Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205984
Garelli, Felice 25 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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La terra, abbandonata a sè stessa, inselvatichisce e si copre di erbe cattive; coltivata malamente, rende poco; lavorata bene, frutta assai, e si trasforma in giardino. Press'a poco come avviene dei ragazzi che, trascurandoli, s'empiono di vizi; educandoli, crescono virtuosi, e diventano utili a sè ed agli altri. 4. La terra obbedisce a chi sa comandarla; ma non tutti, anzi pochissimi sanno. Comanda alla terra e ne ottiene prodotti eccellenti chi ha imparato a coltivarla bene. Anche tu l'apprenderai, se leggi con attenzione questo libro, e poi metti in pratica i consigli che ti dà. DOMANDE: 1. Qual è la più utile delle arti? 2. Che cosa ci dà la terra? - Chi fa fruttare la terra? 3. La terra, abbandonata a sè, che cosa produce? - Come rende se ben coltivata? 4. Che cosa si richiede per comandar bene alla terra?

Il rinettamento del terreno si fa a mano con una piccola marra o zappino, fig. 11, e col sarchiello, fig.12, specie di zappino con uno o due denti. Nelle grandi tenute, e in seminati a righe, si fa la nettatura del terreno con istrumenti da tiro che si chiamano zappa a cavallo, estirpatore, e scarificatore. Questi strumenti si rassomigliano tutti nella struttura e nella forma.

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L'estirpatore, fig.14, è un gruppo di tre, o cinque, e fino a sette vomeri triangolari, a doppio taglio, saldamente fissati in un telaio di legno, o di ferro. Lo scarificatore si distingue dallo estirpatore solamente in ciò, che invece dei vomeri ha coltri. 2. Tutti questi strumenti estirpano le malerbe, e smuovono internamente il terreno, senza sconvolgerne la superficie.

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La zappa a cavallo, fig.13, è un gruppo di zappe fisse ad un telaio tirato da un cavallo.

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Con quali strumenti a mano si netta il terreno? - Con quali da tiro? - Che cosa è la zappa a cavallo? - L'estirpatore? - Lo scarificatore? 2. Quale lavoro fanno tutti questi strumenti? - Quale lo fa migliore?

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I lavori sono necessari a rendere il terreno soffice, e netto dalle male piante. Meglio, e più profondamente, si smuove il terreno, e più rigogliosa si fa la vegetazione. I lavori profondi giovano a tutte le terre; risanano le umide, rinfrescano le asciutte. Ma a farli bene, bisogna avvertire alla profondità dello strato coltivabile, e alla natura del sottosuolo. Varia la forma, e anche la frequenza, e il tempo dei lavori, secondo la natura dei terreni. Si lavorano a porche gli umidi, e i sottili; a spianate quelli sani, e di buona pasta. Gli strumenti aratorii son parecchi; quali a mano, e quali a tiro d'animali. A smuovere il terreno, e prepararlo alla coltivazione, si adoperano la vanga, la zappa, e l'aratro. Zappa e vanga fanno buon lavoro, ma lungo, e costoso. Re degli strumenti agricoli è l'aratro: e tu ne esaminasti la particolare struttura. L'aratro chiama dietro sè l'erpice, perchè dia finitezza al lavoro. L'erpice invoca ancora l'aiuto del rullo su terre forti. A questa prima serie di lavori, un'altra ne succede che ha per iscopo di proteggere la vegetazione normale delle piante coltivate, specialmente contro i danni delle male erbe. Queste invadono i seminati, e mandano a male il raccolto, se con zappino, o sarchiello, o zappa a cavallo, o estirpatore, o scarificatore, non si rinetta il terreno. Talora queste sarchiature non bastano a cacciar via le piante parassite, e si ricorre al maggese pieno, o parziale.

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Ma non bastano i lavori, da soli, a farti ottenere abbondanti raccolti. Se per alcuni anni di seguito tu lavori un terreno, e lo semini, senza concimarlo, il ricolto si fa, da un anno all'altro, sempre più scarso. E perchè? Perchè ogni raccolta porta via dal terreno una parte delle sostanze nutritive ch'esso contiene; cioè porta via le sostanze che esso ha dato alle piante per farle crescere, e fruttificare. Per ciò il terreno, d'anno in anno, si impoverisce, fino a che non avrà più di che nutrire altri ricolti; esso perde la sua fertilità, e diventa sterile. Il suo magazzino di viveri a poco a poco si vuota, come si vuota una cisterna, da cui sempre si prenda acqua, senza che ne venga dell'altra a rimpiazzare quella che si toglie. 2. Che cosa dunque bisogna fare, perchè il terreno conservi la sua fertilità? Tu devi restituirgli, ogni anno, almeno altrettante sostanze nutritive, quante ne diede alle piante che hai in esso coltivate. Se trasgredisci questo precetto, rovini le tue terre, e la tua borsa. DOMANDE: 1. Basta lavorar bene il terreno per averne buon prodotto? - Le raccolte annuali non lo impoveriscono? 2. Che cosa bisogna fare per mantenerlo fertile?

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Molti coltivatori si credono di conoscere a fondo il mestiere, ma coi fatti dimostrano di non saperlo. Basta guardare come in generale si trascura il letame, che pure è una vera ricchezza del podere. L'urina è una delle parti più attive del concime. La quantità che ne fornisce una sola vacca in un anno basta a concimar bene più di 20 are di terreno. Ebbene l'urina degli animali tenuti alla stalla non è tutta assorbita dalla lettiera; buona parte di essa va sciupata nel suolo. Sono pochissimi i coltivatori, i quali pensino a ridurre il pavimento delle stalle a piano inclinato, terminante in un canaletto, che meni e raccolga in apposito pozzetto l'urina non assorbita dalla lettiera. Con questa disposizione del pavimento, gli animali stanno sempre all'asciutto, si fa risparmio di lettiera, e si ottiene un concime assai migliore. 2. Il letame tolto dalla stalla si getta alla rinfusa in un punto dell'aia, di solito, il più basso ed avvallato; non si comprime; l'acqua piovana lo dilava; il sugo nero, che è la parte migliore del letame, scorre via in rigagnoli; l'aria lo penetra in ogni parte, e lo fa ammuffire; il sole lo essica, e gli fa svaporare il meglio che ha, cioè le sostanze ammoniacali. 3. Nè qui finisce lo sciupìo del letame. Allorchè si trasporta alle terre, invece di sotterrarlo subito, si dispone a mucchietti; e così si lascia anche più giorni al sole, all'aria, alla pioggia, che finiscono di ridurlo a un po' di paglia sporca. Quanta ricchezza sprecata per ignoranza, e per trascuratezza! DOMANDE: 1.Quale cura in generale si ha del letame? - Non importa raccogliere l'urina? - Come si può raccogliere? 2. Dove, e come si dispone il letame tolto dalla stalla? 3. Come si applica alle terre?

