Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Galateo popolare

183677
Revel Cesare 49 occorrenze
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GALATEO POPOLARE Cesare Revel Torino, Vinciguerra, 1879 Considerate la vostra semenza Fatti non foste a viver come bruti, Ma per seguir virtute e conoscenza. DANTE. Noi reputiamo di tutta utilità che si insegni al popolo il modo di moralizzare sè stesso, giacchè se tutti gli individui fossero perfetti, perfetta sarebbe la nazione; se vogliamo sana e robusta la popolazione dobbiamo prima sottomettere noi stessi alle regole igieniche; del pari se vogliamo colta la nazione, ingentiliti i costumi, ognor crescente fra noi la civiltà, cominciamo dal coltivare noi stessi e insegniamo ai nostri figli il complesso di quelle regole di viver sociale che costituiscono appunto ciò che saviamente venne dall' illustre prof. Baruffi, chiamato - GALATEO POPOLARE - Se la Società ha dei doveri verso gl'individui, non minori ne ha l'uomo verso l'intiera Società. Parte integrante di un tutto complessivo, ogni uomo porta all' edifizio sociale la sua tangente di bene e di male, di vizio e di virtù, dalla somma delle quali tangenti ne risulta poi quel bene o mal essere generale che caratterizzando le nazioni, caratterizza gl' individui. Se l'uomo non dovesse pensare che a sè stesso, cioè al miglior modo di conservarsi in vita e in salute, dubito assai se sarebbe felice, perchè non sarebbe più virtuoso e senza la virtù saremmo belve e peggio ancora. Ben disse al riguardo un celebre medico « che senza la virtù la ragion stessa ci sarebbe di danno ». Facciamoci pertanto, per la brevità di tempo che ci è imposta, e anche perchè cosi vuole l' argomento e il confine assegnatoci, a discorrere senz'altro di quanto occorre a sapersi e mettersi in pratica da chi vuol vivere in società senza incorrere nella taccia di mal vivente, venendo meno al rispetto dovuto a se stesso e altrui. Avremo cosi fatto una modesta appendice ai nostri popolari lavori, e impiegato utilmente i nostri momenti di ozio, del che saremo come siamo debitori a chi seppe eccitare in noi il desiderio di portare il tenue obolo nostro al conseguimento del ben essere morale e materiale delle nostre popolazioni. Voglio accennare all'egregio patriota Cav. Prof. Baruffi che mi invitava con affettuosissima sua, da me serbata fra i più cari autografi, a scrivere alcunchè sul tema da esso proposto a concorso. L'AUTORE.

È usanza di prevenire almeno il giorno prima ed indicare pure l'ora nella quale si vuol fare il battesimo, nello stesso tempo si indicano i nomi che sono stati dati allo stato civile insieme a quelli delle persone che devono tenere il bimbo al fonte battesimale. Per questo il padre del bambino va entro la giornata alla chiesa ove si deve fare il battesimo; entra nella sacrestia e domanda del prete di servizio che inscrive le indicazioni suaccennate su di un registro, ed è allora che il prete fissa il momento più opportuno. Il battesimo si dà quasi subito dopo la nascita. Se la cattiva salute del bambino o qualunque altra ragione, costringono a ritardare questo sacramento bisogna dargli all'istante l'acqua. Per ciò fare, si va a rintracciare il sacerdote, e non è che in caso di morte per il ragazzo che un laico può rimpiazzare il prete. In questo caso si versa un po' d'acqua naturale sulla testa del fanciullo dicendo: Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. L'acqua della quale si servono dovrebbe essere tiepida. Una persona che non sia cattolica non può dar l'acqua ad un fanciullo. Un uomo è preferibile per la funzione del battesimo, ad una donna; ma in mancanza la levatrice, la nutrice, la madre stessa può dar l'acqua al bambino. Fuori circostanza di necessità assoluta il bambino nato deve essere battezzato nella propria parrocchia o nella chiesa del villaggio dove è stato posto a balia. Per entrare nella chiesa la donna che porta il bimbo cammina innanzi; vanno dietro a lei il padrino e la madrina, poi il padre e gli amici. Il padrino e la madrina non si devono dare il braccio per entrare in chiesa. Si recano così processionalmente al fonte battesimale, poi il padre va in sacrestia a prevenire il prete dell'arrivo. Quando la cerimonia comincia, il padrino e la madrina si pongono in piedi a fianco della donna che tiene il fanciullo. Il padrino a dritta, e la madrina a sinistra. La persona che tiene il bambino, deve tenerlo coricato sulle braccia, la testa appoggiata a destra. Bisogna aver cura che la cuffia del bambino sia legata in modo da potersi facilmente sciogliere affine di evitare ogni imbarazzo. Il prete domanda quali sono il padrino e la madrina. Questi per risposta s'inchinano. Se la dichiarazione non è stata fatta prima il prete domanda se il bambino è nato nella parrocchia, quale il suo sesso e se non ha ancora avuto l'acqua. Il padrino deve rispondere in modo breve: quando esso ignorasse tutti quei dettagli, il padre si avvicina e risponde per lui. Dopo ciò il prete indirizzandosi al fanciullo gli fa le interpellanze d'uso, alle quali il padrino e la madrina rispondono per lui. Il prete fa quindi le unzioni sul bambino, poi gli domanda ancora, servendosi però dei nomi indicati. Giovanni Luigi Paolo, (per esempio ) credete voi a Dio, il padre onnipotente creatore del cielo e della terra. Il padrino e la madrina rispondono per lui. - Vi credo. - Credete voi in nostro Signor Gesù Cristo suo figlio, che è morto sulla croce per noi? - Vi credo. - Giovanni Luigi Paolo, volete voi essere battezzato? - Lo voglio. Dopo queste ultime parole, il padrino e la madrina mettono la mano sul fanciullo mentre la donna che lo tiene lo avanza sul fonte battesimale, togliendogli la cuffia onde il prete possa versargli l'acqua sulla testa. Finita detta cerimonia, il prete presenta al padrino e alla madrina la candela che è rimasta accesa durante tutta la cerimonia e questi la tengono entrambi colla mano destra sino a che la preghiera sia terminata. Si ritorna allora in sacrestia seguendo il prete onde firmare l'atto di battesimo del fanciullo. Queste cerimonie sono gratuite, ma è usanza invalsa che si lascia sempre qualche cosa al prete, al chierico e all'uomo di chiesa. Se il sacramento del battesimo è conferito ad un adulto, il padrino e la madrina non vi figurano che per onoranza, poichè è lui che deve rispondere a tutte le quistioni che gli si fanno. Quando più tardi si avesse bisogno dell'atto di battesimo bisogna andare alla sacrestia della chiesa ove fu fatto. - Quest'atto è rilasciato gratuitamente su carta libera.

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Non è che per eccezione vale a dire in caso di malattia del fanciullo o della madre e sulla domanda espressa dei parenti, che questa cerimonia può aver luogo a domicilio della famiglia. Il ragazzo deve essere inscritto nei registri coi nomi che gli sono stati dati allo stato civile; l'atto di battesimo è firmato dal pastore officiante e dagli intervenuti. Dopo ciò, si fa la lettura della liturgia, che è terminata dalle preghiere che i padrini pronunciano a mezza voce col pastore. Allora il pastore domanda ad alta voce al fanciullo se s'impegna a rimaner fedele alla fede cristiana. Il padrino e la madrina pongono tutti e due la destra sul fanciullo ripetendo ad alta voce. - M'impegno. Il pastore spande in seguito alcune goccie di acqua pura sulla testa del fanciullo pronunciando le parole sacramentali: « lo ti battezzo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ». Il padre s'incarica pure delle spese come si usa nel rito cattolico. Quando più tardi il fanciullo ha bisogno del suo atto di battesimo è nel tempio protestante ove fu battezzato che va a richiederlo sia per lettera, sia personalmente.

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Quando nasce un maschio, il padre deve portare un offerta a alla sinagoga il primo sabbato che segue la nascita. Quest'offerta varia secondo la fortuna della famiglia. Alla nascita di una figlia non si da niente.

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Questo però dicesi per i signori, poichè per le persone che non hanno mezzi la necessità, li costringe a quel doloroso lavoro. Un artista, un professore di musica, un maestro da ballo, professioni tutte che hanno per iscopo il piacere degli altri, devono astenersi per quindici giorni di gran lutto dal mostrarsi in pubblico nelle loro funzioni. Un ministro o un alto personaggio, deve astenersi da tutti i doveri che lo obbligano a mostrarsi in pubblico, per lo stesso lasso di tempo. Quando si è in lutto si fa uso generalmente per scrivere di carta e di buste listate di nero: nondimeno la carta e le buste puramente bianche sono anche ammesse per il gran lutto: soltanto allora si sigillano le lettere con cera lacca nera o bianca; ogni altro colore è proibito. Per tutto il tempo del lutto chiuso non si può assistere a nessun seppellimento, nè a ufficio funebre, meno che questo ufficio sia fatto pel proprio defunto. Non si augura mai la festa a chi porta il lutto.

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Le signore che assistono ad un servizio funebre devono vestirsi se non a lutto almeno con delle vesti scure e un velo nero sul cappello. Gli uomini portano guanti neri. Non si deve assistere ad una messa da requiem con cappello colore rosa come non si assiste ad una messa di sposi vestiti di nero. Quando uno è in gran lutto si astiene da ogni visita di condoglianza. Se si riceve una lettera di decesso, si scrive alla persona che l'ha inviata e si fa portare la lettera a domicilio aggiungendovi la carta di visita. I bambini non si mettono in lutto, si vestono di bianco senza aggiungervi nessun colore. Si vestono i domestici in lutto per il giorno del seppellimento, al quale devono assistere. Quando uno veste i servi a lutto gli da due vestiti: quelli del mattino pel lavoro e quelli del mezzo giorno. È più che ridicolo il dar loro gli abiti di lutto solamente all'ora delle visite.

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Se fate visita in una ora vicina al pranzo, non prolungatela, e nel ritirarvi adducete l'ora avanzata che vi obbliga a ritirarvi. Se la persona alla quale andate a far visita è sul punto di uscire, malgrado le sue istanze, non la ritenete e andatevene all'istante.

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Non si devono far visite alle persone che hanno giorno destinato per quelle, se non nei giorni indicati a meno che non si sia in grande intimità. Sarebbe un indelicatezza. Se siete stato invitato ad una serata e che desideriate serbare la relazione coi padroni di casa dovete fare loro una visita entro il mese. Le ore scelte variano secondo i paesi. Le visite serali sono fatte abitualmente da uomini soli a meno che non sia nelle case ove si riceve ogni otto o quindici giorni senza inviti preventivi. Le donne vanno allora a passarvi un ora e questa si conta come visita. Per queste visite gli abbigliamenti ricercati sono indispensabili. Per le visite di giorno una graziosa toeletta è di buon gusto, ma bisogna evitare di vestire ciò che non si veste che alla sera. Così una donna pettinata coi capelli sciolti ed un uomo coi guanti burro fresco sarebbero ridicoli.

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Quando fate una visita e che vi trovate nel salone con delle persone non parlate mai sottovoce a quella che si trova vicino a voi. Sarebbe un offendere la padrona di casa: prendete parte invece alla conversazione generale. Se vi alzate per prendere congedo mentre ha luogo una conversazione animata ed interessante, aspettate che momentaneamente finisca, e ritiratevi facendovi scorgere il meno possibile. Quando arriva qualcuno non vi alzate dal seggio che vi è stato offerto dalla padrona, ammeno che non sia quello che sta al suo fianco. La sola padrona ha dritto di fare gli onori di casa. Una padrona di casa non deve mai dar la poltrona che occupa a meno che non si tratti di persona alla quale essa debba un profondo rispetto. Se fate una visita e trovate la padrona di casa in colloquio con un amica intima , dovete rimanere poco tempo a meno che altre persone non sopraggiungano. Non si parla mai di se stessi alla persona che si va a visitare, bensì della persona stessa che si visita. Al ritorno dalla campagna, si devono delle visite alle persone colle quali si desidera mantenere buone relazioni. Si devono ugualmente visite di addio agli amici prima di partire o di andare in campagna. Quando si giunge alla campagna si è in dovere di visitare quei vicini coi quali si desidera stabilire relazioni o serbare quelle che già si hanno. In contrario si attende la visita di quelli che giungono dopo. Quando si arriva in una città nuova nella quale si desidera soggiornare, si devono fare visite, non solo a tutte le autorità del luogo, ma ancora a tutte le persone di buona società. Inviare solamente che la carta di visita; sarebbe una impertinenza.

