da una stupenda veduta. Dio Vi ringrazio! tu hai esclamato, ed il tuo piede dimentico delle passate fatiche corre e folleggia su quell'amena prateria, d'onde domini i monti ed i colli che stanno a' tuoi piedi, i laghi, i fiumi, le selve, i burroni, e ti senti signora di tutto, e la tua anima spazia nell'infinito, e da ciò che vede entra nel campo di ciò che non vede se non coll'occhio della fede, e si bea in un godimento così intenso da farle disprezzare le fatiche superate per giungervi. Nè basta; il tuo corpo sente bisogno di refrigerio, tu corri in una capanna dove stanno i pastori a custodire il gregge, trovi del latte, lo bevi con incomparabile piacere da una ciotola di legno; ma quel latte ha una dolcezza non mai provata, ha un sapore, un condimento superiore ad ogni altro. Poi non sai saziarti di vedere, di visitare quei pascoli, e t'interni sotto una selva ombrosa a cogliere ciclamini, e ti sporgi su quel masso dal quale si dominano le sottostanti praterie che sono a loro volta la cima dei monti più bassi, e ti siedi all'ombra dei cipressi e dei pini, ed aspiri l'aria imbalsamata e piena d'aromi salutari, e pensi... Oh! quanti pensieri, allegri, malinconici, ma tutti belli, tutti soavi, poichè l'aspetto imponente, maestoso della natura sa inspirare sentimenti nobili e delicati; io credo che se si potesse sempre proporre la contemplazione delle bellezze naturali a colui che sta per commettere un delitto, e si potesse fermare l'attenzione sua su di esse, io credo ch'egli riporrebbe nel fodero il suo pugnale, e muterebbe i suoi propositi. Io mi sono forse soverchiamente lasciata trascinare da rimembranze soavissime, a rischio di abusare della tua pazienza; ma dimmi, se tu veramente avessi fatto quella salita, se tu veramente avessi assaporato quelle dolcissime emozioni che più volte hanno inondato l'animo mio, non avresti compassionato coloro che spaventati dall'angustia e dalla difficoltà dell'erto sentiero che rimaneva loro a percorrere, o sono rimasti a casa, ovvero a mezza via? Avresti tu rimpianto la loro facile quiete sentendoti rinnovato non solo il corpo a quell'aura vitale, ma più assai la mente ed il cuore? Oh! se non credi che la via che conduce a Dio offra alla sua meta dolcezze incomparabili, prova, prova, e troverai che Iddio nella sua misericordia ne ha sparso il cammino arenoso di oasi confortanti nelle quali troverai tanto grandi conforti, incoraggiamenti e delizie, che animosa non solo correrai, ma volerai sulla strada. Volgendoti poscia a coloro i quali non sanno vincere le difficoltà, farai di tutto per scuoterli, mentre ti muoverà il cuore un senso d'indefinibile compassione pei poveretti che non vogliono superare i primi sforzi dei quali ben presto si troverebbero largamente compensati. Sì, mia cara, i mezzi che io ti proporrò ti parranno difficili e gravosi, poichè il corpo nostro, intollerante di qualunque peso, rifugge da quanto ne ha l'apparenza, e si sobbarca invece facilmente a quanto gli s'impone senza avvedersene. Ma se tu vuoi il tuo vero bene, se odii il peccato, non c'è altra via di scampo che questa; andare a Dio e distaccare il cuore dalla terra, da tutto quanto è terreno, toccandone solo quel tanto che ci prescrive il dover nostro. Che se tu pretendessi servir Dio ed in pari tempo servire il mondo, faresti come colui che cammina sopra un letto di arena: si sforza di correre e più alza il piede, e più il piede si sprofonda nella sabbia, ed anzichè andare avanti torna indietro; finchè trafelato ed ansante si decide a raggiungere il punto più vicino di terra soda, od afferra una tavola od un ramo che la provvidentissima Provvidenza gli presenta, e gettatolo sopra l'arena cammina sovr'esso sospirando il termine che finalmente raggiunge. Sì, il mondo, la società è un banco di arena che si mostra all'occhio inesperto piano e lucente; ma quel banco esaurisce le forze, fiacca la volontà e invade di scoraggiamento chi non sa abbrancarsi alla tavola di salvamento, che a Dio riconduce. Alcuni mesi or sono allorchè mi trovavo in villeggiatura, in una gita di diporto mi recai presso all'Adda, e questa avendo deviato dal suo cammino, lasciava scoperto una parte del suo letto divenuto così uno smisurato banco di arena. Fu là che io tentai di correre, e vedendo come il mio piede s'immergeva laddentro e faticava poi immensamente ad uscirne, pensai: così è della società se vi si immerge; addio salvezza; se si ha cura di poggiarvi leggiero il piede e in certo modo la si sorvola senza attaccarvisi, allora soltanto si raggiunge presto e felicemente la meta. Quando toccai quella specie di spalto protetto dall'ombra di spessi ed alti salici che costeggia l'arena, mi volsi addietro, e meditai!... Medita tu pure; rinnova col tuo orrore al peccato le tue sincere proteste di volere veramente servir Dio, e accetta benevola la mano che come tenera maggiore sorella io ti porgo per ajutarti a superare le tentazioni non solo, ma le difficoltà che ti si frapporranno perfino nell'adempimento dei tuoi doveri. Non dissimulo un senso di timore e di vergogna nel pormi a tua guida; ma Iddio lo vuole, ed io giovandomi dell'esperienza delle mie stesse cadute ti avvertirò del pericolo, di additerò il rimedio, e mi sforzerò di parlarti con tanto amore, da persuaderti che ti amo assai, ma che in te stimo ed amo assai più del corpo infermo e caduco, lo spirito elevato ed immortale. Sì, io ti amo davvero, perchè so che da te giovinetta dipendono le sorti di quella famiglia che forse ti verrà affidata da Dio; dipendono le sorti di tutte o di molte famiglie che dalla tua avranno origine ed attinenza; dipendono infine le sorti della società la quale non è altro che un insieme di molte famiglie. Oh! se tutte divenissero come diverrà sicuramente la tua, ove tu segua l'impulso della grazia, la sociètà cesserebbe di essere un banco di arena che ritarda il piede, lo fiacca, gli rende difficile la via che conduce a Dio, quella via che conduce ad una felicità che non avrà fine giammai, e che io auguro di cuore a te, a tutti coloro che porteranno il tuo nome, a tutti che avranno qualche rapporto con te.

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Il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e quantunque corra tra noi e Lui ben maggiore distanza che tra il nulla ed il tutto, pure noi possiamo in qualche modo trovare in noi medesimi un riverbero ed un riflesso lontano dei diritti ch'Egli ha sopra di noi, misurando quelli che noi abbiamo sopra le persone a noi soggette. Tu hai, poniamo, un numero di servi, od anche, poniamo, una sola persona la quale ha l'obbligo di prestarti i suoi servigi, anche perchè da te beneficata con grandi sacrificj; costei non ti contenterebbe punto se anzichè servirti ti oltraggiasse, e mangiasse il tuo pane per tradirti. Oh! certamente tu la rimanderesti senza indugio come indegna ed immeritevole dei tuoi favori. Ma dimmi, ti sarebbe gradita un'altra domestica la quale si contentasse di prestarti quei servigi ai quali è più strettamente obbligata, non curandosi poi affatto di secondare i tuoi desiderj, di proteggere i tuoi interessi, di tutelare il tuo nome? Lo ripeto; i rapporti esistenti fra creatura e creatura sono incomparabilmente ed immensamente inferiori e distanti da quelli che passano fra la creatura ed il suo Creatore: pure sono sicura che tu, come neppur 13 io, ci contenteremmo di una servitù così materiale, dirò anzi forzata ed ufficiale; ma cercheremmo qualcuno che non istesse a misurare proprio col compasso quanto ci deve, geloso anche di darci un punto solo di più di quanto abbiamo diritto di pretendere. Or bene, e Dio? e Dio si contenterà poi che noi facciamo strettamente e materialmente le opere esteriori di religione e di carità, senza che il nostro cuore sia interessato degli interessi suoi, vale a dire della sua gloria, della salute dell'anima? Oh! no, il Signore vuole più specialmente e prima di tutto il tuo ed il mio cuore. Sì. E poichè mi è più caro parlare dei tuoi che dei miei bisogni, ti ripeterò: il Signore vuole il tuo cuore. Egli, lo sai, non ha bisogno nè del tuo culto nè dell'opere tue per essere beato. Egli ha bisogno del tuo culto e dell'opere tue per far te beata; ma per farti beata Egli vuole anzitutto il tuo cuore. Come un corpo senza lo spirito vitale non è che un tronco morto, inutile e fetente, così un individuo senza il cuore è per Iddio uno schiavo per timore, non un figlio, e le opere sue anzichè grate, gli sono ributtanti, perchè non animate da quello che Egli vuole da noi, amore, amore, amore. Vi sono taluni i quali vanno alla Chiesa con frequenza, con frequenza vanno ai Sacramenti, con assiduità dicono pubblicamente e forse con ostentazione le loro preghiere, e credono con ciò di aver pagati i loro debiti col Datore d'ogni bene; ma se le loro pratiche non sone state animate dalla retta intenzione di piacere a Lui solo, anzichè degne di premio, saranno opere morte, quindi inutili, e non potranno meritare la mercede promessa al giusto. Che se poi taluno facesse le pratiche di pietà con ipocrisia, e solo perchè trovandosi fra persone religiose vuol comparir buono e virtuoso, guai a lui, guai! L'ira di Dio non tarderebbe a colpirlo, poichè il Signore ha già pronunciato quella gran sentenza che condannava gli ipocriti, e li diceva sepolcri imbiancati. Ma perchè parlo io d'ipocrisia con te, che sai e senti che se gli è peccato mentire agli uomini, è un sacrilegio orribile il mentire a Dio? Sì, tu lo sai, oltre all'essere enorme offesa alla divina Maestà il mentire a Dio, gli è anche un enorme inganno che facciamo a noi medesimi, poichè Dio vede l'interno, Dio conosce tutto quanto è agli altri celato, e legge nelle interne pieghe del nostro cuore. Ma ripeto, tu le sai, tu le senti queste verità, tu vuoi servir Dio perchè lo credi e lo ami; tu vuoi pregar Dio, perchè sai che da Lui soltanto ti piove ogni benedizione; tu vuoi difendere e caldeggiare gli interessi di Dio, perchè il tuo maggior interesse è quello di promuovere la sua gloria. Tu infine servi, preghi, confessi Dio davanti ai buoni come davanti ai tristi, davanti a chi te ne loda come a chi te ne biasima, nelle virtù eroiche e vistose, come nelle virtù minute e celate, poichè non hai altro movente che la tua fede in un Dio potente, la tua speranza in un Dio rimuneratore, la tua carità in un Dio amante, il quale ha dato la vita per te, e pel quale tu saresti pronta a dare giocondamente la tua. Dio vuole il tuo cuore, e tu glielo dai. Chi più di Lui ha diritto di possederlo? Ma Dio è anche buon pagatore, e largo compenso prepara alla tua offerta, col consolarlo questo cuor tuo, col migliorarlo, coll'assisterlo in tutte le sue lotte, col proteggerlo sempre, e col preparargli godimenti eterni. Dimmi: la stessa promessa del Paradiso non è un dono immensamente maggiore del tuo? E quei poveretti i quali non sanno che vi è un Paradiso, o non vogliono credervi, non sono veramente da compiangersi? Oh! davvero preghiamo molto molto per essi, e tu cerca di compensare l'eterno Amore col dono di tutta te stessa, ripetendogli ogni giorno, ogni momento: Prendete il mio cuore, prendetelo tutto, prendetelo intero anche per quelli che non Vi conoscono e non Vi amano. Prendete, o buon Dio, il mio cuore! Nè tu devi paventare di perderci e d'impoverire donando a Dio il tuo cuore, poichè anzi questo medesimo dono sarà in te inesauribile sorgente d'intellettuale e morale ricchezza, mettendoti alla partecipazione dell'istessa virtù divina, e non lasciandoti più debole, isolata nelle tue sole forze. Dimmi, e come spiegheresti tu altrimenti quei miracoli di virtù di eroismo e perfino di scienza che vediamo talora effettuarsi in certe anime privilegiate, le quali toccano la terra senza venirne contaminate? Come spiegheresti la forza d'animo, di mente, di volontà dei Padri del deserto e segnatamente di un S. Girolamo, ove tu non sapessi che lavorando essi unicamente per Iddio, toglievano da Lui quelle doti che li facevano, e li fanno tuttora, parere d'una natura superiore alla nostra? Come spiegheresti la prodigiosa attività di un S. Tomaso d'Aquino, il quale, levatosi come aquila nelle spiegazioni dommatiche più astruse e più delicate, aveva in sè una fecondità inarrivabile da far credere che, invece di quarantanove anni, abbia vissuto dei secoli parecchi in continuo lavoro? Come spiegheresti l'acume dell'intelletto e la profondità della dottrina e la dolcezza del cuore dell'autore dell'Imitazione di Cristo, di S. Francesco di Sales e di tutta quella schiera luminosa che ha parlato di Dio e difeso le sue verità? E fin qui ho toccato solo della scienza di alcuni; ma dimmi chi potrebbe noverare gli atti di sublime eroismo di tutti coloro che avendo consacrato irrevocabilmente a Dio il loro cuore, hanno avuto una partecipazione più splendida e più speciale della divinità? So che alcuni spiriti limitati ed ignoranti si piacciono di tacciare il cattolico di aver lui attribuito arbitrariamente ai Santi, coll'aureola di una santità che essi negano perchè non la comprendono, una storia fallace, od un mito, come dicono essi, da crearne degli eroi. Ma se tu sentissi uno di costoro parlare in siffatto modo, non potresti confonderlo con una sola parola, mandandolo ad esaminare quei tesori di scienza che di quelli ci sono rimasti, e sono tuttora la base su cui si fondano le scienze tutte, non solo le divine, ma altresì le scienze umane e naturali? Non si stanno adesso rimettendo in luce, riunendo e rinnovando le molteplici edizioni della grande biblioteca che è il parto della sola mente dell'Angelo delle scuole? E dimmi, chi non sa che le lettere, le scienze, e talora anche le arti, hanno avuto culla, incremento nelle case religiose, in quei conventi che or si vogliono sopprimere, perchè s'accusano d'inceppamento all'aprirsi e allo svilupparsi delle idee? Chi non sa che fin verso il duodecimo secolo i monaci soltanto hanno acceso ed alimentato il focolare delle scienze e delle lettere, e che gli stessi liberi pensatori, i quali si vantano di tutto negare e di dubitare di tutto, devono ricorrere a quegli antichi oscurantisti se vogliono saper qualche cosa delle scienze delle quali si fanno maestri? E più tardi e sempre i pittori, gli scultori, gli artisti d'ogni maniera non hanno ricorso a coloro che avevano donato il cuore a Dio, per avere eccitamento e compenso ai loro studj, alle loro fatiche? Non furono i Papi i mecenati di Raffaello, di Michelangelo, e giù giù fino a noi, di tutti gli artisti? Non l'ignoro: non si vuol più sentir parlare di Santi, nè di Papi, nè di monaci; ma io ti vorrei raccontare del sommo Alighieri, se tu già nol sapessi prima di me, come egli, il grande poeta, non isdegnava recarsi col suo quaderno sotto il braccio, da un umile fraticello per fargli rivedere, mano mano che gli usciva dalla penna, quell'apologia del cristianesimo che s'intitola la Divina Commedia. Nel XV secolo un uomo di nobile lignaggio, ma caduto in basso stato, si vedeva obbligato per campare la vita di consumare le ore del giorno e della notte in copiare, dico copiare codici e carte, e il meschino guadagno bastava appena a mantenere lui e il vecchio padre ed a guidare i fratelli sulla via del lavoro. Senonchè sotto povera veste era un'anima ricca, e tanto più ricca perchè per trovare il suo cuore doveva, risalire a Dio nel cui seno lo aveva deposto. Venne un giorno, e non fu lontano, che, morto il padre, quell'anima fremette dei vincoli già troppo lungamente subìti, e volgendo dentro di sè grandi pensieri si diresse alle repubbliche, ai sovrani ai grandi della terra per avere appoggio ed ajuto. A somiglianza del Cristo ch'egli imprendeva ad imitare, fu rimandato da un luogo all'altro e sempre senza frutto, trattato da fanatico e da visionario, finchè esauriti i meschini avanzi dei lunghi e faticosi suoi lavori, esausto di forze bussò alla porta di un monastero, a chiedervi il pane, sì il pane! Un uomo qualunque avrebbe dato la sua limosima al mendico, credendolo un mendico comune. Ma il monaco era un uomo illuminato da quel Dio cui aveva donato il suo cuore, e nel mendico fiaccato dagli stenti intravvide l'eroe e non solo fu sollecito a dargli un pane ed una veste; ma lo ricevette immediatamente nel convento, e lungi d'imporgli come credono taluni la tonaca e la cocolla, per solo amor del Signore gli prestò asilo, una ricca biblioteca, i frutti dei proprj studj e della propria esperienza ed altissimi appoggi, nè fu pago finchè non gli riuscì di metterlo in grado di porre in esecuzione gl'incompresi suoi progetti. Ecco finalmente un uomo salpare con numeroso equipaggio il grande Oceano: egli è coraggioso, perchè animato da una fede profonda, da una ferma speranza, da una carità ardentissima, e trova in Dio la forza di superare e vincere l'acerba lotta di quegli stessi uomini che dovrebbero amarlo, difenderlo, ajutarlo. Un giorno i marinari fanno una terribile cospirazione; giurano di gettar in mare il loro condottiero perchè non trovano la terra ch'egli ha loro promesso. Il nero giuramento sta per essere posto in esecuzione; ma il condottiero non è un uomo comune e riesce a sventarlo: egli chiama in ajuto quel Dio al quale ha donato il cuore, ha consacrato la vita, e forte della forza stessa dell'Altissimo acquieta l'ammutinato equipaggio, gli promette che di lì a tre giorni vedrà e toccherà la terra, e alla parola dell'uomo inspirato dallo spirito del Signore, la ciurma si piega come per incanto... e rinuncia a' suoi neri progetti. Ma Cristoforo Colombo, l'eroe dei due mondi, dove ha trovato tanta forza d'animo, tanta costanza da superare e vincere gli ostacoli pressochè infiniti che si frapposero alla sua impresa? Tu lo sai, egli l'ha trovata in Dio, perchè egli amava Dio, perchè egli ardeva di portare la fiamma del divino amore in paesi ignorati, perchè egli aveva promesso a quel Dio di piantare la croce sul primo punto di terra che gli sarebbe dato di scoprire. E con quanta commozione, con quanta solennità egli inalberasse il segno di nostra salvezza nel primo momento in cui poneva il piede sul suolo che il suo genio e il suo cuore avevano vaticinato, tu lo sai nè lo puoi richiamare senza inumidire le ciglia. Dicano pure gl'increduli ciò che loro talenta per oscurare la fede del grande scopritore e dell'ancor più grande cattolico; ma mi spieghino poi com'egli sia riuscito a sventare la tromba marina che stava per investire il suo legno, se non vogliono confessare che fu col leggere il primo capo del Vangelo di S. Giovanni, di quel Vangelo che era la sua quotidiana meditazione, l'incessante suo conforto. Mi spieghino coloro che tutto negano, mi spieghino chi ha dato a Colombo la forza di perdonare agli accaniti suoi nemici che tutto gli tolsero, tutto perfino la soddisfazione di dare il nome suo alla terra di cui egli solo aveva ideata la esistenza, e da lui solo ritrovata con inauditi stenti e privazioni. Mi dicano infine come e perchè Colombo morente volle seppellite con sè le catene dell'ignominiosa prigionia, lasciando per testamento la proibizione assoluta di vendicarle. Ove io non avessi chiara la spiegazione nell'eroismo cristiano, unico movente del grande Genovese, tutto mi riuscirebbe un enimma indecifrabile, chè tutte le ragioni umane che mi si potrebbero addurre non avrebbero maggior peso delle fiabe solite a raccontarsi ai bambini creduli ed ignoranti. E poi si dirà che l'aperta professione del culto cattolico è la risorsa delle piccole menti? E poi ci sarà chi avrà l'impudenza di vergognarsi della propria fede, quando i suoi campioni sono stati pure i campioni dell'umanità? E poi si dirà che consacrare a Dio il proprio cuore sia opera inutile, o meschina, o minuta, necessaria od utile soltanto ai claustrali? Oh! tu, come Colombo, dà a Dio il tuo cuore, e come lui guadagnerai nel donare, poichè n'avrai in ricambio la più ampia benedizione! Scusami, è tanto bello l'esempio di Colombo che mi sono lasciata tentare a parlartene troppo lungamente, e mi ci vuole una specie d'eroismo a troncare a mezzo tutto quanto potrei dirti di lui. Ma il buon Dio, il quale ha permesso ti ragionassi di un suo servo che sarà probabilmente innalzato all'onor degli altari, avrà io spero, infuso nel tuo cuore una salutar vergogna della tua vergogna istessa nel professare apertamente e pubblicamente le tue convinzioni religiose non solo, ma benanche nell'osservarne le pratiche. Gli uomini superbi i quali non vogliono piegare la fronte dinanzi a Dio, la piegano poi dinanzi a quegli altri uomini che son loro superiori; il cristiano invece, no, non la piega mai la fronte all'uomo, ma al solo Dio, la di cui autorità soltanto venera ed obbedisce in chi ne è investito. Dunque, figliuola buona, facciamoci coraggio amendue: tu in ascoltarmi efficacemente e con amore, io in ripeterti quanto la cara Madonna mi suggerirà pel tuo vero bene. Oh! perchè non ho il genio penetrante del gran vescovo di Ginevra del quale oggi corre la festa? perchè non ho l'unzione della sua parola per trasfondere nell'animo tuo un salutare orrore al peccato, una volontà energica di tutto donare a Dio il tuo cuore, di agire unicamente per Lui, e il proposito fermo di diventare tosto santa e il più possibilmente gran santa? Esaudisca il Signore le mie fervide preci, e tu sarai non solo una damigella modello e l'angelo della tua famiglia; ma diverrai altresì l'angelo salvatore della società. Tel ricorda sempre: Dio vuole il tuo cuore!

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SPERO che tu, mia buona amica, non avrai interpretato a rovescio le mie espressioni di jeri, come suol farsi da taluni, i quali si studiano di stravolgere siffattamente le intenzioni altrui da farle parere tutt'altro da quel che sono, e riescono di trovare alcuni, anzi moltissimi creduloni, i quali prendono per Vangelo le loro parole, e si persuadono, per esempio, che Alighieri, Colombo e Manzoni non erano altrimenti cattolici e veri credenti. Non ci sono forse le opere loro le quali parlano coll'eloquenza della verità e del fatto compiuto? Or bene, non t'impaurire; finisco tosto la predica. Quando jeri ti diceva che io pure desidero tu coltivi il tuo spirito e lo adorni di quelle cognizioni che più sono conformi ed omogenee al tuo ingegno, e talvolta necessarie ed utili nella condizione in cui ti trovi, mi sono lasciata sfuggire, anzi ho detto con piena avvertenza, che non ti voglio sacrificare eternamente a stringere al seno la conocchia ed a girare fra le tue dita il fuso. Ma, ripeto, non vorrei tu avessi male interpretato le mie parole, e ci avessi letto quanto assolutamente io non ci voleva scrivere, che cioè io dispregi o tenga in minor pregio, di quanto si meritano, le occupazioni domestiche ed i lavori femminili. A convincermi dell'opportunità e dell'importanza di tali occupazioni e lavori, non ci foss'altro, basterebbero le parole scritturali le quali ripetono più e più volte che la donna forte ha cura della sua casa, distribuisce il lavoro fra i suoi servi, si leva di gran mattino e tutto dispone, tutto ordina saggiamente, e non isdegna essa medesima di filare e di tessere quello che bisogna per la sua casa. Del resto io ti ho parlato del regno della donna, e ti ho detto dover essa nella sua qualità di regina tutto governare, reggere con assiduità e con saggezza. Questo implica necessariamente che essa si debba occupare da vicino del suo regime, e non trovi mai e poi mai il caso di cederne ad altri l'impero, poichè tu lo sai, tutti o quasi tutti gli Stati debbono la loro rovina alla reggenza. Lo so bene; in caso di malattia, o di assenza, o di poche altre circostanze eccezionali, essa non può in persona tutto sorvegliare e dirigere; ma ove essa sia donna di proposito, ove essa sia quella donna-angelo ch'io voglio assolutamente tu divenga, pur cedendo altrui le chiavi ed il maneggio della casa, saprà fare quell'inchiesta, staccare quell'ordine o anche solo appoggiare quella raccomandazione, che varrà a far girare il mulino della sua casa sotto l'impulso che essa medesima vi avrà impresso; ed essendo pure la regina inferma, o lontana, il suo spirito sarà quello che governa, che guida, che tutto muove. Ma io doveva aspettare a parlarti delle 16 eccezioni, per parlarti prima della regola; avrò forse fatto male a fare questa trasposizione; ma che vuoi? m'importa tanto e poi tanto dimostrarti non esservi caso in cui la donna possa assolutamente dispensarsi dall' esercizio delle sue funzioni, che non ho potuto fare a meno di dirtelo di botto: del resto non ti lamentare, poichè dubito di non saper finire quest'oggi la mia chiacchierata senza ripetertelo sotto qualche altra forma. Oh! s'io potessi sentire dalla tua bocca che non ti pesano i miei sermoni; s'io potessi sperare che li ascolti volontieri e ne fai tesoro in cuor tuo, quanta, quanta dolcezza proverei quello scrivere per te, quanto minori sarebbero le battaglie dell'animo mio! So che tu sei buona; ma il timore che la sola tua bontà ti faccia tollerare i miei consigli, mi turba, mi desola, mi fa troncare a mezzo molte fiate quanto vorrei e sentirei di dirti. L'imbeccata e l'eccitamento ricevuto dall' autorevole persona che mi parlava in nome di Dio, ed in pari tempo da due mie amiche carissime, di scrivere un libro per le damigelle cattoliche che dal collegio sono sbalzate nel mondo e nella società, hanno risposto ad un desiderio del cuor mio e mi hanno dapprima inondata di gioja; ma più tardi lo sgomento mi ha invaso, m'invade tuttora, e ho deplorato e deploro di non aver lumi e parole sufficienti per disimpegnare il dolce, ma gravissimo incarico. Ma se è vero essere volere del Signore che tutta m'impiegassi in amare le care giovinette, in giovar loro coi miei poveri scritti, oh! io cercherò di amarle tanto tanto che esse saranno costrette ad ascoltarmi, e dove non giunge la mia mente limitata, supplirà la loro volontà retta e fervente, e si attaccheranno più che mai al Signore. Ma Voi, Voi, Madre del bell'amore e della dolce speranza, Voi ajutatemi, Voi prestatemi quella soave unzione che penetri i cuori e vi rechi quella semente portentosa atta a produrre frutti di vita. Perdonami, figliuola, questo sfogo già troppo lungamente represso, e se il maligno ti tenta e la noja sta per impossessarsi di te, pensa all'amore ch'io porto all'anima tua, all'amore col quale ti parlo, dà un'occhiata al cielo, continua la tua lettura, e fa di cavarne profitto. La donna a qualunque classe appartenga, sia nobile o plebea, dama od operaja, colta od idiota, ricca o povera, una volta che si trova chiamata a governare una famiglia o ad ajutarla, secondo è sposa o madre, figlia o cognata; la donna è obbligata ad essere prima di tutto donna, e cioè a disimpegnare tutta la domestica azienda o quella parte che le spetta, colla maggiore esattezza e colla maggior coscienza. Una povera donna che, madre a una nidiata di bambini, si trova necessitata non solo a governare la famiglia, ma a correre alla bottega o all'officina a guadagnarsi il pane da recare ai cari nati, è per me un personaggio rispettabile al cui passaggio m'inchino, venerandone l'alto ministero. Ma se il ministero della donna povera, operaja, carica di famiglia, è elevato e venerabile, ma insieme duro e faticoso, quello della donna di civil condizione non è meno elevato e venerabile; e se è meno duro e faticoso, è però più difficile e delicato. Io non sono un banchiere, nè m'importa di conoscere quali sieno i tuoi mezzi di fortuna ed il posto da te coperto in società. So che tu appartieni ad una condizione civile, fors'anche signorile, pure non so, nè posso, nè voglio dispensarti dalla penosa direzione della tua casa. Ora tu sei ancora fanciulla, e non ti spetta che di secondare gli ordini della massaja; ma un dì, e forse vicino, sarai alla tua volta chiamata a fungerne gli ufficj, ed io voglio dirtene fin d'ora l'estensione e l'importanza. Quando ti mariterai, vorrei sperare tu concedessi l'onore a questo libro di far parte del tuo seguito, ed allora tu lo rileggerai e non ti sarà discaro trovarvi delineati i principali tuoi doveri di madre di famiglia. Incominciando dalla gran dama, e scendendo giù giù fino all'umile donna del volgo, tutte, lo sappiamo, sono strette da una identica obbligazione, quella di studiare e di conoscere i membri della loro famiglia, di metterli in armonia tra di loro, di assegnare ad ognuno un posto ed un impiego, in modo che tutti sentano il bisogno l'uno dell'altro, e ciascuno si trovi appoggiato e libero, ed insieme soddisfatto del proprio stato. Chi non vede come questo incarico richieda una finezza di tatto, una giustezza di vedute, che tutti non posseggono, anzi che pochi posseggono? Appunto per questo molti focolari sono turbati, e non regna in essi quell'invidiabile quiete che allieta tanti altri, e ch'io auguro e pronostico al tuo. La donna posta al governo della famiglia deve studiare gl'individui che la circondano, studiare e conoscere quanto possa da loro attendere e pretendere, e fare in modo che nessuno resti disoccupato, o trovi nojoso il tempo da rimanersene in casa; ma anzi far sì che la casa sia per essi un caro nido, un'oasi deliziosa che ne formi il desiderio ed il sospiro, quando gli impieghi od altre occupazioni ne li tengono lontani. Per ciò non sarà mai abbastanza raccomandato che l'ordine domestico sia il più possibilmente perfetto, e che sia osservato puntualmente l'orario stabilito dei pasti, affinchè non nascano inquietudini per la mancanza di questo o di quell'oggetto, o pel ritardo o per l'anticipazione del desinare o della colazione. Non basta quindi che la donna ordini una volta per sempre quanto devesi fare; ma è necessario essa invigili sui servi, molti o pochi che essi sieno non importa; bisogna ch'essa sorvegli affinchè tutto sia fatto come conviensi e non in un modo qualunque, sibbene in modo soddisfacente. Essa deve personalmente occuparsi non solo della pulitezza della casa e della salubrità delle vivande in generale; ma non dico ogni dì, ma sempre quando il richiegga il caso, essa deve entrare in cucina, rovistare ogni armadio, ogni pentola, ogni nascondiglio per accertarsi che la nettezza e l'ordine si trovano dappertutto; nè tema venga compromessa la sua dignità od il suo grado nell' occuparsi di queste cose, poichè anzi l'occuparsene che essa fa la dice non solo esperta nelle domestiche faccende, ma che sa e può e deve reggere la famiglia sottoposta al suo governo. Se si dovesse misurare la dignità, e credere tanto più alto uno quanto più è disoccupato, si dovrebbe dire che le donne in Turchia hanno una dignità assai maggiore della nostra, poichè non sono reputate buone a nulla, su di esse non pesa responsabilità di sorta, e non hanno altro a fare che sorbire bevande spiritose o refrigeranti, fumare e starsene sdrajate su morbidi tappeti! Poverette! esse erano come noi create ad avere una famiglia, a reggerla, e l'uomo ha invertito la loro missione, le ha abbrutite! La donna che merita o vuol meritare questo nome, poichè donna vuol dire signora, derivando da domina che significa appunto regno e comando, deve avere sopra ogni altra cosa carissima la sua casa; e se per l'elevatezza dell'ingegno, o pel suo grado sociale, o per espresso o tacito voler di Dio essa è destinata ad occuparsi, e si occupa effettivamente in opere letterarie o scientifiche; io non esiterei ad emanare il mio verdetto di condanna se queste opere, benchè eccellenti in se stesse e dirette al bene della società, valessero a renderla dimentica od anche solo trascurata nel regime della sua casa. Io non pretendo nè voglio, e neppure amo che la donna sia unicamente intesa all'ordine ed al comando materiale della famiglia, e tanto meno che essa ne esageri i doveri, e diventi così il martello non solo della servitù, ma altresì del marito e dei figli, vedendo in tutti altrettanti congiurati a mandar in rovina ogni cosa, a buttar tutto sossopra. Da ciò nascerà, come naturale conseguenza, che se un servo od un figliuolo faccia alcun danno, sarà tentato a nasconderlo, quindi a fingere e più tardi perfino a mentire ed accusare e calunniare gli altri. Da ciò deriva poi che il marito ed i figli adulti, per non essere continuamente seccati, preferiscono starsene le lunghe ore nelle case altrui, nei ridotti, nei caffè, con quanta edificazione e con quanto vantaggio della società e di sè stessi, si puo ben immaginare. La donna, lo dico un'altra volta, deve saper occuparsi di tutto, vedere se le vivande sono sane e ben preparate, occuparsi del prezzo dei viveri, per regolare l'economia domestica in modo che non si spenda più di quanto è necessario per mantenere l'andamento richiesto dai mezzi pecuniarj, dalla condizione e dalle abitudini particolari. Permettimi, cara figliuola, ch'io ti noti qui, come tra parentesi, ch'io vorrei sempre che l'economia domestica fosse molto economica, e lontana ugualmente dallo spreco e dall'avarizia, poichè l'uno e l'altra sono da biasimarsi. Tranne in poche case straordinariamente ricche e signorili, nelle quali sarebbe vera avarizia limitare il consumo al bisognevole, io amerei che la padrona regolasse l'azienda in modo che non andasse nulla perduto. A me disgusta assaissimo quella ghiottoneria che fa meditare l'oggi quello che si potrà trovare il domani per solleticare l'appetito ed il gusto; ma vorrei che semplicemente si badasse a preparare cibi buoni se vuoi e sani, ma, lo ripeto, economici e piuttosto e preferibilmente comuni, perchè oltre all' essere più igienici e meno costosi, non impiccioliscono l'animo coll'occuparlo eccessivamente di quello che dovrà deporsi domani nel ventre. Davvero muovono a schifo taluni i quali meditano sul pranzo che dovranno preparare per il dì vegnente, collo stesso impegno e colla stessa gravità con cui un altro medita una verità di fede, od una scoperta diretta a salvare od illustrare la società. E qui torna in acconcio ripetere che ove la donna sappia saggiamente disporre i pasti, in guisa che ognuno ne sia contento, senza solleticarne eccessivamente il gusto (che per me reputo e classifico il senso meno nobile dell'uomo) verranno ovviati nel regno della donna e quindi nella società molti disordini, e la sobrietà non sarà ultima nè la minore virtù dei suoi sudditi. Per me la donna uomo non la voglio assolutamente; io voglio la donna donna, forte della sua debolezza, che non coi lunghi ragionamenti, ma coll'affetto e colle cure guadagna a sè il marito, i fratelli, i figliuoli; che tutti se li stringe attorno colla forza irresistibile con cui l'ago magnetico trae a sè i metalli, che non arringa, ma prega; che non comanda, ma impetra; che non impera, ma regna con un regno tutto di amore, di condiscendenza, di dolcezza!... Se la donna sarà chiamata ad essere Maestra, Direttrice, o comechessia educatrice, dovrà più che mai essere donna nel cuore, nelle abitudini, nelle opere sue; e se essa dovrà apprendere od insegnare arti o scienze, se vuol conservare il più bel suo distintivo, dopo quello ricevuto col nome di cristiana, dovrà aversi caro e prezioso ritirarsi se non ha altro, nella sua cameretta, occuparsi della sua biancheria, delle sue vesti, affine di concentrarsi in sè stessa e ricordarsi che essa è donna, che ha ricevuto da Dio il dono, il privilegio della direzione della famiglia, che un dì o l'altro vi può essere chiamata, e che essa deve coltivare in sè il prezioso germe ricevuto. Se tu fossi anche una scienziata od una scrittrice, pensa che mentre sei scienziata e scrittrice sei pure donna, e non puoi rinunciare a disimpegnarne le funzioni senza attirare sopra di te i gastighi di Dio. Ma no; io non ti voglio contristare con vane paure, mentre spero tu mi creda, tu mi ascolti, e ti persuada a voler aver soprammodo care le occupazioni domestiche, cominciando dalle più importanti fino alle più minute, per rispondere alla chiamata della Provvidenza. Se tu essendo alla direzione di una famiglia, vuoi occuparti in studj serj, e scrivere, o suonare, o dipingere, fa che la tua famiglia sia regolata in modo che tutto cammini senza intoppo, e ciò avverrà se tu da saggia amministratrice avrai occhio a tutto e sarai pronta al bisogno. Se saprai far parsimonia del tempo, e specialmente di quello che altre tue pari destinano alle lunghe acconciature, alle inutili conversazioni, ai passeggi ed ai divertimenti, ne avrai d'avanzo per occuparti in opere d'ingegno ed occuparti utilmente a soddisfazione del tuo cuore non solo, ma a bene della società. Figliuola carissima, non lo dimenticar mai: se hai ricevuto da Dio il difficile incarico di esporti comechessia al pubblico, tu non lo puoi disimpegnare che prendendone il tempo sulle occupazioni inutili o meno importanti; mai e poi mai su quelle che ti spettano per obbligo di natura, di famiglia o di religione. Quello studio o quel libro che ti costa un disordine o la poca cura della tua casa, quello studio e quel libro fuggili come un nemico.

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Oggi però, dopo d'averci pensato e ripensato, ho deciso che non potevo assolutamente lasciar passare un argomento sì importante senza tenertene parola, ed ho sentito il debito di pensare piuttosto a farti del bene che a farti piacere. Eppure vorrei unire il dilettevole all'utile; ma è così difficile... E poi tu lo sai, e te lo ripeto ancora: io non voglio procurarti il diletto a prezzo della verità, e non ho introdotto nè introdurrò mai un'argomentazione nè un esempio che non sia copiato dal vero, poichè questo libro non è una novella nè un romanzo; e mi parrebbe di commettere peccato unire alla parola inspiratami in certo modo da Dio, un episodio o un racconto o qualunque altra cosa che fosse un volo di fantasia o d'invenzione. Io non ti dirò che l'occuparsi dei lavori femminili sia un'obbligazione della stessa importanza per una damigella d'alto stato, come per una giovinetta che pur essendo di condizione discretamente civile, si trova in tali ristrettezze finanziarie da aver bisogno di cavare dalle proprie fatiche il necessario sostentamento; ma dico e sostengo che tutte le damigelle sono strettamente obbligate ad imparare il cucito, la calza e parecchi altri lavori femminili di necessità o di ornamento. Anzitutto io dirò che la donna, sia dessa plebea o nobile, povera o ricca, è sempre donna, e soprattutto donna, é quindi obbligata ad adempierne colla sublime missione del magistero della famiglia gli ultimi e più bassi ufficj; poi soggiungo non esservi damigella tanto nobile e ricca la quale possa riposare sicura di poter morire nella condizione in cui è nata, e di non aver bisogno un giorno di guadagnarsi il pane colle stesse sue mani. È forse unico o raro il caso di veder dame d'alto stato, decadute così, da vivere meschinamente col meschino ricavo del sudore della loro fronte? Ma ci accadrà di parlare più tardi di questa classe di persone che fa un senso di compassione grandissima a chi ha un cuore sensibile; e tu ed io al solo pensarci ci sentiamo correre un brivido per l'ossa, e ci tormenta lo spavento che un dì tocchi forse a noi pure una medesima sorte! Ma, pel momento passiamo oltre e persuadiamoci bene che se noi, o per ragione di educazione, o di stato o di grado, per dirlo con una proposizione francese, ci credessimo affrancate dall'apprendere i lavori femminili, avremmo un gran torto, e faremmo a noi medesime un vero male. Ma io debbo parlare a te, non a me, quindi, applicando nel segreto del mio cuore a me pure quanto ti dirò, procurerò di rivolgere a te soltanto le mie parole. Riepilogando quanto abbiamo assieme meditato nei decorsi giorni, tu devi amare soprattutto le mura domestiche, le quali ti chiamano, ti invitano a stabilirvi il tuo regno di saggezza, di criterio e di cuore. Oh! sì, il cuore dev'essere sovrano e magnanimamente buono, e il cuor tuo lo sarà perchè l'hai da lunga pezza donato a Dio, ed Egli te lo ridonerà arricchito d'ogni virtù. Per esercitare convenientemente la principale missione della donna e quindi la tua, non ti devi lasciar adescare dalle teorie, che ti si vanno vantando d'emancipazione e di libertà, le quali sono così dissimili dalle teorie della vera emancipazione e della libertà vera, quanto distanno fra di loro una scheggia di vetro da un diamante d'immenso valore. Poi tu devi aver care le occupazioni domestiche, non averle in uggia, e devi prendere sulle tue spalle allegramente quelle che la padrona 17 di casa ti assegna, e quelle che conosci utili o necessarie; intanto ti persuaderai di assumere poi l'intera direzione della famiglia, quando maritata o no, vedrai e conoscerai che la puoi e la devi reggere. Ma qui debbo osservarti che sempre, o quasi sempre, ti sarà giovevole deferire questo incarico alla sposa di casa, od alla madre, od alla suocera, qualora tu fossi appena cognata, od anche essendo sposa, avessi altra donna in casa più anziana di te. Allorchè penserai alla gravezza dell'impegno della direzione, amerai molto meglio obbedire che comandare. All'obbedire ti è facile la via, perchè ti viene segnata da chi o è più pratico di te, o ne ha ricevuto comecchessia il mandato dal Signore, mentre il comandare costa una responsabilità che non sapresti sostenere ove non ti fosse obbligatorio prendere tu le redini, e non avessi ricevuto in conseguenza da Dio i necessarj ajuti. Per porti in grado di disimpegnare convenientemente le occupazioni domestiche, ti bisogna addestrarti da lunga mano nei lavori femminili, perchè oltre che questi ti potrebbero un giorno diventar necessarj a guadagnarti il sostentamento, ove la tua posizione finanziaria venisse scossa, ti sono e ti saranno sempre indispensabili per saper comandare e dirigere. Io credo che la donna non meno dell'uomo non debba mai perdere nè trascurare la buona occasione di apprendere qualche cosa di bene, poichè ogni utile cognizione le può diventare utilissima o in sè stessa o come scala ad altre cognizioni più pratiche; figurati poi se il lavoro d'ago non è sempre per essa non solo una risorsa ma una necessità! Mi pare, o piuttosto dubito che tu non sii ben persuasa di quanto io affermo; ma dimmi un un po', mia cara, dovrai tu sempre ricorrere a qualcheduno per accomodarti la veste, o la camicia, od i guanti? E fossi tu pure una gran dama od una principessa, dovrai tu sempre essere obbligata a ricercare l'altrui ajuto se ti occorre di dare un punto, per riparare ad uno strappo o per fare un lavorino di tuo genio? E poi, se questo mio libro fosse anche destinato ad andare nelle mani di una regina, io scriverei ugualmente che ella pure può scadere dalla sua altezza, che ad essa pure come donna non è permesso ignorare quanto forma la principale occupazione dell' altre donne, e che a lei pure sarebbe imperdonabile porsi in condizione di non saper giudicare di un lavoro femminile, quindi di non saper quanto vale e quanto merita... Ma tu non sei una regina, e s'io debbo pensare al maggior numero delle mie lettrici, nel quale probabilmente tu sei compresa, aggiungerò che non solo ti è necessario saper lavorare per le eventuali combinazioni, ma esserti necessario lavorare di fatto e tenerti ben bene addestrata a questo importante esercizio; se non hai bisogno per te stessa e per la tua famiglia, non avere in uggia di lavorare camicie, calze, indumenti destinati a riparare dai rigori del verno tante povere creature che gemono, che piangono... E ti parrebbe mal fatto la sera, nella conversazione, allorchè i più vecchi giuocano o parlano, tirar fuori di tasca un merletto, un ricamino? Credilo a me; molte ma molte volte quel merletto o quel ricamino, oltre all'esserti utile in sè stesso, ti toglierà altresì dall'imbroglio di un nojoso discorso, o compromettente, o peggio. Sì, sì, credilo a me, non è di cattivo genere vedere una signorina lavorar di trapunto o di maglia quando gli altri si perdono in pettegolezzi, od in chiacchiere inutili e forse in mormorazioni! Poi oltre a queste ragioni ve n'ha una che a tutte le altre sovrasta, ed è che una buona figliuola è obbligata a prestare il suo ajuto anche materiale in famiglia, non solo nelle grandi occasioni le quali si presentano di rado; ma tutti i giorni, a tutte le ore, essa deve esser pronta a fare quel lavoro che richiede il bisogno, o le è comandato da chi sta al governo della famiglia. L'operosità è un preciso dovere per tutti, ed io credo sia dir molto ma molto male di una donna o di una fanciulla, quando la si dice pigra ed inerte. Se la giovinetta è lenta al lavoro e tarda alla fatica, come potrà poi divenir capace di guidare quella famiglia che le sarà destinata, e quale persona di proposito potrà fare assegnamento su di lei per cavarne una buona sposa? È proverbiale ma verissimo quel detto: chi non sa fare non sa comandare. Ed infatti se tu darai a cucire biancherie o vesti, e non saprai tu stessa come si eseguiscano tali lavori, e quanto tempo e quanta applicazione richieggano, non ne saprai apprezzare il merito, e dipenderà dal capriccio del momento che tu li esalti al terzo cielo e li paghi più assai di quello che valgono, o li disprezzi e non li paghi, o non voglia pagarli un terzo del loro valore. Colle donne di casa, colla servitù, con le operaje, diventerai ridicola e cercheranno gabbarti se vedranno di poter fare a fidanza coll'ignoranza tua nei lavori muliebri; mentre se sanno e vedono che tu sai com'esse tener l'ago e l'uncinetto, ti avranno maggior rispetto e maggior obbedienza, e non si vedranno passare da casa tua le persone di servizio, come una fantasmagoria, ovvero come quelle vedute che si cambiano l'una dopo l'altra dentro le lanterne magiche per divertire i bambini. Insomma, persuaditi davvero che il lavoro di mano ti è indispensabile per cento, anzi per mille ragioni, e se pure una parte della tua giornata la vuoi, e senza incomodo dei tuoi di casa la puoi dedicare allo studio, studia in buona pace; ma, ti prego, non isdegnare di mettere tratto tratto il ditale sul dito, di accudire tu stessa alle faccende ed ai lavori domestici: ti troverai meglio al tuo posto, perchè sentirai di adempiere al tuo dovere, e questo ti farà avere la coscienza tranquilla. Ed anche vorrei dirti un'altra cosa che mi preme assai, e la vorrei imprimere bene nella tua mente. Lavora, lavora più che puoi; e fra i tuoi lavori preferisci sempre i lavori utili a quelli di puro ornamento, perchè oltre al vantaggio che ne ricaverai tu stessa e la tua famiglia, questo ti abituerà a cercare in tutte le cose il lato serio ed importante. Non è più bello ed onorifico lavorare una camicia che ripara e copre te stessa, un tuo fratellino, o forse un poverello, di quello nol sia un ricco addobbo, od un gingillo da ornare una sala od un gabinetto? Non intendo con questo proibirti il trapunto; no, perchè so bene che tutti abbiamo bisogno di variare le nostre occupazioni, e di prenderne alcune di genio e di divertimento; ma intendo persuaderti che non devi consumare in queste il meglio ed il più del tuo tempo. Abituati a lavorar molto, o giovinetta, ed apprenderai e ti abituerai a quella prodigiosa attività che ti fa tanto meraviglia in signore pregevolissime, ch'io t'auguro di ammirare non solo, ma d'imitare. Oh! potessi io renderti damigella e dama virtuosa ed invidiabile! Non voler, te ne prego, deludere le mie speranze.

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La ricetta ch'io ti presento ha, nientemeno, la pretensione di far scorrere la tua giovinezza amabile e contenta, ed io pretendo, sì signora, pretendo tu ne faccia la prova, pronta a subirmi i tuoi rimbrotti più acerbi se non mi darai presto pienissima ragione. Ti ho detto che la mia ricetta non nuova, ed aggiungo che non ho, nè lo merito, il brevetto d'invenzione; questo è tutto tutto nel santo Vangelo, nella Religione nostra santissima; in quel Vangelo, in quella Religione che soli mi inspirano tanto interesse per l'anima tua. Non appoggiando la mia parola alla mia privata autorità, ma all'autorità divina, vedi che ho tutta la ragione di vantare l'infallibilità di quanto dev'essere il soggetto della nostra conferenza d'oggi. Tu mi hai indovinata, dopo certi tocchi che te ne ho dato jeri; io voglio parlarti della tua operosità e della tua obbedienza in famiglia; sì io mi propongo di provarti che se sarai figliuola laboriosa, devota ed obbediente ai tuoi genitori, od a coloro che ne tengono le veci, ne avrai felice pronostico pel tuo avvenire, e contentamento di gioja verace al tuo cuore. L'ozio è il padre di tutti i vizj, dice un proverbio volgare ed antichissimo, ma sovranamente giusto e cristiano; e quand' anche non bastasse, a farci sfuggire l'ozio, l'esempio del Nazareno, il quale non isdegnò per trent'anni di starsene nell'officina del fabbro, e di lavorare egli stesso ad un rozzo e manuale mestiere, e l'esempio di tutti i seguaci del Nazareno, che, o si trovassero a coltivare la gleba, o si trovassero in mezzo allo splendore del soglio, hanno impiegato l'intera loro vita in continuo indefesso lavoro; quand'anche non bastassero a farci odiare l'ozio tutti questi chiarissimi esempi, e l'animo nostro terreno avesse bisogno di argomenti terreni e materiali a provarcene la necessità, non faticheremmo a trovarceli dattorno da qualunque parte ci volgessimo a cercarli. L'ozio è una specie di anemia morale. Ti prego tenermi buona un'espressione foggiata alla moderna; ma essa varrà ad esprimere ed a spiegare un fatto rilevantissimo. L'anemia fisica mi pare sia classificata come povertà di sangue, e cioè quando il sangue è privo di quelle parti, di quelle sostanze che lo rendono sano, attivo, forte, ricco. Probabilmente un medico troverà da ridire sul modo con cui ho espresso un fatto che richiederà termini tecnici ad essere dimostrato con giustezza; ma gli è certo che l'anemia fisica privando il sangue di quelle sostanze che lo corroborano, l'intero nostro organismo ne resta alterato, guasto, spesse volte perfino annientato, finchè il lenzuolo funebre vien ratto a coprire tutto... ed un pugno di terra invola al nostro sguardo colui che forse ci era soggetto d'invidia... L'anemia morale generata dall'ozio è pure un impoverimento, un intisichimento di tutte le nostre migliori facoltà, le quali prima intristiscono, poi si assopiscono, poi muojono miseramente. A me piace, quando posso, provarti quello che dico anche colla via dei fatti, e a te non sia discaro seguirmi nel cammino ed ascoltarmi. Non hai mai cercato la ragione per cui quella tua compagna che da bambina mostrava di essere molto svegliata, e di possedere una intelligenza non comune, finita la scuola, tornata alla sua casa, ben lungi dallo sviluppare quel germe che lasciava indovinare, attendere molto da lei, ha deluso le speranze tutte dei parenti e degli amici, ed è rimasta al disotto di coloro delle quali essa era di gran lunga superiore? Ah! lo capisco. Finchè essa esercitava le sue facoltà, queste si sviluppavano, guadagnavano in vigore ed in intensità; ora che essa le ha lasciate poltrire, esse hanno perduto la loro forza e si sono dileguate, senza pur lasciare vestigia del loro potere e del loro passaggio. Che vuol dire che di due bambini ugualmente sani e robusti, ma allevati uno alla fatica del corpo, l'altro a quella dello spirito, il primo ha più del secondo rinforzate le membra, e questi a sua volta, ha più dell'altro rinforzata e perfezionata l'intelligenza? Ti sento rispondermi molto giustamente un altro proverbio antico ma buono: chi non usa disusa, e più si sviluppa quella facoltà che più è stata esercitata. In tal caso è segno che mi dai piena ragione, ed allora non faticherai a convenire con me che chi s'abbandona all'ozio, assopisce le facoltà sue migliori e si rende inetto a qualunque buona operazione della mente o del corpo. Questo stato di assopimento o di anemia morale genera a sua volta un languore ed una tristezza pressochè invincibili, e colui il quale si è lasciato dominare dall'ozio, si fa reo non solo di un danno materiale, col togliere a sè ed alla società il frutto delle sue fatiche; ma ha generato un danno ben maggiore, col rendersi di peso a sè stesso, e col lasciarsi cadere nell'abbattimento e nella malinconia. Guarda un po' se dalle povere operaje soggette a continua fatica tu senti ripetere quelle proposizioni poco cristiane che suonano sì spesso sulle labbra dei felici del secolo? Guarda un po' se sono così generali nel popolo, come nella classe così detta civile, quel malessere e quelle cento debolezze ed infermità che dominano nelle nostre famiglie? Convengo; in parte questo dipende dall'essere il ceto operajo obbligato più all'attività del corpo che a quella dello spirito, ed altresì dalla maggiore sobrietà e frugalità nei pasti; ma credilo, figlia buona, credilo che all'anemia morale va spesso spesso congiunta l'anemia fisica. Chi s'abbandona all'ozio, forza è che poco o molto lavori colla mente; si faccia dei castelli in aria; si crei delle croci; dia importanza a cose di poco o niun conto, si malinconizzi ed ammali. Non sarà bene spesso una malattia violenta; ma l'ozioso va soggetto a mali che si dicono nervosi, a languori... il suo animo è privo di alimento, ed il corpo, che all'anima è intimamente unito, raro è non ne subisca insieme i danni. Certamente l'agiatezza è una tentazione molto violenta all'ozio, ed io credo che appunto per togliere questa tentazione il buon Dio abbia fatto nascere o cadere in una condizione bisognosa (relativamente almeno) quasi tutti i genj che hanno illustrato il mondo, affinchè fossero in certo qual modo più strettamente obbligati a far fruttificare la loro potenza. Un fatto poi incontestabile si è che nessun genio è stato, nè può giacere ozioso, perchè appunto il genio si rivela necessariamente nelle opere sue. Aveva ragione io di dirti che la mia è una buona, una prodigiosa ricetta? Sì, sfuggi l'ozio, sfuggilo costantemente, e la tristezza ed il malumore che gli sono inseparabili compagni ti resteranno sempre stranieri; sì sfuggi l'ozio e ti procurerai un testimonio sicuro, incoraggiante, quello della buona coscienza; sì sfuggi l'ozio, e ti circonderai di affezione, di riconoscenza; sì sfuggi l'ozio, ed avrai largo compenso allo sforzo, anzi agli sforzi che avrai fatto per combatterne la tentazione, col vedere l'utilità dell'opera tua, e più assai colla sicurezza d'avere con essa adempito al tuo dovere. Spero che tu sentirai fin d'ora un vero abborrimento all'ozio, eppure non ti ho ancora detto a quanti mali egli non solo conduca, ma precipiti irrevocabilmente. Per esso l'anima indebolita ed anemica diventa più che mai suscettibile alle lusinghe del mondo, e, fiacca com'è, non sa resistere, e cade, cade molte volte tanto basso da far pietà. Una persona attiva, anche pel solo fatto di non voler togliere il suo tempo alle proprie occupazioni, non si perde in letture od in discorsi frivoli o perniciosi; ma accudito a quanto è richiesto dalla carità e dalle convenienze sociali, comandate o permesse dall'istessa carità, riprende il giro delle sue laboriose consuetudini, e non si perde in leggerezze. Vi hanno alcune signorine di ottima indole, di ottimo cuore, le quali guastano l'uno e l'altra per abbandonarsi al dolce far niente, appunto perchè dolce al palato; ma le meschine non pensano che quella dolcezza è ingannevole, e lascia un fondo di amarezza! Dimmi, non ti fa compassione quella signorina che consuma il meglio del suo tempo appoggiata al davanzale della finestra a rimirare i passanti? Povera giovane, forse essa non sa che il mondo la critica, va almanaccando sulla sua condotta, e le attribuisce non solo il male che fa, ma spesse volte anche quello che non fa, e che perfino ignora. Si dice da taluni che se sta alla finestra ci avrà il suo perchè misterioso; si dice che o ha trovato chi la guardi, o lo cerca; si dice che si pavoneggia e fa la ruota; si dice, si dice,... e veramente non si ha il torto di dir tutto questo e peggio, perchè se ora quella giovane non ha simili intenzioni o cattiverie, certo la si espone volontariamente ad un gran rischio d'invischiarsene. L'ozio è davvero il padre di tutti i vizj, e tu, cara amica, tu abborrilo assai quel brutto figuro che colle più ingannevoli lusinghe ti vuol stringere fra le sue zanne, per ferirti ed ucciderti. Quanto ti senti svogliata o stanca, anzichè sdraiarti su di una soffice poltrona, a fantasticare od a borbottare della Provvidenza, degli uomini e delle cose, ove non ti astringa il dovere ad occuparti di alcunchè di speciale, prendi un lavorino, un buon libro, e se non hai voglia di far altro suona, o scrivi, o canta, o rimetti un po' d'ordine dove l'ordine è stato turbato; ma, per carità, non istartene neghittosa mai e poi mai! Mi ricordo d'aver sentito un mio caro congiunto dire una volta a proposito di una signora, la quale tranne le lunghe ore date al riposo, e le altre consacrate all'acconciatura, ai ricevimenti ed ai teatri, passava il suo tempo a deplorare l'abbandono in cui era lasciata, a lagnarsi del marito, della servitù e perfino della Provvidenza che le aveva tolto maggiori risorse, e che aveva formato la società con tante lusinghe e disinganni, quasi fosse questa opera della Provvidenza, e non degli uomini i quali l'hanno volta alla peggio; orbene quel mio congiunto, uomo che copre degnamente un bel posto nella magistratura, e non può essere sospetto di bigotteria, mi diceva essere per lui una gran pena veder sciupare tanto tempo ed una bella intelligenza in una vita così oziosa. Anzi aggiungeva che avrebbe amato meglio vedere quella signora occupata in fare una lunga calza, poi vedergliela a disfare e rifare all'infinito, anzichè vederla esposta o all'ipocondria ed al malumore, o ad avere bisogno di qualcheduno che le facesse passare o meglio ingannare il tempo; quello stesso tempo che per altri è si prezioso, e sì prodigiosamente fecondo. Non istar mai colle mani in mano; lavora, lavora sempre, ed il tuo riposo consista nel variare le tue occupazioni e prenderne anche di gradevoli se vuoi, come sono gli ameni studj, la musica, il disegno, e perfino il passeggio ed il divertimento. Purchè il divertimento sia onesto, meglio divertirsi che far nulla; però meglio di tutto è far qualche cosa, ma qualche cosa di utile e di concludente, affinchè si possa dire di te: quella damigella è simpatica, buona, amabile, ma soprattutto è operosa; e fortunata quella famiglia che sarà destinata a possederla!

