Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Angiola Maria

207095
Carcano, Giulio 50 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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A chi di noi non accadde più d' una volta, alla campagna, ne' bei giorni dei nostri autunni, di sedere in compagnia al circolo che sovente si raccoglie nella bottega dello speziale? A chi non toccò di trovarsi talora in mezzo a' consueti frequentatori di qu. ell' officina, primario centro, anzi cuore del villaggio, condotto dallo spasso, dal non saper che fare, o dall' abitudine, fra que' meschini ragionari di grandi cose, fra quella gara di vecchie piacevolezze avvicendate dalle rancide novelle politiche e cittadine, o da un eterno ricambio degli stessi motti e delle stesse avventure, quotidiano alimento di baie, di pettegolezzi, di piccoli intrighi? La bottega dello speziale è la camera legislativa, è l'accademia, il club, il caffè, l'aula enciclopedica del paese. Non c' è forse questione di Stato o conflitto ministeriale in alcuno dei cinque grandi gabinetti europei, e fin nel Divano del Gran Turco, che la ragione non ne sia attaccata, combattuta, difesa, pesata e decisa nella bottega d' uno speziale di villaggio; non c' è causa di pace e di guerra, nè dispaccio telegrafico, nè legge nuova di Stati e di Comuni, che là non sia letta, meditata e commentata, da disgradarne quasi que' barbassori Pari e Deputati di Francia e di Inghilterra. E tutto questo, sulla fede di un solo teste, ma inesausto, irrefragabile e bollato, quello d' una grama gazzetta di provincia; la quale, aspettata con bramosa curiosità, vi capita fresca fresca, al più presto, cinque o sei dì dopo la data che ha in fronte. Dunque, come in tutte le nostre ville, il convegno delle persone più autorevoli di **** era nella OFFICINA CHIMICO-FARMACEUTICA DI SAMUELE D****. Così era scritto al sommo della porta di quella bottega, in parole inesplicabili e scomunicate per i buoni terrazzini. La qual bottega s'apriva, a doppii e massicci battenti, sull' angolo che fanno la piccola piazza e la principal via del paese. I soliti frequentatori ne erano il signor curato, il medico condotto, e l'agente comunale, un vecchio signorotto, che figurava come uno de' personaggi importanti, o, per dirlo alla moderna, una delle notabilità del paese; e il primo deputato, grosso possidente di quel territorio. Gli altri due deputati, sebbene per la dignità della carica ne vantassero il diritto, non capitavan che rade volte, perchè erano persone dozzinali che, scrivendo il loro nome, avevano il vizio di lasciar sempre fuori qualche sillaba; come diceva, geloso dell'ufficio suo, il loro collega. Una sera, la settimana susseguente al giorno che abbiamo descritto, sedevano appunto a circolo, nella bottega dello speziale, il signor curato, l'agente comunale e il vecchio signorotto. Era costui uno di que' piccoli nabab del lago, specie di persone affatto particolari del paese; uno di quelli che, partiti in gioventù col bastone e il fardelletto del merciajolo sulle spalle (nel contado li chiamano barometta), vanno pellegrinando per Francia e per Inghilterra; e fatto un po' di fortuna tornano alla casupola in cui nacquero, la fanno rifabbricare più alta d' un piano, poi intonacare di bianco, e ivi riposano il resto della vita, facendosi dar del signore, e raccontando mirabilia di tutto quel che han fatto o veduto. Il curato poi era un uomo sui sessant'anni, di fisonomia benevola, di persona ritonda e soda, in somma una buona pasta di vecchiotto, che pareva fatto per vivere in santa pace ì suoi cent'anni: di costume era piacente, purchè non gli mettessero la mattana addosso, com'era non di rado, la fiocaggine d' una infreddatura toccata nel quotidiano passeggio sulla bass' ora, o la noja d' una stentata digestione, dopo un desinare d' etichetta, presso alcuno dei signorazzi che villeggiasse nella contrada. Il curato dunque, il quale, al suo solito, stavasene a grande agio sdrajato in un seggiolone, che il signor Samuele aveva collocato nel miglior cantuccio della stanza, proprio per il signor curato exclusive (così egli soleva dire), leggeva al lume di una fumosa candela, la gazzetta arrivata allor allora per il procaccio del distretto. I tre circostanti pendevano da quella lettura, come la gente del buon tempo antico dalle parole dell'Oracolo: solamente il signor Gaspero (quest'era il nome del vecchio signorotto) dimenava qualche volta il capo, in atto di dissentimento, o sogghignava con un cotale suo vezzo lasciando vedere due file di denti lisci e ben saldati. Lo speziale e l' agente, a bocca aperta, stavano intenti alle parole del curato, che leggendo piaceva si di framezzare quelle politiche novità d'alcune sue chiose e considerazioni; giudicate voi se fossero profonde! - « Il ministero Inglese, se si deve prestar fede ai rumori che corrono, sta per mutarsi. » - « L'ho detto io, che la doveva finir così! Era impossibile durarla!... Non c'è stato buon sangue mai, mai, tra que' signori delle Camere e i ministri! La è curiosa da vero, voler governare loro signori, e non esser d' accordo mai nel darla la legge! eh! eh!... » « Proprio tal quale nel nostro convocato, dove ognuno vuol dire il suo sproposito! » commentò l' agente del Comune. « Sì! sì! ma, zitto! badate. » - « Dicesi che lord*** voglia dare la sua dimissione. Jeri mattina, Sua Grazia s' è recato dal Re; e si pretende che quanto prima il nobile lord deporrà nelle mani di S. M. il portafogli. » Ma bravo! così avrei fatto anch'io! deporre il portafogli! bravo il mio lord***! » « Se la crisi si verificasse, e se così di subito il ministero fosse disciolto, il partito de' whigs ne scapiterebbe, perchè, attesa la chiusura delle Camere, le notevoli riforme, che stavansi maturando dai radicali, sarebbero aggiornate fino alla nuova sessione; e la buona riuscita ne diventerebbe più ardua. » - « Conseguenza chiara come il sole! » « Il partito dei whigs? Cos' è questo whigs? » saltò su a domandare, con una smorfia innocente, l'agente comunale. « E i radicali?... Cosa voglion dire? » chiese anch'egli il signor Samuele. « I whigs? i radicali? » rispose il curato, con un' aria di compassione. « Cosa sono?... Se nol sanno nemmen loro cosa sieno! I whigs sono un partito, i radicali sono un altro partito; e voi sapete che i partiti, non si domanda cosa sieno: gente nemica di altra gente! Ma i galantuomini non sono di nessun partito; perchè galantuomo è chi vive in pace con tutto il mondo.... Oh, andiamo innanzi. » « Adagio, adagio! » prese a dire allora, con un far d'importanza, il signor Gaspero, che fra coloro era tenuto in conto d'uomo di gran criterio, perchè aveva veduto al mondo più che Ulisse, al suo tempo, dopo la caduta di Troia. Egli, intanto che il curato parlava, aveva sorriso fra sè e sè con una compiacenza segreta. « Se volete, vel dirò io cosa sono i whigs inglesi! Dovete sapere che là, come dappertutto, i signori e i poveri diavoli si guardan di traverso, per gelosia, per invidia, per prepotenza, che so io.... e cercano sempre di farsela gli uni agli altri.... perchè nel mondo, vedete, la cammina così! I primi dunque si chiamano i whigs, gli altri i tories, mi pare.... o viceversa: ch' è poi lo stesso, perchè non è il nome che fa la cosa. Avete capito? Adesso continui pure, signor curato. » - « La compagnia delle Indie Orientali tenne nella » passata settimana una sessione, alla quale sono interve- nuti, eccetera.... » - « Salto questo paragrafo e questa filza di nomi indiavolati, perchè non la mi pare notizia di peso. » « Ma però, mi dicar di grazia, » tornò a domandare lo speziale: « che compagnia è questa? l'ho udita menzionar le tante volte nella gazzetta. » « Dev' essere » rispondeva ancora il curato « una società d'uomini dotti, filosofi, letterati e simil gente, i quali da lungo tempo hanno mandato in que' paesi a cercarvi le Antichità; con che fine poi, non so. » « Oh! oh! ma lei s' inganna, caro signor curato! » lo interruppe un'altra volta il signor Gaspero, col suo risolino. « La compagnia delle Indie è una società di negozianti, tutti ricconi sfondolati: altro che letterati! altro che dotti! » « Ohibò! questa poi non me la bevo, » replicava il curato, stizzito per quella nuova interruzione, e punto sul vivo. « So ben che lei mi canzona! Cosa devon fare de' negozianti in que' paesi di barbarie, di miseria? Ma solamente la spesa del viaggio!... E poi, là.... con quelle belle usanze d'impalare e bruciar vivi!... Se lo sanno i poveri missionarii, a cui tocca di portare un poco di vita cristiana fra quei diavoli incarnati d'Indiani!... Negozianti? oh! oh! » « Ma io l'ho veduta l'Inghilterra, sa lei, signor curato? l'ho girata in lungo e in largo; e di questi Marc'Antonii, che parlan di milioni, come noi di scudi, io n' ho veduti e conosciuti parecchi, come conosco lei. E a me bisogna credere, chè de' paesi n'ho attraversati tanti, che quasi non me ne ricordo più i nomi. » « Sarà un' altra compagnia; ma questa non può essere.... » « Eppure, caro signor curato, questa volta.... » « Scommetto che non è una compagnia di mercanti.... » « Che la fosse una compagnia comica?.... » domandò, per vedere d'accomodar le partite, l'agente comunale. « Eh! tacete voi!... » - E qui il povero curato, che in tutto il tempo di sua vita non aveva mai viaggiato più in giù di Como e più in su di Colico, sentiva scaldarsi il sangue, e fissando il suo contraddittore:« Questa volta, dice? eh! mi pare anche a me d'aver letta la mia parte di buoni libri, e ciò val tanto quanto il suo aver viaggiato, perchè quelli che scrivono han sempre ragione, e ne sanno un po' più di me e di.... dunque, per dincibacco! mio caro signor Gaspero, posso aver ragione io, e lei torto!... » « Ma la si quieti, signor don Gioachino, e mi badi.... » « Eh le zucche! » continuava l' altro, gettando sulla tavola la gazzetta, con una stizza da non dire. « Lei l' ha sempre con me; gli è un peno che me ne sono accorto. » « Io?... » « Sempre contraddirmi, sempre! tutto! È cosa incredibile! Scommetto che, se dico che adesso è notte, lei sosterrà ch'è giorno chiaro! È proprio un dispetto! » « Ma, caro signor curato, la si calmi!... » « Ma lei ha ragione! ma sarà come vuole.... » E, così dicendo, lo speziale e l'agente a stento lo trattenevano nel suo seggiolone, che già stava per alzarsi sdegnosamente, e aveva ripigliato la canna e il cappello per andarsene. Nè poco ci volle per farlo rimanere: andava borbottando che già s'era fatto troppo tardi, e ch'egli aveva la testa a ben altre cose che a quelle bazzecole: così, mulinando fra sè stesso, tirava fuori a ogni momento dal taschino il suo grosso oriuolo d'argento, e studiava le ore e i minuti. Il signor Gaspero, che dal canto suo ben sapeva d'aver ragione, trascinandosi la seggiola dietro, aveva voltate le spalle al curato, e susurrava anch'egli: « Che ignorante ostinato! Sicuro, quest'oggi ha fatto una cattiva digestione. » E forse la cosa non sarebbe finita così, se in quel momento non foss'entrato nella bottega, con un far frettoloso, straordinario, e con una ciera tutta nuova, il signor dottore. « Gran novità, signori! una cosa che non m'è capitata mai: indovinate mo, signor Samuele, donde vengo! « Che so io? Da un'avventura galante. » « Eh! non ho di questi belli spassi! E lei, signor Gaspero? » « Ma.... non saprei! forse da una vincita a' tarocchi? » « Eh via tutt'altro. » « Ma dunque da che? » domandarono a una volta l'agente e lo speziale. E il dottore con voce seria, bassa, come rivelasse un mistero: « Torno in questo punto dalla villa*** , dove fui chiamato per visitar quel signore inglese , quel lord, ch' è venuto a starvi due mesi fa, e che adesso minaccia dì lasciar qui le ossa! » « Oh !... » sciamarono in coro lo speziale, l' agente, il curato e il signor Gaspero. « Se la è così » soggiunse poi il primo d'essi, « voi gli avrete dunque parlato a quest' uomo così ricco e così arrabbiato, che nessuno ancora ha veduto, ch' è tampoco, perchè se ne sta sempre chiuso laggiù nel palazzotto, come l'orso nella sua tana. » « Dite, l'avete veduto? » « Veduto? no; veduto veramente, no! » « Come? bravo dottore! » disse ridendo sonoramente il signor Gaspero. « Ma che razza di visita gli avete fatto? » « Dirò, ecco qui la cosa. Io me n' andava stasera, solo e quieto a casa mia, al batter delle nove, e stavo per metter la chiave nella toppa, quando mi si fa incontro, e mi ferma, tagliando l'aria con un gesto, un uomo alto, vestito di nero, meglio ch' io non sia. Domando che cosa voglia; non risponde, toglie fuor di tasca una letterina e me la consegna. Io non poteva leggerla al chiaror di luna; dunque entro in casa, e invitato colui a salire, gli domando se aspetti risposta; mi fa segno col capo di no, e si pianta ritto, là, presso la porta. Salgo le scale, chiamo mia sorella Cecilia, che corra col lume: era al buio ancora, la stordita! Basta, quando Dio volle, essa comparve col candeliere, e io, che moriva dalla voglia d'uscir di dubbio, apersi la lettera; era linda, lucida, scritta d'un caratterino d'amore, bello da baciare.... » « O dottore, lei torna giovine di vent' anni! » disse il signor Gaspero. « Eh! confesso che alla prima la credetti una dichiarazione amorosa.... Era firmata Elisa Leslie.... ma letto ch' ebbi, altro non diceva, se non che subito, in segreto, dovessi andare alla villa, dietro il latore del biglietto, per la premura d'un malato. Discesi dunque, e detto: - Son qua, - seguitai l'uomo nero e muto, che poi seppi essere un cameriere del lord. Mi fece entrar nel palazzo per una porta nascosta, e per un andito nella cucina: di là, salita una scaletta torta e buia, mi mise dentro uri salotto, dove mi disse d'aspettare, e mi piantò solo. Alla fine, comparve una bella giovine, una delle figliuole del lord.... Non vi ricordate d'averle vedute talvolta a diporto giù per il lago?.... Bene, era la più grande, la più smorta delle due; essa mi salutò con grazia e, tutta affannosa, mi pregò di non parlare con anima viva; che l'ammalato era suo padre; che da lungo tempo una tetra malinconia lo travagliava, e che, pochi giorni innanzi, al ricevere non so quali cattive notizie d' Inghilterra, aveva avuto un accesso di forti convulsioni, per cui gli s'era risvegliata una tosse sanguigna; che nella mattina poi, le convulsioni e la tosse avevano spiegata una spaventosa violenza. La povera giovinetta parlava e insieme piangeva, e mi scongiurava le salvassi suo padre. Fu allora che, fatto un passo, domandai di veder l'ammalato; e la fanciulla: - Oh gli è impossibile, disse trattenendomi; mio padre non vuoi vedere nessuno, nessuno fuor di me e di mia sorella; l'ha giurato! nè, per quanto noi lo pregassimo , non ci permise di chiamare un medico; non fa che ripetere di voler morire!... - E bene, cosa avrei dovuto fare? come vedere, conoscere, ponderare?... Avevo un bel replicare: Senza la diagnosi, come si fa? - la fanciulla tornava da capo a pregare, a piangere. Era un impiccio nuovo per me!... Pensai, studiai, diedi un' occhiata mentale a tutta la mia teoria, perchè pratica sui lord non ne ho mai fatta.... infine, scrissi queste pozioni e quest'empiastro, che faranno o no, come Dio vuole. E ora, a voi signor Samuele! spedite le ricette; premura e attenzione chè ci avrete il vostro conto! » E gittò sulla tavola dello speziale due lunghe indicifrabili scritture, che preparavano, sa il cielo, quali nuove misture! Il signor Samuele si piantò gli occhiali sulla gobba del naso, e si mise a studiarle. « Ora viene il buono » continuava il dottore; « io aveva raccomandato alla signorina una rigorosa cura morale e uno scrupoloso trattamento dietetico dell'ammalato, e lei mi congedava col miglior garbo del mondo, ringraziandomi mille volte - manco male! Partita appena, tornò il cameriere, e cavandosi con atto di singolar rispetto il cappello, mi mise nelle mani un cartoccetto, e m' accompagnò fino alla porticina. Io presi la via verso il paese; e cammin facendo, il raggio della luna, che stasera è sì bella e tonda, mi fece naturalmente pensare di guardar nella cartolina: l'apersi, guardai.... mi pareva e non mi pareva una moneta piccola, gialla.... oh! oh! fosse oro! Il cuore mi battè subito; e qui giunto, entrai nel primo uscio, dove vidi lume.... dite mo? era un luigi d'oro, un buon luigi doppio, perché gl'Inglesi non contan che luigi e ghinee.... Ecco qui! » - e tolse fuori la moneta ancora incartocciata - « non è vero, signor Gaspero, lei che n'avrà vedute di questa razza, non è genuino, di peso?... Che bel curare i lord! La è un'avventura questa? vi pare?... Qui non ci son baie. » « Ma bravo dottore! queste sono visite di nuova stampa per voi, » disse il signor Gaspero. « Oh sì! proprio.... nè sarà l'ultima, spero. » « Bravo, bravo! ma quel lord! chi sa mai quel che ci cova qui sotto? » soggiunse l'agente. Lo speziale intanto aveva messo sossopra la sua officina, e ingombrata la tavola d'una folla di bocce, vasi e fiaschetti. Rimboccate le maniche della giubba fino al gomito, stava stemperando e mescolando ungenti, siroppi e giulebbi, con uno scrupolo di scienza, degno di que' due barbuti figuroni, onde un vecchio pittore comasco aveva istoriate le grosse imposte della sua bottega, che volean dire Ippocrate e Galeno.

» Maria invece non pianse, ma se ne stava, indifferente quasi, a guardare il fratello che partiva. Se non che, quand' egli si staccò da Ioro, la fanciulla se gli avvicinò, e appoggiate le mani alla spalla di lui, e lasciandovi cadere la testa, con voce sommessa gli disse: « Non crediate, Carlo, che non m' incresca di vedervi andar via; ma, se anche non vi dico niente, pensate che vi tengo sempre nel cuore. E voi? vi ricorderete di me, non è vero? e qualche volta anche mi scriverete, perché le vostre parole fanno la mia vita... Ah voi, adesso, o Carlo, siete per me padre, fratello, e tutto! » Il fratello la guardò con tenerezza, ma non seppe rispondere. Le strinse la mano con amore; poi montò nel calessino che partì. Passarono quindici giorni. E la vita di Caterina e della figliuola, non segnata d' altro avvenimento che dall' alternarsi della domestica giornata , volgeva silenziosa e solitaria; perchè la lontananza del vicecurato, il quale per alcun tempo aveva mitigato alle due donne la recente amarezza, lasciava allora un altro vuoto ne' loro pensieri, e faceva quasi parere inutili quelle quotidiane cure che prima erano per esse abitudine e necessità. Intanto credevano che anche Arnoldo le avesse dimenticate, non vedendolo più tornare alla loro povera dimora; e una volta Caterina scappò a dire: « Fidatevi delle parole de' signori! per me, non ci credo più! » Ben le aveva soggiunto Maria: « Cosa volete, mamma, che venga a fare qui da noi quel signore? Avrà ben altre cose da pensare! » Ma la vecchia replicava ch' egli s' era fatto amico del suo don Carlo, e appunto per questo doveva essere un po' diverso dagli altri; poi, nessuno gli aveva cercato che venisse da loro; e loro, in fin de' conti, avrebbero tanto e tanto mangiato collo stesso appetito la loro minestra. « Avete ragione, mamma! » rispose Maria mestamente: noi siamo poveri, e lui non verrà più! » Appunto la mattina di quel giorno, ch'ebbero menzionato fra loro per la prima volta il nome del giovine forestiero, Maria, sedendo presso il muricciuolo del lago a guardar le barche che radevano la riva, intese vicino un rumore di voci nuove e allegre. Si levò curiosa per correre alla porta; e, in quella, vide entrar nel cortiletto le due damigelle inglesi, accompagnate da Arnoldo. Ella rimase d' improvviso sospesa, muta, sentì un tremito segreto; ma ripigliato cuore, mosse verso le gentili visitatrici: era sopravvenuta intanto anche sua madre. Entrarono nella saletta, ove Arnoldo presentò alla buona comare e a Maria le sorelle, dicendo: « Elisa e Vittorina desiderano di conoscervi; voi sarete amiche, perchè i cuori come i vostri s' intendono sempre! » Maria arrossì, non sapeva che dire; ma ritirandosi un poco susurrò: « Questo sarà un giorno bello per me! » « Sì, si, » esclamò allegramente Vittorina. « Voglio che stiamo insieme; voi verrete sul lago nella nostra barchetta; c' insegnerete le belle canzoni delle montagne, sarete nostra guida sui sentieri dell'alpe. Oh sì! dobbiamo passarne di belle ore in compagnia. » Anche Elisa avvicinavasi a Maria, e la pigliava con affetto per mano, dicendole: « Noi ci vorremo bene, come vostro fratello e Arnoldo, non è vero? Egli, sapete, ci parlava spesso con tanto amore di lui, di vostra madre e di voi! Non abbiate soggezione di noi: la vostra fisonomia è tanto dolce e bella! » « Non mi mortificate, sono una povera fanciulla, e voi... » « Noi » riprese ,l' Elisa « siamo ben liete di conoscervi; e se vostra madre è così buona da non dirci di no, torneremo domani, per condurvi alla villa; sarà una giornata di contentezza. » « E vi mostreremo » aggiunse Vittorina « cento belle cose; i nostri anelli, gli smanigli, le collane, le ciarpette e tant' altri vezzi, che sono una maraviglia a vederli. E ne daremo anche a voi, pensate! devono starvi pur bene, avete il collo così sottile e bianco! » « Tu se' proprio uno spiritello! » disse Arnoldo, mentre Maria, alle parole della giovinetta, chinava la faccia sul seno e di nuovo arrossiva. Allora Vittorina, in atto di tenerezza infantile, l'abbracciò e col suo pronto sorriso: « Perdonami, o Maria! ho creduto di farti piacere col dirti che sei bella! » « Tu verrai , Maria, » aggiunse Elisa; « non è vero? dillo! vogliam raccontarci tante cose! Perchè, sai, adesso noi possiamo goderlo in pace questo tempo così allegro, questo cielo così bello! Adesso non tremiamo più per la vita di nostro padre: egli fu ammalato, ammalato assai, ma dopo che Arnoldo tornò, sta molto meglio. » « Buona Caterina, riprese Arnoldo, «fu appunto per causa di mio padre che non venni prima a trovarvi; ma son con- tento, chè vi veggo di buona cera e serena. » « Graziadio! » rispose la vecchia. « Avrete pensato ch' io v' avessi dimenticata? » « Nemmen per sogno! » E Caterina fu pronta a consentire alla graziosa premura che le due damigelle le avevano fatta. Era un grand'onore per lei vedere la figliuola cercata da due signorine tanto leggiadre e buone, il suo amor proprio non essendone poco lusingato; perchè, pensava, in ogni maniera non potrebbe riuscire che una fortuna quella conoscenza. Ben presto le tre giovinette divennero amiche, come se già da un anno si fossero conosciute. E quasi ogni giorno Elisa e Vittorina venivano a cercare Maria, e con lei dividevano l'allegrezza di tutte l' ore. Bene spesso le avresti vedute sedere in crocchio sul terrazzo della villa, intese allo studio de' loro disegni e lavori, al canto di care e semplici melodie, o abbandonate a fanciulleschi e sinceri colloqui. Talvolta anche il vecchio lord, oramai convalescente, stando nel suo seggiolone in un angolo del terrazzo, contemplava con segreta gioia quelle tre testoline giovani e aeree, le vedeva chinarsi e levarsi con un tripudio irrequieto, con un sorriso più eloquente d'ogni parola; e l'ampio foglio del Times, che stavagli spiegato sotto gli occhi, cadeva allora dimenticato su le sue ginocchia; e nel cuore l'arida politica cedeva il luogo alla dolcezza d' un senso affatto nuovo. Più spesso le fanciulle andavano a diporto per i paesi

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Poi, calate chetamente nella fida barchetta, davano a gran lena ne' remi, e pigliavano il largo. La luna si rifletteva bellissima nel lago, come in uno specchio; ma, a ora a ora, l'acqua commossa da uno spirar di vento leggiero, pareva tutta risplendente di tremole scagliette d'argento. Quel fianco delle montagne, su cui spargevasi il pieno chiarore della luna, pareva circonfuso dalla vaporosa luce d' un incantesimo, e ne spiccavano i seni e i dossi, i paesetti e le case: l'opposto fianco invece si perdeva in un' ombra uguale e fitta, che nulla interrompeva, tranne il luccicare di qualche picciol lume, qua e là, dal balcone d'una villa, o dalla porta d'un casolare. E la barca delle giovinette fuggiva rapida su l'onde, come avesse l'ale, e portasse le fate abitatrici di quella poetica contrada. Poi, quando tornavano alla riva, vedevasi la barchetta fermarsi al piede dell'alto terrazzo; e l'aria taciturna risonava dell'armonia d'una prediletta canzone. UN CHIAROR DI LUNA. INSIEME.