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Eccoci alla fine del nostro scrivere di cui chiediamo venìa, adempiendo noi per i primi al dovere di Galateo che c'incumbe presso i cortesi nostri lettori cui abbiamo, non richiesti, buttato giù alla buona, alcuni suggerimenti per le varie circostanze della vita che dobbiamo cercare di abellire migliorando la propria educazione che ingentilisce i costumi, e aiuta a sopportare con minor sacrificio le sofferenze, le ingiustizie e le malignità altrui che pur troppo s'interpongono nei nostri focolari domestici e nelle nostre relazioni nella vita pubblica e private, valendosi le molte volte nella loro viltà dell'anonimo!. Vedi a nostro riguardo lo anonimo libello di certi cosi detti Soci Anziani del Circolo Torinese da noi fondato e presieduto per tre anni; non vi fu mezzo di conoscere i libellisti vili nello scrivere come nel ricusare la responsabiltà delle loro ingiurie. Avremo fatto bene, e ciò corrisponderà la accoglienza del pubblico a queste disadorne pagine, e se questa edizione avrà il favore che vi ebbe la prima, non potremo certo lagnarci di avere lavorato e dato lavoro.

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. - Via che già. i giornali ci annunziano a iosa su tutti i tuoni e con tutti i colori, che anno nuovo, vita nuova e fioccano per lungo e per largo le più belle, le più grandi promesse di regali, di migliorie in tutto battendo la gran cassa a totale loro profitto, e con ragione, che l'amore viene dall'utile dicesi con un volgare proverbio; già i Cerberi al secolo portinai si fanno più umili e piagnucolosi per assicurarsi la strenna poche volte meritata, i fattorini, i domestici e tutta quella gente che vive di lavoro giornaliero con tanti inchini vengono per tempo a noi augurandoci le molte cose alla conditio sine qua non, si apra il borsellino, che, se mai non si rispondesse favorevolmente alle loro profezie, diventerebbesi senza attenuante l'uomo il più crudele, il più avaro e le tante augurate felicità si muterebbero ben presto in maledizioni e chi sa in cosa altro di peggio... Siamo dunque alle visite natalizie, a quelle di buon capo d'anno, e su di esse la beneficenza v'ha il suo tornaconto dacchè con poche lire a suo favore si ottiene l' esenzione dalle visite così dette ufficiali, e l'Ukase dei capi d'ufficio lo annunzia ubit et orbe. Ma e per le altre? Non è solo questione di moda ma di affetto, e a queste anzi dovrebbero sempre ispirarsi. Per i bambini è anco per gli adulti e generalmente per tutti, e anco l'utile il movente dei numerosi viglietti, delle lettere più o meno adulatrici, ognuno aspettandosi il suo regalo, e dal piccolo al grande, dall'inferiore al superiore tutti sperano qualche novità dacchè nuovo è pure l'anno che ne viene apportatore. Alle persone alto locate le sono visite di rigore, tra parenti si scambiano alla buona lettere visite o regali; tra amici e conoscenti supplisce agli augurii il semplice biglietto di visita che noi abbiamo però sempre ritenuto quasi un'inciviltà, e uso condannevole; e tale è ancora oggi la nostra opinione.Ma vi guadagnano gli stampatori e litografi, dunque largo a quella industria, e largo a noi il passo per prendere stavolta sul serio definitivo congedo dai nostri cortesi lettori e gentili lettrici e buone feste co' migliori auguri del loro devotissimo e modesto compilatore di questo trattatello. FINE.

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. § I - Doveri di civiltà nei luoghi pubblici e privati . . . » 42 § II Nel teatro e in altri pubblici divertimenti . . . . . . . . . . » 44 § III Nel caffè . . . . . . . . . pag. 45 § IV In Chiesa . . . . . . . . . . » 46 § V In casa altrui luogo privato . . . » 47 § VI A pranzo . . . . . . . . . . » 49 Capo VI - Dei doveri del cittadino nelle scuole, nelle officine, nei fondachi . . . . . . . . . . . . » 49 § I Nella scuola . . . . . . . . . » 50 § II Nelle officine e nei fondachi . . . » 53 § III » . » 57 Capo VII. - Rispetto agli animali . . » 58 CERIMONIALE PER LE PRINCIPALI FASI DELLA VITA. Per le principali fasi della vita - Matrimonio. . . . . . . . . . . » 58 Domanda di matrimonio . . . . . . . » 60 Presentazione . . . . . . . . . . . » 61 Delle condizioni necessarie per contrarre il matrimonio civile . . . . . » 65 Delle formalità, preliminari del matrimonio . . . . . . . . . . . . » 67 Contratto . . . . . . . . . . . . . . . . » 74 Cesta di nozze . . . . . . . . . . . . . » 76 Della celebrazione del matrimonio » 78 Matrimonio religioso. - Alla Chiesa Cattolica . . . . . . . . . . . » 83 Cerimoniale . . . . . . . pag. 85 Dopo la messa . . . . . . . . . . . . . » 88 Consigli diversi. . . . . . . . . . . » 90 Matrimonio Protestante . . . . . . . » 92 Matrimonio Israelita . . . . . . . . . . » 94 NASCITA. - Formalità civile. . . . . . » 94 Del battesimo. . . . . . . . . . . » 97 Alla Chiesa Cattolica . . . . . . . . » 102 Al Tempi o Protestante. . . . . . . » 106 Alla Sinagoga . . . . . . . . . . . » 108 LUTTO. - Lutto di vedovo e di vedova . . . . . . . . . . . . . . . » 110 Lutto di padre e madre . . . . . . . » 111 Lutto dell'avolo e dell'avola . . . . . » 111 Lutto di fratello e sorella . . . . . . » 112 Lutto di zio e cugino . . . . . . . . . » 112 Dettagli ed abigliamenti . . . . . . . » 113 Delle visite . . . . . . . . . . . . . » 11 Costume obbligatorio per gli invitati ad un seppellimento . . . . . » 115 VISITE . . . . . . . . . . . . . . . . » 116 Visite obbligatorie . . . . . . . . . . » 117 Visite di felicitazione . . . . . . . . . » 119 I consigli minuti. . . . . . . . . . . . . » 119 Congedo dei lettori . . . . . . . . . . » 122

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Custodisci gelosamente i fanciulli dal cattivo esempio nel tuo focolare domestico, nulla operando che ti possa essere rinfacciato, e tenendo a freno la lingua, guardandoti dalla bugia, e dal dire innanzi a loro un equivoco o una parola men che onesta. Guardati dalla ammonirli con parole villane e grida incomposte e dal castigarli con brutali battiture. Insegna loro ad onorar Dio e amare il prossimo, ad essere buoni con tutti, e fare sempre il bene, a essere in una parola galantuomini. Abbi di te, diciamo al padre, si elevata idea e conduci in modo la vita, che i figli, dalle nobili tue azioni ritraggono il modello del loro futuro; pensa che i figli sono la miglior parte di te medesimo, alla quale è raccomandato l'onore del tuo nome e la tua potenza morale sulla terra, che per essi vi può essere l'ospedale e la prigione. Amali perciò nell'ordine, interessali all'ordine, in affettuose cascaggini non li idolatrare. Abbiamo da Numa, doversi dai genitori ai figli una affezione illuminata, una severa educazione ed ottimi principii. E' dovere che tu li corregga con giusta tolleranza pensando che tu stesso provetto nella vita per vecchi incentivi, tuttodì arrossire dovresti innanzi a loro, e tramare che sia per essere la loro inesperienza in futuro pari alla tua passata. Nel correggerli, attendi ove il possa, che in essi non meno che te sia cessata la passione, se desideri che il loro cuore fatto compunto, confessi l'errore al cospetto della ragione. Scruta il nascente loro carattere, quali siano le buone e quali le cattive inclinazioni e saggiamente provvedi. Frua. Il marito e il padre. L'uomo si ammoglia per avere dei figli e questi sono la cosa più cara che Iddio gli concede quaggiù. Il credeste? Sonvi pure quei disgraziati cui manca il buon senso e la educazione, la gentilezza di costumi e la civiltà che si reputano sventurati perchè hanno figli, e per annunciare che loro è nato un bimbo dicono « mi è accaduta una disgrazia. » Curane piuttosto con ogni sollecitudine la educazione morale e giunti in età di scegliere una professione, rispetta la loro vocazione; trattandosi poi di figlie, non crederti lecito, come molti parenti fanno, di destinarle lo sposo; più che a te, padre sconsigliato, deve convenire alla figlia, ricordando di quali e quanti guai è fonte un matrimonio che non abbia per base l'affetto e la stima. Ecco quanto t'insegna il grande apostolo Mazzini: Amate i figli che la provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole, cieco, che è egoismo per voi, rovina per essi. In nome di ciò che v'è di più sacro, non dimenticate mai che voi avete in cura le generazioni future, che avete verso quelle anime che vi sono affidate, verso l'Umanità, verso Dio, la più tremenda responsabilità che l'essere umano possa conoscere; voi dovete iniziarle, non alle gioie o alle cupidigie della vita, ma alla vita stessa, ai suoi doveri, alla legge morale che la governa. Poche pochi padri, in questo secolo irreligioso, intendono, segnatamente nelle classi agiate, la gravità, la santità della missione educatrice: poche madri, pochi padri pensano che le molte vittime, le lotte incessanti e il lungo martirio dei nostri tempi sono frutto in gran parte dell'egoismo innestato trenta anni addietro nell'animo da madri deboli o da padri incauti i quali lasciarono che i loro figli s'avvezzassero a considerare la vita non come dovere e missione, ma come ricerca di piaceri e studio del proprio benessere. Per voi, uomini del lavoro, i pericoli sono minori; i più fra i nati da voi imparano pur troppo la vita dalle privazioni. E minori sono dall'altra parte in voi, costretti dalla povera condizione sociale a continue fatiche, le possibilità di educare come importerebbe. Pur nondimeno potete anche voi compiere in parte l'ardua missione. Lo potete coll'esempio e colla parola. Lo potete coll'esempio: « I vostri figli saranno simili a voi, « corrotti o virtuosi che sarete voi « stessi virtuosi o corrotti. « Come mai sarebbero essi onesti, pietosi, « umani, se voi mancate di probità, se siete « senza viscere pei nostri fratelli? come « reprimerebbero i loro grossolani appetiti, se « si vedono abbandonati all'intemperanza? « come serberebbero intatta l' innocenza « nativa, se voi non temete d'oltraggiare « davanti ad essi il pudore con atti indecenti « o con oscene parole? « Voi siete il vivente modello sul quale « si formerà la pieghevole loro natura. « Dipende da voi che i vostri figli riescano « uomini o bruti ». E potete educare colla parola. Parlate loro di patria, di ciò che'essa fu, di ciò che deve essere. Quando la sera, dimenticate, fra il sorriso della madre e l'ingenuo favellìo dei fanciulli seduti sulle vostre ginocchia, le fatiche della giornata, ridite ad essi i grandi fatti dei popolani delle antiche nostre repubbliche: insegnate loro i nomi dei buoni che amarono l'ltalia e il suo popolo e per una via di sciagure, di calunnie e di persecuzioni, tentarono migliorarne i destini. Instillate nei loro giovani cuori, non l'odio contro gli oppressori, ma l'energia di proposito contro l'oppressione. Imparino dal vostro labbro e dal tranquillo assenso materno, come sia bello il seguire le vie della virtù, come sia grande il farsi apostoli della verità, come sia santo il sacrificarsi, occorrendo, pei propri fratelli. Infondete nelle tenere menti, insieme ai germi della ribellione contro ogni autorità usurpata o sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica autorità, l'autorità della virtù, coronata dal genio. Fate che crescano, avversi egualmente alla tirannide e all' anarchia, nella religione della coscienza inspirata, non incatenata, dalla tradizione. La nazione deve aiutarvi in questa opera E voi avete, in nome de'vostri figli, diritto di esigerlo. Senza educazione nazionale non esiste veramente nazione.