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Già ti dissi, che misurando alla terra il letame a centellini, non si dura molta fatica a insaccare il grano. E così fanno purtroppo quasi tutti i coltivatori: avendo scarsità di concime, lo sparpagliano un po' dappertutto sulle varie terre. Queste poi, magramente concimate, è naturale che diano un magro prodotto. Son le belle spighe che fanno abbondante il ricolto; ma le belle spighe si ottengono solamente in terra buona, o migliorata da larghe concimazioni. Vuoi convincerti che, per ben raccogliere, bisogna ben concimare? Vuoi toccar con mano che a concimar poco si ha una perdita nella coltivazione, ed a concimar molto si coltiva con benefizio? Esamina con attenzione il conto che ti presento. Io suppongo che tu abbia un ettaro di terra coltivato a frumento, alla solita maniera. La spesa di coltivazione non si discosta guari dalle cifre seguenti: Affitto, o interesse del valore del terreno e imposte . . . . . . . . . . . . . . . . L.135 Semente . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 Lavori del terreno, mietitura e battit. . » 60 Concime . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 -- Spesa totale L. 295 Il prodotto sarà approssimativamente di 11 ettolitri di grano, e 110 miriagrammi di paglia, che valgono: 11 ettolitri di grano a L. 23 l'ettol. L. 253 110 mir. di paglia a L. 0,50 il mir. . » 55 -- Valore totale del prodotto L. 308 Quale è dunque il benefizio ricavato dalla coltivazione di un ettaro di frumento? Lire 13, ossia la differenza che si ottiene sottraendo dal valore del prodotto che fu di . . . . . . . . . L. 308 le spese fatte per ottenerlo, cioè . . . » 295 -- Benefizio L. 13 Ti sembra poco: e hai ragione. Ma io ti dico che molti coltivatori non guadagnano neppure queste povere 13 lire, e vi perdono, perchè non sanno coltivare. 2. Ora prova un po' a concimare meglio il terreno. Spendi in concime 100 lire in vece di 50. Le altre spese rimangono a un dipresso quelle di prima, o almeno crescono ben poco. Supponiamo che invece di 295 lire tu ne spenda 355. Il prodotto aumenta, e sale per lo meno a 16 ettolitri di grano ed a 150 miriagr. di paglia; onde ricaverai da 16 ettol. a L. 23 L. 368 150 mgr. di paglia a L. 0,50 . . . . » 75 -- Valore totale del prodotto L. 443 In questo caso hai già un benefizio di L. 88. Un altr'anno, aumenta ancora a 150 lire la spesa del concime. Portiamo pure le spese di coltivazione a L. 420. Il raccolto non sarà inferiore a 22 ettolitri di grano, e a 200 mgr. di paglia che, ai prezzi sopra indicati, ti daranno un prodotto di L. 606; e quindi avrai un benefizio netto di 186 lire. Da questi esempi tu vedi che quanto più si spende in concime, tanto più si guadagna. Se fai una spesa doppia, o tripla in concime, ne ricavi un guadagno dieci, quindici volte maggiore. Ho dunque ragione di ripetere che nel concime si ha tutto. Esso dà il grano, la paglia, il fieno, e ogni altro prodotto. Quindi chi ingrassa la terra, conosce il fatto suo, e fa fortuna. Chi smunge la terra, smunge la sua borsa. DOMANDE: 1. È vero che la terra rende in proporzione di quel che riceve? - Dimostra, con un esempio pratico, che non coltiva con beneficio chi concima scarsamente il terreno. 2. Prova con altro esempio che raccoglie molto chi concima bene.

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Tutto il letame che si produce in un podere non basta a restituire al terreno quanto i successivi raccolti gli tolgono. Perchè la restituzione fosse completa, bisognerebbe che tutte le materie, succhiate dalle piante nella terra, fossero a questa ridonate col letame. Ma ciò non è. Non ritornano più al terreno le sostanze contenute nel grano che si vende. Non vi ritornano neppur quelle contenute nella parte dei foraggi che si converte in latte, in carne, ecc. Queste sostanze, consumandosi fuori del podere, non si trovano nel letame, e perciò non ritornano al terreno. È dunque chiaro che lo stallatico non può, da solo, rimborsare alla terra tutto il suo credito. 2. Per fare una piena restituzione, e quindi conservare, ed accrescere la fertilità del terreno, bisogna prima di tutto raccogliere con diligenza le erbacce, le spazzature dell'aia, lo spurgo dei fossi, tutto quanto può giovare alla terra, ed alle piante. Curando quel che ora si perde per trascuratezza, o per ignoranza, si può aumentare di molto il concime disponibile. Poi occorre comperare altri concimi, e foraggi, per aggiungere al podere materie fertilizzanti, in compenso di quelle esportate dai raccolti. Passiamo dunque brevemente a rassegna i diversi concimi che possono servire di supplemento allo stallatico. DOMANDE: 1. Il letame del podere basta a restituire al terreno tutte le materie da esso date alle piante? - Perchè non basta? 2. Come si provvede a mantenere costante la fecondità del terreno, e ad accrescerla?

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.); dà robustezza al gambo del frumento, e impedisce che alletti; favorisce la vegetazione di tutte le piante, accelerando a loro vantaggio la scomposizione delle materie animali, e vegetali, contenute nel terreno. La calce è ancora un buon correttivo per terre compatte, che rende più soffici; per terre torbose, o di brughiera, cui neutralizza l'acidità, e rende proprie ad una buona coltivazione. 2. Non si adopera allo stato di calce viva, perchè brucierebbe le piante, ed i semi. La si lascia prima sfiorire. Per ciò si dispone a mucchietti sul campo cui si vuole applicare, e questi si cuoprono di terra. Dopo 15 o 20 giorni, rimescolata bene con la terra, si spande uniformemente sul campo, e con replicate erpicature, seguite da lavori, alternativamente profondi e superficiali, s'incorpora bene col terreno. Ma il modo migliore di applicarla è di farne composte. Per ciò si dispone la calce viva a strati alternati con altri di zolle erbose, di terra di spurgo dei fossi, di torba, di polvere di strade, ecc. Il mucchio si cuopre con uno strato di terra; si lascia sfiorire la calce; poi si rimescola bene due o tre volte, a distanza di alcuni giorni da una volta all'altra. La sua azione sarà tanto più efficace, quanto più vecchia, e ben rimescolata, è la composta. 3. La calce si impiega in quantità variabile secondo la natura dei terreni. Agli argillosi, e ai torbosi, se ne dà molto. In generale la dose varia da 3 a 5 ettol. per anno, e per ettaro. Ma si applica per solito ogni 4 o 5 anni, e perciò in dose proporzionatamente maggiore. DOMANDE: 1. La calce a quali terre si dà, e a quali piante giova? - È un correttivo utile a quali terreni? 2. In quante maniere si adopera? - Come si fanno le composte di calce? 3. In quale dose si applica alle terre?

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Si applica a intervalli di 5 a 10 anni, ed in quantità di 50 a 100 e fino a 200 ettolitri per ettaro, dove si può avere a poca distanza, ed a buon prezzo. La calce, e la marna, aumentano il prodotto delle terre; ma le spossano presto, perchè agiscono come stimolanti, e rendono più pronta la scomposizione dei concimi. Esse dunque non suppliscono alla concimazione ordinaria; la richiedono anzi maggiore, e la rendono più utile. 3. Il gesso è un concime utile alla canapa, al lino, e utilissimo ai prati di trifoglio, e di medica, dei quali duplica talvolta il prodotto. Si adopera crudo, o cotto, in polvere, e a dose non maggiore di 200 chilogrammi per ettaro. Si spande a mano, in primavera, a vegetazione già cominciata, di buon mattino con la rugiada, perchè si fermi sulle foglie delle giovani piante. DOMANDE: 1. A quali terre giovano i calcinacci? - Come si adoperano? 2. Qual è l'azione della marna? - In qual dose si applica? - La calce, e la marna, bastano a concimare le terre? 3. A quali piante giova l'applicazione del gesso? - Quando, e come si adopera?

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Sono dunque un concime utile a tutte le terre, e a tutte le piante, specialmente alle viti, agli alberi fruttiferi, alle patate, ai prati umidicci, dai quali fanno sparire i giunchi, e le piante acide, che l'umidore vi fa crescere. Le ceneri correggono efficacemente le terre argillose, fredde; le torbose cui tolgono l'acidità; ristorano quelle impoverite da continue coltivazioni di cereali. Comunemente si adoperano le ceneri lisciviate, cioè che servirono al bucato. Esse costano di meno, ed hanno azione meno energica e corrosiva, che le vergini, o vive. Se ne spandono circa 200 miriagrammi per ettaro, e la loro azione dura almeno da 4 a 5 anni. 2. La fuliggine è pure un eccellente concime che si ha in casa, o che si può acquistare a buon mercato. Giova a tutte le colture, particolarmente ai prati umidicci, nei quali fa guerra alle cattive erbe. Si spande nella quantità di 15 a 20 ettol. per ettaro, mescolata col doppio di terra. DOMANDE: 1. Le ceneri a quali piante giovano? - E a quali terre? - Si adoperano vergini, o lisciviate? In quale dose? 2. La fuliggine è pure un concime? - Utile a quali colture? - Quanto se ne spande per ettaro, e come?