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Fra l'una e l'altra canzone facevano pausa; e le ultime voci s'andavano perdendo a poco a poco nell'aria silenziosa della notte, si che quasi non poteva dirsi se il canto fosse venuto dalla terra o dal cielo. Avresti pensato che ciascuna delle due sorelle volesse all'accento confidare il segreto del proprio pensiero. Quando poi toccava a Maria a cantare, essa non avendo avuto altro maestro che il cuore, e solo col fino senso dell'orecchio misurando l'armonia, sapeva esprimere tutta la soavità, tutta la malinconia dell'anima nelle fresche semplici note della sua voce. MARIA.

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La Malizia passeggia sotto le dipinte volte delle case de' grandi, vestita d'una giubba trapunta di frastagli d' oro o d'uno splendido saio; siede alle mense e ne' circoli del bel mondo, coperta le spalle di martora o d' ermellino, di sete indiane, di veli aerei; trotta per le vie, sotto l'abito modesto del cittadino; studia, medita, scrivacchia anch' essa, come il più serio filosofo; ha il suo scanno nel cantuccio del focolare del borghigiano, e la rozza panca di legno sotto la tettoia del contadino; s'adagia a suo grado nel caffè, nella bottega, nel palchetto del teatro; sbircia, sogghigna, ciancia, gracchia, trincia a destra, a sinistra; e a sentirla, gli è sempre per amor del bene, o per onor del vero. - Nessuno dunque maraviglierà, cred' io, che la Malizia avesse culto e alunni anche su quella beata riva del lago, tra le poche case del nostro paesetto. Su la bass' ora d'un bel dì, il signor curato passeggiava sulla piccola spianata che si stendeva dinanzi la sua casa, in compagnia del vecchio Gaspero, quel signorotto del quale abbiam già fatta la conoscenza; e discorrevano fra loro a tutto bell'agio. Benchè, come vedemmo, l'uno non andasse molto a sangue all'altro, pure lo star insieme e la necessità di sostenersi in credito facevano che si cercassero come due vecchi colleghi, o piuttosto come due gelose potestà rivali. Nè, del resto, don Gioachimo era uomo da legarsela al dito, per qualche motto lanciato alla sua pretensione politica o letteraria; chè anzi si piccava di non farne gran caso, come se si trattasse d'un complimento. « Eh! signor Gaspero, » disse il curato « se foste venuto mezz' ora fa, v' avrei fatto, così alla buona, sedere alla mia tavola; ne vengo adesso. Eh! un desinarino da un povero curato, ma da galantuomo; poco, ma buono: è il mio asioma.... ah! ah! » « Oh lo so per esperienza! si mangia bene da voi.... » « Non fo per dire, ma la mia Sabina sa il fatto suo; da un par d' anni poi ne son contentone. Quest' oggi, vedete, m' ha regalato un bel pezzo di stufato fumante, con certe cipollette in sugo, che parevano perle; e poi una fricassèa di polli, che valeva un Perù!... » « Corbezzoli! è una dottorona la vostra serva; ci scommetto che sa a menadito tutto il Cuoco Piemontese, e forse la vi corregge anche i testi latini delle vostre prediche. » « Ah! ah! sempre di buon umore il nostro signor Gaspero! » « Che volete, curato? Se non si cerca di passare, meno mal che si possa, questi quattr' anni di vita che ci avanzano.... » « Buon per voi, che sul vostro non tempesta mai.... Ma per me, v' assicuro che ne conto delle giornate brusche, e qualche volta mi tocca di roder catene. » « Canzonate, o dite da vero? Chi fa mai più beata vita della vostra? « Voi volete parlare; ma non le pigliate su voi quelle che mi toccano, proprio a me, che doverle inghiottire, è dura! Ma, ma.... è meglio non pensarci, basterebbe a farmi fare cattiva digestione. » « Ma via! cos' avete? dite su; non son vostro amico io? » « Sì, voi siete un galantuomo: ma a questo mondo c'è dei birbanti. lo, non ho maí avuti impicci; sentite mo quel che mi capita. - La settimana passata , fo una giterella a Como, per certi miei interessi.... qualche poco di denaro messo da parte in tant' anni, e che ho voluto portare io stesso, in confidenza, a un legale di là, un po' mio parente, perchè me ne cavi una cinquantina di lire d' interesse.... Mo, vedete! Eran sei anni che non mettevo il piede in quella maladetta città; e giusto, quell'unica volta che ci casco, trovò un avviso che mi chiama, là.... da.... monsignore.... » E qui gli bisbigliò a mezza voce un bel nome tondo. « Mi capite? Così è.... proprio da lui! Bisognò trottar subito.... là dov' era aspettato. Non vi dico nulla!... Cose grosse, cose di fuoco; mi vogliono mettere un compromesso, mi voglion giocare sicuro, io che non ho mai fatto nè detto male di nessuno.... » « Ma che diamine mai?... » « Lo sapete voi?... lo so anch' io. Fu un serio e lungo interrogatorio di lui, di lui stesso.... capite? - E vi dico la verità, che la flemma delle sue domande mi faceva sudare, nello stesso tempo che la serietà delle sue occhiate mi metteva i brividi. E tutto, indovinate mo?... per amore di quel sapientaccio presontuoso di don Carlo. » « Oh!... » « Cosa so io de' garbugli che può avere colui?... E bene, sul conto suo, mi domandò più di cento cose; e ch'io sapeva, e che dovevo sapere.... che quel prete era nativo di qui; eh' io conosceva quali corrispondenze avesse, perchè quest'estate passasse qui tre rnesi, e ci doveva essere la sua buona ragione; che discorsi, che vita facesse, e che so io.... Vi dico che avevo tanto di testa. Cercava ben io di rimbeccar quelle antifone alla meglio, ma era peggio! Io aveva bel dire: la responsabilità è sempre del povero parroco.... Adesso, sentite questa! - Non è la prima volta, conchiuse lui infine nel congedarmi, che date serii motivi di censure - sue precise parole. Figuratevi che condizione fosse la mia, a questa sorte di complimenti. » « Ma non siete arrivato a capire...? » « Poco o niente. Furono avvertimenti sordi, misteriosi consigli dati a mezz' aria, lasciati indovinare; ma, se non fallo, ci cova sotto qualche cosa di.... » « Di che? » « Eh signor Gaspero! penso che sono una bastia a ciarlar tanto di queste materie così gravi; lasciamo andare, lasciamo andare.... « Ehi, m'offendete! dite su! Mi credete un bamboccio o un birbone? Parlate. » « Ma! ma! ma!... voi non lo sapete che brutto rischio si corra.... » « Ditelo, che lo saprò. » « In somma, in somma! volete proprio saperlo?... Io credo che ci sia in aria qualcosa di torbido, di marcio, cioè di.... rrrr.... » E nell'orecchio dello strabiliato compagno finì una terribile parola.. « Bah!... » E qui tacquero, e si guardarono in faccia un pezzo l'un l'altro, senza batter palpebra. Poi il signor curato, levando lentamente una mano, e mettendo l' indice a traverso le labbra, diede all'amico un' occhiata di gran significazione come per dire: - Silenzio, per amor del cielo! E l'altro, facendosi piccino e strettosi nelle spalle, rispose con la stessa smorfia. In quel mezzo, altri capitavano sulla spianata, e camminando sbadatamente andavan di lungo ciascuno pe' fatti suoi; ma due d' essi, veduti don Gioachimo e il signor Gaspero, attraversarono la strada, e vennero difilati a loro. Erano il dottore e il deputato politico del paese. I quattro si fecero le solite scambievoli cortesie, con una sberrettata che rese l'uno all'altro in aristocratica solennità, a grand' edificazione de' villani che di là passavano. La conversazione interrotta si rannodò; e fu appunto il curato che per il primo pigliò la parola, sollecito di mutar l' argomento, e pauroso non iscappasse di bocca al signor Gaspero qualche allusione alla confidenza fattagli. « Dunque, cosa c' è di nuovo, signor Mauro? » disse, volgendosi al deputato politico. « Eh cosa vuol mai eh' io sappia, io? » rispose quegli. « Lei, don Gioachimo, lei sa di politica, lei che vive di giornali, me le racconterà le notizie. » « Oh sant' Iddio! L'ho detto tante volte, caro mio signor Mauro, ch'io non m'impaccio di faccende mondane! Io vivo in questa tana, come il tasso di montagna.... Io non c'entro, io non c'entro, lo dico e lo protesto! dormo all'ombra del mio campanile, e di certe cose che bruciano me ne lavo le mani. » Questa protesta, che non sarebbe uscita di bocca al curato in altro tempo, gli fu allora suggerita dalla fresca tema di vedersi a brutto giuoco, per la maledetta smania avuta sempre di pesare sulle sue bilance i destini d' Europa. Il buon uomo s'era ingannato: nessuno badava, più che agli abitatori della luna, alla congrega dottrinaria dello speziale; ma la paura era entrata in corpo al povero don Gioachimo, e per lui fu lo stesso che tenerlo un Robespierre in saio nero. « Dunque, mutiamo discorso » seguitò; « perchè, vedete bene.... non è bisogno dirne di più.... » Gli astanti capirono, o credettero di capire, questa reticenza. E il signor Gaspero, che teneva la chiave del mistero « Or via, » disse, « volete che n' andiamo in compagnia giù fino alla riva? Non può star molto che passi il vapore.... » « Andiamo! » risposero. « E anche lei, signor curato, » soggiunse il deputato politico; « via! venga, non si faccia pregare! » Cammin facendo cianciarono, al solito, di cose inutili. Ma poco stante, il dottore , additando una barchetta che prendeva il largo: « Guardate, » disse, « non è quella laggiù la barchetta delle nostre damine inglesi, qui della villa? » « Ma sì, è proprio quella! già si sa, il dottore ha buoni occhi, e conosce le belle fanciulle un miglio lontano. » « Via, signor Gaspero! So bene che lei scherza: non me n'intendo io. » « Eh voi siete un giovinotto, signor Paolino, un dottore di primo pelo! Caspita, su' trent' anni, come voi adesso, ne feci anch' io di belle, e qui e via di qui; ma era il secolo passato, amico, quel tempo di cui adesso si ride.... povera . gente! » « Buon pro le facciano, padron mio, ma le ripeto, s'inganna a partito! » « Andate là, volpone dottorato, che avete buon gusto. Eh lo sappiamo, è quella dagli occhi cilestri, dall'aria sentimentale! ah! ah!... » diceva il deputato. « Anche voi volete spassarvi alle mie spalle, signor Mauro? » « Via, confessate, signor Paolino, non è così? non è quella dal bigliettino color di rosa, quella dal luigi doppio? L'avete pur raccontata voi la storiella. » « Oh andate al malanno, ch'io vi mando! » rispose piccato il dottore. « Ehi! la vi pizzica? » ripetè l'altro; « dunque è segno ch'è vero! » « Ah! ah! quest' è bella, è nuova di conio. Il dottore muore dietro all'inglesina: oh! me la godo proprio.... » E il signor Gaspero, con quella sua cera piacente, rideva, rideva di gusto. « Via, finitela! lasciatelo stare quel povero figliuolo, se non volete che gli salti la mosca, continuando, come fate a dargli la soia, » soggiunse il curato. « Se vogliono pigliarsi il bel tempo, lasciateli dire. Magari fosse così! » Intanto erano giunti alla strada che fiancheggia la riva. La barchetta, che fu la cagione innocente di quel cicaleccio, passava rapida, alla distanza d'un trar di pietra; ond'è che poterono scorgere le due giovinette e Maria, le quali guardavano verso di loro, ridendo e motteggiando con allegria cosi schietta, ch' era un' invidia. Arnoldo remava, e Vittorina, seduta su la poppa, governava il timone; a ogni momento volgendone l'ala a suo capriccio, sicchè il battello vogava in isbieco, lasciandosi dietro su l' onda un lungo solco schiumoso e serpeggiante. « E quella martorella, » scappò fuori a dire il curato, levando con la punta dirizzata verso la barca la sua lunga canna dal bianco porne d'osso, « la tosa d'Andrea, ch'è divenuta damigella delle due milordine, eh! cosa ve ne pare? » « Quella giovine sa il suo conto » disse il dottore. « Eh sì, da vero, » il curato ripigliò; « ma questa sua confidenza io non l' approvo: son cose fuori di luogo: una ragazza, una contadina, un' ignorantella, vedetela là, vuol fare la burbanzosa, la superbetta, mettere il gonnellino di moda, capricci e far pensare intanto, e far dire.... No, non va bene! causa quella testa matta di suo fratello prete, che anch'esso ha la sua vena di dolce! vuol comparir filosofo, politico, romantico.... Oh la vedrà bella presto, la vedrà bella!... » « Ma, lei non è il curato? » l'interruppe il signor Mauro; a non tocca a lei a fare una buona paternale alla ragazza, un' altra a sua madre, e ricondurre all' ovile la pecorella smarrita, come lor signori dicono in pulpite tante volte? » « Eh! son parole: e ci vuoi altri che me. È l'ingordigia, la sete di far quattrini.... La vecchia, tal quale la conoscete, fa la bigotta, ma le premono i comodi e la cucina; vuol mettere da parte, per que' pochi dì che le restano a campare.... e la figlia è la sua insegna! » « Oibò! oibò! cosa dite mai, curato? » l' interruppe il signor Gaspero; « queste son cose.... » « Cose da non credere, ma che son vere! Pensate forse ch'io sia qui, come si suol dire, il bastone della scopa? So, vedo e conosco! » « Ma non basta, bisogna.... » « Bisogna che questi villani non sieno teste di scoglio, come sono. E cosa ci posso far io? e' la sarebbe come voler votare il lago col mio cappello. Non hanno mai badato alle parole del loro paroco: il qual paroco non ha più di due polmoni, che, una volta asciutti, non possono riempiersi di fiato, come una tinozza di vino. » « Ah, ah! ma cosa importa a voi, che la giovine, la quale è poi savia e buona, vada con quei signori? » « A me, come me, certo che no; ma se, per causa sua, io avessi de' pasticci? Io ci vedo da lontano.... Quel vecchio milord, che sarà luterano, puritano, manicheo, o qualche cosa di simile, fa una strana vita, la vita del mistero.... Il suo signor figlio poi.... » a Dite un po': è ben quello che aveva fatta tant' amicizia col vicecurato? » « Giusto! E costui poteva far di peggio? Pensate! un prete, che deve sempre guardar bene a tutto quello che fa e che dice, un prete, com' è lui, viaggiar su per i monti, andar giù per il lago, in compagnia d'un forestiero libertino, d'un.... Dio sa che cosa? Già, è sempre stato un bel capo costui.... E mi ci voglion tirar dentro per i capegli, me? Oh se la sbagliano! Io me ne lavo le mani, non ne voglio sa- per nulla, faccian loro. Son pazzo a pensarci su.... Non è vero, che non tocca a me? » « Del prete, » rispondeva sempre il signor Gaspero, « del prete non parlo. Siete l'autorità ecclesiastica del paese, la prima! ma della giovine, chi vi può dir nulla? Via, chiudete un occhio, e lasciate che l'acqua vada in giù: alla fine non è lei padrona del suo? E potendo far fortuna, la sarebbe una baggea a star lì, sempre appiccicata alla sottana di sua madre. » a Bravo il nostro signor Gasperino! » dicevagli il deputato, nel dargli d'una palma su la spalla: « già l'ho sempre sentito far l'avvocato delle belle donne. Ora poi, che si tratta della graziosa figliuola d'Andrea.... ch'è veramente un bel fiore di primavera, un fiore che, ci scommetto, vorrebbe trapiantar volentieri nel suo giardino! » « Ehi, Mauro, che spropositi mi dite? cosa volete ch'io faccia, co'miei sessantacinque anni, col mio peso e con la mia mezza parrucca?... Ho altre fantasie; sono stato giovine anch'io, e al mio tempo, non fo per dire, era un giovinotto un po' più vivo di quei del dì d'oggi..., non so se mi capite Ho avuto i miei grilli, me la sono spassata alla buon' ora! Le ho fatte anch' io, come si dice, le mie campagne; sono stato attore; e adesso mi conviene accontentarmi della parte di spettatore; e ridere, quando c'è da ridere, della commedia che il mondo mi fa d' intorno. » « Non faccia troppo il filosofo, caro signor Gaspero, » soggiunse il dottore, contento, a dir poco, di rendergli di rimbalzo le parole che colui motteggiando gli aveva dette a principio della via. « Anche sul suo conto se ne sa qualcosa. E ne so una io.... che, se non me l'avesse raccontata quel brav' umo d'Andrea, non la direi.... I suoi sessantacinque anni? Non gli credete, al signor Gaspero, quando dice che gli pesano; ha i suoi capricci ancora, un grillo che gli mette il prurito da un pezzo; e se non fosse che.... » « Via, è matto il dottore, » disse l'allegro vecchio. « Matto io? sarà; ma nol fu già lei, signor mio, quando sottomano, alla sorda, lasciò sentire al padre della Maria cosa penserebbe, se mai fosse capitato un partito alla sua povera figliuola, un partito come va; e se saprebbe farglielo parer buono: un uomo un po' sugli anni sì, ma vegeto, sano, e poi, persona di credito, particolare denaroso.... Ehi, dica: non è così, signor Gaspero?» « Che bravo poeta! che rima! » crollando il capo quegli diceva. « Altro che poeta! Lo so ben io. Se non fosse stato il buon galantuomo a rispondere, come pochi pur troppo rispondono in questi casì - Ma, io non ho che questa tosa, e ch'ella se lo trovi il marito, e sia contenta: sono un povero diavolo, è vero; ma è meglio pochi stracci e cuor contento, che non abbondanza di fuori , e cuor voto di dentro.... Non è così? » « Pigliatelo, vi dico, il dottore, tenetelo saldo, ch'è matto, matto da legare! » « E che mal ci sarebbe se la fosse come dice lui? » soggiunse il deputato. « Ma sì, che mal ci sarebbe? » ripetè il signor Gaspero. « Bene, dico io.... Ma sapete » conchiudeva il curato,

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E mi pare che tutti siate un po' in cimberli, a chiacchierare così in pubblico di donnette e d'amori, come i giovinotti della città al caffè! Oh finiamola, oh' è tempo! Ecco appunto il signor Samuele, che viene a questa volta. Ehi, ehi, signor Samuele, venite qua. Non vi pare che sia il Vapore quello laggiù in fondo, sotto la punta di Laglio?... Ohe, non vi dicon niente i vostri occhiali? » « Mi pare e non mi pare » lo speziale rispose, levando il naso, e mettendo il rovescio della mano alla fronte, a mo' di visiera. Ed esso e gli altri s' aggrupparono sur un monticello della riva, per aspettare, con la loro quotidiana curiosità in corpo, il passaggio di quella barca che da pochi anni aveva segnato un nuovo e grave avvenimento nella loro vita. E là, su quel pianerottolo, figuravano un crocchietto degno del vivace pennello del nostro Migliara.