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Dobbiamo indirizzarli al bene, aiutarli nei loro piccoli bisogni e compatirli nei loro difetti; colle sorelle dobbiamo usare i riguardi dovuti alla differenza del sesso, a loro debolezza ed alla soavità dei loro costumi. Le molte volte accade che si abbiano in niun conto, non forse per mancanza d'affetto, ma per quel fare rozzo ed incivile proprio dei più, che si abbiano come peso e dieno noia per doverli, se più giovani custodire, proteggere e prestare loro l'opera nostra. Quanto alle sorelle, quanti che in società s'atteggiano a zerbinotti, eleganti damerini corteggiando le civettuole o facendo il cascamorto per tale o per tal altra signora, mentre in casa non hanno che durezze, che mali trattamenti che parole scortesi e grossolane per esse da cui vorrebbero essere serviti come tanti padroni negando loro ogni legittimo passatempo, trovando sprecata ogni spesa fatta in loro vantaggio. Egoisti! vili! Esseri condannevoli sotto ogni riguardo, leggete questa pagina di galateo, scritta appositamente per voi. Non nacquero esse dai vostri genitori, non furono allevate con voi, non portano il vostro nome, non formano col padre colla madre e con voi una sola famiglia? Negate tal vero e vi darò allora ragione.

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I vecchi portano la felicità nelle famiglie a cui appartengono. La natura stessa, a parte il galateo sociale, c'impone il santo dovere di tenere con noi e mantenere i nostri parenti, quando l'età li ha resi inabili a guadagnarsi il vitto. Non pochi figli hanno la barbarie di cacciarli di casa e dire loro che vadano mendicando, o farli ricoverare in un ospedale perchè siano così mantenuti dalla carità pubblica. Se natura vuole che noi rendiamo bene a chi bene ci ha fatto, l'affetto pure deve avere la sua buona parte. Come essere indifferenti ai dolori, alle privazioni dei genitori! Del resto l'interesse stesso ci consiglia di tenere presso di noi i genitori. Quanti consigli non possiamo ascoltare dalla loro esperienza, dalle loro osservazioni e dal loro sano criterio! Quanto conforto nei nostri dispiaceri! Non facciamo dunque sentire loro nessuna parola amara, accontentiamoli per quanto possiamo, compatiamo alle loro debolezze, sopportiamo i loro difetti; nella vecchiaia diventano sordi mezzo ciechi, balbuzienti, noiosi, inquieti, malaticci; non aggraviamo le loro miserie, nè affrettiamo mai col desiderio la loro morte, se non vogliamo essere indegni di vivere in società. E qui ancora ricordiamo le parole del Mazzini : Amate i parenti. La famiglia che procede da voi non vi faccia mai dimenticare la famiglia dalla quale procedete. Pur troppo sovente i nuovi vincoli allentano gli antichi mentre non dovrebbero essere se non un nuovo anello nella catena d'amore che deve annodare in uno tre generazioni della famiglia. Circondate d'affetti teneri e rispettosi sino all'ultimo giorno le teste canute della madre, del padre. Infiorate ad essi la via della tomba. Diffondete colla continuità, dell'amore sulle loro anime stanche un profumo di fede e d'immortalità ! E l'affetto che serbate inviolato ai parenti vi sia pegno di quello che vi serberanno i nati da voi. Parenti, sorelle e fratelli, sposa, figli, siano per voi come rami collocati in ordine diverso sulla stessa pianta. Santificate la famiglia nell'unità dell'amore. Fatene come un tempio dal quale possiate congiunti sagrificare alla patria. Io non so se sarete felici; ma so che così facendo, anche di mezzo alle possibili avversità, sorgerà per voi un senso di pace serena, un riposo di tranquilla coscienza, che vi darà forza contro ogni prova, e vi terrà schiuso un raggio azzurro di cielo in ogni tempesta.

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Quante volte passeggiando si ha la disgrazia d'incontrarsi in uno di questi seducenti amici che si fanno lecito di accompagnarvi volenti o non volenti, di narrarvi cose che si sanno a memoria e che per la centesima volta forse vi ha obbligato ad ascoltare relativamente alla sua vita, alle sue tresche amorose, oppure ad un componimento qualunque di sua invenzione. Felici quando dopo tutto non s'invita a pranzo da voi o non vi chiede una somma ad imprestito e via. Ecco da quanto per civiltà dobbiamo metterci in guardia per non incorrere nella taccia di pedanti, seccanti, importuni. Vedi pubblicazione: Il libro dell'Operaio I, II, III, IV e V edizione: Il libro dell'Agricoltore: Il libro del Soldato, ecc. tutti in vendita presso l'autore, via Doragrossa num. 20. Avv. C. Revel.

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Per altra parte non alberghi in noi la superbia col crederci a tutti superiori, col supporre che ognuno debba a noi prestare obbedienza. Una dose di amor proprio l'abbiamo tutti, e dobbiamo averla perchè chi ne fosse privo sarebbe un scimunito peggiore dei bruti. Essa però non deve illuderci sulla conoscenza di noi stessi, sul valore dei nostri mezzi, ma farci apprezzare i giusti nostri meriti. Diversamente non è più amor proprio: è superbia, è egoismo; per vero sonvi taluni che si credono d'aver più ingegno d'ogni altro, e che danno impunemente dello sciocco, dell'ignorante al primo capitato che non vada loro a genio; l' ambizioso vuole tutto il potere per sè, mira al proprio innalzamento, non s'accorge di essere più stupido degli altri e per lo più spinto dalla cieca fiducia nella sua capacità si rende ridicolo per troppa presunzione di se stesso.

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Verso i nostri eguali e colleghi siamo concilianti, schietti, servizievoli; non presumiamo mai di essere o di sapere più di loro atteggiandoci a pedanti, non affettiamo mai disprezzo o noncuranza per alcuno, prestiamo loro una mano, se ne hanno bisogno, e se lo possiamo, non dimenticando mai il proverbio: « Una mano lava l'altra, e ambedue lavano il viso. Sonvi altri che vogliano primeggiare nei pregi esteriori del corpo; essi godono quando sentono a chiamarsi belli e ben vestiti; questo vizio è più comune alle donne, delle quali alcune amano più le vesti che i figli, e al desiderio di comparire belle sacrificano famiglia, pace, marito... e anco l'onore. Guardiamoci dalla civetteria. Donna, consorte e madre, non fare baratto del tuo onore all'acquisto di vesti che ti rendono lo scherno delle insidiose, e che indosso, per sentita abbiezione, struggere ti dovrebbero, quale la camicia di Deyanira. Non essere del numero di quelle a cui la persona della donna è l'abito e il cappello, la vita carne e moine, sciagura la ruga del volto; bensì risplenda in te la donna dal sentimento e dalla intelligenza; la tua vita sia forte per affetto e pel dovere, ti sia sciagura la colpa.

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La portata dell'igiene, a migliorare l'individuo e la razza umana, è smisurata. L'igiene aiutata da intelligente carità e sopratutto dalla politica economia - può trasformare interamente un popolo. L'igiene e nel tempo medesimo un'arte ed una virtù - è virtù personale e nel tempo medesimo virtù sociale - virtù grandi, come essa è modesta o modesta cosa appare. L'igiene possente, leva di progresso nell'individuo come nelle nazioni, è progresso essa stessa. Gli antichi, definando l'igiene, mostravano di comprenderne la natura nobilissima ed i servizi immensi che essa presta agli uomini. Dimenticanza delle regole d'igiene significa decadimento - mentre per lo contrario l'osservanza coscienziosa de'suoi insegnamenti, val quanto dire, prosperità. La sanità è il primo, il massimo, il precipuo de'beni corporali; la sanità è condimento, è condizione del bene; essa dà valore alle altre cose della vita; essa è la forza dell'uomo. Senza della sanità, onori ricchezze, bellezza e la gloria istessa, per cui s'affanna e si martella la miglior parte dell' umanità, perdono assai della loro attrattiva. La sanità poderosa e robusta dell'uomo e la giusta misura del suo valor sociale. L'uomo in tanto può, e in tanto produce in quanto è sano - e proporzionatamente anche in misura della personale sua robustezza. Tra un operaio (bracciante, scienziato, artista), sano robusto ed un operaio malaticcio o debole, il lavoro sarà in generale e maggiore e più eccellente, nel primo che nel secondo. D'uomini eminenti, non robusti, che operarono grandi cose, che scopersero veri sublimi o intravidero la soluzione di oscuri problemi, o che con invidiabile perseveranza e ammirevole valore consacrarono anni tribolati a utili e nobili intraprendimenti, la storia registrò nomi parecchi. Ma sani, forse avrebbero prodotto più e meglio - e sospettar puossi che le opere loro maturate fossero ne'momenti di relativa sanità e forza, conceduti anche a' men sani ed a' men potenti. Ad ogni modo furono eccezioni. La felicità, o almeno quella non oscurata e piena contentezza dell'essere, non si dà senza salute. L'uomo privo della salute è o inutile o men utile, o di peso altrui; piglia nel libro sociale frequentemente il posto de'non valori o delle perdite. La malattia stà per l'umano consorzio siccome un debito - talora gravissimo - che la carità s'impegna di saldare con somma fatica; nè sempre ci riesce. Il medico, e sopratutto il medico-igienista, è una possente leva di economia domestica e sociale. Quando l'igiene per la cresciuta coltura sarà universalmente conosciuta, quand'essa, penetrata nel convincimento delle moltitudini, sarà generalmente praticata, senza pedanteria, senza viltà, ma con civile fermezza, moltissimi mali scompariranno dalla famiglia e dalla società e moltissimi altri saranno fatti assai più miti, e però più sopportabili: - il gran tesoro sociale sarà accresciuto di tanto, per le generazioni a venire. L'igiene abolirà molti ospedali, e chiuderà molte farmacie: - nel modo stesso che la civiltà, educando le genti, a molte carceri sostituirà l'opificio e la scuola. L'igiene è uno de' più possenti ausiliari della virtù. Anzi a chi ben pensi, la virtù non altro apparirà se non igiene dell'anima. Un'anima schiava delle passioni, a vizi proclive, altro non è invero che una meschina, la quale ha perduta la salute sua. -Anima virtuosa, anima sana. Quanto possa una mente sana conservare sano il corpo, temprarlo ad ogni prova, o per lo contrario quanto gli stati di passione e di malattie fisse dello spirito valgano a conturbare l'armonia delle funzioni corporee epperò alterare la salute è cosa da non potersi guari precisare : - è però verissimo ù che siccome la influenza della sanità corporale è grandissima sulle operazioni regolari dello spirito; così del pari la sanità della mente e dell' animo sopra gli uffici della fisica vita è sommamente rilevante. Sanità corporea e squilibrio o malattia dello spirito sono contraddizione ed assurdo. Epperò se è verissima l'antica affermazione: mente sana in corpo sano; non è men vera quest'altra: spirito sano, corpo sano. I fini nobilissimi dell' igiene, i servizi segnalati ed incessanti ch' essa rende all'individuo, alla famiglia, alla umanità, caratterizzano la sua importanza. Chi conoscendo la serena sebbene austera bellezza di lei, non ne innamora ; chi sapendo quando buoni e quanto soavi sieno i frutti suoi, non ne segue i consigli, molto s'assomiglia allo stolto. - Costui non accresce il capitale delle forze avute da benigna natura, almeno non si studia di conservarle con savia condotta: ei merita ogni biasimo e il compatirlo de' mali suoi è non lodevole cosa. L'igiene è dovere di tutti - è rispetto a noi medesmi... è rispetto altrui. - Adempiuto tal dovere, come dall'adempimento d'ogni dovere sulla terra, germoglia la contentezza e nasce il bene. Lettore, sii tu esempio vivente del rispetto che ogni uomo deve ai dettati della scienza. - Anzi tu dei far di più: da scolaro trasformarti in maestro di coloro che sanno meno di te. - II popolarizzare la scienza non ha merito minore che l'arricchirla - II sapere di un essere pensante e patrimonio universale. Chi sa e nasconde le cose utili e buone a sapersi, disconosce il diritto altrui. Egli è frodatore de' suoi fratelli. L' insegnare non è men necessario che l'inventare. E la legge della solidarietà universale - essa lega noi al passato ed al futuro. I nostri padri hanno sudato per noi, a noi il debito di faticare per i figli nostri. L' umanità dal primo uomo all' ultimo , è una sterminata famiglia - nella quale i tesori ricevuti dai vecchi, deggiono essere trasmessi accresciuti alle presenti generazioni alle successive e venture: e ciò fino alla fine dei secoli. Non obliare il passato e vivere per l'avvenire ! Fatica e lotta ispirata alla virtù. Ecco per la umanità il solo leggittimo progresso. Igiene per tutti: Pensieri del Dottore SECONDO LAURA, 1873.