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Si applicano nella dose di 100, e fino a 150 mgr. per ettaro; la loro azione dura per tre anni sulle terre arative, e per cinque a sei anni sui prati. 3. I peli, le unghie, la lana, i ritagli di cuoio sono un eccellente concime per la vite, per l'olivo, per la canapa, pel tabacco, ecc. DOMANDE: 1. Qual è l'efficacia dei concimi animali? - Come si prepara per concime la carne di animali morti? 2. Le ossa a quali colture giovano specialmente? - In qual dose si impiegano? 3. A quali piante sono specialmente utili gli altri residui animali?

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Le composte si fanno con qualunque materia, sia minerale, vegetale, od animale, purchè facile a disgregarsi, e a mescolarsi con le altre. Il coltivatore industrioso trova nell'interno del suo podere buon numero di sostanze atte a far composte: le foglie d'alberi, le cattive erbe, la pula dei cereali, la segatura di legno, le erbe secche, il legno fracido, l'acqua di cucina e di bucato, le acque dei maceratoi della canapa, le ceneri vergini, e le lisciviate, i calcinacci, lo spurgo dei fossi, la polvere delle strade, e tutti gli avanzi di animali. A fare poi le composte più ricche, si può aggiungere concime di stalla, e quindi alternare il miscuglio con strati di terra. Anche l'aggiunta di un po' di calce, o di marna, giova ad affrettare la scomposizione delle materie legnose, e la maturità del miscuglio. 2. Le composte si fanno in qualunque stagione, ma per lo più d'inverno. Si rimescolano varie volte, per disgregar bene le diverse materie, e farne un tutto omogeneo. Si applicano di preferenza ai prati; anzi ben sovente si fanno su un punto della loro superficie, stratificando le piote erbose col concime. Le composte hanno il grande vantaggio di utilizzare non poche sostanze, le quali andrebbero altrimenti perdute. DOMANDE: 1. Le composte dove riescono specialmente utili? - Come si fanno i terricciati semplici? - Le composte? - Quali sostanze il coltivatore trova nel podere atte a far composte? 2. Quando si fanno le composte? - A quali colture si applicano di preferenza?

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Ma, a concimar bene tutte le terre d'un podere, non basta lo stallatico che vi si produce. Esso non può restituire integralmente al terreno quanto esso diede alle piante che vi furono coltivate. Quindi i coltivatori assennati suppliscono a questa deficienza con altri concimi che si trovano in commercio, o comprano foraggi per accrescere la produzione del letame. Come materie concimanti, supplementari allo stallatico, il regno minerale somministra la calce, la marna, le ceneri, la fuliggine, il gesso, ecc. Il regno vegetale dà i residui di raccolte, e di industrie agrarie, e gli ingrassi verdi, o sovesci. Il regno animale fornisce il guano, la pollina, il cessino, le ossa, ecc. Il coltivatore intelligente non rifugge dalla spesa del concime necessario a conservare ed accrescere la fertilità del terreno, perchè sa che la spesa gli torna in beneficio grandissimo. Ma frattanto si studia di ricavare dal proprio fondo la maggiore quantità d'ingrasso; raccoglie con molta cura quante materie fertilizzanti vi si trovano; governa bene il letame; lo applica con giudizio alle terre; fa composte pei prati; ricorre ai sovesci per i campi. Con tali industrie verifica in se stesso il proverbio: Agricoltore sollecito non fu mai povero. Ed io pongo fine a questo libro, augurando che altrettanto si possa dire di te, quando a tua volta coltiverai la terra. Ora vivi felice.

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Il numero delle piante create da Dio a popolare la terra è grandissimo: ve n'ha di tutte specie, di tutte forme, di tutte grossezze. Altrettanto si può dire degli animali. Moltissime piante sono utili all'uomo; altre inutili, o nocive. È ancora lo stesso negli animali. 2. L'uomo imparò presto a scernere le piante utili da quelle che non lo erano. Imparò anchè presto a distinguere tra gli animali quali gli fossero amici, o giovevoli, e quali nemici. A questi ultimi fece e fa continua guerra. Degli altri addomesticò quelli che lo potevano aiutare ne' lavori, o provvedergli cibo con la loro carne. Fece lo stesso con le piante: addomesticò quelle che potevano servire al suo nutrimento, all'alimentazione del bestiame, ai bisogni delle varie industrie; e cacciò via le inutili dalle terre che imprese a coltivare. DOMANDE: 1. Quante e quali piante Dio ha create a popolare la terra? - Sono tutte utili all'uomo? E gli animali sono tutti utili? 2. Quali specie di animali addomesticò l'uomo? - E quali piante?

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In questo caso, con lieve spesa; lo si può correggere, a poco a poco, con lavori profondi, i quali intacchino il sottosuolo, e ne portino su, ogni volta, una falda sottile a mischiarsi con lo strato superficiale. 2. Pei terreni argillosi è un correttivo comodo, e di poca spesa, la torrefazione, o bruciamento, dell'argilla stessa. Si taglia la terra a fette, che si dispongono a mucchi vuoti internamente; questi si riempiono di legna, e vi si prolunga il fuoco, moderandolo, e aggiungendo zolle al mucchio, per turare i buchi, da cui esce la fiamma. L'argilla va bruciata umida, perchè si polverizzi facilmente; bruciandola secca, s'indurisce, e fa mattone. La polvere che si ottiene si spande sul terreno, e vi si incorpora senza fatica. Essa lo rende più permeabile, e sano. DOMANDE: 1. Come si può correggere il suolo per mezzo del sottosuolo? 2. Un terreno argilloso come si può correggere da sè? - Che cosa è, e come si eseguisce, la torrefazione?

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Si migliora levando le pietre a mano, o spezzandole col piccone, o facendole saltare, se molto grosse, con la polvere da mine. Dove abbondano, si tolgono almeno quelle che inceppano l'azione degli strumenti aratorii. Con le pietre levate dal terreno, se non vengono adoperate in altra maniera più utile, si rassodano le vie interne del fondo, o si fa un muro a secco di chiusura attorno alla terra da cui si levano. 2. Un terreno a superficie irregolare presenta molti svantaggi: nelle depressioni l'acqua ristagna; i rialzi sono aridi; difficoltà, e maggiore spesa di irrigazioni; difficoltà nei lavori, e minore utilità dei medesimi; diseguaglianza nella vegetazione; scarsità, e minor pregio dei prodotti. Si corregge con lo spianamento. Le bassure si colmano con lo sterro dei rialzi. Si spiana con l'aratro, o con la vanga; e il trasporto della terra si fa a braccia con la carriuola, o a tiro con carri. I lavori di sterro sono sempre costosi; ma il più delle volte il guadagno, che n'ha il terreno, supera di molto la spesa. 3. Per riempiere estese bassure, o ragguagliarne la superficie diseguale, in vicinanza di fiumi o torrenti, si ricorre con vantaggio alle colmate. Si derivano cioè le acque torbide, in occasione di piene, sopra il fondo, e anche vi si arrestano per mezzo di argini e chiuse, perchè vi depositino le materie, che trascinano con sè. Queste si chiamano colmate ordinarie, o di pianura. Si fanno altresì le colmate di monte, per abbassare poggetti; per colmare con la materia tolta a questi le forre, o i burroni adiacenti; e per convertire ripide balze, improduttive, in dolci e fertili declivi. Queste colmate si fanno con le acque di pioggia, dirette ed accompagnate dall'opera dell'uomo. DOMANDE: 1. È utile lo spietramento dei terreni ingombri di sassi? 2. Quali svantaggi presenta un terreno a superficie irregolare? - Come se ne fa lo spianamento? 3.Quando si ricorre alle colmate? - Come si eseguiscono? - Quali sono le colmate di monte? - E come si fanno?

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Qualunque sistema di irrigazione si adotti, perchè riesca efficace, ed economico, bisogna che la superficie del terreno sia bene ragguagliata, e ridotta o ad un solo piano uniforme, e leggermente inclinato; o a più spianate, succedentisi l'una all'altra, e con lieve pendìo; oppure ad ale, o versanti, concorrenti, due a due, in un colmo a guisa di tetto pochissimo inclinato. 3. I giardini, e gli appezzamenti a superficie molto irregolare, comunemente si adacquano per innaffiamento, facendo cadere l'acqua a guisa di pioggia da un recipiente a mano, che si chiama innaffiatoio. DOMANDE: 1. Donde, e come si può derivare l'acqua per l'irrigazione? 2. L'adacquamento dei terreni in quante maniere si può fare? - Come si adacqua per irrigazione? - Per imbibizione? - Per sommersione? 3. Come si adacquano i giardini, e i piccoli appezzamenti irregolari?