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E quando sorgeranno nel mezzo della vita i giorni delle lunghe prove e della tradita fatica, quando, fra il rumore del mondo e l'angustia del futuro, volgeremo indietro uno sguardo al tempo che prometteva felicità, allora ci sarà dolce il tornare, almeno col cuore, a riposarci in que' luoghi, dove la solitudine è piena de' nostri primi amori e di tante piccole storie da fanciulli; dove conosciamo ogni palmo di terra, ogni albero, ogni cespuglio; dove ne pare meno amaro il ricordarsi del dolore sofferto. L' oscura sorte d'Angiola Maria sta per mutarsi: un giorno, una parola, cambiano tante cose quaggiù; bastò un giorno per sedurre i pensieri della giovinetta con le lusinghe d' una vita più bella, d' una vita che fino a quel tempo le era stata un sogno fuggitivo, dal quale senza rammarico si risvegliava. La dimestichezza nata fra lei e le due damigelle, il rivedersi tutt'i giorni, la concordia de' pensieri e de' cuori, la necessità di cercarsi, di volersi bene, quella fiducia della giovinezza così schietta nell'anime buone, tutto si combinò per condurre Maria a lasciarsi vincere dalla preghiera d' Elisa e di Vittorina d'accompagnarle quell' inverno a Milano. Esse speravano, in segreto, di persuaderla poi a venir con loro in Inghilterra. Avrei dovuto dirvi prima, che il vecchio lord, al cader dell' autunno, stanco della lunga solitudine, e ristorato alquanto in salute, aveva, con gran rammarico delle due fanciulle e d'Arnoldo, risoluto di passar l'inverno nella città. Però, quando bisugnò partire, fu Vittorina che trovò lo spediente d'acconciarla bene per tutti.Un bel dì, fece a suo padre molte carezze e una preghiera; e il lord, colto in buon momento, acconsentì. Non occorre dirlo, la mamma Caterina non si lasciò neppur essa lungamente pregare; che anzi non capiva in sè atti piacere, mentre Elisa l'assicurava che si sarebbero tenuta la sua cara Maria, come una compagna, un' amica, e al primo giorno della primavera gliel'avrebbero restituita, e tant'altre promesse. E poi, la buona vecchia voleva troppo bene alla figliuola; appena questa parlava, ella non sapeva trovar più ragione in contrario. - Oh l' amar molto è la gioia e il martirio delle povere madri! Il più serio fu, quando bisognò scriverne al vicecurato. Maria sapeva i pensieri, sapeva il cuore di suo fratello; dubitava che quella, partenza così nuova, quel lasciar sola la madre per tutto l' inverno, non dovesse a lui parer bene. Tremava la povera fanciulla nello scrivere e suggellar quella lettera, tremava, nè sapeva il perchè. Ma bisognò farlo; sua madre non aveva posta altra condizione, tranne questa, che vi fosse il consenso di don Carlo. Chi si pigliò la briga di portar la lettera al suo destino fu lo stesso Arnoldo, per una buona ragione che coverse di due buone scuse, cioè di fare una visita all'amico, e di percorrere un' altra volta, innanzi abbandonarla, quella bella contrada. Prima che uscisse l'alba della vegnente mattina, una barca lo traghettò a ****, dov' erano i cavalli di suo padre Qui giunto, condusse fuori uno svelto e brioso leardo; montò in sella, e seguitando i sentieri lungo la montagna, viaggiò tutto il giorno, per arrivare innanzi sera alla lontana parrocchia. Più d' una volta falli il cammino, e gli fu forza tornar indietro, rifare lunghi tratti della strada già corsa; onde sentiva dispetto dell'indugio, e compassione della sua povera cavalcatura. Già da parecchie ore il cavallo andava di buon portante o di galoppo su per quelle strade appena praticabili, e sbuffava dalle nari per la lunga fatica; la sua criniera ondeggiava sollevata dalla gentile brezzolina d' ottobre; le ferrate sue zampe percotevano con violento passo sui grossi ciottoli di que' sentieri franati: ma il giovin cavaliere non pareva mai stanco di tener piede in ista fra. Soltanto egli lasciava, a quando a quando, che il cavallo continuasse di passo la via, e intanto gli accarezzava il collo e la criniera. A mezzo del cammino, scese di sella, e fermossi per breve tempo in un deserto casolare, il quale d'osteria non aveva che l'insegna; un tugurio. dalla mala sorte collocato in fondo di solitaria valle. Condusse egli stesso il suo cavallo in un canto della corte, innanzi a una mangiatoia tarlata; poi entrò nella cucina, sedette, e senza parlare si refiziò con un stantio resto di torta, e con certo cacio di capra che gli fu messo innanzi, e che poi inaffiò d'un bicchiero di vino acido; e pure l'ostessa ne aspettò un pezzo il complimento. Era una giovine e tarchiata valligiana, la quale gli s'era piantata in faccia, con le pugna appuntate sul descaccio zoppo, quantunque fosse piú usa a guardare, con due occhi grigi e furbi, il bel muso d'un contrabbandiere a lume di luna, che non la faccia dilicata e i capegli biondi d'un giovinotto inglese innamorato. Ripigliò il cammino, e lungo la strada, la sua fantasia, seguendo sempre gli stessi pensieri, vestiva d' una immagine sola la varia scena della natura ridente o selvaggia ch'egli attraversava: i gruppi d' alberi, i casali, i dirupi e le frane, il ruscello e il torrente, la piccola pianura e la greggia col mandriano, il paesetto e il cimitero, tutto pareva fuggirgli dinanzi, come fosse nel paese delle visioni. Una sola meditazione nutriva il suo cuore; nè quel pensiero era mai così forte, come quando traeva fuori la lettera di Maria, e contemplava con segreta dolcezza le parole della soprascritta; la quale, del resto, non poteva esser più semplice, nè so che incanto avesse. A un'ora di notte arrivò alla parrocchia, e scavalcò all'uscio d'una povera abitazione, che un pecoraio gl'insegna come quella del vicecurato. E lo trovò nella più interna delle due camere, ch'erano tutta la casa, Io trovò a vegliare in mezzo a' suoi volumi, qua e là sparsi, ammucchiati o aperti, al lume d'una piccola lucerna. Al vedere l'inaspettato visitatore, il prete s'alzò, e, fattosegli incontro, sorrise; poi, senza parlare, gli strinse con molto affetto la mano; ma il suo volto era pallido, malinconico il sorriso; lo stesso suo andare aveva qualche cosa di penoso e d'incerto. « Siate il benvenuto, amico mio! Dunque non l' avete dimenticato il povero prete? Nella mia solitudine, la vostra venuta è una benedizione. Oh credetelo! il mio cuore ve n'è riconoscente. » « Mio buon Carlo, tocca a me a domandarvi perdono, se è la prima volta che vengo a visitarvi; non ho tenuta la mia promessa, lo so; ma.... mio padre.... » « Non, dite altro: vi so troppo buongrado del piacere che adesso mi fate; e v' assicuro ch' io aveva gran bisogna di vedere un volto amico. » « Vi trovo assai mutato da tre mesi; magro, sparuto: siete stato forse malato? » « No! sto bene: è l'animo ch'è malato. Ma di me non parliamo; voi.... » « Ho una lettera per voi.... una lettera di Maria, di vostra sorella. » « Che? accadde qualche disgrazia?... di mia madre....» « Oh! sta bene e vi saluta, la buona donna; è ben disposta e così lieta! » « Dio la benedica! Ma questa lettera di Maria.... » « Eccola: essa vi domanda che consentiate di lasciarla per qualche tempo con noi, che andiamo a passar l'inverno a Milano.... Le mie sorelle anch'esse ve ne pregano. » disse il prete, maravigliando e cadendo d'improvviso in gravi pensieri. Indi aperse lentamente il foglio, lo lesse attento, e ripiegatolo l' intascò. Il giovine lo riguardava, in atto di serio esitare. Indi a poco il prete gli domandò: « Quando contate di partire? » « Domattina, forse. Perchè.... non so se mio padre.... » dubitando rispose. « Domattina, dunque, avrete la mia risposta per Maria. » E ciò detto, il prete mutò discorso, nè più parlò di sua madre, nè di sua sorella. Ma raccontò all'amico la vita che menava in quella valle; vita di sacrifizio, di coraggio, e che avrebbe presto distrutte le forze d'altri uomini di tempra più salda della sua. Quella remota parrocchia di poveri terrazzani, dispersa in abituri e capanne, senza ricolto e senza decime, metteva a dura e continua prova il ministero dell'uom del Signore, chiamandolo a tutte l' ore dov' era bisogno di consolazione, dove stavano il pianto e la fame. Ma fattasi l'ora tarda: « Pensiamo a voi; » disse don Carlo. « Voi siete stanco, rotto dal viaggio; qui nel paese non c'è locanda di sorte, chè altri non vi capita se non qualche vagabondo, o al più due volte l' anno qualcuno che abbia perduta la strada. Se v' accontentate, vi cedo il mio letto; già lo sapete, siete sotto il tetto d'un povero romito.... » Ma negando l'altro in ogni maniera: « Bene, » soggiunse il prete, « il mio Bernardo (è un buon cristiano di questi monti che m'aiuta e mi serve) vi preparerà alla meglio un lettuccio sul canapè ch'è nell'altra stanza. Scusatemi, amico; v' accorgerete stanotte di non essere nelle belle case, e nei buoni letti della vostra Londra. Ora addio, e buona notte! » Arnoldo si coricò; ma alle stanche membra non concede- vano riposo l' ardore e l' inquietudine della mente combattuta da cento pensieri più strani delle larve d'un cattivo sogno. Vegliava dunque, e dopo qualche tempo s' accorgeva che nella stanza vicina il prete era pur desto; poiché la lucerna mandava ancora, per alcune fessure dell'uscio, il sottile suo raggio. Dapprima non gli giungeva all'orecchio nè voce nè respiro; poi intese come il muover lento e grave d'un passo che misurasse chetamente la stanza. Il giovine si traeva sotto le coltri, cercando dormire, ma invano.... Origliava, non fiatava; passò un' ora, ne passò un' altra: e sempre sentiva il prete andare e venire su e giù lentamente per la camera. Tutto ad un tratto lo riscosse uno strepito, come lo scricchiolar d'una seggiola sotto il peso di persona che sopra vi s' abbandoni; in quella, gli parve d'udire un affannoso sospiro, e poi queste parole: - Mio Dio!... dammi forza e costanza!... Allora, vinto da non so che terrore, stava per balzar dal letto, quando s' accòrse che la lucerna era spenta, e che tutto era silenzio. Alla mattina, Arnoldo pensava di chiedere al prete, in nome dell'amicizia, la spiegazione di quel mistero, la causa della preoccupazione grave e dolorosa in cui l'aveva trovato. Nondimeno, quando se lo vide venire incontro, con aspetto serio ma tranquillo, per fargli nuove scuse di quella sua meschina ospitalità, e s'accorse ch'esso troncava ogn'inchiesta, la quale a lui riguardasse, pensò che doveva essere un segreto geloso e profondo, uno di que' segreti che si trema di confidare anche al cuor dell'amico, e tacque. Con involontario turbamento Arnoldo ricevette la lettera che il vicecurato aveva scritta in risposta a quella di Maria. Quando, preso commiato e salito in sella, il giovine ripetè un saluto, il prete gli s'avvicinò, e strettagli forte la destra: « Arnoldo, » disse « voi siete un uomo onesto, e il cuor vostro è buono e generoso. Voi siete abbastanza felice, ma io non ho più nessuno quaggiù!... Il futuro c' incalza e trascina, Dio solamente lo conosce: se dunque a Lui piacesse che non ci avessimo a incontrar più su la terra, e se mai l'avvenire vi menasse di nuovo in quest'Italia, non dimenticate mia madre e mia sorella. Confortate, l'una, proteggete l'alba.... Fortunato voi, se avrete questa consolazione di poter dire: - C'è alcuno. che mi ama e mi bene- dice: - Addio! Arnoldo si sentì commosso fino alle lagrime, ma fattosi forza: « Addio! » rispose « virtuoso amico. State di buon animo; spero che ci rivedremo ben presto. Addio! » E, dato di sprone al cavallo, s'allontanò. Due giorni appresso, la famiglia de' Leslie era partita dalla villa, e Maria aveva abbandonato la natale sua terra. La man della fanciulla aveva tremato nell' aprir la lettera di suo fratello; erano poche linee che dicevano: - « Chi deve avere maggiore pena che tu parta di qui, mia cara Maria, è la nostra buona mamma. S' ella dunque vuol farlo questo sacrifizio, e tu segni la tua volontà. La famiglia, nel cui seno ti ritrovi è raro esempio di nobiltà vera e onesta. Ma non ti scordar mai, sorella, chi tu sia! Conserva il tuo cuore; pensa che un cuore come il tuo è una gemma, la quale, perduta una volta, non si ritrova mai più. lo spero, peraltro, che la tua lontananza non sarà lunga: quando ritornerai,fa di trovare ancora nella tua povera casa, sotto il cielo che il Signore t'ha dato, quegli stessi pensieri e quella stessa vita che ora vi lasci. E se mai temi che non sia per essere così, oh! non abbandonare, te ne scongiuro, la tua povertà e il silenzio dell'oscurità nella quale sei nata. Addio, mia sorella! Che il Signore t'accompagni! « CARLO » Caterina pianse nel leggere questa lettera così semplice, ma non ebbe cuore di stornar la figliuola dalla proposta partenza. Maria mise insieme le sue poche robe; e la mattina, nell'andare dall'una all'altra stanza, le pareva che quell'abbandono le pesasse sul cuore, e quel breve viaggio le fosse imposto come una penitenza. La buona madre anch'essa, venuto il momento di staccarsi dalla sua Maria, sentì un segreto dispiacere, quasi un pentimento d'avere accondisceso all'impensata a quella partenza; e le tornarono in mente le parole che ripeteva un tempo il suo pover uomo, quando la signora contessa volle tenere con sè la fanciulletta: - Verrà un.-giorno che ve ne pentirete, e non vi sarà più rimedio! - Ma non disse nulla, e le cacciò via quelle parole, come un tristo pensiero. Nel tragittare il lago, per raggiungere le carrozze del lord, le quali stavano aspettando su l' opposta riva, Maria non potè nascondere l' angoscia che la stringeva, benché non piangesse. Dilungandosi dalla sponda, guardava la madre sua e la vecchia Maria, che dalla soglia della casa le mandavano ancora baci d'amore; guardava la sua finestretta e la pergola del cortile. E certamente, se non era la presenza del vecchio signore, che quantunque buono e carezzevole con lei, pure la teneva nell' imbarazzo della suggezione, avrebbe lasciato libero sfogo alle lagrime. Elisa, guardandola con mestizia, la compativa; Vittorina l'abbracciava, ripetendole le più liete cose che siensi dette mai, per consolare chi abbandona la prima volta i luoghi a cui una vita serena di molt' anni donò tanta e così vera bellezza. Nel tempo di quel tragitto, un giovane barcaiuolo accompagnava il lento batter del remo nell' acqua cori una semplice canzone del suo paese, su andar della seguente: IL COMMIATO. CANZONE DEL BARCAIUOLO.

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i larghi viali suburbani, che ornati d' una doppia fila d'alti platani, la circondano, come delle verdi ombre d' un giardino; i suoi lieti bastioni, le sue porte, che ora ti ritraggono qualche idea della superba arte romana rimpicciolita da' compassi dell'arte moderna, e ora ti presentano l'umile ingresso d'una borgata; i suoi corsi larghi, lisci e asciutti, le sue variate vie fiancheggiate di modesti palazzi e di case belle e recenti, dalla fronte allegra, dalle spesse e diritte finestre; tutto ti farebbe creder quasi d'essere in una città sorta ieri, se le belle cupole, e i campanili delle vecchie sue chiese, e quelle superbe colonne cadenti di San Lorenzo, unico avanzo della nostra grandezza a' migliori giorni di Roma, e più di tutto la mole sublime e gigantesca del Duomo con le cento sue guglie aeree, non sorgessero a ricordarti che i secoli passati vi hanno lasciato le loro grandi vestigie, e signoreggiano, direi quasi, con l'armonia della loro maestà vetusta su d'un vasto anfiteatro di case, che la mediocrità, costruì colla ispirazione del comodo, del risparmio e della convenienza. Ma non cercare gli avanzi delle nostre glorie municipali: sono pochi, forse inutili per noi, e furono sepolti dai secoli, o dispersi dagli uomini. Non aprire i volumi della storia, che adesso non è il tempo; essa ha pagine scritte col sangue, pagine terribili che fanno fremere e lagrimare, e ne ha, ornate delle più belle glorie italiane, pagine sante, che sono entusiasmo e speranza di chiunque si ricordi ancora di portare il nome de' suoi antichi. - Milano è la città del gran signore e dell' onesto privato, del mercatante e dell'ozioso, del filosofo e del povero galantuomo; è la città semplice e colta, generosa e ospitale, la patria della bella vita e del buon cuore: Tutto il mondo è paese, dice il proverbio; ma i proverbi, massime gli antichi, non hanno più ragione. Nondimeno colui che per la prima volta abbandona l'aria pura della campagna, la solitudine d'una terra ignota, non può trovare nella città quel soggiorno di delizie e di fortuna, che forse prima aveva sognato; nè quella pace oscura che nessuno al mondo suole invidiare, tranne chi l'ha perduta. V'è una certa tristezza nella consueta tranquillità cittadina, una certa monotonia nella quotidiana vicenda delle sue costumanze, una noia negli spassi, un' inerzia nella vita, che talvolta ti par di trovarti solo e abbandonato in mezzo alla frequenza della gente, e ti stanchi di vedere il malcontento in seno della ricchezza: da una parte l'orgoglio e il disprezzo dall'altra; dappertutto, l'abitudine e l' indifferenza per quanto ti s' agita o muta d' intorno. Al principio dell'inverno poi quando il cielo non ha sole e la terra non ha altro che nebbie e fumo, è una scena a cui l'anima immalinconisce e si fa grave e noiosa. Le vie spesseggiano di popolo, ma son taciturne; è un andare e venire, un mischiarsi, un incontrarsi da ogni parte; ma ciascuno cammina per le faccende sue; o se non ha faccende, s' accontenta di badare a quello che altri fa o dice. La scena poi è sempre la stessa: è il fanciullo che ora a ritroso, or saltelloni s' avvia alla scuola, col fascetto de' libri su d' una spalla e il pigro servo o la finite brianzuola che gli tien dietro; è l'onesto impiegato che col lento usato passo s'incammina all'ufficio per la strada da vent'anni battuta, chiuso nel pastrano di panno turchino e col fido ombrello sotto l'ascella; il solito gruppo de' lettori d'affissi alle cantonate, il fattorino che torna zufolando alla bottega, la femminetta devota, o la vecchia dama, seguita dal servitore in livrea e con l'astuccio degli occhiali e due grossi libri fra mano, le quali spesseggiando i passi vanno alla messa della parrocchia; è l'ozioso che girando a zonzo arresta tutti gli amici e i conoscenti in cui s' imbatte, o dà gli occhi entro ogni bottega, o numera le finestre d'ogni nuova fabbrica; è il giovine signore che dall'alto cocchio inglese balza su le soglie del palazzo di qualche eletta contessa, lasciando al valletto di dieci anni le briglie de' focosi puledri. Pure, nella città è un bel vivere per tutti: Ben so che spesso bisogna vedere e tacere, mordersi la lingua o far orecchie di mercante; so che bisogna sorridere a tanti amici di cappello, accarezzare coloro che ti stanno di sopra, e quelli stessi che t' invidiano; guardare, confuso nella folla, il traino cortigiano dell' ignoranza tremare talvolta perfino d'una segreta stretta di. mano dell'uomo sincero; so che bisogna fremere e arrossire, se non per te, per altrui; e chinar la testa alle opinioni che, al pari di tanti piccoli tirannelli, cozzano e voglion regnare insieme.... Ma finchè nella patria troverai un amico che ti dica una buona parola, finchè avrai nella tua casa alcuno che t' ami, alcuno da amare, oh! terrai sempre caro il nome della tua città, come quello di tua madre. La famiglia de' Leslie, venuta a Milano, aveva preso dimora in una bella e comoda casa, situata in una delle più popolose vie della città. La casa apparteneva a una vedova dama, la quale, alla morte del marito, s' era ritirata al secondo piano, per nascondervi il suo lutto e i suoi quarant' anni, e per cedere il quartiere del piano « nobile » a qualche ricco pigionale. Le damigelle, non avendo altro che gioja ne' pensieri, s'addomesticarono in pochi dì con la vita cittadina e co' nuovi spassi, dimenticarono il lago e i suoi pacifici ozii. Ma così Don era di Maria. Essa non aveva creduto, da prima, che così presto si sarebbe trovata sola sola: già s'accorgeva che le mancava qualche cosa, e non sapeva che pensare a sua madre, e pensare a suo fratello. Pure ne' primi giorni, la novità di tutto quello che la circondava, le cure divise con le compagne per mettere in assetto la nuova casa, e allogare ogni cosa nella piccola stanza che ciascuna di loro s' era scelto, fu una sollecitudine, un pensiero. Ma poi, quel trovarsi chiusa sempre tra le pareti d'una sala, quantunque tappezzata da lucenti arazzi e sfavil- lante d'oro e di cristalline lumiere, quel correre alle finestre, e non veder che tetti e case, a traverso l'aria greve e fosca, cercando invano con l'occhio la linea serpeggiante delle montagne, e i noti paesetti su l'opposta riva, e l'incerta lontananza dell'acqua: tutto ciò la faceva ben sovente muta, incresciosa a sè stessa, e le aveva rapito quell'aria di freschezza e di sorriso, onde fu prima così bella e serena.

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Arnoldo e le sue sorelle occuparono que' primi giorni visitando, a parte a parte, le nostre chiese, più antiche e famose, i pochi monumenti dell'arti, le molte fabbriche degne d'esser vedute. Il giovine era stato a Milano in altri tempi, e aveva conosciuta la città; egli si faceva dunque compagno delle fanciulle in codesti loro diporti della mattina, e dava la spie- gazione di tutto, meglio che non avrebbe fatto un facondo cicerone di piazza. Ma le damigelle non potevano mai indurre Maria ad accompagnarle. Maria temeva di farsi vedere con loro in mezzo a tanta gente; e s'ella da prima non aveva pensato mai alla gran distanza che separava l'oscura figliuola di un fattore dalle nobili fanciulle, quest' idea mortificante cominciò allora a tormentarla con assiduo rimprovero. Quand' era sola poi, rifletteva allo strano mutamento della sua povera sorte; domandava a sè medesima perchè avesse acconsentito a seguire una famiglia che non era la sua, e come si potesse abbandonar così, anima e cuore, a quella vita tutta nuota per lei, e a che fine sarebbe venuta. Tutto le pareva un sogno; ma il turbamento che le s'era messo nel cuore era vero. Allora sentiva il desiderio d'una consolazione lontana, ignota, che nessuna cosa al mondo le avrebbe potuto dare, nemmeno il ritorno alla sua casa, alle braccia di sua madre. Per la prima volta, pensava a sè stessa, a sè sola, all'avvenire, a' suoi timori, alle sue speranze. Oh! perchè tutte quelle angustie, perchè quelle inquietudini e quel rammarico le si quietavano nel cuore, quando Elisa o Vittorina corresse a scuoterla da' suoi mesti pensieri con l' ingenuo bacio d' una sorella, quando sentisse soltanto pronunziar fra loro il nome d'Arnoldo, o sostasse al suono della sua voce, a quello de' suoi passi? Lord Leslie intanto, giunto appena in città, ripigliò la sua vita altera e dispettosa; com' è costume de' vecchi, a' quali viene oggi a tedio quel che jeri bramarono. Lo strepito della città gli ricordava il tumulto della vita passata, i lunghi anni travagliati dalle cure della grandezza e dall' inimicizia della sorte. Egli tornò a starsene chiuso, soli- tario, a non voler vedere anima viva; e alternava le lunghe ore della sua giornata fra il tè, le gazzette inglesi e la corrispondenza epistolare co' suoi agenti di Londra e coi gentiluomini della sua parte. Arnoldo amava passar gran parte del giorno in compagnia delle sorelle; chè la dimestichezza d'una vita modesta e uguale, le consuetudini quotidiane, quella così cara onestà del costume di Maria, e la sua semplice bellezza, tutto s'univa per fargli più prezioso un amor puro e segreto. Nè Elisa, e Vittorina, ne' loro cuori ingenui, n' avevano ancora il più lontano sospetto: lord Leslie stesso, anzi che a codesto affetto d' Arnoldo, avrebbe creduto all' imminente rovina della, superba aristocrazia del suo paese. Era in quel torno capitato a Milano, tra i molti Inglesi che passar vi sogliono nell' inverno, un baronetto, antico amico de' Leslie, il quale trattenutosi pochi dì venne a portar loro fresche novelle della patria; e fu il solo che il lord acconsentisse di vedere. Era un uomo di mezz' età, con un falso e ricciutello tuppè d'un biondo rossigno; volto di tinta accesa, ma sincero; cravatta e corpettino bianchi; abito di color verde inglese, soppannato di velluto, a larghe rivolte e larghi quarti; un occhialino d' oro pendante al collo, e manichini increspati su' guanti gialli; insomma, lo scapolo elegante, il dandy di quarant' anni. Costui sedeva, una sera, in mezzo al piccolo circolo delle due damigelle, d'Arnoldo e della nostra fanciulla. Fosse l'aria vivida d' Italia che l'animasse più del solito, fosse la leggiadria, delle giovinette, fatto sta che quella sera era lui che teneva desta la conversazione, sfoggiando quegli scherzosi nonnulla, per cui nel bel mondo anche il dappoco diventa cima d'uomo; egli ciarlava, rideva per tutti, che non pareva fosse nato al di là della Manica; e, com' era stato gran viaggiatore, ripezzava il suo parlare or della lingua nativa, or della nostra, e or della francese. All'Elisa, in men di mezz' or, egli aveva ricordate a una a una le amiche damigelle che l' aspettavano nella contea e le s' era fatta vicino per bisbigliarle all' orecchio che un gioviale poeta italiano errava sempre intorno al deserto castello de' Leslie; poi, arrischiandosi a stringere per un momento la mano piccioletta di Vittorina, le aveva descritte a parte a parte le splendide feste di Londra, i passeggi, le danze, le corse de' cavalli, le compagne fatte spose. « Oh perchè non son giovine anch' io come voi! » seguitava il brioso baronetto. a Per voi è l'aurora; per me il mezzodì; per voi splende il sole della bella Italia, per me quello del nord; pure non sono malcontento di me.... Ho fatto più lunghi viaggi, che non Colombo, Marco Polo, Vasco de Gama e il capitano Cook, tutt'insieme. Vidi il mondo; ma lo darei tutto, se fosse mio, per un anno solo de' vostri.... L'amore è la più bella parola di tutte le lingue.... domandatelo, miss Elisa, al vostro poeta; e voi, miss Vittorina, al vostro cuore!... « Siete molto gajo, sir Edwin, » interruppe Arnoldo; « e la vostra vita, se alcuno la scrivesse mai, dovrebb' essere un bel romanzo. » « Eh! amico mio, pensate! press' a poco come quello di Gil Blas di Santillana. Anch' io sono sempre stato di buon umore, a jolly fellow.... E poi non credete forse che la vita di qualunque uomo, fra i venti e i cinquant' anni almeno, sia un romanzo?... Quella d' una giovinetta poi, quella d' una bella donna!... Oh delicious, delicious!» « Ahimè » disse ridendo Vittorina, « io non ho toccata ancora l' età del romanzo. « Sì, sì! per un volto e per un cuore come il vostro, il romanzo comincia a quindici anni. Ma per me.... la mia stella tramonta! ah! ah! l' ipoteca dell' età pesa anche su lo spirito.... eh! eh! » « Via, via, sir Edwin, » soggiunse Elisa, « consolatevi; lo spirito è un genio bizzarro che non ha paura del tempo!... Ma lasciamo le follie; e voi continuate a darci le novelle de' nostri amici di Londra. Non ci avete ancora detto nulla d' Elena nostra cugina: l'avete veduta?... » « Miss Davison? Fu l'ultimo angelo of our merry England, che mi sorrise prima della mia partenza. Essa è sempre più bella, una maga, una divinità! I nostri dandies le fanno corona da per tutto; è il sospiro di tutti, l'idolo che tutti adorano. Ma nessuno trionferà, perchè noi la serbiamo per l'amico nostro Arnoldo.... Non va bene?... » « V' assicuro, » rispose Arnoldo, « che non fo di questi aurei sogni: vorrei piuttosto amare, che adorare.... » « Che c' è di nuovo? siete così mesto e circospetto, che non vi riconosco più. Ma, a proposito, come siete riuscito a far pace con vostro padre, dopo quel terribile scacco ... A lui, non ebbi cuor di parlarne. Se sapeste! il nobile duca era uscito de' gangheri.... le vostre superbe zie, la marchesa.... la viscontessa, facevano un commérage tutta Londra ne fece le meraviglie; se ne parlò a Bath, a Brighton, a Cheltenham.... E quella povera miss? così giovine, così ricca e così bella? Ma si consolerà! ah! ah!... Pure, lasciate che ve lo dica, sir Arnoldo, ell' era fatta per voi!... » Arnoldo non potè più sopportare l' insipido cicaleccio del baronetto; poi, Maria era presente. Costui aveva toccata una: corda che in quel punto risvegliava un ricordo doloroso nel suo cuore: egli troncò a mezzo il discorso, alzandosi bruscamente, e preso il cappello, uscì. Sir Edwin non s'avvide, o finse di non s'avvedere di quel mal garbo; si rivolse ancora alle fanciulle, e continuò le sue vôte facezie. Maria, nascosta quasi in un canto della sala, era stata silenziosa e indifferente per tutta sera; se non che, alle ultime parole del baronetto, rivolse un momento gli occhi ad Arnoldo, e senti ferirsi nel e ore, come d'una punta mortale. Alcuni giorni appresso, ell' era sola nella sua camera; le due damigelle col padre e con Arnoldo, se n'erano ite a un ritrovo, in casa d'un gran personaggio. Mentre frugava nel suo armadietto, le era venuta sott'occhio l'ultima lettera del vicecurato, quella con cui le aveva concesso di partir di casa sua. L'aperse, la meditò lungamente, china la fronte, e fissi gli occhi, che lasciavano cadere involontarie lagrime su le smorte sue guance: e quelle parole, che la prima volta l'avevano appena commossa, allora la fecero tremare. Alla fine abbandonò la mano che teneva il foglio, e appoggiò l'altra sul cuore, come cercando di soffocarne il palpitar crescente, Allora proruppe in un piangere dirotto. Essa aveva letto nel proprio cuore. Ciò che fino a quel dì era stato un segreto, un mistero per lei, le apparve lucido, schietto al pensiero, divenne una certezza, una verità, che la riempì di confusione, e quasi di spavento. « Oh Signore! » diceva in mezzo alle lagrime, osando appena esprimere con un lamento l'angoscia sua. « È possibile che sia così?... Ch'io mi lasci andare a pensar sempre a lui, anche senza volerlo, a lui, più che a mio fratello , più che a mia madre?... Oh! cosa son io a confronto di lui?... Povera mamma, perchè l'ho abbandonata?... Essa crede ancora ch'io sia innocente, essa che mi diceva tante volte: - T' ho messo il nome di Angiola, perchè sii sempre il mio angelo; te ne ricordal... - E lui?... Se avesse a pensare ch' io sia venuta qui, qui in casa sua, con le sue sorelle, perchè gli voglia bene! Povera me! che abisso!... Come è avvenuta una cosa si trista?... Me l'aveva pur detto mio fratello, che in questa famiglia non credono come noi, e che per ciò appunto dovessi esser tanto più buona e pia.... E ora? sento il cuore dirmi che son real... No, no, non è possibile! È un sogno che fo, è la mia fantasia ammalata; tremo, e parrai quasi d'avere i brividi della febbre. » E mentre con voce fioca diceva queste parole, s'era abbandonata sur una seggiola, accanto del suo letto, e lasciava cader sul seno la testa. Ma pensava ancora. - Fuggirò di qui, pensava: domani, subito, abbandonerò questa casa! Ma come mai lo potrò fare?... Oh Signore! è forse un castigo.... pure, che colpa è stata la mia per meritarlo? Ah toglietemi voi da questa angustial... Io sono infelice sì! ma è poi vero, ch'io faccia tanto male a volergli bene? Perchè venire così spesso, lassù, in casa nostra? perchè anche mio fratello l'aveva caro? perchè mi parve cosi degno d' essere amato da tutti, così onesto e cortese?... Egli pure voleva tanto bene a mia madre! il suo cuore è così buono! E come si compiaceva di sedere all'ombra della vite, sui nostri scanni di paglia, di parlar con noi, di raccontarci tante cose! Ma io non gli ho detto mai nemmeno una parola, che potesse fargli credere.... No, no... Se non ardisco neanche guardarlo, quand' è presso di me! Oh dov' egli venisse ad averne il più piccolo sospetto, crede ohe ne morirei di vergogn!... Qui, tornata a sollevarsi, appoggiando il viso su le palme, e i gomiti sulle ginocchia, gemeva in silenzio. I suoi bei capegli, agitandosi com' ella faceva nel suo dolore, s'erano snodati, e le si sparsero giù sulle spalle e sul grembo, a somiglianza d'un nero velo. Intanto continuava a martoriarsi ne' suoi terrori: - Gran Dio! cosa sarà di me?... Quand' anche cercassi di tornare a casa mia, la mamma non vorrà più vedermi; e anch' io sento che non avrei più coraggio d'andare a gettarmi nelle sue braccia. E le damigelle, che m' han dimostrata tanta affezione, che per tanto tempo mi tennero quasi come sorella?.... Ah no se non le avessi conosciute, non sarei a quest' ora ridotta a piangere così!... E lui, e suo padre, quell'uomo cosi severo, che non dice mai una buona parola, nemmeno a' suoi figliuoli?... Io credo, che, se avesse a saperlo, m'ucciderebbe forse con una di quelle sue occhiate. Oh misera ch' io sono! vedo che questa passione sarà la mia morte!... - Così ella, che fin allora aveva indirizzata tutta la sua mente ad un candido affetto, e che altro più non sapeva desiderare nè cercare, adesso ne rifuggiva con terrore; e per la prima volta Che s'accorgeva di amare, gustava tutto l'assenzio che si mesce all' amore. L' idea della sua pace perduta, il dubbio e la vergogna, la memoria de' suoi cari, il dolore della sua povera sorte, i pensieri di Dio e della sua fede innocente, e, insieme a questi affanni, anche la sola nascosta speranza che nudriva, di poter pure essere amata, tutto le pesava sul cuore debole, stanco; e una folla di nuove e tremende immagini le accerchiava la mente smarrita. Si sentiva venir meno a poco a poco; i suoi pensieri si mischiavano, si confondevano più rapidi, agitati, cocenti; poi le pareva si facessero cupi, gravi, un peso insopportabile, così che perdette la conoscenza, e abbandonò la testa su gli scomposti cuscini del letto. La sua fronte appoggiavasi grave e lenta sul braccio manco, e la faccia appariva d' una bianchezza spenta, ai par delle lenzuola su cui posava. Nella dolorosa inquietezza di quell'oppressura, la semplice e linda vesticciuola che le stringeva la persona s'era slacciata allo sparato del collaretto, e sul candore del suo collo e d'una spalla seminuda spiccava la nera striscia d'un nastrino, da cui pendeva una crocetta d'argento, dono fattole fin da' suoi sette anni, dalla nonna. Arnoldo aveva abbandonata, innanzi mezzanotte, la splendida festa; e per le vie Mute, solitarie della città, ritornava a casa, co' pensieri torbidi e malcontenti. L'allegria del ballo, la pompa della bellezza, e lo sfoggio dell'onore e dei tesori più non potevano scuotere da quell'anima giovine e malata l' inerzia che la spossava, nè domarne la noia innanzi tempo sentita; la noia, questa dura fatica d' una vita che non è feconda. Arnoldo, nel rientrare in casa, passò lungo il corritelo su cui s' apriva la camera di Maria, ne vide l' uscio socchiuso: n'usciva una striscia di quel bagliore morente he tremola nell'ombra, quasi augurio sinistro. Egli passò oltre, ma il suono d'un gemito profondo, affannoso, lo fece sostare, l' agghiacciò d' improvviso. Tese l'orecchio, stette ondeggiando fra due pensieri, un brivido ignoto lo prese; poi aperse cautamente l' uscio, ed entrò nella cameretta. Maria posava come prima, sulla seggiola, abbandonato il capo sul letto, e il viso coperto di pallore; aveva le braccia raccolte sul seno, e le mani congiunte insieme, in atto di preghiera. Arnoldo, appena fattosi innanzi, sentì darsi una stretta al cuore, tanto lo sbigottì l'aspetto della fanciulla, immota e giacente come persona morta. S' avvicinò tremando; ma il leggiero sospirare, a cui si schiudevano le labbra di Maria, l' assicurò ch' essa era immersa in languido sonno. Egli prese la lucerna, e velandone appena il raggio con una mano, perchè il chiarore non ferisse gli occhi della sopita, stette attento e senza moto a contemplarla. Non aveva veduto mai creatura più bella. Una vampa improvvisa gli offuscò la mente, gli corse per le vene; ed aveva un riso amaro su le labbra, e una luce fosca negli occhi ; il suo cuore batteva forte.... Ma non era un palpito di gioia, era fremito d' ebbrezza: in quell'istante, un pensiero d'inferno gli attraversò, come un fulmine, la mente. - No! no! disse: credo che se osassi toccarle un dito, la maledizione del cielo cadrebbe sul mio capo! Ah! perchè mai è tanta la magia della bellezza nel dolore? No, io non devo restar qui! O santa memoria di mia madre, aiutami!... Bisogna ch'io fuggal... Ma come lasciarla così? Ella non riposa, ma soffre e addolora. Oh Maria, tu hai mutato il mio cuore tu mi facesti credere alla virtù, risorgere nella speranza, amare la vita! Il mondo, gli amici ridono di me... che importa? è perchè non hanno altre armi contro il cuore che l'ironia e il disprezzo! Ma tu, Maria, tu mi benedirai!... Ella mi ama, sì!... e forse avrebbe la forza di morire, prima di confessarlo. - Queste parole sommesse, agitate del giovine, e l' ardente suo sospiro risvegliarono d'improvviso la fanciulla. Ella aperse gli occhi, vide Arnoldo; e vederlo, e dare un grido, e balzare in piedi precipitosa per fuggir dalla camera, fu tutt' uno. Ma il giovine le si pose dinanzi, la trattenne, e ritirandosi d'un passo: « Ah! restate, Maria » disse, « restate, e perdonatemi! Io passava di qui, intesi un lamento, entrai, pensando che aveste bisogno di soccorso: v' amo troppo, e non dovete aver timore di me! » « Per amor del cielo, tacete! Io non so nulla, lasciatemi, lasciatemi partire!... » « No, ascoltate, Maria!... voi m' avete ridonata la vita; per voi ho ancora gustato qualche felicità, quando la credeva impossibile! Voi, senza saperlo, avete fatto puro il mio cuore; e qui ritrovai tanti anni perduti!... » « Oh Dio! Dio! lasciatemi andare!... non vedete il male che mi fanno le vostre parole?... » E la fanciulla gli s' inginocchiava innanzi, giungendo le mani, supplichevole e affannata. « Maria! » rispos' egli , chinandosi verso di lei, in atto di sollevarla: « ascoltami. Maria, te ne scongiuro, o dimmi almeno che mi perdoni! » « Io non ho nulla con voi! Cosa m' avete fatto?... Io voglio ritornare al mio paese, voglio mia madre! Ah! non avessi abbandonata, non sarei adesso una povera infelice! » « Sì? dunque è vero, dunque è vero che m'ami?... Ora lo so, il tuo segreto è mio. Maria! Maria, amami! non cerco che il tuo amore innocente!... » Maria non rispose che con un gemito. S'alzò, fece qualche passo, tentò ancora di fuggire; ma l'impeto di tanti e contrarli affetti, che in una volta avevano oppresso il suo cuore, le tolse ogni lena; e sarebbe caduta sul terreno, se Arnoldo non l'avesse sostenuta. Egli la contemplava ancora; accorgendosi ch'essa andava mancando e respirava a pena, si riscosse, sentì nell'animo un ignoto terrore.... Non sapeva che fare, e chiamò alcuno che venisse a soccorrere in svenuta: nessuno comparve. Allora chinò il suo viso su quello della fanciulla, e la baciò, con un bacio timido, furtivo, quasi sperando di richiamarla così alla vita.... Ma il tocco di quelle labbra fredde e semiaperte gli destò in cuore il ribrezzo, lo sgomento di chi commette un delitto. Allora chiamò di nuovo; e, accorsa una fantesca, confidò la fanciulla alle sue cure, e uscì in silenzio. Dopo quel giorno, Maria fu sempre pallida e taciturna. Ella aveva perduto il suo sorriso e il suo bel colore, come l' ultima rosa dell'autunno.