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IO credo che non a caso il buon Dio mi abbia inspirato di favellarti, prima di quanto, aveva pensato, della cara e sublime virtù della cristiana e cotidiana annegazione, poichè se tu la terrai a capo della tua vita, o meglio se essa sarà quasi la motrice di ogni tua azione, saprai e potrai evitare quegli scontri che senza di essa ti sarebbero inevitabili. Tu certo m'hai indovinata, ed hai capito ch'io ti voglio parlare stamane della tolleranza di carattere, la quale è parte integrante della virtù che mi sono studiata d'inculcarti jeri. Ed infatti, chi nol sa e nol vede che una delle principali difficoltà, anzi la principalissima difficoltà che si oppone alla buona armonia ed al buon andamento delle famiglie, è appunto quella dell'incompatibilità vicendevole? Alcune volte sono guai d'interessi, ovvero passioni colpevoli che turbano la pace domestica; ma, credilo, più spesso e più invincibilmente questa è turbata, fugata, uccisa da quell'intolleranza che fa cozzare fra di loro gl'individui destinati a mantenere inalterabili quei buoni rapporti, che rendono non solo sopportabile, ma lieta l'esistenza anche in mezzo alle disgrazie ed ai più strazianti dolori. Non so se tu, figliuola, sarai destinata a tua volta a diventar madre, ed a riunire intorno a te tutti in un solo cuore i diversi membri di una famiglia che ti riconoscerà maestra e sovrana; ma dimmi, come avrai tu l'ardimento di aspirare a regnare sovr'essa, se non cominci per tempo, se non t'abitui fin d'ora a dominare te stessa, ad evitare gli scontri perniciosi e fatali che il tuo piccolo, ma vero eroismo, può evitare e scongiurare? Ma io leggo nel tuo cuore, perchè so che una donzella ben nata e ben educata, sente fortemente il bene; e vi leggo che tu sai come me che questi scontri di carattere sono non solo dannosi, ma mortiferi all'armonia del focolare; sarebbe quindi soverchio ogni ragionamento tendente a fartene comprendere il pericolo ed il danno. Tu mi dici: il male lo veggo e lo conosco, gli è il rimedio che ignoro. Buona giovane, leggi, rileggi quel che ti ho scritto jeri, e quando ti sarai proposta fermamente di possedere lo spirito di devozione, di annegazione, e lo possederai veramente, ti riuscirà agevole tutto il resto. È inutile; soltanto col prendere sulle proprie spalle quel carico che pesa sulle altrui, si generano la tranquillità e la pace. Mi ricordo, d'aver letto, nella bellissima vita di S. Francesco di Sales, un episodio che appoggia il mio dire e che ti riporto volontieri, perchè l'esempio dei santi non è mai sterile e fa sempre bene. Si presenta un dì al Vescovo di Ginevra un Sacerdote per domandargli come si possa conciliare quell'articolo del Concilio Tridentino che ordina ai Confessori d'infliggere al penitente una penitenza in qualche modo congrua alla gravezza ed alla quantità delle colpe, col fatto che i grandi peccatori non vogliono addossarsi grandi penitenze, e tanto meno poi le eseguiscono. Il santo Vescovo con quel suo piglio soave risponde al Sacerdote: Non v'ha che un mezzo: dare al penitente una penitenza ch'egli possa fare senza fatica, ed il resto addossarsela il Confessore. E difatti egli stesso S. Francesco operava in questa guisa, e caricava le proprie spalle del peso che doveva cadere sopra quelle dei suoi prossimi ch'egli amava teneramente. Io non pretendo da te un eroismo come quello del Salesio; ma qualche cosa pretendo proprio da te, perchè tu forse più degli altri tuoi famigliari hai avuto doni da Dio, lumi alla tua coscienza, e da questo stesso insegnamento puoi cavare vero profitto all'anima tua ed a quella de' tuoi cari. Certamente io non pretendo da te l'eroismo eroico per così dire, quell'eroismo straordinario che è dato soltanto ad alcune anime privilegiate; ma pretendo da te un po'di quell'eroismo vero, minuto, che gli uomini non riconoscono e perfino disprezzano, ma che a Dio è tanto caro e porta la benedizione nelle famiglie. Affinchè tu possa evitare gli scontri, e praticare la vera annegazione, è necessario tu supporti i caratteri altrui; ma anzitutto è indispensabile tu corregga il tuo e continui tutta la vita a combatterne le cattive tendenze; tu sarai buona, ma lasciamelo dire, la bontà in terra è chiamata virtù ed è meritoria, appunto perchè esige una lotta continua, incessante contro noi stessi; e tu per quanto sii buona avrai tu pure delle inclinazioni viziate, delle abitudini meno corrette che cercano di eludere la tua sorveglianza per sorprenderti, per dominarti. Il tuo carattere è altero, orgoglioso, quindi esigente, intollerante e caparbio? Sforzati di riconoscere la tua piccolezza, e la riconoscerai davvero se confronti il tuo essere, il tuo corpo, la tua mente, tutte le tue facoltà, e soprattutto il modo di usarne e di fecondarle, col corpo, colla mente, colle facoltà, colla fecondità di altri individui, di altre donzelle, le quali ben più saggie e ben più avanzate di te nella virtù, nella scienza, nel sacrificio, conservano un'umiltà che non può a meno di confonderti se per poco le presti attenzione. Ogni volta adunque ti sentirai tentata a far prevalere il tuo parere o la tua volonà, ed il tuo carattere vorrebbe anzi che tu l'imponessi agli altri; ogni volta fa di ricordarti che tu sei un nulla, che sei da meno di essi, ed ancorchè nel caso di cui si tratta non solo ti sembri (il che è frequentissimo), ma veramente tu veda che la ragione è dalla tua parte, fa un po' di sacrificio, un po' d'annegazione, e pensa che senza di questi non c'è caso, non si può vivere tranquilli con Dio nè con gli uomini. Il sacrifizio è il fondamento non solo della vita cristiana di cui Cristo è tuttodì il campione e il modello nell'incessante Eucaristico sacrificio; ma è altresì il fondamento e la base della vita sociale, la quale richiede che tutte le soddisfazioni dalle minime alle più grandi, siano comperate a prezzo di continue annegazioni. È irrequieto il tuo naturale, e bisognoso di una vita agitata? Comincia a frenarlo il tuo carattere, per poterlo mettere a livello degli altri, i quali fosse tranquilli, ed anche flemmatici, urterebbero col tuo, se tu non lo rendessi calmo, e non ti sforzassi ogni giorno di tenerlo sempre più calmo e ragionevole, contentandoti di una vita placida e comune. È gajo il tuo naturale e ti è forza vivere con degli ipocondriaci? Cerca se puoi di comunicare agli altri la tua gajezza; ma se nol puoi, guardati bene di lagnarti della tua condizione, o di ridere sul viso di chi, anche a torto, piange o sospira. Se poi chi t'avvicina fosse in preda ad un giusto dolore, la tua indifferenza sarebbe una vera crudeltà, ed anzichè pretendere che gli altri soffochino le proprie lagrime per divertirti, prendi tu stessa parte alla loro tristezza, e tenta sollevarne il peso. Il tuo naturale è invece portato alla malinconia ed alla meditazione, e sei forzata di vivere con persone pazzamente allegre? Tu nè puoi, nè devi pretendere che esse si correggano; ma procura di essere tanto condiscendente da obbligarli a compatirti ed a stare volontieri con te. Ti senti portata a primeggiare e desideri di essere lodata, incensata, e per giunta quelli coi quali convivi, non solo non lodano e non approvano in te le azioni indifferenti, ma si ostinano altresì a disconoscere perfino le tue azioni lodevoli? Correggi, correggi te stessa, pensa a quel detto di Gesù Cristo: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore; e invece di pretendere che gli altri si occupino di te, occupati tu stessa degli altri e di quanto loro interessa. Quando tu avrai reso il tuo carattere dolce, umile, remissivo, sarà malleabile, per così dire, e tu lo potrai dominare e foggiare come più ti conviene affine di renderlo omogeneo a quello degli altri. Non temere, non temere no, che questo tuo studio continuo ed indefesso, non temere che questo tuo sforzo, riesca ad alterarne l'impronta originale, poichè anzi il tuo studio non mira già a cancellarne la fisionomia (già, anche volendo, nol potresti); ma mira unicamente a correggerne gli eccessi, a levarne le scabrosità, a ridurlo alla forma più perfetta che gli sia possibile raggiungere. La è questa una taccia ingiusta, la è una vera calunnia che gl'increduli ed i cattivi cristiani lanciano contro chi cerca di migliorare sè stesso; sì, la è una vera calunnia che i buoni cristiani alterino e deformino la loro morale fisionomia, e ne smorzino lo slancio, poichè essi non fanno che ridurne a maggior perfezione il vero tipo, obbedienti alla parola del Divin Maestro che dice: Siate perfetti come é perfetto il Padre mio che è ne' cieli. La lunga schiera dei Santi di ogni età, che è quanto dire la valorosa falange dei benefattori dell'umanità intera, è tutta composta di persone che non hanno già secondato ciecamente gl'istinti a somiglianza dei bruti, come or si pretende dagl'innovatori; ma che hanno invece rettificate le divergenze del loro carattere, e, pur seguendone l'impulso naturale, lo hanno vôlto a bene, e spesso con grandi sforzi, con eroici sacrificj. Lo stesso dolcissimo Vescovo di Ginevra si sentiva inclinato alla collera, e per l'incessante sforzo ch'ei faceva in reprimerla, gli fu trovato il fiele impietrito nel seno. La stessa S. Teresa, angelo di purezza e d'amor di Dio, sentiva una cotale inclinazione alla vanità, e si godeva di vedersi bella, e di trovarsi fornita delle migliori doti del corpo e dello spirito: pure appena ebbe intesa la voce di Dio, piegò in modo siffatto il suo carattere, da diventare perfettamente dimentica di sè, per non ricordarsi che del suo Gesù e delle anime da Lui redente. Credilo, cara mia, se tu darai retta alle dicerie dei mondani, crederai con essi che la religion di Cristo, religione tutta di amore, non è se non un despota, un barbaro, uno strazio delle anime, che pretende siano tutte foggiate ad un modo, e danna inesorabilmente all'inferno quante sfuggono a quella forma ch'essa vuol loro imprimere, e trasmuta in esseri ridicoli ed eccentrici coloro che le sono ubbidienti e devoti. Nulla, nulla affatto di vero in tutto questo, poichè Gesù è venuto a redimere l'umanità, a spezzare ogni laccio di schiavitù, fino al punto di lasciare in facoltà dell'uomo l'accogliere o il rigettare la sua legge d'amore. Ma, Dio buono! io non la voglio la 21 libertà di rinnegarvi, io non voglio la libertà di chiudere gli occhi alla luce, e perchè io son cieca non voglio gridare che l'universo è avvolto nelle tenebre. Non è schiavitù in credere a Voi, in servire a Voi; la schiavitù è in vivere da Voi lontano!... Se tu sei fanciulla gracile e delicata, e possiedi un ingegno fino e penetrante, la religione non comanda no a te quello che ordina ad un'altra di complessione robusta e di una capacità meno sviluppata. Quella religione che dice ad essa d'impiegare le sue forze corporali nell'ajuto materiale, sì ma valevolissimo a vantaggio dei suoi prossimi, e le affida una direzione semplice ma importante da disimpegnare con grande vantaggio suo e degli altri, ordina invece a te una vita non meno cristiana, non meno meritoria, ma di molto differente. Non ne abbiamo noi una prova, un esempio luminoso nel Vangelo? Marta e Maddalena avevano l'inestimabile ventura di bere dalle stesse labbra del loro Maestro ed amico quelle istruzioni che a noi costano tanta fatica e che dobbiamo raccogliere quasi a stento. Marta seguace fedele dei precetti del Nazareno era interamente dedita alla direzione dell'azienda domestica e menava una vita cristianamente e santamente attiva. Maddalena invece s'immergeva in lunghe meditazioni, piangeva le passate colpe, pregava per sè e per gli altri, conducendo una vita quasi esclusivamente contemplativa. Pure amendue sono piaciute al Signore, amendue hanno meritato ch'Egli operasse per esse il grande miracolo della risurrezione del loro fratello Lazzaro, e Marta e Maddalena sono entrambe sante e gran sante. A chi dunque ti verrà susurrando all'orecchio, come già il serpente ad Eva, che sforzandoti di correggere il tuo carattere subirai una tortura che ti lascerà slogata e sformata, non porgere ascolto; ma ripeti a te stessa le parole del Salvatore: Siate perfetti com'é perfetto il Padre mio che è ne' cieli. Pensa piuttosto che ad ogni vizio si oppone una virtù; pensa che il Signore, straordinariamente buono, permette che, nella pratica delle virtù tu scelga quelle cui ti senti più inclinata; pensa che Egli ti aiuterà nei tuoi sforzi, ed operando tu rettamente, Egli sarà costantemente al tuo fianco a difenderti, ad appoggiarti. Se talora lo scoraggiamento tenta impossessarsi di te, alza gli occhi al Cielo, e medita che lassù portano l'aureola della santità uomini e donne d'ogni età, d'ogni condizione; gl'idioti come i dotti, i sudditi come i re, quelli che hanno coltivato la terra, come quelli che hanno coltivato l'ingegno, quelli che hanno dato pane all'affamato, come quelli che hanno portato la parola della verità all'ignorante, quelli che hanno tollerato pazientemente ogni ingiuria, come quelli che hanno difeso colla parola, colla penna e colla spada le verità evangeliche. Leva il tuo sguardo al Cielo, cerca fra tutti i Santi uno che più si confaccia alla tua capacità ed alle tue inclinazioni, prendilo a modello, e fanne il tuo Santo protettore; non ci avevi mai pensato? Pure credilo; infonde un sovrumano coraggio la sicurezza che altri nelle nostre condizioni fisiche, morali ed intellettuali si è abbassato tanto da meritare di essere da Dio innalzato al seggio dei Santi! Quando tu avrai cercato e trovato una Santa che ti proponi e prometti da imitare, replica come S. Agostino: Quello che hanno fatto altri e perchè nol potrò far io? Credi, credi, mia tenera, mia dolce amica; se tu ragionerai in questo modo ed agirai conformemente, le difficoltà che ti presenta il tuo carattere, a volte ostinato e caparbio, a volte fiacco e irresoluto, e va dicendo; quelle difficoltà scompariranno, o se esisteranno tuttavia, non sarà per altro che per rendere più meritorio il tuo trionfo. Credi, credi, se tu agirai in questa maniera, tu saprai evitare gli scontri dei diversi caratteri che, senza la tua virtù, si urterebbero e finirebbero collo spezzare l'armonia domestica e con essa il buon andamento degl'interessi, la saggia educazione della famiglia, per diventare scandalo e pietra d'inciampo ai fratelli, ai figliuoli, ai famigliari. Per dirti una parola che ti possa richiamare soventi volte al pensiero l'importanza del correggere il tuo carattere e di sopportare in pace l'altrui, scrivi sul tuo cuore quella che sto per dirti e che ripeterai sovente a te stessa: Voglio, fermamente voglio migliorare me stessa, e voglio sopportare in pace gli altri. Poi volgendoti a Dio digli col cuore:Signore, se Tu vuoi puoi mondarmi.

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T'HO intrattenuta jeri dei doveri che ti stringono come sorella maggiore chiamata a reggere la famiglia, doveri di molto somiglianti a quelli che forse ti saranno destinati in un'epoca non lontana, ed ai quali devi prepararti fin d'ora, per compierli poi il meglio che per te si possa, allorchè la dignità di sposa e di madre ti sarà affidata. Ma oltre a quei poveri che non sono i comuni, e che toccano alle zitelle quasi in via di eccezione, ve ne sono degli altri generali dai quali nessuno può essere escluso, ed io li pongo in coda ai primi perchè non li voglio separare, ma solo distinguere. Chi ha fratelli e sorelle è obbligato a regolarsi con essi in modo amorevole, conveniente, e valevole a cementare e ad aumentare l'affetto che tra essi deve esistere; chi non ne ha, deve regolarsi in modo non diverso con coloro che uguali di condizione, dividono in qualche modo ed hanno comuni le cure della vita; quindi, sono un poco pretensiva sai, quindi vorrei che tutte mi leggessero, e tutte mi dessero ascolto quelle care giovinette cui la Provvidenza fa cadere in mano questo libro, dettato dal desiderio sincero di far loro del bene. Vi hanno talora delle creature care e simpatiche, che pur talvolta sono aspre ed esigenti con chi le avvicina, e questo non è a dire quanto diminuisca quel prestigio che hanno esercitato in altra occasione, e quanto scemi il merito loro. Io credo che in fondo in fondo se ne stia nascosto ed accovacciato quel gran traditore che ha nome amor proprio; ma un amor proprio veramente traditore che desta le suscettibilità, le esagera, le esalta in modo da renderle sospettose, gelose, perfino invidiose. Se in fondo al cuore giace quel nemico, per carità stiamo all'erta, egli tosto o tardi ci farà un brutto gioco, se prontamente non lo disarmiamo e non lo fughiamo da noi. L'amor proprio non ci conviene farlo prigioniero, perchè la sua presenza è sempre pericolosa; sarebbe più utile fare giustizia sommaria ed ucciderlo; ma, c'è sempre un ma! Uccidilo se puoi. Egli ti scivola di mano come un'anguilla, e il meglio che tu possa fare è di cacciarlo da casa tua e chiudergli le porte in faccia, affinchè non vi entri mai più. S. Francesco di Sales pregava Iddio che facesse morire il suo amor proprio un'ora prima di lui, perchè, diceva il Santo, senza una grazia speciale del Signore, questo gli avrebbe sopravvissuto ancora tre giorni, per vedere i funerali e per vedere il compianto dei parenti e degli amici. Non pretendiamo di più di quel Santo; ma sforziamoci di combattere sempre contro il nemico per vincerlo, e non cadere sotto la sua ignominiosa schiavitù. Tra sorelle alle volte nascono delle freddezze, e per poco che non si stia sull'avviso, nascono altresì degli screzj, che se non rompono la pace e la buon'armonia, la compromettono e la turbano però seriamente. Questo nasce dieci volte su dieci casi, perchè ognuna pretende di aver ragione, non vuole smontare di un solo punto dalle sue ragioni che chiama col nome luminoso di diritti, e gli è sempre quell'io mal celato dietro le cortine che vuol far capolino, che vuol formare di sè stesso una specie di piccolo idolo, che vuol ottenere gli omaggi, che non vuol cedere in nulla. Ma se l'io deve scomparire una volta per sempre, tanto più fra sorelle e fratelli non ci dev'essere nessun io che si levi più alto degli altri, eppoi l'io fu abolito nel linguaggio cristiano dal Signore, il quale ci ha insegnato invocarlo Padre nostro, e la Chiesa vuole che rivolgendoci alla Madonna, le diciamo:Santa Maria, prega per noi! Quando il demonio ti tenta e fa sorgere fra te ed i tuoi un disparere, uno screzio, anzichè pararti ad offesa e a difesa, buttati nelle braccia del fratello e della sorella, digli che l'ami; se credi veramente di aver ragione difendi con calma e con carità la tua opinione o la tua azione, e se ti trovi dalla parte del torto confessalo sinceramente. Coloro che non accettano i ragionamenti altrui, ma li respingono senza pur conoscerli, dánno prova non solo di poca educazione e di nessuna carità, ma altresì di grosso e corto sentire. Una damigella per bene accoglie le discolpe altrui, si guarda da ogni trasporto d'ira che la possa condurre a dire ciò che non dovrebbe, ed a fare ciò che la porrebbe dalla parte del torto; e, se per un momento, il suo carattere focoso le ha chiamato le fiamme al volto ed ha reso più concitata o più alta la sua voce, tosto si modera, si piega, si scusa, ed il trionfo che riporta sopra sè stessa la rende cento volte più forte di ogni trionfo che potesse riportare sugli altri. E poichè siamo venuti sull' argomento di chiedere perdono a colui che abbiamo offeso, sento il bisogno di combattere qui alcuni pregiudizj sociali che si potrebbero anche chiamare difetti di educazione, ma che sono diletti gravi, i quali svisano totalmente la faccia della ragione e della verità. M'è accaduto più fiate di sentire da qualche signora abituata a vivere in mezzo alla società, e non sa respirare aria diversa da quella delle sale profumate e rumorose; m'è accaduto di sentire che il chieder perdono è segno di debolezza, e che chi ha commesso qualche torto o qualche storditaggine, deve subirsi le conseguenze del suo errore, guardandosi bene dall'umiliarsi e dire ho torto. So bene che questa teoria mi è stata esposta con tale una vernice di verità, che per poco non ci ho posto credenza, a somiglianza di colui che in un tersissimo specchio vedendo moversi una figura, non si accorgeva che quella non era una persona, ma soltanto un riflesso della propria: abituiamoci, e ábituati tu pure a sfrondare le teorie, lasciamelo dire, le teorie troppo comode e formose, ábituati a spogliarle da quella specie di vernice che le circonda, va alla radice, e non tarderai ad accorgerti che sono false. Mi si offrono due monili, ambedue belli e graziosi, ma uno più dell'altro lucente ed elegante; se io non sono previdente e non li provo alla pietra del paragone, mi accadrà facilmente che quello ch'io credeva più prezioso e al quale io dava la preferenza, non era d'oro, ma di lustrino; ed il tempo mi accerterà ancora una volta che le apparenze sono fallaci, e guai a chi vi si attacca, e non va all'origine delle cose! Io per me credo che nel domandare perdono non sia debolezza ed umiliazione se non nella forma, mentre il fatto è in sostanza segno manifesto di giustezza di criterio, di fortezza, e perfino di dignità. La debolezza io la trovo nel non voler riconoscere il proprio torto, poichè la persona che agisce in tal modo mostra sentirsi così priva d'ogni merito vero, avendo d'uopo di sostenersi con un merito falso o fittizio, infine con un merito menzognero. Di più io trovo debole la persona che vuol sostenere il suo punto a spese della giustizia, perchè non ha nè occhio, nè slancio, nè forza di rigettare il male e di abbracciare il bene, e non isdegna compromettere la propria dignità tollerando un'accusa della quale non potrà mai giustificarsi, perchè giusta e meritata. Giuda Iscariote aveva venduto il suo Maestro per trenta denari; gli dolse del proprio delitto; ma debole e vigliacco non volendo riconoscere il proprio torto, e sdegnando di correre ai piedi del Salvatore a chiedergli perdono, con una corda liberò la terra dalla sua presenza, attirando sopra di sè un'eternità di tormenti e l'obbrobrio delle generazioni future! S. Pietro invece dopo d'aver rinnegato non una ma tre volte il suo Gesù, rientrato in sè stesso se ne dolse, pianse amaramente, ed una pia tradizione dice che si è gettato nelle braccia della Madonna a sfogare il suo dolore e il suo pentimento. E chi ha mai trovato, e chi potrà mai trovare debolezza in quest'atto così sublime, in quest'atto che dinota rettitudine di giudizio, e più ancora sensibilità e delicatezza di cuore? Per me trovo l'eroismo in colui che dice mi pento, anzichè in colui che caparbio non vuol piegare la fronte, e ostinandosi a non riconoscere il proprio torto, si fa conoscere cieco ed ingiusto, ovvero ingannatore. Io amo assai quella bella costumanza di quelle damigelle che, com'è ben naturale accada ad ognuno, accorgendosi d'aver sbagliato per debolezza o per ignoranza, stringendo la mano della mamma o del papà, od abbracciando teneramente i fratelli e le sorelle, chiedono loro perdono e promettono di emendarsi del proprio fallo; pentimento e promessa che esse rinnovano ai piedi del Crocifisso, il quale li compensa con una soddisfazione tanto maggiore, quanto più intima e sincera. E tu, mia dolce amica, sii buona con tutti, guardati dall'offendere chicchessia, e se ti duole abbassarti a chieder perdono, fa di non metterti nella necessità, ma stattene ben bene in guardia sovra te stessa e specialmente sul tuo carattere; ma se per disgrazia hai fallato, umiliati, e non rendere più grave la tua colpa coll'ostinarti a sostenerla. Non essere tarda a far piacere a coloro cui l'opera tua può tornare di ajuto o di conforto; sii obbediente coi maggiori, affabile cogli uguali, condiscendente coi minori fratelli. Ma una cosa, che caldamente sopra le altre ti raccomando, si è di avere nel tuo decoroso contegno un amorevole e sincero compatimento pei difetti altrui, di smorzare la tua suscettibilità, di non tenerti facilmente offesa da quelle che sono o ti pajono mancanze di riguardo: credilo, credilo, mia cara, assai più guadagnerai coll'indulgenza che colla severità. No, non ti pentirai mai di aver troppo compatito e d'avere rinunciato alle soddisfazioni dell'amor proprio; ma bensì d'essere stata inflessibile e d'aver preteso sempre che ti sia resa giustizia. Nel Vangelo vi ha una sentenza, la quale dice che sarà rimisurato a noi colla stessa misura con cui avremo misurato agli altri; e tu ed io, se vogliamo ci venga dal misericordioso Iddio accordato indulgenza e perdono, siamo indulgenti e generosi con tutti coloro che ci avvicinano.

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Senza dubbio, questo era forse il minore e l'ultimo indizio della delicatezza dell'animo suo; ma vi era un altro profumo che non a lui ma da lui veniva; e si emanava all'intorno, e si riversava sopra quanti lo avvicinavano; qual era quel soave profumo? Non tanto dalle sue labbra quanto dal suo cuore partiva infocata la preghiera di cui le onde fumanti dell'incenso che, spingendosi e portandosi le une le altre si elevano al cielo, non sono che un simbolo, e quella preghiera giungeva al Dio del cielo, della terra e del mare, e lo moveva ad ajutarlo. E da te pure, da te pure, mia cara giovinetta, deve partire questo soave profumo per recarsi ai piè dell'Altissimo ad impetrarvi tutte quelle grazie che ti sono necessarie a diventare l'angelo della tua famiglia, e quel profumo levandosi a Dio, si spanderà per l'aria che ti circonda, e ne fugherà i cattivi pensieri che come falange di moscherini importuni vanno a posarsi dove l'aria è grave ed infetta, per rendere vieppiù penosa la vita a coloro che la respirano. In una bellissima giornata di primavera sulla riviera di Genova, appoggiata al davanzale della finestra, godevo il sempre maestoso spettacolo della vista del mare: il mio pensiero cercava spingersi tanto da leggere la storia di ognuno di quei vascelli, che ne scorrevano lesti e leggieri le placide onde, ed il mio cuore tremava al timore che quelle onde non li avessero ad inghiottire un dì, forse vicino... Mi batteva sul viso uno zeffiro soave, quasi a temperare la lotta interna che traspariva nel calore che mi saliva alle gote, e quello zeffiro che aveva prima toccato gli aranci, i limoni, i mandorli costeggianti la riva, giungeva a me, carico dei più dolci effluvj. Lombarda, quindi non usa a questi privilegj della natura, ne restai colpita, soavemente colpita, e dal mio cuore e dalla mia mente si allontanò ogni turbamento, ogni timore, per lasciarmi in balìa di pensieri ridenti, sereni, che mi parlavano solo della bontà di Dio, e mi eccitavano al bene. Nel mare della vita, la preghiera è appunto quel soave profumo che sull'ali di un'auretta primaverile porta il conforto al cuore, perchè impetra ed ottiene le grazie dal Signore, e spande all'intorno quasi un odore di Paradiso che tutto eccita al buono, al bene, alla virtù. Tu, giovinetta, se lo vuoi, hai dentro di te, anzi sei tu stessa un giardino odoroso e fiorito, su cui scende benigno il raggio del sole che lo può fecondare. Aprilo il cuor tuo, lascia che libera e fervente ne esca la preghiera, e quella preghiera stabilirà fra te e l'Onnipotente un commercio d'amore, un dolcissimo commercio che si comunicherà alle persone care al tuo cuore, a quelle che ti avvicinano, e toglierà da coloro che ne sono infetti quel mal germe che li rende difettosi o colpevoli... Tu l'hai ben indovinato; la preghiera di cui ti parlo, non è quella preghiera sistematicamente dissipata e misurata come si misura un dovere penoso o difficile; questa sarà forse un omaggio della nostra fede, ma un profumo non è, nè può esserlo certamente. Questa preghiera è la radice della pianta che a suo tempo manderà fiori, profumo e frutti; ma se non ti fai un preciso dovere di coltivarla con premura e con ardore, d'innaffiarla colla rugiada che viene dal Cielo, quella radice resterà sterile, o produrrà una pianta sottile, tisica, di corta vita ed infruttifera. Non dico, nè credo che la preghiera per essere buona ed accetta al Signore, debba essere condita da un fervore sensibile, vale a dire da lacrime, da sospiri, da storcimenti di collo, di viso, di occhi; no, no, il cielo mi guardi dal dire o dal pensare una cosa simile! Le lacrime ed i sospiri sono molte volte fenomeni nervosi, e lo sono poi sempre, quando dopo di aver pianto nella preghiera noi riprendiamo la nostra vita di prima, per ripigliar poi nuovamente a piangere ed a pregare; quando cioè la nostra preghiera non comprende un dolore vero di aver offeso Iddio ed un proposito fermo di non offenderlo più. Talvolta poi vi ha chi prega, piange e sospira a somiglianza di alcuni Santi i quali ne hanno avuto dono; ma in questo caso bisogna ringraziar Iddio di un tanto favore, non pensare che il fervore che per avventura c'investe, sia da attribuirsi a merito nostro. Quanto poi allo stringimento di occhi, di spalle, e a tutte quelle svenevolezze e smancerie con cui taluni s'intrattengono davanti al Signore, io vorrei davvero non trovassero in te un'imitatrice, poichè anzichè servire di bene alle anime, sono piuttosto di scandalo, e dánno appiglio a coloro che riprovano il culto esterno. Il Signore vuole che il nostro contegno sia dignitoso, quindi serio, raccolto, ma scevro da ogni caricatura; il nostro corpo è il velo in cui è avvolta l'anima nostra, e da esso deve trasparire la serietà dei nostri atti; questo ci deve indurre non solo a trattenerci da dimostrazioni eccessive ed inopportune; ma altresì dal guardare all'intorno, dall'occuparci di quanto fanno gli altri, il che sarebbe indizio della leggerezza dei nostri sentimenti. Però a questo proposito devo metterti una importantissima condizione, e si è quella di guardarti bene dal giudicare sinistramente gli altri, e dal condannarli perchè pregano col collo torto, cogli occhi chiusi, ovvero perchè si voltano di qua e di là, e pare non pensino punto a quello che fanno. Noi non possiamo mai giudicare degli altri, perchè mentre talvolta fra i primi vi sono molte anime semplici, che neppure s'accorgono della stranezza e della sconvenienza del loro contegno, e perciò appunto riescono care e gradite al Signore, fra i secondi vi sono bene spesso molte persone che, sotto quell' apparente distrazione, hanno uno spirito oltre ogni dire raccolto, e quel muoversi e quel girar di occhi è unicamente effetto di un organismo nervoso, è semplicemente un difetto del velo che copre ed avvolge l'anima loro. So di una signora la quale, notata e censurata perchè nel tempo di esercizj spirituali guardava attorno e pareva a tutt'altro attenta che ad ascoltare la parola di Dio, a chi gliene fece l'appunto, mostrò per disteso una ad una le prediche che essa esattamente scriveva dopo uscita di chiesa. Non è a dirsi quanto questo fatto riempisse di stupore le suore, presso le quali si davano quelle Missioni, poichè esse dovettero ben convincersi che quella signora non era punto distratta, mentre non lasciava cader verbo dalla bocca del predicatore senza raccoglierlo in cuor suo, e quindi farne nota e mostrarlo a chi il volesse. Tu però che sei pianta ancor tenerella, e puoi essere educata e crescere così ritta e rigogliosa, fa di non cadere in nessuno degli eccessi ai quali ha accennato, affinchè il profumo che tu emani ascenda più soave ed olezzante al trono del Dio delle misericordie. Non esigo, anzi neppure ti permetto, che tu stia le lunghe ore inginocchiata a pregare; no, questo è contrario alla tua complessione, alla tua età, ed invece di un bene potrebb'essere un male. Difficilmente la mente nostra, e più specialmente quella dei giovani, si presta a fermarsi a lungo in un pensiero serio e grave senza sentirne stanchezza e noja; quindi io mi contenterei che tu facessi poco, purchè il poco che fai, tu lo faccia bene. La mattina sia pur corta la prece che tu levi a Dio, ma ardente; sia pur corta, ma parta dal cuore, e cioè da una volontà ferma di operare rettamente per amor del Padre nostro, col proposito fermo di asternerti dal peccato. La tua meditazione sia pur breve, non mai trascurata; se in essa o nel tempo del Santo Sacrificio hai delle distrazioni, sforzati di scacciarle e di tenere il tuo spirito raccolto in Dio. Muovi nel tuo cuore affetti di amore, di confidenza in Lui; poi allontanati dal tuo inginocchiatojo o dalla chiesa e con pace e con allegrezza recati alle tue occupazioni, che avrai cura d'offrir al Signore. Tutte tutte offrile a Lui, ed allora non potrai averne che di buone, che di sante. Potresti presentare alla tua mamma un frutto guasto? Ed a Dio? Ogni dì, oltre la tua preghiera del mattino, procura di ascoltare possibilmente la Messa, ed invariabilmente fa un po' di meditazione, quindi un po' di lettura spirituale; poca se vuoi, anche pochissima, ma una pagina, mezza pagina od almeno qualche riga ogni giorno. Un Santo diceva che i buoni libri sono le lettere che ci manda il buon Dio; orbene, sarai tu trascurata a leggere le lettere che Egli t'invia? La sera ancora, prima di coricarti, s'innalzi a Dio fervorosa la tua preghiera. Ho sentito una volta un dotto Sacerdote che nella spiegazione della Dottrina diceva: la mattina e la sera recitate l'orazione domenicale, la salutazione angelica, il simbolo apostolico, unrequiem ed un Angele Dei con raccoglimento e sempre in grazia di Dio; il resto 29 lasciatelo sulla mia coscienza. Al momento mi è sembrata una cosa comoda; ma poi ho pensato che aveva un'alta significazione, quella cioè di pregare e insieme di meditare quanto si dice. Quel ministro aggiungeva per la sera questa riflessione: che appena coricati incrociassimo le mani sul petto, indagando se l'anima nostra si trovasse macchiata di colpe, e di quali colpe pensando e dicendo a noi medesime:lo posso morire stanotte; questa coltre, questo lenzuolo può servire a coprir il mio cadavere; sarei io pronta, stanotte, adesso, di comparire al tribunale di Dio? Ed ecco nascere spontanea nel nostro cuore la promessa di presto confessarci se macchia grave ci funesta; nascere naturale il dolore d'aver offeso il Signore; ecco scaturire la fede, la speranza, l'amore che renderanno più placido e sicuro il nostro sonno, la nostra vita, la nostra morte. Figliuola mia, oggi ho incominciato il mio discorso parlandoti di fiori, di olezzo, di soavità, e finisco col mormorarti la parola che accenna all'ultimo nostro fine! Ma che vuoi? Per quanto mi dolga contristarti, pure io non voglio trattarti come si trattano i bambini pei quali le medicine debbono sempre essere sciroppate a rischio ancora di renderle meno efficaci. No, io ti parlo un linguaggio semplice, forse troppo greggio, ma un linguaggio di amore, perchè non ho altro fine, altro desiderio se non quello del tuo perfezionamento. Io desidero ed auguro che nel giardino del Signore tu sii pianta fruttifera, rigogliosa che spande all'intorno un profumo soave; che, non contenta d'imbalsamare sè stessa, sparge i più grati effluvj su coloro che la circondano, sull'aria che le aleggia intorno, la bacia... Oh! se la preghiera sarà da te coltivata, e nella più umile sua forma di brevi e rapide aspirazioni salirà frequentemente dal tuo cuore a Dio, chi può contare i doni che n'avrai da Lui in ricambio per te e per tutti i tuoi cari, ed il merito che ne caverai per l'anima tua? Oh! prega, prega sovente per te, per tutti i tuoi, per tutti coloro che come te sono stati segnati col Sangue del vero Agnello; per quei poveretti che dormono nell'ignoranza, nell'eresia, nello scetticismo; per gli Ebrei, pei bianchi, pei negri, pei buoni, pei malvagi...; ma, per pietà non ti dimenticare di pregare anche per me, che mentre mi struggo per giovare all'anima tua, per far cadere sovr'essa una goccia d'amor di Dio, trascuro me stessa, e ad onta di tanti doni da lui ricevuti, mi mantengo indegna, ingrata... Oh! prega, prega per me, per me che dal momento che mi sono posta a scrivere per le damigelle non ho cessato di pregare per esse, quindi per te, pel tuo presente, pel tuo avvenire... Prega, prega per me!

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TI ho parlato stamane dei tuoi studj, e ti ho raccomandato di applicarti con impegno ed in pari tempo con moderazione, poichè mentre è imperdonabile l'ignoranza, specialmente in giovinetta gentile, non lascia di essere biasimevole una scienza appresa a prezzo dei doveri che si hanno con Dio e colla famiglia. Ma quanto a ciò spero m'avrai inteso, ed ho fiducia che d'ora innanzi cercherai d'arricchire il tuo spirito di cognizioni utili senza detrimento veruno degli obblighi tuoi, e dei giusti desiderj dei tuoi genitori. Non posso però chiudere quest'importante argomento, senza prima farti, quasi fra parentesi, alcune raccomandazioni; anzi ti prego di conservarle dentro di te come affettuosi miei ricordi, e te le richiamerai alla mente allorchè sarai tentata a più allargare le ali, ed a più alto spiccare il volo di quanto comportino i tuoi mezzi e la tua condizione sociale e domestica. Anzichè vederti oziare per la casa, o stare alla finestra, o succhiarti un libro se non apertamente cattivo, però leggiero e poco buono, applicati pure allo studio meno importante, e sarà sempre per te un guadagno grandissimo occuparti di quello, anzichè perdere il tuo tempo in vane letture od in leggerezze. Però fra i tuoi studj preferisci i più utili, i più profittevoli, e come t'ho già raccomandato jeri, dà maggiore importanza alla tua lingua che all'altrui, nell'ugual modo che devi tener maggior conto della veste che dell'ornamento. Le cognizioni che più strettamente riguardano i tuoi bisogni e le tue abitudini sono come la veste colla quale ricopri l'animo tuo; le altre non ne 31 sono che l'ornamento. Io non ti proibisco l'ornamento e l'eleganza; anzi ti assicuro che mi piace assaissimo vedere una giovinetta vestita senza caricatura nè esagerazione, ma con semplicità e buon gusto; e non contrasta assolutamente coll'ideale ch'io mi sono formata, il vedere la giovinetta cattolica rivestita d'una coltura soda e arricchita di sode cognizioni, ed altresì di cognizioni se non necessarie, però utili ed atte a mettere in risalto la soavità del suo carattere, l'acutezza del suo ingegno, la delicatezza del suo spirito. Ognuno, secondo la propria condizione, coltivi più o meno la propria intelligenza, e se riesce nello studio e si trova capace di qualche cosa, ne lodi il Signore, cui unicamente deve renderne grazie; ma si guardi dall'invanirsene. E chi vorrebbe imitare il pavone che fa la ruota per mostrare le sue penne? È forse suo il merito se quelle penne sono così morbide, così belle, così variopinte? La parentesi è aperta da un pezzo, ed ancora debbo incominciare a dirti ciò che più mi preme. Farò presto per farti piacere, ma tu, deh! non lasciar cadere le mie parole, ma ponderale attentamente, e rifletti se niente niente ti riguardano... e risolvi, e decidi. Molte damigelle prendono una o più lezioni da uno o più maestri o maestre: questa è una grande inestimabile fortuna per esse se costoro sono buoni, e se penetrati dell'altezza del loro ministero non lasciano cadere occasion d'innestare nella loro mente, nel loro cuore, una buona massima, un buon pensiero; se in una parola, si sforzano di predicare, se non altro, col buon esempio. Ma, pur troppo vi sono maestri e maestre che apertamente insegnano il male; questi certo non saranno i tuoi, perchè la loro stessa professione d'incredulità, o di libertinaggio avrà distolto i tuoi genitori dall'avvicinarteli, e te ne avrà preservato. Ve ne hanno però degli altri i quali, sotto una pelle di agnello nascondono un cuore di lupo, e questi sono peggiori dei primi, perchè tentano avvicinarsi a te, innestarti goccia a goccia il veleno dell'irreligione, dell' orgoglio, di tutte le passioni, senza quasi lasciarti il tempo di accorgertene, e tanto meno di tenertene illesa. A difenderti da questi pericoli io non conosco miglior rimedio di quello di pregar il Signore d'inviarti saggi educatori ed insegnanti, ed in seguito l'altro di aprirti sinceramente col confessore e colla mamma di tutto quanto ti vien detto palesemente o sotto velo nel tempo della lezione. È una lode troppo pronunciata e troppo soventemente ripetuta? Temi, e confidati a' tuoi superiori. Ti s'insegna letteratura o storia, e toccando di certi personaggi che come rappresentanti di Dio hanno diritto al nostro rispetto, odi parlare dei loro vizj e delle loro enormità con un'aria di soddisfazione, con un riso di scherno o di compiacenza? Temi, e confidati ai tuoi superiori. Pur troppo fra gli Apostoli vi è stato un Giuda, e pur troppo anche dopo di lui fra i rappresentanti dell' Altissimo vi sono stati degli indegni, dei sacrileghi; ma questo non dà diritto nè a te, nè al tuo maestro che a condannare l'uomo peccatore, non mai a schernire l'incaricato di Dio. Nelle scuole, nelle università s'insegna l'errore, e non si sa come porvi argine o rimedio; ma se fino nel santuario della tua casa, della tua cameretta, del tuo cuore si volesse introdurre questo errore, tu l'accoglieresti, o non piuttosto ti affretteresti a rigettarlo lungi da te? Se in grembo ti cade una favilla, permetti tu ch'essa s'infiammi, ti bruci non solo le vesti, ma bruci ed arda te stessa? No, tu cerchi ad alta voce e con istanza, acqua, soccorso, e l'acqua, il soccorso contro l'errore che ti si vuol insegnare ti saranno prestati dal ministro di Dio e dalla madre tua, sempre teneri del tuo bene, se sinceramente ti aprirai con essi. In un foglio capitatomi a caso nelle mani, mi ricordo di avere una volta visto litografato un bel giovane, elegante, forbito, simpatico, distinto, con appiè l'iscrizione:il diavolo non é si brutto come si dipinge. Al momento la cosa mi è sembrata come la dicono i francesi una saillie d'esprit, e non altro; ma poi con quel mio naturale testardo e curioso di voler andar al fondo d'ogni cosa, non ho tardato ad entrare nello spirito della caricatura, e mi sono meravigliata che la mia distrazione non me l'avesse prima fatto scorgere. Il demonio è brutto, orribilmente brutto; ma a noi non si presenta mai nella sua deformità, perchè allora, addio! ognuno ne avrebbe ribrezzo, e non si lascierebbe indurre a scendere a patti con lui. Il demonio, brutto com'è, ci appare bello come l'Adone della mitologia, e più di lui fornito di tutte le grazie dello spirito e del corpo; non ti faccia adunque meraviglia se quel tuo maestro incaricato d'insegnarti lettere o scienze, musica o pittura, cerca d'insinuarsi nell'animo tuo con un'apparenza illusoria, ti lusinga, ti... Confidati coi tuoi genitori, col tuo confessore, e se nei tuoi insegnanti non troverai severità di principj, serietà di costumi, dignità di tratto, riservatezza di maniere, non scendere a patti, non ragionare con essi; ma risolutamente togliti dalle loro seduzioni, dalle loro arti... Il diavolo non è si brutto come si dipinge; ma se poi riesce ad insinuarsi dentro di noi, chi può noverare, chi può riparare i guasti che ci arreca? Tra le balze cade sbattuto un rigagnolo d'acqua; le nevi si disfanno, quell'acqua ingrossa; dal rigagnolo si stacca un altro rigagnolo il quale non segue la via che da lungo tempo ha segnato il primo nel monte, ma va per la campagna, la inonda; altr'acqua sopravviene alla prima e colla prima accresce i danni dei campi: poi, l'acqua si ritira, e il povero colono, il quale ha ansiosamente aspettato la state per raccogliere il grano da alimentare la famigliuola, si reca sul posto, vi cerca inutilmente una spiga, un frutto, e battendosi la fronte trae forte un sospiro dal petto, dicendo:Chi darà pane ai figli miei? Oh! vi ha un Dio nei cieli che darà pane a' tuoi figli, povero padre, e vi ha un Dio nei cieli che accorderà il suo perdono a quell'anima che, traviata dall'errore, sinceramente pentita a lui farà ricorso; ma tu finchè sei in tempo, pensa quanto ti sia meno difficile conservarti nella via della fede e della virtù, anzichè ritornarvi una volta che tu l'abbi lasciata. Niente è impossibile per chi confida in Dio; ma chi può dire le lotte, le fatiche che dovresti superare? Una volta smarrita la strada, chi te la vorrà, chi te la potrà indicare? Io stessa in una bella giornata di settembre mi trovava sulla cima di un monte dove mi aveva trascinata il desiderio della solitudine, la smania di vedere quella natura sì bella, sì maestosa nella sua semplicità, e la sete di respirare l'aura imbalsamata dai pini e dai cipressi selvatici. Sedetti col caro compagno (che divideva il mio entusiasmo) sull'erba molle ed odorosa; visitai con esso le balze, indi c'inoltrammo nella selva: egli mi esortava a ritornare sul cammino battuto, ma io trovava tanti bei fiori nascosti sotto quelle piante, e la vaghezza del luogo mi attirava sì dolcemente, ch'egli dovette cedere alle mie istanze e seguirmi nel mio sentiero. Ma ahimè! ben presto il sentiero scomparve, non ci fu più modo di ritrovarlo, perchè le piante e gli spineti ce ne avevano di molto scostati: allora un senso di timore s'impadronì di me; a questo si aggiunse il rimorso d'aver disobbedito il compagno, tanto più che il sole stava per declinare, e di lì a poco le Alpi ce l'avrebbero nascosto. Mi si strinse il cuore, e dal cuore commosso levai a Maria un'invocazione ardente. Mentre ero assorta in breve ma infocata preghiera,chi va là? sento gridar forte una voce. Non vedemmo alcuno, la selva folta ci nascondeva l'interlocutore, di cui avevamo udito la voce; ma avendogli noi risposto (e immaginati con quanta premura), di lì a pochi minuti, quasi un'apparizione, ci vedemmo dinanzi un contadino robusto il quale, avendo inteso rumore tra gli alberi, aveva creduto fossimo gente venuta a rubar legna nei boschi soggetti alla sua custodia. Taluno applaudirà la combinazione fortunata; quanto a noi pensammo a ringraziare la Provvidenza d'avere sì amorosamente vegliato sopra di noi. Quel giovine alpigiano ci disse poi ch'eravamo sopra un dirupo, ancora pochi passi più in là ed il pericolo sarebbe stato imminente; essendo imprudenza ribattere il sentiero di prima, volle tenessimo dietro a lui, che ci avrebbe guidati al punto di partenza, vale a dire sul culmine della montagna. Egli ci aprì la strada troncando col suo falcetto i rami che ci sbarravano il cammino, e con grande fatica e solo coll'ajuto di quel buon montanaro riprendemmo il sentiero scosceso e sassoso che avevamo fatto nella salita, il quale, se era malagevole, era però sicuro e ci riconduceva a casa, dove eravamo attesi con trepidanza e con spavento per la troppo prolungata nostra assenza, che faceva temere ci fosse avvenuta qualche disgrazia. Non ti scostare, figliuola, dal sentiero del bene e della virtù; non ti lasciar sedurre da lusinghiere immagini, nè da più lusinghiere promesse; quel sentiero ti parrà per avventura monotono e faticoso, ma t'incoglierà male se te ne scosti; come io incautamente m'inoltrai nella selva intricata del monte, tu t'inoltrerai nella selva ben più intricata della vita, e se sui tuoi passi non incontri un'anima buona, franca, energica che t'ajuti a staccarti dalla via poetica e lusinghiera conducente al precipizio, chi t'assicura di poter poi tornare sulla strada battuta, sulla strada che conduce a Dio? La mia parentesi è stata soverchiamente lunga, ma prima di chiuderla voglio raccomandarti ancora un volta di star bene in guardia, affinchè colla verità non ti venga per ignoranza o per malizia propinato l'errore. Iddio te ne liberi mai sempre, questo è il voto costante e ardentissimo del mio cuore.