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Queste varie parti del corpo, od organi, hanno struttura diversa, e son destinate a funzioni od uffizi diversi. Anche le piante hanno organi diversi, destinati a funzioni diverse: e sono la radice, il fusto, le gemme, le foglie, i fiori, il frutto. Esaminiamo questi organi uno ad uno. 4. La radice è la parte che s'addentra nella terra. Essa serve prima a fissare la pianta nel terreno, e poi a nutrirla. La sua forma varia nelle diverse piante. È a filamenti lunghi e sottili nel frumento; a ciuffi più grossi e numerosi nel granoturco, e nel trifoglio; a grosso corpo, o fittone, profondo e ramificato, nell'erba medica. Il corpo, e i rami della radice sono formati di filamenti, o barbe. Queste hanno alla loro estremità delle boccucce, o piccole bocche, per mezzo delle quali succhiano gli umori del terreno. DOMANDE: 1. Quale dev'essere il primo studio del coltivatore? 2. Le piante sono esseri viventi? 3. Quali sono gli organi delle piante? 4. Che cosa è la radice? - A che serve? Quale forma ha? - Come succhia gli umori dal terreno?

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La superficie del terreno lavorato si dispone a porche, o a spianate. Le porche sono aiuole strette, convesse, fiancheggiate da solchi profondi. Le spianate sono aiuole larghe alcuni metri, alquanto rialzate nel mezzo, e separate da solchi superficiali. 2. Si lavorano a porche i terreni molto sottili, per crescere lo spessore dello strato coltivabile, e i terreni compatti ed umidi, per dare più facile scolo all'acqua. Anzi in questi si aprono anche dei solchi trasversali, od acquai, unicamente destinati a raccogliere le acque di pioggia, o di neve. Ma, con la lavorazione a porche, rimane improduttiva una parte del terreno, cioè quella dei solchi; è quasi impossibile di spander bene le sementi; e la vegetazione vi si presenta diseguale. 3. Si lavorano a spianate le terre sane, e sciolte; ma si potrebbero ridurre a spianate, di mediocre larghezza, anche le terre compatte, se si lavorassero più profondamente dell'ordinario. 4. Il numero dei lavori dipende dalla natura del terreno, e dai bisogni delle piante che si coltivano. Vanno smosse più frequentemente le terre umide e fredde; importa assai la scelta del tempo conveniente a lavorarle. 5. In generale, perchè i lavori del terreno riescano veramente utili, bisogna farli a tempo opportuno. Le terre sciolte, leggere si possono lavorare in ogni tempo. Non così le terre forti. Queste, a lavorarle umide, aderiscono con forza agli strumenti, e rovinano gli animali; poi fanno crosta durissima, non si maturano, e molta semente si perde. Troppo secche induriscono, e a romperle, e quindi a sminuzzare le grosse zolle, si spreca molta forza. Il tempo migliore per lavorare terreni forti sarebbe subito dopo fatta la raccolta, per avere nel sole un aiuto alla disgregazione, e alla maturazione delle terre. DOMANDE: 1. Come si dispone la superficie lavorata del terreno? 2. Quali terreni si lavorano a porche? - Quali svantaggi presenta questo modo di lavoro? 3. Quali terreni si lavorano a spianate? 4. Da che dipende il numero dei lavori che si dànno al terreno? 5. Qual è il tempo più opportuno a lavorare le terre?

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Esaminiamo ora gli strumenti aratori, ossia gli arnesi che servono a preparare la terra per la coltivazione. Cominciamo da quelli che si adoperano a smuovere il terreno: essi sono la vanga, la zappa, e l'aratro. La vanga, e la zappa si dicono strumenti a mano, perchè maneggiati dall'uomo solo. Con essi si lavorano le terre degli orti, e dei piccoli poderi. L'aratro è uno strumento da tiro, al quale si aggiogano buoi, cavalli, o vacche, e si adopera nei larghi campi, e nelle grandi tenute. 2. La vanga, o badile, fig. 1, 2, 3, smuove il terreno alla profondità di 25 a 30 centimetri; rivolta compiutamente le zolle all'aria, ed al sole; le addossa le une alle altre; le rompe col taglio, e le divide; appiana, e agguaglia la superficie del terreno. Essa fa un eccellente lavoro, e si dice con ragione che la vanga ha la punta d'oro - Una vangatura vale una mezza concimatura.

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L'aratro smuove, e rivolta la terra; ma la lascia in zolle, e a superficie diseguale. Nel terreno semplicemente arato, i semi, e le piante, non trovano buona stanza per svolgersi, e prosperare. Prima di seminare, bisogna rompere le zolle, e ragguagliare la superficie del terreno. A ciò servono il maglio, ed il rastrello, maneggiati a braccio; l'erpice, e il rullo, tirati da animali. Il maglio, ed il rastrello, si adoperano in terre leggere, e di poca estensione; l'erpice, e il rullo in terre forti, e nei grandi poderi. 2. Si erpica per sminuzzare le zolle, e ragguagliare il terreno. Si erpica pure per raccogliere le erbacce, e per coprire le sementi. L'erpice, fig.9, è formato ordinariamente da un telaio di legno, armato di denti, o rebbi.

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All'erpice si dà una forma diversa, secondo la natura dei terreni cui deve servire; secondo che questi son arati a solchi, od a piano; e secondo l'effetto che si vuole ottenere. Per terre compatte l'erpice ha un telaio pesante, e denti di ferro, o acuminati, o taglienti, come il coltro dell'aratro. Per terre sciolte, per la copertura delle sementi, si usano erpici leggeri, e a denti di legno. Per terre lavorate a solchi l'erpice ha il telaio incurvato. In queste terre, non spianate, giova meglio l'erpice snodato, cioè composto di tutti pezzi mobili. 4. I denti dell'erpice sono per lo più inclinati. E perchè? Per poter fare un lavoro più o meno superficiale. L'erpicatura riesce più profonda, se i denti sono inclinati verso il tiro; più superficiale, se sono rivolti oppostamente al tiro. Con un erpice a denti dritti, ossia verticali, si può anche fare un lavoro più profondo, caricando il telaio di pietre, per renderlo più pesante. Qualunque ne sia la forma, un buon erpice deve avere i denti a ugual distanza fra loro; e ogni dente deve tracciare il suo solco distinto. DOMANDE: 1. L'aratro basta da solo a preparare bene il terreno? - Quali strumenti si adoperano per rompere le zolle, e, ragguagliare la superficie? 2. A quale scopo si erpica il terreno? - Che cosa è l'erpice? 3. Qual erpice si adopera in terre compatte? - In terre sciolte? 4. Perchè in taluni erpici i denti sono inclinati? - A quali condizioni deve soddisfare un buon erpice?

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La giovinetta campagnuola

207514
Garelli, Felice 25 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Se ci manca questo dono di Dio, a che giovano tutte le altre ricchezze? La vita stessa a che cosa serve a chi non è robusto, e sano? Quale tesoro sia la salute, si aspetta a conoscerlo dopo che si è perduta: quando una malattia ci fa impotenti al lavoro, inutili a noi, e di peso agli altri, allora si comprende quanto vale. La sanità è come un salvadanaio: non si sa quanto valore ha in sè, che quando si rompe. La salute è già di per sè esposta a mille pericoli: il caldo, il freddo, l'umido, e tante altre cause possono rapircela; e noi per giunta la strapazziamo in mille modi. La più parte delle malattie ce le tiriamo addosso con la nostra ignoranza, con le nostre imprudenze. Non si bada a quanto giova, o fa danno alla salute: si trascurano le precauzioni più necessarie per evitare i malanni. Ora dimmi, giovinetta: non è forse meglio prevenire le malattie, che doverle poi curare? Ebbene, metti in pratica le regole contenute in questo libro, e in tutta la tua vita non darai gran disturbo al medico, e allo speziale. Ricòrdati che la salute è un bene prezioso per tutti, ma specialmente per te, che devi lavorare per guadagnarti la vita. Cura altresì il buon mantenimento degli animali, che sono affidati alla tua custodia. Pensa infine che la igiene, ossia lo studio della conservazione della salute, è una virtù, e insieme un dovere impostoci da Dio.