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Non andò gran tempo che gl' inviti a splendidi festini, a nobili brigate, le visite fatte e ricevute, secondo la legge d' una schizzinosa cerimonia, e i circoli de' forestieri divezzarono lord Leslie dalla solitudine a cui pareva essersi condannato. Le buone novelle politiche, venute dallo straniero, l' avevano riconciliato con le speranze d'una volta; frequentava le più illustri case, conduceva sempre con sè le figliuole, e voleva che Arnoldo le accompagnasse. Nel cuore dell' inverno, le armonie de' nostri teatri e l' allegria delle veglie e de' balli chiamarono ad altri pensieri, ad altre premure le due giovinette; le quali prima avevano menata vita troppo modesta e casalinga per non piacersi, come suole avvenire, di que' variati sollazzi che per esse avevano ancora la seducente lusinga della novità. Intanto Maria, in tutto quel tempo, e furono due lunghi mesi, visse quasi sempre abbandonata e solitaria, in mezze al tumulto della città, fra il continuo udir ricordare le feste del dì passato e il vedere gli altri apparecchiarsi a' piaceri del domani, feste e piaceri che non erano per lei! E quante volte desiderò di trovarsi a casa sua, al fianco di sua madre, accanto al suo arcolaio; e sentiva un accoramento di vedersi così negletta, e divorava in segreto le lagrime dell'amore e dell' abbandono! Quando rimaneva in casa, in quelle lunghe sere invernali che sembrano eterne a chi, nella solitudine, ha de' dolori a cui meditare; quando altro non le giungeva all' orecchio fuor del lontano mormorare, ch'è l' indizio della vita notturna d' una città, e pensava che nessuno poneva mente allo sfogo del suo dolore; allora, dopo aver tentato inutilmente d' occuparsi in una o in altra cosa, per disviar gli assidui pensieri che aveva in cuore, rimembrava la pace che non doveva trovar mai più, cercava di persuadersi della stoltezza di quell' amore che l'aveva fatta smarrire, e degli anni inutili, desolati, che ormai le restavano a passare. Nelle prove del dolore la sua anima confidente e pura aveva trovato la forza di conoscer In vita e la funesta sua realtà; poichè pare, pur troppo, che la conquista d'una ferma ragione debba valere il prezzo dell' innocenza e del disinganno : così bisogna che l' albero perda i suoi fiori, perché si fecondi il frutto. Maria, la quale non aveva veduto il mondo, non aveva trovato sul suo cammino se non persone amiche e liete di poterla amare, Maria, in quell' ore di solitaria tristezza, divenne una creatura nuova. Allora la vita, che un tempo si dipingeva dinanzi a lei così serena e bella, spogliavasi di tutta la sua magia; anch' essa la timida fanciulla provava in cuore una pena ignota, muta, indistinta, poi la puntura segreta del primo rimorso; anch' essa aveva una parola, un' acerba parola per domandare al Signore con che ragione l' avesse resa infelice! E non le parevano più cosa impossibile la malizia degli uomini e la fortuna de' cattivi; per la prima volta, l'amaro sorriso dell' odio aveva sfiorato la sua bocca; ella pure sentiva dentro di sè una forza intima, potente, la forza di disprezzare chi le aveva fatto del male. In que' momenti angosciosi, si metteva a scrivere al fratello lunghe lettere, nelle quali versava tutta l' amarezza dell' anima e il compianto del suo misero destino: erano fogli sparsi più di lagrime che di parole; era la pietosa 'onfessione d' un cuore che non sa reggere al primo colpo del dolore. E poi lacerava, bruciava ciò che aveva scritto; si sforzava d' essere tranquilla; e raccolti i pensieri, ponevasi a leggere con voce commossa í suo libro di preghiere, Così passarono per lei giorni e settimane di quel tristissimo inverno. Ben vide che sarebbe stato una follia il domandare alle amiche, perchè non la conducessero con loro, dopo ch' ella stessa s' era tante volte mostrata ritrosa d'accompagnarle; nè le fanciulle ebbero più cuore di pregarnela, quando si accòrsero che il padre repuguava all'intima confidenza da loro messa in Maria. La giovinetta, dunque, soffocava il suo affanno, e tremando sempre che una, parola, un gesto, un' occhiata potesse tradire quel segreto, il primo ch' ella avesse avuto, e che avrebbe voluto nascondere anche a sè medesima, cercava d' ingannar chiunque appena le volgesse uno sguardo; cercava di parer lieta, quando il suo cuore non era pieno che d'una sola malinconica idea. Era pur doloroso il veder sempre un mesto pallore sulla sua fronte, e un sorriso di gioia sulle sue labbra Ma, in quel tempo, il segreto turbamento d' altri e più gravi pensieri agitava la mente di Arnoldo. La quiete della meditazione, che fa nascere la necessità di conoscere e di sapere; la libertà dell' anima, che conduce allo studio di quanto v' è di più riposto nelle cose, e ché in mezzo al tumulto degli uomini è così facilmente dimenticato e perduto; la volontà, non più tentata da esterne apparenze e scevra d' ira o di timore, avevano fatto maturo l' intelletto del giovine a uno studio nuovo e più severo della vita. Troppo spesso la sana mente e la fredda ragione sono umiliate da una specie di vago abbattimento, da un amaro disgusto di tutto, perchè possano essere capaci di grandi e virtuose risoluzioni. La coscienza del dovere, senza l' alito segreto dell' affetto, non è virtù; perchè la virtù viva nel cuore, non basta la persuasione indotta dalla chiara evidenza del fatto; è forza che al fatto si trovi una spiegazione, un principio sovrano, il misterioso legame dell' anima con la vita. Arnoldo aveva conosciuto nella nostra città uno di quegli uomini di semplici costumi e d'animo incorrotto, i quali, in mezzo al mondo, seguono con passo sicuro una via negletta e taciturna, la via dell'onesta saggezza. Gli applausi e la gloria non sono per loro, anime grandi e oscure; ma sono per loro la tranquillità dell' uomo modesto e la forza del giusto: vengono sulla terra ignoti, passano dimenticati, e se ne vanno del pari; ma il frutto delle parole e dell'esempio loro sopravvive, nè può andar perduto. Quest' uomo, del quale non dirò il nome, perchè i buoni non cercano quaggiù lode nè invidia, paghi dell'amore de' pochi, nel piccolo cerchio di coloro che si ricordano del bene ricevuto; quest' uomo, colla dolcezza dei consigli e con la forza mite d' un senno angelico e consapevole del cuore umano, indirizzò e sostenne i pensieri di Arnoldo a quel fine a cui l'anima sua da tanto tempo anelava. Egli lo preparava a' gravi studi, lo nutriva di ferventi meditazioni e di calda volontà, ne accendeva il coraggio, e rinfrancava la vigilanza; gli prometteva la vittoria dopo la battaglia, e dopo la fatica il sospirato riposo. Alle severe lezioni di lui Arnoldo consacrava allora la maggior parte del suo tempo; ond' avveniva che si rimanesse, talvolta anche per interi giorni, lontano dalla suo casa e dall' amata giovinetta. E poi, al ritornarvi, quasi sempre lo videro mesto, chiuso ne' suoi pensieri; non parlava, e passava lunghe ore intento a nuove e severe letture, coll' animo combattuto da strane e inquiete fantasie. Nondimeno, con gran cautela, tenne nascosta a tutti la ragione di quelle sue assenze quotidiane, di quell' assidua e muta preoccupazione. Maria sola se n' era accorta, ma taceva; e per il suo cuore era un tormento di più. Pure, in mezzo a quest' ignota cura d' Arnoldo, vi era de' giorni ne' quali l'amore, quasi divenuto in lui una quieta abitudine, si faceva più forte del suo proposito, più grande della sua virtù. Allora egli s'abbandonava a' suoi sogni antichi, a quei fallaci disegni che fa sempre l' incauta giovinezza, persuasa la scusa dell' amore rendere tutto facile e giusto. Allora la leggiadra immagine di Maria non rallegrava più, come prima, tutti i suoi pensieri; il suo cuore era ardente, gravato; cercava spesso di lei; ma poi venutole vicino, sentiva conturbarsi; voleva parlarle, spiegarle l'amor suo, nè sapeva con che parole. E se mai avvenisse che i timidi occhi della fanciulla s'incontrassero per un momento ne' suoi, ella era colta da un terrore nascosto, non mai provato. Una mattina - era in febbraio - le due sorelle e Maria sedevano silenziose presso un tavolino di lavoro, non lontano dalla finestra, dalla quale penetrava una luce fosca attraverso i cristalli, dalla gelata nebbia notturna infiorati coi più bizzarri rabeschi. Arnoldo, appoggiato alla spalla del camino, volgeva distratto le pagine d'un volume che teneva fra mano. Poco di poi, essendo annunziata una mercantessa di mode, le due sorelle uscirono; e Arnoldo rimase solo con la fanciulla. Tacevano entrambi, e Maria non osava levar gli occhi dal lavoro, al quale pareva intenta. Arnoldo aveva posto giù il libro, e la rimirava, tutt'occupato in quella idea d'amore. Alla fine se le avvicinò, e con voce concitata e commossa, « Maria! » le disse « è tanto tempo che devo parlarvi, e voi.... » Maria taceva; ma il suo cuore era tremante, batteva rapido e forte.