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Molti, per esempio, si credono saggi ed economi perchè misurano o scarseggiano il necessario alla servitù, agli operai, ed allorchè questi si lamentano, rispondono di non voler rovinarsi per essi, e somiglianti cose: nello stesso tempo non vogliono essere avari, quindi spendono più che non debbono per procurare a sè stessi un ghiotto boccone, un mobile costoso, una splendida veste. Non ponno dare, per ragion d'economia, una piccola mancia all'operajo che li ha serviti con impegno e con coscienza, mentre non durano fatica a privarsi d'una somma considerevole per recarsi ai bagni, al teatro, per procurarsi un vistoso abbigliamento, un comodo, un lusso, o anche solo l'apparenza del lusso. Vi hanno ancora dei sedicenti economi anche più curiosi, benchè meno colpevoli. Codesti si privano essi medesimi delle cose più necessarie alla vita, e si condannano ad un continuo e pressochè assoluto digiuno, che, se il facessero per Iddio, sarebbe invero assai meritorio; ma no, essi lo fanno solo per poter figurare in società vestiti all'ultimo figurino e per poter mettere sulla lista della filantropia il loro nome vicino ad una splendida offerta che giungerà, chi sa quando! ad alleviare un dolore, a saziare un famelico. No, no, non è questa l'economia, non è questa. L'economia è una virtù, quindi utile agli uomini ed insieme cara a Dio, e una virtù non può essere inspirata che dalla carità e dalla giustizia. Tu adesso per tua buona sorte, non hai sulle tue spalle la direzione della famiglia, e pel momento non ti è per avventura necessaria questa istruzione; ma, come i tuoi educatori ed i tuoi genitori, io ho a cuore fartene sentire per tempo l'importanza, affinchè tu non contraddica o contrasti, ma approvi l'opera loro, ed affinchè, chiamata un giorno tu stessa a reggere una famiglia, ne conosca i doveri, e li compia poi fedelmente. L'economia adunque è nemica della prodigalità come dell'avarizia, ed a chi a bella posta non voglia ingannarsi confondendo l'una coll'altra, non avviene sicuramente un simile abbaglio. La prodigalità benchè diametralmente opposta all'avarizia, si trova bene spesso a lei vicina, a provare la verità di quel detto che gli eccessi si toccano, ed anche, pare impossibile, ma è pur vero, perchè quella a questa conduce. La prodigalità porta l'uomo a spendere più di quanto sta nelle sue forze, e spesso senza discernimento nè misura: un tale, per esempio, ha a mala pena di che sostenere la famiglia, e col pretesto di non 35 farle mancare il bisognevole l'abitua al superfluo, l'avvezza a tutte le leccorníe, non le sa rifiutare comodi e divertimenti. Accade naturalmente che spendendo dieci, laddove non ha che cinque, che sei, che otto, è costretto a non pagare dove ha fatto dei debiti, a promettere ed a mancare, a restringere le spese anche necessarie alla famiglia, a diventare avaro con essa. La famiglia è rovesciata, rovinata; i figli cresciuti con abitudini di agiatezza non sanno adattarsi ad una vita di lavoro, quindi si ribellano, e la loro ribellione attira su di essi tutti quanti i gastighi del Signore. Poveretti, mi riempiono il cuore di vera compassione! Gesù misericordioso, abbiate pietà di essi! L'avarizia poi propriamente detta è un vizio nefando noverato tra i sette peccati capitali, che attira le vendette di Dio, e pur accumulando tesori terreni, rovina fino dal germe le famiglie che ne diventano eredi: Oh! evitiamo con ogni cura quest'orribile peccato, e per meglio evitarlo cerchiamo di conoscerlo mirandolo ben bene in faccia; quando ne avremo visto la bruttezza avremo maggior cura di schivarlo, di sfuggirlo, di odiarlo. L'avaro è crudele; egli ama soprattutto il suo denaro del quale è geloso: egli lascerebbe morire un uomo di fame anzichè privarsi di una sola moneta; ma anche staccandoci dal peggior tipo di avaro, e cercando l'avaro, per così dire, domestico, lo avaro pratico, l'avaro d'ogni giorno, noi vediamo in esso una vera durezza pei mali e pei bisogni del suo prossimo. Egli misura il pane ai servi, ai figli, a sè stesso; egli teme sempre gli venga meno quel denaro che adora, che cerca d'impiegare e che impiega realmente ad un frutto esagerato, sotto pretesto che la legge oggidì più non condanna l'usura: egli, il misero, non pensa che se l'usura è tollerata dalla legge umana, non è già tollerata dalla legge divina, da quella legge che tutela i diritti d'ognuno ed in ispecie quelli del bisognoso, dell'orfano, del pupillo... Egli trova inutile e superflua ogni spesa anche strettamente necessaria, e siccome sente ei pure il bisogno di giustificarsi dinanzi a sè stesso, e di persuadersi di non essere avaro, per una di quelle stranezze che mostrano la coincidenza dell'avarizia colla prodigalità, ma non la spiegano, profonde il suo denaro in un'opera spesso inutile o stolta, e così il risparmio accumulato con tanti sudori e con tante lacrime di povere vedove e di deserti orfanelli, serve al suo capriccio, e prova una volta di più che il peccato è irragionevole ed obbrobrioso, e che il frutto del peccato lo è del pari. Un ricco avaro che per una lunga vita aveva fatto usure e durezze d'ogni specie per accrescere il suo tesoro, privando sè medesimo dell'indispensabile alla vita, nella sua vecchiezza sciupava il suo denaro erigendo una fabbrica, senza disegno, senza architettura, senza scopo, se suo scopo non era quello d'incidervi una lapide sulla quale io stessa lessi scolpito:non adoro il denaro, ma generosamente lo calpesto. Io penso che egli si credesse in buona coscienza saggiamente economo, non avaro, e Iddio gli perdoni la sua ignoranza, gli tenga conto della buona intenzione; oh! si, Dio gli perdoni. L'economia invece è prudente ed oculata; misura con giustezza i bisogni della famiglia e li provvede. Impiega i proprj capitali ad un fruttato onesto ed in luogo sicuro, e calcolando giustamente le proprie entrate spende sempre qualche cosa di meno, poichè pensa che un dì o l'altro potrebbero diminuire o in qualche modo subire qualche avarìa, e trova quindi indispensabile aversi un qualche avanzo per riparare ai danni di un'eventuale malattia o di una qualunque disgrazia. La donna economa abitua sè ed i suoi di casa ad un vitto frugale, ad un vestiario modesto, talchè se la sventura li colpisse e la ruota girando mutasse la loro condizione, essi più facilmente potrebbero adattarsi ad una vita più ristretta e limitata, di quello che altri allevati nella grandezza o nella spensieratezza. Ma fin qui ho parlato degli obblighi, che ti ponno riguardare nell'avvenire, obblighi che tu sei tenuta a seriamente ponderare, ai quali tu devi prepararti, perchè nel loro adempimento sta una gran parte della saggezza muliebre. Ma a te pure posso e debbo parlare direttamente dell'economia, e perchè tu pure fin d'ora sei tenuta ad avertela famigliare, e per predisporti ai rovesci di fortuna, e per farteli evitare il più possibilmente. Molte volte, per un amore fosse eccessivo, i tuoi genitori hanno condisceso a circondarti di comodi, più che a te non erano dovuti, a dispendiarsi soverchiamente; ora tu devi saper far senza quelle ricercatezze che non sei certa di poter conservare. Ora sei agiata o ricca, ma un dì puoi diventar povera; con questo pensiero sempre fisso in mente devi abituarti ad una vita laboriosa e frugale, senza ricercare e tanto meno esigere quei comodi i quali aumentando la spesa, aumentano i tuoi bisogni, e quindi la tua infelicità. Io vorrei che anche le damigelle situate nella classe più alta, si abituassero á coprirsi di biancherie piuttosto grossolane ed ordinarie, non cercassero nel proprio vestiario che la decenza e la modestia, stando sempre nel vitto, nel vestire, nell'abitare ed in tutto una linea più sotto di quello porterebbe la loro condizione sociale e finanziaria. Questo servirà a mantenere una saggia economia, quindi ad ovviare un dissesto finanziario; nello stesso tempo dinoterà in esse un animo umile e gentile che ben lungi dal soverchiare gli altri, è contento di stare al disotto, memore che parola evangelica dice:gli ultimi saranno i primi. Sì, te lo raccomando ancora: abbi a cuore l'economia domestica, un'economia che più specialmente si riversi sulla tua persona, un'economia che non ti serri la mano al soccorso, ma ti presti anzi i mezzi per correre in ajuto dei bisognosi; un'economia che ti faccia amica e cara al Signore; a quel Signore che vestendo una carne come la nostra ha voluto cibarsi di povero pane, vestire povere vesti. Quand'io, aprendo il Vangelo, leggo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un senso d'indefinibile tenerezza m'inonda il cuore, e mi torna alla mente questa riflessione, che non posso a meno di comunicarti. Non poteva il Salvatore operando il miracolo offrire alle turbe cibi più squisiti e prelibati di quanto nol fossero pane e pesci? Non poteva almeno dare a quel pane ed a quei pesci un sapore nuovo, differente, superiore ad ogni altro sapore? Il Vangelo non dice affatto parola di ciò; resta adunque sottinteso che nostro Signore moltiplicò i pani ed i pesci nella stessa qualità dei pochi pani e dei pochi pesci che gli Apostoli tenevano in serbo; siccome ogni cosa fatta da Dio è feconda di utili ammaestramenti, così questa pure è utilissima, insegnandoci che allorchè ci limitiamo a desiderare ed a chiedere il necessario, Iddio è pronto a fare anche dei miracoli per soddisfarci. Non cercare adunque, o amica tenerissima, che il necessario; fa di contentarti di poco, di restringere quanto più puoi i tuoi bisogni, e sarai più facilmente esaudita, ed il Signore vedendoti staccata dai beni della terra, non sarà indotto a privartene; ma ajuterà anzi l'opera saggia e prudente di un'economia guidata dall'amore della giustizia e dai dettami della carità, col benedirti non solo nell' anima, ma altresì nel corpo e negli averi! Oh! ti benedica, ti benedica Iddio!

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il giorno appresso erano pressochè vizzi quei poveri fiori, ed avevano perduto il vivace colore e la fragranza; pure non ebbi il coraggio di gettarli via, aspettai un altro giorno; ma allora li guardai, li vidi in parte secchi, in parte fradici; li fiutai, mi sforzai a volerci sentire un resto di buon odore, ma non bastò, chè essi putivano e fui obbligata a gettarli via... Mi ripiegai allora sopra me stessa, e pensai che la mia giovinezza non poteva avere che la vita di un fiore, e com'essa sarebbe passata; ma il buon Dio mi suonò dentro una confortevole voce che incalzandomi ripeteva : - La giovinezza non è un fiore come gli altri, il fiore della giovinezza può essere conservato se non nella sua venustà, almeno nella sua essenza. Iddio non solo permette, ma vuole sia da te curato, custodito gelosamente questo fiore; che se la vita passandogli sopra lo calpesta e nasconde, il dì non solo delle giustizie, ma delle misericordie, l'ultimo giorno, ei risorgerà glorioso, e le rose olezzanti della giovinezza splenderanno più belle aggrappate ed avvinte alla maestosa venustà della quercia, e gioventù e vecchiaja insieme intrecciate brilleranno e formeranno sul tuo capo superba corona. - Mi consolai in allora, ed innalzai una fervida prece all'Altissimo, affinchè conservasse a lungo la giovinezza se non sul mio volto, almeno nel mio cuore, e ringraziai quei fiori dai quali aveva ricevuto una salutare lezione. Ma vi ha un fiore più labile e capriccioso di quello dei verd'anni, e quel fiore tu, l'hai indovinato, si chiama bellezza. La bellezza è innegabile, è un dono di Dio, e tutti i doni di Dio sono buoni e pregevoli, appunto perchè vengono da Lui che non li dà mai isolati o senza profitto. Ma di questo dono di Dio avviene l'opposto di quanto accade degli altri, poichè l'uomo, e specialmente la fanciulla, sono tentati di dargli un aprezzamento esagerato, e d'attaccarvisi con soverchio trasporto. Da ciò provengono molti disinganni e dolori, e quella bellezza la quale doveva essere fonte di bene, diventa invece assai spesso sorgente di male. Per qual ragione le ragazze bellissime sono d'ordinario sventurate, s'incontrano con un marito che non le cura o le trascura, ovvero, pur sentendosi chiamate al collocamento, perdono la loro freschezza, appassiscono la loro gioventù, senza trovare quello sposo che tanto lungamente hanno vagheggiato e vagheggiano tuttavia? Vuol dire, a mio credere, che sentendosi lodate, adulate, corteggiate, formano un concetto così esagerato della perfezione delle proprie forme, che, o non curano di essere amabili, credendo di non aver bisogno dell'amabilità e della grazia per piacere ed interessare, e divengono scipite, press'a poco come la camelia, e come della camelia si può dire col Giusti di esse: Senza puzzi e senza odori, Come le camelie. oppure esagerano siffattamente le loro pretensioni che non credono alcuno degno di avvicinarle. Se usano una preferenza a qualcheduno, costui teme di subire più tardi la sorte comune, e contentandosi di vaheggiare la bella, di sospirare per lei, di privarsi egli stesso della compagnia di una savia consorte, di porgerle omaggi di fiori, di poesie, di doni, lascia che la candida e morbida pelle di quel volto s'increspi, che le rose chinino lo stanco capo... E che avviene allora? O la bella approfitta degli ultimi pallidi raggi di sua bellezza per attaccarsi ad uno che ben lungi d'essere l'ideale propostosi, non la rende, nè potrà mai renderla felice, o langue miseramente struggendosi in tardi pentimenti, maledicendo perfino all'infausta venustà delle sue forme. Ma tu hai torto; non è della bellezza la colpa del tuo triste destino; la colpa è tua; se tu l'avessi considerata come un dono subordinato agli altri; se tu l'avessi considerata come un fore vago ed olezzante e ti fossi data cura di formarle all'intorno una siepe di candidi gelsomini, vale a dire di fortezza d'animo, di purezza e generosità di cuore; se tu pur riguardandola come fior gentile avessi pensato alla sua caducità, essa ti sarebbe stata di fortuna, non di gastigo. E che dire poi di quelle cotali che della bellezza si valgono a perfide arti, e se ne giovano per attirare, per tradire gl'incauti, per fabbricare un edifizio d'iniquità? Stendiamo pietosamente un velo su quelle meschine, e ricordando le caritatevoli parole del Nazareno rivolte all'adultera:Chi ti ha condannata? - Nessuno. - Ebbene, neppur io ti condanno: va, e non voler più peccare, compatiamo le colpe altrui, o a meglio dire chi le commette, e guardiamoci dall'imitarle. Che se sventuratamente le abbiamo imitate, pentiamoci sinceramente, e mutiamo vita. Ma, grazie a Dio, vi hanno molte, moltissime eccezioni, ed io spero tu ti trovi fra queste: bella, ma non vana, bella ed insieme amabile e modesta; bella ma senza orgoglio. Era tanto bella la Madonna ed era tanto santa, che dovrebb'essere di sprone e d'incoraggiamento a tutte il suo esempio; erano tanto belle molte pie vergini e martiri, che tutte le fanciulle dovrebbero essere eccitate ad imitarle. Oh! tu se la possiedi la bellezza, non la funestare col crederla e collo stimarla più che non vale; se ad essa va unita la virtù, il suo fiore riprenderà i suoi vaghi colori e la sua fragranza nel giorno estremo; se dalla virtù e dalla modestia è scompagnata, subirà la sorte dei fiori del prato, cui inesorabile falce accelera la fine, e asseccati dal sole diventano poi nutrimento del bruto. Poi il fiore della bellezza passa bene spesso prima ancora della gioventù, e per incidenza mi pare d'avertelo detto un altro giorno, basta un accidente qualunque, un morbo, un nulla a sfigurarlo, a deturparlo. No, non ti attaccare a quei beni che sfuggono e si dileguano come frutto delicato sotto i colpi della gragnuola; ma fa di attaccarti a quei beni che l'uomo non può involarti, nè abbattere, nè fugare; questi beni tu li conosci, tu li coltivi in te stessa; essi si chiamano virtù cristiane, virtù che fecondando la tua vita di opere buone, ti circonderanno di un'aureola risplendente, e se non varranno sempre a rendere felice e fortunata la tua esistenza, la renderanno però ognora placida e rassegnata. Oh! le sventure sono inevitabili, le sventure sono il tessuto della vita; ma tu le sopporterai pazientemente, il che vale a dire con frutto, se il testimonio della buona coscienza ti assicurerà sempre di aver fedelmente compito il dover tuo. Se il Signore ti ha accordato la bellezza, ricordatelo: essa è un fiore che passa; no, non t'illudere, essa è un fiore che passa, e lascia dietro di sè una striscia luminosa soltanto quando è simbolo ed espressione della bellezza dell'anima.

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Ora un po' di questo coraggio è non solo utile, ma necessario, indispensabile a chiunque voglia servir Dio, e non essere preso in mal occhio nella società; ma a te più specialmente si addice, a te che devi, che vuoi diventare l'angelo della tua famiglia, ed in conseguenza vuoi e devi essere una giovinetta amabile, generosa, modesta. Io non so se ti adorni la bellezza, o se essa ti faccia difetto in tutto od in parte; ma siccome anche posseduta la puoi perdere quando meno lo credi, così devi abituarti a saper farne senza. Molte fanciulle si rodono in cuore perchè le loro forme sono irregolari, brutta la tinta della loro pelle, e farebbero non so quanti sacrificj per rettificare le prime, per migliorare l'altra. Fin qui la cosa può andare, e se poniamo avessero i denti neri e procurassero di farli diventar bianchi, ed avendo una gamba più lunga procurassero di alzar l'altra con un mezzo qualunque, non ci sarebbe male se non nel caso in cui, tenute a dire la verità, come per occasione di matrimonio, nascondessero ad arte i loro difetti, e si rendessero così colpevoli di un vero inganno. Ma per difetti molto minori di quelli accennati, alcune fanciulle si struggono, diventano invidiose, ed affine, per esempio, di rendere più dolce la 36 loro voce naturalmente bassa o chioccia, la rendono poi così stridula ed ineguale da far pietà a chi non ha lena di riderne. In generale tutte coloro che in un modo o in un altro si sforzano di procurarsi coll'arte ciò che lor nega natura, riescono un misto ridicolo di brutto naturale e di brutto artificiale, poichè a quello aggiungono alcunchè di caricato, di esagerato, di antipatico. Quanto a me ho dei gusti alquanto originali, non lo nego; ma ti assicuro, io preferisco di gran lunga una figura, se vuoi, irregolare, un naso arricciato, un colore che non si sa che color sia, ma nel dì cui fondo brilli la sincerità del cuore, la bontà, e i di cui occhi, belli o brutti non importa, si velino di una lacrima all'udire le sciagure altrui, ad una persona elegante e maestosa i di cui tratti toccano alla perfezione, ma che, occupata esclusivamente o quasi del proprio individuo, si cura degli altri solo quel tanto richiesto dalle convenienze, da quelle convenienze da essa fedelmente osservate solo per non tradire le sua riputazione di dama o damigella di bon ton. Sì, alcune volte le convenienze esigono degli sforzi da noi, ma per me non vorrei mai, anche per secondar quelle, mentire alla verità; sai invece cosa vorrei? Vorrei si educasse il cuore così, che egli stesso dettasse quanto si legge nelle pagine del codice del vivere sociale. Più d'una volta s'è visto che persone pressochè deformi hanno suscitato forti passioni, vale a dire le qualità interiori portate all'esterno ne hanno in certo modo nascosto l'apparenza, ed hanno provato una volta di più che la bellezza del corpo, scompagnata da quella dell'anima, è sozzura e laidume. Essa è troppo somigliante a quella mela che tonda, liscia, ben colorita, t'invoglia di prenderla, di divorarla: tu allunghi la mano, la porti alla bocca... che cosa è? perchè schifita la butti via da te lontana? ah! gli è che il di dentro non somiglia al di fuori; gli è che quella bellezza ingannevole nasconde il fracidume; gli è che il bello senza il buono a nulla vale, proprio a nulla. Ma vi ha di più. Nella natura materiale io vedo crescere rigoglioso ed olezzante un fiore, ed a lui dappresso lo stesso giardiniere ha posto un altro seme, il quale non è fecondo di fiori, ma solo di spine. Che vuol dire questa sproporzione, o piuttosto questa differenza? E perchè questa pianticella seminata, coltivata, inaffiata come la prima, presenta sole spine, e dentro le spine nasconde un piccolo bottone che non è nè fiore, nè frutto, od almeno non è frutto buono a qualche cosa? Forse sarà perchè è conveniente garantire il fiore circondandolo di spine, forse sarà per farlo maggiormente spiccare; ma fors'anche sarà per mostrare che quel fiore ha solo la vita d'un giorno, mentre la siepe dura tutta una stagione; forse... Chi indagasse nei segreti che si asconde in seno natura, arriverebbe fino ad un certo punto, poi gli sarebbe forza fermarsi e confessare: qui c'é un mistero che accetto, ma che non spiego. E nella natura morale, nella vita delle anime, allorchè diamo del capo contro il mistero, perchè la nostra ragione scompigliata, anzichè piegarsi ad accettarlo, sbuffa e si rivolta orgogliosa ed ignorante, negando ciò che non conosce, pretendendo di vedere e di comprendere ciò che supera la sua portata? Lo spirito delle tenebre è il primo fattore di simile disordine; egli suggerisce una curiosità indiscreta, anzi sacrilega, perchè vuol indagare il segreto di Dio; egli lancia dentro di noi quel mal seme che abusa dei doni celesti per stimolarci ad offenderlo. E qui tutti quanti si vedono afflitti da una disgrazia qualunque, e specialmente da una deformità corporale, pieghino la fronte davanti ai decreti di Dio, e pensino che Egli nostro Creatore è altresì nostro Padre, e se ci ha negato qualche cosa, ce l'ha negata per riservarcene delle migliori, più preziose, più vere. Se tu che mi leggi non hai fitta nel cuore questa spina crudele, compatisci a chi l'ha; fa di alleggerirne il dolore, pensa che forse chi è l'oggetto della tua compassione ti supera nei pregi dell'animo o dell' intelligenza, e fa di persuadere essa e te medesima che natura è provvida e giusta, e restituisce da un lato quanto nega o toglie dall'altro. Di te nol sospetto davvero; ma se ti trovassi con persone che deridono gli sventurati, prega per essi, ammoniscili, fa loro comprendere che la bassezza di cui si fanno rei li rende ben più deformi di colui che è il triste soggetto della vilissima loro guerra. Se questo libro non viene da Dio, se non lo inspira lo spirito suo, morrà nel suo nascere, e le mie parole non saranno ascoltate da alcuno; ma se lo anima il soffio dell'Onnipotente, scorrerà in molte mani, sotto gli occhi e presso al cuore di molte damigelle, e fra queste forse s'incontrerà con qualche sventurata, cui natura od infermità ha privato od alterato una gamba, un braccio, l'udito, la favella e fors'anche la vista, e per taluna sarà forza sentire la lettura che altri le farà di quanto io scrivo al suo indirizzo. Oh! ad essa pure io auguro e prego la benedizione di Dio! È una spina crudele la tua, o damigella infelice, e la tua spina più addentro ti si spinge nel cuore al confronto di coloro che dotati di un corpo sano, robusto, ben costrutto, ti fanno parere di essere il fondo del quadro che mette in maggior luce la loro figura. Ti pare persino d'essere il rifiuto del mondo, d'aver ricevuto la parte peggiore; ti pare sieno una punizione per te la vita, gli averi, l'ingegno, e talvolta un senso di disperazione ti sconvolge e tenta d'invaderti. Poveretta! Se tu fossi nata prima del Cristo, o fossi nata dov'egli non ha peranco portato la civiltà, il tuo corpo servirebbe di bersaglio allo scherno, e fors'anche la tua vita sarebbe stata soffocata nel suo nascere da una mano crudele. Ma sollevati, poveretta, solleva lo sguardo ed il cuore! Un Dio in cielo ha tuonato una grande parola; ha detto che non sarà tenuto conto dell'apparenza, ma della realtà che noi saremo riputati quel che valiamo realmente, non quanto figuriamo di valere; quel Dio negandoti o rendendoti scarso il sorriso sulla terra, ti dà caparra sicura che te ne accorderà uno più intenso, più vero ed eterno in un'altra vita. Sì, ma, mi pare di udirti, e la vita sarà dunque per me un continuo pianto, una condanna? Oh! no, figlia mia, perchè quel buon Iddio che ci ha creati, ha posto nel cuore dei suoi seguaci un sentimento di tenerezza, di venerazione per i miserabili d'ogni maniera; ha loro insegnato a medicarne le piaghe, ad asciugarne le lacrime, a consolarne ogni dolore. Nel Vangelo, ch'io sappia, non si parla che di tre donne, che noi possiamo supporre dotate di bellezza, chiamate a conferir col Salvatore; la mia cara Maddalena, la Samaritana e l'adultera; mentre ad ogni volger di pagina si legge di ciechi, di storpj, di mutoli, di paralitici, di lebbrosi, di ogni sorta d'infermi e perfino d'indemoniati, che a lui s'accostarono e ricevettero colla salute del corpo quella ben più preziosa dell'anima. E nella cena nuziale non entrarono gli zoppi ed i meschini d'ogni maniera, e non ha mostrato con ciò il Signore che essi precederanno gli altri nel regno dei cieli, poichè ad essi è data la preferenza? Le persone adunque mosse non dallo spirito del mondo, ma dallo spirito di Dio, ben lungi dallo schernirti, ti ameranno, ti stimeranno, ti terranno in venerazione, se vedranno in te una virtù soda, un'umiltà profonda, una religione seriamente e costantemente praticata. Bene spesso le medicine più efficaci, le droghe più fragranti sono raccolte in quella specie di nocciolo che abbiamo veduto crescere privo di bellezza in mezzo alle spine. Orbene, la tua è una spina, una spina crudele; ma sta in tua mano porvi dappresso quel nocciolo che racchiude virtù ed olezzo; quel nocciolo tu lo devi cercare a Dio, tu lo devi coltivare, fecondare con un santo coraggio, con un coraggio cristiano che ti faccia sopportare pazientemente la tua croce d'un giorno, in vista di una corona che durerà un numero infinito di giorni, o piuttosto un giorno solo, ma sul di cui orizzonte mai non tramonterà il sole eterno. Per le persone sagge e ben pensanti, la perfezione corporale è un semplice accessorio, e colui che dispregiasse chi ne è privo, meriterebbe tutto il tuo dispregio... Oh! mio buon Dio, perdono all'insana parola che mi è sfuggita. E sarà mai ch'io approvi e consigli il disprezzo, e quei pensieri e quegli atti che lo seguono e lo accompagnano? No, mio buon Dio, Vi prometto di no, Vi prometto che mi sforzerò anzi a far entrare nelle anime una santa tolleranza, non già del male ma di chi lo commette; non già del peccato, ma del peccatore. Oh! figliuola, amica mia, dimmi dove sei, fammi sentire la tua voce, e se tu non puoi muovere il passo per giungere fino a me, verrò io a trovarti, verrò io a stringerti al mio seno, verrò io a dirti che la spina che ti trafigge, ferisce di rimbalzo crudelmente me pure. Fammi sentire la tua voce, dimmi dove sei, ed io verrò a pregarti, a supplicarti di perdonare a quell'anime deboli che ti guardano e ridono delle tue miserie; verrò a ripeterti la storia del nostro Salvatore, che ridotto a tale da non essere più riconosciuto come uomo (tale era il ludibrio che i carnefici avevano fatto della sua persona) perdonò a tutti, li guardò con occhio amoroso, ed a mostrarci la generosità del suo cuore, pregò l'Eterno Padre per essi, quando disteso ed inchiodato in croce ne era obbrobriosamente oltraggiato. Io conosco un tale cui un fiero morbo spense negli occhi la luce, mentr'egli era ancora lattante. Fu raccolto da quelle anime egregie le quali hanno dedicato la loro esistenza al sollievo dell'umanità; fu allevato, educato, ed egli ora trovasi amato, circondato, festeggiato dai buoni e stimato da tutti. Quante volte udendolo trarre soavi armonie da quel cembalo che risponde sì bene alla malinconica sua fantasia; quante volte udendolo accompagnare il suo malinconico suono con un canto ancora più malinconico ed insinuante, io ho fitto i mio sguardo nel suo viso, ed ho tremato e palpitato aspettando quasi che quegli occhi vuoti si riempissero, che si aprissero finalmente quelle palpebre e ne uscisse uno sguardo loquace!... Allorchè il povero cieco si mostrava di tanto superiore ai veggenti, nell'arte dell'armonia e specialmente nell'accento che armonia prendeva sotto il suo tocco, ammirata e commossa mi sono rivolta agli altri per indovinare dal loro sguardo se dividevano il senso che m'invadeva, e quasi senza accorgermi ho stretta la mano del vicino come per dire: Iddio è giusto, ha dato a costui più che non gli ha tolto! M'è accaduto di assistere, presso le buone Canossiane, ad un esame delle sordo-mute povere di campagna. Ho pianto ed ho pianto di cuore in sentire quelle voci senza modulazione, formare degli accenti, emettere delle parole, dei discorsi i quali proveranno mai sempre che i miracoli sono possibili, se basta la carità cristiana a generarli; ma mi sono più che mai intenerita, ed ho sentito di essere veramente loro sorella quando ho letto i loro sentimenti con indefinibile delicatezza espressi sulla lavagna. Ho pensato anche allora: Iddio è imparziale, e privando costoro della favella del corpo, li dota di quella del cuore per parlare a Lui, per rivolgersi a Lui, per godere di Lui e di Lui solo. Se la deformità del corpo ti è toccata in parte, non la riguardare come una spina crudele; ma bensì come una caparra di un gaudio che non avrà nè misura, nè fine. Quanto meno hai avuto in terra, tanto più ti sarà dato in cielo.

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NEI giorni trascorsi abbiamo considerato i doveri che ci stringono a Dio, e ne abbiamo inferito il debito di rivolgerci frequentemente a Lui per avere ajuto e guida; siamo passate indi a ragionare degli studj che convengono a giovinetta civile, ed abbiamo dato la preferenza agli studj che presentano un'utilità più immediata, avvertendo alla necessità ed all'obbligo di guardarci dai maestri cattivi e dalle loro cattive dottrine: poscia stabilendo che l'eleganza consiste non tanto nel lusso, quanto nella modestia e nella semplicità, abbiamo visto non esserci lecito valerci di alcuna di quelle arti che ci fanno parere differenti da quel che siamo; infine per combattere in noi la vanità e distaccarci dai beni caduchi, abbiamo considerate che appunto sono caduchi ed affidati ad una ruota che or ce li dà, or ce li toglie. Da ciò è spuntata naturalmente la necessità di abituarci ad una saggia economia, di contentarci di quanto possediamo, di non riporre la nostra felicità negli onori, negli averi e neppure nella bellezza, fiore che presto appassisce, e non può essere, nè diventare fragrante se non è illuminato dal sole delle cristiane virtù. Ma le damigelle, che non hanno mai posseduto quel fiore, occupavano il mio pensiero, anzi il mio cuore, e col cuore ho mormorato al loro orecchio quanto veggo scritto nel libro della vita e la parola della fede. Ma fino ad ora temo di essermi occupata quasi esclusivamente, od almeno di preferenza, delle damigelle che si trovano sul mattino della vita, mentre altre ve ne sono, che della vita sono al meriggio ovvero l'hanno varcato: queste hanno pure diritto ch'io mi occupi di esse non solo, ma le tenga a parte del mio affetto, perchè se non per istato, almeno per età sono ad esse più vicina che alle prime. Fra le zitelle che hanno superato la giovinezza, altre lo sono per elezione, altre lo sono o per colpa propria od altrui, od in causa di circostanze più o meno comuni o straordinarie. Credo di dire il vero affermando che il numero delle prime comprende una zona molto ristretta e limitata; questo però è ben lungi dal significare ch'io neghi esservi molte fanciulle le quali fino dall'adolescenza hanno stabilito in cuor loro di non voler maritarsi, e neppure di farsi monache, ed avendo dichiarata più o meno pubblicamente questa loro intenzione, l'hanno poi fedelmente mantenuta. Colla mia usata franchezza premetto che, come regola generale, ritengo sia miglior consiglio per una giovinetta sposarsi a Dio se non vuol sposarsi ad un uomo, e sposarsi ad un uomo se non ha sufficiente virtù per dedicarsi per sempre col corpo, coll'anima, colla volontà, con tutta sè stessa allo Sposo celeste. Chi non ha in dito l'anello di Dio o l'anello dell'uomo (tranne alcuni casi che pajono avvenuti per mostrare che in ogni stato ed è possibile e si dà la perfezione), si trova in certo quale impaccio; non è nè dama, nè damigella; mancando della libertà conceduta a quella, non ha i vantaggi che a questa si accordano; ha solo raramente una casa propria; molto di frequente, sia ricca o no, le tocca di stare a carico di un fratello; la costui moglie la guarda con gelosia e con sospetto, ovvero con qualche altro parente cui teme sempre d'essere di peso, se non di peso materiale, almeno morale. Il Signore ci fa vedere che tutti gli uccelli si fabbricano un nido; perfino gli animali selvaggi si preparano una tana, quasi ad insegnarci che noi pure dobbiamo aver di mira a formarci uno stato... Ma e dove mi trasporti, fantasia agitata? quale campo mi mostri?... Non è questo il mio cómpito; a me non ispetta consigliare quale sia la condizione che più si convenga alle fanciulle; esse su ciò debbono ricevere lumi da quel Dio che all'uopo pregano ogni giorno con insolito ardore, esse debbono consigliarsi col direttore della propria coscienza, coi proprj genitori, ed io non debbo nè voglio essere come quei ciarlatani i quali pretendono offrire un'ampolla in cui sta il rimedio infallibile per guarire ogni male. Oh! non s'inquieti alcuna delle parole mie, le quali non sono in questo caso che l'espressione dell'opinione mia particolare; ma richiegga il consiglio a chi può, a chi deve darglielo, ed il medico sperimentato e saggio saprà prescriverle quel rimedio che specialmente le si conviene. 37

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Se, tu sapessi che ho d'uopo di essere mano mano incoraggiata dal Superiore che mi ha suggerita questa impresa, per non troncare tutto a mezzo come mi tenta l'angelo delle tenebre! Ma il buon Dio mi regala, per parte dei suoi Ministri, di quelle parole che sollevano, di quelle parole che facendoci riferire tutto quanto facciamo all'Autore d'ogni bene, m'infonde nel cuore pace e coraggio. E perchè, mio Sacramentato Amore, confortate, premiate cotanto i miseri sforzi miei e la meschina opera mia? Se in essa è alcunchè di bene, esso non viene che da Voi, da Voi solo che Vi degnate farlo passare per mano mia alla parte carissima al vostro cuore, la cara gioventù; a quella schiera che ha conservato puro ed olezzante il giglio delle vergini colla bella innocenza, o lo ha ritornato al pristino splendore con una penitenza salutare. Buon Gesù, io Vi ringrazio! Ma jeri temo di essere stata un pochino nel campo delle astrazioni, ed oggi voglio invece scendere al concreto e parlare cuore a cuore con quelle damigelle le quali sono forzate a subirsi uno stato che esse non avrebbero mai scelto, e che, quantunque non si lascino indurre a confessarlo, hanno fatto ogni sforzo per mutarlo in quello di coloro che hanno un marito, una famiglia propria, dei figli cui lasciare il nome, gli affetti, gli averi. Se per tua colpa ti trovi ancor celibe, coll'aver fatto troppo assegnamento sulla tua istessa eccellenza, non ti resta che accettare il tuo stato come pena ben dovuta al tuo orgoglio; fare di necessità virtù, e se non sei stata finora l'angelo della famiglia, devi ora adoperarti a diventare l'angelo dei tuoi fratelli, delle sorelle, dei nipoti, di tutti coloro ai quali la tua parola o l'opera tua può essere di qualche conforto o soccorso. Se invece la colpa non è tua, ma di altre persone che, o per soverchio zelo, o per malevolenza ti hanno attraversato la via, confida in Dio, il quale dà sempre più che non nega; Esso provvederà a te e non ti lascerà no in abbandono. Se poi la colpa non è nè tua, nè altrui, ma di circostanze estranee le quali ti hanno tolto di accasarti, o privandoti degli averi, o facendoti incontrare e vincolare con persone che la morte ha rapito, o con altre delle pressochè infinite combinazioni dell'esistenza, pensa che in ogni stato l'uomo e la donna ponno essere utili a sè ed agli altri; pensa che Iddio attende da te molto bene, che tu ne puoi fare molto, moltissimo, che Egli ti promette di premiare i tuoi sforzi, di riempire il vuoto del tuo cuore, della tua vita... Se tu poi hai condannato te stessa a restar priva di uno sposo, di una famiglia, di tutto ciò insomma cui ti sentivi inclinata, soltanto per provvedere ai bisogni di una famiglia della quale fatalmente ti trovasti a capo quand'era il tempo di pensare al tuo avvenire; se non avesti la debolezza di abbandonare l'aratro e voltarti indietro per pensare a te stessa, ma coraggiosamente posponesti i tuoi interessi ed i tuoi voti più giusti e più sacri per pensare agli altrui,leva in alto il tuo cuore! Tu hai servito un padrone che è buon pagatore; quel padrone ti darà il centuplo di quanto hai fatto per lui e pel prossimo tuo, e l'appellativo di zitellona suona per te quello di cara eletta da Dio, di vera eroina della carità. A te più che ad ogni altra spetta il soave incarico di essere l'angelo di chi ti possiede, ti avvicina; pure cosa vuol dire che ciò ti costa tanta fatica, che incespichi ad ogni piè sospinto, che minacci cadere? Lo so, la vita, una simile vita ben sovente ti pesa; usa a dirigere ed a governare una famiglia che sotto le tue mani camminava colla massima regolarità, colla migliore riuscita e colla più invidiabile armonia, ti è forza oggidì sottostare ai capricci d'una cognata buona o cattiva non importa, ma spesso bisbetica, intollerante, gelosa del potere, della stima, della tua stessa virtù. Io ti ho vista cogli occhi umidi, io ti ho sentita abbandonata e stretta al mio seno sfogare in esso la piena del tuo, dirmi che è pesante il tuo giogo, umiliante, difficile: io ti ho baciata in fronte, ti ho stretta la mano, ti ho susurrato all'orecchio: Coraggio, coraggio, e ti ho additato il cielo; ma ora ho meditato sul tuo dolore, sulla tua condizione, e mi pare di poterti dire qualche parola di più, di poterti dare perfino qualche consiglio. Lascia alla cognata od alla madre sua il maneggio della casa; la sposa ha il diritto ove non vi sia la suocera, di essere la padrona; tu hai quello più prezioso di essere premiata da Dio dei tuoi sacrificj; ma per ottenere il tuo premio, sei tenuta a rinunciare coraggiosamente adesso a quanto va unito allo stato conjugale al quale tu hai eroicamente rinunciato. Talvolta vedi camminare le cose a rovescio? Ove non t'inganni od esageri, il che pur avviene sovente, fa di volgerle a meglio se le son cose di qualche rilievo, e lascia andar l'acqua per la sua china se si tratta di cose indifferenti o senza importanza, ovvero di cose che direttamente non ti appartengono. Se nella cognata, nelle cognate, o negli altri di casa avverti qualche grave mancanza o difetto o peccato, colla penetrazione e colla dolcezza d'un angelo, non mai coll'asprezza e col comando, correggi e consiglia; ma guardati bene dal parlare mai collo sposo o colla sposa delle colpe del compagno, tranne il caso che il tuo Confessore tel comandi. Lo vedo, il tuo stato visto coll'occhio materiale è tutt'altro che invidiabile; ma se tu lo circonderai di annegazione, di amore, di operosità, non anderà molto e ti sarà resa giustizia, se non apertamente, almeno nel cuore dei parenti e degli amici. Ho sentito dire più fiate: se non fosse lei, poveretta, mia cognata o mia zia, che pensa a tutto, che ha occhio e cuore ad ogni cosa, io sarei disperata; essa è un angelo, Iddio l'ha conservata a benedizione della mia casa e dei miei figli. - Coraggio, amica, se per colpa tua o altrui, o per colpa delle circostanze, od in causa della generosità e tenerezza dell'animo tuo, ti trovi di aver passato il meriggio senza aver provveduto a crearti una famiglia, un avvenire, fa di essere angelo nella famiglia che ti alberga, angelo di pace e di conforto. Se tu invece hai rinunciato a crearti una famiglia in casa tua, od a trovarne una nel chiostro, per solo amore di serbar puro il tuo giglio in mezzo alle lotte del secolo, per combatterne gli errori a forza di virtù e di buon esempio, io m'inchino a te dinanzi e ti addito il cielo dove ti è serbato un premio ineffabile. Ma sulla terra anche gli angeli non sono creduti o sono contristati; a te pure potrà toccare in parte l'amarezza: ma Iddio, se tu operi per Lui solo, volgerà quell'amarezza in gaudio inenarrabile, e facendo brillare sul tuo seno il giglio della verginità, ti porrà in capo le rose dell'amor santo, di un amore che sarà coronato e premiato in eterno, e ti compenserà largamente dei dolori patiti.

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L'ULTIMA nostra conferenza mi ha posto in cuore un senso d'indefinibile tristezza, pensando a coloro le quali sono forzate a trascinare la vita in una condizione ben diversa da quella che aveva formato il sogno della loro età giovanile: ma siccome quando il cuore è inclinato alla mestizia, per successione di idee, non sa staccarvisi che grado grado e con dispiacere, così senza punto averci prima pensato, e credendo anzi d'avere già esaurito l'argomento nel capitolo: La ruota gira e nel susseguente, sono punta oggi da un ardente desiderio, quello di pormi al fianco, di accostarmi all'orecchio della poveretta signora, di quella poveretta che più dell'altra mi fa pietà, m'interessa, mi occupa la mente ed il cuore. Non sarà la mia che una parola di affetto e di sincero compianto; non ti prometto un consiglio, poichè tu, damigella, non ne hai d'uopo se sopporti con pazienza e con rassegnazione l'indigenza che ti sovrasta o ti desola: tuttavia, ti dirò quanto la segreta voce del più sincero interessamento m'inspira, e, chiesto l'ajuto, la guida, gli accenti, alla mia cara Immacolata, prenderò parola a Lei. E chi più della Madre nostra Maria è stata una signora poveretta, e non solo signora, ma gran signora, di sangue reale, eppure condannata a guadagnarsi il vitto col lavoro delle sue delicatissime mani, le quali si prestavano ai più umili servizj della casa? Chi sa quante volte ad essa più che a te sarà toccata la mortificazione d'essere reputata un'ancella, e d'essere trattata come veramente lo fosse da coloro che abbagliati od ingannati dall'apparenza, non cercano un punto più in là di quanto colpisce gli occhi! Mi sovviene che un dì avendo io stessa aperto l'uscio a qualcheduno mentre ero ancora vestita da mattina, ossia di disimpegno, sono stata creduta la mia domestica, e ricordo che in quel momento non ho avuto il coraggio di dire che era io; dopo ne ho riso, s'intende, ma un po' di mortificazione l'ho ricevuta. E tu, figliuola carissima, tu che forse vanti natali più elevati de' miei, che forse unisci al tuo nome le memorie ed i fasti della storia patria, o forse quello di avi che l'hanno eternato nelle scienze o nelle arti; tu che davvero sei condannata a rappresentare la povera operaia o la poveretta che vive della carità cittadina, carità che ti vien data sovente a prezzo di umiliazione e fin d'ironia, od almeno con aria di protezione, se anzichè essere inspirata alle massime del Vangelo è inspirata alle massime del mondo, oh! quanto mi desola, mi trafigge il cuore la tua condizione! Ma la Madonna, l'abbiamo già visto, la Madonna la quale era destinata nientemeno che a divenire la Madre di un Dio, e quindi ad essere la donna più grande che toccasse nel corso dei secoli il suolo di questa terra da noi abitata, si è trovata come te in questa condizione; dunque è segno che in essa la umiliazione è soltanto apparente; dunque è segno che in essa risiede invece la vera grandezza; dunque è segno che Iddio vuole da te le virtù ed i meriti della dama, unite insieme e compenetrate con quelle dell'artista, dell'operaia, dell'artigiana, della poveretta; dunque è segno che Egli ti prepara una doppia corona, dunque... Su, coraggio! amica mia, tu vendi l'opera tua per acquistarti un pane; ma ciò non ti disonora, ti onora anzi, poichè mostra al mondo ed a te stessa che nata nell'opulenza, non sei nata all'ozio e all'infingardaggine... Su, coraggio! amica mia, non sei sola a subire una prova così dolorosa; guardati attorno e vedi quanti e quante la dividono teco; chiedi il nome di coloro che muovono per la città nei più sontuosi equipaggi, e ti soneranno all'orecchio nomi di persone nuove, di persone che jeri o poco addietro erano i servi, gli operai o gli agenti della tua stessa casa. Però non imprecare la sorte; questa è la sorte comune, e se tu disseppellisci le memorie del passato, troverai che della tua famiglia è stato pure altrettanto. I Medici di Firenze non erano in origine mercanti di droghe, ed i Visconti di Milano, se non erro, non erano forse contadini? La ruota gira, tutto ritorna, e tu sei tornata all'antica origine per far risorgere coloro che hanno preso il tuo posto... Non imprecare; Dio sa il perchè di tutte le sue opere; non cade foglia che Iddio non voglia, e nol voglia per santissimi fini! Niente avviene all'infuori di te, intorno a te e dentro di te ch'Egli non l'abbia prima bilanciato nella sua giustizia e nella sua misericordia. È scarso il pane che ti procura il lavoro d'ago, il lavoro dell'ingegno, la prestazione istessa dell'opera tua personale? Pensa alla Madre del Signore cui era negato un albergo, e cui fu forza ricoverare in una stalla per vedervi nascere il sospirato da tutte le genti; pensa al Salvatore ed al Padrone del mondo che non possedeva neppur tanto da posarvi la stanca testa; pensa che a Lui pure mancò assai volte il necessario, che Egli pure volle ricevere la limosina dalle pie donne che lo seguivano. Come, ricevette limosina il Dio del cielo e della terra? No, non era limosina, perchè tutto quanto esisteva era suo; ma Egli volle dipendere dall'altrui generosità, vivere di ciò che gli prestavano gli altri, quando negli anni della sua predicazione non poteva più impiegarsi a guadagnare il suo pane nel mestiere del fabbro, mestiere riservato all'erede di David re e profeta! Su, coraggio, poveretta; forse un dì toccherà a me pure la stessa sorte che ora opprime te; forse la mia sarà peggiore della tua, e mi tornerà fatica trovare chi ricoveri ed alimenti i miei vecchi giorni, se ad essi sarà riserbata la povertà e l'amarezza. Ma a che affliggerci, a che scoraggiarci? Un Dio di amore, un Dio misericordioso sempre anche nell'esercizio della sua giustizia, pensa e provvede a te ed a me. Colui che provvede di nido, di cibo e di piume l'augello il quale non ha ragione, non ha coscienza, non ha un'anima fatta ad immagine sua, lascerà senza tetto, senza alimento e senza veste l'opera sua più bella in sulla terra? Questo timore sarebbe colpevole, anzi sacrilego, e noi non lo vorremo commetter mai, mai finchè il sole risplendendo coi suoi raggi ci ricorderà il vero Sole dell'esistenza; finchè la terra nascondendosi lungamente in grembo il seme, produrrà i suoi frutti a dimostrarci che vi ha un Dio che la feconda, anche quando pare averla posta in oblio. Lavora, lavora, pensa al duplice premio che il Signore ti riserva, ed in allora la mano correrà pronta e sicura, la mente sarà sorretta e rinvigorita, il cuore sollevato e confortato. Se vi hanno dei tristi che ti guardano con ischerno, con dispregio, non ti devi affliggere che per essi, appunto perchè sono tristi o ignoranti; i buoni, tutti i buoni, e perfino quei cattivi che non hanno rinunciato ad un po' di sentimento, ti guardano con rispetto, e non sanno vedere in te che una signora divenuta poveretta di mezzi, di averi, ma ricca tuttavia per le doti dell'animo e la vigoria della volontà, che più forte delle istesse sventure non solo le sopporta, ma le scongiura, piegandosi a quanto non era usa di fare, ma che oggi le torna opportuno o necessario. Allora soltanto tu meriteresti d'essere disprezzata se ti ribellassi a fare quanto porta la tua nuova condizione; se, decaduta di mezzi di fortuna, ti sforzassi e tentassi sostenerti colla menzogna, col porti a ridosso degli altri, ovvero facendo dei debiti: ma finchè cerchi tu stessa scongiurare la miseria coll'operosità, quella non farà che renderti più cara a Dio, più buona, più perfetta. Il mondo ti volgerà uno sguardo di compassione, non t'oblierà, ne convengo; ma chi, penetrate dall'amor stesso del Signor nostro, ravviserà in te l'opera sua provata al crogiuolo della sventura, riscontrerà nel tuo cuore tutta intera la grandezza dei tuoi natali, anzi ne incontrerà una ben più grande; ti amerà, si inchinerà a te davanti, e benchè ti veda poveretta, ti riconoscerà e ti riverirà signora, ancorchè priva di beni di fortuna. La mammoletta è sovente calpesta e trascurata da piede profano; ma ciò le toglie forse alcunchè della sua vaghezza, della sua fragranza? Giovinetta dal cuor gentile la cerca invece con amore fra l'erba e sull'erta, ne ammira il vago lavoro, ne deliba l'olezzo soave, la coglie e con mano tremante posandosela sul seno le parla: potess'io come te viver povera e nascosta, per poter come te spandere intorno il profumo delicato che delizia e ricrea! Ebbene, consolati, povera signorina, come la mammola tu spandi intorno l'olezzo di tue virtù; più della mammola è delicato e gentile il tuo calice, il cuore; più di lei appari modesta e sei preziosa a chi ti circonda, ed ammira in te i pregi riuniti della signora e della poveretta! Iddio veglia su te con un amore tutto speciale. O mia figliuola, coraggio, fiducia ed amore! 38

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No, non vi spaventate, care giovinette, non vi spaventate all'aprir questo libro che con tanto cuore io scrivo per voi, poichè mentre Gesù buono è venuto in terra a portare una legge tutta di carità, non voglio io essere apostola del terrore. Oh! no, la religione nostra santissima, se pur è un peso, è un peso soave, dolce, che non consuma le nostre forze, ma le ristora, le rinfranca. Neppure io vorrei paragonarla ad una catena d'oro, poichè la catena include in sè alcun che di servile, e la religione nostra è venuta ad abolire la schiavitù, a spezzare le catene. Non lo confessano forse i nostri stessi nemici, che il Cristo ha recato alla terra la vera civiltà, e che la sua venuta ha operato la più grande, la più benefica rivoluzione che quaranta secoli non avevano saputo, nonchè compiere, neppur iniziare? Oh! fanciulle care, allorchè taluno vedendovi portar alto il vessillo della fede, sapendovi osservatrici, tenere anzi delle pratiche che, se non sono la fede, sono però i raggi che da essa emanano; se taluno si attenderà di vedervi meste ed accigliate strascinare una vita inutile od egoistica, dite loro che il giogo di Cristo è soave, e che lo portate appunto per divenire utili non solo a voi ed alle vostre famiglie, ma alla società, e che sperate nella soavità di quel giogo di avere mai sempre la tranquillità e la pace nel cuore. Io non ho in mente di consigliarvi nè opere grandi, nè eroici sacrifici; questi ve li inspirerà nel cuore il Signore, se nella sua bontà e misericordia li troverà utili a voi: quanto a me non mi prefiggo altro cómpito che di guidarvi nelle operazioni comuni e quotidiane, e d'ajutarvi a cercare e trovare sempre, ma sempre in esse, l'adempimento della santa volontà di Dio. Un Santo caro alla gioventù in modo specialissimo, S. Stanislao Kostka, soleva dire che la santità non consiste tanto in fare cose grandi, quanto in far bene le cose comuni. Tenetela sempre a mente questa bella sentenza, e troverete agevole e piana la via che conduce alla santità alla quale tutte dobbiamo tendere, poichè certamente voi ed io vogliamo andare in Paradiso, e lassù non si entra, no certo, senza la santità. Ripetiamo adunque spesso a noi medesime: Voglio farmi santa, gran santa, e subito santa. Sì, voglio farmi santa, poichè se non divento tale non posso andare in Paradiso; voglio farmi gran santa, poichè se mi è grave l'avere quaggiù l'ultimo posto, benchè lo riconosca utile all'anima mia; voglio in Paradiso avere un seggio luminoso, e il più possibile vicino a Dio ed alla cara Mamma mia, la cara Regina dei vergini; voglio farmi subito santa, poichè io non sono padrona del tempo, il tempo può sfuggirmi e mi può incogliere la morte prima che io sia divenuta santa... E poi? Allorchè riconosciamo buona ed utile una determinazione, perchè vorremo aspettare ad effettuarla? Se è giusta, perchè vorremo attendere il domani, quando ci è dato vederne oggi il compimento? Damigelle carissime, non vi spaventate delle proteste di santità che io voglio strappare dalle vostre labbra. No, non vi spaventate! Se avrete la bontà di leggere queste pagine con animo deciso di voler mirare al vostro vero bene, scaturiranno spontanee quelle proteste dal vostro cuore, e con animo deliberato di far tutto per amor di Dio e per la salvezza delle anime, ripeterete sovente: Voglio farmi santa, gran santa, e subito Santa! - Se talvolta il maligno tenta di scoraggiarvi, dite: Madonna, ajutatemi, e il vostro buon Angelo vi ripeterà all'orecchio: Non vi spaventate!

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Ma, quel povero navigante che fermo in mezzo al mare non può muoversi di un sol punto, e sempre inutilmente ha fatto la sua manovra, ha ammainato le vele, vede d'un tratto avanzarsi un vascello che rompe colla sua elice l'acqua unita e lucente, e increspandola leggermente intorno a sè, ne scongiura la quiete sepolcrale, e ratto segue il suo corso. Il desolato marinajo si pente, ma troppo tardi di non aver provveduto il suo bastimento di una macchina a vapore; non vuol piegarsi a chiedere di essere rimorchiato, e straziato da un certo quale rimorso, e più ancora dall'orgoglio, si copre colle mani il volto, per non vedere, per non essere tentato di quella che egli dice debolezza! Ad un tratto si ode il rombo di un cannone; l'equipaggio si scuote tra il timore e la speranza; i marinai, discorrono sommessi, il capitano tentenna, ma non è ancor vinto; uno schifo leggero mosso da poderosi remi si avanza; la ciurma si presenta al condottiero e domanda d'inalberare la bandiera del salvataggio: la bandiera finalmente s'innalza, lo schifo si appressa; lo stesso capitano del battello a vapore viene ad offrire il suo ajuto; l'altro capitano vinto da tanta generosità, gli stende commosso la mano, e quegli stringendola forte gli dice: non faccio che il dover mio. Gli accordi son presi, la nave a vela è posta in coda all' altra, viene rimorchiata da essa, e con essa segue sua via e giunge finalmente in porto. Il progresso, la scienza hanno portato alla marineria una grande scoperta, un grande mezzo di salvezza, il vapore; Gesù Cristo ha portato all'umanità una forza motrice infinitamente superiore ad ogni altra; guai a chi ad essa non s'abbranca! E che cosa è mai, e dove mai si trova questa forza motrice che ci conduce a salute nella bonaccia morale, in quello stato di quiete e di contentamento che crede bastare a sè stesso, e che pure è strada ad una morte lenta e pur fatale? Quella forza motrice che risuscita, che rinnova, che elettrizza le anime paralizzate dall'assenza d'ogni male, dal possesso d'ogni bene, è la soavissima carità, quella carità che è l'anima del Vangelo, che, anima della vita intera del Dio fatto uomo, è stata ed è tuttora l'anima di tutti i suoi seguaci, vale a dire di tutti coloro che hanno beneficato e beneficano l'umanità. Allorchè una persona non ha più l'animo travagliato da alcun dolore, e davanti ai suoi occhi brilla l'iride a prometterle lunga pace, per un poco si pasce delle rimembranze dolorose, del dolore passato, poi si abbandona ad una quiete illusoria ed ingannevole perchè troppo prolungata. Nella sua quiete è più infelice del nocchiero, poichè com'esso non vede che quella bonaccia le cagionerà la morte, e se non chiede ajuto a chi solo glielo può dare, miseramente langue, miseramente muore. Nella vita delle coscienze la bonaccia è tanto pericolosa, che il buon Dio sempre provvido ed amoroso anche quando gastiga, d'ordinario non ne prolunga lo stato; ma invia le malattie, le privazioni, e permette quelle croci d'ogni dì delle quali abbiamo, mi pare, fatto un cenno, per toglierle da un grave pericolo, e salvarle da sicura morte. Talora permette la bonaccia per provare la nostra fedeltà, e vedere se sappiamo ricordarci di Lui anche quando tutto cospira a renderci egoisti e dimentici: ma più spesso la bonaccia è una delle più terribili punizioni ch'Egli infligge a chi lo nega, e pretende di vivere senza di Lui; dapprima li ha provati colle sventure, coi rimorsi, ma vedendo che questi anzichè convertirli li irritavano, Egli li ha puniti lasciandoli abbandonati a sè stessi... Pure è il suo sole che li illumina e riscalda; pure sono le pecore da Lui create e tutte le sue creature che lor provvedono vesti e comodi; pure è il grano ch'Egli fa germogliare, che dà loro il pane, tutto il necessario alla vita! Ma essi nulla intendono: giaciono sull'onda immobile dell'immoto oceano, si specchiano in quella quiete fatale, vivono nel contentamento delle loro passioni, e trovano che Dio è un'invenzione, od un pleonasmo. Ma siccome io credo che pur troppo nella nostra società regni e domini l'ateismo per così dire, teorico, ma presto pochissima fede all'ateismo pratico, così penso che molti lo dicano, ma assai pochi credano davvero che Dio sia un'invenzione; mentre tengo per fermo che molti e molti lo negano a parole, o se ne burlano, appunto perchè lo credono un pleonasmo che si può sopprimere, senza verun danno, e di cui essi si vantano di volere e di poter fare a meno. Buon Dio! e chi toglierà quei poveri ingannati ed illusi a quella fatale bonaccia, più terribile per essi della più fiera tempesta? Ecco là; un vapore si avanza, si appressa, manda i suoi ministri ad offrire un infallibile ajuto... Il capitano marittimo non ha saputo resistere alla generosa offerta di salvamento; ma l'uomo mondano non crede al pericolo, rimanda e deride chi a forza d'amore lo vuol salvo... e perisce, ahi! pur troppo perisce se persiste a rifiutare il suo ajuto. Ma tu, figliuola, se a bordo della tua agile navicella custodisci ed ami il vapore della cristiana carità, sarai giovata dalla quiete del mare, e la bonaccia anzichè di pericolo ti sarà di premio, poichè togliendoti alla lotta ed alla furia dei venti e delle onde non sarai ritardata nel corso. Che se tu privassi la tua nave di quella forza possente, se tu confidassi nelle sole tue forze...? No, non voglio essere l'uccello del cattivo augurio; non voglio farti minacce; ma ad imitazione di Colui che dolcemente c'invita, ci esorta, ci obbliga quasi con una legge tutta di amore, mi proverò a dirti qualche cosa della carità ch'Egli è venuto a portar sulla terra, e ti ripeterò la sua dolce parola:Venite a me tutti, io vi ristorerò, io vi consolerò; venite a me!