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La natura ha scolpiti nel cuore di ogni uomo questi due principali doveri; Non fate agli altri quello che non vorreste fatto a voi stessi: Fate agli altri quello che vorreste fatto a voi. Cristo lasciò scritto « Ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo tuo come te stesso » in questo precetto come nei due primi sono comprese le leggi dell' onesto e del giusto. II Galateo insegna relativamente al primo dovere che l' onore del nostro prossimo dee esserci caro quanto il nostro; invece adunque di farci, come le molte volte crediamo poterlo fare impunemente, accusatori spietati delle debolezze altrui, invece di spargerle per il paese e di raccontarle fino a chi non vuol saperle, copriamole col manto della carità. A nessuno è lecito il sindacare la vita privata del suo simile valendosi di quella libertà che solo ragionata, ben intesa è tale, peggio cui spetta anzi farsi scuola di morale di fratellanza, di civiltà, della libertà di stampa vogliamo dire: operando diversamente tu puoi, anche senza volerlo nuocere ed offendere la cosa più cara e più preziosa del mondo, l'onore. A questo riguardo ricordiamo sempre come sia l'arma la più vile quella dell'anonimo che gratuitamente insulta, vilipende l'onore altrui, e vile del pari sia chi da credito al libellista che sotto il manto di usurpata onestà non teme di denigrare la riputazione di colui che per le sue virtù gli fa ombra e coi suoi benefizii offusca la menzognera bontà delle opere del diffamatore, invidioso del bene che non sa fare, e presuntuoso! Dia, la società, lo sfratto a quei rettili schifosi ! N. D A.

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Togli la vita, a chi ti toglie il pane suolsi dire comunemente da chi in condizione meno agiata, alludendo a chi fa maggior guadagno, quasichè non fosse lecito a chi è più intelligente e laborioso lo accrescere i suoi guadagni con oneste speculazioni, ecco un difetto di educazione, una contravvenzione al galateo sociale. Non abbiamo tutti il diritto di vivere col sudore della nostra fronte?

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Fate agli altri quello che vorreste fatto a voi. Se l'orfanello abbandonato, la vedova derelitta e il vecchio curvo sotto il peso degli anni e delle infermità, ci stendono le braccia scarnate dalla miseria, non chiudiamo le orecchie ai gemiti della povertà dicendo come molti usano: Chè non vanno al ricovero? Ricordiamoci piuttosto che vivendo in Società non possiamo esimerci dall'obbligo della carità, che nessuno è così povero che non vi possa soddisfare. La carità, dirò con GIULIANO, è la prima delle virtù che rendono gli uomini somiglianti agli dei: « Il genio della « carità ha sempre ispirato il cuore degli italiani anche nei foschi tempi in cui « parvero da ogni altro genio abbandonati. » La vita e l'anima dell'Italia, disse MOREAU CRISTOPHE, stanno nei suoi istituti di beneficenza. Se un uomo è da altri accusato, non siamo troppo pronti a giudicarlo, senza sentirne la difesa; se è veramente colpevole, usiamogli la carità di ammonirlo e procuriamo d'indirizzarlo nella via della virtù. Se è dubbioso o ignorante, siamogli cortesi dei nostri consigli; se è brutto o difettoso di corpo, apprezziamo i pregi del suo spirito, e compatiamo i difetti della natura. Pur troppo tutti i giorni vediamo, deridere e disprezzare un tale, perchè gobbo, altri perchè di deforme o misera apparenza; ecco un contegno degno di biasimo e che nota in chi lo fa povertà di spirito e la più completa ignoranza del come si debba stare in società, perfetta mancanza di galateo. Così pure veniamo meno a noi stessi ogni volta che cerchiamo per noi soli i comodi della vita, quando gelosi del nostro bene serriamo nel nostro cuore la gioia, e invidiosi del bene altrui, ci affatichiamo di turbare la pace del nostro prossimo.

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Incontrando qualche uomo per via di riguardo non esitiamo a torci di capo il berretto e lasciargli libero il passo; se ci occorre accompagnarlo, il nostro posto sia sempre alla sinistra, e se accade che egli debba parlare con altri, discostiamoci alquanto per non udirne i discorsi. Camminare a balzi e a salti, agitare con furia le braccia, fissare in volto le persone che passano, o buttar loro in faccia il fumo del sigaro, piantarsi duro e impalato dove più trae la gente, o aprirsi fra la calca a forza di gomiti il passaggio, fermare un amico che va pei fatti suoi, e fargli, non richiesto, compagnia, e appoggiarsi con pesantezza di corpo al suo braccio, son modi tutti incivili, che dovranno a tutta possa evitarsi. Molti, e specialmente il popolano, quando tornano a sera in città , hanno il brutto vezzo di fare schiamazzi, cantando con stridula voce canzonaccie da trivio, o col dirsi reciprocamente villanie, o coll'inseguirsi con bastoni, o tirarsi addosso dei sassi, o provocando cani ad abbaiare e via al solo scopo di fare paura, e con tale contegno vengono meno alle regole più comuni della civiltà, che insegnano queste due cose: 1° Procurare che le nostre parole e i nostri detti riescano graditi ad ogni persona; 2°Evitare ogni atto ed ogni parola che possa cagionare molestia o dolore a chicchessia.

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Il chiacchierare troppo forte, il fare tumulto per modo da disturbare il vicino: il voler rimanersi col capo coperto per modo da togliere a chi è dietro di noi la vista dello spettacolo, il continuo girare e muoversi da un luogo all'altro sono tutte cose sconvenienti e disdicevoli a chi si vanta d'essere bene educato.

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Novantanove su cento entrano nel sacro luogo col pensiero rivolto a tutt'altro che a Dio, alla funzione religiosa; molti hanno la sfacciatagine di vantarsene dicendo che vanno per far all'amore con le crestaie, serve, ecc. permettendosi difatti di parlare ad alta voce di chiamare l'attenzione del compagno su questa o su quell'altra, di fare oggetto di commenti ridicoli la giacitura delle devote, di ridere delle cose sacre e delle persone che esercitano il santo ministero. II soffiarsi troppo forte il naso , lo sputare del continuo, il muoversi or a destra or a sinistra, il parlare anche sotto voce mentre si compiono le sacre funzioni, lo sviare in qualsiasi modo l'attenzione degli uditori, sono tutte cose altamente meritevoli di biasimo e non potranno mai che condannarsi da chiunque abbia ricevuto le norme più elementari del civile e dell'onesto. Egualmente noi censuriamo quelle donne che non si vergognano di entrare in chiesa con armi e bagaglio, con cesti, cestoni, e di far vendita delle loro merci entrando o uscendo dal luogo sacro se pur non nell'interno. E ciò dicono fare per comodità, quasicchè per pregare il Signore si dovesse fare a nostro comodo!

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Vogliamo noi recarci a fare visita a persona a noi superiore? Ricordiamoci di farci prima annunziare e prima d'inoltrarci chiedere il permesso, onde non avvenga di entrare in un momento inopportuno, e perché la nostra visita non riesca di tedio alla persona visitata. Salutare dobbiamo quindi con un inchino le persone presenti, sedere ben composti senza contorcerci, nè sdraiarci sulla seggiola, nè incavallare una gamba sull'altra (abitudine questa che i più hanno e si ritiene contro verità lecita e civile), nè tenerle entrambi incroccichiate o ripiegate all'indietro, nè girare gli occhi di quà e di là per la stanza, nè posarli sugli scritti e sugli oggetti del tavolino. Ottenuta la facoltà di parlare, brevemente dobbiamo esporre l'oggetto della nostra visita. Conversando sarà nostra cura mostrarci educati e gentili: mentre altri parla, dobbiamo astenerci da segni d'impazienza e di tedio collo sbadigliare o col sonnecchiare, o dall'interromperlo bruscamente per fare osservazioni o rettificazioni; non saremo mai abbastanza prudenti nel tollerare le altrui opinioni e nel non adirarsi perchè altri pensa diversamente da noi. Ognuno poi dee guardarsi dal decantare la propria arte disprezzando il mestiere altrui, occorrendo poi di rispondere a ciò che altri dice sovra un fatto che vi sia personale, non si trascurino quelle frasi « mi permetta, scusi, mi faccia il favore » che danno segno di animo gentile e di garbate maniere. Dipartendoci da tale persona, sarà bene cogliere il momento in cui sopravviene altra gente, o ci accorgiamo essere esaurito largamente l'argomento sul quale si ragionava, per salutare gentilmente e uscire.

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Accettato l'invito converrà anticipare di qualche po' per non giungere in punto all'ora del pranzo; chiamati a tavola non correre a sedersi prima degli altri, non prendere il posto più ragguardevole, ma aspettare quello che vi sarà destinato. Seduti, male s'addice all'invitato servirsi prima degli altri, fare questa o quest'altra osservazione sui cibi, stare assorto nell'estasi della crapula, mostrare impazienza del tempo che si impiega fra una portata e l'altra, mangiare con avidità e cercare i bocconi più saporiti, colmare o lasciare colmare fino all'orlo il bicchiere, abusare del vino e via. Finita la tavola non cerchi di rimanersene più a lungo, ma s'alzi cogli altri al momento che il padrone abbia lasciato la mensa. A tavola e letto nessun rispetto è proverbio volgare che si usa per porre gl'invitati a loro comodo ma che non va frainteso nel senso di mancanza al galateo.