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Le due sorelle la credevano ammalata, Vittorina la guardava mestamente, dicendole che non era più quella, nè sapeva che pensarne; ma Elisa, più tenera e dotata di più squisito senso non fu tarda a sospettare la cagione di quel segreto tormento, quantunque non avesse animo di parlarne con Maria; la quale intanto languiva, e si teneva per sè tutto il suo dolore. In quelle due o tre notti, che sogni, che sogni terribili e confusi avevano turbato i pochi, interrotti riposi della povera innocente! Era stato il delirio, il primo spavento d' un' anima vergine e angosciata. Sognava le cime delle sue montagne, i temporali del lago, il fulmine che incendiava la casa di sua madre; sognava d' essere portata attraverso a un turbine di polvere, In una carrozza che cavalli coperti di schiuma trascinavano; e si vedeva seder vicino un giovine, vestito di nero, pallido e muto, che la guardava con occhi immoti, ardenti.... Ella voleva dare un grido, ma la voce le moriva soffocata nel seno; sentiva un gran peso sul cuore, un fuoco in ogni vena, e il cocchio fuggiva, volava, senza calpestio di cavalli, senza strepito di ruote, e per l' aria morta non veniva un soffio di vento: a' lati, di fronte, passavano, sparivano come per magia, selve, case, rupi, rovine; e quel giovine era sempre al suo fianco, immobile, e sorrideva con ùn sorriso che la faceva abbrividire.... Voleva essa gettarsi dalla carrozza, ma l' impeto del balzo che arrischiava non finiva mai, e le toglieva il respiro; era come un' agonia eterna. - Poi la scena mutavasi.... Le pareva di trovarsi nella camera in cui era nata, nella camera del suo povero padre; Avvicinavasi allo scomposto letto, sul quale giaceva addormentata la madre sua; s'inginocchiava a lato del capezzale, pregando in silenzio, aspettando ch' ella si svegliasse; poi sollevata la testa, tendeva l'orecchio, ma non udiva nè respiro nè anelito; quel sonno era dunque sì grave?... Levavasi allora, stringeva tra le sue mani la destra della dormente; quella destra era fredda, fredda.... Si chinava per baciar la fronte materna.... ahi! sua madre era morta! - Ma quest'affanno non bastava; altro era il luogo del sogno, altri i terrori. Era la chiesa del suo paesetto, era il confessionale del vecchio parroco; ella si metteva in ginocchioni presso la piccola grata, tentava di parlare, e non poteva.... alla fine mormorò una parola sola, e la voce del confessore proferì sul suo capo la maledizione del Signore e la dannazione eterna.... Gran Dio era quella la voce del fratel suo! Allora la poveretta cadde all' indietro tramortita sul pavimento della chiesa.... E risvegliavasi coperta di freddo sudore, senza conoscenza del dove si trovasse, senza saper quasi di tornare alla vita; tremava di raccapriccio, sentiva uno spasimo, una contrattura in ogni fibra, le si oscuravano gli occhi, la mente si smarriva; le pareva che il dolore e lo spavento fossero per finire con la sua vita. Poi ricadde assonnata, nulla più seppe. Alla tarda mattina, nel ridestarsi, trovossi fra le braccia della buona Elisa. E l' Elisa solamente aveva qualche parola di conforto per la sua povera amica. Come volentieri Maria avrebbe versato nel seno di lei il suo caro e penoso segreto! ma troppo temeva che nè lei nè nessuno avrebbe voluto credere mai alla sua pura intenzione. Finalmente, passato il terrore di quella notte, e riavutasi un poco, lasciò il letto, dicendo di sentirsi bene, ma di non essere ancora in istato d'abbandonar la sua camera. Si mise a lavorare, ma quasi le sue dita non potevano adoperar l' ago, nè tenere le cesoine, e la mano tremante le cadeva spesso sul grembo. Traevasi lenta presso alla finestra, stava talvolta per diverse ore a guardare il cielo cenerognolo, i tetti coperti di neve delle case dirimpetto, e le persone che passando per la strada apparivano al suo sguardo appannato come ombre indifferenti. Pure, dopo quella muta quiete, v' eran momenti in cui l' anima sua s' apriva ancora alla gioia d'una candida speranza, ai pensieri del suo affetto virtuoso. Quando ricordava que' giorni felici del passato autunno, ne' quali ancora non sapeva d'amare; quando dimenticava sè stessa, e l'assenza di lui faceva, per un istante, più ardita la sua timida fiamma, allora il sorriso di prima le rasserenava ancora il volto, e un sospiro di segreta dolcezza scopriva involontariamente la fiducia del suo cuore. Erano quattr'ore dopo mezzodì, quell'ora in cui la nostra città è così malinconica e tetra nell'inverno, dopo che un breve saluto di sole, apparso a consolar la fredda mattina, è già fuggito, e quando la nebbia bassa, densa, umidiccia, nasconde tutto il nostro bel cielo lombardo. Erano dunque quattr'ore, e una fanciulla ravvolta in una mantellina di seta oscura, e chiusa nel velo nero di che aveva coperto, il modesto cappellino, attraversava il ponte, che dalla via dov' era la casa de' Leslie mette presso alla piccola chiesa di san ****. Ella entrava nella chiesa, dopo d'aver più d' una volta lasciato sfuggire indietro uno sguardo, quasi temesse d'esser veduta o seguita. Chi in quel momento le fosse passato vicino si sarebbe accorto che la giovinetta camminava incerta e paurosa, avrebbe dubitato ch'ella entrasse nel luogo santo, non già per deporre a' piedi del Signore una preghiera, ma per cercare un ricovero, un luogo qualunque, dove le fosse concesso d' adagiarsi e riposare; perchè pareva veramente ch'ella a stento potesse reggersi sulla persona. La chiesetta era vòta; solo una povera donnicciuola stava pregando a un altare, ginocchione sul gradino della balaustrata; e il susurrío delle sue orazioni interrompeva la solennità di quel sacro silenzio. Faceva buio all' intorno; e la luce moribonda del giorno si spargeva appena nell'alto della nuda volta. Il vecchio sagrestano, uscito del piccolo coro, veniva a versar novo olio nelle lampare; poi, attraversata la chiesa, andava ad accendere un cero innanzi a un'immagine dell'Angelo custode, in una cappella a fianco dell' altare. Rientrato ch' egli fu nella sagrestia, s' intesero indi a poco i rintocchi lenti, malinconici, della campana. Era il primo segno della benedizione della sera. La giovinetta si collocava in un canto, su d' una panca ch'era presso la parete, poco lungi dalla cappella dell'Angelo custode. Sedette in quell' angolo oscuro, dove le pareva di starsene all' ombra del Signore; e cercando invano un pio raccoglimento, tentò di superare il terrore segreto che l'agitava. Perché mai era venuta sola, a ora così tarda, e che grazia voleva implorare?... Non lo sapeva; cercava un momento di pace, aveva bisogno di respirare un' aria benedetta, di piangere, non veduta che da Colui il quale può consolare tutte le afflizioni. Sollevò al vicino altare gli occhi, che s' arrestarono su quel sacro quadro rischiarato da fioco lume; la celeste figura dell'Angelo, in quel momento, la illuse propria come fosse viva; poiché, rivolta la testa al cielo e alzata la destra, pareva anche a lei ricordare che soltanto lassù è il tesoro della misericordia e della pace d' ogni cuore. Allora ella fede per inginocchiarsi, ma il rumore d' alcuno ch' entrava in quel punto nella chiesa la riscosse subitamente. Soprastette, e guardò da quella parte. Ah! il suo timore non era stato dunque vano: riconobbe il giovine che poco prima l'aveva seguita per tutta la via.... Egli era là, vicino a lei, e la chiamava sotto voce per nome. La fanciulla non rispose, non si rivolse a lui; ma cadendo su le ginocchia, e nascondendo il volto nelle mani tremanti, effuse l'anima sua nella più calda e pietosa preghiera che possa l' innocenza innalzare al Signore. Era un voto timido, celestiale; una parola profferita dal cuore, col più puro palpito dell'amore e della fede; una parola che il labbro non avrebbe potuto articolare. Essa dimandò al Signore che la salvasse da quella tentazione, che le concedesse di morir presto, anche lontana da tutto ciò che aveva di più caro al mondo, lontana da sua madre, piuttosto che abbandonarla alla passione di quel giovine, del quale, senz'esser rea, non poteva ascoltare le parole. Ma Arnoldo le s' era fatto più accosto, e con voce di sommessa preghiera: « O Maria, » diceva, « non aver nessuna tema, se ho voluto parlarti, se l' ho voluto qui, in questo luogo santo. Io rispetto il tuo cuore e la tua onestà; ma sappi che nessuno deve conoscere il sentimento che ci unisce. E poi, è qui che ho pensato di confidarti un altro segreto, un segreto, il quale non può essere inteso che da te e da Dio.... Dio, spero, lo benedirà!... » Maria tacque ancora. « Tu tremi, povera e buona fanciulla! » continuava il giovine. « Forse in questo momento l'anima tua mi respinge, e ha terrore delle mie parole; forse mi credi un uomo senza cuore, senza nessuna fede. Ma rassicúrati! Tu non sai nè puoi immaginare quanto bene m' abbia fatto il conoscerti, l'esserti vicino.... » « Oh cosa dice mai? » ardi rispondere allora, con accento languido, la giovinetta. « Non profferisca queste parole! Noi siamo in faccia al Signore, in chiesa. Almeno, abbia compassione di me.... Anche lei ha una religione, anche lei ha bisogno di Dio! » « Ascoltami, Maria! sto per metterti a parte d'un grave segreto; la tua anima pura sarà la prima che lo riceva, la sola che, per ora, possa saperlo. Verrà tempo, e forse non è lontano, che si farà noto a tutti questo mistero, la cui conoscenza adesso sarebbe causa della mia e della tua perdita. » Maria non replicò, ma levando il capo rivolse al giovine un'occhiata, in cui appariva tutta l'angoscia del dubbio e del sospetto. « Io sono cattolico, o Maria, » riprese Arnoldo con voce grave e commossa; « la tua religione è la mia! ho conosciuto errori antichi e fatali, e ormai sento d'esser rinato a una nuova vita. Dio, che t'ha fatta bella come l'anima tua, Egli che ha voluto ch'io ti donassi ogni mio pensiero, ebbe finalmente pietà delle battaglie sofferte dal mio cuore, delle inutili speranze che mi agitarono per tanto tempo! Chi, se non Egli, mandò sul mio cammino, incontro a me, quell'anima forte e credente del fratel tuo? Chi, se non Egli, da tanti anni, mi tormenta con questa smania che provo di riposare in una fede, in una verità, che non mi riuscì di trovare mai in nessuna cosa mortale?... Tu, colla pura affezione dell' anima, hai cominciata l' opera pietosa della mia conversione; tuo fratello, in quel tempo d'una felice e tranquilla amicizia, la indirizzò; un altro giusto, un uomo oscuro e sapiente da me conosciuto in questa stessa città, or fan tre anni, e che adesso mi rivide e m'accolse come un suo figlio perduto, ha persuasa la mia mente, ha vinto e mutato il mio cuore. » Queste parole penetravano fino al fondo l'anima di Maria. Un turbamento sconosciuto, misterioso, la commosse; fissò incerta il giovine, con uno sguardo impossibile a dirsi: egli si tacque, e prostratosi a canto di lei, stette per qualche tempo in mesta meditazione. Poi si levò, e in atto più rispettoso e sicuro ripigliò: « Maria, ora lo vedi: non può essere che io t'abbandoni; ora sai quanto sia grande il bene che m'hai fatto, e conosci che il Signore non vorrà punirmi, se venni qui ad aprirti il mio cuore, se qui, innanzi a Lui, son pronto a giurarti.... » « No! non dica di più! » la fanciulla l'interruppe, sostenuta da un' occulta forza della sua virtù. « Io benedico il Signore, perchè ha esaudita la più viva delle mie preghiere; ma altro non posso fare che questo... No, no da qui innanzi non pensi più a me.... Io sono abbastanza felice! » « Di che parli tu mai? la tua virtù, la tua innocenza meritano ben altro premio, e maggiore di quello ch'io ti posso dare. Ma forse dubiti ancora, pensi che io non ti dica la verità!... Oh credilo, Maria, non potrei mentire con te! la sola cosa che m' affanni, è il dovere aspettar tanto ancora a far palese a tutti la mia conversione. Tu non conosci il mondo e le sue opinioni, più dure d' ogni legge; e io non ne ho mai sentito il peso, come in questo momento: mi è forza tacere e nascondere a tutti, e più che ad ogni altri a mio padre, questo segreto che confidai a te sola. Qual ch'essa sia la mente d'un padre, dev'essere venerata, temuta: e io non avrei la forza adesso di andare incontro a tutto il suo sdegno, e più che allo sdegno, al suo dolore; ma presto verrà il momento propizio per rivelargli ogni cosa.... Tu vedesti, Maria, com'egli pensa, come vive: ma non sai che una risoluzione come la mia è per lui un delitto, una vergogna da non esser perdonata mai più a un uomo; tu non sai ch'egli potrebbe fors'anche arrivare a maledirmi! » « Oh! che dura prova le toccherà di sostenere » rispondeva la fanciulla, con atto pietoso. « Ma Dio le ha fatto conoscere la verità. Egli le donerà anche la sua grazia. » « Se tu lo preghi per me, o Maria, Egli lo farà!... Ma intanto non costringere il tuo cuore a rifiutarmi! » « No, no! sento ch' è impossibile.... Devo abbandonarla, devo tornare presso a mia madre. » « Giammai, giammai!... Consòlati, o Maria, e spera! » In quel mezzo entravano alcuni buoni fedeli. Arnoldo s'allontanò dalla fanciulla, e maravigliando quasi di quel severo senso di rispetto ch' essa, con le sue poche parole, aveva saputo destargli nel cuore, turbato e incerto, uscì della chiesa. Maria restava tuttavia inginocchiata. S'udì il secondo, poi il terzo tocco della campana; il sagrestano ricomparve, e accese le lampade e i ceri dell'altare. Il piccolo tempio, a poco a poco, s'affollò di modesta e buona gente, venuta dalle soffitte, dalle botteghe, dalle cure casalinghe, dal lavoro a ringraziare il Signore; anime contente e semplici, a cui la fede non manca mai, perch'è necessaria alla loro vita, come la fatica delle braccia. Echeggiò la volta della chiesa delle sacre litanie , e il fumo dell' incenso avvolse con l' odorosa sua nube I' altare. Il popolo era d' ogni parte divotamente inginocchiato sul nudo terreno; la sua orazione fu breve e rozza, ma incera; e il sacerdote la benedisse in nome del Signore. Tutti se n' andarono; la chiesa tornò vòta e oscura; e Maria era ancora prostrata in umile, fervida preghiera. L'anima sua, nella pace di quelle sante pareti, abbandonò la memoria de' giorni dolorosi da lei passati, e quella stessa timida e vereconda speranza che faceva l'unico suo bene su questa terra; domandò a Dio di vivere pura e senza rimorso com' era stata fin allora, e nelle sue mani pose la propria vita e tutti gli affanni che a Lui fosse piaciuto di mandarle. Poi disse le sue orazioni della sera, con quell'ardente affetto, con che le ripeteva ne' primi anni della sua fanciullezza; e non dimenticò il nome della madre lontana, nè l'anima benedetta del padre suo. Una fiducia mesta, ma pur soave, e una consolazione che non era di questa terra, furono quasi benefica rugiada al cordoglio della sua vita debole e combattuta; la sollevarono, e la fecero ritornare alla pace della sua mansueta virtù. Quando si rilevò, s'accòrse d'esser sola nella chiesa; e in quella, il sagrestano le s'accostò, per avvertirla che l'ora di chiudere le porte era venuta. - Uscì chetamente, ma appena trovossi in mezzo della via, in quell'ora insolita, e intese il noioso frastono ch' empie le strade al cominciar della notte, smarrita tra l' ombre fitte che le pareva di vedere agitarsi, e tra lo smorto chiarore delle lanterne che tremolava in mezzo alla nebbia, quasi non sapeva a qual parte indirizzarsi. Per buona ventura, la casa non era lontana, e si sforzò di raddoppiare i passi e il coraggio. Ma il giovine amante, che poco lontano l'aspettava, appena la scòrse uscire della chiesa, le si mise dietro a breve distanza, e la accompagnò fino a casa. Nè Maria se n' avvide; tutta ricreata de' suoi nuovi e tranquilli pensieri, e nella sua gioia nascosta, ella confidava di poter essere ancora felice.

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. - Dalle sponde, e per le costiere de' monti che coronano le acque tranquille del lago di Como, s'udiva a intervalli ripetersi per l'aria e confondersi, a cento distanze, quasi in allegro accordo, uno scampanare di festa dai paesetti, de' quali è seminata quella beata parte di terra. Il più bello di quella scena, la ridente prospettiva di tanti villaggi, che illuminati dal sole si specchiano nelle onde, quel misto di luce e di colori, quelle Indefinite tem- peranze di vapori e d'ombre, tutto ciò sfida del pari il pennello del pittore e la magia della parola. Non son altro che poveri casali sparsi qua e là, sul dosso d'una collina, sulla costa d'un monte, o a fior dell'acqua; spicca solamente fra essi qualche casa più alta dell' altre, dipinta di bianco, circondata da una vite verdeggiante, o protetta dal bizzarro fogliame di qualche albero antico. Eppure sono i luoghi che t' accontentar l' occhio e il cuore, e che, veduti una volta, non sai più dimenticare. Al solo volger dello sguardo, su d' ogni punta che si prolunga nell' acqua, vedi bei villaggi distendersi lungo la sponda, l' uno più dell' altro pittoresco e ameno, che sembrano sorti fuor del lago per incantesimo: su di ciascuna riva, su di ciascun' erta, arrestano la tua attenzione nobili e vasti palazzi degni di principi, a' quali ascendi per un ampio ordine di scaglioni; villette solitarie ed eleganti, che s' elevano al piede o sul fianco della montagna, ricinte di giardini tutti in fiore, adorne di piante rare e strane, consolate d' ombre perenni; più in su, la meschina casupola dei montanaro e l' angusto suo campicello; poi la costiera si fa più ripida; spesseggiano gli arboscelli; e salendo anche larghi strati bigiognoli d' ardesia erbe grame che ne tappezzano i fianchi, e il saltellare d'acque montane. - Dall' una all' altra parte ti si presentano innanzi, ad uno, a due, a tre, i paesetti, quali sopra una pendice boscosa, quale sopra un ciglione tagliato a perpendicolo, o in un seno di lago, o a cavaliere d'una roccia nuda e sporgente; mucchi di case, che ti sembrano colà annidate per un gioco dell'uomo; e se sollevi gli occhi fino a' vertici più alti, vedi disegnarsi nell'azzurro del cielo i contorni di un' antica chiesa votiva, solitaria custode delle valli sottoposte. Eccoti in faccia un bel promontorio, coronato d' alcuni gruppi di pini, ove dal poggio fino alla scesa siede il più vago paese che ti si dipinga alla veduta; scena pittoresca di case modeste e tranquille, d' ombrosi vigneti e d' orti aprichi; pacifico asilo che seduce e invita nel suo seno l'uomo stanco delle cose di quaggiù. E dietro a questo superbo spettacolo d'acque, di piante e d' abituri, vedi altri monti; e dietro a quelli, altre cime, le Alpi; poi tutto l' orizzonte lucido e fiammeggiante, il sole che sparge una luce infinita, purissima, sull' inquieta superficie del lago, e regna nel mezzo del cielo in tutta la solennità del suo splendore, come lo sguardo di Dio che si riposa sulla terra per risvegliarla alla vita. - Oh! per dire una sì gran maraviglia ci vuol ben altro che l'umile mia penna. La piccola chiesa gotica di **** era aperta, e si vedeva il buon popolo della pieve entrarvi frettoloso e divoto, in fila, a gruppi, a brigatelle, intanto che le campane replicavano ancora l'ultimo tocco della messa della domenica. Per le viuzze oscure e chiuse dalle povere abitazioni, per le callaie bistorte, fiancheggiate d' un muricciòlo di ciottoli, che sboccano nella piazzetta, da ogni casa, da ogni porta del dintorno, si vedevano salire, calare, incontrarsi donne, uomini e fanciulli: le madri si menavan dietro mentre i garzoncelli, nel loro bell'abito delle feste correvano saltellando, come vispi capretti, sulla riva e pel greto: le fanciulle camminavano leste e raccolte fra i piccoli crocchii, che i compari e i giovani del paese andavan facendo qua e là sul sagrato della chiesa, fino a che la campana tacesse. Era proprio una bella gente: facce floride e vivaci, fronti contente, aperte, su ciascuna delle quali avresti potuto legger la bontà del montanaro, mista a non so che d'ardito e di sagace, ond'è noto fra noi chi nacque sul lago; la bontà lombarda, e la toscana sottigliezza. I giovani sfoggiavano i loro acuminati cappelli a larga tesa, ornati d'un fibbiaglio d' acciajo, il farsetto nuovo di frustagno verde e le ampie brache di grosso velluto nero; nè più si contava fra essi che qualche vecchio fedele ancora al giubbone, all'alta cintura di cuoio e a'calzeroni di lana avvoltati sopra il ginocchio, in quella foggia che suol chiamarsi anche da noi barulè. Le fanciulle invece portavano addoppiato sulla testa un fazzoletto di vivaci colori, che copriva quella bella corona di spadine d' argento, onde le contadine lombarde hanno trapunte le trecce: andavano, quasi tutte del pari, vestite d'una semplice sottana di tela turchina, e di certi busti o giubberelli di seta o di rascia, rossi o cilestri, allacciati allo Sparato delle maniche e del petto da molti galanetti di fettucce, ch' erano una grazia. E mentre passavano, alcuna delle belle montanine lanciava indietro una rapida occhiata furtiva sui gruppi de' giovinotti del paese, forse cercando il suo innamorato; qualch' altra si stringeva alla compagna, per nascondersi a uno sguardo audace che la seguiva; ma la compagna, volgendo il capo, la tradiva con risa mal represse. A ciascuna giovinetta che di là s' avviasse, bisogna pur dirlo, que' garzoni arditi mandavano di soppiatto una parolina, un motto, un sogghigno; e certo erano da compatire, chè in piccolo paese si conoscono tutti, come fossero una famiglia. Ma quando videro, da lontano, venire alla volta della chiesa due donne vestite di nero, tacquero subito, e, con non so qual rispetto, si tirarono in disparte. Quelle due donne erano madre e figlia; una, curva della persona, portava sul volto magro e già rugoso, sebbene non apparisse molto vecchia, i segni del dolore che accorcia l' età; l' altra era giovinetta e fresca, ma cosi pallida e bianca, che nessuno, in quell' abito oscuro, e sotto quel zendado nero, l' avrebbe detta una contadina. Era il suo viso di gracile contorno e d' un ovale perfetto; gli occhi, che parevano ancora rossi dal piangere, teneva chini a terra, e le mani, congiunte sopra il seno con un fare onesto e rassegnato, raccoglievano il zendado d'intorno al sottile suo busto. Non era grande della persona, ma snella e graziosa del portamento; e più di tutto i suoi piccoli piedi, che spiccavano sotto le pieghe della nera sottana, rapivano gli occhi. Insomma, c' era in lei qualche cosa di gentile e di raro, nè al primo vederla avresti pensato mai la fosse nata di povere genti, in un oscuro villaggio; chè invece pareva, a' modi dilicati e contegnosi, allevata nel seno di ben più eletta condizione. Eppure era un fiore bello e modesto di quell' ignoto terreno, cresciuto in quell' aria libera e viva. Già tutti erano entrati nella piccola chiesa; dove in silenzio e con una quiete consueta, si dividevano, gli uomini a parte destra, le donne a sinistra; savio costume antico che ancor dura nelle nostre campagne. Al cominciar della messa, s' inginocchiavano tutti al punto stesso, come i figliuoli che aspettano la benedizione del loro padre. E in quel giorno, era un loro fratello, un giovine prete del paese, che, in vece del vecchio curato, offriva per essi al Signore il divino sacrifizio. La sua voce era chiara, solenne, ma commossa: le semplici parole del messale, da lui cantate con severa cadenza, avevano un non so che di tremolo e malinconico. Tutti que' contadini, in un sincero raccoglimento, parevano ascoltare con più divota attenzione quelle ripetute orazioni, che non intendevano, ma che accompagnavano nella fede e nella giustizia de' loro cuori. Ma quando il prete si ri- volse dalla mensa dell'altare per dire: Pregate, o fratelli! - o per ripetere quelle sante parole: Il Signore sia con voi! guardaronsi l' un l'altro in atto di compassione; poichè si erano accorti ch'egli aveva pianto, e che nel presentare al Signore i voti de' suoi fratelli aveva pur domandato per sè consolazione e pace. Ma c' erano nella chiesa due donne che sentivano la pienezza di quel dolore, perchè ne portavano anch'esse gran parte: erano quelle stesse, vestite a bruno, alle quali, mentre passarono poco prima, i buoni contadini avevano dimostrato certa onoranza e rispetto. Oh nessuno colà, in quel giorno, pregava con tanto fervore, con tanta pietà, come quelle due donne! Quand'ebbe finita la messa e benedetto il piccolo popolo, il giovine sacerdote si rivolse, e con voce piana e tranquilla disse dall'altare una di quelle parabole evangeliche, piene di semplicità affettuosa, di santa benevolenza, che scendono nell' intimo de' cuori con la soavità del virtuoso consiglio, in tutta la divina schiettezza della verità. Le sue parole non eran cercate, n'è mandate a memoria: parlava semplicemente, parlava il linguaggio dell'anima religiosa; e un cuore pieno di fede e di speranza era sulle sue labbra. La grandezza di quella dottrina, che con l'unico precetto d'una vita divina quaggiù, spiegata a esempio delle virtù umane, ha rinnovato la faccia della terra, rivelavasi nell' umile verità della sua parola; e la santità di quella morale che consola e che persuade, adatta alla severa, ragione del saggio, come a' naturali intelletti di que' contadini, ispirava ne' loro cuori la contentezza della pace e della fratellanza - perchè egli ragionava loro d'una giustizia incolpabile, e del terrore de' cattivi in mezzo al trionfo delle afflizioni di questa terra e del contraccambio preparato lassù, di carità e di preghiere, di perdono e di rassegnazione. Intanto un giovin signore era entrato nella chiesa; e messosi in un canto, senza che molti s'addassero della sua presenza, si rimase con attenta meraviglia, per seguir le parole che il prete allora proferiva, con accento più rapido e commosso, e ch'erano queste: - O miei fratelli, io lo domando a voi, e fra voi, a ciascun di coloro a' quali il Signore ha già mandato le sue prove, se non sia vero che nel tempo della disgrazia noi ci ricordiamo della religione, noi sentiamo il bisogno di credere in essa, e confessiamo ch'è la verità! Allora corriamo a inginocchiarci all'altare, e domandiamo di poter pregare e di piangere; poichè gli uomini non risposero alle nostre voci di dolore, e il nostro cuore non trovò pace nelle speranze terrene. Ah sì! non c'è umana superbia, la quale non cada dopo un'ora di miserie. - Oh! lasciate che sia disprezzato colui che mette la sua ragione nel cielo, e la sua fede nel Signore! Egli sa la verità più del filosofo che tentenna nell'oscurità del dubbio, e più del grande che ride e si dimentica. Io li ho conosciuti, o miei fratelli, questi uomini che si chiamano i sapienti, e quelli che voi credete felici e potenti come i maghi, perchè sono ricchi e hanno un gran nome: io le ho vedute queste grandi felicità, che i piccoli invidiano, senza nè manco indovinarle - deh! che valgono mai con le loro eterne menzogne, co' piaceri pagati a peso d'oro, e più di tutto con quella nausea di sazietà che le accompagna! - Sì, lo credete! nessun uomo quaggiù ha il diritto d'esser più felice del suo fratello! - Tutti possono esserlo del pari, poichè lo stesso Libro è aperto a tutti; e la felicità è nella verità, e la contentezza nella giustizia. Gli è meglio patire, come il povero, come voi; e benedir il Signore, quando vi concede il vostro pane quotidiano, quando manda un lungo sonno di riposo sulle vostre coltri non invidiate, che non vivere schiavo delle usurpazioni, de' pregiudizii di quel mondo che non conoscete, veder tutti i giorni il disinganno faccia a faccia, e crescere il proprio bene a scapito di quello degli altri. Il Signore ha vissuto nel tempo, è venuto tra noi, ha voluto esser l' ultimo degli uomini: nessuno maledica dunque al Signore nella povertà e nella disgrazia!... É Lui che vi dà l'allegrezza del cielo, l'aspetto d' una natura sorridente e feconda: è Lui che tolse a voi e a tanti vostri fratelli che vivono in questa parte di terra, un nome potente, temuto una volta, e adesso dimenticato, inutile!... Ma il Signore ha detto: Siate sempre fratelli, amatevi sempre! E io vi ripeto, nel nome di Lui: Ricordatevi che il Signore ha in mano il passato e l'avvenire, ch' Egli suscita dal peccato la rigenerazione, dalla morte l'eternità! Educate nella rettitudine e nell' amore i vostri figliuoli, perchè essi vi consoleranno, e piangeranno quando voi sarete morti, e terranno sempre nel loro cuore la vostra memoria. - Oh! io non ho mai parlato a voi con tanta effusione di cuore come in questo giorno, nel quale invano gli occhi miei vanno cercando una cara testa canuta in mezzo di voi, la testa del padre mio, che con tanta gioia avrei veduto levarsi intenta alle mie povere parole, sotto le volte di questa chiesa. - Sia pace all' anima di quel buon vecchio! Oh ditelo voi pure con me, e perdonatemi, se domando la vostra preghiera anche per un dolore ch' è tutto mio.... La vostra preghiera, o fratelli, è per un giusto! Il prete s' interruppe a queste parole; e un singhiozzo mal represso, e un pianto a gran pena trattenuto, s'udirono scoppiare in un angolo della chiesetta. Erano le due donne vestite di nero, le quali avevan cercato invano di soffocare un affanno recente, al ricordarsi dell' uomo di cui parlavano le malinconiche parole del prete. Il giovine signore volse uno sguardo a quella parte, e si sentì commosso, indovinando il segreto d' una sventura così involontariamente confessata, di un dolore così sincero. Egli guardò ancora, e vide sotto il velo bruno, di che andava ricoperta la giovinetta, l'eloquente pallidezza d' una fronte verginale e addolorata, ch'era stata già rosea di freschezza e sorridente; vide due occhi neri che piangevano tacitamente, un volto bianco e soave che s' inchinava, che gli ricordava uno di que' volti d'angiolo dipinti da Raffaello. Anche il prete fissò, quasi non volendo, gli occhi in quel canto, ma subito ne li distolse: le due donne erano sua madre e sua sorella. - Egli continuava: - La vita è breve, l'affanno è passeggiero anch' esso; ma verrà tempo che tutti i dolori saranno consolati. Non invidiate quei che stanno in alto, e non desiderate che venga il giorno di poterli calpestare e disprezzare voi pure, come loro forse fanno adesso con voi; perchè il Signore ha benedetto l' uomo che patisce, e beato è colui che muore con maggior carico d'amore e di dolore Pregate, o miei fratelli, pregate per voi, per i vostri figliuoli, per i vostri poveri morti!... E quando, la sera, ve ne state raccolti in devoti crocchietti dinanzi alle vostre porte, dicendo in comune le vostre preghiere, o insegnando a ripetere a' vostri fanciulli il paternostro, non vi sconfortate se i cattivi passano e ridono. Essi non conoscono il tesoro d' una tranquilla coscienza, nè la contentezza delle anime semplici e credenti. E così io parlo a voi; perchè il profeta del Signore ha detto: - e qui il prete levava la fronte con ardore solenne, e il suo aspetto era acceso di sacro entusiasmo: - Lo spirito di Dio è sopra di me, perchè Dio m' ha consacrato, e mi mandò a portar la sua parola a' mansueti di cuore, a medicare gli addolorati, a prometter l' indulgenza a' prigioni, e la libertà a quelli che stanno rinchiusi. Egli mi mandò a predicare il tempo della misericordia e il giorno della vendetta, a consolare tutti quelli che piangono, a dar loro la corona per la cenere, il balsamo della gioia per il lutto, il manto della lode per le sofferte angustie. E costoro saranno chiamati i forti della giustizia, la radice della gloria del Signore. Perehè, come la terra produce i suoi frutti, e come l'orto germina la sua sentente, così il Signore farà sorgere la giustizia e la santità in faccia a tutte le genti! - Il sacerdote benedisse il popolo, e scese dall'altare. E il giovine se n'andò, maravigliato di questa semplice eloquenza, che a lui parve sublime; se n'andò meditando alla scena di un dolore così schietto e religioso, della quale lo aveva fatto testimonio il caso. Pensava alle due donne, a prete, a quella gente commossa, all' umile chiesa; nè si ricordava d' aver provato mai un senso. così mestamente pietoso, come quello che toccava allora il suo cuore.