Ti parlai del companatico: ma c'è a dire anche del pane, che in generale non si fa bene. Sia di pura farina di frumento, o vi si mescoli cruschello, o farina di segala, di formentone, di castagne, o di patate, bisogna impastarlo bene — poi lasciar fermentare la pasta a un grado conveniente — e da ultimo procurarne la buona cottura. Bada sovra tutto a rivoltar bene la pasta, a batterla, comprimerla e ripiegarla più volte in ogni senso. Quanto meglio l'avrai impastato, più bello e rigonfio sarà il pane. La pratica ti insegna a quale grado conviene sia lievitata la pasta, prima di metterla in forno. Avverti poi che il forno non sia eccessivamente caldo. Il pane è più saporito, se non cuoce tanto in fretta. Non farne troppo in una volta: l'indurire sarebbe il meno danno; ma il pane piglia la muffa, e fa male alla salute.

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Dio disse a tutti gli uomini:Amatevi l'un l'altro come buoni fratelli, come foste una sola famiglia. Ognuno faccia agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a lui, e non faccia agli altri ciò che non vorrebbe a lui venisse fatto. Il Signore vuole da noi anche più: Gesù Cristo disse a tutti gli uomini: Amate i vostri nemici, fate bene a coloro che vi odiano, pregate per coloro che vi perseguitano. Io terrò come fatto a me stesso quello che farete a pro degli altri, e ve ne compenserò, chiamandovi a possedere il regno de' cieli. Perchè noi potessimo eseguire il suo comando, Iddio ci ha fatto il cuore capace di un amore infinito: Egli infuse nell'anima nostra la virtù della carità. È questa la più bella, la più santa, la più divina delle virtù. Essa ci insegna ad amare, a compatire, a perdonare, a beneficare. Felice chi ascolta i consigli della carità! Egli cammina dritto nella via del bene, e si rende caro agli uomini, e a Dio. Giovinetta, accogli nel tuo cuore la carità: ama il prossimo come te stessa. Questo amore ti darà le più dolci consolazioni nella vita presente, e ti prepara il premio nella vita futura.

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Ricòrdati allora che «il male viene a libbre, e se ne va a oncie;» perciò se tu, o altri cade ammalato, ricorra a quei due gran medici, che sono l'acqua e la dieta: e il più delle volte guarirà tosto. Se poi il male cresce, allora, senza por tempo in mezzo, chiama il medico, e segui esattamente le prescrizioni di lui. Non fare come la più parte dei campagnuoli, che mandano solleciti pel veterinario, se una bestia si ammala; e del loro male, o di quello dei suoi, si curano tanto poco, che aspettano a mandare pel medico, quando è già tempo di chiamare il prete, ed il notaio. Consigliandoti a mettere in serbo piante medicinali, non ti ho detto di farla da medichessa. Ora ti aggiungo due altri consigli. Non dare ascolto a certe femmine sciocche, e superstiziose, che pretendono di saperne più del medico, e vantano specifici per guarire le malattie. Non prestar fede ai ciarlatani che sulle piazze, nei giorni di fiera, vendono boccette, unguenti, e cerotti per guarire ogni sorta di mali. Bada che essi sono cavadenti di mestiere, veri scrocconi, che girano il mondo in carrozza, e vivono da gran signori, alle spalle degli ignoranti, e dei babbei che s'affollano a comprarne gli specifici.

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Chi non lo sa, spreca: oggi, perchè ha il fienile ben provvisto, getta il foraggio nella greppia a larghe braccia: più tardi fa mangiare paglia asciutta. Vuoi fare economia del foraggio, e nutrir bene le tue bestie? Taglia e sminuzza il foraggio, come si fa nei paesi, che la sanno più lunga di noi nel buon governo del bestiame. Per tagliare i foraggi, si adopera uno strumento, fatto apposta, che si chiama trincia- paglia, o trincia-foraggi. Ve n'ha di grossi, a ruota, che valgono cento e più lire, e servono per le grandi stalle. Ve n'ha di piccoli, a basso prezzo, specie di coltelli, uniti ad un tagliere, che bastano a preparare la razione a poche bestie. Col trincia-foraggi si taglia il fieno a pezzetti di uno o due centimetri, e il bestiame lo divora tutto, senza che ne perda briciola. Quando lo dài intero, te ne spreca la metà, gettandolo nel letto. Col trinciarli, rendi più facile a digerirsi le paglie, e i fieni di qualità scadente, i foraggi legnosi e grossolani. Prova, tieni conto di tutto, e vedrai l'economia che ti risulta. Col risparmio che fai nel foraggio, in poco tempo tu paghi la spesa del tagliafieno, e te ne avanza.

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Si rivanga in primavera; e si lascia riposare qualche tempo la terra lavorata, prima di seminarvi; perchè i semi attecchiscono male, se li affidi a un terreno lavorato di fresco. Ti giova seminare, e piantare tutto in file: così risparmi tempo, e fatica a nettare l'orto dalle malerbe. Per far bene il lavoro, tendi una funicella, e con la punta del foraterra segna il solco nel terreno lungo la corda. Vi metti quindi i semi; copri i più piccoli con un dito di terra, e con due o tre dita i più grossi. Con la coltivazione a linee sbrighi, da sola, tutto il da farsi nell'orto, lavorandovi tutt'al più un'ora al giorno per cinque o sei mesi dell'anno. Seminando a getto o alla rinfusa, non bastano le tue braccia a nettare il terreno. Devi aspettare che le malerbe siano un po' alte, dovendole estirpare a mano: ed è tanto nutrimento rubato alle buone piante. Eppoi questi lavori di nettamento riescono sì lunghi e faticosi da fartene scappare la volontà. Te lo ripeto: coltiva tutto a file; e ne sarai contenta. In due ore farai maggior lavoro, e più utile, che in quattro giornate. Provvediti dunque un zappino e una rastia. Con questa tagli le malerbe, appena escono da terra. Ripeti l'operazione ogni otto, o dieci giorni, in tempo secco, avvertendo di estirpare a mano le malerbe nelle file. Col zappino mantieni la terra smossa tra le file. Le sementi procura di fartele nell'orto stesso; altrimenti bada a provvederle di buona qualità, e di sicura riuscita. Finisco con un consiglio. In giro alle aiuole coltiva alcuni fiori. Essi dànno la vita, rallegrano l'occhio, profumano l'aria, abbelliscono l'orto. Alle rose di varia fioritura aggiungi garofani, reseda, gerani, ecc. Non dimentica tra essi il gelsomino, il giglio, e la viola màmmola: e questi ti ricordino sempre le virtù che fanno di te, giovinetta, il fiore più bello, e più caro della famiglia.

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È un difetto comune alle giovinette quello di chiacchierare un po' troppo: ed è un brutto difetto, del quale molte volte si hanno a pentire. Chi troppo ciarla, spesso falla, o dice sciocchezze. Parlare è facile, ma parlare bene e a proposito, è difficile. Parla poco; e sbaglierai meno. Per parlar bene quando devi parlare, sappi tacere quando devi tacere. Parlare poco, e a tempo, è da persona savia. Perchè Dio t'ha dato due occhi, due orecchi, e una lingua sola? Hai due occhi per veder molto, due orecchi per ascoltar molto, e una sola lingua per parlar poco. Dunque ascolta molto, e parla poco. Chi parla, semina; chi tace, raccoglie. Sopra tutto guardati dal brutto vizio di metter bocca nelle cose che non ti spettano; di sentenziare sui fatti altrui; di ridire tutto quello che vedi, o senti, e che può recar danno, o molestia altrui: ti guadagneresti i nomi di ciarlona; dottoressa; maldicente; pettegola; maligna. Ti piacerebbe di essere battezzata così? Bada dunque a te, e non ti avanzerà più tempo ad occuparti degli altri. Tieni a mente il proverbio: Dei fatti altrui, men se ne sa, meglio si sta. Compatisci gli altrui difetti, se vuoi che gli altri compatiscano i tuoi. Il tuo parlare sia sempre schietto, verace, e prudente. Se ti si confida un secreto importante, guàrdati bene che non ti esca di bocca. Non confidare ad amiche quello che non vuoi che si sappia. Vedi quello che accade, quando tu fai una confidenza ad un'amica, a patto che non la dica a nessun'altra. Questa la ripete solamente a una sua amica fidata, e le impone la stessa condizione del silenzio. La seconda amica la ripete a una terza. Così d'amica fidata, in amica fidata, il secreto gira, e gira tanto che arriva, e assai presto, alla persona cui tu intendevi di non lasciarlo arrivare mai. Se dunque vuoi che un secreto non si divulghi, sappilo custodir bene. Ma ricòrdati che pel babbo, e per la mamma non ci hanno da essere secreti.