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Manchi di galateo ogni volta che ti farai lecito di passare sull' appoggiatoio dei banchi di traversare gli assiti, di salir sulle stufe, di affacciarti alle finestre, e di esporti in qualunque altra maniera a pericolo di caduta. Guardati dal far guasti agli arredi di scuola e d' imbrattare i muri, di toccare le legna delle stufe, di accendere zolfanelli, e di fare qualsiasi azione che possa essere causa di danno. Sarà sempre sconvenienza il far giuochi di mano, il percuotersi, lo schernirsi, il recare sfregio o danno agli abiti ed oggetti di altrui spettanza, e di commettere qualsiasi atto meno conforme alle regole della urbanità e della decenza. Entrando nella scuola qualche persona autorevole, tu dovrai tosto alzarti in piedi, al cenno dato sederti; tu devi rispetto ed obbedienza a tutte le persone incaricate della sorveglianza delle scuole, osservare gli avvisi che riguardano la pulizia dei locali, la conservazione degli oggetti e la pulizia nel cortile o nelle adiacenze della scuola. Uscito che sarai, è tuo dovere lo avviarti tranquillamente a casa senza soffermarti a giuocare nelle vicinanze, gridare, scagliar pietre, far sfregio altrui, o recare, come molti fanno, acquistandosi fama di veri monelli, disturbi ai passeggieri, cose per vero proprie soltanto di quei giovani disgraziati che non godono del benefizio dell'educazione. Sei tu maestro, professore, che so io ? maggiormente t'incombe l'obbligo di nulla fare od ommettere che meno si convenga a sana educazione, non dovrai quindi farti lecito di usare parole ingiuriose, o men che urbane, percuotere in qualsiasi modo gli allievi, additare con ignominia questo o quest' altro alunno perchè discolo, dare castighi che possano avere perniciose conseguenze, come il far croci colla lingua per terra, stare in ginocchio nella scuola e simili. Entrando alcuno a visitare la scuola, il maestro deve accoglierlo coi dovuti riguardi, mostrarsi arrendevole ai consigli e alle istruzioni che gli darà il suo superiore; deve sempre tenere un contegno affabile ad un tempo e severo, atto a cattivargli la confidenza del pubblico e l'amore dei suoi allievi.

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Se esiste un regolamento, è in obbligo di prenderne visione facendosi costante studio di ottemperare a quanto si prescrive, deve in seguito cercar di conoscere i luoghi dove d'ordinario si ripongono gli strumenti di cui può avere bisogno nell'esercizio dell'arte sua. Questi avvertimenti, che a taluni di voi sembreranno fuori caso, sono invece indispensabili, per darsi appunto poca o veruna importanza a quei doveri che pure devono facilitare il lavoro più assai che non si crede, e dall'adempimento degli stessi, potranno il padrone od il capo della officina giudicare della capacità dell' operaio. Mentre osserverà il modo di lavorare dei suoi compagni userà pure la maggior diligenza possibile nell'educazione dei lavori affidatigli, ricordandosi che spesso si giudica dai primi lavori, e che difficilmente si vince la prima impressione, e quando anche la sua condotta fosse per l'avvenire degna d' encomii, se in sulle prime venne giudicato cattivo operaio, si troverà pur sempre alcunchè da biasimare nel suo operato. Abbia cura di essere munito del suo libretto debitamente vidimato da chi di ragione, sia per non cadere in contravvenzione coi regolamenti vigenti, sia perchè il libretto è la miglior garanzia che possa offrire al nuovo padrone, è il foglio di via per l'operaio, è in certo modo, anche una commentatizia per ottenere credito in caso di bisogno. Entrato nell'officina, non venga mai meno la cortesia che tutti da lui aspettano, convincendosi di questa grande verità - che si ottiene tutto ciò che si vuole con buon garbo, mentre diversamente non si ottiene nulla. - Vogliamo essere sinceri, amici miei, non è sempre quello il vostro modo di vedere, e i più fra voi credono che la cortesia ed i bei modi alberghino e debbano albergare solo nelle sfere più alte; v'ingannate di gran lunga, giacchè i vostri dissidii, le vostre inimicizie non hanno altra origine che la prepotenza dell'uno verso l'altro, che la sgarbatezza e la caparbietà... Nè di tal vezzo di mal parlare do a voi tutta la colpa, bensì alla mancanza d'educazione, al centro in cui vivete, per il vostro stesso bene noi vorremmo che dai padroni si proibissero, con regolamenti severi tutte le parole meno convenevoli, ingiuriose ed indecenti. Rispetto ai vostri capi, ordine e disciplina e su ciò non credo necessario il soffermarmi bastando far cenno di tali vostri doveri per conoscerne tutta l'importanza: egli si è invece circa i vostri rapporti coi compagni, che vi tornerà utile e gradito, spero, un qualche suggerimento. Vi credete tutti eguali e tali siete; ma la eguaglianza non toglie che dobbiate disconoscere la superiorità di coloro che sono più anziani di voi, che dobbiate astenervi dall'ascoltare e mettere in pratica i loro consigli, che non dobbiate essere loro riconoscenti per l'aiuto che vi porgeranno per le ammonizioni che dovessero farvi: per altra parte se voi siete loro superiori, non fate caso del vostro sapere, nè fatene ostentazione, mostratevi invece sempre pronti a far fruire gli altri delle vostre cognizioni e siate sempre pronti a porre riparo alle mancanze altrui. Essenzialmente per i nuovi giunti debbo richiedere la vostra indulgenza, la vostra bevolenza onde avvenga che dobbiate rimproverarvi di essere gli autori della loro difficile e misera condizione; avviene per vero di frequente che, malmenati e cacciati per la cattiveria di taluni, dalla officina dove erano entrati credendo di trovare lavoro e con questo i mezzi di sussistenza, vadano errando qua e là, finchè, perduta ogni speranza di poter fare il bene diventino oziosi e vagabondi, e paghino il fio del loro cattivo operato, del quale spero erano del tutto alieni nella loro giovane età.... V. il Libro dell'Operaio Edizione 1, II, III, IV, V, e il Libro dell'Operaia che l'egregia signora PIGORINI disse avere pubblicato sulle basi del nostro onorandoci delle più lusinghiere parole. N. D. A.

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Imitate il grande FRANKLIN nel correggere i vostri difetti se volete sempre essere contenti di voi stessi, e nell'officina vostra essenzialmente praticate le seguenti virtù: Silenzio - Dirai quello soltanto che può bastare agli altri o a te stesso, sfuggi il conversare ozioso: Ordine - Ogni cosa abbia il suo posto, e ogni affare il suo tempo: Risolutezza- Risolviti a fare quello che devi, e fa puntualmente ciò che hai risoluto: Lavoro - Non gettar via il tempo; occupati sempre in qualche cosa che sia utile; astienti da ogni azione che non sia necessaria; Sincerità - Non far mai uso di maligni raggiri; pensa con innocenza e giustizia; parla come tu pensi: Moderazione - Sfuggi gli eccessi; bada di non ti sdegnare delle offese con tanto calore, quando ti sembra che meritano: Tranquillità - Non ti turbare nè per inezie, nè per casi ordinari o inevitabili.

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Abbiamo perciò sempre condannato quel calessiere che nel momento, in cui incespisce e cade, si permette dargli colpi di frusta e mazzate, prorompendo in imprecazioni: sono così orrende bestemmie da muover a pietà e a sdegno ogni anima gentile, come ogni altro atto crudele. Tutti sanno come a Sparta venisse condannato a morte un fanciullo che infieriva contro un innocente uccello, perchè si giudicò che quel fanciullo dovesse crescere un assai triste uomo, se in così tenera età, piacevasi a tormentare, senza punto ucciderlo, un animaletto innocente. Noi non invochiamo tanta severità, ma insistiamo acchè venga coltivato nel popolo il sentimento dell'umanità. Nel nostro libro dell'Agricoltore che nel 1867 fu pubblicato, abbiamo trattato con ampiezza un tale argomento. Siamo lieti di far conoscere in riguardo la costituzione della Società Torinese protettrice degli animali fondata nel 1871 e tuttora presieduta dal nostro ottimo amico dottore TIMOTEO RIBOLI. Essa progredisce vieppiù e novera fra i suoi soci alti personaggi e nomi illustri. Ne fu promotrice la cara sig. WINTER di Londra e la volle il generale GARIBALDI che ne affidava l'incarico al patriota ricordato: pubblica un giornale per registrarvi gli atti del Sodalizio e riferisce sulle Società consorelle che hanno eguale scopo.

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Se l'amico incaricato porta un rifiuto si deve, almeno per qualche tempo rimanere a riguardo della giovane nello stesso contegno tenuto prima. Ogni allusione al rifiuto incorso, sarebbe di cattivissimo gusto. Se non si conosce persona che sia in rapporto con la famiglia della giovane si può indirizzare la domanda al curato della parrocchia o al notaio della famiglia. Ma sia che uno s'indirizzi al parroco o al notaio è indispensabile prima di farsi raccomandare da qualche persona rispettabile la cui testimonianza sia indiscutibile. Se la risposta della famiglia è favorevole, allora si domanda di essere presentati.

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Poi invitano il giovine a ritornare fissando l'ora e il giorno della prossima visita. Nel caso che i parenti della giovane non trovino soddisfacenti le risposte del giovine non fanno conoscere l'ammontare della dote e domandano tempo a riflettere. II giovine non deve insistere, nè lui, nè indirettamente gli amici suoi. Deve aspettare che lo richiamino se le riflessioni gli sono state favorevoli. Se al contrario la sua domanda è accolta immediatamente, deve essere scrupolosamente esatto nel fare la visita all'ora indicata. Un abbigliamento troppo cerimonioso è di cattivo gusto; troppo negletto sarebbe segno manifesto di non saper vivere in società. La famiglia della giovane deve scegliere per questo incontro giorno ed ora in cui niuna visita è aspettata. La giovinetta deve essere in mezzo ai parenti; il suo abbigliamento deve essere semplice ma accurato. La giovane deve essere prevenuta della richiesta fatta della sua mano, nondimeno nessuna allusione deve essere fatta su ciò durante il primo incontro. Se questo primo incontro sembra sufficiente al giovine, egli deve far indirizzare una domanda dalla sua famiglia a quella della giovane per essere ammesso nella casa a titolo di pretendente. Questo passo è fatto dal padre del giovine, o in difetto di questo dalla madre, da un parente prossimo, o anche da un amico. Appena il consenso dei parenti della giovane è accordato, il giovine va tosto a fare alla famiglia della sua pretesa una visita di ringraziamento: però scrive prima per chieder l'ora, nella quale potrà essere ricevuto. La giovane non deve trovarsi colla sua famiglia al momento dell'arrivo del giovine, ma si fa chiamare dopo lo scambio dei rigraziamenti e dell'accettazione. In allora gli si presenta il giovine come suo futuro marito. Ma questa presentazione è una cosa di forma soltanto, poichè la giovane deve essere anticipatamente prevenuta onde evitare sia la sorpresa, sia il malcontento, sia il dispiacere. A datare da questo momento il giovine è ricevuto intimamente, ma non famigliarmente nella casa. Questa distinzione è delicata, noi andiamo a chiarirlo. Sarebbe per esempio una mancanza assoluta di educazione di non presentarsi tutti i giorni con un abbigliamento accurato, altrettanto dicasi per la giovane. Quando è ufficialmente annunciato una giovinetta non deve più farsi vedere al passeggio, al teatro; dippiù il padre e la madre chiudono la loro casa ad ogni persona estranea alla famiglia restringendosi a ricevere i membri soltanto della propria, quelli della famiglia del giovine e i loro amici più intimi.

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. - II disparere tra le due linee equivale a consenso. Se non esistono genitori, nè adottanti, né avi, nè avole, o se niuno di essi è nella possibilità di manifestare la propria volontà, i minori degli anni ventuno non possono contrarre matrimonio senza il consenso del consiglio di famiglia. Il Re, quando concorrano gravi motivi, può dispensare dai seguenti impedimenti di matrimonio, tra gli affini nel medesimo grado, tra lo zio e la nipote, la zia ed il nipote.