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Il cameriere di lord Leslie apriva con cauto riguardo l'uscio della sala, ove al consueto se ne stava ritirato il suo signore; e, facendo una gran riverenza, annunziava che un prete, presentatosi un' altra volta in quella mattina, e che dicevasi l'abate ****, stava aspettando l' onore di parlare a milord. « A me? Chi può esser costui? Non ho mai conosciuto nessun prete italiano » rispose seccamente il vecchio signore, senza alzar gli occhi dalla tavola a cui sedeva, e su la quale erano spiegate le sparse lettere e carte. Il cameriere non ardì far nessuna osservazione. Ma Elisa, che per avventura era à a tener compagnia a suo padre, alzando i begli occhi verso di lui: « Noi lo conosciamo, padre mio, » disse; « è il fratello della nostra Maria. » « A quest' ora non ricevo alcuno, lo sapete! » soggiunse il lord, ripigliando il Morning-Chronicle. « Lasciate che venga! Forse vorrà parlarne di sua sorella: essa, voi non ve ne siete accorto.... da qualche tempo, non ha più bene.... » « E dunque, venga. » Era di fatto il fratello di Maria, il nostro vicecurato. Per la prima volta egli si trovava in faccia al padre dell' amico suo; quell' aspetto immobile e superbo pareva l' im- pacciasse non poco. Il lord non gli disse di sedere; egli si faceva innanzi lento, tenendo in una mano il cappello, e tentando coll'altra i bottoni della sua lunga sopravveste di panno oscuro. Don Carlo, se già non ve lo dissi, toccava al più a' trent' anni; pure sul suo volto , simpatico e sereno, leggevasi l'incerta espressione d'una grave, benchè velata, ama- rezza, la traccia profonda del travaglio dell' anima. Le anticipate cure d' una giovinezza combattuta avevano lasciato su la sua schietta e bella fisonomia le prime rughe di quel dolore segreto, che non si parte dal cuore se non colla vita. Gli occhi suoi eran vivaci e intenti; vi appariva l' ardor del pensiero temperato da un costume di meditazione e di patimento; la fronte alta e assai calva, il sorriso fuggevole e sparso anch' esso d' un' ombra di malinconia; contegnoso nell' andare, ma alquanto chino della persona. Era un uomo che aveva molto studiato e molto dubitato; pure, nella lunga guerra che sostenne contro sè stesso, e contro la sua fede, tra il passato e l' avvenire, tra la disperazione degli uomini e la coscienza di Dio, la sua energia, la sua volontà di bene non s'eran logorate o scemate; ma bensì rivolte al santissimo scopo di far migliori i suoi fratelli, e di rispar miare a molti di loro quelle crudeli prove per le quali egli aveva dovuto passare, prima di riposarsi nella sicurezza della virtù, prima di vivere nella fede. Il suo nome, così degno di chiarezza e di gratitudine, giacerà oscuro, non sarà ricordato tra gli uomini; nessuno forse parlerà mai della semplice sublimità di sua mente, della carità del suo cuore, del poco che potè fare, e del molto che sofferse; ma chi lo conobbe e amò, non potrà rifiutare una lagrima alla sua memoria. Il vicecurato, facendo passare il suo cappello dall' una all' altra mano, non sapeva in qual modo chiamar sopra di sè l' attenzione del signore inglese, che non lo guardava, come egli non fosse là. Elisa, avvedutasi dell' impaccio di lui, ne fu tocca, e volle parlare la prima. Ma il prete, in quel momento di silenzio, fu assediato da una folla di pensieri, e così fortemente conturbato che tutto s' accese d' involontario rossore: fece un passo innanzi, fissò gli occhi sul vecchio, e disse con voce ferma e lenta: « Signore, la prego, m' ascolti! » Il lord, scosso alquanto dalla serietà di quest' accento, levò il capo, e guardò il prete, senza parlare. Ma intanto, ripiegato il giornale, lo depose, facendo un gesto, come per significare: - Parlate, ma spicciatevi. « Signore, » soggiunse allora il vicecurato, a ciò che qui mi conduce, è cosa per me di troppo alta importanza, perchè non m' arrischi a disturbarla un momento. Io sono una persona oscura, senza nome; ella, un signore illustre e potente. Ma si rassicuri, non venni qui a domandarle fa- vori o protezioni, nè a inginocchiarmi dinanzi a lei; poichè a nessuno sono avvezzo a prostrarmi, fuorchè a Dio. Ella è uno di coloro che si chiamano grandi; e, se questo nome vuol dir qualche cosa, deve aver caro l' onor suo, al pari di quello dell' ultimo degli uomini. Dunque io mi presento a lei, a cercar giustizia per il nome mio ignoto, ma puro come il suo, per il nome mio calpestato nella virtù d'una infelice creatura, a me più cara dell'anima stessa.... Ella m' intende, signore.... » « Io non intendo nulla, signor abate; e quello che so, è che non vi conosco, e che nessuno ha ardito mai parlarmi come voi adesso. » « Perchè vuole avvilirmi così? Crede che l'abito di che sono vestito mi proibisca di parlare com' io fo?... non sa chi io sia » « Voi non siete uno ch' è nel miglior senno, signor abate.... » « Bene sta all'uomo ricco e potente di sprezzar chi gli domanda la ragione del suo onore, schiacciarlo nel fango, ridere di lui, come d'uno stolto!... O Signore, reggi il mio cuore, dammi pazienza! » « Ma vi ripeto che non so quel che vi diciate, come forse nol sapete voi stesso: buon per voi, che non mi trovaste in cattivo momento.... Però, son giusto: e se avete qualcosa con persona che m'appartenga, se alcuno de' miei v'avesse offeso, che so io.... dite, spiegatevi chiaro; ma sopra tutto, pensate a chi parlate. » Così rispondeva il lord con altera serietà; ma si sarebbe potuto indovinare come le parole del prete e la persuasione ch' era in quelle mettessero in cuore del vecchio un'ansietà inquieta, il sospetto di qualche cosa di grave. « Dunque, signore, » ripigliò il prete, con voce fatta più umile, « ella vuole ch' io arrossisca dinanzi a lei, nel ripetere una storia che copre di disonore la mia sfortunata sorella?... Bene, milord, dirò tutto. All' onestà d' un' oscura famiglia non rimaneva altra protezione , fuorchè l' infelice che adesso le parla. Una madre amata, una sorella innocente, eran tutto il suo bene. Vi fu un uomo che, allettato dalla bellezza di questa innocente, le pose gli occhi sopra; vederla, e concepire il più nero tradimento che sia, fu per lui tutt'una cosa. S' infinse amico del sincero fratello, violò la santità d' una povera famiglia; ingannò la madre semplice e buona, ingannò la credula fanciulla, la sedusse promettendo di farla sua sposa, la persuase a fuggire.... Signore, quest'uomo vile, è suo figlio!... Ma, non creda alle mie parole! in questa lettera è la confessione della misera

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Voglio dirle ch' io non cerco nulla da lei; perchè, a chi tutto ha perduto in terra, nulla più resta a domandare agli uomini. E quella infelice non avrà altro che la consoli in questa vita, fuor la speranza del perdono nell' altra.... Io non vedrò il figliuol vostro; ma solamente vi chiedo ch' egli sappia, per vostra bocca, e a mio nome, che il suo è più che un delitto, è un' infamia!... e che il cielo, un giorno, ne terrà conto! » « Orsù, le vostre parole mi stancano.... Nulla m'è noto di ciò che aveste l' ardimento di raccontare; che se avessi pensato mai, che quella giovine potesse appena levar gli occhi sul figliuol mio, l'avrei fatta, a quest' ora, cacciar di mia casa. » « Gran Dio! risparmiatemi almeno l' insulto.... È una menzogna, uno scherno atroce! So pur troppo che non si conta per nulla la vita d'una povera creatura; so che i gran signori, come ora voi, ridono di queste cose, le chiamano capricci, passatempi, se pur non dicono essere per noi un onore che voi, nobili, discendiate cosi basso, a portar la vergogna dov' è la miseria!... Ma, per carità, se non potete rendermi giustizia, compatitemi, almeno!... » « Se pensate che sir Arnoldo abbia macchiato il vostro nome, parlatene con lui.... Egli vi saprà rispondere, vi metterà in calma.... Io, per me, non ho altro a dirvi. » « Ch' io parli con lui?... No mai, mai! Una volta avevo pur creduto all'onestà, alla grandezza del suo cuore: povero ingannato ch'io era! Non l'ho cercato, nol vedrò più: la mia coscienza e questo abito stesso, non mi farebbero forse dimenticare ch' io son uomo! Ma.... venni a voi, perchè siete padre e vecchio: pensavo che almeno una parola di giustizia, una lagrima di compassione, non me l' avreste negate. Voi pure mi schernite?... Ma no! non siete voi, è il Signore che volle umiliarmi. S' adempiano i suoi giudizi! » « Adesso parlate come si deve! e mi dispiace di non potere far nulla per voi. Vorreste forse che comandassi a sir Arnoldo Leslie di sposar vostra sorella? il rimedio sarebbe nuovo e opportuno.... » « Non giova che vi pigliate giuoco di me, signore; io nulla domando a voi! Volesse egli anche togliermi la creatura che mio padre m' ha consegnata, vi dichiaro che la vedrei, più volentieri morire, che sposarsi a tal uomo. » « Oh! in ciò siamo d'accordo: vorrei lo stesso anch' io. Una contadina, raccolta per compassione.... Ma, in verità, più ci penso, e più credo che tutto questo sia un vostro sogno; è impossibile che sir Arnoldo.... » « Basta così: io son venuto per condur via da questa casa infelice, e nessuno me lo può vietare!... Il pane, ch'essa ha mangiato nella vostra famiglia, lo piangerà per tutta la vita a lagrime cocenti: così il cielo perdoni a voi la vostra durezza, come a lei la sua colpa! Di ciò solo vi prego, che vogliate dire a vostro figlio, ch'egli ci ha rapito tutto, e ch'io gli ho perdonato! Si, lo sappia, ma si guardi bene dal cercar me, dal cercare la sua vittima; essa è morta per lui! Che se così non fosse, guai a lui e a me! forse non sarei più quello che sono adesso, e il tradimento potrebbe fruttare la vendetta! » Benchè lord Leslie avesse dato orecchio alle parole del prete con fredd' alterigia e con l' ironia d' un esteriore disprezzo, pure il tremito involontario delle sue labbra, e l'attenzione delle pupille sotto le ciglia ristrette torvamente, dimostravano l'interno sdegno. Mentre il vicecurato parlò, anche la fronte del superbo Inglese si fece scura; e chi avesse potuto leggere nell' animo suo avrebbe conosciuto che cento diversi e rapidi sospetti gli passavano innanzi, come nuvole sinistre. - Possibile, domandò a sè stesso, che mio figlio si sia perduto in un amore così indegno di lui? Eh via, sarà stato il solletico d'un momento, e forse tra sè ne ride a quest'ora.... Ma se veramente avesse perduto il senno, se avesse promesso di sposarla.... Che importa? son promesse che legano come giuramenti d' ubbriaco! Pure, Arnoldo non posso credere che Arnoldo.... Egli, che s'era fatto circospetto e severo, egli che sapeva d' avere a dar ragione a un fratello così sdegnoso e audace.... È impossibile! O fu un giuoco da parte sua, o una strana seduzione della fanciulla. Ma in ogni modo, il miglior partito è ch'essa vada subito al suo malanno, e che noi torniamo in patria.... Sì, sì, è tempo, e sia. Il momento è buono, l'orizzonte po- litico si rischiara per noi, e l'ora di far qualche cosa è venuta; bisogna che sir Arnoldo esca in iscena una volta.... altro che perdersi dietro a sogni puerili. - Eran questi press'a poco i pensieri che volgeva in mente il vecchio signore, all' udire i lamenti di don Carlo. Ma intanto, qual' era l' agitazione della compassionevole Elisa?... Ella si teneva cara Maria, e da qualche tempo, turbata da un sospetto della benevolenza d'Arnoldo per lei, la vedeva soffrire, senza poter confortarla. Sentì dunque stringersi il cuore, impallidì, quando intese le parole del prete, quando vide due lagrime agghiacciate su le ardenti sue guance, e pensò all'avvenire infelicissimo di Maria: più d'una volta volle gettarsi a' piedi del padre, pregarlo di non disprezzare la sventura, di perdonare a un' ira giusta: ma l'interno terrore la contenne, e rimase muta e sbigottita, testimonio innocente di quella scena. « Or via, » riprese il lord alzandosi, « andate, andate, e conducete con voi vostra sorella.... Ch'io più non la vegga. e sopratutto che sir Arnoldo non ne sappia nulla! Diceste anche troppo, mi pare, e la mia pazienza.... » « Non temete, signore. Noi lasciamo questa casa, senza maledirla; noi andiamo a nascondere nella solitudine la nostra disgrazia, a cercare alla misericordia di Colui, che ha in mano il passato e l'avvenire, il perdono del male che qui ci fu fatto! Così, e premendo la destra sul cuore, in cui il dolore e lo sdegno si facevano guerra ancora, levò al cielo, con sublime rassegnazione, gli occhi; poi chinandoli di nuovo, li rivolse senza senso all' intorno, e si mosse per uscire. « Aspettate, se vi piace, » soggiunse il lord, richiamandolo d'un cenno. « Ricevete questo piccolo compenso che vi offro, e scordatevi per sempre di noi! » E così dicendo, trasse fuori dalla cassetta della tavola una borsa, e gliela mise innanzi. Il vicecurato, alla vista di quell' oro, arse di rossore, poi divenne smorto, e sentì scorrere tutto il sangue al cuore: « Ripigliate il vostro danaro! L'oro può pagare l'infamia, non comprare la dimenticanza di quello ch' è stato! Voi potete disonorarmi per sempre; farmi vile mai! Che questa viltà ricada sul capo vostro, o piuttosto.... che Dio abbia compassione di voi! » Il prete era uscito, e lord Leslie l' accompagnava con un' occhiata indifferente, e con un sorriso sardonico; poi quando la porta fu richiusa, tentennò il capo e susurrò - Non so come durassi a star cheto con quell' uomo ardito e superbo. E, tutto pensato, mi persuado sempre più che la cosa non sia vera, o non sia com' egli dice. Bisogna che mio figlio mi scopra.... Si cerchi subito di lui: intanto è meglio partire prima che avvenga peggio.... - Poi, rivolto a Elisa: « Lascio a te di disporre che tutto sia preparato per la nostra partenza fra pochi giorni: torneremo a Londra; è il tempo delle elezioni, la stagione delle brighe; è necessario non perder terreno. Dunque, hai inteso. Ma, per ora, non farne parola con alcuno.... Voglio così. » Intanto don Carlo, chiesto a un servo dove fosse la camera di Maria, entrava in quella. La fanciulla, al vederlo così d' improvviso, proruppe in un grido soffocato; era un grido di gioia vera, ma repressa da occulto terrore. E balzò per corrergli incontro, per gittarsi nelle sue braccia; ma egli, ritraendosi d'un passo, volse la testa e stese risoluto la destra, quasi per respingerla dal seno. Allora l' infelice si lasciò cadere sopra una seggiola, e nascondendosi il viso cominciò a singhiozzare. Il fratello la guardava e taceva. « Gran Dio! dunque è vero?... » proruppe egli, dopo un momento; e le s' avvicinò, le prese affettuosamente la mano, e fissando sovr' essa un compassionevole sguardo: « Maria! che cos' avete mai fatto?... Noi siamo stati incauti, è vero, ma voi, voi siete perduta per sempre!... Abbandoniamo questa casa disgraziata; oh così non v' aveste mai messo piede! Non piangete, è tardi, è inutile!... venite, venite con me! Che vostra madre almeno non sappia mai quel ch' è succeduto, ch' ella possa almeno morire in pace!... Perché tremate?... perchè mi guardate così?... « Oh come parlate, Carlo? non sono forse più vostra sorella? » « Sì! lo siete ancora; se non fosse per questo verrei a cercarvi? » rispondeva il prete, con amarezza. « Ah! perchè non vi siete ricordata di me, quand' era tempo!... Io v'amo anche adesso, perchè siete infelice, e voi.... Oh sì , piangete pure, e sperate che il Signore avrà misericordia di voi.... » « Oh mio Dio! » rispose con debole voce la fanciulla. « Io sono innocente, ve lo giuro, sono innocente!... Ah, conducetemi, conducetemi da mia madre! » « Sì?.. tu lo dici?... Ah ripetimi che sei ancora virtuosa e pura, ripetilo, perché ho di crederlo!... dimmi ch' è proprio vero!... » « Si, Carlo, sono innocente, ne chiamo in testimonio l' anima di nostro padre. » « Dio, te ne ringrazio » La sua fronte si serenò, e un lampo d' indicibile gioia gli balenò negli occhi. Allora la sollevò pietosamente, e con la destra abbracciandole la persona, spinto dal grande affetto, la baciò sulla fronte, e: « Vieni, » le disse con forza, « finchè il cielo ti permette d'uscir di qui ancora onesta! Ritorniamo all'asilo della nostra montagna, alla nostra povera casa. Tua madre t' abbraccerà, con quanta contentezza! e potrai ritrovare presso di lei la tua consolazione, e non l'abbandonerai più. Vieni, o mia povera sorella! tu non eri fatta per il romore della città, per i vizi del bel mondo, per i piaceri d' un giorno di questi giovani eroi!... non te ne rammaricare, ma benedici il tuo buon angelo, che a tempo ti salva!... Pochi dì ancora, e il tuo cuore sicuro e perdonato racquisterà la pace di prima; pochi dì ancora, e questi sogni, che hanno turbata la tua vita e i tuoi verecondi pensieri, saranno svaniti. Non teme; no, di soffrire! ma scaccia dall' anima un amore che t' avrebbe renduta per sempre infelice.... Credilo a me! il dolore nasce accanto al piacere, e dove adesso più si gode, è là che un' ora dopo si piangerà più forte.... Oh! diamo col cuor sereno un addio a questi luoghi d' amara ricordanza.... alla miseria di queste gioie, alla voluttà di questi vili trionfi! un addio alle lucide pompe della città, a' suoi canti notturni, alle sue superbe case, alle sue povere officine, un addio a chi tripudia e s'inebbria, un addio, una lagrima a chi si martira e piange! » Racconsolata da queste amorose parole, la giovinetta sollevò le pupille, e riguardando il fratello, con una viva confidenza espressa nel viso, con tenere parole di gratitudine, parole di soavità non terrena, ma celeste, « Oh verrò con te, » gli rispose « verrò con te, o Carlo, che m'hai vata!... quando ti scrissi quella lettera, fu un' ispirazione del cielo! O mio fratello, mio padre, guidami tu! Fa che io riveda presto nostra madre, ch' io possa posare la mia testa sul suo seno, stare con lei sempre, sempre!... » Così alternando parole e lagrime, Maria fece un involto del poco ch' era suo; benchè le fosse amaro di partire, senza dar un ultimo saluto alle due buone giovinette, pure non fece motto, e seguitò i passi del fratello. Ma, innanzi abbandonare la stanza bella e modesta, dov' essa aveva per la prima volta sognata la speranza e l'amore, non potè a meno di volgere ancora un mesto sguardo a quelle care pareti, a quegli arredi, a quei pochi libri che lasciava sopra la tavola.... L' addio della fanciulla non fu che un profondo e doloroso sospiro; ma con esso Maria accompagnava una muta preghiera dell' anima, una preghiera per l' uomo che le aveva per sempre rapito la pace.