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non ti sia grave, cara sorella, ch'io ritorni a parlarti del Padre nostro, dopo d'averti accennato che questa invocazione ci chiama in modo specialissimo e positivo alla fratellanza, e quindi alla carità. Oh! sì, quando io dico Padre nostro, prego per me non solo, ma per tutti, per tutti coloro che sono figli di Dio; e chi non è figlio del Padre nostro che è ne' cieli? Il Signore a questa petizione non ha messo restrizione di sorta, nè ci ha divisi in ischiatte, nè in popoli, affinchè separatamente ed ognuno levasse a Dio la propria preghiera. No, egli ci ha insegnato a dire nostro, perchè noi supplicassimo il suo Cuore paterno per noi non solo o per i nostri; ma per tutto quanto il genere umano, pei buoni, pei cattivi, per tutti. Ecco d'un tratto smentita quella bugiarda parola che fa del cristiano un egoista. E come può essere egoista colui che ha imparato ad esporre co' suoi i bisogni altrui e colle proprie le altrui necessità? Pure vi hanno molti cattivi cristiani, i quali giustificano l'accusa colla loro tutt'altro che cristiana condotta; ma tu, ma tu, figlia mia, tu sai che la preghiera della bocca, scompagnata dall'affetto del cuore, non è se non un simulacro, tu dirai bene la tua orazione domenicale, ed ogni volta che pronuncerai quel nostro, sentirai correrti per le vene un palpito di amore pe' tuoi simili, e lo seconderai. Che dice mai quel palpito? Oh! egli ti insegna a chiamare non solo sugli altri le benedizioni celesti; ma altresì a perdonare le offese, a mettere gli interessi del tuo prossimo a livello de' tuoi. Oh! vedi l'acqua abbondante che zampilla dal fonte di vita che è la parola di Dio! Quest'acqua è carità e ci parla d'amore per tutti gli uomini vicini e lontani, amici e nemici, buoni e cattivi; ci parla di riparazione e vuole che noi ci presentiamo a Dio quasi ostaggio pei fratelli nostri traviati; ci parla di perdonare i torti che abbiamo ricevuto, e d'abbracciare i nostri offensori; ci parla di correre in aiuto dell'indigente, portargli il soccorso della parola, della mano e del cuore, perchè ci fa vedere nel selvaggio, nel traviato, nell'offensore e nel tapino niente meno di un fratello. Oh! Gesù buono, e dov'è l'ardito che scaglia quell'indegna bestemmia che voi non siete un Dio? E dunque chi mai poteva dettare una legge di tanto amore, una preghiera di così universale ed eroica carità, se non la legge e la preghiera che voi siete venuto a recare sulla terra? E mi pare proprio che la fratellevole carità sia come una condizione da voi posta alla preghiera, perchè non siete stato contento di darcela una sol volta; ma ce l'avete ripetuta per bocca di due Evangelisti, preparandoci in certo modo a riceverla ed a comprenderne l'alto significato:Quando pregate, dite così: Padre nostro, ecc. Non credere, giovinetta mia cara, ch'io ti voglia far qui una dissertazione sul Pater noster, perchè, dopo quanto ne hanno detto i Santi Padri, e più specialmente Santa Teresa, tutto ciò ch'io ne potessi dire sarebbe come una smorta scintilla rimpetto al sole. Però ho pure un grande vivissimo desiderio d'informare il tuo spirito allo spirito del Vangelo, ed il Vangelo è la parola rivelata dal Dio fatto uomo. L'orazione domenicale è appunto la parola del Verbo umanato, quindi capace a toccarci il cuore, a muovere la nostra volontà, ed io non posso passar oltre senza fartene almeno un cenno. Il cristiano non deve appartenere a verun altro partito se non a quello del Cristo, e tu ed io dobbiamo sforzarci di avere mai sempre la dirittura evangelica, che è quanto dire la rettitudine, la giustizia, la carità in fondo al nostro cuore, ed in cima a tutte le nostre opere. Così facendo, la vita ci correrà 5 serena, e si potrà dire di noi che siamo passati facendo il bene. E tu, figliuola buona, quando ti gunge nel cuore una certa ripugnanza pe' tuoi simili, per qualunque siasi ragione, o perchè di carattere che non si combina col tuo, o perchè di condizione molto più bassa e forse anche abbietta, o perchè hanno offeso te od i tuoi nella parte più delicata e con aperta ingiustizia, ed infine perchè dichiarati libertini od infami; pensa allora che Iddio ti ha insegnato ad invocarlo Padre non per te soltanto; ma altresì per essi, e che vuole che ogni giorno tu ne domandi la protezione sul loro capo come sul tuo, e su quelli che ami. Gli uomini cercarono, cercano e cercheranno di raggiungere la vera fratellanza fra di loro; l'acclamarono, l'acclameranno,... ma sempre inutilmente: ed essa non resterà che uno splendido ideale ineffettuabile. Il trionfo di ottenere la fratellanza vera non si apparteneva nè si appartiene che a Dio, il quale, padrone com'è dei cuori e delle menti, investe i suoi seguaci di tale una carità capace a superare ogni ripugnanza, ogni ostacolo e li fa tutti amici, tutti fratelli, perchè ne pone il germe fecondo nel loro medesimo cuore e nella loro coscienza. E noi ci rifiuteremo a seguire il vessillo glorioso di questo grande amante dell'umanità, del Dio fatto uomo per amor nostro? Oh! no, chè anzi quando ci sentiremo contrarietà con alcuni dei nostri prossimi, ci sforzeremo di richiamarci alla mente che anche i peccatori amino chi li ama ed obbedienti al comandoAmate i vostri nemici, fate del bene a quei che vi odiano, e siate adunque pietosi come anche il Padre vostro é pietoso, perdoneremo a chi ci ha offeso, ci agguaglieremo a coloro che si trovano in basso stato, e presteremo una mano soccorritrice all'infermo ed al tapino, senza curarci se la mano che stringiamo è rozza od incallita, ovvero tremante e macilente. Oh! la carità è pure una grande virtù, ed insieme una grande consolazione del nostro cuore! Quando all'avvicinarsi di alcune feste speciali il mondo ci si affolla intorno a presentarci un'infinità d'auguri, perchè non ci augura un po' di carità, di quella carità vera che beneficando gli altri benefica sè medesima? Lo dovremmo pur ricordare che l'Iddio nostro è tanto buono, che vuole sempre, o quasi sempre, premiarci colla soddisfazione del bene! Oh! io l'auguro ora e sempre a te la carità vera, sicura che questa ti porterà bene, non solo all'anima, ma altresì al corpo ed al cuore, perchè bramo che tu sii felice, e felice non puoi essere se il testimonio della buona coscienza non ti assicura di non aver lasciata sfuggire l'occasione di far del bene, ma che anzi ti sei sforzata di farlo il meglio che per te si possa.

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JERI ho troncato a mezzo il mio ragionamento, per non affastellar troppa roba, e per distinguere una cosa dall'altra; ma oggi eccomi di ritorno a te con tutta la buona volontà di mostrarti colla maggiore evidenza che la forza motrice di ogni bene è la carità, mentre ogni altra che tenti di surrogarla e di supplirla non può essere se non una contraffazione malefica, o, il men che sia, inutile e di sola apparenza. Chi pacificamente si gode un lauto reddito, gli agi tutti di un'onorevole condizione, le soddisfazioni domestiche, una buona ed invidiabile salute, confessiamolo, ha una tentazione immensa all'egoismo, tentazione che gli diventerebbe invincibile se non fosse animato dalla fede e desioso di speranza, non sentisse il bisogno di esercitare la carità, senza la quale non é possibile piacere a Dio. Ogni illusione è vana; fuori della carità almeno incipiente, ossia fuori di un motivo soprannaturale vi ha troppo spesso l'egoismo, il sordido egoismo che ama sè stesso di un amore irragionevole, esclusivo; tende al proprio vantaggio, dispregia o trascura l'altrui, e caschi il mondo, non si muove d'un punto quando crede che il punto tocco dal proprio piede sia atto a sostenerlo. Io conosco degli egoisti i quali vivono, almeno la maggior parte, senza fare nè bene, nè male, se male non fosse anche il non interessarsi degli altri, il godersi soli le loro rendite, l'aver a cuore unicamente la propria salute, per la quale come per la vita, sarebbero pronti a tutto dare, fosse pure il sangue e la vita di molti: essi credono ingenuamente che in Paradiso trovisi un posto 40 per essi... Oh! quanto l'egoismo vi acceca, o infelici! E credete poi di poter sedere per tutta l'eternità vicino a coloro che hanno trascinato quaggiù una vita meschina e laboriosa in mezzo ad ogni privazione, e che pure hanno avuto l'eroismo di dividere lo scarso pane con quelli che seco dividevano la fame, l'inopia? Che ho detto? Perdona, o cara fanciulla, queste vive parole che sono uscite dalle mie labbra: esse, sai, non sono di esecrazione, di condanna, chè non vorrei mai darti altro insegnamento se non di carità, di quella carità che ammonisce, corregge, consiglia, compiange il colpevole, e prega fervidamente e sinceramente per lui. Poveri egoisti, quanta pietà non debbono essi suscitare nel tuo cuore sensibile, o giovinetta! Quand'essi si trovano in bisogno (ed il bisogno batte alla porta di tutti, ed anche alla loro), gli amici e tutti coloro che avevano con essi comune l'amor per sè, l'apatia per gli altri, passano davanti alla loro casa; ma vedendo che non più vi regna la salute, l'allegria o la ricchezza, tirano innanzi, levano bruscamente le spalle dicendo: non voglio saper di miserie, chi ha il male sel goda! Hanno un bel fare i poveretti a mandarli a chiamare, a ricorrere ad essi! trovano ciò che hanno fatto agli altri, mietono ciò che hanno seminato... Ma no, m'inganno. Iddio, generoso anche con chi non l'ama, sul loro sentiero talvolta mette taluna di quelle anime le quali non hanno altra spinta, altra forza motrice, se non quella di un'eroica carità, e come è mio costume di copiar sempre dal vero, e di presentarti esempj non immaginarj ma reali, così farò anche adesso, e tu non avrai lo scrupolo o il dispetto di aver ricevuto per vero l'immaginario. Del resto tutto quanto io racconto quando non è tolto dalla storia, è tolto dalla vita pratica, la quale presenterà a te pure fatti simiglianti, se per poco te li cerchi d'attorno. Potrei dire di alcuni fatti prodigiosi; ma mi pare tanto prodigiosa la condotta ordinaria e, per così dire, naturale di Dio con noi, che amo attaccarmi a questa come la più conosciuta e come quella che più difficilmente può essere svisata o negata. Vi erano due signore; la più anziana usa alla grande società, ai divertimenti, ai viaggi, a tutte le comodità della vita, rimproverava acerbamente l'altra, e la motteggiava perchè, amante della vita ritirata, non usciva se non per recarsi alla chiesa e per le visite di dovere o di carità. Soffriva costei della guerra incessante, e benchè talvolta cercasse con vivacità di ragioni e con forza di volere di essere lasciata in pace nelle sue convinzioni e nelle sue consuetudini, nulla otteneva, e la spina non le veniva tolta dal seno. Un dì la dama più giovane ammala, e l'amica la va a trovare; ma anzichè tornarle di conforto e di sollievo, rinnova i suoi rimbrotti, ne accagiona il sistema di vita soverchiamente religioso e misantropo, e la misera piange e si consola che i suoi almeno l'amano, la compassionano e non cercano di rubarle l'unico suo sospiro, Iddio. Passano alcuni anni, e la dama meno giovane si ammala di malattia contagiosa; manda a chiamare l'amica, e l'amica corre, vola al suo letto, lascia la propria famiglia per assistere l'inferma, e non per un giorno, ma per due mesi continui! finchè scongiurato il pericolo la malata risana. Allora essa è nuovamente attorniata dalle amiche sue pari; dimentica quell'una che ha messo a repentaglio la propria salute per curarla; nega perfino il fatto e dice con fine sarcasmo: vatti a fidar di costoro! e gli altri ripetono in coro: vatti a fidar di costoro! Con tutto ciò, se realmente la carità del Cristo anima e vivifica quella giovane signora, non esito ad affermare che ove tornasse il bisogno essa tornerebbe alla fatica, nulla curante che si apprezzi o si dispregi, si lodi o si biasimi l'opera sua. Alla natura costano assai questi sforzi, ed io che ne ho ricevuto le confidenze, so quanto sia costato a quella dama, non già la fatica, ma la sconoscenza cui è stata fatta segno; se però la sua intenzione è stata retta, il suo sforzo avrà accresciuto il suo merito, e più grande sarà il guiderdone riserbatole in cielo. Odiamo l'egoismo, odiamolo cordialmente e cerchiamo di non cader ne' suoi lacci; epperò muniamo il nostro naviglio di una macchina a vapore, di una forza motrice, che vinca l'inerzia del mare, ci renda atti a superare ed a vincere non solo la burrasca, ma altresì la bonaccia, la quale tenta di renderci fiacchi ed inoperosi per indi sommergerci nell'apatia, nel sordido egoismo. Allorchè io veggo il gemione (uccello alpestre) saltare nella sua gabbia, e ne odo il canto che ad un gemito somiglia, mi piove in cuore una tristezza... perchè mi pare ei raffiguri l'uomo nato ad aria più pura, a pensieri sublimi, ma trascinato da una mano crudele, l'egoismo, ad altro clima, è da essa rinchiuso in una gabbia di ferro, che ne impedisce il volo. L'uomo come quel vago augello, crede di cantare; ma il suo, per chi lo intende, non è un canto, è un gemito; la sua non è gioja, è apatia... è... Oh! è pur crudele l'egoismo! Preghiamo pei poveretti che ne sono posseduti, affinchè sieno liberati da' suoi lacci; ma preghiamo anche per noi affinchè dalle sue lusinghe non veniamo giammai tratti in inganno. L'egoismo pensa unicamente a sè, la carità pensa a tutti: l'egoismo ama, provvede a sè soltanto, la carità ama, provvede a tutti: l'egoismo è cieco, crede bene il male, vive in inganno, la carità è oculata, vede il bene e lo pratica, non è ingannata nè mai inganna alcuno: l'egoismo è opera dell'angelo delle tenebre, e com'esso è tenebroso, la carità è opera dell' angelo della luce, e come la luce è risplendente, luminosa. Oh! seguiamo, abbracciamo, amiamo la carità, inalberiamo il suo vessillo, seguiamolo fedelmente.

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JERI col mio discorso e colla minaccia del frustino, temo forte di averti scontentata, mia cara, poichè so bene che una delle cose da te più carezzate, e di cui meno paventi, è appunto la tua fantasia sbrigliata, poetica, capricciosa, che abbatte ogni ostacolo, supera ogni barriera, e più veloce dell'elettrico, si trasporta da questo a quel paese, da questo ad un tempo o remoto, o futuro, dal possibile e dal reale, all'impossibile ed all'immaginario, da un mondo ad un altro... Se la fantasia fosse meno lusinghiera ed ingannatrice, ne saremmo meno adescati, lo so; ma perchè un cadavere non ci si mostra sotto la sua forma naturale di orribile spettro, ma di leggiero e trasparente fantasima, ci inspirerà minor orrore, e ci invoglierà forse di raggiungerlo, di unirci strettamente a lui? La fantasia è veramente un'ombra che non ha corpo, nè sostanza, nè moto; un'ombra che vista da lungi ti desta o suscita mille pensieri; chè se tu tenti raggiungerla, essa ti sfugge, si dilegua, ed allorchè tu allarghi le braccia per stringertela al seno, non trovi nulla, nulla, e quelle povere braccia ricadono giù amaramente incrociate, stringendo convulsivamente le mani mentre tu gridi forte:all'inganno, all'inganno fatale. Sì, lo vedo, io t'ho toccato sul vivo e me ne duole, poichè avrei voluto fare a meno di contristarti: forse sarebbe bastato il dirti di sfuggir l'ozio generatore di prave lusinghe, l'insinuarti di lavorar sempre, di non lasciar errare la tua mente in un campo inesplorato, pericoloso, di confidare alla tua mamma od a chi ne fa le veci le disposizioni dell' animo tuo; io avrei dovuto fare pieno assegnamento sulla tua virtù, sulla tua bontà, sul tuo criterio senza ardire di funestarti con minaccie di punizioni terrene e celesti... Oh! se il pericolo si trovasse in te soltanto; certamente non avrei avuto d'uopo d'insistere tanto; ma pur troppo i pericoli ti circondano numerosi e da ogni parte, e gli è contro di essi ch'io ti doveva premunire, affinchè per inavvertenza tu non ne fossi trascinata. Nella società vi hanno molte buone cose, le quali ci vengono dalla legge di Dio o scritta sulle tavole del monte Sinai, o scritta sulle tavole del cuore umano, e questo ci spiega come taluni senza avere la grande ventura di essere cristiani cattolici, abbiano un fondo di rettitudine e di bontà che ce li fa amare e stimare grandemente. Ma pur troppo nella società vi hanno delle cose assolutamente cattive, le quali partono dalla violazione della legge divina e rivelata, e da queste, che portano stampate in fronte un marchio di condanna, tu saprai sempre conservarti illesa; altre però ve ne hanno nè buone nè cattive, che una lunga consuetudine 42 ha accettato e tramandato alle generazioni, e quindi non ti è dato di risolutamente respingerle, ma di esse è obbligo tuo star ben bene in guardia: fra queste io pongo in prima fila il codice delle convenienze e delle cerimonie. Questo codice potrebbe bensì essere modificato da una società sinceramente cristiana; ma siccome l'elemento prevalente non è sempre il cattolico, vale a dire il migliore, così ci è forza, almeno in parte, sottoporci ad esso se non vogliamo suscitare un vero male che sarebbe risvegliato dall'eccentricità o dall'intolleranza. La nostra sommissione a questo codice non dev'essere assoluta, si intende; ma relativa, e deve lasciarci sempre aperti gli occhi, affinchè non veniamo poi condotti fuori di strada. I più innocenti e i meno bugiardi paragrafi di quel codice sono quelli che riguardano il linguaggio dei complimenti, i quali fanno ripeterti da uno le professioni della massima servitù, mentre alla prova egli ti rifiuterebbe il benchè minimo servigio. Eppure qui vi ha un pericolo grande alla tua fantasia, pericolo che potrebbe comunicarsi più tardi al tuo cuore, allorchè da un complimento generico si passasse a una dimostrazione speciale a tuo riguardo. In guardia, in guardia! Colui che arde oggi il suo incenso davanti a te, lo arderà domani davanti ad un'altra, e bene spesso i bellimbusti hanno tale e tanta provvisione d'incenso, che lo bruciano successivamente a tutte le dee di una festa, di un'adunanza, di un paese, od a tutte le più belle, non già per esprimere un sentimento, ma per ostentare gentilezza di modi, ed uno spirito raffinatamente galante e moderno. Io stessa ho veduto fumare l'incenso a' miei piedi, allorchè ai miei venti anni, giovane sposa, per obbligo di convenienza, mi sono recata in elegante acconciatura ad un brillante ritrovo; per un momento ho creduto che dal mio povero individuo emanasse alcunchè d'interessante; ma quando il dì seguente con abito dimesso e con un velo trascuratamente allacciato sotto il mento mi recai alla chiesa, vidi più d'uno di quei petulanti cicisbei volgere lo sguardo da me, meravigliati e disgustati di vedermi senza strascico, senza gemme, senza fiori, e non ebbero neppure il coraggio di salutarmi. Questo fatto si ripetè parecchie volte, risvegliando sempre in me una voglia matta di ridere, di ridere; l'ho narrato a molti; ma ora che mi è dato imprimergli una maggiore pubblicità, ne afferro a volo la buona occasione, ansiosa che al veritiero mio racconto pensino le illuse damigelle quale sia il conto da farsi dell'adorazione prodigata alle nostre vesti, ai nostri monili, al nostro volto vantaggiato dalle galanterie, dalle sottigliezze e da quegli adornamenti che lo possono mettere in risalto. Bisogna cominciar per tempo a ragionare ed essere serie a questo mondo; non prendere ed accettare come oro massiccio quello che si mostra come tale, ma forse non è se non un cartone dorato; guardati quindi dal ricevere come atto di adorazione fatto a te certe espressioni studiate, compassate, esagerate ed entusiastiche. Jeri stesso un giovane cavaliere mi confessava che tra di loro i giovanotti eleganti studiano le parole, le maniere per adescare ed illudere le fanciulle inesperte e le donne sperimentate, riservandosi poi di farne i complimenti a quelli che vi sono riusciti e le beffe agli altri i quali hanno fatto, come suol dirsi, un buco nell' acqua. Ma allora questo incenso che si brucia alle divinità della terra è un giuoco, un'ironia, uno scherno? Davvero, è così, non è altro. Quando in fondo al cuore vi ha una passione nobile, un amor vero, un sentimento forte, gli uomini sdegnano e sfuggono le incensazioni, le occhiate languide, le adulazioni, e tutte quelle odiosissime smorfie che compromettono chi ne è fatta segno; ma conservando ed aumentando dentro di sè la stima per la giovane vagheggiata, non ardiscono fissarla in volto, o dirigerle una parola che non sia altamente rispettosa e discreta, e ben lungi dal metterla in impaccio, spiano ogni sua mossa per vedere se nulla nulla vi ha in essa di posticcio o di civetteria. Allorchè son ben sicuri che il suo cuore è vergine come il suo sguardo, e che resiste e si tien chiuso ad ogni affetto non legittimo e non protetto dalla più severa virtù, con passo celere e pur tremante si recano dal padre, o dalla madre, o dai parenti a domandare come una grazia grande sia loro dato il bene di porre in dito all' onesta e pudica donzella l'anello di sposa. Sta sull'avviso, fanciulla, contro coloro che abusando dell'ingenuità del tuo carattere, della soverchia credulità fomentata dall'amor proprio e perfino talvolta dalla stessa tenerezza del tuo cuore, studiano la via per giungere ad esso, ti adulano, t'incensano; per carità, non prender sul serio le loro dimostrazioni, i loro elogi, le loro dichiarazioni, come non prendi sul serio quella che altrui ti fa quando, scrivendoti, ti dice: Servitore umilissimo. Avresti tu il coraggio di dire a costui: ebbene, se mi siete servitore, fermatevi alla mia anticamera, prestatemi i vostri servigi? Se ogni signora avesse lo spirito di trattare in simigliante maniera coloro che le profondono inchini, riverenze, smancerie e sospiri, ben presto gl'incensieri dei ganimedi diventerebbero oggetti d'antichità, ed i loro complimenti sarebbero registrati fra gli atti più umilianti, ingannevoli e ridicoli di una società che si dice, ed in certi rapporti è infatti, supremamente civile. Ma non devi tu essere eccentrica od intollerante, quindi sopporta fino ad un punto conveniente, e finchè non nasca urto colla virtù, col pudore e colla carità, le adulazioni che ti vengono fatte, sempre però sentendo e facendo sentire che tu le stimi pel loro valore; parole, pure parole, nulla di più. Un simile contegno potrà far diventar veritiere quelle lodi bugiarde, attirando su di te la stima, una stima profonda, che potrà generare molto facilmente un sentimento più profondo, efficace e vantaggioso. Quanto a te guardati sempre dall'adular chicchessia; ma ove emerga il vero merito, la tua lode non sia avara; ma suoni sincera e sinceramente sentita dal tuo cuore, ed anzichè inorgoglire colui al quale sarà diretta, riuscirà d'incoraggiamento, di compenso e di esca al suo ben fare. Ma l'incenso, oh! l'incenso non lo devi ardere che davanti a Dio! Egli solo merita tutte le nostre adorazioni, e le usurpa vilmente chi arde agli uomini quell' incenso che deve ardere soltanto davanti a Lui, o se lo lascia ardere davanti a sè come ad un idolo. L'incenso è per Iddio! Che se le tue buone azioni ti attireranno una lode meritata, riferiscine a Dio solo l'onore e la gloria, pensando e credendo, che l'incenso è dovuto a Lui soltanto.

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Gli antichi pagani sedevano anch'essi a mensa, ma la loro non era già l'agape dei Cristiani, sibbene il simposio, vale a dire il banchetto dal quale erano esclusi i poveri non solo, ma quelli altresì la cui nobiltà non era antica o vantaggiata dai beni di fortuna come la loro. Nell'agape regnava 44 la sobrietà, la mortificazione; nel simposio invece, il contentamento del gusto e l'eccesso del mangiare e del bere erano giunti a tal segno, che i convitati ad un certo punto del convito si cacciavano in gola una penna, e con essa si eccitavano a rimettere il cibo preso, onde far posto a prenderne dell'altro. L'agape si scioglieva col bacio fraterno, coll' adempimento del servizio divino; il simposio coi lazzi più vergognosi, coll'osceno omaggio alle oscene loro divinità che presiedevano all'ubbriachezza, all'incontinenza, e fino alla viltà ed al furto. Ma che vad'io raccontandoti fatti che tu meglio di me conosci, amante come sei della storia degli uomini e dei costumi? Oh! non mi do no il vanto di narrarti cose da te ignorate; mi sta a cuore di farti vedere che quantunque non si raccolgano più fra loro i Cristiani all'agape fraterna nelle catacombe, e non abbiano più luogo fra noi i greci simposj, dove si mangiavano le morene alimentate colle carni degli schiavi, gettati loro vivi a divorare nelle ampie vasche dei vasti giardini, e si beveva in tazze d'oro guernite e tempestate di gemme, pure vi sono ancora in mezzo a noi conviti e banchetti che si accostano meravigliosamente ai primi ed ai secondi. Non è necessaria una fina penetrazione per convincersi che nei pranzi di famiglia in cui sono radunati i membri dispersi a festeggiare le grandi solennità del Natale o della Pasqua, benchè non vi sia la povertà delle vivande come fra gli antichi Cristiani, ma regni invece un'abbondanza se non assoluta, almeno relativa, pure si rinnovi veramente l'antica agape; io proteggo e decanto la bellezza di questi costumi che conservano qualche cosa del patriarcale e del primitivo, purchè non si guasti ogni cosa col surrogare alle vivande per così dire tradizionali, altre di nome nuovo, di gusto nuovo, di raffinatezza o di lusso disdicevole alla grandezza semplice, primitiva e caratteristica di simiglianti desinari. Ed a chi fosse tentato a credere bandita dai nostri costumi e dai nostri tempi una semplicità sì primitiva e pur sì solenne, mi è caro narrare un uso che tuttodì si mantiene presso alcune famiglie distinte, in alcune province della nostra cara Italia; uso che vorrei predicare ai quattro venti, per trovare chi lo rendesse universale non solo nella forma e nella figura, ma assai nella sostanza ed in ciò che rappresenta. Nel dì della Pasqua, al posto del capo di casa si pone sulla tavola una coppa di elegante e terso cristallo con entrovi un po' d'acqua benedetta; lì presso si colloca un ramoscello d'ulivo pure benedetto, e quando tutti della famiglia e gl'invitati sono riuniti intorno alla tavola, prima di sedere attendono che il capo di casa bagni il ramoscello nell'acqua benedetta, ne asperga uno ad uno i commensali, dando e ricevendo augurio di pace, e di quegli altri beni secondo richiede il caso; finita la pia e solenne cerimonia comincia il pranzo, al quale nessuno, io credo, vorrà negare il nome ed il merito della vera agape primitiva. So di un padre vecchio e valoroso militare, il quale vedendosi un dì di Pasqua assiso accanto un figlio ufficiale che sospettava investito delle nuove perverse dottrine, non ebbe il coraggio d'impartire l'usata benedizione, e mesto ed accasciato sedeva alla mensa. Quel figlio che pareva pervertito, ma aveva invece cuor buono ed animo retto, richiese con istanza al genitore la causa della sua tristezza, ed egli voltosi verso la tazzetta d'acqua santa ch'era stata posta in un canto, disse sorridendo amaramente: il timore del ridicolo l'ha esiliata! Il giovane si levò di botto, e porgendo al padre l'ulivo e l'acqua benedetta, gettandosegli al collo lo baciò con riverente affetto, e con voce commossa gli disse: Vi prometto che se avrò figli, non mancherò di rinnovare ogni anno nella mia casa la pia cerimonia, e di tramandare ad essi la benedizione che da voi ricevo. Tutti furono inteneriti a quella scena; il vecchio Maggiore lasciò cadere nel vasettino di cristallo due grosse lacrime che gli alleggerirono il cuore d'un gran peso, benedisse con trasporto i figli suoi, i figli de' suoi figli, indi consolato sedette con essi. Ahimè! per l'ultima volta egli celebrava quaggiù la festa della Risurrezione. Pace all'anima sua benedetta, pace! Da simiglianti desinari è impossibile non resti qualche cosa pei poveri, e questo completa il quadro bellissimo di un pranzo cristiano benedetto da Dio, rigeneratore della virtù che affratella gli animi e riaccende ed avviva gli affetti più santi. Pur troppo, l'ho già detto, il gusto corrotto e depravato dei materialisti è penetrato fino nelle case cristiane, ha tolto o cerca di togliere quell'impronta simpatica e grande, appunto perchè semplice, che tocca il cuore e lo rallegra, introducendo in sua vece un lusso smodato nelle vivande, e nell'apparato con cui si dispongono e si servono. So che tu essendo figlia di famiglia devi accettare la tua come è; ma so ancora che da un dì all'altro puoi tu stessa essere chiamata a reggere una casa, ed io vorrei salvarti dalla tentazione di rimodernarne i costumi, di raffazzonarla e camuffarla con cerotti e cosmetici, i quali non la farebbero più bella nè più geniale, e tanto meno migliore. Oltre a ciò vi sono delle giovanette che arricciano il naso in vedere nel dì di Natale sul desco di famiglia un apparato semplice ed un pasto abbondante e buono sì, ma frugale, e quasi si vergognano di dirlo colle amiche e colle conoscenti, parendo loro necessario l'introduzione di un lusso ch'io trovo sovranamente disdicevole a simiglianti riunioni. Nel Vangelo allorchè si parla del Padre buono, il quale accoglie il figliuol prodigo che a lui pentito ritorna, si dice aver egli ordinato ai servi di uccidere il vitello grasso onde preparargli un banchetto. Si parla però di un vitello, non già di raffinate vivande come si usa da molti oggidì, i quali, pare, vogliano rinverdire gli usi degli antichi simposj. Abbi caro in generale di conservare tutto quanto ha di tradizionale e di antico nella tua famiglia, e più specialmente ciò che tende a conservare in essa una certa maestà e semplicità di costumi, cui va unita l'unione dei diversi membri. Molti si sobbarcano a gravi sacrificj ed a faticosi viaggi, per riunirsi il Natale e la Pasqua coi parenti lontani, e qual compenso ne avrebbero essi se invece di trovare oggi come vent'anni fa ammannite le identiche vivande, coll'identica di sposizione, trovassero invece un desinare alla moda, con adornamenti nuovi, con un impianto molto differente? Quel pranzo per me è quasi un ritratto di famiglia che amo conservato tal quale, non abbellito o adorno con fronzoli o con frange. Ho insistito molto sul bisogno della semplicità, della sobrietà e della misura, e più ancora sulla bellezza della conservazione dei tradizionali costumi nei pranzi di famiglia, perchè essi sono l'espressione e quasi lo specchio del principio che li muove, l'amor vicendevole. Fra l'agape fraterna ed il greco simposio non c'è che un passo facile a valicare e pericoloso, il quale dalla purissima e santa gioja del trovarsi tutti riuniti i membri di una famiglia intorno al desco paterno, fa passare alla prosastica e bassa gioja (se pure è gioia) di gustare cibi prelibati, di empirsi il corpo, di inebriarsi la testa; e l'idea principale, l'idea madre va perduta insieme alla semplicità, all'affetto... Vedo che dovrò ancora intrattenermi teco in proposito, affinchè non s'infiltri in te pure lo spirito di tutto materializzare, di tutto ridurre alla macchina, al numero, al piacere. La materia c'è, lo sappiamo tutti: la materia costituisce il nostro stesso essere, od almeno la sua parte inferiore, il corpo; la la materia ci circonda, ci nutre, ci minaccia; ma che la materia prenda il posto dello spirito, od a lui si pareggi, la è questa una cosa che nessun'anima ben nata può tollerare; ora tu sta ben all'erta, veglia attenta, affinchè non s'introduca dentro di te, intorno a te, neppur uno di quei principj che la potrebbero generare... La materia è serva e lo spirito è padrone, Iddio ha posto la distanza tra servo e padrone, noi la dobbiamo mantenere, ed a questo riguardo incomparabilmente più che in qualunque altro. Colui che mi presta il suo servigio è un uomo della mia stessa natura il quale a sua volta può diventar mio padrone; ma la materia è di natura più bassa ed infinitamente inferiore alla mia, alla tua anima, creata ad immagine e somiglianza di Dio! Tieni serva la materia, padrone sempre sempre lo spirito.

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JERI t'ho parlato della carità, ed il mio dire avrebbe potuto compendiarsi in quella bella parola:fa agli altri quello che vorresti fatto a te stesso; ora voglio continuare a parlarti della carità; ma di una carità anche più perfetta, voglio parlarti della riparazione. Non inarcare le ciglia, non ti sdegnare con me se ti voglio inoltrare un passo più avanti nella via della perfezione, poichè devi sapere che se riesci ad essere più perfetta con Dio, diventerai più perfetta altresì cogli uomini e con te stessa. Buon per noi che a guidarci, ad incoraggiarci nella via che dobbiamo percorrere, abbiamo ad esemplare e modello il nostro Signor Gesù Cristo, il quale nella smisurata liberalità del suo cuore ci comunica la sua potenza e la sua virtù, e ci rende, se il vogliamo, suoi veraci imitatori! Ma neppure forse tu conosci il significato religioso della parola riparazione che ti ho proposto come una virtù da apprendere, come un'azione da fare, ed io mi studierò di spiegartelo come so e posso, e cercherò d'invogliartene. Dimmi, o cara, sai tu che cosa è venuto a fare sulla terra il nostro divin Redentore? Niente più, niente meno che la più grande opera della più perfetta riparazione, opera che niun altro, fuorchè un Dio, poteva ideare, nonchè compiere. L'uomo era caduto, e Gesù Buono è venuto a rialzarlo; era in odio a Dio, ed Egli è venuto a ritornarlo amico col suo Signore; era fiacco, ed Egli è venuto a rinvigorirlo; era egoista, ed Egli è venuto a predicare la carità. In una parola, egli è venuto a riparare non uno, ma tutti quanti i mall dell' intera umanità, e per rendere vieppiù perfetto il suo atto di riparazione, Egli stesso si è offerto, vittima volontaria ed immacolata, a Dio per l'umanità peccatrice, ed ha voluto spirare su di un patibolo, tollerando di essere bestemmiato e maledetto come un malfattore. E chi non resta commosso all'accento pietoso con cui il morente Salvatore prega pe' suoi crocifissori, dicendo al suo Eterno Padre:Perdonate loro, perchè non sanno quel che si fanno? Ma tu lo sai e lo intendi; io non esigo che tu ti offra vero olocausto per le iniquità degli uomini, poichè nè Dio lo esige, nè i grandi sacrifici possono venire consigliati così di leggieri; quanto io vorrei da te è qualche cosa che gli somiglia, almeno da lungi, e questo qualche cosa gioverebbe agli altri e insieme a te stessa. Se alla nostra fiacchezza non è agevole, e talvolta nemmeno possibile portare il sagrificio all'eroismo, è però agevole e piacevole in pari tempo imitarne lo spirito, offrendo l'un per l'altro le nostre preghiere. Questa è pure opera di vera e cristiana riparazione, e noi non la dobbiamo trascurare. Quanto è bello vedere la donna o la fanciulla cattolica piegare le sue ginocchia davanti al Santo dei Santi, e pregarlo a voler accettare le sue preghiere in riparazione degli oltraggi che gli arrecano gl'idolatri, i scismatici, gli ebrei, gl'increduli, gli apostati, i sacrileghi, i profanatori dell'Ostia d'amore, i cattivi cristiani, gl'indifferenti, i libertini, i malfattori d'ogni specie, e persino gl'ipocriti! Non é questo un offerire a Dio la preghiera e la riparazione l'un per l'altro? non è questa un'opera perfettissima di una sublime carità? E tu, amica cristiana, non ti senti attratta a quest'opera sublime e sublimemente civile, e, per dirlo con un'espressione moderna, perfettamente liberale e filantropica? È troppo brutto ed avvilente per uno spirito generoso l'occuparsi sempre e unicamente di sè, ed è altrettanto bello e confortante trovar modo di prestarsi per gli altri, e pensare e riparare agli altrui bisogni, che tu dovresti tenere questo pensiero come un desiderio ed un voto del tuo cuore. Lo so bene; guardando le cose con un occhio tutto materiale, taluno, e forse molti, mi diranno, che pensare agli altri vuol dire riparare ai loro urgenti bisogni, correre in ajuto dell'infermo e del mendico, consigliare ed appoggiare la vedova ed il pupillo, rialzare il caduto... Certo che sì, queste le sono opere buone, anzi ottime; ed io, ben aliena dal trascurarle, le consiglio non solo, ma dico che chi le può fare dovrà rendere a Dio stretta ragione, se, per infingardaggine o per egoismo, le tralascia: anzi, nel progresso di quest' operetta, quando saremo a trattare del modo pratico col quale dobbiamo regolarci, ne parlerò sicuramente. Ma per diventare atti a servire efficacemente il nostro prossimo, ed a curare il suo come il nostro vantaggio, dobbiamo prima educare cristianamente il nostro spirito. Or bene, allorchè noi l'avremo abituato alla riparazione, tutto il resto ci riuscirà facile, anzi facilissimo. Quand'io conoscendone il cuore, arrivo a convincermi che mia madre gode di essere in certo modo sforzata a perdonare a mio fratello l'offesa che le ha recato, io corro da lei, la copro di carezze e di baci, e mi consolo di veder finalmente slanciarsi nelle braccia l'un dell'altro il figlio e la madre, che mi dava tanta pena in veder divisi. Nè questo basta; quand'io so che la mia genitrice tiene come fatto a sè quello ch'io faccio al figlio suo, io mi adopero per lui, con tutte le mie forze lo ajuto, lo soccorro, dimentico i suoi torti, gli consacro le mie fatiche e, se bisogna, la mia vita istessa con tutto il trasporto. E non faremo almeno altrettanto per Iddio? Le occasioni di visitare un infermo, di consigliare un dubbioso, di soccorrere un tapino, non ci si presentano di continuo, e non sempre neppure ci troviamo in grado di poterne approfittare; tanto più poi questo diventa malagevole ad una damigella, la quale, obbligata ad obbedire a' suoi superiori, non può fare un solo passo senza il loro consentimento e fors'anche senza esserne accompagnata. Ma l'occasione e l'opportunità di fare l'opera della vera riparazione nessuno ce le può togliere, ogni qualvolta noi la vogliamo compiere. E chi ti può impedire, amica mia, che, prostrata davanti al Padre non tuo, ma nostro, tu lo preghi non tanto per te, quanto per gli uomini tutti, e specialmente per coloro che più ti stanno a cuore, che più ne hanno bisogno, e che più si sono raccomandati alle tue orazioni? E questo tu lo puoi far sempre sempre, e non solo in Chiesa o nella tua cameretta appiè d'una sacra immagine; ma dovunque, in casa, in istrada, in conversazione, in teatro, perchè dovunque c'è Dio, e l'anima tua libera può dovunque a Lui sollevarsi e pregar venia a colui che tu sai od immagini, o vedi offenderlo. Questa pratica ti ajuterà all'amor vicendevole, alla vera fratellanza; allorchè tu avrai pregato di cuore per gli altri, ti sentirai inclinata tu stessa a guardare gli uomini con occhio benigno e di perdono, ad amarli, a desiderar loro ogni bene, ed a procurarlo loro anche con tuo vero e non lieve sacrificio. Vi hanno molte anime buone, le quali fanno della riparazione lo scopo speciale della loro vita, e pregano ed operano unicamente per espiare le colpe dell'umanità, e per essa si offrono a Dio olocausto di propiziazione. Queste riparatrici si adoperano perchè anche coloro che vivono nel secolo di un'esistenza comune si associno a loro a riparare le offese dei fratelli colpevoli! E non ti piace, non ti seduce in certo modo questo pio pensiero? Ed allora, se ti piace, perchè non ti ascrivi a fare la tua Comunione mensile a questo scopo sublime? In molte città vi sono case in cui si pratica specialmente e continuamente l'opera della riparazione; noi in Milano abbiamo la casa di Betania, dove le signore che vivono nel secolo si recano ogni settimana a fare opera di riparazione appiè di un modesto altare. Ma che importa se l'altare è modesto, quando dentro vi brilla il sole della vita cristiana, Gesù Sacramentato? Oh! giovinetta mia, dà tu pure il tuo nome, e diventa collaboratrice nell'opera della riparazione, e vedrai quanta gioja ti pioverà nel cuore, e quanto più facile diventerà per te la via che a Dio conduce! Lungi da te la tema di divenire nojata o nojosa, o pesante agli altri, se ti carichi di simile pratica! Anzi ci guadagnerà di molto la tua amabilità, allorchè vedendo che uno falla, in ispirito di riparazione ti porrai ad amorevolmente correggerlo, e ti sentirai trascinata a divenire la difesa dell'assente, del meschino e del pusillanime. Poi c'è un'altra bella pratica di riparazione, che, come ti ho detto, può compiersi ovunque, perfino, vorrei quasi dire, in teatro. Allorchè giunge al tuo orecchio una parola meno pura od una bestemmia, fa, se puoi, di troncarla; ma se non ti è dato far altro, prega il Padre tuo che è ne' cieli a non voler imputare ció a peccato. Se vedi un povero che tu non puoi ajutare, prega Dio per esso; se vedi uno sgraziato, uno sventurato d'ogni maniera, invoca su di lui il divino ajuto, e certo diverrai e ti conserverai assai più benefica alla società di quanti ostentando per essa un amore sommo, un amore ch'io vorrei chiamare romantico, non sanno dare un soldo senza che il loro nome sia inscritto nella lista dei filantropi, o per lo meno senza essere veduti ed applauditi. Ma quell'Iddio che ci dice:non sappia la tua sinistra quello che dona la tua destra, quell'Iddio terrà conto della preghiera che nel segreto del tuo cuore tu sollevi a Lui pel fratello colpevole o sofferente, e non solo te ne prepara il premio in quella vita che è vera vita, poichè non havvi più morte, ma ben anche in questa mortale carriera. Lo sai, te l'ho già detto e te lo ripeterò sovente: tu devi essere l'angelo della tua famiglia; a te spetta il dolcissimo incarico di chiamare sopra di lei le benedizioni celesti. Sì, la vergine cattolica, più libera di ogni altro di pensieri e di affari, deve supplicare l'Altissimo a voler ajutare tutti coloro che la circondano, e che formano un cuor solo con essa. Oh! se tu sarai veramente tale quale io ti vorrei, anzi, quale Iddio ti vuole, fervente riparatrice delle offese degli uomini, te l'assicuro: la tua sola presenza sarà di consolazione e di buon esempio ad ognuno, fosse pure incredulo o beffardo. Sì, non esito ad affermarlo; anche colui che beffeggia la religione nostra santissima, è compreso da un sentimento di ammirazione in vedere chi la pratica costantemente, fedelmente ed allegramente, e ne riceve un salutare eccitamento al bene. Dimmi qual è quel soldato incredulo o libertino che sul campo o negli spedali ardisca levare anche una sola occhiata provocante o meno rispettosa sopra quegli angeli della terra che si chiamano le Suore della Carità? In Parigi non solo, ma in Francia tutta, era diventata una vera potenza la umile, la modestissima suor Rosalia, ed al povero suo parlatorio, allorchè era divenuta cieca, si trovavano insieme confusi i grandi ed i piccoli, i sudditi e gli imperanti. Oh! la Dio merce, la potenza del bene è grande, ed io desidero e prego che tu divenga veramente pia, benefica, e ti sforzi a riparare le offese che gli uomini recano al nostro Iddio, specialmente nella profanazione del Sacramento dell'amor suo. Consolati! la tua riparazione e il tuo esempio avranno uno splendido risultato. Orsù, ricorda il detto del grande Agostino: Ama, e fa quello che vuoi. Sì, ama, ama il fonte dell'amore, e procura di amarlo anche per chi non l'ama, e di porgergli ammenda onorevole per chi indegnamente lo offende.

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Vorremo noi lanciare la pietra addosso a costoro, o non piuttosto ne deploreremo e compiangeremo caritatevolmente la cieca ed assoluta ignoranza? Oh! buon Gesù, Voi che avete dato il vostro Sangue per redimere tutto il genere umano, per costituire la Santa Chiesa Madre nostra, e Maestra infallibile di tutti i fedeli; e dirigendole queste significanti parole: Andate, istruite tutte le genti, insegnando loro di osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco che io sono con voi per tutti i giorni, sino alla consumazione dei secoli; avete voluto farci intendere che Voi stesso ce l'avete lasciata non solo vostra rappresentante, ma depositaria della vostra divina volontà; abbiate compassione delle povere anime, le quali perchè non lo comprendono non credono questo mistero d'amore: illuminatele coi raggi luminosi che escono dal vostro Cuore adorabile, ed essi si stringeranno alle ginocchia della Madre tenerissima che Voi ci avete lasciata, e non solo ne ubbidiranno i comandi, ma ancora ne seguiranno gli amorevoli e saggi consigli. Se in famiglia tua, mia buona figliuola, o in quella qualunque famiglia presso la quale ti trovi od in pensione, od a diporto, od in villa, si mangia grasso nei giorni in cui è comandato il magro, tu devi con amabile istanza pregare la padrona di casa a dispensarti dal mangiare cibi vietati, e a volerti fornire in quella vece qualche vivanda non proibita; se tu sarai poco esigente e ti contenterai di un po' di formaggio, di verdura, di qualche uovo, senza far pesare agli altri nè la tua privazione, nè la loro trasgressione, tutto anderà a meraviglia e nessuno penserà di contrariarti. Qual consolazione per te e qual merito, se un giorno trascinata dal tuo esempio discreto ed edificante, col pretesto di farti piacere, la famiglia si uniformerà a quanto la Chiesa comanda? Se tu in qualche maniera entrassi nella direzione o nel maneggio della cucina, io vorrei vederti santamente industriosa fare in modo che anche il gusto dei più schifiltosi e difficili non avesse di che lagnarsi nei venerdì e nei sabati; poichè io la credo una vera colpa quella di alcune padrone di casa, le quali pretendono che nei dì di magro i loro mariti o i loro figli, spesse volte obbligati a condurre una vita operosa, vivano pressochè d'aria, e si contentino di cibi assolutamente contrarj al loro gusto od al loro bisogno. Certamente se essi fossero stati allevati ed abituati com'io spero sia di te, usi cioè a non far differenza fra cibo e cibo, e a trovar sempre buono quello che si trova sul desco, queste miseriole di desinare più o meno buono, più o meno ragionevolmente disposto, non genererebbero malumori e tanto meno guai; ma gli uomini bisogna prenderli come sono, non come dovrebbero essere, e noi siamo tenuti a perdonar loro qualche difettuccio in premio delle loro buone qualità, ed anche solo pel debito nostro di compatir sempre tutti, tutti, anche i più gran peccatori, pur odiando cordialmente il peccato. Se tu in qualche modo sei cuciniera, sempre avendo di mira una saggia economia e frugalità, provvedi affinchè ognuno si trovi contento di quanto è preparato e non trovi troppo gravosa l'astinenza delle carni: se non lo sei, accomodati alla meglio, ma non violare in verun modo, per parte tua almeno, le leggi della Chiesa senza un formale permesso del tuo confessore. Tutti i peccati sono stolti, perchè non ci compensano neppure per una millesima parte di quello che ci fanno perdere; ma questo del mangiare in certi giorni cibi vietati, mi sembra fra gli stolti, peccato stoltissimo, mentre non regge assolutamente confronto alcuno tra la soddisfazione di gustare una vivanda, sia pure quanto vuoi ghiotta o squisita, all'altra vera ed intima di obbedire ad un precetto della Madre nostra, rinunciando a quella. Si è ripetuto fino alla noja quel versetto evangelico: non ciò che entra nella bocca é peccato, ma ciò che ne esce; ho detto si è ripetuto fino alla noja, perchè se n'è assolutamente invertito il senso, e non ascoltando, per così dire, che il suono delle parole, si è rifiutato il significato loro. E chi non sa che il peccato non istà nelle carni e nel cibo? Se fosse peccato il cibo per sè stesso, non ci sarebbe mai permesso gustarne senza colpa, ovvero mentre è proibito all'uno non sarebbe permesso all'altro, il quale per causa di malattia o d'infermità ne sente il bisogno. Certamente il peccato sta unicamente nella nostra volontà e nell' opera nostra. Eva vide un bel pomo, bellissimo, ne fu invogliata, e benchè le fosse proibito assaggiarne, stese la mano, lo colse, ne mangiò!... Il pomo era buono per sè, innocuo ed innocente, ma quantunque buono, ad essa era vietato gustarne: la colpa non era nel frutto, ma nella prava sua volontà, che, indocile al comando del Signore, lo trasgredì. Così senza avvedermi quasi, ti ho recato una prova non indifferente che i precetti della Chiesa sono inspirati dallo stesso Iddio, il quale, fin dal primo dì della creazione o poco dopo, impose all'uomo la mortificazione della gola. Lo so bene, a te non bisognano queste prove, perchè tu sai benissimo che il nostro Signor Gesù Cristo morendo ha fatto, in certa maniera, procura ai suoi Apostoli, e conseguentemente ha imposto a noi di obbedirli fedelmente come a Lui stesso, minacciando chi rifiuta obbedienza alla Chiesa di essere tenuto come infedele e pubblicano. A questo proposito mi fece molta impressione il leggere che Sant'Agostino, quando tuttor manicheo dubitando della sua religione ne cercava una vera, diceva a sè stesso: Se vi ha una religione vera, e ci dev' essere, essa deve avere un codice infallibile ed un maestro infallibile, poichè egli pensava giustamente al solo lume della ragione che Dio non poteva averla abbandonata agli uomini senza prima fornirla dei mezzi indispensabili affinchè fosse conservata ed insegnata nella sua verità, nella sua integrità e nella sua purezza naturale. Ora noi abbiamo il codice ed è il Vangelo; noi abbiamo il Maestro infallibile ed è la Romana Chiesa con a capo il Pontefice, la quale ci spiega il Vangelo e ci rende facile l'adempimento dei comandamenti di Dio, additandoci pratiche speciali per seguirli. Il Signore ci ordina la santificazione delle feste, il cibarci delle Carni del Verbo umanato, sacramentato, e ad ogni passo del suo Santo Vangelo ci va ripetendo penitenza, penitenza; la Santa Madre Chiesa con cuore veramente materno, per toglierci ed alleggerirci la grave responsabilità del precetto divino, ce ne prescrive la pratica con amorevole indulgenza, imponendoci la Messa festiva, la Comunione Pasquale, l'astinenza di alcuni cibi in alcuni giorni, e il digiuno nella quaresima e nelle vigilie delle maggiori solennità. Un tale, pranzando un venerdì ad un albergo, era fatto oggetto dello scherno di alcuni giovinastri, perchè si cibava di vivande da magro; ad un tratto egli ordina una costoletta, poi gettandola al suo cane, che accovacciato gli stava ai piedi, gli disse: To', mangia, la tua religione non te lo proibisce. Quei giovinastri, piccati, ma mortificati, si morsero le labbra e uscirono. Non ribelliamoci no alla Santa Chiesa, ma obbediamola fedelmente sempre sempre; che se per ragioni di salute o per circostanze specialissime ci è impedito l'adempimento materiale di quanto essa ci comanda, noi ne avremo adempito lo spirito, se umilmente e con cuor di figli le chiederemo di esserne dispensati. Ricordati bene, mia cara amica, di non farti giudice o mormoratrîce dei trasgressori delle leggi ecclesiastiche; bensì, ove ti sia dato, fa di ammonirli piacevolmente, facendo loro sentire l'obbligo che tutti stringe di osservarle; ma più specialmente quand'anche tu fossi fatta soggetto di biasimo o di derisione, segui coraggiosamente la tua via, e quell'Altissimo che tien conto fino dei capelli del tuo capo, terrà conto della tua costanza, e te l'ascriverà a merito ed a merito grande. Vi hanno alcune circostanze in cui il tuo Confessore non solo ti permetterà, ma ti ordinerà fors'anche di mangiar grasso e di astenerti dal digiuno, per sollevare la tua coscienza da ogni turbamento; ma io credo che anche in proposito tu sii obbligata ad accennargli tutte le circostanze, come sarebbe quella del mostrarsi pubblicamente o ad un caffè, o ad un pranzo diplomatico o no, ma tale che il tuo esempio possa riuscire di scandalo o di appiglio ai tristi per appoggiare o giustificare la trasgressione delle leggi della Chiesa. Se tu non fossi figlia di famiglia, io ti direi recisamente di affatto astenerti da quei convegni dove apertamente si viola il precetto della Chiesa e quindi di Dio; ma siccome può darsi il caso in cui tu sii obbligata a prendervi parte, solo in questo caso vi ti puoi recare, previo sempre il permesso ed il consiglio del tuo Confessore. Che se per avventura ti trovassi in villa od in luogo in cui non hai l'ordinario tuo direttore, potrai attenerti a quei consigli che egli ti avrà forniti in altra simigliante occasione, o potrai dirigerti ad un Confessore del luogo. Vi hanno delle anime tanto deboli e meschine, le quali non sanno adattarsi a dire le loro colpe al Sacerdote del villaggio, o perchè se lo vedono frequente in casa, o perchè ne conoscono i particolari difetti, o per qualunque altro perchè, inconcludentissimo quando si pensi che colui che esse vedono in casa, o pieno di difetti, od anche grandemente colpevole, è l'uomo, mentre colui, al quale si confessano non è più l'uomo, ma il Sacerdote, vale a dire il rappresentante di Dio. Tu sei obbligata a contentarti ed a prendere quello che ti viene offerto da quelli di casa, tanto nel vestire, che nel mangiare, ed in tutto: cioè... cioè, tu veramente saresti obbligata ad obbedire i tuoi genitori quando il loro comando non implichi trasgressione al comando della Santa Chiesa; però in questo caso la Santa Chiesa, svisceratamente amorosa ed indulgente, ti dirà anche dispensata da questo; ma tu però farai bene a rivolgerti umilmente a Lei. Ma se tu sarai prudente, discreta, amabile, ti sarà facile ottenere dai tuoi di casa i mezzi per l'osservanza dei precetti; questi certo diverranno scala a grandissimi meriti, ed i meriti a loro volta diverranno scala a grandissimo premio... in Paradiso.