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La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta da due pubblicazioni a farsi per cura dell'ufficiale dello stato civile. L'atto di pubblicazione indicherà il nome, cognome, la professione, il luogo di nascita e la residenza degli sposi, se essi siano maggiori o minori di età, e il nome, il cognome, la professione e la residenza dei genitori. Le pubblicazioni si fanno alla porta della casa comunale in due domeniche successive. L'atto resterà affisso nell'intervallo tra l'una e l'altra pubblicazione e per tre giorni successivi. La richiesta delle pubblicazioni deve farsi da ambedue gli sposi personalmente o dal padre o dal tutore, o da persona munita da essi di mandato speciale ed autentico. L'ufficiale di stato civile non può procedere alle pubblicazioni se non gli consta del consenso degli ascendenti o del consiglio di famiglia o di tutela nei casi in cui tale consenso è necessario. Se l'ufficiale dello stato civile non crede di poter provvedere alle pubblicazioni ne rilascierà certificato esprimente i motivi del rifiuto. Se il richiedente crede ingiusto il rifiuto, può ricorrere al Tribunale Civile che provvederà, premesse le conclusioni scritte dal Pubblico Ministero. II matrimonio non può essere celebrato prima del quarto giorno dall'ultima pubblicazione. Le pubblicazioni si considerano come non avvenute, se il matrimonio non è celebrato nel termine dei cento ottanta giorni successivi. Il Re o le autorità a ciò delegate possono per gravi motivi dispensare da una delle pubblicazioni. In questo caso sarà fatta menzione della dispensa nell'unica pubblicazione. Può anche essere concessa per cause gravissime la dispensa da ambedue le pubblicazioni, mediante la presentazione di un atto di notorietà, col quale cinque persone ancorchè parenti degli sposi dichiarino con giuramento davanti al pretore del Mandamento di uno di essi, di ben conoscerli, indicando precisamente il nome e cognome, la professione e la residenza dei medesimi, dei loro genitori, e di poter assicurare sulla loro coscienza che nessuno degli impedimenti dalle leggi stabiliti si oppone al loro matrimonio. II pretore deve far precedere all'atto di notorietà la lettura degli articoli 56,57, 58,59, 60, 61 e 62 del Codice Civile, ed una seria ammonizione ai dichiaranti sulla importanza della loro attestazione, e sulla gravità delle conseguenze che ne possono derivare. Gli sposi debbono presentare all'ufficio dello stato civile del comune in cui intendono celebrare il matrimonio: Gli estratti dei loro atti di nascita; Gli atti di morte o le sentenze che provino lo scioglimento o la nullità dei precedenti loro matrimonii; Gli atti comprovanti il consenso degli ascendenti, o del consiglio di famiglia o di tutela nei casi in cui è dalla legge richiesto; Il certificato delle seguite pubblicazioni o il decreto di dispensa; Tutti gli altri documenti, che nella varietà dei casi possano essere necessari a giustificare la libertà degli sposi e la loro condizione di famiglia. Se uno degli sposi fosse nella impossibilità di presentare l'atto della sua nascita, potrà supplirvi con un atto di notorietà formato dinanzi al pretore del luogo della sua nascita o del suo domicilio. L'atto di notorietà conterrà la dichiarazione giurata di cinque testimonii dell'uno o dell'altro sesso, ancorchè parenti degli sposi, in cui con tutta esattezza e precisione essi indicheranno il nome e cognome, la professione a residenza dello sposo, e dei suoi genitori se conosciuti, il luogo, e, per quanto sarà possibile, il tempo di sua nascita, i motivi per cui non può produrre l'atto corrispondente e le cause di scienza di ciascun testimonio. Il consenso degli ascendenti qualora non sia dato personalmente davanti l'ufficiale civile, deve constare da atto autentico, il quale contenga la precisa indicazione tanto dello sposo al quale si dà il consenso, quanto dell'altro. L'atto esprimerà pure il nome e cognome, la professione e residenza, e il grado di parentela delle persone che danno il consenso. II consenso del consiglio di famiglia o di tutela deve constare da una deliberazione contenente le condizioni anzidette. Un ufficiale non può ottenere dal ministero il permesso di accasarsi, se la giovine che vuole sposare non può giustificare una dote di venticinquemila lire perfettamente assicurate, o la rendita di mille e due cento lire. Il militare agli atti designati deve aggiungere il permesso del ministro della guerra. Detta permissione si ottiene indirizzandosi prima al colonnello del reggimento, il quale trasmette la domanda al ministero.

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In famiglia l'uomo è circondato da persone a lui legate i vario modo coi vincoli più stretti e più sacri del sangue; egli vi ha la donna che si prese per compagna della vita, vi ha i figli ai quali ha dato la esistenza, vi ha quasi sempre i genitori a cui è debitore egli stesso del suo essere. Verso tutte queste persone egli ha dei doveri speciali da adempiere. Deve considerare sua moglie come persona affatto a lui eguale e perciò deve amarla, rispettarla, aiutarla e proteggerla perchè debole; villano diciamo pertanto chi non si vergogna di maltrattare la propria donna, di villaneggiarla e anche di batterla. Vien meno a sè stesso e al rispetto dovuto alla donna se non avrà verso di lei tutta la dovuta confidenza permettendosi lo sgarbato e grossolano detto: Le donne non son gente; se si crederà in diritto di tenerle nascosti gli interessi, i dispiaceri di famiglia, per andar poi narrare le cose sue nelle bettole o nelle strade. Mostriamo anzi che siamo degni della odierna civiltà tenendo quell'essere, che ci è compagno nelle vicende della vita, a noi eguale in dignità ed in diritto, in molta considerazione, ricordandoci che essendo buoni mariti, saremo al certo anche buoni padri di famiglia. Nelle epoche specialmente della gravidanza e di allattamento ci è debito sollevare la donna nostra; i popoli più antichi e più barbari la tennero in venerazione, noi cristiani e civilizzati vorremmo essere meno di loro? Eppure le molte volte ci fu dato di vedere operai, contadini ed anche gente che vuol essere educata, considerare la moglie come l'ultima delle serve, sforzarla al lavoro fino agli ultimi giorni e quasi la rimproverassero di un torto, la strapazzano, e la ingiuriano; mentre dessa umile, rassegnata, si concentra nella dolce consolazione che riceverà in cuor suo quando sarà madre!! Soavità ammirabile, provvidenziale! Colui pertanto che disprezza la donna sua è un insensato, è un malvagio il quale presto dimentica che ei mette nel fascio anche la madre sua, e oltraggia il seno che gli diede la vita. Onoriamo nel sesso della mansuetudine le virtù casalinghe, l'incanto della bellezza, l'impero delle grazie e la potenza dell'amore. Non dire come i più si permettono credendo fare gli spiritosi « che il matrimonio è la tomba dell' amore » piuttosto ricordiamo sempre che come noi abbiamo diritto all'affetto, alla stima, alla obbedienza della nostra moglie, per altra parte disonorandola disonoriamo noi stessi. Il padre di famiglia reprime le sue cattive tendenze alla vista della affettuosa consorte e dei teneri figli; egli non vuole arrossire dinnanzi ad essi, nè lasciar loro in retaggio l'obbrobrio. E basta anche spesso una moglie saggia a ritenere il marito dal commettere una cattiva azione; coi consigli dati a proposito e con dolcezza, colla sua sottomissione, colle lagrime essa giunge quasi sempre a ricondurre sulla retta via il marito che abbia traviato, o a prevenire le funeste conseguenze della di lui incondotta. E alla sua volta la madre di famiglia sul punto di cedere alla seduzione e di traviare, specchiandosi nei suoi cari ragazzi e volgendo lo sguardo al marito, sente rinascere nel suo seno la coscienza del dovere, la dignità di moglie e di madre, il puro affetto della famiglia. E col Frua le rivolgiamo i seguenti consigli; sii affettuosa o donna, al tuo consorte, e a lui t'affida. Non assumere alla scuola di false amiche il triste coraggio di resistere a lui e gli far guerra con ogni artifizio, siccome ad avversario che convenga ingannare. Impari la donna ad incedere nell'ordine modesta e confortata dal sentimento della umana natura; riconosca ancora una volta che nella famiglia risplendette sempre la vera grandezza della donna. Stolta colei che, ricusando il posto d'onore, che ai focolari le apre il mondo morale, mette fra soddisfazioni infantili il cuore sulla strada. Rendi gradito al consorte l'ostello che ei fondò nella saggia operosità della tua vita. Non ti fare a lui vaso di Pandora, o coll'accondiscendere agli affettuosi inviti suoi, non gli imporre a scotto novelli acquisti di futili cose. Guarda che per lungo sconforto egli, alfine divagando dalla famiglia, non invecchi finalmente nella sirena, e crolli sopra di te la casa cui tu non sapesti essere saldo fondamento. Una seria educazione. La donna e la moglie. Quando la stima conforta e abbellisce il matrimonio, presenta questa comunanza uno spettacolo sublime e caro di affettuosa concordia, succedendo all'amore, che inebbriò i primi anni, una deliziosa amicizia, una tenera intimità, un dolce bisogno di vivere insieme, di consacrarsi l'uno al bene dell'altro. Ma per godere delle dolcezze, piene di affetto, di questa vita, l'uomo deve guardarsi da dissipate costumanze e anche dall'abusare della sua autorità; e la donna deve dedicarsi tutta alla casa, rispettare i diritti del marito, e cercare di rendere soavi i vincoli matrimoniali. Devono l'uno e l'altro fare concessioni, e non mai rendersi colpevoli di villana rozzezza o anche solo di fredda negligenza e di trascuratezza nei loro rapporti. L'intimità coniugale vuol essere delicata e nulla deve togliere di quella riverenza e cortesia, che si dimostravano gli sposi prima di giurarsi amore e fedeltà sull'altare. Il marito si astenga dal far sentire autorità dispotica o anche solo dal correggere con asprezza. La dipendenza della moglie verso lo sposo sia dettata dall'affetto e dalla stima, non già imposta dall'alterezza. Non le comandare, diciamo al marito perchè tu sei più forte, il che sarebbe una gran viltà, ma sopporta eroicamente ogni suo corruccio pensando alle tante sue sofferenze come Donna, ma non declinare allorchè teco è la ragion morale del comando. Il più utile mandato, dice Frua, dell'uomo nel santuario di sua famiglia, sta in questo: che i figli fin dove l'abnegazione è culto di virtù, imparino da lui nella modesta epopea del matrimonio la virtù della civile malizia e del sopportare dignitoso; ma la tolleranza è scortata dalla prudenza, e questa guarda all'ordine e alla dignità. Il marito adunque si guardi dall'incuria, dallo sgarbo e persino dalla ineleganza; e sia pieno di attenzione verso la moglie; né mai dimostri al di lei fianco l'indifferenza e la noia; e la moglie renda attraente e cara al marito la casa, ponendo ogni studio per piacergli, concentrando su di esso e i suoi figli le sue tenerezze e le cure. Si ricordi la donna, che se con leggerezza di mente solo pensa agli acconciamenti e alle mode, se solo sogna feste e teatri, se il suo studio è soltanto quello di brillare in mezzo alle dissipazioni del mondo, non può a meno di finir male, con disdoro proprio e rovina della famiglia, rendendo se e tutti disgraziati. La ritenutezza e la prudenza, le virtù casalinghe e i gentili affetti soltanto possono rendere rispettabile e rispettata la donna, stimata ed amata la madre di famiglia, il genio tutelare della casa. E qui ci sia lecito di ricordare con Silvio Pellico i doveri dell'uomo e ripeterne i consigli. « L'obbligo, egli dice, è maggiore, perchè la donna è creatura più debole; e tu, siccome forte, le sei maggiormente debitore d'ogni buon esempio e d'ogni aiuto.» « L'anima della donna è naturalmente dolce, riconoscente, disposta ad amare in supremo grado quell'uomo che è costante in amarla ed in meritare la sua stima. Ma perch'ella è molto sensitiva, si sdegna agevolmente dell'inamabilità del marito e di tutti i torti che possono degradarlo. E questo sdegno può spingerla ad invincibile antipatia ed a tutti gli errori che ne conseguono. La sventurata sarà grandemente rea allora, ma cagione di sue colpe sarà di certo il marito.»