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Un bugiardo si conosce più presto che uno zoppo; la verità, come l'olio, viene a galla. Ma poi, anche non si venisse a scoprire la bugia, forse che Dio non vede nel cuore? Non lo sa la coscienza? La bugia è un vizio brutto, e schifoso, che fa nell'anima una macchia più nera dell'inchiostro. La bugia è il primo passo al mal fare. Per ciò i bugiardi, e gli impostori sono disprezzati da tutti. A chi è conosciuto bugiardo non si crede più nulla, neanche se dice la verità. Peppina ha commesso un piccolo fallo; lo confessò subito, e le fu perdonato. Peppina è una ragazza sincera; non dice mai quel che non è, e tutti le vogliono bene. Quando si manca, bisogna confessare la propria mancanza, come ha fatto Peppina. Bisogna dir sempre la verità, anche se, a dirla, ce ne vien danno. È brutta cosa aver due lingue. Non si deve mai dire il falso; anche quando, a dire il falso, può venirne vantaggio. Non devi far la spia dei falli altrui. Ognuno ha da guardare a sè. Prima di parlare, pensa a quel che devi dire. A tempo e luogo sappi anche tacere, per non recar danno ad altri.

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Guai a lei, se non si corregge di queste piccole rabbiette, fin che è giovine: guai a lei! Avrà a pentirsene amaramente di certo. L'ira è cieca, toglie il lume della ragione. Guàrdati, giovinetta, dall'ira; essa è un vizio orribile. Chi è pronto all'ira è facile al male. Guàrdati dall'ira; soffoca dentro di te i cattivi pensieri. A chi ti ha offeso perdona, se vuoi essere perdonata. Il perdono è la vendetta che ci ha insegnato Gesù Cristo.

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Basta una ragazza cattiva a guastarne cento buone: al contrario cento buone difficilmente riescono a correggerne una cattiva. In un paniere di mele sane mèttine una marcia. Credi tu che, tra tutte, le mele buone risanino la mela marcia? Se guardi il paniere dopo alcuni giorni, vedrai che è accaduto il contrario: la mela guasta avrà fatto marcire tutte le altre che erano buone. La cattiva compagnia è come il fumo della pipa: tu non puoi restare gran tempo in luogo ove si fuma, senza portarne con te l'odore. Il cane, se va col lupo, impara ad urlare; chi pratica lo zoppo impara a zoppicare. Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei. Scegliti dunque a compagne delle fanciulle buone, giudiziose; e come tu avrai sempre a lodarti di loro, fa che esse abbiano sempre a lodarsi di te.

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Questa gioia del lavoro cresce ogni giorno, ci fa contenti del nostro stato, e ci anima a continuare nella stessa vita attiva e laboriosa. Napoleone I, mentre passava a cavallo per una foresta, vide un boscaiuolo che lavorava, e cantava allegramente, ed esclamò: «Vedi quell'uomo; si guadagna il pane con tanta fatica, eppure sembra felice!» E accostatosi a lui, senza essere conosciuto, gli domandò: «Che cosa ti rende sì allegro?» E quegli rispose: «Ho una salute di ferro, e lavoro volentieri: non ho forse ragione di essere contento? «Quanto guadagni al giorno? «Tre lire. «E bastano per te, e per la tua famiglia? «Altro che bastano: mantengo la moglie e tre figlioli, e me ne avanza ancora da mettere a interesse, e a pagare vecchi debiti. «Come è possibile ciò? «Metto danaro a interesse, mandando a scuola i miei figlioli; pago vecchi debiti, col mantenere i mie genitori». Vedi, giovinetta, come il lavoro fa la gente virtuosa, e contenta del proprio stato!

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Il tempo è un tesoro che non costa un soldo; ma se lo perdi, non lo puoi comprare, neppure a pagarlo un milione. Il tempo viene, passa, e non ritorna più: impara dunque a spenderlo bene, fin che lo hai. L'arte di impiegar bene il tempo si impara da ragazzi; si perfeziona con l'età, e l'abitudine; e poi non si perde, nè si dimentica più. Bada anzitutto che ogni cosa ha il suo tempo, e vuol essere fatta in quel tempo. Gli alberi mettono prima le foglie, poi i fiori, poi maturano i frutti. Così il campo prima si ara, poi si semina, più tardi si miete. Se un contadino volesse mietere quando è tempo di seminare, o seminare quando è tempo di mietere, farebbe ridere fin le galline. Così c'è il tempo di lavorare, quello di mangiare, e quello di riposarsi. Or bene, fa ogni cosa secondo il suo tempo. Quando è tempo di fare una cosa, non pensare a farne un'altra; e quando fai una cosa, sii tutto intento e attento a quella, se vuoi riuscirla bene. A far le cose sbadatamente, o fuor di tempo, si diventa vecchi senza aver fatto mai nulla di bene. Non rimettere a domani ciò che puoi fare oggi. Un buon oggi, dice il proverbio, vale due domani: e molte volte il domani non è più a tempo.

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25.La costanza riesce a tutto. Sì, giovinetta: con la pazienza, e la volontà, si viene a capo di tutto; senza costanza tutto va male, e non s'arriva a far nulla. Per riuscire in un lavoro, bisogna farlo con calma, e perseveranza, e non sgomentarsi delle prime difficoltà che s'incontrano. Se il lavoro che hai da fare è lungo, e pesante, non potrai finirlo nè in un giorno, nè in due; ma vi arriverai al fine, se tutti i giorni, senza perder tempo, ne farai un po'. Il mondo non fu fatto in un giorno; — un albero non cade al primo colpo di scure. Se è un lavoro difficile, mèttivi tutta l'attenzione che puoi. Se non ti vien fatto subito a modo, non devi perderti d'animo, e dire: «È inutile, tanto non mi riesce»; continua, e riuscirai. Si sa che nessuno nasce maestro. Anche qui ricorda i proverbi: Chi fa falla; — provando e riprovando si impara; — col vedere quel che non va, si capisce quel che va. Tutte le cose sono difficili, prima di diventar facili. Quando si guarda una montagna dal piede, sembra impossibile di salirne la cima: è così alta! così erta! Pròvati a salire, e trovi ombre, fontane che t'invitano a proseguire il cammino; più vai, più prendi coraggio; ed eccoti sulla cima, ove la bella vista di altri monti, di valli, e di pianure ti compensa della fatica fatta per giungere lassù. In conclusione: nulla è difficile a chi vuole di buon proposito, e tu pure lo sai per prova. Ricòrdati come ti imbizzivi di non poter imparare l'aritmetica! ma poi ti mettesti proprio di buona voglia, ed ora i conti li fai bene. Così avviene di ogni cosa: quasi sempre chi vuole, può. Sii dunque ferma, e perseverante nei buoni propositi, se vuoi che ti riesca bene quanto imprendi a fare.

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La formica sa che, venuto l'inverno, fuori non troverà più nulla, e lavora nell'estate, dal mattino alla sera, a far provvista di cibo. Anche le api sono bestioline giudiziose, e previdenti, come le formiche. Vedi con quanta arte si fabbricano la loro casetta! Con quanta diligenza lavorano durante la buona stagione! È un via vai continuo dall'alveare alla campagna, a far provvista di miele per l'inverno; leste volano da un fiore all'altro per raccoglierlo; si allontanano anche più miglia a farne ricerca; e quando n'han le zampette cariche, volano a deporlo; poi ripartono subito a cercarne dell'altro. Impara anche tu a mettere in serbo quanto ti sopravanza al bisogno. Nei giorni buoni provvedi pei giorni cattivi, che vengono sempre; perchè dice bene il proverbio: il sole del mattino non dura sempre fino a sera; e chi spende in gioventù, digiuna nella vecchiaia.