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Nè vale il pretesto essere leggiero il male che ti viene insinuato, poichè ogni male è sempre male nè d'altronde ti è sempre dato rilevarne a colpo d'occhio la profondità e la gravezza, e perchè dal poco si passa poi con tutta facilità al molto. Ti resta però ancora una grande tentazione a scongiurare, a combattere, ed è contro di questa ti vorrei oggi agguerrire e rafforzare. In tutte le età e presso tutti i popoli sotto forme svariatissime e fra loro disparate, ha sempre avuto luogo il teatro, che è quanto dire una rappresentazione, ovvero una riproduzione più o meno verosimile delle scene tragiche, drammatiche o ridicole quali si svolgono realmente nel seno della società. Ora nei secoli inciviliti e presso le nazioni colte, queste rappresentazioni hanno guadagnato altissima importanza; senonchè, c'è un guajo molto grosso e molto brutto che guasta le uova nel paniere, e rende pericoloso quanto per sè stesso sarebbe indifferente, quand'anche non fosse sovranamente buono ed utile e vorrei quasi dire necessario. Lo scopo primitivo del teatro fu quello di educare i popoli alle più eroiche virtù, per cui l'amor patrio, il disinteresse, l'eroismo, dovrebbero esserne e fino ad un certo punto ne sono stati il movente e l'anima. Ma il tempo, anzi 46 l'uomo, ha il mal vezzo di guastar tutto, di tutto alterare, e da lunga pezza il teatro è diventato una lurida scena delle più luride passioni, e pochissime produzioni si sostengono senza porre a nudo le più schifose piaghe umane e sociali, di giunta esagerate ed accresciute, perchè si dice d'aver bisogno di forti scosse, di forti caratteri, di forti passioni. Anzichè coprire d'un velo le enormità di una Messalina, le nudità di una Frine, si mettono in scena pubblicamente, sfacciatamente, e pubblicamente e sfacciatamente signore (e perfino signorine), assistono allo spettacolo, s'inteneriscono ed applaudiscono a scene che dovrebbero essere tuttora un mistero per esse, e ben lungi dal riempirle d'orrore, le divertono invece piacevolmente. Oh! vergogna, vergogna! Una dama, una damigella potrà prendere parte al ludibrio che si fa di lei, col riprodurre in sua presenza le più abbominevoli enormità di taluna del suo sesso, di taluna, che dovrebbe considerare, e ne è infatti non una parte integrante, ma una mostruosa appendice?... Oltre alle produzioni storiche, altre molte ve ne sono immaginarie e fantastiche, nelle quali tu trovi un'orrenda miscela dei più orrendi delitti, delle più orribili passioni, e quel che è peggio queste e quelli non solo tollerati, ma sublimati, portati all'apogeo. Alcuni anni or sono, io mi trovava a diporto in provincia presso una dama di alta società, ed invitata a recarmi con essa alla commedia, seguendo il consiglio di chi dirigeva la mia coscienza, non mi rifiutai, tanto più che si diceva da tutti essere la rappresentazione di quella sera interessante e buona. Quanto all'interessante convengo pienamente, perchè pur troppo il peccato di Adamo ci ha lasciato una mala inclinazione che ci piega volontieri al pantanoso, al turbolento; ma, quanto al buono?... Senti, e giudica tu stessa. Si alza il sipario, ed allorchè io credo di assistere ad una scena esemplare, e m'interesso alle buone e robuste qualità morali dei personaggi che vi si muovono, m'accorgo che quella casa è una brutta casa, quella gente è una brutta gente, quell'azione una brutta azione. Finalmente esce fuori una contessa di alti sentimenti, di nobile cuore; mi aggrappo, per così dire a lei, nella necessità e nel bisogno di trovare un poco di bene in una società così colpevole e viziata e sventurata; ancor poche scene, e i suoi alti sentimenti, il suo nobile cuore l'avranno condotta a beneficare un povero, a consolare un afflitto... penserai tu. Niente di tutto questo; ancor poche scene, e la nobiltà del suo casato, della sua intelligenza, del suo sentire la conducono a coronare coll'esito sospirato la più orrenda vendetta che essa da molti anni meditava e lavorava colle arti più fiere e più perverse. Un pezzo prima io mi era ritirata nel fondo del palchetto, vergognandomi di trovarmi presente alla rappresentazione di azioni cotanto vergognose, e, lo crederesti? Un signore amante e frequentatore del teatro e della società, dopo d'aver alquanto riso della mia ripugnanza, mi confessò che una dama fa pur la brutta figura nell'assistere a simiglianti spettacoli, ma che l'uomo di mondo ve la desidera, appunto per ridere, per acquistare il diritto di entrare con essa in discorsi alquanto liberi, o per dispregiarla. Non c'è da illudersi, le produzioni dei nostri teatri su per giù sono tutte di questo stampo, e chi ha udite quelle di Sardou potrà dire che io, anzichè esagerarne la corruttela, l'ho appena appena accennata e di volo. Pure vi sono molte persone tanto semplici, o a meglio dire, tanto ignoranti, le quali si ostinano a trovare non cattivo il teatro odierno, e certe altre spingono il loro zelo così da trovarlo anzi morale, moralissimo, e tale che vi s'impari a viver bene. Poveri ciechi! Se siete ciechi non vi attentate a descrivere la luce, il colore, il cielo, la natura! Nella vostra fronte non brillano quei lumi che vi mettono in relazione cogli oggetti esteriori, poveri ciechi! vi compiango, e prego Iddio affinchè v'illumini, vi mostri il vero, il bello, il buono! E che morale c'è nel mostrare il vizio come fosse una virtù, nel poetizzarlo, nel divinizzarlo? E che morale c'è nel metterci a contatto con individui corrotti, corruttori, o quanto meno traviati? Ma io faccio per la seconda volta come quei predicatori i quali s'infuriano contro i grandi peccatori che sono fuori di chiesa e quindi fuori della possibilità di sentirne la parola: parlo a te di colpe, di scene, di turpitudini, che non conosci od aborri. Dunque deggio tirare una riga su questo capitolo, od almeno su quel tanto che inveisce contro le enormità peggiori a te ignote, e più che mai estranee? Ho da tirare una riga?... No, non lo posso, non lo debbo, poichè se per te il teatro non è una colpa, perchè non lo frequenti, è però una gran tentazione, mentre i sedicenti amici, gli adulatori, gli uomini di mondo ti vanno ricantando su tutti i toni essere al teatro dove s'impara a vivere, a sentire, a, godere, e che coloro i quali vivono ritirati od anche solo lontani da esso, o sono o diventano originali, eccentrici, ridicoli. Tu lo sai quanto poco conto tu debba fare di quello che si dice, tanto più che bene spesso si dice una cosa e se ne pensa un'altra da coloro i quali hanno l'ignobile ufficio d'ingannare o di tentare le anime buone. Poi, che ti gioverebbe l'apprezzamento del mondo e degli uomini quando tu avessi perduto il candore dell'anima tua? Il libro cattivo è il falso amico che t'induce al male col racconto; lo spettacolo cattivo è il falso amico che t'induce al male col rappresentartelo vivo vivo all'immaginazione esaltata, inebriata. Per carità, fuggi come il libro, così il teatro, allorchè non hai la morale certezza che vi si diano spettacoli onesti, nei quall il tuo pudore e la tua virtù non abbiano a patire detrimento alcuno. Allorchè vedi le tue amiche adornarsi per correre al teatro, o le vedi tornare beate e giulive dal goduto divertimento, e ti corre l'acquolina alla bocca, ed una certa quale invidiuzza ti serpeggia nel cuore, pensa che non si chiudono oggi le partite; forse domani stesso nelle circostanze mutate, e nella convivenza di persone migliori, un dubbio, un sospetto crudele le agiterà, le invelenirà. Che cosa è? Hanno visto jeri al teatro essere falso quello che pareva buono, buono quello che pareva falso, e si sono confuse la testa, non sanno più discernere il vero, domare la fantasia, frenare il cuore. Povere giovinette, eravate sì buone, sì semplici, sì contente, ed in un lampo siete diventate sì meste, sì infelici! Pure, se tu parli ad esse, ritornale a Dio, al ritiro, alla casa, tu tornerai la calma al loro cuore, il discernimento alla loro intelligenza, la virtù all'anima loro. Oh! fanciulla, nella purezza è la pace, la gioja ogni bene. Quando poi tu fossi sicura che lo spettacolo è buono, od almeno che non vi ha nulla affatto di male, ed i tuoi genitori desiderassero condurviti, io non mi opporrei più, dopo di averti raccomandato per la centesima volta di osservare la più scrupolosa modestia nel tuo vestire, nel tuo contegno ed in tutta la tua persona; di tenere ben le briglie al tuo cuore, affinchè non ti prenda la mano, e divenga padrone; di aver sempre in mira il buon Dio e la sua santa legge, e di non fare nè permettere mai atti o discorsi che la ledano menomamente. Ma la casa, la casa, chi ti può dire le gioje intime, ineffabili, ch'essa ti offre nel suo seno, se ti concentri in essa, se in essa tu cerchi dopo che a Dio le soddisfazioni del cuore e dello spirito?...

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FRA tutti i divertimenti, quello che presenta minori pericoli e maggiore utilità, è a mio credere il viaggiare, vale a dire non tanto il portarci da un luogo all'altro, quanto l'osservare e il meditare le differenze quasi infinite che corrono tra paese e paese, costumi e costumi, persone e persone. La rapidità e la facilità dei mezzi di trasporto dei quali noi possiamo valerci tolgono invero, od almeno rendono più difficile l'osservazione profonda, poichè in poche ore ci troviamo sbalzati a grandi distanze, e contentandoci di visitare e di ammirare i grandi centri, vale a dire le grandi città, non ci curiamo poi gran fatto delle differenze di agricoltura, di vegetazione, e perfino dell'indole delle lingue o dei dialetti, e degli stessi abitanti. I nostri avi si movevano molto meno di noi, poichè era una volta affar di Stato fare un viaggio che richiedeva qualche settimana, e oggidì si fa in poche ore od in qualche giornata; eppure gli avi nostri sapevano rendersi maggior conto dei loro viaggi di quello nol facciamo noi, usi ormai a lagnarci finanche delle vie ferrate, che vorremmo surrogate coi viaggi aereostatici, o celeri come il telegrafo. Dove va a parare questa dissertazione? parmi udire da te, mia dolcissima amica. Dove va a parare? Lascia che ci pensi un momento, e cerchi nella mia testa e nel mio cuore la risposta... Ah! ecco il perchè: per persuadere me e persuadere te pure, che non tanto la lunghezza dei viaggi ci può riuscire utile e profittevole, quanto il modo di viaggiare, o a meglio dire il modo di pensare, di ragionare, di riflettere, di esaminare. Molte volte accadrà a te, come accade ad ognuno, di parlare con taluno che ha corso per ogni verso il bel paese, e si è trasportato anche all'estero, senza saperti parlar d'altro se non della piazza maggiore, della cattedrale, e del massimo teatro, e ne sa tanto dei luoghi visitati, quanto colui che li ha veduti nel cosmorama con lenti d'ingrandimento. Un altro invece ha fatto un giro brevissimo, anzi una gita; e ci trova tanto da riflettere, da parlare e da scrivere da farci convinti aver egli assai più goduto e profittato della breve sua corsa, dell'altro il quale ha toccato i due mondi. Questo ti serva di scuola se hai la fortuna di fare lunghi viaggi, e di consolazione se non hai che quella apparentemente più piccola di non dilungarti più di poche miglia dal tuo soggiorno abituale. Due fanciulle muovono insieme in una bella giornata d'autunno sul fianco di un monte, o in una gola, o dentro una selva; delle due, una trova lungo e faticoso il cammino, monotono il sito e senza prestigio; l'altra invece si arresta estatica, non sa sazìarsi d'ammirare i vaghi fiorellini campestri, la bizzarra disposizione dei poggi, la profondità della valle, e s'inebria al gorgoglìo del ruscello che quantunque scarso di acque, spumeggia e somiglia un'onda di puro argento nel suo frangersi contro i massi i quali tentano impedirne o ritardarne il corso; e nei fiori, nei poggi, nella valle, nel ruscello, trova argomento di dolce meraviglia, di viva gratitudine inverso quell'Ente supremo che dovunque ha gettato quasi uno sprazzo, un riverbero della sua stessa maestà e bellezza! Pure la strada, la natura, il creato, non si sono presentati ugualmente alle due giovanette? Cosa vuol dire che una s'annoja, e l'altra gode e gode tanto da rimanerne dolcemente impressionata, forse per tutta la sua vita? Quella è abituata a tutto vedere con occhio superficiale; questa ad approfondire, a meditare, a cercare il perchè delle cose, dell'esistenza, e questo perchè non è nè può essere altrove che in Dio. Orbene, coloro i quali si attentano distaccarti da Dio, si attentano altresì distaccarti da tutto quanto è bello, è buono, è virtuoso; poichè non vi ha niente nè di bello, nè di buono all'infuori di Lui. Sta ben attenta, mia cara, non ti lasciar trascinare in inganno. Io era giovinetta, non avevo che dodici in tredici anni quando mi rodevo di non poter vedere nuove terre, nuovi paesi; una fortunata combinazione portò che mio fratello per cagione d'impiego dovesse recarsi nell'Illiria, ed egli attaccato com'era a mia madre ed a me, insistette tanto che la mamma condiscese ad accompagnarvelo e restare con esso qualche mese. S'intende bene, io partii con essi: eravamo sullo scorcio del settembre, quando ebbra e felice di poter finalmente fare un viaggio di qualche importanza (pur restando colle persone più care al mio cuore), mi diressi alla volta di Venezia: ma allorchè il treno ci ebbe fatto fare qualche ora di cammino, rannicchiata in un angolo del carrozzone, sentii piovermi sul viso alcune lacrime grosse grosse, le quali mi fecero capire come l'allontanarsi dal proprio paese non è mai senza dolore. Giungemmo a mezzanotte a Venezia; di lì a poche ore un canotto percorrendo la magica, laguna ci portava a bordo di un vapore del Lloyd; ma il cannone non aveva ancora tuonato, e dovemmo aspettare nel porto l'ora di salire il battello. Io era estatica, inebriata a tante novità; ma la luna era nascosta ed il mio sguardo vedeva poco più in là del canotto in cui mi trovavo assieme ai miei cari: alle quattro salimmo a bordo, ed io non potei adattarmi a giacere nella cabina, tanto forte mi pungeva la smania di vedere una volta quel mare vasto di cui tanto aveva udito parlare. Albeggiò, si fece giorno, ed io potei finalmente vedere steso davanti a me l'immenso Oceano, e trasportarmi a considerare l'immensità di Colui che lo ha creato. Ma il mal di mare mi prese con tale veemenza, forse perchè mi sforzavo a rimanere sopra coperta, che fin presso a Trieste non potei veder più nulla. Veder Trieste una fanciulla di tredici anni rata e cresciuta in Lombardia! Vedere quel porto sì animato, quel baluardo di bastimenti, di vapori, quel bosco di alberi, quel muoversi e pigiarsi d'uomini d'ogni colore, di vario costume, cominciando dal vestire semplice del civile Triestino a quello del Greco, del Turco, fino a quello armato di coltelli e di stili del Montenegrino minaccioso, era tale per me un incanto, uno stupore, che ad onta mi sentissi tuttora muoversi sotto i piedi la terra pel forte mal di mare patito, io credo di molto, anzi senza confronto superiore, la soddisfazione provata in allora a tutte le altre venutemi dai divertimenti che ho avuto dipoi. Otto giorni dopo, la sera a nove ore montammo, la cara mamma mia, mio fratello ed io sopra una diligenza, la quale recandoci a Fiume valicava il monte Karso; la luna era nel plenilunio, la carrozza camminava a lenti passi per la salita, e noi estatici ammiravamo lo stupendo spettacolo del mare e del molo di San Carlo in cui si movevano forse migliaja d'uomini a trasportar merci. Mio Dio! quanto apparisti grande al mio giovane sguardo in quella sera sì tranquilla, sì dolce, sì limpida! E non era quella splendida sera simbolo e specchio della morte di un'anima giusta, cui un limpido raggio, la fede, illumina al grande passaggio, e l'anima non mai inerte, ma operosa nel bene, trasporta la propria merce, le opere buone, da questa all'altra vita dove troverà premio infinitamente superiore alle fatiche sopportate e portate coraggiosamente? La notte si avanza; Trieste non è più sotto i nostri occhi, siamo al sommo del monte; per la seconda volta si mutano i cavalli, e noi siamo invitati a scendere per rifocillarci. La luna sempre spiendida e maestosa non lasciava più cadere i suoi raggi ad illuminare una natura ridente, un luogo abitato da innumerevoli individui; i suoi raggi piombavano sopra una natura seria, si direbbe quasi inospite e disabitata; il monte era nudo e scosceso, e quand'io cercai di vedere un po' di terra coltivata, mi si indicarono alcune fosse praticate dentro il monte, colla forma e grandezza di una delle nostre camere scavate nel suo seno: laggiù vi era un po' di coltivazione, un po' di verzura; all'intorno null'altro che sterpi o sassi. Ma se non fosse la tema di annojarti, nella reminiscenza dolcissima di quell'amenissimo viaggio, mi lascerei trasportare a narrarti del mio arrivo a Fiume; della traversata in uno schifo, là chiamato trabaccolo, che da Fiume ci portò a Castelmuschio; del pagliericcio ivi fornitoci a passare la notte da quegli Slavi semplici e cortesi; della giornata susseguente, in cui cavalcando i briosi e pur docilissimi cavallini dalmati ci recammo alla città di Veglia, dove sulle porte vedemmo scolpito lo stemma della Repubblica veneta; dove trovammo tanta cortesia ed ospitalità scolpita nella fronte e nel cuore di quei buoni terrieri. Oh! sì, io vi ringrazio o schietti isolani, della festosa accoglienza colla quale mi avete ricevuta e riguardata nel mio breve soggiorno tra voi. Io ringrazio il Signore che turbando il mare mi trattenne per tre mesi su quella terra quasi vergine, poichè ivi potei comprendere come la vita possa scorrere tranquilla e felice nella semplicità dei costumi, meglio assai che nei godimenti cittadini! Simpatici isolani di Veglia, io vi mando un saluto di gratitudine e di affetto, e prego Iddio a voler proteggere e salvare i vostri uomini che si trovano sul mare; io lo prego a prosperare le vostre viti, i vostri fichi ed i pochi ulivi... E dove mi ha trascinata una rimembranza dei miei primi anni? E perchè l'ho io secondata tanto da occuparti sì lungamente di me? Oh! amica mia, io mi sento sì felice dopo molti giorni di sospensione di questo mio lavoro, di trovarmi finalmente a ragionar teco, che senza accorgermi sono passata a comunicarti le intime mie sensazioni, quelle sensazioni che se non formano la tessitura dell'esistenza, sono però qualche cosa di molto integrante con essa, di molto attaccato... Ora però sta tranquilla, non mi dilungo a parlarti delle singolarità di quel luogo, di quella riviera, della rarità delle conchiglie da me raccolte su quella bizzarra spiaggia, dell' isola Cherso, della salvia gigante di quei monti, salvia che forma quasi l'unico pascolo delle pecore destinate a fornire il latte al paese, della vista non lontana dei monti sabbiosi e rossicci, della Croazia... no, no, faccio una croce sulle labbra, e interrompo la mia descrizione per tema di divenire indiscreta... Pure, è forza confessarlo, il viaggiare è uno svago utile, anzi utilissimo se ne sappiamo profittare; utile al corpo per l'esercizio e pel mutamento d'aria; utile alla mente per le cognizioni che ci procura; utile all'anima pei sentimenti che ci risveglia. Viaggiando, Dio si mostra incessantemente ai nostri occhi nella maestà, nella moltiplicità della creazione, ed io vorrei che se ti fosse possibile acquistare il vantaggio di veder nuove terre, a prezzo dell'assoluta privazione d'ogni altro divertimento, del lusso, del ballo, del teatro, tu avessi a procurartelo. Oh! io t'assicuro, non te n'avresti certo a pentire, purchè tu procurassi di esercitarti all'osservazione profonda e coscienziosa degli uomini e delle cose, ma di un'osservazione che ti facesse amica di Dio, fervorosa amante delle sue infinite perfezioni. Ma non a tutte è dato di poter viaggiare, quindi dovremo credere sventurate quelle che nol possono? Oh! no. Esse ponno benissimo viaggiare col pensiero ajutate da un buon libro, e se il loro viaggiare sarà meno dilettevole dell' altro, non sarà però meno profittevole, nè meno fecondo di utili cognizioni e di salutari ammaestramenti. Ricordo di essermi trovata una volta spettatrice ad una singolare conversazione, tra una mia carissima amica la quale in allora non aveva varcato la soglia della Lombardia ed un signore che aveva molto viaggiato. Cadde il discorso sopra Parigi dov'egli aveva dimorato alcun tempo, e tutte le persone che ascoltavano, ed erano parecchie, divisero con me la più alta meraviglia in sentire come la signorina Virginia assai meglio di lui conoscesse per minuto, e descrivesse appuntino gli edifizj, i costumi, e perfino le località della grande capitale francese; mentre quegli, pur convenendo con essa su tutto, mostrava apertamente non avere veduto che la scorza di quanta aveva toccato con mano, e la di cui cognizione profonda e coscienziosa non era se non il frutto delle studiose ricerche dell' amica mia. L'ho detto e lo ripeto, il viaggiare è uno svago utile, anzi utilissimo, e tu allorchè sei tentata a procurarti un giojello, un divertimento, fino una leccornìa, rinuncia a tutto questo, e se non puoi ottenere di recarti realmente fuor di paese, fa anzitutto di studiare il paese che abiti, poi coll'ajuto di persone colte e saggie e cristiane procurati cognizioni e libri che ti rechino su spiaggie ignote, su ignoti lidi, affinchè contentando e arricchendo la tua intelligenza, contentino ed arricchiscano il tuo spirito, l'anima tua del bene, del buono, di Dio fine sommo ed unico d'ogni indagine, d'ogni scienza, d'ogni tuo sospiro. Quelle giovinette che appartengono a famiglie o di finanze limitate, o di abitudini costantemente cittadine, e non ponno quindi procurarsi le compiacenze e le emozioni dei viaggiatori, saranno più altamente giovate del mio consiglio se sapranno ascoltarlo e seguirlo. E perchè, o fanciulle, consumerete il vostro tempo in nonnulla, o peggio in letture frivole o cattive, quando il tempo che avanza alle vostre occupazioni giornaliere può essere occupato utilmente in procurarvi uno svago innocente, fruttuoso e meritorio? Sì, il vostro svago istesso diventerà meritorio, se vi proporrete di cercar Dio sempre e dappertutto; e Dio, siatene ben sicure, si lascerà trovare da voi, vi abbraccerà strettamente, vi colmerà d'ogni più eletta benedizione per la terra e pel cielo. Non vorrei che viaggiando realmente ti credessi dispensata di pensare a Lui, di osservare la sua legge, di andare a visitarlo nei suoi templi. Ti è permesso fermarti ad ammirare le arcate, le sculture, i dipinti, ma questo appena dopo d'aver fatto la tua adorazione; breve quanto vuoi, ma la tua adorazione genuflessa davanti al Sacramento la devi fare, poichè ogni cattolico nel proprio o nell'altrui paese è debitore di buon esempio; tu poi non sei un cattolico qualunque, ma sei e devi essere un angelo nella famiglia e nella società: più stretto quindi ti corre l'obbligo di edificare la famiglia e la società colla tua pietà, colla tua virtù, sempre, anche quando ti trovi in paese nuovo o straniero. Nè io penso tu potrai dimenticare l'altare della Madonna, oh! ti farei torto grande soltanto in temerlo. Che se mai ti pungesse un momento l'ignobile e vile rispetto umano, e trovandoti fra gente forestiera ti vergognassi piegare il tuo ginocchio dinanzi a Dio, pensa alla vergogna della tua debolezza, pensa al diritto che ha l'Ente supremo alla tua devozione, all' amor tuo, leva il pensiero al Cielo, e la terra si spoglierà ai tuoi occhi d'ogni suo prestigio, e la tua mente ed il tuo cuore correranno, voleranno anzi a quel paese immensurabilmente più bello d'ogni altro, a quel paese dove non più lotte, nè tentazioni, nè sacrificj, ma sole gioje saranno il pascolo incessante dell'anima tua. Potresti trovarti le mille miglia lontano dalla tua patria, e là come in essa ti troveresti dinanzi lo stesso Gesù col suo Cuore tutto amore, tutto pietà... Amiamolo, amiamolo assai quel Cuore pietoso; in esso è un pelago di dolcezza!

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L'ateo, il razionalista, il verista, assieme al cattolico, convengono che la salute del corpo è un dono prezioso; ma quelli non si tengono obbligati a procurarla, a conservarla con uguale serietà e costanza come fa questo; perchè considerando l'uomo soltanto materia, la stessa materia, la quale serve d'inviluppo all'anima ch'eglino negano, scade assai dalla propria importanza. Il cattolico invece ha una legge che l'obbliga severamente ad aver cura del proprio corpo, perchè è destinato a risorgere un giorno glorioso per riunirsi all'anima sua, e godere con essa un'eternità beata. Il libero pensatore dopo di essersi abbandonato allo sfogo delle passioni, e d'avere con ciò deteriorata la propria sanità, non pensa che se quella è un bene, havvi un bene maggiore di lei; si lascia cadere nell'avvilimento o nella disperazione, diventa vigliacco o temerario, paventando esageratamente una cura, un'operazione difficile, od arrischiandone una imprudente, sotto pretesto che così non vuol vivere; o guarire o morire. Questo fior di sentenza, o guarire o morire, riduce il pover uomo, che si dice libero pensatore, alla più abbominevole schiavitù delle proprie passioni, della propria immaginazione esaltata, fino spesse volte a trascinarlo a violare i più sacri diritti di natura, a troncare una vita datagli per servir Dio, per procurargli una vita eternamente beata, a slanciarsi di propria deliberate volontà in quel baratro da dove non c'è più sortita, nè speranza alcuna... Il cristiano crede fermamente la salute del corpo infinitamente inferiore d'importanza a quella dell'anima, e sa che la prima gli è tolta spesse volte per dargli od accrescergli la seconda; quindi si rassegna volentieri alle sofferenze, avendo dinanzi a sè come in un quadro le promesse fatte da Cristo a coloro i quali sopportano in pace le sventure ed i dolori della vita, come triste retaggio del peccato primo, ed espiazione dovuta alle proprie colpe. Entra, mia cara, entra meco nella camera di un povero incredulo travagliato da una malattia forse poco grave e poco dolorosa; s'egli non è indebolito dalla febbre e gli resta ancora forza a parlare, dalla sua bocca non udirai che lamenti, atroci bestemmie contro un Ente supremo ch'egli pur negando sospetta, contro gli uomini, contro sè stesso, contro tutto e contro tutti. Io stessa ho inteso una morente dire le ultime parole per mormorare e lagnarsi delle persone che l'assistevano con tutta la premura... Buon Dio! abbiate pietà di lei!... È brutto, sì è brutto e straziante quello spettacolo, ed io voglio condurti per la seconda volta presso il letto della vecchia mia inferma, per mostrarti la serenità del suo volto, del suo cuore, in mezzo ai dolori, agli acciacchi della malattia e della vecchiaja, ed alle privazioni della miseria sotto una vernice di proprietà, avanzo unico degli agi d'altra volta. Ma questo non basta: la vecchia zitella desidera bene a tutti, parla bene d'ognuno, e ti racconta con voce intenerita come un ex Garibaldino che abita sotto di lei l'ha protetta e difesa contro gl'insulti di alcuni infelici i quali cercavano di proibirle perfino di recitare ad alta voce il suo Rosario, e la vessavano in ogni maniera. Essa ama con ardente carità cristiana il Maggiore che non conosce, e prega e fa pregare per lui. Egli ammala, e la povera inferma con santa industria invia al suo letto un Sacerdote, il quale non è respinto, ma però tenuto a certa distanza. La malattia aggrava, e la vecchia prega sempre con maggior ardore per lui il buon Dio; i Framassoni circondano il letto dell'infermo cercando di estorcergli un ultimo testamento in cui dichiari di non essere altrimenti cattolico, e di non voler essere avvicinato dal Prete; ma nella camera sovrapposta una donna vecchissima, appoggiata a due grucce dimentica i proprj dolori, i proprj bisogni per non pregare se non per lui. Oh! la grazia non può tardare, verrà!... La grazia è venuta. È il 12 marzo del 1880: l'infermo si solleva sull'origliere, chiede di essere lasciato solo dai compagni, ed all'unico rimasto rivolge la preghiera di correre pel medico, mentre sottovoce supplica con istanza la moglie di mandare pel Sacerdote, il quale viene, lo confessa, riceve l'abjura dei suoi errori, lo assolve, lo benedice, gli amministra l'Estrema unzione e si allontana per indi dalla chiesa recargli il Pane di vita. Arrestati, o Sacerdote! Il pietoso Iddio ti ha prevenuto: già lo sai, l'antico framassone era sparito; su quel letto giace adesso il fervoroso credente, il quale benedice i proprj dolori, le proprie pene; eccolo assorto in Dio rivolgersi a Lui con caldo sospiro; ecco sciogliersi l'anima sua dal corpo di morte, riconciliata col suo Creatore, eccola volare in Cielo a ricevervi una Comunione santa che non avrà fine giammai... I settarj sbuffano, scalpitano alla porta dell' antico loro commilitone; finalmente la porta si apre, ma del povero Chiesa non trovano più che un cadavere!... E chi può misurare la misericordia di Dio? E chi può comprendere gl'imperscrutabili suoi disegni? Un sentimento di umanità piamente secondato dal valoroso Maggiore che aveva perduto una gamba in battaglia, attirò le benedizioni di Dio, e questi volle addolcire le sue agonie con una ferma speranza, con una forte promessa, accordando a lui quello che fu negato a Voltaire, quando al letto di morte richiesto con forza un Sacerdote, negatogli dagli Enciclopedisti che lo circondavano, moriva disperato divorando le proprie lordure! Mia buona figliuola, e dove t'ho condotta io mai? E perchè ti ho contristata con scene di tanto dolore? Ma se tu pensi alla vecchia quasi nonagenaria, al cinquantenne Garibaldino, il cui passaggio è allietato dal sorriso della fede, la calma ti tornerà al cuore e ti nascerà vivo il bisogno di pregare per i miscredenti più induriti, per tutti quanti gli uomini. Sì, prega, preghiamo per tutti; la preghiera affratella gli animi, li riunisce, li riconcilia con Dio, bene sommo, anzi unico cui può aspirare ed arrivare la creatura più perfetta dell'universo. Preghiamo anche per la salute del corpo, che pure è un gran dono del Signore; ma guardiamoci dal considerarla come bene sommo, poichè essa è un bene fugace e vale solo come mezzo conducente alla salute eterna: guardiamoci dal confondere il mezzo col fine, la via colla meta! Il buon Dio ad avvertirci di ciò, a ricordarcelo, permette che la malattia ci venga 49 a toccare, e forse tu pure, giovane diletta, sarai travagliata da qualche infermità; ma sia lode al Signore! tu sei credente, non basta; tu sei pia, tu sei fervorosa cattolica, tu sei figlia di una Madre addolorata, e le lacrime che ti sgorgheranno dagli occhi, strappate a viva forza dalle sofferenze corporali, rinchiuderanno la dolcezza che viene dalla fede, dalla pietà, dall'amor santo; e a somiglianza della verga colla quale Mosè percosse il monte, i tuoi dolori faranno scaturire un'onda purissima di sante virtù, di elette benedizioni, atte a spargere su tutta la tua vita una tinta benefica e meritoria. Proverai, lo so bone, grandi difficoltà nell' esercizio di una sì santa rassegnazione, poichè la carne si ribella, vuol prendere il sopravvento sullo spirito, e se il domarla ti costerà fatica, sarà altresì sorgente di gaudio e di benedizione non per te soltanto e per coloro che ti circondano, ma per tutti quelli cui sarà rivolta la tua caritatevole preghiera. Una falsa compassione od una fallace speranza potrebbe tener lontano dal mio e dal tuo letto i conforti cristiani nell'ultima nostra ora, ed allora, ahimè! ci saranno tolti gl'ineffabili conforti, le ineffabili consolazioni che speravamo compagni dell'ultimo nostro sospiro! Ma, io e tu, non potremmo fare fin d'ora un patto a noi medesime? Non potremmo fare un patto colla nostra volontà di far chiamare noi stesse il Ministro di Dio non appena ci minacci grave malattia, o ci tormenti una febbre cocente? Oh! sì, facciamolo assieme questo patto, questo fermo proposito, e Dio ce ne terrà conto, io spero, e nell'ultima nostra ora saremo allietate dalla riconciliazione con Lui, che ci verrà a visitare per farsi nostro alimento nel Sacramento dell'amor suo. Oh! Gesù, Ostia purissima di pace e di perdono, siate frequentemente il mio cibo corroborante nella mia mortale carriera; siate il mio conforto, il mio sostegno nei dolori dell'estrema malattia, siate il mio Viatico al grande passaggio! Gesù buono, accordatemi Voi una santa pazienza, cementatela coll'amor vostro purissimo, ed io dimentica di questo corpo di peccato sopporterò coraggiosamente i dolori, le pene, pensando al premio eterno, ineffabile che Voi stesso ci apprestate in Paradiso. Madre mia, Maria Santissima, conducete Voi al mio letto il vostro divin Figliuolo, e, come con esso chiudeste gli occhi al purissimo vostro sposo, chiudete pure gli occhi miei, quando l'anima mia si scioglierà dai lacci corporei. Oh mio caro S. Giuseppe, protettore dei moribondi, io V'invoco adesso che sono nella piena vigoria delle mie facoltà per quegli estremi momenti, e fidente nella promessa che verrà aperto a colui che picchia, e sarà dato a chi chiede, imploro con tutto l'ardore di cui sono capace l'ajuto vostro, ed esclamo dal più profondo del cuore: Gesù mio, misericordia! Madonna, ajutatemi! S. Giuseppe, protettore degli agonizzanti, pensateci Voi, sì, sì, pensateci Voi!

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COLORO i quali non accettano i misteri di nostra santa religione, perchè non li comprendono, mi spieghino, se il sanno, il gran mistero di quel guazzabuglio che si dice cuore umano, e in allora io sarò forzata a consentire che è ragionevole il loro modo di pensare e di agire. Ma nessuno ha mai fatto, nè il potrà far mai, poichè il cuor nostro è un insieme di buone e di grave tendenze, è un'accozzaglia dei più disparati sentimenti, e ci è accaduto più volte di veder compiere un'azione lodevole, anzi eroica, da taluno da noi per lo innanzi ritenuto egoista, mentre all'incontro abbiamo dovuto riconoscere egoista tal altro considerato per lo innanzi generoso. Questa riflessione deve riempirti di santo timore, mia cara; ma più di te deve intimorire il povero mio individuo sì debole, sì poltrone, sì orgoglioso da cadere in qualunque bassezza... Buon per noi che l'Iddio nostro ci assicura che giusto allorquando noi sentiamo la pochezza, la miseria nostra, possiamo tutto in Lui che ci conforta! Buon per noi che la religione nostra santissima se non ci spiega, ci rende però credibili e razionali i misteri da essa offerti, non al nostro giudizio, ma alla nostra fede! Buon per noi che alla luce di questa fede santissima, vediamo dissiparsi le tenebre dell'incredulità, le quali accerchiano il mistero, e vediamo espressa in Dio ente infinitamente superiore alla nostra capacità limitata, la ragione e la ragionevolezza dell'esistenza di misteri superiori alla nostra comprensione! Oh! amica mia, ringraziamolo di gran cuore il nostro Creatore, il nostro Padre, il quale togliendoci alla credulità superstiziosa dei Pagani, e di coloro che il mondo dice atei od increduli, ci ha noverati nella valorosa schiera dei veri credenti con quei colossi dell'umana famiglia che da S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, e giù giù all'angelo delle scuole il grande Aquinate, a Dante, a Colombo, a Manzoni nostro, hanno creduto fermamente le verità della fede, e nell'incapacità loro di comprendere il mistero, hanno veduto una prova di più della santità della loro religione, cui intelletto o genio umano non può giungere. Oh! preghiamo assai pei poveretti i quali non credono in un Dio uno e trino, nell'incarnazione del Verbo, nella verginità della Madre nostra, nell'infallibilità della Chiesa e del Sommo Pontefice; oh! sì, preghiamo molto per essi: non vedi tu che essi come noi hanno un estremo bisogno di credere, di amare qualche cosa più grande di loro? Se non fosse in questo bisogno, e come spiegheresti tu la strana incoerenza di coloro i quali, pur vantandosi di non creder nulla, si sgomentano della fatalità, e cadono tanto basso fino a paventare i più ridicoli pregiudizj del venerdì, del sale rovesciato sulla mensa, dell'incontro di tredici individui in un convegno, e di cento altre miseriole appena compatibili in persone superstiziose o rozze? Ma vedi mo' cosa strana! La mia mente e forse il mio cuore mi trasportano tanto intrattenendomi teco, che ho bisogno di tutto il freno e di tutta la riflessione per non lasciarmi trascinare a lunghe digressioni, tanto mi è caro il conversare con te, e mi è dolce lusinga quella di comunicarti qualche utile idea, qualche pratico insegnamento. Eccoci senza avvederci, tornate al nodo dell'argomento propostoci in sul principio di questa conferenza, che cioè il cuore umano è un vero guazzabuglio, un profondo mistero, un va e vieni delle più contradditorie inclinazioni, un laberinto inestricabile, senza l'ajuto di Colui che tutti illumina coloro i quali a Lui si rivolgono con desiderio vero di essere esauditi, e chiedono di essere dirizzati sulla retta via. Iddio ha detto e ripetuto che è riservata la vittoria a chi combatte; ecco con ciò spiegato quest'urtarsi dentro di noi del bene col male; eccoci dato un ajuto possente a sostenere valorosamente la lotta, facendoci conoscere che Iddio è sempre pronto a darci il premio se da valorosi pugniamo! Orbene, te l'ho detto più volte, io non posso mai pormi a tavolino per iscrivere a te e per te, senza prima aver ricorso alla cara Madonna, senza essermi fatta una forza grande per superare un estremo timore ed un terribile scoraggiamento; questo sentimento non l'ho vinto mai, nè la buona, affettuosa accoglienza fatta alle altre mie produzioni e quella promessa a questa, mi hanno tranquillata completamente, chè anzi ogni parola di conforto dettami anche da un'umile fanciulla, cade sempre desiderata e refrigerante sull'animo mio turbato e pauroso. Pure, vedi incoerenza! Pure, non so decidermi a chiudere questo libro, senza prima quasi a mo' di riepilogo, ritoccare gli argomenti più scabrosi ed interessanti, presentarli alla tua meditazione, al tuo cuore, quasi mio testamento affettuoso e perenne. Chi sa s'io m'intratterrò altra volta con te, o giovane mia diletta; chi sa s'io ti accompagnerò un giorno nella nuova tua casa per seguirti nelle dolci e pur penose emozioni di sposa e di madre?... Chi sa?... Iddio, se vorrà Lui qualche cosa da me, m'inspirerà quel ch'io debba; lo inspirerà ai miei superiori, al mio Direttore, ed io ubbidendo a quella sentenza che molte volte ed anche questa mane mi si è presentata, aprendo a caso il Vangelo laddove dice in S. Marco: Non vogliate premeditare quello che abbiate a dire; ma quello, che in quel punto vi sarà dato, quello dite; ché non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo, impugnerò nuovamente la penna, e dirò quello che lo Spirito mi detta, senza punto badare al mio desiderio od alla mia ripugnanza. Sì, il confesso, mentre mi è pena e pena grande farti in certo qual modo da maestra e da guida, mi è altresì pena vera lo staccarmi da te, damigella cara, da te che con amore mi hai seguito fin qui: quanto alle altre le quali hanno troncato a mezzo la lettura, non s'avvedono neppure di questa mia titubanza e di questo mio desiderio!... Ma un pensiero consolante mi rialza l'animo, assicurandomi che quanto io ho detto non è cosa mia, non viene da me, ma da quel Dio il quale buonissimo e misericordioso con tutti, e più specialmente coi più indegni, mi ha scelta a strumento della sua parola. Ah! foss'io stata, e foss'io tuttora strumento docile nelle mani divine, quanto lo è la penna che sta nelle mie! O mia buona figliuola, se gli è Dio che ti parla, ed io non sono che un portavoce, tu lo devi ascoltare, tu devi porgere attento orecchio alla sua parola; tu devi seguire i suoi ammaestramenti, i quali rendendoti più pia, ti renderanno più buona anche per te stessa, e più utile al prossimo tuo; ti tramuteranno in angelo sotto veste umana, ti rinforzeranno contro le battaglie che il mondo, il demonio e la carne insieme congiunti ti moveranno contro. Oh! possa il buon Dio renderti felice, ma prima fervorosa credente, calorosa adoratrice del Sacramentato nostro bene, del Cuore Sacratissimo del nostro Gesù, e ti faccia trovare ognora in quel pelago di dolcezza un consiglio nelle dubbiezze, un conforto nel timore, uno sprone nelle titubanze, un incoraggiamento, un ajuto nelle opere buone, un ostacolo insuperabile nelle vie del peccato. Oh! ti renda felice il nostro caro Gesù, e non solo felice in una vita che sfugge, ma nell'altra che eternamente dura!

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Da qui proviene che dando esse la medesima importanza ai balli come ai sermoni, portano a questi, come a quelli un cuore avido di novità, di eloquenza, di piacere, un cuore serrato alle inspirazioni celesti, alla voce di Dio; quindi incapace a risoluzioni virtuose, ad un'emenda radicale, tranne una specialissima chiamata o grazia del Signore. Attorno ai grandi predicatori, ai piedi dei pergami di gran grido, piovono molte grazie, perchè la parola di Dio è feconda sempre, e su chi l'ascolta con pio desiderio della propria perfezione lascia cadere incessantemente una rugiada vivificatrice, che la purifica sempre più e le dà forza a superare gli ostacoli oppostile dal mondo e dalle proprie passioni. Ma, è necessario pensarci bene, mia cara, attorno a questi pergami pullula altresì una vera tentazione, che procura di farci cercare e trovare l'uomo in chi non è nè può essere altri se non l'ambasciatore di Dio. Un povero predicatore, dico povero per modo di dire, ma intendo parlare di uno di gran rinomanza, si sente cadere le braccia, allorchè dopo una sua predica sente dirsi da taluno: Bravo il predicatore! che eloquenza, che scienza, che eleganza! Questo non è davvero un elogio per lui, poichè sa benissimo non essere scopo dell'apostolo del Signore il solleticare la curiosità, o fare sfoggio di sapere, sibbene toccare gli animi salutarmente, indurli a mutare o a modificare la propria vita (il che è presto a poco ugualmente difficile), migliorare insomma il sentimento ed il costume. Allorchè nella chiesa di S. Alessandro parecchi anni or sono predicava il canonico Giordani, all'uscire di chiesa dalla folla accalcata alle porte e sulla gradinata si udiva ripetere: Bisogna proprio pensare ad eliminare certe letture, ovvero, certe compagnie e divertimenti, e molta gente se ne stava pensierosa a riflettere ed appropriarsi la parola del ministro di Dio. La morte lo ha presto rapito; la sua vita era piena, ed il Signore lo ha 50 chiamato a sè! Pace all'anima sua benedetta, pace!... Mi rammento di una mattina in cui egli parlava delle feste da ballo, e toccando alle mode immodeste, seguite da signore le quali hanno varcato la giovinezza, diceva con fina ironia: non essere prudente tener aperte le finestre, allorchè la neve é sui tetti. Certamente in quel giorno molte dame avranno pensato un po' meglio alle cose loro, ed io spero si saranno anche determinate a rinunciare a quanto prima si credevano lecito ed onesto. Se tu non vuoi essere un fiore artificiale, di sola figura, di veruna sostanza, tu devi recare alla predica ed alla preghiera una volontà seria e forte di fare il bene, non un animo distratto e senza odore. Io non ti proibisco di correre ad ascoltare i migliori predicatori, ma a patto però ti adatti a sentirne anche dei mediocri; poichè molte volte un povero Curato di campagna di appena discreta coltura, spezza la parola di Dio con maggior frutto del più eloquente oratore: questo vale a conferma del gran fatto che il Signore può trasfondere il suo spirito e la sua grazia tanto nelle parole del più insigne Prelato come in quella dell'ultimo suo Ministro. E sieno poi essi buoni o cattivi, noi dobbiamo ascoltarli quando ci parlano la parola di Dio, nè rimarremo ingannati, dacchè in essi non riguardiamo mai l'uomo, sibbene Dio e Dio solo. Su per giù, mi pajono tutti, o quasi tutti fiori artificiali anche quei fiori che fanno vaga mostra di sè, indovina dove? all'ultima messa nelle borgate, o più ancora nelle città e nelle grandi città. Eccettuo sempre i casi speciali, perchè so benissimo potervi essere molti i quali non hanno altro tempo di recarsi alla chiesa; ma in regola generale dico e sostengo non piacermi punto punto quella specie di convegno elegante, quella parata di vesti e di brio nella casa del Signore, quel riservare all'adempimento del precetto festivo proprio l'ultimo momento della mattinata. Si arriva fino al punto che, in certe chiese in cui l'ultima Messa si celebra alle due pomeridiane, molte persone arrivano a Messa incominciata, inoltrata; laonde fra il tempo impiegato a prendere il posto, a posare il parasole, o il ventaglio, o qualche altro nonnulla; a guardare se nessuno monta loro sull'abito, ed a fare qualche saluto, arriva il momento di uscire di chiesa senza pur aver recitato una sola preghiera, o quanto meno senz'aver pensato in casa di chi si trovassero, nè aver riflettuto alla grandezza del Sacrificio che si è compiuto sotto i loro occhi. No, figliuola cara, non ti recare abitualmente all'ultima Messa, e quando ti è forza recarviti, fa di non accorgerti che quella è Messa ultima; apri il tuo libro, apri il tuo cuore, medita e prega con santo raccoglimento, evitando con ogni studio le vanità e le distrazioni che ivi sogliono poggiarsi come in propria sede. E poi una semplice Messa basterà all'adempimento del precetto della Chiesa, ma pare a te che debba bastare all'adempimento del terzo comandamento del Decalogo, santificare la festa? Almeno dunque un po' di parola di Dio e io e tu vorremo ascoltarla, e se molti intervengono la sera alla Benedizione del SS. Sacramento, io vorrei che possibilmente, dico possibilmente, anche ti cibassi ogni festa del Pane degli angioli. Tu sei, tu devi essere un angelo nella famiglia, nella società, ed il Pane degli angioli può, deve anzi essere il tuo pane abituale, il tuo sospiro, l'arme di difesa contro ogni battaglia. Se non ti è dato cibarti così frequentemente della Santa Comunione, non ritardare all'anima tua un sì gran bene più di un mese; oh! è già lungo un mese, e se tu l'oltrepassi senza ritemprarti al Sacramento di Penitenza ed al banchetto Eucaristico, languirà il tuo spirito nel bene e ti riuscirà più difficile la vittoria. Tu non vuoi essere un fiore artificiale, sibbene un fiore olezzante e grato al Signore nelle mattutine tue preghiere e nelle vespertine, nella quotidiana meditazione, nelle frequenti fervorosissime giaculatorie, nella recita del Santo Rosario ed in tutte le pratiche di soda pietà atte a distaccare il tuo cuore dalla terra e sollevarlo a Dio. Io non vorrei ti aggravassi di troppe preghiere o pratiche, poichè, quantunque buone, anzi ottime in sè stesse, cessano di esserlo, od almeno di operar come tali, allorchè agglomerate tutte sopra uno stesso individuo gli riescono di peso anzichè di dolcezza. Quanto alla scelta delle tue pratiche di pietà, dipendi interamente dal tuo Confessore, ubbidisci a lui cecamente come a Dio stesso, e guardati dal dare il tuo nome a veruna associazione benchè santissima, senza il suo consentimento ed il suo consiglio. Avrei un'altra cosetta da dirti, ma vorrei tu non la prendessi così alla leggiera, ma la ponderassi ben bene, chè lo merita. Molto del tuo tempo certamente va perduto in cose inutili, e sarebbe sì vantaggioso e necessario tu ne fossi avara; questo è l'unico caso in cui l'avarizia può essere una virtù; sì, cerca di essere santamente avara del tuo tempo,... ed in fondo al tuo canestro da lavoro tieni sempre pronto un merletto, un ricamino, qualche cosa da offerire alla casa del Signore. Quale e quanta compiacenza per te se vedrai adornata la sacra mensa d'un lavoro delle tue mani, se potrai sapere di avere giorno e notte quasi un tuo rappresentante presso al Tabernacolo! Pensaci, provati, mia cara, e vedrai scorrerti ben più liete le ore con simiglianti occupazioni di quello nol siano le altre trascorse allo specchio, alla finestra, od in inutili parlari colle amiche o coi domestici. Giusto, poichè ci è occorso di toccare delle amiche, prevedo che domattina te ne dirò qualche parola, e tu disponiti a sentire quello che il cuore mi suggerirà in proposito. Tel ripeto con calorosa istanza; guardati dall'essere fiore artificiale con chicchessia, ma specialmente con Dio; serba al tuo cuore il profumo e la sua natìa freschezza se vuoi riuscirgli pienamente grata. Non posso, nè debbo finire questo capitolo senza prima dire qualche parola contro quei fiori artificiali non solo, ma velenosi, i quali uccidono, o per lo meno induriscono nel bene. Ho molta ripugnanza a parlare degl'ipocriti; ma tu hai pure diritto di sentirne qualche cosa, non foss'altro per scansarne più vigorosamente l'orrenda bruttura... ed io, cercherò di dir tutto in due parole. Il nostro buon Gesù tutto amore e compatimento con ogni sorta di peccatori, ha avuto una parola dolce per tutti, e soltanto non ha risparmiato coloro i quali ostentano una pietà che non hanno, per averne onore dal mondo, ovvero per riuscire con tal mezzo ad ingannar meglio il loro prossimo, e li ha detti razza di vipere, sepolcri imbiancati. Basti questo ad infonderci un salutare orrore contro l'ipocrisia, la quale ha pure in sè stessa un marchio di viltà, fino d'infamia, poichè niente è più abbominevole che di volersi far credere migliori di quello che si è infatti. Oh! la bella sincerità quanto è preziosa e cara! No, sotto verun pretesto, non t'indurre mai a fare un solo segno di croce senza accompagnarlo col cuore, altrimenti quello che dovrebb'essere profumo dolcissimo, diventerà fetore venefico che non piega a nostro vantaggio, ma irrita il nostro Creatore e Padrone. Amiamo Iddio nostro nella verità del nostro cuore; serviamolo fedelmente, e provvedendo ad edificare il nostro prossimo, guardiamoci di essere di dentro differenti da quello che appariamo al di fuori.

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GRANDI e piccoli, giovani e vecchi, buoni e malvagi sentono bisogno di espandersi, e nessuno sa sottrarsi a questa specie di legge morale, all' infuori degli egoisti, i quali non hanno d'uopo di comunicare altrui un sentimento, un ardore che non hanno e non sentono, essendo in essi vacuità assoluta. Io so bene che le cattive azioni rendono l'uomo egoista, e che l'egoismo novantanove volte su cento non ha altra origine; ma se per un caso impossibile si potesse immaginare un furfante generoso, ed un egoista galantuomo, ed io mi trovassi nell'atroce alternativa di dover scegliere infra questi due, certamente mi attaccherei di preferenza al furfante, nella cui generosità avrei sempre viva la speranza d'una conversione, d'un mutamento di vita. L'altro invece, se minaccia la grandine o imperversa la bufera, come la tartaruga si racchiude nel proprio guscio, lasciando che gli altri periscano, senza pur degnarli d'uno sguardo di compassione, senza pur pensare che esistono persone le quali dimenticano sè medesime, per stendere altrui una mano soccorritrice, nulla curando il proprio pericolo; oppure se vi pensa gli è crollando le spalle come si trattasse di azione non eroica ma temeraria. L'egoista talvolta sembra commoversi dinanzi al disinteresse, alla generosità; ma quando ciò non proviene da un colpo di grazia celeste, non è altro se non un commovimento nervoso, che lo diverte nè più, nè meno di una rappresentazione teatrale, ed è sì lungi dal muoverlo ad imitazione, quanto siamo aliene io e tu di porre la nostra mano sul braciere ardente, allorchè leggiamo dell'eroico coraggio di Muzio Scevola. Ormai ho finito di chiederti perdono delle mie digressioni; ma credilo, il Signore mi suggerisce proprio Lui di ripeterti quanto mi balena alla mente riguardo alle virtù da seguire, ai difetti da evitare, ed io penso che a te non sia discaro essermi compagna nelle mie riflessioni (se mi lasci dire per questa volta una parolona difficile), nelle mie riflessioni psicologiche. Ma lasciamo in disparte gli egoisti nei nostri ragionamenti, e conoscendo la loro miseria e la loro infelicità di non saper interessarsi del bene e del male altrui, facciamo un fermo proposito di vendicarcene coll'interessarci vivamente di essi allorchè potremo loro riuscir utili; e preghiamo, preghiamo assai affinchè, tolta al loro cuore quella benda che serrandolo ne rallenta i battiti ed impedisce sentirne le pulsazioni, vivano di una vita che sia vita, non letargo, che sia meritoria appo Dio e vantaggiosa pel prossimo, e rallegrata per essi dalle migliori soddisfazioni. Tu adunque, figliuola, dotata di delicatissima sensibilità, che, senza essere esagerata o fantastica, ti commuovi, ti rallegri o ti addolori per una vicenda tua od altrui, hai e senti più che mai il bisogno di espanderti in un cuore amico, capace a dividere le tue emozioni, a consolarti, ad appoggiarti!... Non temere, amica mia, io non ti condanno, poichè lo so bene, anche il Signor nostro Gesù Cristo aveva degli amici che amava teneramente, ed allorquando si recò alla grande preghiera nell'Orto degli Olivi, supplicò i tre apostoli prediletti di vegliare con lui... È dunque a te pure permesso, anzi consigliato di cercarti un'amica sincera, la quale non ti lodi o plauda cecamente; ma ti corregga, ti consigli, ti appoggi a seguire la retta via, mentre non puoi scordare doverle tu stessa il ricambio. Ma posto questo, dimmi un po', da che proviene nelle damigelle quel grave disordine di cercarsi sempre o quasi sempre le amiche fuori di casa, mentre si potrebbero e si dovrebbero trovare anzitutto nella mamma, poi nelle sorelle, le quali naturalmente avendo comune con esse il sangue ed il nome, hanno comuni altresì gl'interessi, i rapporti, i bisogni?... La è questa, io credo, una piaga poco medicata perchè poco conosciuta, la quale avrebbe d'uopo di essere sanata pel miglioramento degl'individui, quindi delle famiglie e della società. Una giovane ha la sua tenerezza di privilegio per un'amica; la sorella vedendosi posposta si cerca essa pure un'altr'amica fuori di casa, mentre è estremamente gelosa di quella, e teme non le siano palesati i suoi difetti di carattere e di abitudini: da qui nascono i rimbrotti, le rappresaglie, e quella fila lunghissima e lagrimevole di malumori e di sospetti che turbano incessantemente la buon'armonia della casa. Non intendo già io di giustificare i lamenti spesso temerarj od ingiusti; chè anzi se una tua sorella non si confidasse con te, ma con una compagna, tu dovresti tollerarlo in pace, e soltanto porre ogni studio a guadagnarne l'amore e la confidenza. Per fatto tuo però, cerca di aver sempre in mente che i tuoi amici naturali sono i tuoi genitori, i fratelli, le sorelle, i quali da Dio ti sono stati posti a lato appunto perchè tu avessi con essi quasi un cuor solo. Da essi tu sarai più difficilmente ingannata o dimenticata, perchè la comunanza d'interessi e di rapporti cui abbiamo già accennato, sarà un argomento di più alla durata dell'amicizia che è il tuo sogno, il tuo conforto. Quand'io era piccoletta, alcune combinazioni di famiglia mi tennero con essa per un pajo d'anni in provincia; alla scuola mi imbattei in una ragazzetta maggiore due o tre anni di me, la quale aveva (come si suol dire nei circoli) un cuore gemello col mio. Non sapevamo distaccarci l'una dall'altra, e dopo le ore di studio passate in comune, essendo ambedue nella medesima classe, volevamo sempre tenerci vicine, ci aprivamo scambievolmente l'animo, e si poteva ben dire che due piccole fanciulle erano già due grandi amiche. Nessuno s'attentava disgiungerci, ed una era ben lieta di dividere il gastigo dell'altra, mentre poi non sapeva godersi un premio od un piacere che con quella non fosse diviso. Benchè io non avessi ancora undici anni, allorchè venendo stabilmente in Milano m'allontanai da quella città, si continuò lunga pezza a parlare nella scuola dell'amicizia mia con Erminia, e molte fanciulle là venute molto tempo dipoi ne tramandarono la ricordanza alle sopravvenute. Pure, che diresti? Io non so aggravare l'amica mia, che anche dopo tanti anni non posso ricordare senza un fremito di tenerezza e di malinconia; ma, forse circostanze eccezionali di famiglia da parte sua, una certa diffidenza da parte dei parenti d'entrambe, e più di tutto la lontananza, hanno troncato la nostra relazione, hanno affievolito il nostro affetto, e forse, da parte sua, lo hanno posto totalmente in oblìo. Non ne dubito più; i parenti della mia amica, certamente le hanno intercettato le mie lettere od hanno impedito il corso alle sue, cosicchè la nostra corrispondenza è morta al suo nascere, quasi fiocco di neve caduto la notte e disciolto al sorger del sole. Se quella mia diletta fosse stata a me legata con vincoli di sangue, nessuno avrebbe pensato a distaccarla da me, mentre lo ricordo tuttora con vivissima compiacenza, erano pur soavi le effusioni degli animi nostri, erano pur intime ed innocenti le nostre confidenze, ed i minuti ma relativamente importanti consigli di cui ci eravamo prodighe l'una all'altra, lasciavano un'impronta indelebile. Così, ecco un vuoto di più nella vita, un vuoto che, il ridico, dopo tanti anni è indebolito, ma non riempito, poichè un affetto vero non può morire, nè muore mai. Non intendo, dopo quanto ho detto, proscrivere assolutamente l'amicizia indipendente dai vincoli di parentela: intendo solo di porre sott'occhio alle damigelle che amo, essere conveniente posare di preferenza il proprio affetto e la propria confidenza a cemento, a rinforzo dell'affetto della famiglia, mentre nessuno è più nato ad esserci ed a conservarcisi amico di uno del sangue. Pur troppo però, molte volte, la scelta è quasi impossibile a cadere sulle sorelle per varie circostanze e specialmente per un'invincibile divergenza d'inclinazioni, d'abitudini, di capacità, mentre all'incontro ci si presenta un'analogia singolarissima con una compagna. Qui poi premetto come condizione indeclinabile, che ove tu prenda ad amica una compagna, la devi scegliere buona, anzi ottima, senza eccezione alcuna, e tale che ti serva di guida, di consiglio, di appoggio nella via che a Dio conduce. In allora più difficilmente diverrai preda del disinganno o dell' oblio, ma proverai in te la verità del detto scritturale: chi ha trovato un amico fedele, ha trovato un tesoro. Se per sorte tu sei eletta amica da una sorella o da una compagna, fa di essere tu stessa l'amica tesoro, di allontanare dal male, di avviare al bene, e soprattutto di evitare accuratamente le grandi e le piccole mormorazioni le quali sono la crittogama della reputazione del prossimo, la fillossera della nostra stessa virtù. Crittogama e fillossera sono piccoli insetti, ma non è forse insano chi li disprezza? Il frutto non meno del tralcio ne sono attossicati, uccisi; tal sarebbe di noi se ci lasciassimo da quelle dominare. Se poi ci fosse taluna tra le mie lettrici, la quale lamentasse di non avere più la cara sua mamma nel cui seno confidare le pene del suo cuore, di non avere una sorella, un amica, di essere sola al mondo, oh! quanto volontieri io le offrirei l'amicizia mia, risponderei 51 alle sue parole, alle sue lettere, cercherei di assicurarla del sincero mio compianto! Ma ancora una volta confessiamolo, è pur buono il nostro Iddio, il quale ci offre il suo Cuore dolcissimo, c'invita a Lui: Venite a me tutti, venite a me, ci eccita a versare in quel Cuore divino la piena del nostro povero cuore. Oh! oh se tu non hai nessuno cui confidarti, apriti liberamente con Dio! Che ho mai detto? Oh! se anche tu hai la grande ventura di vederti circondata da persone cui sarebbe letizia dare la vita per te, corri a Gesù: Egli è l'amico infinitamente più fedele, più tenero, più potente d'ogni altro, perchè a Lui solo è dato potere tutto ciò che vuole; mentre io, debole creatura, e tutti gli uomini meco, pur volendo giovarti, ci troviamo impossibilitati da mille ostacoli e dalla nostra stessa impotenza. Corti, corri a Gesù, ascolta la parola che Egli suggerisce per te al suo ministro; ascolta la parola ch'Egli ti comunica nella santa meditazione; ascolta la parola ch'Egli ti susurra al cuore allorchè te ne stai appiè de' suoi altari in devota preghiera: Egli è un amico che non vuole, non può tradirti. Egli è un amico sovranamente indipendente che non avendo bisogno veruno per sè, si dedica interamente, unicamente al tuo bene. Apriti a Lui, confidati a Lui; Egli ha parole di vita, ha un'acqua che a chi ne beve non verrà più sete giammai; Egli ti cerca, ti segue, ti è sempre sempre a fianco, non ti abbandona un solo istante. Oh! se hai bisogno di espansione, non puoi espanderti in amico più degno... Corriamo, corriamo assieme a quel fonte di ineffabile gaudio, ivi le nostre anime s'incontreranno, si abbraccieranno, si ameranno con un amore puro, virtuoso, santo, meritorio, che il tempo nè le vicende non indeboliranno più mai, ed avendo l'amor nostro radice in Dio, vivrà come Dio eternamente. A rivederci nel Cuore adorabile del nostro Redentore, dove il cuor nostro bisognoso di espansione sarà completamente ed esuberantemente soddisfatto e consolato. Corriamo a Lui!