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Gli aspiranti non devono mai chiamarsi semplicemente col loro nome di battesimo: essi devono sempre aggiungere a questo, le parole, signore, signorina sia che parlino fra loro, sia che parlino a dei terzi. Se dopo essere stato il giovine ammesso come aspirante in una casa, delle ragioni gravi lo consiglino di abbandonare le trattative, si deve in tale rottura, usare ogni sorta di riguardo. Ordinariamente si prende a pretesto, una malattia o un viaggio, che obbligano a sospendere le visite: poi si scrive direttamente al padre o al tutore della giovine una lettera rispettosa, nella quale si esprime tutto il dispiacere di essere obbligato a ritirarsi per delle ragioni o affari di famiglia impossibili ad essere significati, ecc. A datare da questo giorno, si deve cessare di andare in ogni casa ove si crede possibile l'incontro sia della famiglia, sia della giovine che si è obbligato di rifiutare. Se alla prima visita che il giovine ha fatto alla famiglia della giovine, le condizioni di dote, di speranze future della giovine non hanno soddisfatto il giovine, egli deve l'indomani scrivere alla famiglia non una lettera di rifiuto, ma una lettera nella quale annuncia che un piccolo viaggio lo priva dal piacere di fare la visita alla quale era stato autorizzato ecc. Una volta ammesso nella casa come aspirante il giovine deve andarvi sovente ma sempre in cerimonia, e ogni giorno della sua visita deve farsi annunciare con un mazzo di fiori che invia alla sua fidanzata. Se è una signorina di un'età matura o una vedova che si desidera sposare, cioè una donna indipendente e padrona della propria mano non è a lei che bisogna indirizzarsi per conoscerne le intenzioni, ma al suo notaio o a una delle sue amiche intime: convien astenersi da ogni visita sino a che non si abbia avuta la risposta. Se la domanda è accettata s'invia subito un mazzo di fiori con un biglietto per domandare a qual ora si può essere ricevuto. In caso di rifiuto bisogna continuare ancora le visite, soltanto se ne fa una ogni tanto e non si presenta che nelle ore nelle quali si è sicuro di trovare altre persone. Infine se si ha intenzione di rompere affatto la relazione, si fa poco alla volta con bella maniera. È di cattivissima educazione il parlare ad una donna del suo rifiuto sia direttamente sia indirettamente. È sottinteso che non si deve mai discorrere d'interessi con la fidanzata: si incarica di ciò o il notaio o un amico comune. II matrimonio deve tenersi celato sino al momento del contratto, ed è soltanto pochi giorni prima di effettuarlo che si annuncia ufficialmente agli amici.

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. - Del resto a questo riguardo non vi è nessuna regola fissa. In certe famiglie il giorno del contratto si fa una festa: in certe altre si firma soltanto alla presenza delle persone interessate. Ma sì nell'uno che nell'altro caso se il notaio è andato a far firmare il contratto nella casa della fidanzata, deve essere invitato a pranzo tanto se si firma prima, quanto se si firma dopo il pranzo. Il prezzo del contratto va regolato un tanto per cento sulla dote: ed esso è fissato all'amichevole col notaro, il quale il più delle volte lascia fissare il suo onorario dai clienti stessi. Le basi del contratto devono essere già stabilite fra le parti prima che sia stabilito il giorno della firma, poichè una questione d'interesse in detto giorno sarebbe una cosa poco delicata. Se le parti non possono mettersi d'accordo, e che una di esse voglia rompere le trattative, si deve fare con le forme più gentili possibili e prendere un pretesto per ritirarsi. È un grande onore l'ottenere nel contratto la firma del re, di un principe del sangue o di un alto dignitario dello stato. Tutto quanto concerne le spese di atti di matrimonio deve essere pagato dal futuro marito. Dopo che il notaio ha finita la lettura del contratto il futuro si alza, saluta la sua fidanzata come per dimandarle la sua approvazione, firma l'atto e le offre la penna. Essa firma a sua volta, poi offre la penna alla madre del fidanzato, che la porge a sua volta alla madre della futura. I due padri firmano in seguito, e dopo di essi tutti i membri delle due famiglie, in generale per ordine di età. Si designano allora al notaio le persone presso le quali si desidera che il contratto sia inviato.

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Si pongono tutti questi doni in una grande e ricca scatola, oppure su una graziosa tavola da lavoro destinata a far parte del mobilio. S' invia la mattina del giorno che deve essere firmato il contratto assieme ad un mazzo di fiori. Se vi è una festa il giorno del contratto è di uso che la fidanzata vi figuri con un vestimento tutto bianco. Se vi è una festa da ballo, questo deve essere aperto dai due sposi. I due più prossimi parenti fanno il vis a vis. La seconda contraddanza della giovine appartiene di diritto al notaio, senza dubbio per rimpiazzare l'uso che prima esisteva di permettere a questi di abbracciare la fidanzata quand' ella aveva finito di firmare il contratto. Tutte le persone che firmano il contratto di nozze devono fare un regalo alla giovine sposa, secondo la sua posizione sociale.

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La dichiarazione degli sposi di prendersi rispettivamente in marito e moglie non può esser sottoposta nè a termine, nè a condizione. Se le parti aggiungessero un termine o una condizione e vi persistessero, l'ufficiale dello stato civile non potrà procedere alla celebrazione del matrimonio. Essendovi necessità o convenienza di celebrare il matrimonio in un comune diverso da quello sovra accennato, l'ufficiale dello stato civile richiederà per iscritto l'ufficiale del luogo dove il matrimonio si deve celebrare. La richiesta sarà menzionata nell'atto di celebrazione e in esso inserita. Nel giorno successivo alla celebrazione del matrimonio l'ufficiale avanti il quale fu celebrato, manderà copia autentica dell'atto all'ufficiale da cui venne richiesta. Se uno degli sposi per infermità o per altro impedimento giustificato all'uffizio dello stato civile è nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'uffiziale si trasferisce col segretario nel luogo in cui si trova lo sposo impedito, ed ivi, alla presenza di quattro testimonii seguirà la celebrazione del matrimonio. L'uffiziale dello stato civile non può rifiutare la celebrazione del matrimonio se non per causa ammessa dalla legge. In caso di rifiuto ne rilascierà certificato con indicazione dei motivi. Se le parti credono ingiusto il rifiuto, provvederà il Tribunale, sentito il Pubblico Ministero, salvo sempre il richiamo alla Corte di Appello. In caso di opposizione anteriore dei parenti dovranno presentare un atto che provi con ogni regola la loro indipendenza a poter contrarre matrimonio, cioè a dire un atto notarile distruggente l'opposizione, o ancora la prova legale di sottomissione rispettosa stata fatta secondo le prescrizioni della legge. Un sindaco può celebrare nella di lui sala particolare il matrimonio, una persona notevole del paese, ma bisogna che non solamente le porte della sala rimangano spalancate durante la cerimonia, ma eziandio tutte le porte della casa, affinchè possa assistere alla cerimonia chi vuole.

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Del resto non v' ha nessuna etichetta, ciascuno può fare a proprio gusto.

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La Chiesa ha conservate tuttora in uggia al matrimonio civile le sue antiche formalità, cosicchè uno che voglia dopo il municipio passare alla chiesa deve sottomettersi a tutto il rito religioso che costituiva altra volta il matrimonio, mentre ora dette formalità non avendo alcun valore legale, non sono che una benedizione per coloro che vedono nel matrimonio una cosa impura. Così se si deve sposare una parente come nipote, cugina, cognata, bisogna sollecitare una dispensa dalla chiesa e dallo stato civile. Si ottiene con l'intromissione del curato al quale uno s'indirizza prima della pubblicazione dei bandi. Questi devono essere pubblicati alle due parrocchie, cioè a quella dell'uomo e a quella della donna. Quando i fidanzati abitano la stessa città ordinariamente si sposano alla parrocchia della giovine. Nondimeno possono pure volendolo, sposarsi a quella del giovine. Similmente se vogliono sposarsi in un'altra chiesa è permesso previa permissione dei curati delle due parrocchie, permissione che deve essere fatta in iscritto e colle forme richieste dalla circostanza. Se i due curati, o uno di essi si rifiutassero di dare questa permissione bisognerebbe indirizzare la domanda al vescovo della diocesi, che solo ha il diritto di decidere. Se si vuole sposare durante la quaresima o l'avvento, bisogna similmente ottenere autorizzazione dal Vescovo. II matrimonio alla chiesa tra un Cattolico ed uno che non lo sia, non può aver luogo se non è, dietro domanda, autorizzato dal Papa. La pubblicazione dei bandi alla chiesa si fa per tre domeniche consecutive, ma queste pubblicazioni si possono comperare. Questi bandi si pubblicano sulla presentazione di un certificato rilasciato dal sindaco e constatante il deposito dei documenti necessarii. Due o tre giorni prima del matrimonio alla chiesa, bisogna presentare al curato della parrocchia i documenti che seguono: Un certificato della pubblicazione dei bandi delle chiese, ove le pubblicazioni sono state fatte. Un atto di battesimo. Se non si potesse avere questo basterebbe provare di aver fatta la prima comunione. Però vi sono delle diocesi nelle quali questi due atti sono necessarii. È dunque prudente d'informarsene, onde munirsi dei documenti indispensabili e non essere incagliati negli ultimi momenti per mancanza di formalità. Per i vedovi e per le vedove questi due atti sono inutili, e basta l'atto che constata il loro primo matrimonio, aggiungendovi la fede di morte di uno degli sposi. È inutile il dire che bisogna confessarsi e comunicarsi. Conditio sine qua non!

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Lo sposo e la sua famiglia devono andare a prendere la sposa e la famiglia sua. Il marito offre allora il suo mazzo di fiori alla fidanzata, mazzo che deve essere assolutamente bianco. Le vetture fissate dallo sposo vanno a cercare i testimoni e le persone delle due famiglie a domicilio per condurle al municipio. La spesa delle vetture non solo come è stato detto deve essere fatta dallo sposo, ma pure ogni altra di necessità, sia al municipio, sia alla chiesa qualora uno intenda andarvi. La colazione che segue il matrimonio, il pranzo di famiglia, la festa da ballo, ogni rinfresco, tutto è a carico della famiglia della sposa. Il futuro, andando a prendere la sposa deve avere con se l'anello nuziale. Quando tutte le persone che devono assistere al matrimonio sono giunte si pongono in via. - La prima è la vettura della sposa. Questa si mette in fondo, e alla destra di sua madre e di fronte al padre o colui che lo rimpiazza. Se la giovine non ha più madre, la signora che la rimpiazza ne prende pure il posto. Nella seconda vettura va il marito con la sua famiglia: soltanto è la madre che occupa la parte destra del fondo della vettura: suo padre e i testimonii stanno di fronte. Gli altri testimonii e parenti, nelle vetture che seguono, assieme agli amici. In chiesa il padre della sposa o colui che lo rimpiazza le da il braccio per condurla all'altare: lo sposo la segue dando il braccio alla madre. Viene in seguito la madre della sposa dando il braccio al padre dello sposo o in mancanza di quegli al primo testimonio dello sposo. I testimonii danno il braccio ai più prossimi parenti dei congiunti: quelli dello sposo a quelli della sposa e reciprocamente. Passando davanti agli invitati, gli sposi inchinano leggermente il capo, senza guardare attorno ad essi. Arrivati dinnanzi ai seggi che loro sono stati preparati; gli sposi prendono posto, il marito a destra, la moglie a sinistra. Ogni famiglia si pone a fianco dello sposo che gli appartiene, cioè quelli dello sposo a destra e quelli della sposa a sinistra. La sola famiglia degli sposi e i loro più intimi amici hanno il diritto di prendere i posti negli stalli riservati. I semplici invitati si mettono sulle sedie vicine e preparate appositamente. Si comprende che tutto questo è stato preparato prima, e queste disposizioni le danno per lo più i giovani parenti della sposa assieme a qualche prossimo parente dello sposo. Il prete indirizza a ciascuno degli sposi la questione seguente: Consentite voi a prendere per sposo, ecc. Questi devono rivolgersi dalla parte dei loro genitori, salutarli rispettosamente; poi rispondere a mezza voce salutando ugualmente il prete. Quando il prete benedice l'anello, gli sposi devono togliere i loro guanti, poi lo sposo inchinandosi prende dalla mano destra l'anello che gli presenta il prete, e lo passa al dito anulare della mano sinistra della sposa.