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Ma un po' di buona creanza è necessaria a tutti, per farsi voler bene dalle persone con cui si tratta. Chi ha maniere incivili, grossolane, sgarbate, dà molestia, e disgusto alla gente. Se una persona è ruvida come una grattugia, nessuno si accosta volentieri a lei. Marta è una buona pasta di ragazza, ma, a trattare con lei, si direbbe il contrario. Se le chiedi un servizio, te lo fa con mal garbo; se lo riceve da altri, non dice un «grazie». A chi le parla, risponde asciutto ed aspro. Marta ama i suoi fratellini, ma non sa far loro una carezza; a divertirsi con essi non ci ha gusto. Obbedisce borbottando; s'imbroncia per nulla. La gente, quando parla di Marta, dice sempre: «Peccato che non conosca il galateo!». Giovinetta, fa in modo che la gente non dica altrettanto di te. Se vuoi essere benvoluta, conserva negli atti, nelle parole, in casa e fuori, il contegno di una ragazza bene educata. Ricòrdati che il bel tratto trova tutte le porte aperte — La creanza costa niente, e compra tutto. Ma ricòrdati ancora che la gentilezza delle maniere vuole avere a compagna la bontà del cuore.

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Oggi tutti si va a scuola, poveri e ricchi. E più si è poveri, più si ha bisogno della scuola: e ai contadini fa mestieri, quanto a ogni altro. Alla scuola s'impara a scrivere, se occorre, quattro parole ad un lontano; a fare una ricevuta; a tenere i conti; a far calze, a cucire di bianco, a rammendare. E s'imparano altresì la pulitezza, l'ordine, l'abitudine al lavoro, i doveri del proprio stato. Forse che tutto ciò è inutile? L'ignoranza a che giova? Lascia la gente nell'impotenza, e con la testa piena di pregiudizi, il che è anche peggio. Perciò fu detto con ragione, che l'ignoranza è la peggiore delle miserie. La donna che sa, fa bene i fatti suoi. Chi si affatica per sapere, lavora per avere, e si fa strada alla fortuna. Un tempo le scuole erano pochissime, e ad istruirsi c'erano grandi difficoltà per la povera gente. Ma ora l'istruzione è a tutti obbligatoria per legge; in ogni villaggio vi hanno scuole per maschi, per femmine, per fanciulli, e per adulti, con buoni maestri, e bene ordinate. Non si ha che la fatica di andarvi. Epperò oggidì chi rimane ignorante, colpa sua.

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Carlambrogio sa quanto giovi un'abitazione sana, e l'ha procurata a sè e agli animali. La sua casetta guarda al bel mezzodì; da varie finestre riceve abbondanza di luce; ha dinanzi l'aia col pozzo; l'orto di fianco, e il letamaio di dietro, a mezzanotte. La stalla è a vôlta; alta, ampia, in modo che le bestie vi stanno comode; i muri intonacati, e imbiancati; le finestre munite di imposte e invetriate. Negli angoli della vôlta vi sono sfiatatoi che, nell'inverno, si aprono per rinnovare l'aria, senza dover aprire porte, o finestre. Il pavimento è fatto con mattoni di costa, e un po' inclinato, per dare scolo alle urine, le quali, raccolte da un canaletto, inclinato anch'esso, vanno a versarsi in un pozzetto, fuori della stalla. Uguali attenzioni usò Carlambrogio perchè il porcile, e l'ovile fossero sani, ariosi, e bene esposti. Queste spese gli tornarono a benefizio grandissimo. Tutta la famiglia di Carlambrogio ha fior di salute, e gli animali, che dalla sua stalla si presentano al mercato, vi fanno la prima figura, e ne ottengono i prezzi più alti.

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Se vuoi ottenere vitelli sani e vigorosi, fa quel che ti dico: Nella prima settimana della loro vita làsciali colla madre; ma bada che non poppino fino a sazietà. Ingordi come sono, e ancora deboli di stomaco, possono farne indigestione da morire. Quando li avrai separati dalla madre, a questa li condurrai solamente al mattino, al mezzodì, e alla sera. Dopo cinque o sei settimane li spoppi, se li hai destinati al macello. Se vuoi allevarli, cominci a sostituire, al latte del mezzodì, un pasto di buon fieno, e il beverone bianco, ossia la farina di frumento, o di segala, spappolata nell'acqua. Poi raddoppi il pasto del fieno, e li lasci poppare una volta al giorno; poi soltanto ogni due giorni, fin che li spoppi del tutto. Per i vitelli che si allevano, lo spoppamento non deve farsi prima dei quattro mesi. Allora si allontanano dalla madre, mettendoli, se è possibile, in altra stalla. Poveretti! la separazione dalla madre li addolora. Essi la cercano con frequenti muggiti, e ricusano il cibo. Ma, trattati con dolcezza, a poco a poco s'acquetano. Anche la madre si addolora, si agita, e chiama il figlio con lunghi muggiti. Sarebbe un crudele, un pazzo, chi maltrattasse la vacca, perchè dà sfogo alla materna tenerezza. I vitelli slattati li nutrirai, nel primo anno, con buon fieno, qualche presa di sale, e possibilmente un po' di crusca ogni giorno. Ai vitelli slattati di fresco, e a quelli che si vogliono ingrassare, giova molto l'infusione, o thè di fieno, che è semplicemente acqua versata bollente sopra fieno di buona qualità. Governati in questa maniera i vitelli, li vedrai crescere a vista d'occhio, e valere molto più che non abbia costato il loro mantenimento.

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La razione, perchè sia buona e sufficiente, deve comprendere quanto serve a mantenere, ossia a conservare la vita, e quanto serve a produrre, ossia a dare quel prodotto di latte, o di carne, o di lavoro, ecc., che si vuole dagli animali domestici. La quantità, e la qualità della razione, dipende dunque dai bisogni degli animali, e dai prodotti che ne vuoi ottenere. Un bue non resisterà al lavoro, una vacca non produrrà latte, se loro dài solamente quanto fieno basta a tenerli vivi. Non conosce il mestiere chi ha foraggi per tre bestie, e ne tien cinque. Su tre sole ci guadagnerebbe: al contrario, a farne digiunare cinque, perde su tutte cinque. Neppure conosce il mestiere chi, invece di belle e robuste bovine, compra vacche magre e sciancate. Per costoro il bestiame non sarà mai un guadagno, ma una perdita. Essi ignorano che «il primo guadagno sulle bestie si fa il dì della compra, con lo spendere bene; e il secondo si fa nella stalla, col nutrirle anche bene». L'alimentazione del bestiame varia con la stagione. D'inverno si fa in gran parte con foraggi secchi. In primavera si passa ai foraggi verdi, i quali si continuano poi nell'estate. Ma bada che il passaggio dal regime secco al verde si faccia per gradi, mescolando l'erba al fieno in proporzioni, di giorno in giorno crescenti: troppa erba mangiata sola, specialmente il trifoglio, o la medica, potrebbe cagionare al bestiame il gonfiamento del ventre, o meteorismo, e quindi la morte quasi immediata, se non si fa in tempo a combatterlo e dissiparlo con opportuni rimedi.

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A trattarli bene si fanno docili, obbedienti, affezionati, pieghevoli a qualunque abitudine si voglia loro imporre. È il cattivo trattamento che li rende maligni, caparbi, pericolosi. I colpi di pungolo, di frusta, e di bastone finiscono per irritarli, e spingerli alla rivolta. Aggiungi ancora che i cattivi trattamenti li fan dimagrare, e deperire. Il bue da lavoro, così paziente, non pare più quello; diventa indocile, e vendicativo. Peggio ancora il cavallo, il mulo, e l'asino. Fin le vacche mettono odio a chi le maltratta, e trovano il momento a vendicarsi. I tori son docili con le buone maniere; malmenati, diventano furiosi, e terribili. Il buon coltivatore non affatica troppo gli animali, non li maltratta mai, e tuttavia li fa obbedienti alla sua voce, senza bisogno di pùngolo. Il nutrire gli animali più di frusta che di fieno, il caricarli di un peso soverchio, il volerli costringere, a furia di bastonate, a fare più che non possono, è un'azione brutale, che rivela un'anima cattiva in chi la compie. Non di rado s'incontrano di questi villani, e carrettieri, ferocemente brutali. Talvolta si vede un cavallo vecchio, macilento, sfinito dalle fatiche, e dal digiuno, trascinare un carico pesantissimo. Gronda sudore da ogni parte, non si regge quasi più sulle gambe; e il carrettiere lo tempesta di botte; lo studia qua e là, nelle parti più sensibili, e lì raddoppia i colpi. La povera bestia tira innanzi per poco; poi accasciata, mezzo morta, stramazza a terra, e il suo aguzzino, con rabbia feroce, la martella di botte, di pugni, e di calci. Ma non è senso di compassione nel cuore di quest'uomo? Le bestie son bestie; ma quest'uomo è più bestia di loro! Non può dirsi civile un paese, dove queste brutalità si commettono, e la gente vede e lascia fare, e niuna legge le punisce. Nei paesi veramente civili s'è fatta una legge apposta per punire chi maltratta gli animali.