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Il mondo dirà ciò che vuole, ma noi non dobbiamo mai prendere a regola della nostra condotta il giudizio di quel mondo che Iddio ha maledetto. Sì, il Signore ha maledetto quel mondo che critica le opere buone e chi le fa, e lo ha maledetto appunto perchè vuole che non gli si dia retta, e che non si seguano i suoi bugiardi insegnamenti. E tu hai forse paura dei giudizi del mondo, e ti trattieni dall'agire secondo coscienza per non farlo parlare di te? 6 Giovinetta carissima, oltre che tu ed io dobbiamo sprezzare generosamente le dicerie dei cattivi, perchè non dobbiamo cercare il loro plauso, ma bensì soprattutto ed unicamente quello del Padre nostro che è nei cieli, sta pur sicura; comunque tu regoli la tua condotta, non arriverai mai ad impedire che si sparli di te, e si giudichino sinistramente le migliori tue azioni e le tue intenzioni più rette. I tristi e gli sfaccendati pare non possano vivere senza occuparsi degli affari altrui, e senza trinciare a destra ed a sinistra in modo di malmenare perfino le persone e le cose che avrebbero maggior diritto di non essere toccate; e quando poi si accorgono che riescono ad eccitare dispiacere e dispetto, allora appunto ci prendono maggior gusto a mormorare delle persone timide e suscettibili. Se qualche volta però ho veduto smorzarsi la maldicenza e la mormorazione, è stato non già davanti a coloro che si piegano ad ogni impulso, come quelle figurine chinesi che dicono sì e no secondo il moto che vi s'imprime, chè anzi il mondo gode in torturare queste anime deboli, e vederle girare a mo' di banderuole. Se ho visto spezzarsi la lama del maledico, gli è stato invece davanti ai poveri di spirito, vale a dire, davanti a quelle torri inespugnabili che nella coscienza del dovere e della verità non si piegano mai, mai, nè rimpetto alla paura, nè alla seduzione, nè alla potenza. Il maledico, quando vede che la sua parola pungente ed il suo riso beffardo non scuotono menomamente il sistema di vita religioso e caritatevole di coloro che aveva destinato di fare sue vittime, abbandona il campo, e prende a perseguitare anime più deboli o meno forti. Ho sempre creduto e credo ancora che il rispetto umano era ed è il vizio o la tentazione delle anime piccole, le quali non sanno francamente fare e sostenere una cosa, per ciò solo che è buona, o doverosa, o benefica; ma hanno continuamente bisogno dell'approvazione altrui, non solo per superare gli ostacoli, ma altresì per vivere come si deve. Il vero esercizio delle cristiane virtù esige non solo il disprezzo del giudizio del mondo; ma perfino talora esige che si superi il giudizio di alcuni, i quali pur essendo buoni vivono ingannati a nostro riguardo, e troppo creduli alle apparenze, condannano talora le migliori nostre azioni fatte col miglior fine possibile. In questo caso Iddio ci permette di giustificarci con essi, affinchè il nostro buon nome, che pur è dono suo, non venga macchiato; ma se dentro ci fosse impigliato l'interesse del nostro prossimo e questi venisse a soffrirne ove noi svelassimo la cosa, sarebbe segno di una carità veramente cristiana se tollerassimo sopra di noi il biasimo non meritato, attendendo pazientemente da Dio la prova della nostra innocenza, quantunque in via di diritto potessimo difenderci senza renderci colpevoli colla divinità. Non vorrei tu dicessi che io esco d'argomento; ma ove tu me ne facessi un carico, io ti direi che ti ripeto tutto quanto Dio buono mi inspira per il tuo bene, perchè questo guazzabuglio del nostro cuore è un vero caos, che non può ricevere ordine e luce se non da Lui. O buon Gesù, illuminatemi Voi! Vi hanno altresì alcune circostanze nelle quali pur operando il bene, veniamo circondati e dirò quasi oppressi da certe apparenze di colpa, che niuno, neanche il più delicato del proprio buon nome, può pur volendo discolparsene: ora anche qui sarà forza prendere in pace quanto ci viene, aspettando da Dio la nostra giustificazione presso gli uomini. Credi tu, mia cara, che tutti coloro che appariscono iniqui o delittuosi lo siano poi veramente? È bensì vero che la verità tosto o tardi, come l'olio, viene a galla; ma talvolta viene a galla quando l'accusato ha già subìto l'ingiusta pena inflittagli, e ne è salvo soltanto il suo nome. Giovanna d'Arco, per tacer d'altri mille, non ha subìto la pena finale sotto l'accusa di sortilegio e di tradimento, e il tempo non ha dimostrato più tardi chiara come il sole la sua innocenza? Credilo, cara mia, per quanto tenera tu sia delle dicerie correnti sulla tua condotta, non arriverai certo a smorzare gli strali della calunnia e della maldicenza; anzi quanto più sarai e ti mostrerai tenera del giudizio altrui, tanto più sarai fatta bersaglio agli strali della mormorazione. Pensa, mia diletta amica, pensa che fin qui io ho ragionato esclusivamente cogli argomenti dell'umana prudenza, e dell'egoismo del maggior possibile benessere civile e sociale, il quale ci mostra che quanto più uno vuol essere francato dalle sevizie dei maldicenti, dev'essere e mostrarsene nulla curante. Buona signorina; tu da poco sei uscita di collegio, da poco sei entrata nella società, quindi ben a ragione sei inesperta, ed incerto è il tuo passo ed il tuo giudizio. Ben io m'accorgo che molte fiate tu alzi lo sguardo sopra coloro che sono o sembrano più stimati e più apprezzati dalla società, e decidi in cuor tuo di seguirne le pedate. Se la stima da essi posseduta è un premio al vero merito, prendili pure a modello; ma se invece... Dammi qui la tua nano che io la stringa; lascia che il tuo cuore si affidi al mio cuore, e non celare il tuo turbamento: tenti invano nasconderlo. È sì dolce confidarsi e lasciarsi consigliare da un'amica, che non inganna! Ed io non t'inganno, no, poichè io non sono mossa ad amarti per veruna di quelle mille doti che allucinano perfino l'anima più retta; io non ti vedo, non sono quindi ammaliata dai tuoi pregi personali, nè so se il tuo nome appartenga ad una famiglia nobile e potente, o plebea e bisognosa e debole. Io ti amo solo perchè sei un'anima riscattata a prezzo di tutto il sangue di un Dio, e perchè il Signore alla fratellanza, comune tra tutti i suoi figli, aggiunge una stretta parentela, incaricandomi di parlarti di Lui, dei tuoi doveri, e commettendomi il dolce incarico di coadjuvare all'opera sua di farti buona, pia, religiosa, a giovamento della famiglia tua e della società. Vedi, elevatezza del concetto cattolico! Iddio vuole e ci comanda di portare ognuno la nostra pietruzza al perfezionamento della grande famiglia cristiana, ed ognuno vi coopera mirabilmente curando incessantemente il maggior possibile perfezionamento proprio e l'altrui. Ora, torniamo a noi: io voglio fare te medesima spettatrice e giudice, e se tu mi parlerai schietto, certo i nostri pareri non saranno discordi. Immaginiamoci che in una sala si trovino molte persone a conversare, e che un signore dallo scilinguagnolo molto esercitato, si goda diporre in canzone la signora tale, perchè, schiva delle leccature della così detta buona società, conduce una vita strettamente religiosa e dedita ai propri doveri ed alla carità cristiana. Una damigella pia e franca insieme, mentre altre sue compagne atteggiano la bocca ad un sorriso (forzato sì, se guardiamo in fondo al loro cuore, poichè esse pure approvano la condotta di quella dama, ma che pare un sorriso di approvazione), una damigella franca e sicura, trova modo di superare la naturale sua timidezza, volando col pensiero ai piedi del Tabernacolo; e con piglio dolce e sicuro confessa di stimar molto la signora tale, appunto perchè buona e pia e caritatevole, e che sarebbe ben lieta, di divenirne una copia fedele, a rischio pure di ricopiarne i microscopici difetti, se pur son tali quelli che le si appuntano. Dato che tu ed io fossimo state nascoste in un angolo di quella sala, o peggio fossimo state nel numero infelice di quelle dal riso forzato, ancorchè avessimo veduto in ultimo aprirsi un riso beffardo o lanciare un sarcasmo alla damigella franca e pia, dimmi, non ci saremmo sentite avvilite di molto e a petto a lei infinitamente inferiori? Oh! io per me penso, che se quella società fosse stata composta di cento persone, novantanove si sarebbero sentite certamente comprese da un senso di profondo rispetto per la centesima, la quale ha avuto il coraggio della propria opinione. Nè io muterei d'avviso quand'anche l'opinione sostenuta fosse divergente dalle altre, poichè quando vedo uno non ostinarsi in un capriccio, e questa è debolezza; ma sostenere con fortezza e con coraggio ciò che fermamente crede, io m'inchino davanti a lui, e lo ammiro, e lo invidio. È già tardi, ed ancora non t'ho parlato delle ragioni morali e religiose che c'impongono di sfuggire il rispetto umano, come il morso velenoso di una vipera che dove tocca porta la morte, ove non si sia pronti col ferro e col fuoco a troncare ed a bruciare la parte offesa. Io pel bene che ti voglio e per quello che ti desidero, vorrei tu evitassi il morso ed il rimedio, poichè se l'uno è portatore di morte all'anima, l'altro ci libera è vero dalla morte; ma o ci lascia monchi, o deboli ed infermicci, almeno per lunga pezza. Vado volgendo e rivolgendo nella mente, la ragione per cui alla paura del giudizio che porta o si teme porti alcuno sulle opere nostre, sia stato dato quel nome menzognero di rispetto umano, e mi pare possa essere questa l'unica spiegazione: che cioè, l'uomo per esso è tentato a portare maggior rispetto all'uomo, che a Dio; mentre non è rispetto all'uomo, ma viltà e codardia, quella che fa mostrarci diversi da quelli che siamo. Pure la fede c'insegna che Dio solo è nostro giudice; che dobbiamo coraggiosamente sprezzare il giudizio fallace degli uomini, i quali non ponno torcere uno solo dei nostri capelli, senza il consenso del Padre nostro che è ne' cieli. Dimmi adunque: sei tu convinta che Iddio ha diritto di ricevere il tributo della tua devozione, e che tu sei obbligata a confessarlo Creatore e Padrone di tutte le cose, e Padre di tutti gli uomini? Come adunque, ove senti vilipeso il suo nome, puoi non cercare, non trovare nel tuo cuore il coraggio di confessarlo, di serbarti a Lui fedele? Io lo so, e tu pure lo sai, noi dobbiamo essere pronti a sostenere la nostra santa fede, anche col sacrifizio della nostra vita, ove siamo posti nell'alternativa di dover abbandonare l'una o l'altra. Io son certa che nel tuo cuore tu hai rinnovato il giuramento fatto nel santo Battesimo, di essere pronta a tutto perdere, fuorchè la grazia di Dio, ed a sopportare ogni tormento piuttosto che piegarti a tradire gl'interessi del nostro buono e carissimo Padre. Lodo altamente le ottime tue disposizioni, ed auguro e prego che ti regoli mai sempre seguendo il loro dettame. Ma, entriamo, se mel consenti, entriamo nei dettagli della vita, poichè lo so, pur troppo, per esperienza! colle migliori disposizioni del mondo in teoria, si casca poi miseramente nella pratica, ove non ci siamo rafforzati in precedenza colla meditazione dei nostri doveri verso Dio e verso noi medesimi. Tu dici: darei la vita piuttosto che rinnegare il mio Dio ed anche uno solo, anche il minore dei suoi dommi; e poi se ti trovi vicino ad un beffardo o ad un incredulo che sparla di Dio o della verità rivelata, perchè egli ha nome di essere o un grande, o un uomo di alta coltura e di dottrina (non però certo della vera), non hai forza bastevole per dirgli che tu la pensi ben diversamente, e che augurandogli una riforma nelle sue credenze lo preghi a non ripetere più, nè prolungare un discorso che ti ferisce nelle più intime e care tue convinzioni! Lo so bene; non sempre è doveroso e neppure opportuno mettersi a discutere di religione, poichè bene spesso molte persone, ignorantissime in punto di fede, sanno sostenere le loro false argomentazioni con tale loquacità e con tale apparenza di dottrina da porre in un sacco chicchessia. A te non istà bene mai e poi mai metterti in cattedra a sdottorare, neppure a profitto della religione, ove non sia per istruire od illuminare persone decisamente e marcatamente a te inferiori; poichè, per me, vale più assai di una splendida difesa, la parola timida ma sicura d'una povera fanciulla che ripete: credo e voglio credere sempre, di quanto non valga un'arringa brillante. Ho conosciuto molto davvicino una ragazza di una discreta coltura e di sentimenti cattolici radicati, che avvicinata, per permissione di Dio, da uno di quei serpi che tentano portare la loro bava velenosa ovunque ponno trascinare il sozzo loro corpo, lo dovette solo all'aver superato ogni rispetto umano, se non bevve con esso nella tazza dell'incredulità. Con ogni lusinga quel serpe, che non era altro se non un colto e forbito cavaliere, cercava scuotere le credenze della giovinetta, e vedutala inaccessibile alla corruzione del costume, perchè la buona e sana educazione ricevuta ed una certa maturità di mente ai suoi sedici anni le servivano di corazza, tentò un veleno più insidioso e micidiale, sotto l'apparenza di bevanda ristorante, e grata, e benefica. La buona madre, appunto perchè buona, non si accorse dapprima delle arti del maligno, e consentì di buon grado che il cavaliere forbito e colto cercasse perfezionare l'istruzione letteraria della sua figliuola. Ma ahimè! qui appunto stava l'inganno e la figlia e la madre non sarebbero sfuggite all' agguato, se Iddio in premio della rettitudine del loro buon volere, non avesse loro concessa la grazia di disprezzare coraggiosamente la vergogna d'essere tenute dappoco. Il tristo, Dio gliel perdoni, incominciò a dare alla giovinetta alcune lezioni di letteratura che non avevano apparenza, anzi neppure un principio di male. Compra così la fiducia delle due donne, la mamma lasciò qualche volta sola la figlia; e questa dopo poco tempo si accorse da qualche sogghigno beffardo e da qualche motto insidioso, che il sedicente maestro tentava scuotere la sua fede. Ella si vergognò di parlarne alla madre; ma ebbe forza sufficiente di contrapporre all'eretico le proteste della sua ferma credenza; e comechè egli fosse persona più che mediocremente colta e straordinariamente eloquente, ed ella fosse d'una coltura appena mediocre e priva di esperienza, non fu menomamente scossa nella sua fede, ma coprì di confusione in quella voce colui che tentava pervertirla. Questi allorchè vide inutile ogni suo iniquo tentativo e seduzione, ebbe a confessarle che aveva cercato smuovere dapprima la sua fede pensando che, ceduto anche d'un punto solo in questa, d'un tratto avrebbe poi sceso tutta la scala che guida alla corruzione e... diritto diritto all'inferno. La condotta di quella fanciulla è da biasimarsi in parte almeno, poichè essa doveva aprirsi tosto colla madre, e doveva correre dal suo confessore a chiedergli consiglio, e non aspettare un mese od un mese e mezzo a ricorrere a questi mezzi di salute; ma possiamo rifiutarci di approvare in essa quel coraggio e quella costanza colle quali oppose le proteste della sua fede alle irrisioni del corruttore? Ecco a che si ridusse tutta l'eloquenza usata per ribattere le cattive dottrine del maestro: o credo fermamente nella veracità delle mie credenze; ma fosse anche un sogno, amerei meglio sognare con esse che essere desta con lei. Saresti forse tentata di credere questo un racconto romantico, ed un volo poetico della mia fantasia? No, mia cara, la fanciulla della quale ti parlo non è più fanciulla; io la conosco molto davvicino, ha la mia età, e se ti dicessi ancora qualche altra cosa, forse troveresti di conoscerla tu pure. Quello che ti posso dire si è che quella fanciulla si è poi mantenuta fermissima nella sua fede, e che quel cotale, allorchè vide che non la poteva scuotere in verun modo, cambiò paese... ma pur troppo non d'opinione. Ed ora che ne è di lui? Che ne sarà? Prega Iddio di toccargli il cuore. T'ho trattenuta più - dell'usato, ed ancora mi resta tanto tanto da aggiungerti in proposito al rispetto umano, che mi piange il cuore a troncare lì a mezzo. Ma abusare di tua bonta e trattenerti più lungamente non mi regge l'animo: se saprò resistere alla tentazione di ritornare domani nell'argomento, te ne riparlerò allorchè saremo a trattare dell'adempimento delle pratiche positive di nostra santa Religione. Altrimenti? Intanto tieni bene a mente quel che diceva quella giovinetta:Meglio sognare con Dio che essere desti con coloro che lo negano e lo bestemmiano. Dio, ricordatelo sempre, Dio ti ha creata, ti ha beneficata, ti conserva l'esistenza e ti prepara e ti promette un premio eterno, il Paradiso, se ti conservi fedele a Lui, che come Dio non può ingannarsi, nè ingannare. L'incredulo all'incontro nulla ti dona, anzi cerca rapirti quello che hai di più caro e prezioso, la pace del cuore, per gettarti nell' angustia e nel dubbio, e ti prepara una pena eterna, l'inferno, mentre ti promette il nulla. Oh! s'egli è ingannato, non lasciare che ti inganni egli mai! 7

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TUTTI gli uomini onesti, ma più specialmente i giovani, hanno uno slancio ed un trasporto speciale per le grandi virtù; e per una di quelle incongruenze facilissime a riscontrarsi ed imposbilisi a spiegarsi, uno crede d'esser pronto a dare la vita pel suo prossimo, mentre nelle piccole occasioni non ha il coraggio di trarre di tasca una moneta, o di privarsi d'un divertimento, d'un solo monile per soccorrerlo e sfamarlo. Più volte ho inteso dire che il demonio per la sua natura angelica ha un'acutezza inarrivabile; ma nulla più vale di questo a dimostrarmelo ed a convincermene. Egli sa, l'astuto, che le grandi occasioni si presentano di rado, quindi non le paventa gran fatto, perchè, pur lasciando in fondo al nostro cuore una forte convinzione che in quelle diventeremo indubbiamente eroi, egli misura la nostra forza morale, ed avendoci vinti nelle piccole cose, non dubita del suo trionfo nelle grandi; che se egli perderà in allora la partita, saranno ben poche le anime sfuggite a' suoi artigli, perchè ben poche son quelle che patteggiando con lui riescono ad un'azione generosa. Chi legge nel libro della vita e della società con un occhio superficiale, fa poco o niun conto delle virtù minute, di quelle piccole ma ripetute e pressochè continue vittorie che un'anima riporta sopra sè stessa; e adoperando con sè medesimo a somiglianza dello spensierato il quale trascura i piccoli risparmj e la domestica economia, sempre aspettando un colpo di fortuna lungamente atteso e sempre invano, si trova com'esso a mani vuote nell'ultimo giorno, senz'aver nulla ammassato, condannato anzi a morire nell'inopia e nello sfinimento. Un'anima veramente umile e cristiana sa che le grandi azioni non costituiscono la vita santa, ma ne sono come il complemento, poichè la vita santa è costituita specialmente, e spesso unicamente, da quei piccoli atti virtuosi i quali passano spesso inavvertiti e s'incontrano molte volte in una sola giornata. A pochi è dato offrire la propria vita per l'altrui, ed anche più piccolo è il numero di quelli che veramente la offrono; mentre ad ogni ora, ad ogni momento ci è dato privarci della nostra volontà per piegarci a quella dei superiori, degli uguali, degl' inferiori. Levarci presto quando ci sentiamo tentati a giacere più lungamente ed a poltrire nel letto, è virtù minuta, ma assai meritoria, poichè rendendoci forti contro la naturale nostra pigrizia, ci rende forti altresì contro gli ostacoli che ci si presenteranno nella giornata. Occuparci delle cose altrui, quando ci sentiamo preoccupati delle nostre; troncare a mezzo un discorso importante, un lavoro, lo stesso studio senza malumore o mal garbo per compiacere o servire gli altri, è virtù minuta; ma virtù vera, poichè esige un profondo disinteresse, un sacrificio ed un'annegazione che non ottiene, ma sfugge il plauso popolare. Tenere a freno l'immaginazione troppo ardita, cercare senza posa di raccogliere il nostro spirito distratto, sopportare in pace ch'egli ci sfugga e richiamarlo incessantemente e pazientemente, sono virtù minute, microscopiche in faccia al mondo; ma stragrandi in faccia a Dio, il quale, non avendo bisogno di noi, misura il nostro merito non tanto da quello che produce, quanto dallo sforzo nostro; per cui, ove pure non riescissimo (poniamo) a guadagnargli delle anime, egli premierebbe la nostra buona volontà se avessimo fatto tutto il possibile per convertirne. Mia cara figliuola, come le api da ogni fiore traggono il miglior sugo per convertirlo poi in mele, così sappi tu dalle molteplici circostanze della vita cavare occasione di opere meritorie; queste a loro volta diventeranno sorgente di dolcezza al tuo cuore, e quel che più monta, sorgente di premio duraturo, anzi eterno. Alcune persone si vedono e si trovano 53 circondate dall'affetto e dalla confidenza dei nove decimi delle lore conoscenze, e sopportano in pace il disprezzo o l'oblìo delle altre; esse non sanno perchè vengano colmate di tanta fiducia, e credono fermamente di meritarsi il poco conto in cui sono tenute dalla minoranza. Come avviene ciò? Entra meco per poco, mia cara, nella casa delle Canossiane, vere serve dei poveri; vedi come donne nate al lusso e all'agiatezza, sotto umili vesti e con zoccoli ai piedi, si dedicano interamente all'infanzia, all'adolescenza, alla gioventù, ad ogni età, ad ogni classe, senza tener conto del proprio volere, delle proprie tendenze, e dimmi, se havvi maggior grandezza di questa, dove havvi assenza assoluta d'ogni vana mostra di virtù splendide le quali sono spesse volte vuote ed inefficaci. Un dì entrando in un monastero di Milano m'imbattei in una suora già mia compagna di studj, e la vidi occupata ad ammaestrare le sordomute; più tardi la vidi dirigersi alla cucina, e seppi che andava a lavare le stoviglie, e siccome era un primo mercoledì del mese (giorno del ritiro mensile per le signore), e la mia dimora in quella casa religiosa durò tutta la mattinata, vidi più tardi l'amica mia avviarsi a pulire i lumi, poi dirigersi a dar scuola di lingua francese alle educande, indi andare ad esercitarsi sulla fisarmonica per accompagnare nel canto le sorelle alle sacre funzioni. L'uomo di mondo non conosce o non cura, e tanto meno cerca ed approfondisce quanta virtù esista nel piegarsi a solo titolo d'obbedienza a sì varie ed opposte occupazioni; ma per chi sa qualche cosa del cuore umano, dice e crede essere questa più grande e faticosa vittoria che vincere una grave tentazione contro la quale stanno i principj di onestà e di giustizia succhiati col latte dell' educazione. Giacchè siamo entrati nell'abitazione delle figlie della Carità di S. Michele alla Chiusa in Milano, non posso fare a meno d'invitarti a pianger meco la morte di una donna sulla quale è caduto il compianto universale e l'universale ammirazione. Margherita Crespi era dotata d'una fibra ardente, di fina penetrazione, d'acuto ingegno: dopo d'essere stata lungo tempo superiora, nei suoi ultimi anni era diventata portinaja, e la gente usa a fermarsi alla vernice non s'accorgeva quanto delicata ed esperta fosse la mano che apriva e chiudeva quell'uscio. Ma il tempo le aveva reso giustizia, e quasi innumerevole era il numero di coloro i quali si rivolgevano ad essa per avere appoggio e consiglio. Non solo donne o fanciulle; ma sacerdoti e magistrati si videro grandemente giovati dalla sua parola umile, ma sicura; allorchè essa lavorando un cordone od una calza esponeva semplicemente e senza sforzo il suo parere, si credeva la meno utile di tutta la casa, anzi l'unica inutile perchè non aveva più scuola nè direzione, mentre all'incontro ne era l'anima e l'edificazione, e non solo delle religiose, ma di tutti quanti la frequentavano. Quando un colpo d'apoplessia venne a colpirla, essa, che paventava l'infermità, atteggiò la bocca e lo sguardo ad un ineffabile sorriso, non pronunciò parola, perchè la parola non doveva mai più trovare uscita da quelle labbra innocenti; ma no, io sbaglio; la parola le era tolta per parlare agli uomini, ma le era rimasta per parlare con Dio. Quand'io ebbi la grande ventura di salire presso l'inferma, di bearmi del suo dolce sorriso, di ascoltare l'unico monosillabo di cui era capace, ma ma ma, non potei frenare le lacrime sentendola dietro l'invito dell'infermiera, pronunciare chiaramente l'orazione domenicale e la salutazione angelica. Ognuno che partì da quella camera dove si ripeteva sovente una scena di tanta commozione, ne ebbe come me l'animo indelebilmente impressionato e quasi imbalsamato. Oh! io non dimenticherò mai più la dolcezza del saluto fattomi da quello sguardo che quasi a fatica era trattenuto sulla terra, e non aveva altra mira se non il cielo! Quando fu spirata quell'anima santa, ognuno si sentì inclinato ad invocarne l'intercessione, ed a più d'uno è nata in cuore una dolce speranza che un giorno ella possa essere innalzata all'onor degli altari. Sì, della Madre Crespi come di molti Santi si può dire ch'ell'era fatta grande da mille minute virtù le quali avevano dovuto costar molto alla sua naturale vivacità, ma però vevano portato un frutto straordinario nella vigna del Signore. Quante vergini, quante dame si ebbero da lei un pio e santo indirizzo; quante per essa furono tolte alle branche avvelenate del demonio e della carne; quante da essa furono dirette nella via della perfezione! E poi noi abbiamo veduto appena qualche cosa del tesoro di beni da essa operato; Iddio che vede nelle più recondite latebre del nostro cuore e nelle viscere della società, ci renderà noto un giorno quanto bene abbiano generato quelle virtù umili e nascoste. Non trascurare adunque, o damigella, le piccole occasioni di acquistarti meriti per il cielo; ma santamente industriosa per lo spirito, non ne lasciar passare neppur una, poichè a quella forse che sei tentata di trascurare vanno attaccate le grazie celesti più copiose ed elette. Quando ti pajono piccole e di poco pregio le minute virtù sparse sul tuo sentiero, pensa alla Madre Crespi, e non te ne lasciar sfuggir neppur una, neppur una!

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IL nostro divin Redentore consacrò a benefizio dell'umanità peccatrice trentatrè anni di penosissima vita, l'agonia dell'Orto degli Olivi, la flagellazione, la coronazione di spine, la più obbrobriosa crocifissione, e quando pareva aver dato tutto e non restargli più nulla, Egli guardò dalla Croce e si vide ai piedi la santissima sua Madre, ultimo e custodito tesoro di cui pareva non reggergli l'animo di privarsi: ma, fatto un supremo sacrificio del cuore, dirigendosi a Maria, disse: Donna, ecco il tuo figlio, e rivolto a Giovanni: Figlio, ecco tua madre, gli disse con tono sicuro e solenne; ed in quel momento fortunato io e tu siamo divenute figlie a Maria, Maria è divenuta nostra tenerissima Madre. Qual ventura per noi, quale strazio per Essa! Ma Essa vuole ciò che vuole il suo Figlio divino, Essa non solo ci accetta, ci stringe al seno come figli; oh! cerchiamo di corrispondere in qualche modo alla sua inarrivabile tenerezza! Ma dimmi, forse la divozione a Maria consiste in prolungate preghiere, in sospiri ed in lacrime, o non piuttosto nell'imitazione delle sue virtù, nell'osservanza del Vangelo inspirato dal nostro fratello per eccellenza, Cristo Gesù? Sì, l'imitazione di Maria sia, come il nostro dovere, così il nostro pensiero costante, la nostra meta, ed in tutte le età, in tutte le circostanze della vita potremo cavarne scuola e sprone al ben fare. Essa, di sangue reale, è d'esempio alle dame d'alto stato; decaduta in povera condizione, lo è a quelle appartenenti alla classe bassa; fanciulletta che s'offre al tempio è d'esempio alle vergini; allorche accetta di diventar sposa a Giuseppe, insegna alle giovanette a chi debbono aver ricorso nella scelta dello stato, e come debbano considerare lo sposo loro dato dal Signore; nella visita a S. Elisabetta ci predica la carità e il modo di usarla; nella fuga in Egitto, nel rassegnarsi senza lamento alle disposizioni della Provvideriza, c'insegna non dover noi attaccarci ai beni della terra, ma mirando al cielo accettare pazientemente le sventure, e portar la croce con Gesù se vogliamo un dì seguirlo nella gloria eterna; alle nozze di Cana ci mostra essere debito nostro santificare le riunioni, fino i divertimenti col pensare agli altri, provvedere alle altrui necessità e pregare per essi; ai piedi della Croce ci apprende a superare ed a vincere le sventure e le privazioni più dolorose, in vista del voler divino e per puro ed ardente amor di Dio. Sarei interminabile se tutte accennassi le circostanze in cui Maria ci è e ci può essere non solo Madre, ma Maestra, e mi limiterò a ripeterti col dolcissimo nostro divin Redentore: Figlia, ecco tua Madre! Da un pio zelantissimo Missionario, negli 56 Esercizj dati alle signore nella casa di S. Michele alla Chiusa in Milano, veniva due anni or sono predicata vivamente la divozione alla Madonna, e ad appoggiarla vieppiù egli raccomandava d'invocar continuamente il suo ajuto, ed in un trasporto di santo zelo esclamava: Dite: Madonna, ajutatemi! ditelo di giorno, ditelo di notte, ditelo nella gioja, nel dolore, in tutte le dubbiezze, nelle peripezie della vita! dite, Madonna, ajutatemi! voi; fate dir, Madonna, ajutatemi! ai vostri cari, agli amici, ai conoscenti: predicate, Madonna, ajutatemi! ai buoni ed ai malvagi: Madonna, ajutatemi! predicatelo a tutti, predicatelo anche ai sassi. Ed io lo predico a voi tutte, o figliuole che leggete questo libro; sì caldamente vi raccomando quella soavissima giaculatoria, e non dubito di assicurarvi che la cara Madonna vi ajuterà pietosamente e prodigiosamente. E chi ricorrendo a Lei non è stato potentemente soccorso ed esaudito? Sì, correte a Maria tutte; corri tu, amica mia, ecco tua Madre; puoi tu temere che una Madre, ed una Madre celeste, lasci inesaudite le tue preghiere? Corri a Maria, Essa dirà come alle nozze di Cana una parola al suo Figliuolo, e su te pioverà la benedizione delle sue grazie più preziose. Corri a Maria, Essa sul Calvario ti ha accettata per figlia; Essa come figlia ti ama, ti protegge oggi; ti amerà, ti proteggerà domani e sempre. Ma per piacere alla Madonna è necessario, sovranamente necessario, sforzarci d'imitarla, come abbiamo già detto, ed a ciò sono opportunissime altre pratiche, che quasi dolce ricordo, anzi quale mio dolcissimo ricordo ti lascio. Figlia, ecco tua Madre! Allorchè il demonio, il mondo, la carne ti lusingano, ti tentano, e tu star per cedere, pensa che la Madre tua ti vede, si addolora, e più addentro le si figge nel cuore l'acuta spada; basti un pensiero all'Addolorata a trattenerti dal peccato, a spingerti ed accompagnarti sulla via del bene, dell'annegazione, della carità, di tutte le virtù. Ti tenta l'invidia ovvero l'orgoglio? pensa a Colei che volle essere l'ancella del Signore, e dolce, umile e pio sarà il tuo cuore; e dolce, umile e pia sarà la tua parola, saranno i tuoi modi coi grandi e coi piccoli, coi nobili e coi plebei, coi dotti e cogl'ignoranti, nè sarà da te fatta eccettuazion di persone, a somiglianza di Colei, che tutti ugualmente amorosa accoglie a' suoi piedi. Se all'altar di Maria ti trovi vicino un poverello di Gesù Cristo, lungi dal guardarlo con alterigia o con disprezzo, pensa all'Epulone ed al Lazzaro del Vangelo; pensa che colui può salire ad un posto ben più elevato del tuo nel regno dei cieli; pensa che Gesù Cristo istesso volle esser povero, e povera volle fosse pure la Madre sua!... Se ti punge il dolore ed il cuore pare caderti a brani, pensa a Colei che con magnanimo coraggio stava ai pie' della Croce; se la privazione di persone care, di persone, per così dire, necessarie alla tua esistenza, ti getta nel vuoto, pensa ancora a Lei che volle e potè vivere molt'anni dopo la dipartita dell'Unigenito suo figlio divino, per insegnarci a soffrire ed a soffrire per amor di Dio! Pensa in tutto e sempre a Maria; in tutto e sempre dille, Madonna, ajutatemi! ed il suo ajuto ti seguirà sempre, sempre, in vita ed in morte. Il Sabato è specialmente dedicato alla cara Mamma nostra, e tu non lo lasciar passar mai senza fare qualche sacrificio per amor suo; mortifica le passioni, i sensi, ed abbi cura di privarti di qualche cosa, di fare qualche limosina per la Madonna. Quasi tutte le divote di Maria si astengono in giorno di Sabato dal mangiar frutta, visitano il suo altare, e le accendono un lumicino. Queste sono belle e care divozioni che piaciono assai alla Vergine Santa, e tu non le devi punto lasciare; ma ricordati che esse ti obbligano meno delle virtù positive, vale a dire della lotta contro il proprio carattere, della tolleranza dell'altrui, della vittoria contro le tentazioni che ci sono suscitate fuori e dentro di noi. Quelle divozioni ti sieno care ed abituali, e ti servano come di scala a queste, che è quanto dire alla perfetta osservanza della legge di Dio e della sua depositaria, la Santa Madre Chiesa. Fra il giorno il Madonna, ajutatemi! ti richiami con frequenza al dovere, alla pietà, al sacrificio, e quando l'occhio tuo si abbuja, il Madonna, ajutatemi lo rassereni, e ti faccia, non parere, ma essere veramente angelo nella tua casa, in tutti i tuoi rapporti morali e materiali, religiosi e civili. Nell'orazione della mattina e della sera, nella meditazione, nell'accostarti ai Santi Sacramenti, nelle dubbiezze, nelle gioje, nei dolori, nella stanchezza opprimente del corpo, e più assai in quella dell' anima, ricorri alla Madre del buon consiglio, alla Madre consolatrice degli afflitti, alla Vergine purissima, ed il suo nome sarà balsamo benefico a tutte le tue piaghe, indirizzo infallibile a' tuoi passi, gioja suprema nell'anima tua. Un mese dell' anno, il più bello, tu già lo dedichi a Lei, ascoltando devote prediche, leggendo devote preghiere, praticando ogni giorno una virtù, e facendo per amor suo una mortificazione; oh! conserva questa santa consuetudine, comunicala agli altri; ma non un momento solo ti sfugga di mente che gli è il cuore ch'Essa vuole; ch'Essa vuole una pietà vera, soda, capace a riversarsi sugli altri, giovevole non a te soltanto, ma a quanti hanno teco qualche rapporto di parentela, d'amicizia, di sudditanza o di gratitudine. Ti sia cara l'immagine della Madre del Cielo, tienila sempre con te, vicina a te, davanti a te, e non solo accanto al tuo letto, ma presso al tuo tavolino da lavoro o da studio, essa brilli come faro luminoso ad indicarti la via da percorrere. Dove c'è Maria, c'è Gesù. Per noi cristiani, Maria è la più grande di tutte le creature, appunto perchè Madre dell'Umanato divin Verbo; a chi ti accusasse di superstizione, rispondi che tu non presti la tua venerazione al simulacro, bensì a Colei che esso rappresenta, ed a far capire viemmeglio questa verità ripeti un fatto narratomi dal Missionario del nostro prezioso motto: Madonna, ajutatemi! Nella casa di Nazaret in Milano, or son pochi anni, una fanciulletta toscana, e credo lucchese, di soli due lustri, si trovava in fil di vita, e trasportata da uno slancio di amore, chiedeva a viva voce il suo caro Gesù: le vien presentato il Crocifisso, ed essa, baciandolo, e dolcemente respingendolo poi, ancor più forte esclama: Io voglio il Cristo vivo, lo voglio vivo, e sì dicendo volava al Cielo ad abbracciar vivo quello che era il suo ultimo e supremo sospiro. Nelle preghiere d'ogni giorno devi innestare fedelmente il Rosario, che quasi rosajo perennemente fiorito profumerà le tue azioni tutte, se in recitarlo mediterai o almeno terrai dinanzi alla mente i Misteri santissimi, i principali di nostra Santa religione. Sii santamente divota dei Cuori di Gesù e di Maria, poni il tuo nome sotto la valevole e potente loro protezione; con Maria pensa a riparare il Cuore del nostro Redentore, delle offese che riceve di continuo nel Santissimo Sacramento; fatti collaboratrice dell' opera santa della riparazione, e cerca di guadagnare non solo colle preghiere, ma altresì colle opere molte anime a Dio. E... prima di chiudere questo libro, nel quale ho lavorato con tanta trepidanza e con tanto amore, lascia ch'io ti rivolga una preghiera ed insieme una promessa; lascia che col cuore sulle labbra io imprima un caldissimo bacio sulle tue labbra verginali, t'incoraggi a proseguire santamente la tua carriera, se già sei buona; ti ecciti a far ritorno a Dio, se sei fuorviata, assicurandoti che le lacrime dell'innocenza e quelle della penitenza si fondono insieme nel Cuore SS. di Gesù. Ora, eccomi a farti una calda preghiera. Se tu hai ricavato alcun frutto dalle parole che Iddio m'ha suggerito pel tuo bene, leva a Lui un pensiero, un sospiro per me; supplicalo affinchè segnando altrui la via che a Dio conduce, non la smarrisca miseramente,... ed io ti prometto che delle mie preghiere e delle poche mie opere buone terrò sempre a parte le mie care lettrici, benchè non le conosca, non le veda, non possa sperare di vederle mai più! Oh! no, sarebbe troppo penoso questo pensiero! io lo respingo, non lo voglio un momento solo albergar nella mia mente e nel mio cuore; no, io voglio conoscerti, abbracciarti teneramente un giorno... Cara Madre Maria, Voi che mi amate con un amore tenerissimo, e ch'io amo e voglio amare con tutte le potenze del mio cuore fino all'ultimo respiro, per riamarvi con maggior ardore lassù nel Cielo, fate, deh! fate, io Ve ne prego, che nessuna di quelle damigelle cui è passato per mano questo povero libro, vada perduta, e che nella celeste Sionne io pure salga ad incontrarle. Oh! cara Madre, se Voi col vostro divin Figlio mi chiudete anche presto e subito gli occhi, alla vostra chiamata sono pronta, io vengo; sì allorchè mi volete io vengo. Ma prima per pietà, benedite il Sommo Pontefice; benedite il pio e santo Prelato che m'ha suggerito questo lavoro, il Direttore della mia coscienza che mi ha accompagnato in esso, il Censore ecclesiastico, e tutte quelle esimie persone che mi hanno detto coraggio, e tutte quell'anime buone che mi hanno ripetuto coraggio. Mia cara Madre, benedite, Ve ne prego, colei che mi è madre quaggiù, colei che mi ha insegnato ad amarvi; benedite e date l'eterno riposo al mio caro genitore, che sulla terra ha dedicato il suo cuore e la sua penna a beneficare la società; guardate con uno sguardo di protezione il mio dilettissimo consorte, il fratello, le sorelle, i parenti tutti; e la benedizione vostra ricada copiosa sui miei amici, sulle figlie della carità, su tutte le case religiose, sui missionarj, su quelli che credono, su quelli che non credono e su tutto il genere umano! Cara Madonna, ajutatemi ad allargar tanto le braccia da stringere in un solo affettuosissimo amplesso tutti quanti gli uomini, e se questa mia mano dovesse scrivere un dì la benchè minima parola contraria alla religione mia santissima, ed al culto ed all'obbedienza ch'io debbo alla Santa Chiesa ed all'infallibile suo Capo, lasciate, sì lasciate che questa mano isterilisca, inaridisca... Santa Maddalena, il cui nome io porto indegnamente, e pur m'è tanto caro, Voi che udiste dalle labbra del Salvatore quelle stupende parole: T'è molto perdonato perchè hai molto amato, comunicatemi il vostro amore, il vostro spirito di penitenza, e fatemi diventar santa sulle vostre orme. Angelo mio Custode, Angell santi del Cielo, pregate il vostro e mio Gesù, la Santa sua Madre, ed intercedete il possente ajuto del Patrono della Chiesa, il glorioso San Giuseppe, affinchè a me, alla mia famiglia, ed alle care damigelle che hanno piamente ascoltato i miei consigli, siano aperte le porte della celeste Gerusalemme, ed a me ed a esse sia detto dal gloriosissimo nostro Redentore: Venite, benedette dal Padre mio, prendete possesso del regno, preparato a voi fin dalla fondazione del mondo.

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L. 4 - Legati da L. 5 50 a . . . . . » 15 - (Spesa postale cent. 30.) L'Angelo in Famiglia. - Opera onorata da un Breve da S. S. Leone XIII e da una medaglia d'oro. Prezzo in brochure . . . . . . L. 4 50 Legate da L. 6 a . . . . . . » 15 - (Spesa postale, Cent. 50). Gioje celesti della S. S. Eucaristia. - Opera pure onorata da un Breve Pontificio e da una speciale Benedizione di S. S. Leone XIII. Prezzo in brochure . . . . . . L. 1 75 Legate da L. 2 50 a . . . . . » 18 - (Spesa postale, cent. 15). O Padre! Preghiere. - Edizione in caratteri elzevir con incisioni, imitazione dell'antico. Prezzo in brochure . . . . . . L. - 60 Legati da L. 1 50 a . . . . . » 6 -

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Ci congratuliamo, diletta Figlia in Cristo, che la tua Opera intitolata l'Angelo in Famiglia, abbia ottenuto quel successo che speravamo, quando ti abbiamo esortata a pubblicare il manoscritto che ci offrivi non ancora affidato alla stampa. Era certamente a desiderarsi che le fanciulle levate dal Collegio e tosto trasportate a diverso sistema di vita ed a diversi doveri, venissero addestrate, quasi con mano amica, ad adempiere la molteplice funzione dei famigliari doveri in modo, che potessero presentarsi come veri Angeli di Famiglia. Pure ciò esigeva che quei generali principii di pietà, di carità, di mansuetudine, di abnegazione di sè stesse, di attività, in cui sedulitatis, quibus informatae fuerant in Collegio, at a quibus sub obedientia statisque regulis universae earum regebantur actiones, ad liberiorem familiae vitam traducta crebris aptarentur et variis muneribus domi explendis, ac universo quoque regimini familiae fortasse subeundo; gravibusque propterea curis fovendi religionem, custodiendi mores, invigilandi famulis, temperandi sumptus, demerendi universos, et per hoc perfectam servandi pacem etiam inter ingenia saepe discrepantia. Arduum sane inceptum, quod in docente, praeter animum non vulgari pietate virtutibusque exornatum et prudentia praesertim, postulabat perfectam humani cordis notitiam eiusque motuum et cupiditatum, et accuratam observationem diuturnamque experientiam difficultatum omnium saepe occurrentium intra domesticos parietes. Consulto sane Venerabilis Archiepiscopus tuus, qui tuam religionem ac dexteritatem in rebus ad eam pertinentibus explicandis optime noverat non minus e colloquio, quam e praecedente scripto tuo Gioie Celesti, Nobis etiam oblato, difficile hoc negocium tibi credidit; electionisque erano state educate nel collegio, e dai quali erano state dirette tutte le loro azioni sotto l'obbedienza e sotto regole determinate, applicati al vivere più libero di famiglia si adattassero ad adempiere i molti e varii doveri di casa, e forse anche a sostenere tutto il governo della famiglia, e perciò alle gravi cure di promuovere la religione, di tutelare i costumi, di vigilare sui servi, di moderare le spese, di conciliare tutti, e di conservare in tal modo la pace anche fra caratteri spesso discrepanti. Impresa certamente ardua, la quale in chi ammaestra, oltre un'anima adorna di pietà non comune, di virtù e specialmente di prudenza, richiedeva una perfetta cognizione del cuore umano, dei moti e delle passion di esso, e un'accurata osservazione ed una lunga esperienza di tutte le difficoltà, che spesso s'incontrano fra le domestiche pareti. Opportunamente di certo il tuo Venerabile Arcivescovo, il quale dai colloqui non meno che dal tuo precedente scritto le Gioie Celesti, anche a Noi da te offerto, conosceva ottimamente la tua religione e la tua abilità nello spiegare le cose ad essa appartenenti, ti affidò questa difficile impresa; e godiamo che la prudenza della scelta sia stata confermata dai giudizii di tutti coloro, sia fra i Vescovi, sia fra il prudentiam confirmasse, gaudemus iudicia eorum omnium, sive ex Episcopis, sive e Clero, sive e populo, qui, opere tuo perlecto censuerunt, te perfecte satisfecisse proposito, amplisque volumen tuum laudibus cumularunt. Quamobrem etsi gravissimae multiplicesque curae Nostrae non siverint oblatum a te Nos hactenus decurrere librum; communis tamen haec prudentum proborumque sententia necquit Nostras etiam tibi non conciliare laudes; imo et excitare desiderium, ut concessum tibi talentum in proximorum utilitatem reddere danti coneris uberiore quoque fenore auctum non absimilium scriptorum, splendidiorem semper ita tibi comparatura gloriae coronam. Amplissimum interim spiritualem fructum labori isti tuo adprecantes, eius auspicem et paternae Nostrae benevolentiae pignus Apostolicam Benedictionem tibi, Dilecta in Christo Filia, peramanter impertimus. Datum Romae apud S. Petrum die 13 Junii 1881. Pontificatus Nostri Anno Quarto LEO P. P. XIII. Clero, sia fra il popolo, i quali letta la tua opera stimarono che tu abbi perfettamente soddisfatto al proposito e di larghe lodi accumularono il tuo libro. Per la qual cosa, sebbene le gravissime e molteplici nostre cure non ci abbiano permesso finora di scorrere il libro da te offertoci, tuttavia questa comune sentenza di personaggi prudenti e probi non può a meno di conciliarti anche le nostre lodi, anzi di suscitare il desiderio che ti adoperi di restituire a chi te lo ha donato, il talento a te concesso per l'utilità del prossimo, accresciuto ancora con più fecondo frutto di scritti non dissimili, e ti guadagnerai così per sempre una più splendida corona di gloria. Implorando intanto larghissimo frutto spirituale a questo tuo lavoro, come auspice di esso e qual pegno della Nostra paterna benevolenza con tutto l'affetto, o Filia Diletta in Cristo, ti impartiamo l'Apostolica Benedizione. Dato in Roma presso San Pietro 13 Giugno 1881. Il quarto anno del nostro Pontificato. LEONE P. P. XIII.

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Il suo titolo L'Angelo in Famiglia, a mio avviso, si addice perfettamente al libro, per le massime ed i precetti che vi si vengono svolgendo, a guida sicura nel periodo della vita che per l'età e l'inesperienza più ne abbisogna. L'autrice lo scrisse dietro l'eccitamento di un'eminente Autorità ecclesiastica, e il Sommo Pontefice, a' cui piedi essa depose riverente il manoscritto, la confortò a non deporre la penna, usandone a pubblico beneficio. Il Santo Padre Leone XIII, volle poi dimostrarle anche cogli atti l'alta sua soddisfazione, onorandola di una medaglia d' oro e di un Breve. Dopo così autorevoli e benigni incoraggiamenti dati all'egregia scrittrice, non è da dubitare che voi, buone lettrici, accoglierete e leggerete con amore il suo libro a vostra edificazione e della vostra famiglia, per la quale sarete davvero l'Angelo della consolazione.