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Nella sacrestia si passa processionalmente, ma in ordine contrario a quello osservato entrando in chiesa. Così è il padre dello sposo o il primo testimonio che da il braccio alla sposa. È la madre della sposa cha da il braccio allo sposo. Tutte le persone invitate a una messa di sposi, devono seguirli nella sacrestia per far loro i dovuti complimenti. Lo sposo presenta alla sposa le persone di sua conoscenza, e la madre della sposa presenta i suoi allo sposo. Si esce poi dalla sacrestia, ma ancora in ordine diverso. Lo sposo dà il braccio alla sposa: il padre della sposa segue dandolo alla madre dello sposo: poi il padre o primo testimonio dello sposo dando il braccio alla madre della sposa. Indi indistintamente tutte le famiglie riunite. Gli sposi novelli salgono nella prima vettura colla famiglia dello sposo. La sposa al fondo a destra, il marito a fianco, il padre e la madre dirimpetto. La seconda vettura è per la famiglia della sposa. La terza per i testimonii.

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Non si devono accompagnare gli sposi a casa se non si è stati pregati dalla famiglia della sposa, cioè a dire, dal padre e dalla madre. Quando un cattolico sposa una protestante o viceversa, bisogna fare il matrimonio (religioso) alla chiesa e al tempio protestante. Se gli amici e i membri della famiglia non sono invitati per andare alla casa della sposa si devono far condurre a domicilio con le vetture disponibili. È soltanto per una messa di sposa che si può dare il braccio in chiesa. Le persone invitate alla funzione, devono entro quindici giorni fare una visita di felicitazione alla famiglia che ha fatto l'invito. S'invia la propria carta di visita se non si è in relazione intima. Quando per una ragione qualunque, lutto, malattia, ecc. ; non si può assistere alla cerimonia del matrimonio si deve inviare una lettera di scusa alla famiglia che ha fatta l'invitazione. Si spedisce soltanto una carta di visita quando si vuol rimanere estranei alla famiglia invitante. È contrario alla usanza il vestirsi in nero per assistere ad una messa di matrimonio, a meno che, questo nero non sia guernito da un colore chiaro, che dimostri di non essere da lutto. I guanti bianchi, sono assolutamente esclusi; anche per lo sposo devono essere color burro fresco. La sposa soltanto deve avere dei guanti bianchi, per essere uguali all' abbigliamento. Il libro da messa deve pure essere bianco. Gl' invitati devono condursi in modo gentile. A meno di essere malati, non si può lasciar la chiesa fino al termine della funzione. Sarebbe indizio di pessima educazione il parlare e ridere durante la cerimonia, sopratutto quando il prete da la benedizione agli sposi.

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Dopo il matrimonio religioso, gli sposi e i testimonii firmano tutti l'atto di matrimonio su registri destinati a questi atti. Lo sposo si mette ugualmente a destra della sposa, davanti il pastore che li unisce col solito cerimoniale dell'anello. Dopo la cerimonia seguitano le stesse felicitazioni nella sacrestia. Prima di uscire dalla sacrestia, il pastore fa una piccola arringa agli assistenti, ed implora per essi la benedizione di Dio. Il pastore può essere invitato al pranzo e alle feste del matrimonio.

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La cerimonia per entrare e uscire è eguale a quello per le altre religioni. Si invitano i parenti e gli amici dei due sposi. Questi hanno ciascuno i propri testimonii. Si erige un baldacchino ai piedi del tabernacolo, che rinchiude la Bibbia. I due sposi coi rispettivi genitori si seggono sotto questo baldacchino e all'intorno la famiglia e i testimoni. Al giungere degli sposi il rabbino che deve consacrare il matrimonio, pronuncia un discorso e riceve il consenso dei futuri sposi e dei genitori di essi: dopo il fidanzato passa l'anello al dito anulare della mano dritta della sua fidanzata dichiarando che la riconosce per la sua legittima sposa in nome di Dio, di Mosè e dello Stato. Dopo ciò il rabbino benedice l'unione e fa comunicare i due sposi col vino che dapprima ha consacrato a Dio. A questo momento il matrimonio è consacrato dal rabbino leggendo ad alta voce l'atto che prima è stato fatto e firmato dagli sposi. Un antica usanza vuole che nel medesimo punto si rompa un bicchiere di cristallo. Tutta la cerimonia del matrimonio israelitico è contenuta in pompe e canti religiosi. Le donne stanno da una parte del tempio, gli uomini dall'altra. Fino che sono nel tempio, gli uomini tengono il loro capello. Dopo la cerimonia del matrimonio vanno processionalmente in un piccolo salone attiguo al tempio nel quale gli amici tutti felicitano novelli sposi.

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A. Nei cinque giorni successivi al parto si dovrà fare la dichiarazione di nascita all'uffiziale dello stato civile del luogo a cui sarà altresì presentato il neonato. L'uffiziale dello stato civile potrà per circostanze gravi dispensare dalla presentazione del neonato, accertandosi altrimenti della verità della nascita. Dopo i cinque giorni della nascita la dichiarazione non potrà farsi se non osservato il procedimento stabilito per la rettificazione degli atti dello stato civile. La dichiarazione di nascita deve esser fatta dal padre o da un suo procuratore speciale, in mancanza dal dottore di medicina o chirurgia, o dalla levatrice, o da qualche altra persona che abbia assistito al parto, o, se la puerpera era fuori della sua ordinaria abitazione, dal capo della famiglia o dall'ufficiale delegato dello stabilimento in cui ebbe luogo il parto. La dichiarazione può anche essere fatta dalla madre o da persona munita da uno speciale mandato. L'atto di nascita sarà steso immediatamente dopo. L'atto di nascita deve enunciare il comune, la casa, il giorno e l'ora della nascita, il sesso del neonato ed il nome che gli è stato dato. Se il dichiarante non dà un nome al neonato, vi supplirà l'uffiziale dello stato civile. Se il parto è gemello se ne farà menzione nei due atti esprimendo chi nacque 1°, chi 2°. Quando al momento della dichiarazione di nascita, il bambino non fosse vivo, l'ufficiale dello stato civile esprimerà questa circostanza, senza tener conto della dichiarazione che si facesse dai comparenti che il bambino sia nato vivo o morto. Se la nascita è da unione legittima, la dichiarazione deve inoltre enunciare il nome e cognome, la professione e il domicilio del padre, e della madre. Se la nascita proviene da unione illegittima, la dichiarazione non può enunciare che il nome e cognome, la professione e il domicilio del genitore o dei genitori dichiaranti. Quando la dichiarazione è fatta da altre persone non si enuncierà che il nome e cognome, la professione e il domicilio della madre se consta per atto autentico che questa acconsente alla dichiarazione.

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Gli usi del battesimo per tutto ciò che riguarda il mondo, cioè per i regali, i confetti, l'argento a distribuire, ecc. , sono gli stessi per per tutte le religioni e non differenziano che nel sacramento. Bisogna guardarsi dall'offrire a degli stranieri la qualità il padrino o di madrina di un fanciullo prima di sapere se sono disposti ad accettare la domanda poichè è un imposta forzata che si pone su di essi. Neppure si devono prendere per padrino o madrina delle persone che non siano della stessa religione che si vuole dare al neonato. Quando la persona alla quale è indirizzata una simile richiesta desidera di astenersi, essa deve scusarsi subito, mettendo nel suo rifiuto molte forme di gentilezza onde non far sentire l'inconvenienza della domanda. È mancanza non soltanto alla carità ma alla educazione, il ricusare a dei parenti poco agiati di essere padrino o madrina del loro figlio. Tali domande devono essere fatte molti mesi prima della nascita del bimbo. Generalmente si usa di lasciare alla madrina la scelta del padrino o compare. Il contrario qualche volta si fa, ma di rado. Per il primo figlio, la madre della sposa e il padre dello sposo di diritto sono padrino e madrina. Per il secondo figlio, questo diritto è del padre della sposa e della madre del marito. Se la moglie non ha madre questo mandato è assunto dalla madre del marito col padre della moglie, o dal padre della sposa colla più prossima parente del marito. Se il marito o la moglie hanno perduto il loro padre, si può prendere per madrina la madre del marito, ma questo non si deve fare senza averne chiesto lo assenso alla madre della sposa e in allora il tutore o il più prossimo parente di questa dovrà essere scelto per padrino. È usanza di dare almeno tre nomi al proprio figlio, l'uno scelto fra i nomi della madrina, cioè della madre della sposa se è una femmina o fra quelli del suo padre se è un maschio, il secondo nome può avere la sua provenienza tanto dal padre che dalla madre; il terzo, che è quello che il neonato deve portare ordinariamente è scelto dalla giovine madre. Il padre e la madre del fanciullo non possono essere nè padrino, nè madrina. Bisogna osservare che i nomi dati al fanciullo nel battesimo sieno gli stessi dati che sono stati dichiarati al municipio quando lo hanno presentato per farne inscrivere l'atto di nascita; senza questa precauzione si creerebbe più tardi un mondo di noie e d'imbarazzi, che comincerebbero dal giorno della prima comunione o dalla sua entrata in una casa di educazione. Una vedova che accetta di essere madrina con un uomo che la ricerca, prende di fronte al medesimo una specie d'impegno. II padre del ragazzo deve inviare una scatola di confetti al prete o ministro che ha battezzato suo figlio ed in questa scatola, vi pone una moneta d'oro oppure di argento, secondo i suoi mezzi. Quest'usanza però è piuttosto aristocratica perchè quando non si voglia usare una distinzione sono fissate volontariamente alcune monete, sia pel prete, come per il sacrestano e per l'inserviente della chiesa. E il padre che deve ugualmente fare i regali di dolci alla nutrice e ai domestici se ve ne sono. È sempre il padre del neonato che paga le spese di vetture, con una delle quali va a prendere il padrino e la madrina. Tre vetture sono per lo più sufficienti, molte volte bastano meno, oppure una sola quando il battesimo non è di gran lusso. Quando si vogliono tre vetture, nella prima salgono il padrino e la madrina, se questa è maritata, che in caso contrario la madre della madrina sale pure nella stessa vettura. Nella seconda salgono la nutrice e il bimbo, con la levatrice (Sage-femme). Nella terza sta il padre con gli amici, che vogliono assistere alla cerimonia. Nel caso più comune che non vi sia che una vettura, il bambino portato dalla nutrice occupa il fondo con la madrina, il padre e il padrino si pongono di fronte. I regali e le spese che si devono fare per un battesimo, variano d'importanza in ragione della posizione di quelli che danno e di coloro che ricevono. Il padrino e la madrina fanno un regalo alla madre del fanciullo. Il genere di regalo dipende assolutamente dalla posizione della puerpera, di modo che ad una ricca signora si regala un gioiello; a quella meno doviziosa, un oggetto d'argento; e via via si può offrire a seconda della posizione un sciallo, un oggetto qualunque di toeletta, sino all' invio del zuccaro, del caffè, del buon vino, dei biscotti, insomma un mondo di cose che sollevino la povera partoriente. I regali offerti dal padrino variano, non solo a seconda del paese, ma pure a seconda della posizione di chi li riceve. Con i dolci, il padrino spesso invia alla madrina dei fiori. E spesso il marito della madrina, se è maritata, in ricambio, fa un regalo al padrino, ma per lo più dà in suo onore un pranzo privato. È contrario alle convenienze invitare due scapoli per essere insieme padrino e madrina.

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