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Ma a trattar male le bestie, si fa danno anche alla borsa. Gli animali malmenati dimagriscono, e quindi scemano di prezzo; oltre a ciò contraggono vizi, e difetti, che, nei contratti di compra o vendita, sono causa frequente di litigi e di spese. Vedi dunque che il tornaconto, non meno che la carità, comanda di trattar gli animali con dolcezza, di nutrirli bene, tenerli puliti, e non strapazzarli con lavori eccessivi. Il bestiame è una necessità pei lavori, e pel concime; ma è ancora un mezzo di guadagno per chi sa governarlo; mentre è causa di grosse perdite a chi lo trascura. Se il bestiame è affidato alle tue cure, sii attenta e paziente. Ama gli animali; affeziònati ad essi, e tràttali con dolcezza. Se un animale è triste, o non mangia volentieri, od è ferito, prèstagli le cure necessarie. Al pascolo sta in continua vigilanza. Impedisci che le bestie si battano fra loro; che si sbandino; che entrino nei seminati, o sulle terre altrui. Tieni d'occhio che non cadano nei fossi; non si accostino a precipizi; non si arrampichino in luoghi pericolosi. Abbi cura di non lasciarle troppo tempo al sole. Scegli i luoghi dove l'erba è migliore. A quando a quando loro parla, accarezzale, e non maltrattarle mai. Nella stalla distribuisci, ad ora fissa, le razioni; fa la pulizia giornaliera degli animali; rinnova la lettiera; spazza le corsìe, dà aria, e pulisci tutto. Pensa prima agli animali che a te. Non lasciarti vincere dal sonno: se fa bisogno, sii in piedi a qualunque ora di notte; àlzati per tempo al mattino; e alla sera va al riposo solamente dopo assestata ogni cosa.

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E lo ferma, ponendo a guardia della casa la virtù dell'economia. L'economia, utile a tutti, è per la povera gente altrettanto necessaria che il lavoro. Vedi quanto si suda a far piccoli guadagni! Pensa quanti pericoli corrono le raccolte, per le quali si fa tanta fatica! La brina, la siccità, la grandine possono mandarle a male: e allora come si vive, se nelle buone annate non si è fatto, con l'economia, un po' di risparmio? Per arricchire ci vuol molto: ma per andare in rovina ci vuol poco. Con la scioperatezza la miseria viene a tutta corsa, e va poi via a passo di formica. «Trista quella cà, che mangia quanto ha». Con la virtù dell'economia, la miseria potrà far capolino all'uscio, ma non vi entra. «La roba sta con chi la sa tenere». Senza economia, si lavora tutto l'anno, e si è sempre al verde. «Saccoccia forata non tiene il miglio».

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Le minute spese sono più a temersi, che le grosse: queste si fanno di rado, e sono prevedute; al contrario le spese piccole occorrono tutti i giorni, e non ci si bada. L'altrieri la zia, dandoti un soldo, ti raccomandò di metterlo nel salvadanaio. Tu invece l'hai speso, dicendo a te stessa: «Un soldo risparmiato a che può servire? Che cosa si può fare con un povero soldo?» Io ti rispondo che molte volte la fortuna comincia con un soldo risparmiato, e ti ricordo il giustissimo proverbio: «Chi non sa tener conto d'un soldo, non vale un soldo». Un altro proverbio, giustissimo anch'esso, dice: «Non è un acquazzone che bagna, ma la pioggerella minuta e continua». Così è delle piccole spese. Un soldo sprecato ogni giorno fa nell'anno 18 lire. Con questa somma c'è da comprare un maiale, o una pecora, che in pochi mesi ti può duplicare il danaro. Prima dunque di spendere malamente anche un soldo solo, rifletti che quel soldo non ritorna più, mentre può venire un'occasione, in cui ti farebbero buon pro anche i centesimi. Ama l'ordine in tutto. Metti ogni cosa a suo posto. Tieni in buon assetto le masserizie. Abbi cura degli abiti e della biancheria; e fa a tempo le rammendature necessarie. Avverti che nulla si sperda di ciò che può essere utile alla casa, al bestiame, alle terre. Con queste avvertenze risparmierai molte spese, le quali a tutta prima paiono inezie, e non lo sono. Ricòrdati che col poco si fa molto, e che quindi per avere il molto, bisogna curare il poco.

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La buona massaia non compera mai a credito. Occorre biancheria per la casa? Abbisogna un abito per lei, o per altri della famiglia? Ne fa la compra, se ha il danaro che ci vuole; altrimenti la ritarda, fino a che abbia il mezzo di pagarla. Essa sa che col danaro contante si provvede roba migliore, e a meno prezzo. Eppoi: è mille volte meglio aver poca roba, ma tutta nostra, che averne molta, pagata col danaro altrui. Essa ha paura dei debiti, e con ragione, perchè sa che, a fare un debito, si lega una corda al collo, e dà il capo della corda in mano al creditore. Quindi fa qualunque sacrifizio, prima di contrarre un debito, anche piccolo. Per solito i debiti cominciano col poco, e finiscono col molto: precisamente come la valanga, che comincia dall'alto con una pallottola di neve, e, rotolando a valle, si ingrossa come una montagna. Guai a fare il prima debito! A pagarlo, se ne fa un altro più grosso; il secondo ne tira un terzo. Per chiudere un buco, si apre una finestra; per chiudere una finestra, si apre una porta..... e così si va dritti alla malora. Per ciò la buona massaia non fa il passo più lungo della gamba, e limita le spese secondo le entrate. Se poi la necessità vuole che essa faccia un debito, pensa continuamente al modo di pagarlo; e ogni giorno, vendendo uova, galline, legumi, mette a parte qualche cosa, per levarsi quel peso dalle spalle il più presto possibile.

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Regola le tue occupazioni in modo di trovar tempo a tutto, e di far ogni cosa a suo tempo. Rammenta che l'ordine nel lavoro è già un mezzo lavoro. La fanciulla disordinata gira di qua, gira di là, si affanna, e non ha mai nulla di fatto; e non impara nulla. Se vuoi diventare una buona massaia, avvèzzati a tenere ogni cosa ordinata; e osserva questo precetto: «un posto per ogni cosa; e ogni cosa a suo posto». Ora all'opera. Finita la colazione, e data al bestiame la razione preparata alla sera, farai la pulizia della casa. Te l'ho già detto, ma giova ancora ridirlo. Nettezza non è lusso; è sanità, e decenza. Il sudiciume è segno schifoso di disordine, di trascuratezza, di miseria; è la vergogna della massaia. La nettezza è la particolare eleganza del povero; essa rende piacevole una casa, anche povera e disadatta. Tu sai che la calamita attira il ferro, e se lo attacca. Ebbene, la casa, se ordinata e pulita, fa lo stesso con gli uomini: li attira a sè nei giorni di festa; non li lascia andar girelloni, o all'osteria. Dunque fa che ogni cosa sia sempre all'ordine. Occhio a tutto: ai pavimenti, ai letti, alla cucina, al vasellame, ai mobili. Più volte al giorno abbi in mano la scopa, e l'innaffiatoio. A rallegrare l'occhio ed il cuore, aggiungi un vaso di fiori alle finestre, e, se puoi, un quadro nella stanza.

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