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Nell' interno della prima di quelle vetture sedevano un uomo vecchio e grave, e un bel giovane; sul sedile di fronte due gentili damigelle avvolte in mantelli eleganti e guerniti di pelliccia: nella seguente poi, che reggeva da tergo due larghi neri bauli e parecchie grosse valigie, era sepolto in mezzo a un mucchio di fardelli il fedele cameriere del vecchio signore; due altri servitori stavano a cassetta. Il padre e il figlio tacevano, assorti in profondi e contrarli pensieri; le due fanciulle, malcontente d'abbandonare così presto il nostro bel cielo, alternavano fra loro poche e interrotte parole. Ricordavano la lieta vita passata, la voluttà, dell' aria che si respira nel cerchio dell' Alpi, su le rive dei laghi; e a mano a mano lasciavansi dietro con rincrescimento le colte campagne, le quali già cominciavano a sentire il primo tepore della bella stagione. Alle lor parole frammischiavano sovente il nome della loro povera e semplice amica, accompagnato da un pensiero di rammarico: nè per lei potevano sentire amarezza; perché Elisa non sapeva persuadere a sè stessa che Maria, quell' anima pura, fosse colpevole, come aveva sospettato il padre suo, e Vittorina non sognò neppure la causa di tutti que' guai essere l' amore; ignara, qual era ancora, che per amore si pianga e si soffra. Ma ben altre erano le fantasie d'Arnoldo. Quel giorno che il vicecurato apparve d' improvviso per salvare la sorella e ricondurla con sè, volle il caso che Arnoldo fosse lontano; e, sul far della sera, quando tornò a casa, a lui era ignota ancora ogni cosa. Vittorina fu la prima che gli corse incontro per dargli la trista novella. Quant' egli fosse abbattuto, ascoltando come Maria fosse partita per sempre, e quanto ne patisse in quel momento, solo il suo cuore lo seppe. S' era fatto pallido, cupo; l'ira, l'affanno, il sospetto, gli entrarono nell' anima; ma non si scoperse, non disse parola. In quella medesima sera, suo padre gli fece dire che aveva necessità di parlargli; egli non indugiò a presentarsi a lui. Il vecchio lord gli venne incontro, lo prese per mano, e senza accennare alla più lontana idea di ciò ch'era stato, gli mise innanzi, con parole amichevoli e gravi, le nuove urgenti circostanze che lo consigliavano a tornare in Inghilterra, senza por tempo in mezzo; gli spiegò sot- t' occhio lettere d'uomini potenti, che gli avevano disegnato l'andar delle cose, la gravezza del momento; gli parlò poi del debito di non tradir l' avvenire, i proprii diritti, la parte alla quale s' era legato; della necessità in fine di giovarsi di quella congiuntura, per non essere avvantaggiato da altri, e racquistare almeno in parte ciò che prima aveva perduto. Arnoldo rimase confuso, annientato quasi dalle parole paterne. Il vecchio non imponeva, ma cercava consiglio, pregava; ond' egli, che dapprima era stato pensoso, irresoluto, rompendo alla fine il silenzio, uscì a proporre al padre, come unico partito da seguitare, quello d'un sollecito ritorno alla loro contea. L'accorto sguardo del lord aveva indovinata la via per arrivare al cuor generoso del figlio; la sua fina politica famigliare aveva trionfato. Il giovino però sentiva il peso di codesto dovere penoso, sulle prime accettato con volontà sincera. Accondisceso ch'egli ebbe, il pensiero di perder Maria gli tornò in cuore, gli parve insopportabile; voleva parlare di nuovo a suo padre, svelargli ogni cosa; poi riflettendoci, conobbe che sarebbe stato come guastar tutto. E intanto sorse a consolarlo un' altra speranza, che forse, cedendo da principio, gli sarebbe stato poi agevole, passato qualche tempo, di preparare l'animo paterno a non porre più altro contrasto alla sua volontà; e, vinto così l' antico pregiudizio dell'orgoglio domestico, sarebbe stato padrone della propria mente e del proprio cuore. Allora, per non saper trovare altra uscita, abbracciò il più facile consiglio a cui, per la fiducia del meglio, assai di sovente si appigliano gli animi incerti e miti, quello di tacere e di aspettare. Nondimeno, era torbido e travagliato. Non poteva spiegare a sè stesso la causa di quell'improvvisa fuga della fanciulla, dopo tutto ciò ch'era stato; nè comprendere come il vicecurato fosse venuto e partito, senza cercar di lui, senza aspettare di vederlo. Ben gli nacque in mente il dubbio, che Maria avesse confessato al fratello la segreta affezione che li univa; ma per ciò appunto si corrucciava di più, e pensava al basso e falso concetto che l' amico doveva farsi di lui, non conoscendo ancora la purezza del suo proposito, il mutamento dell'anima sua. E desiderava di rivedere, innanzi partire, la giovinetta; voleva parlarle almeno una volta, accertarla del suo ritorno dopo breve tempo, ripeterle la fatta promessa. Allora, dopo ch'ebbe inutilmente tentato più d' una via per trovare in città chi gli desse contezza del luogo in cui il vicecurato potesse aver fermato dimora, dopo ch' ebbe risoluto di trasferirsi segretamente, prima al paesello del lago, poi all' alpestre villaggio di Valtellina; pentito dell' uno e dell' altro disegno, s' abbandonò all' inutile rim- pianto, all'inquietudine, a divisamenti cupi e sdegnosi. Pensò anche di palesare la difficile situazione in cui era a quel saggio uomo che aveva avuto tanto potere su la sua vita, e ch' egli venerava come secondo padre, perchè almeno lo sovvenisse di consiglio: pure, sul punto di farlo, non ardì aprirgli l' animo, o temè forse il giudizio del semplice ed austero vecchio. Intanto il dì della partenza venne. Tutto quello ch'egli potè fare fu di scrivere una lunga lettera al vicecurato, e ve n' acchiuse un' altra indirizzata a Maria; le mandò alla posta, e pregò il cielo che arrivassero al più presto al loro destino. Dov' era allora la nostra fanciulla? In certe povere stanzette, confinate nella soffitta de- serta d' un antico palazzo, che appartenne un tempo alla famiglia del conte Francesco ***, viveva ancora la vedova del vecchio maggiordomo di quella casa. Morti gli ultimi padroni, il palazzo era stato venduto, spogliato delle sue tappezzerie di damasco e delle dorate suppellettili che l'adornavano da forse un secolo: un negoziante, arricchito di fresco e non ancora ritirato dagli affari, l' aveva acquistato e fatto restaurar tutto alle foggie del gusto moderno, con le sue sete, con lucidi arredi parigini, e coi molli tappeti turchi. Quella vedova era una buona vecchietta, servizievole, cicalona, tutt' amore del prossimo e de' poverelli, lodatrice eterna de' tempi suoi e degli ottimi suoi padroni, massimamente della defunta signora contessa; la quale non s'era di lei dimenticata nel testamento, avendole lasciato una provvisioncella, vita sua durante, un trenta soldi al giorno e l' abitazione: era tutto quel che la povera donna possedeva quaggiù. Pure viveva contenta, e con un sordo sogghignare, diceva spesso: Chi molto abbraccia, nulla stringe; ma chi sa contentarsi del poco, campa un pezzo e col cuor largo. - Quel negoziante, al quale certi lontani parenti della contessa, appena ne furono gli eredi, avevano venduto il palazzo, dovette accettare tra gli altri patti anche la noia di tenersi in casa la vecchia vedova. E questa poi fu sempre ostinata a non voler abbandònare la dimora dov' era vissuta per trent' anni; di modo che il nuovo padrone mise giù il pensiero di farla sloggiare con le buone, come aveva stimato facile, nella fiducia che la vecchia sarebbe presto ita a cercar posto nell' altro mondo. A quest' antica conoscente, alla signora Giuditta, come in tutto il quartiere era chiamata, affidò dunque il vicecurato la sua afflitta sorella. Essa li aveva tante volte portati su le sue braccia l' uno e l' altra in giorni più lieti, quand' erano ancora ragazzetti, che non se n' era punto dimenticata; ma, da tanto tempo non avendoli veduti, quasi non lo credè vero, quando le si fecero conoscere. Pure li ricevette a braccia aperte, e domandò loro del buon Andrea, della comare Caterina, del palazzo, di cent' altre cose e perfino del vecchio bracco Azor; rammaricandosi di tutto quello che non era più, e benedicendo il cielo che la buona Caterina del fattore vecchio si ricordasse ancora di lei. Nell'ignota dimora della vedova Giuditta, don Carlo dunque pensò di nascondere Maria dalle ricerche e dalla persecuzione dell' uomo ch' egli credeva suo seduttore; giacché aveva mente di fermarsi ancora per qualche giorno a Milano, e di ricondurre poi egli stesso la fanciulla alla madre. Maria, ne' primi dì, non seppe accomodarsi alla nuova solitudine. Ignara di quanto fosse avvenuto, dopo che aveva abbandonato la casa de' Leslie, di quel che potesse fare Arnoldo per ritrovarla, e forse sedotta ancora da una lontana idea di rivederlo, di separarsi in pace da lui, idea che la sua virtù e l' affetto le richiamavano sempre, non come una colpa, ma come unica consolazione, passava le ore in una dolorosa rassegnazione. Non piangeva più, ma faceva ogni sforzo per ritornare il più che potesse alla memoria di sua madre: solo qualche volta, in segreto, ripeteva ancora il nome di colui che per il primo aveva occupato il suo cuore, sentendo ch' essa non avrebbe più potuto voler bene a nessuno, come n' aveva voluto a lui. Ella non usciva mai, e stava sempre in compagnia della vedova, la quale non sapeva immaginare perchè una creatura, giovine e bella come Maria, fosse così tacita e mesta. Intanto il fratello suo passò que' pochi giorni visitando gli amici che gli restavano; antichi compagni di scuola, alcuni de' quali erano a quel tempo parrochi nella città, altri procacciavan di guadagnarsi, con la penna e con gli studi, una vita stentata, ma libera e onesta. E nel rinnovarsi di conoscenze che avevano messa profonda radice ne' cuori, per quella corrispondenza di sentimenti e di simpatie, ch' è sì bella quando la sorgente n' è virtuosa e schietta, e fedele la ricordanza, come gli parve di ringiovenire, di ritornare a quell' età d' affetto e di desiderio, quando si crede che la buona volontà sia tutto, e nulla la difficoltà delle opinioni e del potere altrui; quando è certa e giusta l' aspettativa, e santa l' energia della fede e del contraccambio!... Con quali sinceri trasporti gli amici si rividero, s' abbracciarono! con che fratellanza di gioia e di dolore rinnovellarono le memorie della giovinezza! Come lagrimarono i compagni che non erano più, ch' eran mancati nell' ora migliore! come compiansero a quelli che avevano tradito le speranze di loro concette, un bell' avvenire, la vita intera!... E le promesse di star sempre uniti col cuore, se con le persone non potevano, d' adempiere insieme all' eterno dovere di render migliori gli altri, di non cader mai d'animo, nè per la tirannia de' pregiudizi e del tempo, nè per la cieca guerra delle passioni, e di servire liberamente alla causa della verità, preparando d'accordo, per quanta forza e per quanto cuore in essi era, il bene e la giustizia a pro di tutti; queste altissime promesse si ripeterono, più d'una volta, ne'loro ragionari dolci e solenni; e furono santificate da' voti e dalle preghiere di que' giusti e generosi che amavano e che soffrivano. Così alcuni di que' dì felici, che il buon prete non credeva di trovare più su la terra, e dietro a' quali ' animo suo aveva ben sovente sospirato nelle solitudini della campagna, in mezzo alla povertà e alla dura vita del contadino, o sotto gli umili archi della chiesa del suo villaggio, alcuni di que' dì felici sorgevano ancora per lui; e lo consolavano nel momento che, ferito nella più viva parte del cuore, s' era umiliato innanzi alla superbia degli uomini, all' ingiustizia delle cose. Di che egli si rallegrava con sè medesimo, chè da gran tempo aveva rinunciato all' allegrezza: nè alcun funesto presentimento venne, a turbar la purità di quell' affetto antico e santo, e il felice presagio di un' età migliore.... Ma troppo spesso le nostre più vive speranze son le più vane. Un giorno - non eran passate più di due settimane dacchè Maria stava in casa della vedova - le due donne avevano apprestato un desinare assai modesto, e aspettavano il vicecurato. È passato il mezzodì passano una, due, tre ore, ed esse attendono ancora, e il vicecurato non comparisce. Su le prime, non si danno pensiero del tardare, rassicurandosi nell' idea che forse qualche impreveduta circostanza ne lo trattenga. Ma poi, all' abbassar del giorno, quando l' una e l' altra ebbero finito di ripetere le usate scuse che si van cercando per ingannar l'angustia dell'aspettare, allora, con quel senso di tristezza che desta il veder farsi sera, cresce in loro il dubbio e l' inquietudine: e taciturne entrambe, si pongono a sedere presso una delle finestre che dà sul cortile, s' interrogano a vicenda con gli occhi, guardano ogni momento verso il cancello del palazzo, in attenzione curiosa, d' ognuno ch' entri o passi. Da quella finestra vedevasi, per il vano del portone, lungo tratto della frequentata corsia. Si fece notte, le campane delle chiese erano già silenziose per tutta la città, e le donne aspettavano ancora. In ogni passeggiero che attraversasse quel breve spazio, pareva loro di riconoscere il prete; ma nessuno mai s' arrestava, nessuno svoltava in quella porta. Maria ben voleva persuadersi che nulla ci fosse di più naturale di quell' assenza, ma invano; un interno timore la vinceva, andava immaginando qualche cosa di funesto; un pericolo, un tradimento, una sciagura improvvisa; e già, come una spina, le stava fitta in cuore l' angustia che il suo Carlo non avesse a ritornare mai più! La vedova, indispettita alla fine di quel lungo tedio, cominciò a sfogarsi, a brontolare fra sè e sè: « Vedete mo,

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La mattina del dì appresso, la signora Giuditta, colla mente intorbidata da conghietture le più strane, sentendosi morir dalla voglia di sfogarsi con qualcheduno, mise sossopra la casa, il vicinato, e raccontò a tutti il suo gran caso. A crederle, si trattava di cose straordinarie; ma, com' ella non ci poteva veder dentro chiaro, s'era ficcato in capo di trovare il bandolo della matassa. Dunque, in meno d'un' ora, aveva narrata la strana avventura della notte alla portinaia di casa, alla moglie dello speziale dirimpetto, perfino alla fruttaiuola e alla lattaia del contorno; ma nessuna di queste comari, com'è naturale, ne sapeva niente; e quando le avevano risposto con un: - Oh!... bontà divina!... - o che so altro, avevano finito. La signora Giuditta stava per tornarsene a casa, con la sua pettegola curiosità in corpo, quando la sorte la fece incontrare col signor Giosuè, uomo di un certo conto, e priore della dottrina cristiana nella parrocchia, il quale era tutto cosa sua. A costui dunque, come ben vi pensate, ella ricantò filo per filo la sua storia, non gli facendo grazia del più minuto particolare. Colui allora, ch'era di que' tali che sanno, o credono di sapere, tutto quello che succede e non succede, tirandola in disparte con un'aria cupa, « Cara signora Giuditta, » le disse col sussiego di chi dà un gran parere, « io so come va il mondo tutti i salmi finiscono in gloria, e una donna come voi.... non so se mi spieghi.... Basta, avete fatto male a impicciarvi con certa gente.... » « Ma lei ne sa dunque qualcosa? « E dàlle! volete voi venirle a contare a me? sentite mo. Ieri mattina, giusto alle dieci ore, ío mi trovava nella sagrestia, intanto che colui, quel prete, stava dicendo messa. Vedo entrar due signori; vengono diritto verso di me, mi pigliano in mezzo, così alla buona come fossero miei amici da vent'anni, e mi domandano il nome e cognome di colui, del prete.... Io me ne sono subito addato.... » « Sì! sì! bene? » « Risposi loro con pulitezza; ed essi, senza cerimonie, si misero a sedere, uno da una parte, l'altro dall'altra, parlandosi fra loro con certe occhiate di traverso.... finchè la messa finì. E pensare, che in quel momento fui tanto scempio da interrogarli cosa volessero!... L'uno mi fissò gli occhi addosso, e non rispose; l'altro brontolò fra' denti: - Non è cosa che la riguardi; - e mi voltò le spalle. » « Son quelli, scommetterei che son quelli stessi: dica, dica su.... » « Insomma, finita che fu la messa, e tornato il prete nella sagrestia, quei due signori s' alzarono, gli andarono incontro in atto di deferenza, e lui a loro.... avreste detto si conoscessero E appena l' un d'essi gli disse alcune poche parole, che non potei capire.... il prete impallidì, diventò bianco come il camice che aveva posto giù, rosso come bragia, guardò intorno, sospirò, e rispose chiaro: - Sono pronto, vengo con loro!... - Io restai di sasso, e, non so perchè, sentivo le gambe ripiegarmisi sotto.... Colui invece, credereste? passandomi vicino, mi rivolse uno sguardo tranquillo, e disse: - Caro signor Giosuè, a rivederci. » « La cosa non è dunque tanto seria, com' io credeva!... » « Non m' interrompete adesso. Una carrozza era fuori della chiesa ad aspettare: nel porre il piede sul predellino, egli s' è fatto il segno della croce, poi s' è messo dentro, e quei due dietro a lui. E io, alla lontana, così come n' andassi per i fatti miei, tenni dietro alla carrozza.... ma quando la vidi svoltar la cantonata, e compresi dove l' andava a riuscire.... ho detto in cuor mio: Tutti i salmi finiscono in gloria! Ci siamo, è fatta!.. e presi un'altra strada. » « Tutto va bene, ma fin qui non ci capisco ancora il perchè.... » « Il perchè? il perchè? ci sono certi perchè al mondo, così serii, che non bisogna cercar di saperli, o quando mai per disgrazia si sanno, tenerli dentro!.. Con voi però, che siete donna prudente, posso arrischiare una parola. Sappiate dunque che quel prete s' è trovato in un grosso impiccio con un gran signore forestiero; pochi giorni fa, dev' essere fra loro successa una scena scandalosa, per causa d' una giovine.... una fuga, un rapimento, un intrigo.... cose, cose che mettono in compromesso la coscienza e qualche cosa di più. Dunque tutto sarebbe spiegato. E poi, quand' uno se la prende contro i pesci grossi, è raro che n'esca netto.... So quel che dico, lo so di buon luogo, e l'affare è chiaro come l'acqua! Voi però non ve ne ingerite. E, per carità, abbiate giudizio con chi che sia!... Già ve l' ho pur detto, la prudenza non è stata messa per niente tra le virtù cardinali. » « Oh signor Giosuè, si figuri! solo mi dispiace per quella povera giovine.... » « Sopra tutte, non state ad aprir bocca con lei non ci mancherebb' altro. » « Bene, tacerò.... le prometto che tacerò. » « Sì, sarà meglio, chè mi pento quasi di aver parlato io!... Signora Giuditta, a rivederci. » « Un momento, dica.... senta.... » Il priore della dottrina cristiana le aveva voltato il tergo, e se n'era ito. La signora Giuditta, con la fantasia agitata, in un mar di pensieri, combattuta fra il desiderio di spiegarsi con Maria, secondo lei, colpa di tutto, e la promessa data di tacere, trovò appena la strada di casa sua. Quando entrò, la fanciulla le venne incontro, interrogandola con uno sguardo che pareva chiedere qualche buona novella; e nella sua sembianza leggevasi tutto l' affanno d' un' anima che crede a una sventura e non si sente la forza di sostenerla. La vedova, a cui pizzicava la voglia di parlare e di dire alla poveretta: - Tutto è stato causa vostra, anch' essa ne fu veramente tocca; e la compassione le suggerì qualche magra parola d' amicizia e di conforto. Al che la fanciulla rispose subito con lo stringerle e baciarle le mani, in atto di viva gratitudine e di dolore, sforzandosi di parer tranquilla. Rilessero insieme la lettera del vicecurato; conghietturarono, ripeterono dieci volte le stesse ragioni; ma non sapevano che ben fare. Alla fine, fu stabilito fra di loro, che prima di scrivere alla mamma Caterina, come raccomandava la lettera, o d'andare a prenderla al paese, come voleva Maria, avrebbero aspettato fino al posdomani, affidate che potesse mai in quel mezzo ritornare don Carlo. Ma il posdomani passò, nè comparve persona, nè venne parola. Perduta quella poca speranza, che per i cuori buoni ha sempre qualche sorriso, benchè mesto e solitario come un fil di luce nel crepuscolo, Maria cominciò a pentirsi di non esser subito partita a cercare sua madre: intanto, d'una in altra fantasia, andava creando le più funeste cose. E quantunque la vedova fosse stata prudente, forse per la prima volta in vita sua, coll' averle taciuto i sospetti di quella sparizione; pure, fra gli altri dolorosi pensieri, venne in mente a Maria anche questo, che quant' era avvenuto potesse anche essere una vendetta dell'uomo potente con cui il fratel suo aveva ardito cozzare per salvarla. Ma tal pensiero era così grave e terribile, che al suo cuore mancava la forza di sopportarlo. Così al bandonavasi alle sue dolenti illusioni, alle sue Inquiete paure. Intanto la vedova aveva trovato modo, per via d'un ex-procuratore del suo antico padrone, di far sapere ogni cosa alla mamma Caterina, affinchè, il più presto che fosse possibile, dovesse trasferirsi a Milano: a dir quel ch' era, tutto il trambusto di que giorni non le dava poco pensiero; nè si sarebbe accomodata, in caso di qualche cosa di grave, a tenersi in casa per un pezzo una giovine, che era stata una pietra di scandalo, e che in fin de' conti non le apparteneva. Per consolare Maria, le annunziò dunque che fra due o tre giorni, alla più lunga, sarebbe venuta sua madre; essendosi ella a questo fine raccomandata aduna persona di proposito, e non occorrere che altri si prendesse di ciò fastidio. Questa novella, e l' idea di trovarsi presto nelle braccia della madre, rasserenarono per quel giorno l' anima e la fronte della giovinetta; e una consolazione le ne promise vicina un' altra, quella di poter finalmente rivedere anelo il fratello. Passati tre giorni, un biroccio s'arrestava alla porta del palazzo. Era densa, la comare Caterina, venuta a Milano in compagnia del signor Gaspero, quel vecchio possidente che abbiamo incontrato più d' una volta, in questa storia nostra semplice e nostrale. Costui, ricevuta una lettera del procuratore, al quale la signora Giuditta s'era raccomandata, e inteso di che si trattasse, senz' indugio aveva persuaso alla Caterina quel piccolo viaggio; condottala con sè Como, di là noleggiata una vettura, accompagnò egli stesso a Milano, dove per abitudine capitava sempre una volta all' anno. Maria era accorsa alla finestrina del cortile. Ella guardò, vide di lontano la madre congedarsi dal suo compagno di viaggio, ne intese la voce, dimenticò tutto. Pochi momenti appresso, Caterina stringeva tra le braccia la sua povera figlia, e Maria nascondeva sul seno materno il viso, che solo per un istante si tinse ancora del suo vivo colore. Senza piangere, senza parlare, stettero così in quel dolce e prolungato abbracciamento: pareva che la fanciulla non volesse distaccarsene più. « Maria, mia buona e cara figliuola, » disse alla fine la madre. « Perchè m' hai tu abbandonata? questi sei mesi sono stati sei anni per me! Oh Madonna santa! come ti sei cambiata, povera tosa! non ti riconosco più!... Ma com' è mai che ti trovo qui? non sei più nella casa di quel signore inglese?... E voi, signora Giuditta, e mio figlio.... è qui don Carlo? ma perchè non ho io saputo niente fin adesso?... M' hanno detto ch' è ammalato.... voglio vederlo! dov' è?... ditelo, non mi fate penare!...» Queste molte domande, che alla misera suggeriva tutte in un punto il materno affetto, posero in un bel guaio la vedova; la quale s' era bene accorta come la vecchia comare fosse al buio di tutto. Maria non aveva coraggio di proferire parola; guardava, guardava la madre, senza togliere mai gli occhi da quell'amato volto, in cui la solitu- dine e il dolore avevano in poco tempo solcate più profonde le rughe dell'età. Ma, atteggiata com'era, in muta e affannosa comteplazione, la sua sembianza suscitava nell'anima di sua madre una pietà mista a terrore. Alla fine la Giuditta, fatto un po' di faccia tosta e di cuor duro, pensò: - Qui è meglio parlare; un momento o l'altro, bisogna pur ch' ella sappia tutto.... « Cara la mia Caterina, » prese dunque a 'dire, « non vi crucciate così; fatevi un po' di coraggio. » « Oh misericordia! che altro male c' è?... » « Già lo sapete, a questo mondo i cattivi sono anche troppi, e son sempre gli stracci che vanno all' aria, come dice il proverbio.... Così tocca sempre ai buoni a portare la pena dei tristi.... » « Oh santa pazienzai parlate, non mi tenete qui su le spine.... » « Eh! ognuno ha la sua croce, e c'è chi deve portarla anche per gli altri... E già si sa, bisogna star preparati a tutto.... « A che? ma dite su una volta! parla tu, Maria; che in questo modo ben più mi spaventate, mi fate morire; mio figlio sta forse male? forse.... » « No, no, sta bene, ma.... » « Signore, datemi cuore! ma che?... » Per tutta risposta, Maria non fece che gettarsi un'altra volta nelle braccia di sua madre. E la vedova raccontò tutto quel che sapeva, tacendone però la supposta cagione, per la pietà di Maria. La povera donna non volle credere a nulla; il colpo fu troppo forte, e l' anima sua semplice e piena d'amore non lo sostenne; nè pensò nemmeno a chiedere il perchè di tanta disgrazia: non poteva dubitare che il figlio non fosse innocente; il nome di suo figlio era sempre stato per lei come quello d' un santo. Stanca degli anni e sola, metteva in lui tutto il suo cuore, tutto il suo tenero orgoglio di madre; aveva speranza e vita nell' unico amato, il quale, dopo la morte del suo pover' uomo, com' essa diceva, doveva essere il padre della sua Maria. La buona donna, nella solitudine della sua dimora, che un tempo rallegravano la presenza e l' affetto de' suoi cari, e poi rimasta vôta, deserta, come un sepolcro, si consolava pascendosi dell' idea, che l' uno o l' altra avrebbero sortito modesta e onorevole condizione su la terra, e che un giorno forse, ne' suoi più tardi anni, l'avrebbero circondata di cure d' amore, e a larga mano compensata de' sacrifizii fatti, della vita tediosa che trascinava. Non si rammaricava mai di non aver altra compagnia che la vecchia Marta, perchè, conoscendo il cuore de' figli suoi, le pareva quasi d' abitar con loro, di vivere con loro, quantunque lontani; l'unico desiderio che nutrisse, era di poterli di tanto in tanto rivedere; e ogni giorno si teneva più certa di presto abbracciarli, in questa certezza essendo tutta la sua gioja. Seduta sovente al tepido sole delle mattine d' inverno, sotto la nuda pergola della casa, con la conocchia fedele, pensava alla povertà, alla pace, raccontava la storia d'altri anni, raccontava quella dell' avvenire; felice abbastanza quando parlava della sua bella Maria, o del suo curato, alla Marta che le sedeva rimpetto, pettinando le matassine del lino. E allora, senz' avvedersene, le due comari s'arrestavano dal, lavoro; all'una spezzavasi il filo della conocchia o cadeva di mano il fuso, all'altra si perdeva il lino nelle punte del pettine. Ma entrambe, in que' momenti, sollevavano al cielo gli occhi e il cuore, con un pensiero più santo d'ogni preghiera, del pari benedetto. Ma ora che diversi pensieri, che mutamento La mamma Caterina, per tutto quel dì, e per molt'altri ancora, non volle ascoltar ragione, nè consolazione, nè speranza, non domandava che suo figlio, non voleva che vederlo. Anch'essa, come prima aveva fatto Maria, figurandosi alla mente angustie e spaventi, s'abbandonava a' più tristi presagi, non porgeva più orecchio a nulla, nemmeno al piangere della figliuola. Fu allora che l'amorosa fanciulla, la quale innanzi alla venuta della madre credeva di non poter sostenere l' affanno di que' giorni, si sentì tutta invigorire. Una virtù, ignota a lei fino allora, la costanza del patimento, le raddoppiò il debole coraggio; ma la sua fermezza, la calma delle parole e degli atti, avrebbero dimostrato più crudele il martirio dell'anima a chi avesse potuto vedere il suo segreto. Soffogava le lagrime; e ne' momenti di maggior dolore, la sua voce si faceva più sicura e più affettuosa: l' avresti veduta sorridere; era un riso malinconico il suo, ma celeste. In que' giorni, sempre da uno stesso travaglio misurati, che fanno parer eterna la vita, così Maria con l' amor suo procacciava d' ingannare alla madre le ore contate dall' afflizione; ragionandole di tante cose passate, della loro casa, della vigna su la costa, della vecchia Marta, degli altri amici del paese. E ringraziava il cielo con tutta l' anima, solo che vedesse le sue parole avere temperata per poco l' amarezza della sciagura presente. Così ella nascose nel fondo del cuore tutta la sua parte d' affanni; così comprese e tolse sopra di sè quel dolore inesprimibile, che solamente al cuor delle madri non è un mistero; quell' angoscia, la quale non trova parole, nè lagrime, perchè ha de' segreti che a umano orecchio non possono confidarsi e che il cuore altrui non ha mai conosciuto. Non, v' è piaga quaggiù che il tempo non sani; l' abitudine stessa del soffrire può talvolta diventar quasi cara e necessaria; l' amore, l' ambizione, la vendetta, il rimorso lasceranno pur una volta in pace l' anima di cui han fatto strazio; ma la ferita ché porta il cuor d'una madre per a mai e de' figli suoi, non v' ha balsamo che la medichi, non felicità nè tempo che vi spargano sopra la mesta consolazione dell' obblio. Così, abbandonate, e senza saper nulla mai di quel loro caro, Caterina e Maria trascinavano giorni e settimane, in casa della vedova; la quale, dal canto suo, non aveva potuto far di meno di tenerle con sè qualche tempo ancora, quand' esse, deliberate d' aspettare che fosse decisa la sorte del prete, ne la pregarono, a patto di pagarle trenta soldi al giòrno, per le spese. Ciò veramente andava poco a' versi alla Giuditta, causa la paura di cert' altre visite della specie di quella prima, da lei non ancora dimenticata; ma poi, per amor di bene, non seppe dir di no. Una mattina, erano uscite di buon' ora le due donne per andare insieme a vendere a qualche mercante di mode un velo nero trapunto, in que' dì solitari e mesti, dalla Maria: poichè era essa, che col lavoro delle sue mani sosteneva anche la madre. A caso capitate presso la piccola chiesa di san ***, la Caterina, la quale non lasciava passar giorno che non andasse a pregare il Signore per il suo povero figliuolo e per sè, si rivolse a quella parte, e fece per entrar nella chiesa. Ma d' improvviso la fanciulla, tutta compresa dal terrore d' una funesta ricordanza, le s' era stretta al braccio, trattenendola, e con voce bassa e supplichevole: « Oh no! madre mia, non andiamo in questa chiesa; non devo, non posso entrarvi più. » « Perchè, Maria, perchè?... Cos' hai? tu tremi, diventi smorta! ti senti male? » « No! mamma, è un segreto.... un segreto che nessuno doveva conoscere! se sapeste che in questa chiesa.... O mio Dio, toglietene per sempre dal mio cuore la memoria! » « Maria, che mistero è questo? parla, dimmi.... » « Qui no, no, cara madre.... torniamo a casa, ve ne prego, e vi dirò tutto. Oh povera me, povero mio fratello! » E tornarono a casa. In quel giorno Maria non trovò parola che potesse spargere un po' di serenità su l' addolorata fronte della madre. Attendeva taciturna a' suoi lavori,