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Galateo della borghesia

201627
Emilia Nevers 12 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Lasciando stare le corti bandite del Medio Evo e le nozze di cui ci tramandano, nel Don Chisciotte, gli sforzi gastronomici, basta risalire con la memoria a venti anni addietro...... (ed ahimè! vi risalgo! Non posso dire come l'agnello di La Fontaine: Non ero nata!), basta, dico, risalir a vent'anni addietro per ricordarsi che allora un matrimonio metteva sossopra le due famiglie interessate e tutta una tribù di parenti, oltre ad una infinità di vicini, adetti e curiosi... Ecco all'incirca le nozze di quei tempi. Si convocavano da lontane terre tutti i congiunti e nessuno avrebbe voluto mancar all'appello. Figurarsi! Venivano tutti, vecchi e giovani, ricchi e poveri, maritate e zitelle, ed ognuno portava il suo bravo regalo: non roba parigina, e di moda, no; roba massiccia, roba di valore che potesse durar in famiglia, e chi non poteva spendere, recava un lavoro od una reliquia di casa, un oggetto d'argento o d'oro, tenuto lì in serbo e trasmesso di generazione in generazione. Tutta quella gente mangiava, beveva, stava allegra. Si imbandivano pranzoni che duravano ore ed in cui figuravano tutti i cibi immaginabili. La sposa sola era un po' triste; essa rifletteva. Dava meno importanza alle vesti ed ai regali e più importanza al matrimonio; pensava al distacco dalla casa paterna, ai nuovi doveri, piuttosto che al corredo. I regali non erano esposti; stavano in un cassettone, non li vedevano che gli intimi. Il giorno prima delle nozze si dava l'ultimo pranzone, il giorno stesso un ballo. Poi la cosa finiva con baci ed abbracci e singhiozzi sinceri da tutte le parti... e gli sposi andavavo a casa loro. Oggi invece le nozze si celebrano in diverso modo. Secondo l'uso più moderno, o, se volete, l'uso recentissimo, vi sono poche feste. Chi ha una villa e si sposa in mesi a ciò adatti, preferisce celebrar le nozze colà.Naturalmente allora gli inviti sono ristretti, le nozze si celebrano prima al Municipio del villaggio, poi nella propria cappella (o nella chiesa parrocchiale). Si dà una colazione ai pochi invitati dopo la quale sposi ed ospiti partono. Ora il genere più chic non è di fare un viaggio. I gran signori, e quelli che vogliono imitarli, si ritirano in una loro villa qualunque, oppure in qualche casina solitaria e passano colà, a loro scelta, uno o due mesi di luna di miele. Non posso dire che questa idea mi spiaccia. Ma a chi ha pochi mezzi ed è trattenuto solitamente in città dalle proprie occupazioni, consiglio di preferire il viaggio che a quell'epoca potrà fare, mentre più tardi le cure di famiglia o gli affari glielo vieterebbero. Comunque, segnalo l'uso, perchè chi non vuole viaggiare capisca che può con tutt'onore esimersene. In città, la fashion preferisce recarsi al Municipio di sera; celebrate le nozze civili, la sposa torna a casa e si ricevono gli amici. Alla mattina, lo sposo viene a prendere la sposa per andare in chiesa, poi, dopo una colazione, a cui non assistono che i parenti ed i testimoni, la giovine coppia parte pel viaggio nuziale. Due o tre giorni prima delle nozze, certuni danno un gran pranzo. Per lo più il contratto si firma in famiglia con piccola riunione di intimi. Nei giorni che precedono le nozze, la sposa va a prender congedo dalle amiche che le rendono subito la visita, se intime. I regali, nonchè il corredo, vengono esposti in apposita stanza, e tutti quelli che vengono, possono vederlo; non si toglie che dopo le nozze. Al Municipio la sposa porta un vestito di raso o damasco di tinta chiara, sì che serva per la susseguente veglia, ma metterà il cappello, un cappellino di fantasia, tutto fiori; sceglierà di preferenza il rosa o l'azzurro; le signore di famiglia, che sole avranno accesso al recinto speciale, chiuso da sbarra che isola gli sposi ed il magistrato dalla folla cui è lecito penetrare nel salone del Municipio, metteranno anch'esse toletta da veglia e cappellino; recheranno in mano un gran mazzo di fiori. Ai parenti la famiglia manda le carrozze del Municipio. La veglia non si protrarrà oltre alla mezzanotte, non vi vi si farà musica; il trattamento sarà quello solito: acque gelate, sorbetti, the, punch, paste, confetti. Per la chiesa, il vestito sarà quello consueto: tutto \ bianco, con velo e corona di fiori d'arancio; lo sposo sarà in marsina, o, per parlare italianamente, in giubba a coda di rondine. Tornando dalla chiesa per la colazione, la sposa metterà il vestito da viaggio. Dopo il matrimonio, si spediscono gli avvisi, concepiti come segue: Mario e Rosa Veri hanno l'onore di annunziare alla S. V. il matrimonio di loro figlio PAOLO con la signorina ANGELA MONTI, seguìto a Padova il 20 aprile 1880. Luigi e Pierina Monti hanno l'onore di annunziare alla S. V. il matrimonio della loro figlia ANGELA col signor PAOLO VERI, avvenuto a Padova il 20 aprile 1880. Agli amici si spedisce poi, non più una scatola di confetti, ma un sacchettino di raso bianco, rosa o ceruleo, con suvvi, a scelta, il nome di battesimo della sposa in oro, oppure il nome ricamato con intorno una ghirlandina. Al ritorno, e quando la loro casa è in ordine, gli sposi vanno a visitare quelle persone con cui vogliono rimaner in relazione. In parecchie città d'Italia, è uso che gli sposi al ritorno siano visitati da tutti i conoscenti della loro famiglia; se accettano la relazione, restituiscono la visita, altrimenti, mandano soltanto il loro biglietto. Però l'uso di non aspettar la visita degli sposi è contraria alle norme del galateo ed all'uso di Francia. In Francia, il matrimonio in chiesa si fa con più pompa che quello al Municipio. Se c'è ballo, alla sera del contratto, la sposa balla prima col fidanzato, poi col notaio. Per le nozze in chiesa, lo sposo viene a prender la sposa e le reca un mazzo di fiori bianchi. In sagrestia, nel ricever la penna per firmare dopo di lei sul registro, le dice: Merci, madame. Dopo il matrimonio, spesso si fa la questua in chiesa. Chiamano in Francia la signorina, amica o parente che accompagna la sposa, demoiselle d'honneur, ed il giovane, che è con lo sposo, garçon de noce. Dev'esser un celibatario. Per la questua si sceglie la demoiselle ed il garçon de noce. Il padre della sposa, o chi ne fa le veci, le dà la mano per condurla all'altare. Poi vengono, lo sposo con la propria madre, la madre della sposa col padre dello sposo, la demoiselle ed il garçon de noce, i testimoni coi parenti. I congiunti ed amici dello sposo si collocano a destra dell' altare, quelli della sposa a sinistra. La sposa deve camminar raccolta e non guardar intorno, però deve anche frenar la sua commozione se fosse eccessiva, essendo poco lusinghiero pello sposo una signorina che singhiozzi e sembri trascinata all'altare. La sposa si toglie il guanto per ricever l'anello. Gli sposi si recano poi in sagrestia, e colà gli amici ed in genere tutti gli invitati vanno a salutarli. Se sono amici dello sposo, questi li presenta alla moglie: se della sposa, sono i genitori di questa che fanno la presentazione. Ben inteso che non è luogo di lunghi complimenti: una stretta di mano, un augurio, ecco tutto. Nell'uscire, la sposa dà il braccio al marito. Una volta essa saliva in carrozza colla suocera e qualche parente, ora invece va nella stessa carrozza del marito. Alla veglia per le nozze si invita, secondo l'importanza che si vuol dare alla festa, tutti i conoscenti proprii e dello sposo o soltanto gli amici, oppure solo le amiche della sposa e le due famiglie. Vi si aggiungono sempre certe persone considerate come intime, come i professori o le maestre della signorina, il medico di casa. Bisogna evitar più che possibile le esclusioni che potessero offendere e dar luogo a rancori. Nessun parente, per quanto povero e vecchio e difforme, va lasciato da parte. Tocca a lui stesso a rifiutare l'invito se, per gli anni e gli acciacchi, gli pesa uscir di casa e trovarsi in società. Non si dica mai per scusa del non aver invitato un amico o congiunto: Sapevo che quella persona non poteva venire..., temevo di imporle una seccatura, ecc., ecc. Un invito è una cortesia: e la persona che lo riceve ne è sempre lusingata. Tocca a lei il decidere se verrà o no. In caso di nozze si faccia l'invito anche ai lontani. Sul contegno della sposa dopo il ritorno vi sarebbe molto da dire. Nulla, per esempio, è più brutto che il veder una sposina che sembra inebbriata della sua emancipazione ed invece di ricordare i doveri del nuovo stato, non si mostra felice che di potersi esimere dagli antichi, esce sola per metà del giorno, compera gingilli senza discernimento, legge romanzi poco morali, corre ai teatri ed alle veglie, ricercando l'occasione di farsi vedere ed osservare, risponde con leggerezza ai discorsi leggeri dei giovanotti, ed insomma, per farla breve, si presenta sulla scena della società come una stordita, una vanerella, una testa vuota. Quella sposina non si curerà della casa, ed il povero marito non troverà mai il desinare pronto, nè cotto a punto, perchè - s'abbiano pur cuochi e maggiordomi - nulla vale l'occhio della padrona; quella sposina sprecherà e sciuperà in un momento, o lascierà rubare tutte le belle cose avute pel matrimonio; non saprà crearsi un nido, insomma, e senz'avvedersene, perderà l'amore del marito e la pace. Poichè, se l'amore tra fidanzati si nutre di chiari di luna e profumi e sospiri, l'amore coniugale esige alimento più solido; ci vogliono per esso delle cure pazienti, dei riguardi delicati: la sposa deve da ideale diventar realtà, da dea diventar moglie, senza perdere per ciò il proprio fascino - anzi, nella trasmutazione, deve saper acquistar nuovi diritti all'affetto dello sposo - meritarsi la sua stima e come l'ha ammaliato per mezzo degli occhi, ammaliarlo poi per mezzo del cuore. Le sposine dovrebbero tutte leggere e meditare quell' episodio del libro di Dickens, David Copperfield, in cui l'autore, trascrivendo una pagina della sua vita, dipinse Dora, la moglie-bimba, che ama, ma presso cui non trova nè appoggio, nè pace - la moglie-bimba, che non è una compagna. Ma se è un errore la trascuratezza, va biasimata anche la prosopopea, il rifiutare ogni consiglio, il volersi emancipare affatto dalla tutela affettuosa dei genitori e degli suoceri; l'aussumere un far d'importanza ed il trascurar come troppo modesti gli antichi conoscenti della casa paterna. La sposina dovrà mostrare deferenza ed amorevolezza alla suocera, la quale, dal canto suo, avrebbe gran torto se censurasse con acrimonia o malignità la sua inesperienza. Pur troppo, questo torto non è raro! Vi ha una specie di gelosia materna, la quale spinge spesso la suocera a trovar mal fatto ciò che la nuora ha stabilito ed a metter in evidenza la superiorità del suo criterio. Spesse volte l'avvenire di una famiglia dipende dai primi mesi del matrimonio; la sposina deve assolutamente in faccia ai nuovi parenti ed alla società condursi in modo da meritar lode, tener conto dell'opinione che è spesso ingiusta, ma che una volta che ha pronunziato il suo verdetto, ben difficilmente lo ritratta. Vi sono donne che a quarant'anni scontano ancora le conseguenze della loro leggerezza giovanile.

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In villa le riunioni hanno due scopi principali: passeggiare e passar la sera quando, in ispecie, comincia a farsi lunga. Le passeggiatine consuete non offrono luogo a molte osservazioni. Converrà solo consigliare, tanto alle signore che alle signorine, di non accettar sempre lo stesso cavaliere per non dar adito alla malignità; le ragazze, dice un accreditato galateo francese, non danno mai braccio a nessun uomo che non sia di casa. Però ho veduto molte volte, in villa od ai bagni, le signorine contravvenire a queste norme senza incorrere la critica di nessuno. Ciò che tutte le signore al disotto dei sessant'anni (confessati) debbon cansare, si è di andare a passeggio sole con un signore qualsiasi. Per le gite invece le regole son tante che davvero ricordano gli ottanta gesti speciali che modificano le sillabe chinesi. Si può dividere questo codice in miniatura in quattro leggi principali: la partenza, la passeggiata, la colazione, il ritorno. Nella partenza bisogna esser puntuali, ed anticipare piuttostochè ritardare e tener così tutt'una brigata a piétiner sur place; però si concede dieci minuti di grazia ai ritardatari, secondo l'uso francese, in cui negli inviti stessi si pone o ore dieci senz'altro (che vuol dire dieci e dieci) o dieci très-précises e sarebbe molto sgarbato se si fuggisse, abbandonando chi indugia per motivo involontario o per differenze d'orologio. Il meglio, essendo vicini, è di farsi avvisare. Durante la passeggiata si cercherà di star uniti adottando un passo ragionevole, nè da uomo-cavallo nè da testuggine. È scortese precedere gli altri, sicchè a qualche bivio possano sbagliar strada: ma non sta bene neppur lo strascicarsi lamentandosi della via scelta, del sole, della polvere e che so io. I giovani non devono lasciar in asso le mamme... ed occorrendo assistenza, bisogna che si ricordino che la civiltà impone di pensar prima ai deboli, cioè alle signore mature ed ai bimbi. È noioso, lo so, ma la creanza è basata sul sacrificio dei proprii gusti ed istinti. Ho veduto più volte, in campagna, le signorine aiutate dai giovinotti balzar in un attimo al di là di qualche ruscelletto azzurro, sulle cui sponde le mamme derelitte, simili alle chioccie che hanno covato anitrine, chiedevano invano l'appoggio di qualche cavaliere. Ogni gita deve avere un piano. Bisogna sapere e dire a tutti dove si vuol andare, calcolare approssimativamente il tempo necessario, e ciò perchè nessuno si stanchi, e quelli che sono rimasti a casa non abbiano a sentir inquietudini. Portando seco la colazione vi sono tre sistemi: talora è uno solo che fa da anfitrione, invitando gli altri; di solito invece ognuno reca il proprio contingente, e ciò dietro un accordo con l'organizzatore della gita, perchè non si trovino troppi commestibili uguali, e non manchi invece qualche cibo indispensabile, e questo è il pic-nic inglese; finalmente (e questo è il sistema più comodo) ognuno reca la propria colazione e se la mangia con qualche scambio fra invitati. In generale quelle colazioni, quando semplici, constano di salumi, carni fredde, formaggio, frutta e caffè. Per semplificare i trasporti ognuno si munisca di una sacchetta ad armacollo con entro un coltello di quelli a doppio o triplo uso, una barchetta di cuoio, un tovagliolino; quella barchetta permette di bere nel proprio bicchiere, cosa sempre gradita. Le signore non ammettano famigliarità; non facciano comunanza di piatto e bicchiere con qualche giovane. Son cose che danno luogo a molto critiche. Quando si vuole che le colazioni abbiano un carattere un po' elegante, si reca l'occorrente per apparecchiare la tavola sull'erba, si prendono i servitori e la lista dei piatti sarà più ricca; saranno ben accetti tonno e sardine in olio, galantine, pasticci di fegato, polli in maionnesa, torte e panattoni, frutta scelta, vini di lusso. Non bisogna mai scordare qualche vino un po' forte che serve a vincere la stanchezza, nonchè il caffè nero, il quale è ottimo per dissipare quella specie di stordimento prodotto dall'aria e dal sole che i francesi chiamano: La griserie du grand air et des feuillets vertes. Alle signore raccomando di non bere troppo vino e di limitarsi ad una sola qualità, perchè è facile che il vino vada alla testa quando lo si beve all'aria aperta e molto accaldati. In quanto al contegno da tenersi in quelle gite deve essere conveniente come se si fosse in un salotto; saranno escluse cioè dalla gente per bene le celie triviali, le famigliarità fuor di luogo, le espressioni men che oneste e non si dirà per scusare, anzi, quasi per legittimare ogni eccesso, la solita frase: Oh in campagna! tutto è lecito... invocando così la teoria delle Saturnali o delle Kermesse. Non ho agio di studiare qui i vari tipi riprovevoli; i faceti che fanno arrossire le signore, gli sbrigliati che vociano e cantano e fanno cento pazzie, i noiosi che brontolano, le svenevoli che ora scivolano o chiedono soccorso, ora gemono per la lunghezza della via, le civettuole che vogliono sequestrare tutti i cavalieri, godendo della stizza delle altre; non posso che dichiararli fuor della legge, rispetto al codice della cortesia. Pel ritorno non è amabile insistere, perchè s'affretti, o si anticipi, ma si deve stare al parere della maggioranza. Se una brigata si divide, perchè certuni si spingono più lontano, questi debbono fissare l'ora del ritorno per la colazione, e se tardano troppo, gli altri hanno diritto di mangiare senza aspettarli. Se si esce in barca od a cavallo (sui somarelli) è disdicevole ed inurbano, ove qualche signora mostri paura, deriderla, e per celia fare dondolare il battello, oppure frustare l'asino. La paura è un'impressione nervosa; riesce difficile bandirla, penoso il sopportarla; può avere delle tristi conseguenze. Invece di deriderla, convien rispettarla come un'infermità... quando si tratta degli estranei. Ben inteso che chiunque farà bene a volerla estirpare sia nei proprii figli che nei proprii amici: ma, lo ripeto - in società ci si va per diletto, e ci vuole vicendevole indulgenza e cortesia; le lezioni sono sempre fuor di posto. Alla sera vi sono molti trattenimenti possibili in villa; pel giuoco e la musica le lettrici si riferiscano al capitolo delle veglie. Pel ballo è lecito di accettare cavalieri anche senza presentazione, ma è preferibile non farlo, e nessun uomo garbato si prevarrà della libertà campagnuola per esimersi da questo atto di doverosa cortesia, tanto più che basta si rivolga a qualche signore che conosca appena per ottenere quel piccolo servizio. È scortese in un uomo ballare senza guanti, per più motivi, ma specialmente perchè con le mani sudate si sciupano affatto i vestiti alle ballerine. I giuochi innocenti (che converrebbe chiamar perfidi) sono generalmente il pomo della discordia fra villeggianti. Basta nominarli perchè ognuno si rannuvoli, e gli obesi pensino con raccapriccio a gatta cieca, i sedentari al giuoco della posta, i sonnolenti al giuoco degli spropositi o agli indovinelli, i suscettibili alla berlina, ed è una gara, perchè su dieci persone ognuno vorrebbe si scegliesse..... il giuoco che piace a lui e dispiace forse agli altri dieci. - Dunque, che si fa? (dicono i giovani). - Gatta cieca! (risponde l'organizzatore). - Chè! (coro di matrone ed uomini seri). - La posta? - Chè! Chè (coro inferocito). - Il bastimento carico di... - Uh! roba rancida (coro di ragazze). - Gli spropositi? - Uh! Uh! (coro inferocito). Infine si arriva a scegliere...... e vengono i pegni, i brontolii. Consiglio chi giuoca di ricordarsi che in società il divertimento di tutti deve costituire anche il divertimento individuale, perchè, chi cerchi soltanto questo, si troverà spesso in opposizione con la maggioranza, e non godrà punto. Si accettino tutti i giuochi e non si mostri stizza quando si è acchiappati o quando non si riesce a indovinare una sciarada od un enimma: non si creda nemmeno di trovare, in certe frasi accozzate a casaccio, delle allusioni maligne e non si protesti. D'altra parte, quando si fa la penitenza della berlina, si eviti di dire delle verità; nulla offende di più i suscettibili, che quello di vedere indovinato qualche loro difettuccio. Val meglio dire una frase nulla, una delle solite frasi trite, che peccare di malignità e dar dispiacere o suscitar rancori. Se dovessi dir tutto il mio pensiero, soggiungerei che quantunque sia accettata da molti, trovo la berlina un giuoco poco innocente e poco cortese. Se si fanno sciarade in azione, travestimenti od altro, si deve evitare le gare per la scelta del costume e della parte; sopratutto ricordare che nessun giuoco va pigliato sul serio, e preso a pretesto di recriminazioni o malumori.

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A lungo andare però, le piccole miserie di questo genere di vita si manifestano. Non si può dormire: vi sono dei matti che vegliano, giuocano, fanno rumore fino alle due od alle tre; vi sono delle partenze notturne che paion fughe, degli arrivi intempestivi (che balordaggine piovere all'albergo di notte!), un continuo aprire e chiudere di porte, un continuo scarpiccìo, e di che scarpe, stivaloni ferrati d'alpinisti, scarponi di fattorini carichi. Eppoi la cucina che prima allettava il palato, stomaca: i cuochi hanno delle manìe; l'uno riveste ogni cibo di béchamelle, l'altro pesta tutto nel mortaio, e se fu lecito al confessore di Luigi XIV sclamare: Toujours perdrix! sarà tanto più lecito sclamare: Toujours béchamelle, o, italianamente: Sempre polpette! Ebbene: lo credereste? Fiero come il Codice di Dracone, il galateo esige che tutte queste miserie si sopportino con viso sorridente; che non si alzi la voce, che non si scampanelli, che non si diano rabbuffi ai camerieri, che tutte le lagnanze sieno fatte con dignitoso decoro al maggiordomo solo ed al padrone dell'albergo, in guisa però che nessuno all'infuori di lui le senta, e ciò per non disturbare gli altri forestieri. In camera propria bisogna badare ad essere tranquilli: coricandosi od alzandosi ad ore diverse dagli altri bisogna far piano per non disturbarli, tanto più se si è in uno stabilimento di cura. Non si deve legarsi alla leggiera con nessuno, nè introdurre alcuno sconosciuto in camera. In un uomo è imprudente: in una signora è inqualificabile; essa non deve, sotto alcun pretesto, lasciar entrare in camera un uomo od entrare in camera sua: solo, se ha un salottino, può ricevere gli intimi. Bisogna diffidare dei conti, baroni e marchesi di terre lontane, Polonia, Brasile, Russia che si trovano negli alberghi. Spesso, chi ha avuto intrinsichezza con questi, scopre poi che sono avventurieri bell'e buoni... e ci rimette, non solo le proprie illusioni, ma anche il proprio portafogli, ed a questo proposito si legga la gustosa novella di Cherbuliez, Mr. Drommel. A tavola, se si è contenti, nulla di meglio, se non lo si è, si va dal maggiordomo. Ma criticare tutti i piatti, arricciare il naso fin all'odore dei cibi, darsi per altrettanti Luculli, gridando: - Eh, se il mio cuoco mi portasse questa roba m'avrebbe a sentire! - sono cose inurbane, che invece di dar a supporre (come certuni credono) che s'ha a fare con un signorone, rivelano subito la persona poco iniziata alle convenienze sociali. Ma la peggior cosa è quella di venir fuori ad ogni momento con la frase: - Quando si paga e si paga salato, s'ha diritto di star bene! - Questa frase, giustissima, se la si dice sotto voce all'albergatore, gridata invece coram populi diventa la frase più triviale e brutta che si possa ideare. E notisi che, in genere, le persone veramente altolocate, viaggiando molto, sanno adattarsi alle varie cucine, e quindi si contentano facilmente, mentre sono le persone poco use a muoversi da casa propria ed a mangiar altri cibi che quelli preparati dalla loro cuoca o da loro stessi, che si mostrano difficili. Nessuno si figuri quindi di passare per un pezzo grosso se si lagna. Ricordo essermi trovata a tavola rotonda fra due signore, una smilza, dall'aspetto delicato, che mangiava di tutto senza osservazioni; l'altra, grassa, rubiconda che ad ogni piatto faceva gran querimonie: - Che roba, Dio buono! che olio! che burro! che pasticcio! E dir che certuni mandano giù ogni cosa. Per me non posso. Già quando si sta bene a casa propria si prendono dei vizi. Quella signora era una... cameriera pensionata, mentre la smilza era la duchessa di B....., alleata ad una casa regnante. Lascio pensare quale delle due mangiasse meglio... a casa propria. Però, se non lecito, è certo scusabile, lamentarsi con tuono di celia, in modo da non annoiare alcuno e da dimostrare, che seppure si protesta contro un cattivo pranzo, lo si fa senza stizza e senza dare importanza soverchia nè al cibo, nè... alla spesa. Nelle gite si segue generalmente il metodo di ordinare all'albergo il necessario, ognuno pagando il proprio quoto: per le carrozze, per le mancie ed i rinfreschi provvederà qualche signore della brigata che assume l'appalto della gita: paga tutto e si fa poi rifondere la spesa. Sarebbe inqualificabile ritardare questa rifusione o fingere di dimenticarla. Non si usa più, generalmente, che in una gita paghino soltanto gli uomini, le signore che si trovano ai bagni senza il marito non amando di accettare queste cortesie. A questa norma non son soggetti i rinfreschi; quando in una compagnia c'è un signore sta bene che paghi lui (o, se son parecchi, che paghino loro) i gelati, i caffè e le paste che le signore potessero desiderare. Prima di combinare una gita convien stabilire chiaramente se si tratta d'invito o di partecipazione, ed accennare alla spesa. Rammento ancora la spiacevole confusione di due povere vecchie zitelle le quali, invitate ad una certa gita ardua e faticosa in cima ai monti, accettarono, stimandolo un debito di cortesia... e si trovarono poi obbligate Galateo della Borghesia. - 10. a sborsare sessanta lire! Bisogna avvertire e non farsi arbitro della borsa altrui. Ben inteso che il recriminare od il contrattare è cosa gretta, sconveniente e che chi non ha avuto la cautela d'informarsi deve fare bonne mine à mauvais jeu. Secondo i Francesi, l'uomo che accompagna una signora deve sempre pagar lui, ma da noi la signora stessa può, per esser libera, stipular subito che non accetterà nulla ed il cavaliere può ammetterlo senza scapito della sua galanteria, tanto più che in villa ed ai bagni, le occasioni di prendere rinfreschi o di spendere per carrozze o barche si ripetono due o tre volte al giorno. Se la signora è col marito però pagherà sempre lui, anche essendovi altri uomini. Tocca agli uomini combinar le gite, dare gli ordini necessari negli alberghi, ed una signora che volesse assumersi quella parte farebbe ridere. Se non vi sono uomini la direzione tocca all'anziana. Nulla è più ridicolo che l'insistere presso una persona per farle prendere dei rinfreschi.... che non si ha l'intenzione di pagarle. Il caso toccò ad una inesperta sposina, mia amica. Trovandosi ai bagni con una famiglia forestiera, questa la esortava a gite, pic-nic, spese d'ogni genere. Lei vantava l'urbanità di questi suoi forestieri: ma il conto dell'albergatore le preparò un crudele disinganno. A questo proposito noterò che i prezzi all'albergo vanno stipulati chiaramente, per evitarsi certe doccie che distruggono in parte il buon effetto delle doccie prese allo stabilimento idropatico e in ispecie per evitar le triviali discussioni. Le burle e le scommesse son cose di cui si deve usar con gran moderazione e in modo da non offendere nessuna suscettibilità. Ai bagni bisogna evitare la posa e non pretendere di essere ammirati. La semplicità e l' urbanità si concilieranno sempre la simpatia generale, senza ricorrere a perorazioni o rappresentazioni. Chi assume una parte diventa, in breve tempo, uggioso. Non si deve quindi voler fare il boute-en-train, pestar il pianoforte quando gli altri vogliono andare a letto, pigliare le signorine per obbligarlo a ballare, perseguitare tutti di freddure e barzellette. Non si deve costituirsi il cicerone di chi vuol passeggiare solo e libero. Non si deve mai, nè a tavola nè a passeggio, fare discussioni di famiglia, appellandosi ai terzi, sì da imbarrazzarli ed annoiarli. Se si hanno bimbi non si deve permettere che disturbino alcuno, che pestino il pianoforte, rompendo le corde; che si rincorrano sui calli dei signori e sugli strascichi delle signore, e se non sanno condursi a tavola, se si alzano, se mettono le mani nel piatto, se rovesciano il bicchiere, non si desini con gli altri. Affettare l'amor materno in pubblico a scapito altrui, tollerando o incoraggiando le mancanze dei proprii figli, è ridicolo. Vi sono altri tipi convenzionali che alcuni assumono con l'idea di far colpo. C'è l'originale, che veste costume di fantasia ed assume l'aspetto del masnadiero di Schiller; passeggia solo, non parla con alcuno; a sera spesso non torna per far credere d'essersi suicidato. C'è l'artista... ignoto, che vi parla delle sue opere (?) e della sua celebrità (?). C'è l'arricchito, che fa sonner ses écus. C'è il cavalier d'industria... che profitta della bonarietà degli inesperti. E nel campo femminile c'è: La civettuola, che vuole attirar tutto il campo maschile. La grande mondaine, che ha seco dieci bauli ed ha calcolato che la sua malattia avrà bisogno per l'appunto dei quindici giorni di cura per metter in mostra trenta tolette nuove. La sentimentale, che si ciba, in carnera, di paste e cioccolatte, e, a tavola rotonda, torce il viso dai piatti. La maligna, che sparla di tutti. La donna infelice, che racconta sempre i suoi guai, più o meno reali, a tavola fra le bistecche e alla sera fra le contraddanze. C'è la zitellona, che accusa ventidue anni e sta sempre accanto a mammà o papà per decoro. C'è la fast young lady, che parla di tutto, decide le quistioni più gravi di politica e morale, fuma, cavalca, rifugge, come dalla peste, dalle signore, che chiama: le vecchie..... C'è... via, c'è l'avventuriera più o meno indovinabile. Insomma, che cosa non c'è? La commedia umana ai bagni si svolge in tutte le sue fasi e le sue varietà, e quindi richiede, da chi vuol serbare la propria fama di persona per bene, una cautela molto superiore a quella che si deve esercitare in città od in villa. Un'ultima parola. Bisogna guardarsi da ogni contatto con persone di cui sia notoria la cattiva condotta o che vivano in illegittime relazioni; un uomo che permettesse alla propria moglie o figlia di trovarsi in famigliari rapporti con una signora, come ho a dire? una signora del demi-monde, farebbe un errore irreparabile, poichè certe intimità non sono lecite. Però, se è permesso rifiutare ogni rapporto con quelle sciagurate, è gretto, è crudele ostentare lo sprezzo che si sente per loro. L'evitarle basta: il fuggire se si accostano, il fulminarle di occhiate sdegnose non è conveniente, e le spinge a dire: « Che le signore della buona società le invidiano!... ». Un uomo, che conosca qualche persona di quel genere, non deve mai parlarle e perfino evitare di salutarla se ha seco donne della propria famiglia.

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La ceralacca e le ostie essendo bandite, la carta a fiori ed emblemi (rose che si aprono, cuori trapassati da freccie) essendo abbandonata ai coscritti od agli scolaretti, la busta ingommata tenendo lo campo, diventa assai più facile scrivere e piegare le lettere in modo conveniente. Infatti, con un foglio di cartoncino bianco e sodo ed una larga busta si può scrivere a chiunque. Noterò soltanto alcune gradazioni. Per le lettere a superiori od uguali, si prenda carta di formato mezzano con cifra, busta adatta, cioè tale che basti piegare il foglio in due; per gli intimi o parenti, si firma il nome solo, per gli altri, nome e cognome. Scrivendo ad un uomo, una signora metterà iniziale e cognome. Per inferiori si scelga il biglietto di visita dove il nome serve di firma e si scrive in terza persona, o, meglio del viglietto, dei cartoncini quadrati appositi. Per esempio: « MARIA FORTINI » prega la signora Merli di terminare la frangia commessale, » avendo urgenza di servirsene ». Per bigliettini da spedirsi in città, inviti ed altro, si prende carta di piccolo formato. Non si deve mai impiegare dei mezzi fogli o dei fogli sgualciti e macchiati, nè mandar lettere senza busta: se si spedissero simili fogli ai proprii superiori sarebbe un mancar di rispetto, agli uguali un mancar di cortesia, ai congiunti un mancar di riguardo, agli inferiori un mancar di delicatezza. Vedo ancora la fisionomia d'un certo ottimo babbo campagnuolo che aveva fatto educare la figlia in un collegio: un dì, madamigella, che era in città, scrive al babbo, e lui, alla posta, dice: - Eh! vedrete che letterina! Mia figlia ha una scrittura! Ed uno stile! Apre la busta: c'era dentro un foglio sgualcito, macchiato, di carta comune, con due sgorbi, degni d'una lavandaia. Figuratevi come il pover'uomo rimase! Certo, quella signorina, per scrivere alle amiche, si valeva di carta profumata e faceva dei modelli di calligrafia: ma pel vecchio babbo, non metteva conto! Ebbene, per essere veramente persone ammodo, bisogna sempre ed in ogni cosa mostrarsi accurato e cortese; non bisogna mai dar vacanza all'urbanità ed alla nitidezza: non bisogna mai dire: non mette conto! È fuori d'uso ormai porre l'intestazione in cima e cominciare la lettera affatto al piede della carta, per modo che nella prima pagina non vi sieno che due o tre righe. Per le lettere famigliari si mette l'intestazione quasi in cima della pagina, poi la data e si comincia a poca distanza; per le lettere di cerimonia ai superiori si mette il nome e titolo incirca a metà pagina, si comincia nell' ultimo terzo, lasciando molto margine a sinistra; si mette la data dopo la firma. (Ai superiori non si scrivono che lettere, non bigliettini). Nelle lettere commerciali la data si mette in iscritto in quella riga stampata, dove sta il nome della città dello scrivente. In mezzo si pone una prima intestazione che reca il nome, cognome e paese della persona che scrive o la ditta. Sotto una seconda intestazione molto semplice. Per esempio: REVELLI E C° - Via Orso, 1, Milano Milano, 3 luglio 1882. Signori Marini e C° RAVENNA. Egregi Signori, ........ Per le petizioni o suppliche si prende della carta di grandissimo formato, con molto margine, e si scrive da una parte sola del foglio. Queste lettere, come in generale quelle ai superiori, convien meglio suggellarle. Si suol deridere quelli che scrivono sulle buste la parola urgente: ma un'autrice francese assicura, con giustezza, che se questa raccomandazione è certamente superflua per la posta, può essere utile e per la servitù che imposta e pel destinatario, che così verrà spinto a leggere e rispondere con maggior sollecitudine. Sulla busta non si metta scialo di epiteti, e soprattutto si formuli chiaramente l'indirizzo lasciando le spiegazioni fantaisistes, come: la casa delle colonne, la casa accanto al Duomo, la prima casa a destra, ed altre ingenuità, inutili per la posta, non servendo che il nome della via ed il numero della casa. In generale per uomini e per signora attempata il titolo d'egregio, per signora giovane o signorina quello di gentilissima, sono sufficienti: chiarissimo, colendissimo, spettabile, illustre.... non sono epiteti necessari, nemmeno scrivendo a delle cime: scrivendo a qualche onesto commerciante o babbo sono ridicoli. Ai ministri si dà dell'Eccellenza. Per lo più nelle lettere si tien la norma seguente: Francobollo Egregia Signora Luisa Geronimi via Palermo, n°5 UDINE (Friuli) I Francesi però consigliano un altro sistema. La scelta è libera: noterò solo che non si deve ripetere il titolo di « signora ». È un uso antiquato. Quindi se dicessi: egregia signora - signora Luisa Geronimi, non andrebbe bene. Ma ecco il modello francese: Francobollo ITALIA Signora Luigia Geronimi via Palermo, n° 6 UDINE (Friuli) Quando si danno lettere da affrancare alla servitù, è buona norma scrivervi su la parola affrancata. Quando si dà ad un amico qualche lettera di raccomandazione si consegna aperta. Per le formole di conclusione si adopera il dev.mo pei non intimi, l'aff.moper gli intimi. Per gli inferiori, basta il nome dopo i saluti. Una signora mette dopo il proprio nome il cognome del marito, da ultimo il proprio casato da ragazza. Non s'usa firmare il titolo: è accennato dalla corona o dallo stemma, che molti nobili usano sulla propria carta da lettera. In Francia le dame firmano - non il nome, nè il titolo - ma il casato patrizio: se è la duchessa Rose de Mauprat nata Dovenal, metterebbe Mauprat-Dovenal. È anche di voga ora in campagna mettere sulla carta un piccolo disegno rappresentante il palazzo o la villa che si abita; però è una moda un po' vanitosa. Una vedova firmerà a scelta il nome del marito od il proprio o tutti e due, ma in fila e senza la parola di vedova. Per esempio: Luisa Geromini - Marti e non: Luisa Marti vedova Geromini, il che non è elegante. La prima condizione d'una lettera è di essere scritta con chiarezza, sì da non affaticare la vista e stancare la pazienza di chi la riceve e di non dar luogo ad equivoci: le cancellature vanno evitate. Per chiudere si può metter a scelta: Coi sensi della più alta stima - con stima - con affetto - col massimo rispetto - mi dico, mi rassegno, ecc., ecc., badando alla maggiore o minore opportunità della scelta. In francese (credo far cosa grata accennando ad alcune forme di questa lingua), in francese si dice cher monsieur nell' intimità, e monsieur soltanto ai superiori; chère madame, chère mademoiselle, o solo madame e mademoiselle (mai: chère dame,chère demoiselle). Salutando si dice nell'intimità: Tout à vous, mille amitiés, votre affectionnée - ai superiori: Veuillez agréer l'expression de mon profond respect, de mon dévouement -agli uguali: De mes sentiments les plus distingués, affectueux - a persona altolocata: De mon estime, de ma considération distinguée - in commercio: Agréez mes salutations distinguées o empressées - agli inferiori: Je vous salue, o agréez mes salutations. Questa la parte teorica. Riguardo all'opportunità morale: Si scrive ai proprii parenti ed amici pel capo d'anno o pel loro onomastico. Per congratulazione o condoglianza,venendo a sapere di qualche loro gioia o dolore. Per accompagnare un dono o ringraziare. Per annunziare nascite, matrimoni o decessi. Agli ospiti, appena s'è tornati a casa, per ringraziarli. Le persone molto cortesi, lasciando una città od un luogo di bagni, scrivono ad una persona del loro circolo, perché questa trasmetta a tutti i loro saluti. Una signorina non scriverà mai ad un uomo giovine. Lo stile rientra nella mia competenza, inquantochè dev' essere adatto alla persona a cui si scrive ed all'occasione. La lettera commerciale sarà di stile chiaro e conciso. La lettera di congratulazione o ringraziamento, breve, ma animata da schietta cordialità. La lettera di domanda a superiori, breve, semplice, seria. La lettera agli intimi, lunga finchè si vuole, scherzosa, variata. La lettera a bimbi, un pochino didattica con una certa spruzzatura di faceto, come quelle graziosissime di Giusti ai nipoti. La lettera di capo d'anno o d'onomastico dovrebb'essere..... nuova! Ma qui credo che sarà difficile seguire il mio parere e trovare una formola diversa, una frase inedita per dire: « Domani comincierà un anno nuovo e vi auguro di passarlo nella felicità ». E non potendo far cosa nuova - consiglio di far cosa schietta e semplice: sarà il meglio. La semplicità costituisce il vero e solo merito d'una lettera. Intendiamoci: la semplicità dello stile, non della lettera. Limitarsi a dire: Ho ricevuto la cara vostra, da cui vedo che state bene e sto bene anch'io, o giù di lì - è povertà di fantasia o pigrizia, non semplicità. La lettera dev'essere spontanea, chiara, palpitante di vita; essa surroga la parola, e deve quindi più che può imitare lo stile parlato; più vi si sente lo slancio d'un cuore verso l'altro, d'una mente verso l'altra, la verità, la naturalezza, più piace. Perciò in genere, le donne vive, impressionabili, sensibili al bello, sanno scrivere delle lettere stupende, anche senza essere letterate e talvolta perfino senza conoscere la grammatica: citerò in prova della prima asserzione, le francesi, la Sévigné, - ed in prova della seconda la tragica Rachel, la quale, con un'ortografia delle più fantastiche, dettava delle lettere di cui la grazia e l'eloquenza erano impareggiabili. Trovo anzi che nelle lettere - le quali rappresentano affatto la persona - ogni studio di rettorica, ogni ricercatezza, nuoce, e invece di dar piacere, di far sorridere o di commuovere, fa sclamare a chi la riceve: Oh! quanto deve aver sudato l'amico a mettere insieme tutta questa roba! La brutta copia quindi non giova punto allo stile epistolario; convien abituarsi a farne senza; compor la lettera a memoria e poi buttarla giù, senza badare a qualche neo, a, qualche ripetizione. Che sia di stile schietto e spigliato, ecco quanto preme. Finalmente, per ultima norma,noterò che non si deve mai scrivere sotto l'influenza dell'ira. Se è cosa inurbana, illecita, uno sfogo a parole, figurarsi che cosa è uno sfogo in iscritto! La parola sfuma: verba volant, come dicevano gli antichi; lo scritto invece se ne sta sempre lì, immutabile, anche quando l'ira è svanita, anche quando si sarebbe disposti a cancellarlo con le lagrime. Ciò che si scrive acquista appunto dalla sua durata una forza speciale; l'offeso può aiutare la propria memoria col rileggerlo e così, la freccia che il tempo avrebbe smussato, conserva la sua malefica virtù, ed impedisce il perdono od il ravvicinamento. È anche doveroso custodire con riguardo la propria corrispondenza; se si ricevono lettere un po' imprudenti od appunto scritte in ore di eccezionale impressionabilità, distruggerle. Mai lasciarle di qua e di là, a portata della servitù o degli indiscreti. Non par vero quanti guai hanno prodotto le vecchie lettere! C'è una fatalità nella smania di custodirle. Credo che non si sbaglierebbe aggiungendo al noto assioma: cherchez la femme! quello di: cherchez la lettre! poichè in fondo a gran parte dei guazzabugli di questo mondo sta un cencio di carta con due sgorbi. È quindi una norma di prudenza e civiltà sopprimere o chiudere la propria corrispondenza. Aprire le lettere altrui, o leggerle se si trovano, è la massima indelicatezza. Non è lecito che ai genitori in rarissimi casi. In qualunque altro, anche - anzi - fra marito e moglie è biasimevolissimo; denota bassa curiosità, intenzioni maligne o sospetti offensivi.

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Una signora sotto ai sessanta non va mai sola a far visita ad un uomo, fosse vecchio o malato; se è giovine, prenda seco qualche signora attempata anche per recarsi dal notaio, dall'avvocato, dal medico, dal banchiere, e dai sacerdoti. Una ragazza non riceve mai da sola a sola nessun uomo. Se, per caso, dei visitatori vengono ammessi dalla servitù un giorno in cui la madre non può ricevere, essi debbono ritirarsi dopo uno scambio di saluti. Il giorno del Ceppo si pranza in famiglia; ma sta bene i nvitare quei parenti, anche lontani, che non avessero famiglia propria per evitar loro la tristezza del desinare soli negli alberghi quasi deserti; in lnghilterra, chi appena lo può, si adatta anche a lungo viaggio per ritrovarsi coi suoi in genere, chi ha una villa passa colà il Natale, radunandovi tutti i parenti ed anche gli intimi amici; i tempii sono parati d'edera e d'altre piante verdi - il gran giorno si passa quasi tutto in Chiesa, si chiude con un pranzo speciale, dove giganteggia il famoso plum-pudding, un composto di farina,grasso di bue, uova, uva secca, che deve bollire per una quindicina di ore; chi ha parenti all'estero, perfino al Capo od in India, spedisce loro uno di questi pudding, che hanno la proprietà di poter, dopo tre o quattro mesi, venir rinfrescati, o meglio riscaldati, mettendoli di nuovo a bollire; nello spedirlo si calcola che abbia da arrivare appunto nel giorno di Christmas (Ceppo). Chi ha qualche impegno di gratitudine, o vuol usar qualche cortesia, spedisce, pel Ceppo od il Capo d'anno, qualche specialità gastronomica del suo paese. Un altro uso ora nuovamente invalso è quello dell'albero di Natale, che a torto vuolsi dire inglese, mentre in origine realmente è tedesco (Christbaum). È un piccolo abete piantato in bel vaso i cui rami si adornano di mele rubiconde, di noci rivestite di carta dorata, di un gran numero di candelette di cera di tutti i colori: a quella decorazione si aggiungono i regali destinati alla famiglia ed ai convitati, quali appesivi ostensibilmente, come arlecchini e bambole, quali misteriosamente ravvolti in carta velina; le mamme; nonne e zie preparano l'albero, poi si chiama in sala tutta l'adunanza ad ammirarlo, sfolgorante per le gaie faville dei lumicini e le tinte screziate delle mele, delle noci d'oro. Codesta festa di famiglia ha qualcosa di grazioso e di ingenuo che la rende carissima. In Francia, nella notte di Natale, si dà una cena, piuttosto semplice, detta réveillon; non vi si va in vestito da Galateo della Borghesia. - 11. teatro, ma con abbigliamento tale da potersi prima o poi recar a messa. I cibi si preparano tutti insieme sulla tavola: constano per lo più di dolci, salumi e carni fredde; non è ammesso altro vino che il Bordeaux; vi si aggiunge un piatto detto boullie. Altra norma dimenticata: mentre una signora non può mai venir condotta a veglia o ballo in casa terza senza presentazione od avviso, i giovanotti che la padrona di casa stessa ha raccomandato le si conducano per ballerini, non sono soggetti a queste regole e chi li ha arruolati li mena con sè al momento e li presenta. Chi dà un gran ballo, può far invitare dagli amici altri amici loro, con cui non ha visita, senza che ciò obblighi a conservar intime relazioni. Una visita da parte degli invitati, un biglietto da parte dell'invitante, basteranno. Rispetto alle fotografie, le signore giovani e le ragazze non danno mai la propria ad un giovine se non parente, et encore! nè chiedono con insistenza la sua ad un uomo giovine, toltone il caso che sia un uomo illustre. Il fazzoletto ed i guanti costituiscono un altro punto relativo alla convenienza. Non par vero quante cose possono dipendere da quel piccolo quadrato di tela! Una signora deve sempre averlo piccino, fine; guardarsi da quella roba di cotone a righe colorate, a smerli, che si vendono nei magazzini a gran ribasso: hanno un'impronta volgare, non sono un'economia perchè non durano punto, e finalmente fanno arrossire la pelle, cosa che va anch'essa presa in considerazione. Gli stivaletti ed i guanti costituiscono col fazzoletto ciò che distingue la signora veramente per bene. Le pianelle sieno sbandite, servano al più per andar dal letto fin all'abbigliatoio. Nonostante la storia di Cenerentola, le trovo bruttissime. Le pantofole stesse siano a tacco. In istrada non si mettano mai scarpini da veglia o da ballo sdrusciti. Riguardo ai guanti si segua la moda, con la norma che d'estate si usa guanto di pelle di Svezia, d'inverno di capretto; in istrada, sempre scuro, o almeno di tinta carica, mai, eppoi mai, albicocca, grigio perla, paglia, colore di rosa, mauve, insomma color chiaro: in genere il paglia e bianco si mette per gala, i colori rosa, azzurrino, mauve, solo avendo un vestito di quella tinta. In visita i guanti si serbano sempre. In veglia si tolgono per suonare (non per cantare) e si rimettono subito. A veglia in casa propria si mettono: molte signore li adoperano anche nei ricevimenti di mattina. Ad un pranzo d'invito, si tolgono a tavola e si mettono in tasca; in certi alberghi ho veduto a metterli in un bicchiere; è sconvenientissimo. Non si balla mai, in nessun luogo, senza guanti. I guanti (moda inglese) si tengono per prender il the e per cenare; si tengono perfino alle colazioni di cibi freddi, lunchs od altro dove si serba il cappellino. Confesso che quest'ultima regola non la registro che con dolore; una bella manina bianca, liscia, ingemmata d'anelli mi par davvero più appetitosa che un guanto, la pelle umana, preferibile alla pelle di capretto, ma non c'è che dire, così dev'essere. Aggiungerò che è un'affettazione levare i guanti a veglia od a teatro, per pochi minuti, allo scopo di far ammirare la propria mano; ma le signore che hanno quella bellezza mi risponderebbero: E se sempre e dappertutto i guanti sono di prammatica, a che serve aver le mani belle, e come si potrebbe sapere che possediamo questa ambita prerogativa? Quello che è mal porte, come dicono le Francesi, è l'anello sul guanto. Baciamani ed abbracci sono poco in uso ormai, grazie all'ottima moda inglese della stretta di mano: shake-hand. Taluni si lagnano che si stringa la mano a tutti troppo alla leggera. Eh! Dio buono! Non era peggio forse baciar la mano alla leggera, o, fra signore, buttarsi ogni momento le braccia al collo? Ora il baciamano non lo usano più i signori in Italia (in Germania, sì); poco gli inferiori. in Germania, a cominciar quasi dalla stazione della ferrovia è un seguito di baciamani da far disperare; a momenti ve la baciano i fattorini! salvo ad ingiuriarvi un momento dopo se giudicano la mancia scarsa. Le signore abbraccieranno i parenti ed intimi partendo o tornando da viaggio, i bimbi sera e mattina, qualche antica prediletta, ma non tutte le visitatrici e men che meno lo persone non intime. Ricordo, poco tempo fa, essermi trovata chiusa nel tenero amplesso di una signora che conoscevo sì poco, che tra per la rarità dei nostri incontri ed il mio esser poco fisionomista, rimasi immobile ed allarmata sotto la pioggia dei suoi baci senza profferir parola. I bimbi altrui vanno abbracciati con moderazione. A molte mamme spiace che i loro freschi bebés vengano troppo bacciucati e non hanno torto. Baciare i cani, i gatti, i pappagalli, è cosa di cui non parlo; esce, secondo me, dall'ordine naturale delle cose e temo che la ripugnanza mi renda troppo severa contro le numerose signore cani e gatto-file, che se ne compiacciono, per cui mi contento di dire... che in nessun galateo si parla di quest'uso, ma che prego tutti quelli che si appassionano per gli animali, di reprimer la loro passione quando hanno visitatori che temono i cani, odiano i gatti e davanti ai pappagalli ripetono la facezia di quel tale che udiva un flauto: - Che cos'havvi di più insopportabile di un flauto? Due flauti! - Che di più importuno di un pappagallo? Due pappagalli! Le limosine vanno date senza ostentazione, e non in modo da umiliare chi le riceve. Vanno date eziandio con discernimento, in modo da giovare al povero e da studiarne l'indole; se biancheria, roba usata, pane e lavoro vengono accettati con gratitudine, siete in diritto di supporre d'aver a che fare con buona gente; ma se i poveri insistessero, con pretesti, per avere denaro, potete essere quasi certi che si tratta di viziosi o di oziosi. In generale, chiedere degli oggetti a prestito è poca discrezione: però, per musica e libri è lecito. Ma non bisogna trattenerli a lungo, e se per caso si sciupano o si macchiano non valgono le scuse: convien farli rilegare o surrogarli con altro esemplare. Chi poi chiede dei vestiti o dei cappellini per campione, veda di non sgualcirli, di non comprometterne la freschezza e di non copiarli troppo fedelmente. Rifiutare un oggetto che si domandi a prestito è scortesissimo: se anche dà un po' di noia il privarsene, è mestieri nasconderlo e concedere la cosa domandata. Però una signora che chiedesse un oggetto di vestiario, appena comperato, costoso e di genere nuovo e bizzarro, farebbe una vera sconvenienza. *** Vi sono in società due manie opposte da cui bisogna guardarsi e che ci nuocciono molto tutte e due nell'opinione. L'una è la mania del così detto chic. L'altra la mania del così detto sans-façon.. Quelli che sono afflitti dalla prima di queste manie fanno sul perenne studio per non offender il decoro.... e temono sempre di averlo offeso, mentre, per quel ticchio, offendono perpetuamente la creanza. In istrada camminano impettiti, evitano gli amici o parenti meno agiati di loro, e se uno di questi li ferma, arrossiscono, si turbano e si credono perduti nell'opinione degli altri caporioni del chic. Non vanno in omnibus, nè in tramway; a teatro non vogliono che palchetti; non si servono che dai primi fornitori; non vogliono frequentare che duchi, marchesi, milionari e gente celebre; amici della ventura, trovano tutti quelli che non appartengono a quelle categorie altrettanti zeri; immaginate un po' che zero sarebbe stato per loro Colombo quando parlava dell'America, Galileo quando, a dispetto dei pezzi grossi, si ostinava a dire che la terra si muove! Sono i fautori del successo, gli ammiratori dei bei pastrani, delle vesti di velluto e dei guanti nuovi. Non conoscono che una legge, il chic; un ideale, il blasone; un nume, il denaro... I protagonisti del sans-façon però, se moralmente valgono meglio, in realtà vi affliggono anche di più: Se - sudici, senza guanti, con le unghie in lutto - incontrano un amico, gli si appiccicano, dandogli del tu, sbraitando; richiamati all'ordine, affermano di non avere aristocrazia, confondendo così l'amor dei pettini e del sapone con la superbia e la creanza con l'ostentazione, e tirano via; a volte invitano l'amico a desinare alla buona, sans-façon. Se il malcapitato accetta, sta fresco! Piove in una stanza disordinata, dove tra una nidiata di bimbi, che, sudici come il babbo, si trascinano carponi, appaiono una sguattera, immusonita ed una padrona di casa arruffata, che lancia occhiate fulminee al marito. Il desinare è pessimo: minestra lunga, lesso affumicato, arrosto in miniatura; la serva butta la roba in tavola alla rinfusa, accompagnando il servizio col ciac-ciac delle ciabatte, i bimbi (nessun lusso! grida l'ottimo babbo sans-façon) i bimbi tuffano nei piatti delle mani da spazzacamino, dei nasini... umidi, oppure, se piccini, fanno delle scorrerie sulla tavola stessa; la mamma, stizzita perchè l'intruso la vede senza il vestito della festa, non smette il broncio; l'intruso... sventuratissimo, non può mangiare, un po' perchè il sans-façon in tavola non gli va, un poco per le invasioni dei bimbi: soltanto il signor sans-façon è contentone. A teatro, sans-façon ciarla e schiamazza sì da farsi zittir dalla platea. Al caffè grida, conta i fatti suoi, interpella tutti quanti senza conoscerli, strapazza i camerieri: in visita dice alle ragazze dei complimenti veristi... che fanno arrossire e stizzire le mamme, ed alle mamme invece dice delle verità... d'ogni specie, evoca date, calcola quanti anni ponno avere, e le fa diventare verdi di bile dopo averle fatte diventar rosse. Ma il suo trionfo è l'invitarsi in casa d'altri, il piombare ospite... di chi non lo vuole, criticando tutto, dando su tutto il suo parere: il suo trionfo è il perseguitare chi desidera stare quieto, mettersi a tu per tu con persone ragguardevoli, l'immischiarsi in ogni discorso, sempre col suo famoso: - non ho aristocrazia, io! non fo complimenti! - sulle labbra. Nulla lo frena, nulla lo umilia. Ai militari parla di strategia, dando senz'altro dell'asino ai generali; ai diplomatici di politica, dando del babbeo ai ministri; alle signore per bene, di ballerine o di celebrità del demi-monde. Se gli si affida una notizia che deve rimaner segreta la dice in piazza. Insomma, se i falsi chic fanno ridere la gente intelligente e superiore, i sans-façon fanno piangere tutti.

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Invero, se si cominciasse a mettersi in fronzoli alle otto, sarebbe il caso di dire coi Francesi che la femme est un être qui s'habille, babille et se déshabille. Alla mattina ci vuole una veste semplice, di quelle che si ponno far da sè e che si tengono poi tutto il giorno, un cappello un po' grande che non esiga pettinatura ricercata. Non consiglio assolutamente di finir in quelle uscite gli oggetti vecchi o sgualciti. È un'economia molto relativa, poichè la roba di lusso, chiara e riccamente guarnita, dura pochissimo e richiede continue riparazioni. D'altra parte quel vestire dà assolutamente, a chi lo porta, l'impronta del cattivo gusto, un'impronta che spesso induce a giudicar male la persona medesima. È positivo che anche gli uomini che non sanno definire i particolari d'un abbigliamento, ne risentono l'impressione complessiva e notano la mancanza di grazia artistica e di freschezza nel vestire delle signore. Ma... e della roba vecchia che si può fare? Ecco una grave questione, grave come quella mossa dal brioso cronista, il quale domandava che cosa lddio facesse in Cielo delle lune vecchie e gli uomini facessero in terra dei vecchi pianoforti. Per conto mio, quando una veste di seta chiara è veramente sgualcita, consiglio di farne una fodera, invece che valersene alla mattina; quando i guanti bianchi sono neri, consiglio... di metterli da parte per le occasioni in cui uno si faccia qualche taglio al dito o di darli alla cameriera. Ricordo che un giorno, incontrando nell'uscire due signore, chiesi ad una ragazzetta che avevo meco qual delle due le paresse più elegante. L'una aveva una veste di seta a righe bianche e turchine con certa tunica troppo scarsa e corta, un cappello bianco di blonda ingiallita, guanti color paglia, scarpine di raso bianco (raso!), una collana di perle di vetro; un ombrellino bianco ed azzurro. L'altra portava un vestito grigio con colletto e polsini di tela, cappello nero e stivaletti alti di pelle. La bimba additò la prima: era naturale. - Ebbene, la prima era la cameriera, la seconda la padrona. Chi si veste di roba sgualcita naturalmente par che indossi vestiti presi dalla rivendugliola o avuti in regalo. Dunque, alla mattina, semplicità assoluta: anche più tardi, per visite o passeggio, nulla di troppo sfarzoso, di troppo chiaro. A Parigi, a Torino, a Milano, dove regna il massimo buon gusto, le toelette da mattina, le toelette che si mettono uscendo a piedi, sono oscure e relativamente semplici. Il qual semplice va detto della fattura non della stoffa: per esempio un mantello di velluto rabescato (che costa 50 lire al metro), una pelliccia di lontra che valga due mila lire, sono ammessibili in istrada, mentre darebbero nell'occhio un vestito di raso chiaro od una guarnizione colorata. Le eccentriche invenzioni della moda si serbino per le passeggiate in carrozza e pei concerti ed i teatri. Pei bimbi è lecito un po' di bizzarria, ma nei limiti del buon gusto; i costumi di fantasia (compreso lo scozzese), sopratutto le divise militari, sono il non plus ultra del pessimo gusto. Le ragazzette, dopo i dieci anni, vanno vestite con la massima semplicità; fino ai quattordici conviene scegliere modelli da bimba e non mai da donna. A dieci o dodici anni, il maschio si vesta da uomo, rinunziando ai capelli sparsi sulle spalle, alle gambe nude, ai berretti alla Raffaello, alla pettinatura brétonne, insomma a tutte le eccentricità fino ad un certo punto tollerabili nei piccini. Ai signori raccomando un vestire accurato, ma semplice, il cappello saldo in testa, non sugli occhi alla brava, non sulla nuca,pochi ciondoli alla catena e pochi anelli alle dita: il meglio è portarne uno solo con sigillo. In istrada - come in ogni luogo - si deve anzitutto evitare l'affettazione. Quelle signore che camminano compassate e pretenziose, dondolando i fianchi e la testa, persuase che non si guarda che loro, fanno ridere; ma ciò che dà la patente della poca finezza si è il voltarsi indietro ad ogni momento, il parlar forte, il ridere con sguaiataggine, insomma lo studiarsi d'attirare l'attenzione. La vera signora cammina lesta, senza correre, cammina dritta senza voltarsi indietro, senza guardar di qua e di là saluta i conoscenti con cortesia e senza far distinzioni troppo spiccate (un semplice cenno del capo per chi par inferiore, un gran profondersi in inchini e sorrisi per chi par superiore, sono cose disadatte); non esamina con curiosità troppo manifesta l'abbigliamento delle amiche che incontra, non si ferma in istrada per lungo tempo a ciarlare. In fatto di saluti fra signore si va per regola d'età: è somma scortesia non rispondere al saluto, la persona che lo dirige vi fosse anche poco nota, sì da averne scordata la fisionomia. Chi è molto miope ne avvisi i proprii conoscenti, per aver così una scusa anticipata delle involontarie mancanze che potrà commettere. Tocca all'uomo, qualunque sia la sua posizione, salutar nel primo: però trattandosi di persona illustre o molto attempata si può trasgredir questa regola È scortese fissare una persona aspettando il saluto: si faccia un cenno subito o si eviti di guardar da quel lato, piuttostochè provocare una posizione che è d'impaccio a tutti. Fra persone che si visitano o incontrando gente con cui si ha parlato in casa terza, un cenno di saluto è d'obbligo. Nel caso che una persona con cui si abbia avuto intimità commetta un'azione per cui si ponga fuor della legge (uno scandalo, una fuga, che so io), tocca a quella persona cansar gli amici; se la si incontra, si può far un lieve cenno del capo,per non infliggerle un affronto, ma nulla più. Le sarte, il parrucchiere, spesso evitano di salutare la signora per un certo riguardo; se la salutano, la signora ha obbligo di rispondere con cortesia,e si renderebbe ridicola, affettando alterigia. Non si esce con la propria cuoca o cameriera, e facendolo per una causa qualunque, la cameriera deve star dietro; però se la persona di servizio accompagna una ragazzetta le rimane al fianco. Fermarsi in crocchio per le vie frequentate non è lecito che per pochi secondi, e per consenso di ambe le parti; non si deve fermare chi mostra premura, o chi ha il tempo sempre limitato per professione. Il rimaner poi a lungo fermi, inceppando il passo alla gente, è disdicevole. Si lascino queste usanze delle ciarle d'occasione alle popolane, alle operaie che non possono far visite e quindi recarsi quando lo desiderano a veder le amiche. Il ceder la destra, che era nel Medio Evo un dovere verso i nobili e dava spesso origine a grandi contese, come quella storica narrata dal Manzoni a proposito del padre Cristoforo, ora ha certamente meno importanza: però un uomo la cederà sempre alle signore ed ai bimbi, ed una signora giovine la cederà alle signore più attempate e perfino agli uomini vecchi; negli altri casi si mantiene il proprio diritto. Sulle scale la parte migliore è quella della ringhiera; se la scala è stretta bisogna fermarsi sopra un pianerottolo per dar il passo a chi sale o scende: fra signore si scambia un cenno del capo: l'uomo si Ieva il cappello; se per cortesia la persona che s'incontra ci offre di passare avanti, si accetta senza lunghe cerimonie, ringraziando. Un uomo, imbattendosi in una signora sulla porta d'un appartamento o d'una casa, tien quella porta aperta, finchè la signora è passata. L'uomo dà alla donna il braccio destro, in modo che essa si trovi alla destra del marciapiede e non possa venire urtata dalla gente. Incontrando degli amici con altre persone che non si conoscono, si salutano i primi, limitandosi ad un cenno del capo per gli sconosciuti, ed evitando di fissarli con curiosità. Se si conduce con sè un cane, bisogna far in modo che non disturbi alcuno; non incitarlo ad abbaiare e saltare addosso nemmeno per celia. Nei luoghi di pubblico passeggio, chi fosse seduto, deve, vedendo dei conoscenti e volendo trattenersi con essi, alzarsi e rimaner in piedi finchè dura la conversazione: se le persone incontrate sono note a tutti quelli della brigata seduta, si può invitarle a prender posto vicino agli altri; ma se non lo sono, è sconveniente esortarle a fermarsi senza sapere se aggrada a tutti, ed esse non devono accettare; se si crede di far cosa grata agli uni ed agli altri bisogna cominciar dal far una presentazione. Se una persona, che non desiderate aver accanto, vi si avvicina, alzatevi e rimanete in piedi finchè il vostro colloquio è finito: quella persona capirà da ciò quel che deve fare; sarebbe disdicevole seder in luogo pubblico vicino a chi non nostra gradire la nostra compagnia. Una signora inviterà liberamente le amiche a sederle accanto: ma non vi esorterà alla leggera nessun uomo, perchè tal fatto costituirebbe, da parte sua, un favore piuttosto spiccato, un desiderio di intrinsichezza. L'uomo essendo affatto libero dei suoi atti, se intende di sedere, ne chiederà licenza o si fermerà in piedi accanto alla signora; l'invito sarebbe dunque inutile se è già suo progetto rimanere, importuno se ha altri impegni. E dico importuno inquantochè l'uomo deve, anche se non gli sorride, accettare l'invito d'una signora. Del resto, in questi particolari, come in tutti gli altri, l'esperienza, il tatto, potranno essere d'aiuto e servire a distinguere il presuntuoso che potesse in una cortesia leggere un interesse speciale, dal giovine timido che, pur desiderandolo, non osasse accostarsi. Una signorina non si recherà mai a luoghi di passeggio troppo frequentati con la cameriera e nemmeno con l'istitutrice: se non ha i genitori, profitterà della scorta di qualche signora sua parente od amica, o di qualche zio o tutore. Quando v'ha mancanza di seggiole in qualche caffè o giardino, un uomo solo si alzerà per dar posto alle signore; ma se quell'uomo accompagna altre donne non cederà il suo posto, il che sarebbe un mettere in imbarazzo le signore che scorta a profitto di persone sconosciute. Un uomo non deve mai offrir seggiole o occuparsi di donne che abbiano già un accompagnatore: sarebbe importuno invece che cortese. Sedendo, bisogna evitare di dar le spalle a quelli che passano, per cui nei sedili posti lungo i viali si starà sempre voltati verso il viale stesso. Leggere o lavorare nei giardini pubblici non è molto conveniente: sembra un'affettazione. Chi accompagna dei ragazzi però, e quindi rimane in giardino per lunghe ore, può farlo, ma deve scegliere un sedile un po' appartato. A passeggio le signorine devono star accanto alla madre, e, se son due, camminare insieme davanti di essa: ma una signorina non deve mai passeggiar a fianco d'un giovine. Anche tra persone di famiglia bisogna, in istrada o nell' uscire, osservar certe norme. Per esempio, i bimbi passano sempre prima della madre e stanno davanti, dovendo ella sorvegliarli: ma codesta norma pei maschi cessa verso l'epoca della prima comunione, mentre per le femmine continua sino ai ventun anni e più. In carrozza, i ragazzi siedono dalla parte dei cavalli, così le signorine se c'è il babbo: ma quando si maritano il babbo cede loro il posto, a meno che non sia molto attempato o malaticcio. Il marito, recandosi a passeggio od a teatro, darà il braccio alla madre, alla suocera o ad altra signora attempata se ve n'è, e non alla moglie: ma lo darà alla moglie se vi sono soltanto delle parenti ancora nubili e se non c'è altro cavaliere. Una signorina non deve uscir col proprio fratello se non è ammogliato: potrà uscire con uno zio, con un cognato, mai con un cugino. I figli, fuori di casa come in casa,debbono sempre mostrare la maggior deferenza ai genitori, e farebbero pessima figura trascurandoli a vantaggio dei forestieri. Se mai s'avesse qualche notizia da comunicare o molte cose da dire è meglio far un tratto di via insieme. Una signora non si fermerà con un giovanotto se non le è parente o molto intimo, ed anche allora per poco; una signorina non si fermerà nemmeno con un parente e non si lascierà scortare da lui se è con la cameriera o l'istitutrice: nemmeno lo sposo può aver codesto diritto. In istrada, pei ragazzi, la creanza esige che siano raccolti, ubbidienti; pei signori che non sieno... come dirò? troppo garbati, cioè che non si voltino a piantar gli occhi in faccia a tutte le donnine, che non facciano osservazioni ad alta voce, che non si diano a seguir una signora, passandole e ripassandole davanti ed impuntandosi a starle vicino e ciò nè di giorno nè di sera: perchè a volta una signora per bene può esser costretta ad uscir sola a tarda sera e l'uomo creanzato non le deve dar molestia - zuffolare, canticchiare, far il mulinello col bastone, formar una lunga fila che tien tutto il marciapiede, spinger la gente e per troppa fretta proseguir la propria via sui calli del prossimo, non ceder la dritta, sono altrettanti crimini contro la creanza. Noterò che la signora interpellata in istrada da uno di quei galanti, non deve mai rispondere, nemmeno per respingerlo. In carrozza una signora non deve troppo atteggiarsi sì da tradir vanità: è anche scortese fermarsi con lo sportello già aperto, a dar ordini al servitore od al cocchiere così che la gente non possa passare. Non dirò neppure che il chiamarsi da un marciapiede all'altro, l'impegnar un diverbio in istrada, il segnar la gente a dito son cose viete, perchè lo sanno quasi i bimbi in fascia. Fissar le persone e poi parlarsi all'orecchio e ridere in modo da far capire che si sta canzonando qualcuno, rientra nella stessa categoria, ma lo accenno perchè l'ho veduto a fare a molte signorine che, non sapendo o non curando le leggi di cortesia, credono in tal modo di mostrar dell'arguzia - nel qual caso chi sarebbe più arguto che i monelli o le fruttivendole del mercato che schiamazzano come i passerotti quando vedono della gente civilmente vestita?

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Collocherò qui questo capitolo tanto importante nelle relazioni sociali, poichè i conoscenti che non hanno l'agio di studiarci a lungo, ci giudicano, non da quello che facciamo, ma da quello che diciamo. L'arte di esser amabili e graditi nel conversare è quella che giova maggiormente in società e nella vita. Molte persone, prive d'ogni talento sociale, debbono la simpatia di cui sono circondate a quella dote che ha per base il tatto, la delicatezza, la bontà. Un uomo d'ingegno, richiesto di quel che ci volesse per riuscir bene nella conversazione, sapete che cosa rispose? Saper ascoltare. E ciò è tanto vero che la massima parte delle donne di cui la memoria resta cinta da un fascino speciale di grazia femminile, sono quelle che sapevano ascoltare, cioè madama Recamier, l'amica di Constant, di Ballanche, di Chateaubriand; la Bettina di Goëthe, la Rahel, che a trentasei anni, brutta, innamorava di sè il giovine Varnhagen von Ense, e madama d'Houdetot, celebrata da Rousseau, madama d'Epinay, celebrata da Grimm, e la donna gentile del Foscolo, e la contessa d'Albany, celebrata da Alfieri. Saper ascoltare non vuol dire tacer sempre,ma star attenti a ciò che dice altrui, risponder a proposito, interrogar con arte, sì da mostrar interesse nel discorso e da spinger chi parla a sviluppare i suoi concetti; per ottenere questo risultato, bisogna sagrificar la vanità e l'egoismo, le due passioni dominanti dell'uomo in società, nonchcè le piccole manìe che ne derivano. Siamo tutti più o meno maniaci, cioè decisi a mostrarci in una certa luce, ad ostentare delle qualità e dei difetti che non abbiamo, a rivelar una certa superiorità che gli uni fanno consistere nella bellezza, altri nel denaro, altri ancora nel lusso, nello spirito, nella salute, e perfino, che so io? non ridete! nella malattia. Per esser aggradevoli a chi si trova con noi, dobbiamo parlar poco o punto di noi stessi, molto di lui e delle cose che gli piacciono. Ho letto non so dove, credo in un libro di madama di Genlis, che per rendersi graditi, bisogna sempre parlar all'interlocutore della sua professione, al medico di malati, all'architetto di case, ecc., ecc. Secondo me, questa norma va modificata. Vi sono delle professioni che danno diletto e che soddisfano; vi sono di quelle che stancano e da cui si desidera sollevare lo spirito: così quella del medico, dell'avvocato, del professore; oltrecchè l'interrogarli troppo, sembra che parta dall'intenzione di prender un consulto od una lezione gratis, e ricorda quel tale che parlando sempre al bagno, in mezzo alle ondate, della sua causa - seguendo il proprio avvocato a nuoto come un pesce cane - si vide ad arrivare nella specifica la lista dei consulti in mare. Invece, trattandosi di artisti, antanti, letterati, scrittori, anche di architetti, credo che possa esser per loro un piacere conversare della loro arte - poichè la professione spesso è scelta per necessità; l'arte quasi sempre è scelta per preferenza. Naturalmente la conversazione fra diversi indirizzi, secondo l'occasione ed il luogo. Nelle visite d'etichetta, per esempio, la conversazione sarà diretta dalla padrona di casa, perchè non si sminuzzi in tanti colloquii a mezza voce. A torto la signora Emmelina Raymond, rispondendo ad un'inesperta che le chiedeva di che cosa si dovesse parlare, la mise in burla col dire che non si poteva dar dello spirito e del tatto a chi non ne aveva; credo che una guida si possa fornire alla padrona di casa col consigliarle ad introdurre uno dopo l'altro gli argomenti così detti di attualità, le notizie del giorno, le novità letterarie, artistiche, a far insomma una specie di corriere a voce dando così occasione a tutti di dire il loro parere e di collocare la loro frase. Ciò che va escluso è la politica, soggetto estraneo alle signore, per cui le quistioni sociali non devono assumere che un carattere filantropico, soggetto spinoso che può dar luogo ad osservazioni agro-dolci ed a rancori. Quel corriere poi sarà interrotto mano mano dai saluti ai nuovi arrivati, dalle domande sulla loro famiglia Mi si osserverà che si faranno delle ripetizioni: poco male, stante che le visite, succedendosi rapidamente, non si potrà ripeter più di due volte la stessa cosa, e sarà sempre meno peggio udir a parlare di un libro o di un'opera che ascoltar la ripetizione di una storia di reumatismi o di servitù. Così si eviteranno pel pari le personalità; vulgo, maldicenze. Non è di buon genere parlar delle toelette delle visitatrici, lodando l'una, tacendo dell'altra, il che implica, che è o vien trovata brutta - così pure non si deve vantare lo sfarzo d'un altro salotto, poichè se quello in cui si è al momento non è elegante, la padrona di casa trova in quelle lodi un raffronto che l'umilia; se è elegante, è offesa che si sembri non accorgersene. Se la padrona di casa richiama la vostra attenzione sul suo salotto, dovete invece lodarlo. Se vi sono ragazze, bisogna evitar ogni argomento scabroso, ogni aneddoto di cronaca galante. Come non si osservano i vestiti, così non si osserverà la cera della persona che si visita, o delle altre signore. Qui bisogna notare una differenza: è doveroso chieder conto ad ognuno della sua salute, ma disdicevole esclamare: Oh! come siete pallida! come siete gialla! Che avete? Queste osservazioni fanno doppio danno, e perchè ledono la vanità, e perchè in certi timorosi suscitan la paura d'aver un male segreto e pericoloso. Si eviterà anche ogni discorso che paia allusivo, ogni proverbio di quelli volgari che possa riferirsi a qualcuno dei presenti, ogni espressione triviale. Non si parlerà di fallimenti, di fughe, di suicidi, se si ha vicino chi abbia avuto in famiglia delle disgrazie consimili; non si dirà: usuraio come un ebreo, ladro come un greco, bestemmiatore come un livornese, ecc., ecc. Si dirà israelita e non ebreo o giudeo; si dirà tedesco e non, per celia volgare, patatucco; si dirà mia moglie, mio marito o il cognome del marito; mai il nome, con gente non intima, nè la professione. Il mio avvocato, il mio Paolo, il signor Tizio, il mio sposo, sono altrettanti termini vieti. Così pure si dirà: le mie figlie, non le mie signorine; la mia cuoca, cameriera, e non la mia donna. ln francese chi dicesse: mon époux, mon épouse, ma demoiselle, si farebbe burlare; si dice: ma femme, mon mari, ma fille, quel marito fosse duca e quella figlia principessa. Non si deve nè alzar troppo la voce, nè abituarsi, per affettazione, a parlar tanto piano da far fare la figura di sordi a tutti gli interlocutori; meno di tutto poi sarà lecito in compagnia chinarsi all'orecchio del vicino e susurrargli delle osservazioni. Se qualcuno pronunzia una parola sbagliata, o fa uno sfarfallone, non bisogna correggerlo, e ripetendo la parola giusta, non si deve metterci affettazione. In visita od a veglia non si debbono sgridare i ragazzi degli altri, il che potrebbe dar luogo a scene spiacevoli, e, seppur è lecito, a volte, far loro qualche osservazioncella, non bisogna valersi molto di questo diritto. È certo mai vezzo il vantarsi e molti I'hanno; molti a udirli, non sanno che cosa sia mal di capo e si creano un vanto della loro pretesa salute; altri danno a credere di aver il monopolio della buona ventura; il loro appartamento è comodissimo (benchè non paia); la loro servitù zelantissima; la loro sarta un Worth in gonnella e discreta; prezzi ridicoli, e così via. Ebbene convien ascoltarli con flemma; non cercar di metterli in contraddizione con se stessi. Sono un po' vanitosi, un po' presuntuosi, pazienza! Ma il rilevare quei difetti ve li renderebbe nemici, e, seppur moralmente giusto, sarebbe da condannarsi, se si tien conto della speciale indulgenza che ci vuole in società. Non si parli mai di anni; è un capitolo ingrato. Non si dica ad una signora come complimento: Oh! Ella si conserva bene... Si evitino i racconti lunghi ed imbrogliati e le troppe freddure. Coloro che si trasformano in sfingi ed hanno sempre un rebus, una sciarada, un enimma da proporre, finiscono con lo stuccare tutti quanti. Il ripetere poi tre, quattro volte gli stessi frizzi, esigendo sempre un tributo d'ilarità, è cosa insopportabile. Non si facciano mai apprezzamenti e domande alla leggera, cioè non si dica ad uno sconosciuto: Oh! come è brutta quella signora! per non sentirsi a rispondere freddamente: È mia moglie! Non si domandi con garbato sorrisetto ad un signore attempato se quella bella signora è sua figlia, poichè, se fosse sua moglie, gli si sarebbe fatto un brutto complimento. I complimenti stessi sono difficili e spesso si risolvono in un equivoco per cui si dice il contrario di quel che si intendeva dire, e si fa ridere tutti; è meglio quindi limitarsi alla cortesia pura e semplice. Bruttissimo poi è il tono di continuo motteggio con cui taluni si rendono invisi credendo far prova di spirito; perfino quando si ascolta un racconto poco verosimile, è di buon gusto non rilevarne l'assurdità, non erigersi a correttori, non rispondere con una satira, fosse anche legittima. Non è che nel caso in cui si sia stati offesi, che invece di dar in escandescenze, è veramente prova di educazione il replicare con un motto un po' pungente, ma proferito con la massima calma e garbatezza, perchè l'arrabbiarsi, se è molto naturale e talvolta giusto, viceversa non è mai compatibile col galateo: rende ridicoli e ci fa dar torto anche quando abbiamo ragione. E ciò è naturale; i convegni di società si fanno allo scopo di passar aggradevolmente il tempo; chi disturba, è condannato se anche avesse ragione, perchè manca allo scopo dell'adunanza. I giovani non devono mai assumere tuono cattedratico nè parlar alla leggera; i vecchi fanno bene ad astenersi Galateo della Borghesia. - 5. dai consigli e dalla critica continua e generale. I ragazzi non devono interrompere nè se i genitori raccontano alcunchè, venir fuori con una versione diversa, che mette tutti nell'impaccio. I... Ma credo che mi convien smettere, altrimenti arriverei alle cento pagine a furia di non si deve...

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Mi valgo qui, lo so, di una parola che a Fanfani non andava a genio. Ma chiamar genericamente feste tutte le riunioni di sera non mi parrebbe adatto, balli men che meno; e quindi profitto del nome di veglia, benchè gli manchi il passaporto del Lessico. Le veglie si suddividono in due categorie, divise poi in molte specie; le veglie intime, le veglie di gala. Le prime possono esser quotidiane, settimanali, o ripetersi a più lungo intervallo, per la durata del carnevale o di tutto l'inverno. Per lo più, comprendono come trattenimento, la musica, il giuoco, i jeux innocents. Le seconde sono più variate riguardo al luogo ed al tempo; comprendono i cosidetti the, i concerti, i balli, le sciarade in azione, le recite di dilettanti. Le veglie intime, in Francia si chiamano huitaine o quinzaine, dal loro periodo. Colà è costume invitarvi tutti quelli con cui s'ha visita. Reputano una mancanza di cortesia le esclusioni. Da noi invece, debbo convenire che gli inviti si limitano, e spesso (quasi troppo spesso), non si tien conto del grado d'intimità, ma si bada a scegliere le persone che paion più adatte a figurar in un salotto. Va bene? Va male? A me non par bene, perchè vi scorgo la traccia della smania dell'epoca nostra, la smania cioè dell'orpello, l'idea di annettere della pretesa a qualunque trattenimento; ma siccome molti obbiettano la piccola dimensione delle sale moderne, lasciamola lì. Che sia molto cortese non invitare la vicina che è poco elegante, per supplicare invece un'estranea di onorarvi, non lo posso ammettere però, e consiglio chi desidera aver fama di persona veramente educata a non escludere alcuno per motivi gretti. L'invito a quelle veglie si fa una volta per sempre, in principio; se si fosse obbligati per indisposizione o viaggio a non ricevere, si avvertono indistintamente tutti gli invitati: si deve rinunziare ad accettare inviti per la sera in cui s'è fissato di rimanere in casa. L'invitato verrà almeno due volte (perchè il non tornar più dopo la prima sarebbe indizio d'essersi annoiato), ma non tutte le volte, a meno d'esser molto intimo. Verrà ad ora ragionevole, verso le nove, e non si tratterrà oltre le undici e mezza, se non vi è specialmente esortato. Il vestire sarà accurato, ma semplice, od almeno conforme a quello delle altre signore. La casa sarà ben rigovernata, e le persone di servizio, come la padrona di casa, si troveranno pronte a ricevere per le otto. In anticamera starà una cameriera per aiutare le signore a togliersi il mantello, e se c'è molta gente (anche intima) sarà ottima misura il preparare, come nei teatri, dei cartoncini con suvvi un numero, di cui l'uno si affigge al mantello, l'altro vien consegnato al proprietario. Se non vengono che cinque o sei persone, s'intende che tale precauzione sembrerebbe ridicola. L'invitato (che la persona di servizio annunzia) va a salutare la padrona di casa: poi siede dove gli pare, se può, vicino a conoscenti. Nella disposizione delle stanze ci vuol una certa sapienza: cioè, se non s'hanno molte sale, bisogna valersi della sala da pranzo e dello studio del marito, perchè vi sia un posto pei babbi che vogliono giuocare (e naturalmente si preparano scacchiere, domino, mazzi di carte), un altro pei giovani che vogliano ciarlare e fumare. Il the (che vien servito alle dieci, undici o dodici, secondo la durata del trattenimento) si può offrire in parecchi modi; uno (il più semplice ma pessimo) consiste nel prepararlo in cucina e recar dentro le tazze con latte e zuccaro: per lo più il the fatto così arriva in sala tepido o freddo e non si indovina il gusto di chi lo deve bere, sicchè all'uno sembra amaro, all'altro miele. Il secondo modo (migliore) si è di portar le chicchere su quei certi tavolini che si scompongono sicchè da due ne risulta una dozzina, poi di far offrire dal servitore o dalla cameriera con l'aiuto della signorina di casa e delle sue amiche, il latte, lo zuccaro, i dolci (pic-nic, sandwichs, torte, quel che si vuole). Il terzo metodo è di passar in sala da pranzo dove si son disposte delle alzate con vari generi di dolci e preparato, per ogni ospite, piatto, coltello, forchetta, ecc. La tovaglia, che una volta pel the si usava di colore, ora si preferisce bianca; però è lecito mettere una specie di tovaglia-tappeto di tela greggia ricamata a colori. Il the va fatto sulla tavola stessa, dalla padrona di casa o dalla signorina, col sistema inglese. Ecco questo sistema: l'acqua che bolle in ampio recipiente detto anche samovar si versa nel bricco del the (già riscaldato) in piccolissima dose, sì da inumidire e distendere le fogliuzze secche del the, poi, buttata via quella prima acqua, se ne aggiunge quella quantità che si crede, tenendo conto che ci vuole un cucchiaino di the per chicchera, la si lascia riposare per tre o quattro minuti, indi si serve. L'acqua deve essere veramente a bollore. Si può rimetterla una seconda volta sullo stesso the. Al the si aggiunge della crema, del rhum e del Marsala. Offrendo il the in salotto si comincia a servir le signore, in ragione d'età, poi i babbi e infine vengono le signorine ed i giovanotti. Se però è una festa di bimbi si può cominciar da quelli. Se manca il posto a tavola, gli ospiti vi siederanno successivamente e nello stesso ordine. Nelle veglie in cui non si fa altro che ciarlare, la regola è semplice; l'ho già detta: saper ascoltare. Dove si giuoca conviene saper perdere con fronte serena. Nulla invero cambia il carattere come le carte: molte persone amabilissime si fanno stizzose, bisbetiche davanti al tappeto verde: brontolano, si arrabbiano, incolpano il loro socio,oppure hanno delle ubbie speciali: credono che il vicino di destra abbia il cattivo occhio, che la loro seggiola rechi la mala ventura; vogliono cambiarla; levano di tasca il fazzoletto, il borsellino, insomma si agitano in modo da far ridere ed arrabbiare il prossimo. Il galateo se ne lagna, ma i giocatori asseriscono che son cose lecite. Lascio ad altri il giudizio, ricordando però che legge d'ogni ritrovo è il non importunare, il dar diletto e non noia. Dove si giuoca ai giuochi innocenti bisogna aver un certo tatto nel proporli e molta rassegnazione nell'accettarli. Il protestare, il fare il broncio se non si riesce ad indovinare una parola a doppio senso, se si è acchiappati nel giuocare a gatta cieca, è ridicolo. Il giuoco non va mai preso sul serio e chi perde deve essere il primo a ridere. Così nelle penitenze, consiglio a quelli che vengono messi in berlina di non irritarsi delle verità un po' dure che forse dovranno ascoltare ed a chi li mette di non dire troppe verità: una sciocchezza, una celia qualunque sarà sempre preferibile ad un'osservazione giusta che faccia nascere dispettucci e rancori. Se si suona, consiglio di fare una specie di programma, preparando e concertando prima le suonate, per evitare che ci sia un silenzio assoluto od una tal profusione di musica da impedire ogni scambio di ciarle. È un'ottima cosa inoltre avere un maestro che accompagni e diriga per evitare che chi canta resti impacciato per mancanza d'accompagnatore. Il pianoforte deve esser accordato ogni qualvolta sembra che abbia sofferto. I dilettanti badino a scegliere cose brevi e ricordino che una suonatina od una romanza bene eseguite soddisfano più che un'interminabile suonata, in cui il pianista sembra un acrobata che tenta periglioso esercizio e suda e trema, mentre i suoi lo seguono con sguardo inquieto, impallidendo al passo di bravura che sanno essere uno scoglio. In generale il concerto si apre con qualche sinfonia a quattro mani, poi suona la signorina o la padrona di casa: il canto va alternato col pianoforte ed i dilettanti più bravi devono prodursi gli ultimi. Vedo in un galateo francese che la padrona non deve prodursi; questa è una norma esagerata. Canti e suoni pure, ma con discrezione. Se anche il dilettante suona male va applaudito. È scortese ciarlare, in ispecie ad alta voce, quando qualcuno suona; certi si scusano col dire che ora nelle veglie si fa troppa musica; non hanno torto, forse, e consiglio di lasciar sempre un intervallo tra una suonata e l'altra; però quelli che non amano la musica e ripeterebbero volentieri con Fontenelle: Sonate, que me veux-tu? devono sopportarla in pace e non rendersi colpevoli d'increanza col non prestar attenzione a chi suona. Narrasi che un giorno Listz, suonando a Corte, l'imperatore iniziò un colloquio con un ciambellano. Subito Listz s'interrompe. Gran commozione. - Che è stato, signor abate? E lui, di rimando: Quando l'imperatore parla tutti non debbono tacere? Un artista al quale i suoi impegni col teatro vietano di farsi udire, non va importunato perchè canti: un artista invece, che sa d'esser invitato pel desiderio di esser udito, fa cosa scortese, rifiutando di prodursi o rispondendo come quel tale a cui si diceva: Venga a prender il the con noi e si porti il violino.... Il mio violino non prende the! La padrona di casa in una veglia a casa propria ha molto da fare.Le tocca ricever tutti, collocarli vicino a gente che conoscono od incaricarsi delle presentazioni. Se vede un'abbandonata, andarle vicino, trovarle compagnia; esortar i timidi a prodursi, ringraziar (con fuoco, sì! con fuoco!) chi ha cantato, se anche ha stonato moltissimo. Non deve far differenze fra gli ospiti, lasciar in disparte le persone meno altolocate e profondersi in troppi complimenti con gli altri. Tocca a lei, badare che la tal signora attempatella non sia esposta ad un riscontro, che tutti sieno serviti di the e di dolci: non può mai, insomma, pensar a se stessa, dimenticarsi in una conversazione gradita, trascurare i suoi doveri. L'ospite ha il diritto di pretendere che lo si diverta, o per lo meno che lo si tratti col massimo riguardo. La signorina di casa deve tener presente anche lei questa norma e non rifugiarsi fra le compagne a ridere e celiare, rifiutando di parlar alle matrone, alle vecchie, come forse ella chiama col superbo disdegno dei suoi diciotto anni le signore di trenta e quaranta. Deve ricordar che il suo compito è di aiutar in tutto la madre. È una cosa sbagliata da parte di chi riceve voler metter troppo in evidenza i proprii figli: capisco che una madre goda della abilità della sua ragazza e voglia farla figurare: ma il parlare troppo dei suoi meriti ha del ciarlatanesco e spiace. - Come sta bene quel vestito a Clotilde, dice una amica. - Ti pare? l'ha fatto lei! - Suona benino davvero. - Altro! E come canta! E come ricama! Questo cuscino l'ha fatto lei... E quel quadretto lì. Tutto lei! Sarà vero: ma quella messa in scena non garba. Lodarsi da sè è cosa che generalmente leva agli altri la voglia di lodare. Inquanto agli ospiti è loro dovere non mostrare mai l'uggia seppur la risentano; non permettersi mai di criticare, nè i padroni di casa, nè gli altri invitati; non voler ecclissare per lusso gli intimi e i padroni stessi. A questo proposito noto che è bene accennare sempre, nell'invito, il genere e l'importanza della veglia, per risparmiare alle signore l'ingrata sorpresa di arrivar scollacciate con fiori in testa ad un'adunanza di matrone che fanno la calza o vestite di casa ad un concerto fra strascichi di velluto e di damasco. È brutto il vezzo di certe signore, le quali, interrogate dalle amiche sulla toletta che si conviene fare per recarsi in una data casa, rispondono vagamente, e danno da supporre che non si metteranno in lusso, mentre poi appaiono in gala. Torniamo ai doveri degli ospiti: le signorine devono esser riserbate. L'uso di certune di mettersi tutte in una specie di brigata, uso invalso da poco, non mi sembra molto consentaneo alle leggi di cortesia - quello squadrone giovanile, in virtù del viribus unitis, va, viene, schiamazza, si permette molte licenze, concentra in sè tutta l'allegria della festa, lasciando babbi e mamme a sbadigliare: capisco che alle ragazze piaccia stare insieme, ma ci vuol misura. Le signore giovani e belline debbon resistere alla smania di sequestrare i signori, smania che partendo da un pochino di vanità, dalla speranza d'esser detta la più corteggiata, molte volte finisce col cagionar dei guai ed esser fonte di maldicenze, discordie e dispiaceri. Non si condurrà mai a veglia, nemmeno da intimi, un'amica od ospite senza averne chiesto licenza ai padroni di casa. So d'una signora la quale, avendo trascurata questa formalità, vide la ragazza, da lei presentata, accolta in tal modo da rimanerne altamente confusa. Quella ragazza era di tempra molto delicata e suscettibile: quando capì d'aver fatto una sconvenienza e si vide umiliata dalla glaciale freddezza della padrona di casa, volle andarsene ed appena fuori ebbe un assalto di dolore così terribile da far temere per la sua ragione. Quella padrona di casa aveva torto rispetto alla cortesia umanitaria, ma rispetto alle abitudini era nel suo diritto. S'intende che trattandosi di parenti, questa norma non regge: in villa poi è sempre lecito condur seco i proprii ospiti. Riguardo alla partenza, è poco gentile darne il segnale troppo presto, sì da provocar lo scioglimento della brigata - scortesissimo andarsene appena preso il the, quasi non si fosse venuti che allo scopo di rimpinzarsi - mal fatto anche il non andarsene quando il massimo numero degli ospiti è partito, tanto più se è necessario che tutti quelli che scendono siano accompagnati per le scale dalla servitù di casa, sicchè questa abbia a scendere e salire venti volte. Una signorina non va mai a veglia senza l'uno dei genitori: nel caso che nessuno dei due potessero accompagnarla deve essere specialmente affidata ad una signora, disposta a fare da chaperon. Però è meglio rinunzi ai divertimenti piuttostochè mostrarsi sempre con altri. Una signora, di cui il marito è assente e che non ha padre, zio, fratello o cognato che lo surroghi (i cugini non valgono), dovrà astenersi dalla società: però può recarsi a certe veglie con un'amica ed il marito di lei ed anche - tengo ciò da una distinta signora parigina - anche presentarsi sola, venendo molto presto, così da essere già in salotto al giunger degli altri ospiti. Una zitellona può condursi come una signora; sarà meglio però che sia sempre con qualche amica maritata. Madre e figlia, che non abbiano in famiglia nessun uomo, possono recarsi insieme alle veglie. Darò altri ragguagli nel capitolo che tratterà vari tipi della società e dei rapporti speciali fra indvidui. Un'ultima parola. I giovanotti non faccian nè gli uomini serii nè i Don Giovanni, suscitando gelosia e forse dispiaceri alle persone che corteggiano con ostentazione. Gli uomini serii siano meno serii che possibile, i babbi si mostrino pazienti e clementi, non tengano sospesa sul capo delle loro donne la minaccia della partenza, come nuova spada di Damocle, le mamme procurino di tener gli occhi ben aperti e di adattarsi presto a far i fiori di spalliera: non piglino per buona moneta certi inviti, certi complimenti con cui si vuol indurle a ballare; però se mai la passione del ballo le domina, ballino qualche polka in piccola brigata non in una gran festa. Ballare e custodire una signorina son cose che non vanno d'accordo.

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Le norme per le veglie di gala son quasi uguali a quelle delle veglie intime. Non c'è che la differenza delle sale che devono esser ampie e numerose (almeno due), col gabinetto da fumare, il bigliardo, ecc., delle tolette che saranno sfarzose, del the che verrà servito con lusso di porcellane ed argenterie, da servitori in guanti bianchi, offrendo prima sorbetti ed altre bibite. Inoltre il padrone di casa dovrà star pronto a dar il braccio alle signore, e, servito il the, ogni signora sarà accompagnata in sala da pranzo da un cavaliere; finalmente, per la musica non basteranno i dilettanti e ci vorrà qualche artista. Il numero degli ospiti rendendo le presentazioni generali una cosa impossibile, tocca alla padrona di casa provvedere che chi, per quanto ella sa, non ha conoscenti, venga messo in rapporto con qualcuno. Di solito ad una veglia di gala si vien verso le dieci; però vi son eccezioni accennate dal desiderio dei padroni di casa. Venir troppo tardi è mancanza peggiore che venir troppo presto. Gli inviti che per la veglia intima si fanno a voce una volta per sempre, si fanno invece per iscritto od in istampa, secondo la formola francese, ma senza il monsieur et madame, cioè: «Aristide e Celestina Marli pregano il signor ecc. di passar con loro la sera del 3 febbraio. Si ballerà ». Oppure: invitano il signor ecc. a prender il the con loro... oppure... ad assistere al ballo che daranno il ecc. ecc. Quell'invito, chiuso in una busta, vien mandato per mezzo dei servi, non mai messo alla posta. Si spedirà almeno otto giorni prima. Non occorre rispondervi; però, anche non accettando, si va a far una visita di ringraziamento.

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Nei concerti diurni sola regola è non entrare durante l'esecuzione delle suonate, non girar troppo in cerca di posti buoni, giacchè così si disturbano gli uditori seduti, non ciarlare, non dir forte il proprio parere quando è contrario a quello della maggioranza, e molto meno discuter con veemenza per sostener la propria opinione. In fatto di musica i gusti non sono soggetti a nessuna legge: ai negri piace il tam-tam, ed a molti bianchi il flauto; c'è chi sbadigliando vi giura che ricava gran diletto dalla musica dell'avvenire, e chi non vuol saperne che della Traviata e delle cavatine: ognuno ascolti ciò che gli garba, e tutti pari. Nell'uscire dalle sale di concerto come dal teatro ci vuol pazienza e garbo:non bisogna spinger alcuno, nè lavorar coi gomiti. Vi sono di quelli a cui la folla mette sgomento, che si dimenano per uscirne e pestano calli, sfondano costole alla disperata. Prego costoro di uscir prima che lo spettacolo sia terminato, o di aspettare che sia sfilata la gente, per non renderla vittima del loro speciale nervosismo.

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Per scrivere degnamente un simile capitolo bisognerebbe ispirarsi a Brillat-Savarin, che dettava la fisiologia del gusto, mettendo nella scienza culinare tanto brio, erudizione e grazia da far del suo lavoro un'opera letteraria. Ma io non mi arrischierò a scendere ai particolari del pranzo: mi limiterò ad indicare le norme che si seguono per servirlo, tanto quando si hanno ospiti di riguardo, che quando s'è soli o con intimi. È positivo però che un buon pranzo, checchè ne dicano le donne romantiche, cui par cosa bassa occuparsi del cibo - un buon pranzo, ben servito, ha il suo merito, e che senza esser voraci o ghiottoni, saper assaporare un manicaretto è anch'essa una buona qualità. I commensali che rimangono mesti e tetri fan pensar al convito di Domiziano, e corrispondono male alla cortesia usata nell'invitarli. Un certo tale, che faceva l'uomo serio, avendo detto con prosopopea ad un amico: per me tutti i cibi sono uguali! - Ebbene, caro mio, rispose l'amico, un parigino, in questo caso avete la bouche bête, ecco tutto! Però anche nei pranzi s'è introdotta ora qualche miglioria; per esempio, ci sono meno piatti, ma più fini: non si mette più l'ospite a rischio di morir lì per lì di sazietà, non si emulano i pranzi antichi che duravano due giorni, con dei pasticci monstre per ornamento, da cui scaturivano delle nidiate di uccelli, oppur balzava, come da una boîte à surprise, il nano di corte; ma si offre un pranzo sapiente, che non può nuocer alla salute e giova al buon umore, esilara gli spiriti preoccupati. L'essenziale poi si è che sia servito bene:l'occhio vuol la sua parte. Abbiate quindi per norma, care signore, di occuparvi dei particolari, d'esigere un po' d'accuratezza; di valervi, anche in famiglia, di piatti uguali, non incrinati, non rotti, di metter sempre due bicchieri, uno per l'acqua, uno pel vino (a calice), un vaso con fiori, o una pianta verde nel mezzo della tavola, di non far economia sul bucato. I porta-bicchieri, porta-bottiglie, sono banditi: secondo me, a torto. Preferirei vederli su una tovaglia bianca che notarne l'assenza sopra una tovaglia tramutata in carta geografica. Taluni si valgono di tela cerata, specialmente in Francia: scelgono tele bianche a disegno che imiti il damasco: è economico, ma poco bello. Il vino comune si mette in boccie bianche; guardatevi bene però, care signore, di far questo travaso con dei vini fini. Il Bordeaux, il Reno, vanno lasciati nella bottiglia genuina, e più quella bottiglia sarà impolverata e coperta di ragnatele, più ornerà la tavola. Vi sono posate speciali di legno con manico d'avorio o d'argento per l'insalata, e piatti adatti per carni e frutta: nessuno mai si alzi da tavola e non si facciano servir i cibi alla rinfusa. Mangiare adagio è igienico, favorisce la digestione: d'altronde a tavola non s'invecchia, come dice il proverbio. Una cosa venga dopo l'altra, e prima di portarla si mutino i piatti, risciacquando coltelli e forchette in apposito bacile pieno di acqua bollente che si terrà accanto alla sala da pranzo. Insegnate voi stesse, care signore, alla cuoca il modo d'assettare la roba con cura e presentarla: il pollo recato intero può venir scalcato in tavola quando si è soli, su tavola attigua quando c'è gente; ma anche fra intimi è cessato l'uso che il padrone o la padrona di casa mandino essi le porzioni agli ospiti. Me ne dolgo..... per me che non so scalcare, ma me ne congratulo per loro. Queste norme valgono anche pei desinari fra intimi. Una cosa che raccomando specialmente poi a chi non ha cuoco veramente bravo, si è di rivolgersi al salumaio, che potrà fornirlo di antipasti, pesci, vol-au-vent; al pasticciere, che gli darà gelati e torte; ma di non arrischiare, sulla fede di un libro da cucina, degli esperimenti di piatti nuovi e complicati, esperimenti che spesso offrono, per premio di molta spesa e fatica, un croccante nero e rovinoso come un castello smantellato od un budino ridotto in purée. In generale, trattandosi di amici, bisogna consultare più il loro gusto che la consuetudine od il desiderio di grandeggiare. La padrona di casa non annunzierà con pretesa modestia che dà un desinare cattivo, nè, al comparir d'un cibo, esorterà gli ospiti a mangiare, osservando che è buono, che l'ha fatto lei: molto meno poi metterà ella stessa una catasta di cibo sul loro piatto, ponendoli nell' alternativa di mostrarsi scortesi o di finire d'indigestione. Gli ospiti non faranno complimenti: mangieranno a seconda del loro appetito, senza parlar dei cibi altro che per dire qualche: squisito! ben riuscito davvero! Nulla più. Le buone massaie, se ve n'ha fra i convitati, non dicano che a casa loro fanno lo stufato od il risotto secondo altra ricetta (il che implica biasimo). In una parola, non si faccia nulla che accenni lo scopo del pranzo essere la soddisfazione della gola, più che il piacere di star in compagnia. Nemmeno fra intimi è lecito mangiar senza pulizia, esaminar i cibi con far sospettoso che evoca visioni importune di mosche fritte e di capelli in salsa, e la facezia di quel tale che al caffè gridava al tavoleggiante: « Cameriere, la mia frittata ha troppa parrucca: voglio una frittata calva », se avrà esilarato gli ospiti, non avrà però favorito il loro appetito. Nè padroni, nè ospiti parlano con chi serve in tavola, ed i ragazzi devono imitarli, limitandosi a chieder sottovoce e con garbo quel che potessero essersi dimenticati d'offrire. Se c'è un piatto mal riuscito, la padrona di casa non deve nè dare in esclamazioni, nè istituire un'istruttoria. « Come mai? o che cos'ha fatto la cuoca? Che grulla, ecc. ». Taccia o si contenti di sopprimere quel cibo, ordinando subito, sottovoce, di supplirvi, se possibile, con l'aggiunta di qualcos'altro, uno zabaione, una torta, un salume, ecc. Una padrona di casa non si alza mai da tavola: deve aver dato i suoi ordini prima e rammentarli al servitore, a bassa voce, aver preparati dolci e vini, e farebbe ridere se le toccasse cercare le chiavi della dispensa e tirar fuori le provviste quando gli ospiti siedono già a mensa. Come pei pranzi d'invito, così pei pranzi tra intimi, si arriverà sempre dieci minuti prima dell'ora fissata; si può anticipar anche di mezz'ora ma non più, perchè non sarebbe aggradevole per la padrona di casa, la quale ha sempre molte disposizioni da dare se non possiede cuoco o maggiordomo. A tavola la conversazione può esser animata, ma di un genere speciale, cioè a frasi corte, spezzate, un po' facete:nessuno deve impancarsi a far lunghi racconti i quali, sempre interrotti dalle esigenze dell'occasione, finiscono col costituir un giuoco di spropositi, come questo racconto da me udito: Eravamo sulla costa affamati... - Vuol un po' di pesce? - Nudi... - In verità, basta così! - Assetati... Questo Chianti è squisito, ecc. Alle frutta, lo credereste? Quei naufraghi non erano ancor riusciti a sfamarsi, nè a dissetarsi! Vanno evitate anche le discussioni politiche e letterarie che minaccino di diventar agre ed indigeste e che mettono una tal confusione che il piatto respinto o trattenuto dai peroratori va e viene senza che alcuno si sbrighi. A tavola bisogna, in fatto di dialoghi, ispirarsi all' esempio del Taddeo e della Veneranda di Giusti. Arrivar tardi è insopportabile. Metter gli ospiti nel dubbio di non essere stati intesi; la padrona di casa vede compromessi i suoi trionfi culinari e sprecate le sue fatiche. S'impegnano delle gravi discussioni col marito, se è l'invitante: Ti sei spiegato bene? Hai parlato chiaro? - Chiarissimo. Ho detto martedì! - Martedì? Somiglia a mercoledì: se avessero inteso mercoledì e capitasssero domani?... E si va e si viene dalla cucina, dove il riso diventa lungo come riso cotto alla viennese, ed il tacchino diventa carbone, sino alla finestra, dove c'è in vedetta uno dei ragazzi, a cui si domanda tratto tratto, come la moglie di Barbe-bleue chiedeva alla sorella: - soeur Anne, ne vois-tu rien venir? - Spuntano? ci sono? conchiudendo: Non inviteremo più gente così... Non dico il vocabolo, lo s'indovina. Ecco le norme generali per pranzi di famiglia. Vi sono poi delle norme sul modo di contenersi a tavola e di mangiare, le quali valgono e per se stessi e per ospiti amici e, naturalmente, a mille doppii, per pranzi d'invito. Prima di tutto non si viene a tavola che decentemente vestiti e previo essersi ravviati i capelli e lavate le mani: un uomo eviterà sempre, anche quando fa caldo, d'apparir in manica di camicia; una signora, senza busto, in corpetto da notte; chi facesse poi cose simili fuori di casa... all'albergo, come ho veduto io, si mostrerebbe più digiuno di galateo che uno zulù. E il caldo? Il caldo permetterà sempre una giacchetta di tela od una leggiera bustina, ed un corpetto colorato di foggia un po' elegante non terrà più caldo d'un corpetto da notte. Per colazione la signora sarà pettinata, o se è molto presto (nelle case dove si mangia la prima volta alle otto), avrà una cuffietta. Il tovagliolo non s'appunta al collo: trovatolo nella sua solita forma, non mutato in tricorno, nè in boite à surprise pei panetti, lo si pone sulle ginocchia. Non si comincia a mangiare prima degli altri, come non si dà mai il segnale dell'alzarsi da tavola prima che lo abbia dato la padrona. Si deve servirsi speditamente e senza scegliere, senza toccar tutti i bocconi con la forchetta e senza palpar frutta e pasticcini. In un pranzo di famiglia il piatto verrà posto in mezzo alla tavola: i commensali se lo passeranno: i signori (si mettono sempre, potendo, uomini e donne alternati) i signori verseranno da bere, offriranno il sale ed il pepe alle signore. Raccomando che vi sieno molte bottiglie d'acqua e molte saliere. Non si deve mangiar troppo adagio sì da ritardar il servizio, nè inghiottire come affamati. Raccomando ai signori che hanno barba lunga di non farne un ricettacolo di bricciole, ed a quelli che hanno enormi mustacchi di asciugarli spesso, nulla essendo meno appetitoso che dei mustacchi intrisi di brodo o di crema. Le ossa non si stritolano, non si succhiano. Il pane si rompe, non si taglia: le salse si abbandonano al gatto, nè si fa spugna della midolla di pane: si tien il coltello nella destra, la forchetta nella sinistra, tagliando la carne man mano e non mai sminuzzandola prima come cibo preparato pei polli. - La porzione si prende piccola, in casa privata, perchè se il cibo vi piace sapete di poterne riprendere, se non vi piace evitate così di lasciarlo sul piatto, il che è un'offesa alla padrona di casa. In certi luoghi predomina tuttavia il falso concetto che per mostrare che non si è golosi, bisogna accumulare una catasta sul piatto... e lasciarvela, sciupando il ben di Dio. Ignoro davvero dove si sia pescata sì balzana norma di civiltà. L'ho però veduta a metter in pratica, in casa mia, da due sposini, i quali, dopo aver sequestrate la maggior parte delle cose servite, non le assaggiarono neppure, con affettazione così burlesca che nemmeno il gelato, le torte e le frutta trovarono grazia ai loro occhi. Usciti da casa mia andarono difilato al caffè... dove passando li vidi un'ora dopo mangiare a due palmenti. Era civiltà il loro rifiuto? Era impaccio? Non sapevano come mangiare davanti a gente di soggezione? - Forse: quell'inconveniente tocca spesso a quelli che si abituano, per comodità, a mangiar male. Non si beve a bocca piena: non si mettono pesche, biscotti e zuccaro nel vino: non si tocca il cibo nel piatto comune con la propria forchetta: non si prende una gran porzione, offrendone metà al vicino, ed in genere non si offrono cose che possono dispiacere agli schifiltosi: non si da ad assaggiare roba propria, non si chiede di assaggiare quella di altrui, nè vino, nè bibite. Per quanto possibile si evita di soffiarsi il naso e sputare. Se si è troppo infreddati non si accettano inviti. Le ossa si spolpano col coltello; non si pigliano mai con una mano, men che meno con due, imitando il gesto famigliare delle scimmie. Si mangia con misura per non rimaner intorpiditi come serpenti boa, o non essere costretti, l'uomo a sbottonarsi il gilè, lasciando che ne trabocchi la bedaine, le signore, chiuse nel busto, a soffrir una specie di supplizio del medio evo, diventando violetta e correndo rischio di rimaner basite lì per lì. I ragazzi,che hanno forse meno giudizio ancora degli adulti, non vanno esortati a mangiare: l'ospite renderebbe loro un cattivo servizio e moralmente, facendo eco alla loro gola naturale e, fisicamente, compromettendo il loro stomaco. Non si beverà in modo eccessivo, per evitare..... Qui non occorre dir altro, eh? perchè da Noè in poi gli effetti del vino si conoscono. Le frutta presentano un grave quesito. Non vanno prese in mano che per pelarle, poi si tagliano a fette col coltello e si recano alla bocca colla forchetta: mele, pere, pesche, fichi vanno soggette a quella legge; le noci, in una tavola ben servita, si recano già spezzate; riguardo all'uva, chi segue il sistema igienico di non inghiottirne la buccia (ed è igienico davvero, sapete, care signore!) deve mangiarla... in camera propria. Non c'è che un frutto che mi abbia gravemente preoccupato,senza che potessi sciogliere il quesito. Indovinate: Sono le ciliege. Evidentemente non si può, come nel caso delle pesche, estirparne il nocciuolo con la punta del coltello; non si può nemmeno sputarlo nella mano, come fanno taluni. Vi sono certe forme di pulizia che riescono più disgustose della stessa mancanza di mondezza. E dunque che si farà?... Davvero non lo so e non ho veduto questo caso citato in nessuno dei dieci o dodici galatei che esistono a mia conoscenza. Non vedo modo d'uscire dal perfido dilemma: sputar i nocciuoli... o inghiottirli, un dilemma che somiglia un pochino a quello che Bernabò poneva sul Ponte del Naviglio ai due frati latori della scomunica: O mangiare o bere... Care lettrici, studiatelo voi il quesito, e se scoprite altra soluzione - mi raccomando - comunicatemela. Portar in tavola quei certi bicchieri a sottocoppa in cui si risciacquava la bocca anni fa, è usanza tanto vieta che è il caso di ridere di chi la mette in pratica piuttosto che degli ingenui, i quali, vedendo quell'acqua fumante sparsa di buccie dorate di limone...... la recano alle labbra. Si costuma però in certe case recar delle coppe di cristallo piene d'acqua profumata dove il commensale intinge le dita. Intascar frutta o dolci... pei bimbi che sono a casa, è una sconvenienza. Però l'anfitrione può senza ledere la creanza, quando si tratti di parenti od intimi, dare all'ospite qualche confetto in belle carte colorate o dorate da portare alla sua famigliuola. Nei conviti di nozze quei dolci si danno sempre, mettendoli in appositi e ricchi sacchetti. È formola vieta il chieder dopo pranzo al vicino se ha pranzato bene. Più vieto ancora il congratularsi seco stessi del buon pranzo con ingenue esclamazioni: - Ah! che scorpacciata! Come ho mangiato bene! Son sazio fino agli occhi! - senza contar le terribili espressioni: - Grazie, sono stufo; son obeso, non ne posso più... Come qualificare poi le persone che, sia da un ospite, sia all'albergo, s'incoraggiano a vicenda a mangiare più del bisogno con le frasi: - Non costa nulla, - oppure: - Dal momento che si paga a pasto!... - Esistono simili persone? direte voi. Eh! altro, care signore! esistono. E sono spesso persone facoltose, gente che se ne tiene e mangia tartufi e guarda d'alto in basso l'uomo cortese... che per mediocre fortuna è costretto a mangiar male!

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Se la signora non ha il marito, passa per la prima; se l'ha, tocca a lui la precedenza, dovendo egli scortare la signora più onorata della società. Notisi qui che l'onore si tributa piuttosto all'età che alla posizione, e che sarebbe disdicevole dar il passo ad una sposina sopra una vecchia signora, se anche è in condizione più cospicua. Il cavaliere offre alla dama il braccio destro, e se vi sono molte porte da passare, s'avvìa pel primo per non pestarle lo strascico. Giunti in sala da pranzo il cavaliere saluta la dama e rimangono in piedi, aspettando di sapere qual posto occuperanno, oppure si dànno a leggere i cartellini preparati sui piatti. Quando son seduti salutano i vicini (ogni vicino poi s'occuperà più specialmente della persona che avrà a destra) e non cominciano a mangiare che quando vedono tutti pronti... a quel grande e festoso lavoro. Le colazioni e cene seguono le norme del pranzo; ma vi son meno cibi, la zuppa è esclusa ed invece si aggiunge del the dopo le frutta.

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