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E fin da quel tempo, avute a dispetto l' incomposta gaiezza de' pensieri e la foga fantastica, cercai l'incanto e il sorriso dell'anima (nel che solo panni essere poesia) là dove mi si rivelasse qualche cosa dell'infinito; unica via, per la quale l'intelletto, libero e forte, sollevandosi al di sopra d'ogni superbia e d' ogni sventura umana, riesce a trovare alcuna spiegazione del gran mistero dell' universo, ln quella legge eterna d'amore, che tu il nuovo soffio di Dio sul creato. Pensando io, dunque, ogni sapere poetico essere piuttosto fede e sentimento che dottrina e tessitura di formole e di precetti, fui pago di ricercar ne' libri degli uomini, e in quello assai più arcano e maestoso della natura, quanto valesse a farmi aperti i veri uffici dell'arte, elemento il più gentile di sociale comunanza, e ad apprendermi insieme come si deva rispettare, ovunque ci avvenga di riscontrarli, la dignità del dolore e l'eroismo del sacrificio. Così trovai dappertutto fratelli da amare, sventure da piangere e virtù da venerare. Ma non per questo, in una tale aspettazione del bene, da alcuni battezzata quasi poltroneria malinconica, comechè a me sembri il migliore, se non il solo conforto a vivere quando si deve anche soffrire; non per questo, io dico, tacque nel mio cuore la simpatia per quelle volontà generose che non s'acquietano, ma sfidano e combattono sempre tutto ciò ch' è ingiusto o violento sulla terra. Anche la patria è una religione, e la santità de' nostri focolari e l'amarezza di vedere usurpata la nostra parte d' eredità, dalla forza o dalla fortuna altrui, mi fecero contento del vedermi confuso nella moltitudine degli oppressi; e mi animarono a unir la mia parola, forse inutile, ma sincera, alla potentissima voce di coloro che con determinato intento vogliono dirizzare il vigor degl' ingegni ad operoso e concorde rinnovamento civile. Poichè, la verità è una sola, è la stessa per tutti. Allorchè, repugnante da ironia e da disperazione, incominciando l'arduo e sfiorito cammino delle lettere, io scrissi, nol feci già per orgoglio di mente, o per voluttà di non so qual gloriuzza accademica; ma soltanto per non lasciarmi fuggir gli anni, portando muto nel cuore quel bisogno ineffabile che si sente di poter dire, almeno, come si creda e si speri in qualche cosa di più che non sia l'apparente sicurezza della forza materiale, usa a trionfare sulla terra; o la dimenticanza delle sventure e del fine ascoso per cui la Provvidenza ci educò al dolore. E mi provai, per quanto lo scarso poter della mente me 'l consentiva, a ripetere la storia di qualche semplice e dimenticata virtù; a raffigurare in qualche innocente creatura, destinata al patimento e pur fedele al dovere e al suo stesso sagrificio, quasi un simbolo di codesta nostra povera vita ; la quale solo nella espiazione e nella giustizia può arrivare a pace e sicurezza d' animo; onde diventiam forti contro coloro che tutto sterpano o lasciano avvizzire, così nel cuore come nell' esistenza. Che se io, conoscendo quanto severo e malagevole, in quest'urto terribile d'avvenimenti e d'opinioni di cui siamo testimonii, divenga l'ufficio delle lettere, pur non ho temuto di fare alcuna prova de' pensieri e degli affetti miei, mi giovi almeno il dire che sempre ho voluto parlare di quel poco di verità che per me si poteva conoscere. E poichè qui m'avvenne di farvi troppo lungo discorso di me, sola una cosa voglio dire ancora, e m' è dolce dirla, più che ad ogni altro, a voi, mio maestro ed ora amico venerato e caro: che umili saranno bensì e scarse di pregio le pagine da me scritte man mano che me 'l concedevano le ingrate necessità del mio destino; ma che tutte, se non altro, furono dettate dalla persuasione della mente e del cuore. E ora, raccogliendo in questo volume le primizie de' miei saggi letterarii, come un ricordo d'un tempo più bello che non tornerà più, a voi le mando quali esse sieno, siccome cose inspirate da que' primi pensieri che voi mi deste; facendomi vedere come si possa volgere al bene qualunque menoma forza dello ingegno; poichè, del resto, a nulla giovano sapere, bellezza, valore, a chi non serbi fede alla virtù, alla patria, a Dio. Voi farete, lo spero, buon viso alle modeste pagine che v' offro, con quella riverenza, con quell' affetto, che, come un tempo, mi legano a voi; perchè da voi ebbi, colla vita del pensiero, la sola immutabile e vera consolazione dell' animo. Milano, 1.° giugno 1852. GIULIO CARCANO. NOTA. Questa lettera fu dall' autore premessa all' edizione fiorentina, del 1852, del volume che, con questo racconto, conteneva altre cose sue letterarie. E oggi, ristampandola, vuol rendere quel tenue e onesto tributo di ricordanza e d'affetto ch'egli ancora deve al Baroni, morto di recente. Uomo di mente eletta e di sincero animo, colto nelle lettere latine e greche, scrittore di nobili versi, quali poteva dettarli un ingegno educato alla scuola del Parini, fu per molti anni professore, prima nel collegio Longone di Milano, poi nel ginnasio pubblico di Brera. Non pochi de' nostri giovani, che consacrarono la propria vita al bene e alla indipendenza della patria, lo ebbero maestro, e gli conservano amore riverente. Il governo nazionale si ricordò dell' egregio prete, mandandogli le insegne dell'Ordine Mauriziano, bench' egli si fosse allontanato dalla vita dell' insegnamento, e ritirato già da qualche tempo nella modesta sua villa di Carugate, vicino a Monza, ove morì d'anni settantatrè, fermo nelle sue cre- denze come nelle sue aspirazioni: gli ultimi giorni gli furono agitati e contristati dalla lotta, non ancora composta in pace, tra il clericato e la libertà. ANGIOLA MARIA

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e appartandosi soletta a ricamare al telaio, per nascondere la viva angoscia che l' opprimeva; ma più d'una volta un leggiero gemito, un volger degli occhi al cielo, un giugner le mani inquietamente, scoprivano il tormento del suo cuore. Invano la madre la stimolava a confidarle quel segreto. « Oggi non potrei; » rispondeva « domani, mamma, domani saprai tutto! ma dimmi prima che mi perdonerai! » Pure, venuta la sera, e rimaste sole, in tempo che la vedova era discesa dalla portinaia di casa a pescar le novità, s' intende, sempre le solite, la fanciulla non potè resistere più alla materna preghiera; e con molte parole, spesso interrotte da lacrime e da scuse, raccontò la sua passione per quel giovine, la promessa, il giuramento ch' egli le aveva fatto, i dubbi, il timore ond' era stata persuasa di ricorrere al fratello, e quanto avvenne di poi; nè in fine tacque com' ella si tenesse certa di non essere stata tradita, e avesse la persuasione che la disgrazia del suo povero fratello non era avvenuta per causa sua. La buona Caterina amava tanto la figliuola, che non ebbe pure il pensiero di farle il più piccolo rimprovero, perchè si fosse, abbandonata a un' innocente sì, ma incauta inclinazione. In vece la compativa, e procurava, con certe sue ragioni, di consolar quella fede e quell' ingenua aspettativa, ch' erano quasi la vita della sua Maria. Così la conoscenza di questo segreto, se non valse a scemare, parve almeno far più leggiero, col disviarlo, il dolore delle due disgraziate: poichè è un' arcana pietà del cielo che nutre il conforto della fiducia ne' momenti più gravi dell' affanno, e rivolge a consolazione d'un cuore travagliato quelle stesse memorie che a un cuore libero sarebbero troppo molesto peso. E così forse il Signore le preparava a poco a poco a una ben più tremenda, inaspettata disavventura. In quella sera medesima, la madre e la figlia sentivano nell'anima una confidenza, cara quasi al pari della certezza; e quantunque fosse riuscito vano il poco che avevano potuto tentare a fine di rivedere il loro Carlo, o di sapere almeno qualche cosa di lui, che solo aveva in sè raccolte tutte le loro speranze, tutti i loro timori, pure non avevano creduto mai come allora a' buoni presentimenti. Maria, seduta accanto del tavolino, stava leggendo una pagina d'un suo libricciòlo alla madre e alla vedova Giuditta; le quali, composte a divota attenzione, pendevano dalle labbra di lei; quel libro era l' ultimo ricordo donatole dal fratello, era l' aureo volumetto dell' Imitazione di Cristo. Essa leggeva, e l' incerto raggio del lume che ardevale vicino, sembrava quasi circondare la sua candida fronte di quell' aureola, che si suol vedere dipinta intorno alle teste de' santi. » Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia paura. » Abbi fede in me, e nella mia misericordia ti fida. » Quando tu pensi d'essermi più lontano, allora è spesse tolte ch' io ti son più vicino. » Quando tu credi quasi perduta ogni cosa, allora le più volte tu hai in mano maggior materia di merito. » Non è tutto gittato, perchè alcuna cosa ti sia avvenuta sinistramente. » Non dêi tu giudicar delle cose secondo il presente tuo sentimento; nè per alcuna disavventura, onde che ella ti avvenga, scorarti tanto perdutamente, nè in modo riceverla, come se ogni speranza ti fosse tolta di dovertene rilevare mai più. » Non volerti credere derelitto del tutto, se per alcun tempo io ti mandi alcuna tribolazione, oppure io ti ritolga la bramata consolazione; essendo che per tal via si va al regno de cieli.... » Quello che ti ho dato, il mi posso ritogliere, e rendertelo quando mi piaccia. » Quando alcuna cosa ti do, ella è mia; quando me la riprendo, non prendo del tuo; poichè mio è ogni bene e ogni dono perfetto. » Se io ti lascio venire gravezza alcuna o avversità, non isdegnartene, nè cader di animo; io posso rilevartene prestamente, e cambiarti in gaudio ogni noia. » Ma non pertanto io son giusto, e da commendare altamente, quando io fo questo con te!... » La fanciulla leggeva queste schiette e sublimi parole con tanta verità e dolcezza, che parvero alle due donne un consiglio venuto dal cielo. « Mamma! » disse allora Maria, « il libretto che vedete è un dono che m' ha fatto, da poco tempo, il nostro Carlo! E queste parole mi sembrare quasi le sue.... mi ricordo che fu lui che me le fece leggere un giorno, quando venne lassù a visitarci, dopo la morte di nostro padre. E ogni volta che ne rileggo solo una pagina, non so come, mi sento più coraggiosa, più in pace.... Oh! è buono, è un' anima santa, il nostro Carlo, e il Signore avrà pietà di lui e di noi! Caterina abbracciò sua figlia con tenerezza, poi si staccò da lei, per andare a coricarsi. La fanciulla, rimasta sola, riaperse a caso il libro, e le cadde sott' occhio un foglietto, di mano del fratello, e forse dimenticato là entro: eran gli ultimi versi ch' egli aveva scritti. IL CALICE DEL DOLORE.

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Dio buono quelle parole erano dolorose, come lamento d' uomo presso a morire. E la poveretta perdè il cuore; volle, ma non potè piangere. Batteva mezzanotte. Que' rintocchi sordi, prolungati dell'ore, le rispondevano fino all'anima, come il suono lento d' una campana d' agonia. Era sola, in mezzo a una luce fioca, moribonda, alla luce stanca, ondeggiante, della candela vicina a spegnersi; i suoi pensieri erravano dietro le incerte larve della fantasia, si facevano tutti di fosco colore; una tema assidua, indefinita, uno stringimento al cuore, strano, non provato mai, eran più forti del suo coraggio. Fece pochi passi per accostarsi al letto, ch'era in un canto; ma non n'ebbe la lena, e tornò a sedere allo stesso luogo: allentò su la tavola le braccia in croce l'uno sopra l' altro, e su vi lasciò cadere il capo oppresso e stanco. Allora la pietà del cielo diffuse nelle gracili sue membra quel profondo sopore che somiglia al sonno, e che, se non conforta, interrompe almeno la fatica d' un gran dolore. E la misera n'aveva tanto bisogno! Il giorno seguente, si mormorò da alcuni, e la terribile nuova ne giunse pure alle sventuratissime due donne, che la medesima notte, colto da Abita e crudele malattia, in poche ore, il povero don Carlo era morto. Fu rumore sordo, occulto, ben presto soffocato, e ben presto anche dimenticato. Ma passati due mesi, nessuno seppe, nessuno raccontò come la disgraziata madre di lui e di Maria, avesse finito anch'essa di crepacuore e di miseria in un letto dell'ospedale. La morte d'una madre è cosa troppo santa e pietosa; a me mancano le parole per raccontarla, e l'orfana fanciulla anch'ella non confidò il segreto di questo suo dolore a nessuno.... Non aveva più nè fratello, nè madre, povera Maria abbandonata!

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Per le strade e pe' corsi, la carrozza del signore urta e sperde la folla; e vedi mortorio del povero andar rasente la muraglia della via quasi, messo in fuga, mentre la turba curiosa s' arresta a contemplare un illustre cocchio vôto e due livree listate d'oro, alla porta d'un antico palazzo. Ma la Provvidenza non dimentica i poveri che sopportano la fatica, e non chiedono altra cosa quaggiù che di poter guadagnare il pane pe' loro figliuoli. Essa sola può rendere il bene fecondo per tutti; essa che dalla debolezza suscita, quando che sia, il coraggio e la forza; essa che fa nascere dalle lagrime la gioia, e apparecchia la pace a coloro che sostennero lunghe prove, quella gioia che si ravviva a ogni lieta benchè piccola vicenda, e quella pace che s' acquista quando il cuore senza viltà può benedire altrui. Il povero, che divide col fratello più infelice di lui la mercede prima contata con avara brama, si getta la notte sul suo stramazzo, forse più tranquillo e pago che non si giaccia il milionario in letto sprimacciato, su' gonfi guanciali, protetto dal baldacchino di velo frangiato, dopo avere aperta una scuola, o fondato un ospedale, pensando già di leggervi, su la fronte della porta, scolpito in pietra il suo nome e i suoi titoli superbi, pagati coll' oro, o colla viltà. E poi, nessuno c' è che, poco o assai, non viva per la domane. Se a ogni passo trovi chi bestemmia la povertà ne' giorni numerati sempre dagli stenti, i balzelli che non ristanno, il pane che rincara, trovi pure chi maledice alle noie della vita, al piacere marcito dall'abitudine, alla grandezza che fugge sempre, e fino all'anima che non si riposa mai. E la scontento agita questi e quelli: colui che vanta gran nome e gran censo, che ha sempre pranzi e ville, donne, cavalli e teatri, e sen va felice d'essere invidiato; ma egli stesso non di rado invidia la ruvida indifferenza, la credula mente, e la dura libertà del povero. Intanto gli anni passano per tutti, il sole nasce e tramonta su le prosperità e su le disavventure umane, la natura spoglia e riveste la sua bellezza; ma l'età perde i fiori, nè si rinnova più! E l' uomo, creatura così fiacca insieme e forte, così timida e così audace, l' uomo non sente venir meno la vita, e cedere quasi sotto a' suoi piedi la terra non s'accorge che, a una a una, sfumano innanzi a lui le più gentili e care illusioni, che la memoria ha l' ale corte, che il cuore si va sempre più stancando di battere.... Oh quant' è più felice colui, il quale, nell' allegrezza e nel dolore, non sa che credere, sperare e amare! Sul cadere di una malinconica giornata di novembre - era appunto il dì de' morti - un'orfanella, in povero ma decente vestito bruno, e coperta d'un velo, se n'andava, assorta in profondi pensieri, verso il camposanto suburbano di Porta Tosa. Il sole non era tramontato: ma si nascondeva innanzi tempo dietro una gran fascia cenerognola di nuvole; e pareva negare il mesto e poetico saluto dell'ultimo suo raggio alla vasta e sacra campagna, tutta semi- nata di basse croci, e a quella gente buona e fedele, venuta a consacrare un'ora alle memorie e alla preghiera, nel soggiorno de' trapassati. L'orfanella entrava anch'essa nel camposanto, in mezzo a una processione di povere donne, delle quali alcune venivano traendosi dietro due o tre figliuoletti, altre si recavano un bambino su le braccia, altre poi camminavan sole e taciturne; e quali andavano pregando in compagnia, e quale piangeva, e quale si fermava in un compunto raccoglimento. Ella, attraversando que' nudi sentieri, lasciavasi dietro alcuni buoni vecchi, che, col bastoncello in una mano e il rosario nell'altra, dilongava,nsi recitando con mesta cantilena quelle orazioni che presto dovevano esser ripetute sul dormente loro capo. Vedeva qua e là, al piede della bassa muraglia, all' angolo di qualche cippo, mendicanti accosciati sul terreno, appena coperti dagli ultimi cenci, e portanti. su le ginocchia le stampelle incrocicchiate, andar invocando lamentevolmente la pietà di chi era men povero di loro: vedeva più d' una madre infelice, circondata dalla misera corona di tre o quattro bambini, l' uno lattante, lagrimosi gli altri, sollevar la testa, e con gli sguardi muti e l'estenuato aspetto raccomandarsi alla carità del passeggiero, nel nome di quella che fu chiamata la Madre de' dolori; e lontano e da presso, spargersi in pietosa ricerca, entro a quella folta selva delle croci, intere famiglie; e poi, a mano a mano, ciascuna di queste raccogliersi vicino a una croce nota, inginocchiarvisi all'intorno, rispondere insieme alla stessa preghiera; da un' altra parte, un vecchio già curvo insegnare al figlio adolescente, sul cui braccio s'appoggiava, dove riposasse suo padre e dove la madre sua; e qui, una donna solitaria e muta presso una lapida recente; e là, al piede d' un' altra, due giovinette pari d' età e di sembiamza, orfane gemelle, spargere pochi fiori e piangere senza ritegno. Maria, la nostra orfanella, s' aggirava anch' essa per il sacro terreno, ma non cercava una croce, perchè questo segno non era stato posto a distinguer dall' altre la fossa della povera sua madre. Pure, essa conosceva una zolla, ignota a tutti, cara a lei sola; aveva veduto scavar quella terra, l' aveva visitata, prima che nessuno fosse passato a calpestarla; e di poi, quando un'erba verde e fresca la ricoperse, era tornata spesso a pregare colà; ell'amava quel breve palmo di terra, amava le bianche pratelline che lo smaltavano. Nel giorno solenne, Maria aveva speso i sottili risparmi del suo guadagno per far celebrare una messa di suffragio all'anima della madre; poi n'era venuta a visitare un'altra volta quell' angolo santo, a ripetere una di quelle orazioni, delle quali non è parola che non salga in cielo. Era là, in ginocchio, con la persona abbandonata mollemente, come stanca; e lasciando cadere sul grembo le mani intrecciate, rivolgeva al cielo la faccia, nello stesso soavissimo atto in che il Bartolini scolpì la sua divina statua della Fiducia in Dio. Affissandosi alla lontana dimora de' cieli, le pareva che l'anima di sua madre la vedesse di lassù, e ancora la benedicesse; e in fondo del cuore, mista alla dolcezza di quel sacro dovere, le si risvegliava una segreta fidanza, una virtù tranquilla, la certezza che il Signore non l' avrebbe abbandonata mai. Il solo pensiero a lei grave, in quell'ora dolorosa, era di non sapere in qual altro canto di terra avessero portato a riposare per sempre lo sventurato suo fra- tello, di non potere almeno spargere qualche lagrima là, dove forse nessuno mai avrebbe detto un requiem. Così, benchè sola nel mondo, la povera fanciulla ritrovava ancora la pace nel sentimento religioso dell'innocenza, e nella memoria de' pochi che l'amarono! Così, il ricordarsi di un primo affetto, che sull'alba della vita fu per lei amaro disinganno, non la turbava più; non era più che un' idea di tranquilla rassegnazione, forse un sospiro di timida speranza! Anche il pensiero, che spesso l'assaliva, d'esser predestinata a morir giovine, non aveva più spavento per lei; era anzi come la mesta aspettazione di chi non vede l' ora che sia adempita una promessa. Aveva assaggiata appena l'amarezza d'altri contrasti e d'altre angustie, in quel breve tempo passato dopo la misera morte del fratello e della madre; e già nessun legame più l'univa alla terra. Angiola Maria, dopo perduta la madre, era rimasa, per qualche settimana ancora, presso la signora Giuditta, la vedova del maggiordomo: colà vivendo abbandonata, ma paga almeno di potere a tutti nascondere i travagli del suo cuore. Ma quando, a poco a poco, il dolore si fece più quieto, e la mente tornò a' pensieri della vita e dell' avvenire, allora conobbe come anche troppo a lungo la vedova si fosse preso carico di lei, e com' ella, giovine e fresca tutt'ora, doveva oramai cercarsi altrove di che vivere con la fatica delle mani. Sulle prime aveva deliberato di tornarsene al paese, dove confidava di poter ancora compiere onestamente i suoi pochi giorni. Ma poi, non ebbe cuore di abbandonar così presto i luoghi dove suo fratello e sua madre erano morti, e dov'ella stessa aveva amato e sofferto. Una mattina dunque, colse il buon punto che la vedova amica, donna, come sapete, piena di buona volontà per il prossimo, doveva andarsene non so dove, per certa raccomandazione; e arrossendo con vezzosa modestia: « Ho a pregarla anch' io d' una cosa, signora Giuditta, ho a dirle.... » « Cosa volete? dite pur su col cuore in mano, la mia figliuola!... » Così la vedova, dopo la morte di Caterina, era solita di nominar l'orfanella, come una pietà segreta le suggeriva. « Ecco qui, » diceva Maria, « lei ha fatto anche troppo per me; ma io vedo di non essere al mondo altro che un peso a quelli che m'han voluto bene.... sì, di quanto disturbo di quant' angustia le siamo state causa noi, la mia povera mamma, e io massimamente! così potessi fare anch' io qualcosa per lei!... Ma, pur troppo, non potrò che tenermi nel cuore il bene che ho ricevuto, e pregare il Signore, che a lei ne renda altrettanto.... » « Non istate a dir così, poverina, chè avete sofferto anche troppo; e io non son riuscita a far niente per voi.... » « Lo può far adesso, signora Giuditta: da un pezzo ci penso, e capisco ch' è una vergogna per me.... Buona come sono a trovarmi da per me quel poco che mi basti a vivere, non devo restar qui, come fin adesso, d' incomodo a lei e di bene a nessuno.... È ben vero che, fuori di lei, non ho chi pensi a me, non ho più a cui pensare: ma, tant' e tanto, ho risoluto d' allogarmi in qualche maniera, di mettermi a qualche servizio. Dica anche lei, se non è vero che così fo bene?... » « Sì, la mia figliuola! voi sì avete un cuore, che dirlo è poco; ma vi cruciate a torto, e dovete stare con me. » « No, no: ci sto da troppo tempo, le ripeto; e non bisogna, no, che si vada innanzi così; n' avrei sempre rimorso in cuore.... » « Ma cosa pensate dunque di fare? » « Le dirò: prima volevo quasi tornarmene al mio paese; lassù, forse, potrei ancora trovar qualcheduno che si ricordasse di me; ma poi, venuta al punto di dir addio per sempre a questo luogo, dove avrei dovuto lasciare tutto quanto mi rimane di caro, la poca terra dove riposano i miei, m'è mancata la forza; chè quasi mi pareva di perdere per la seconda volta la mamma. Oh mi compatisca, signora Giuditta! in verità, c' è de' momenti che non so nemmen io perché sia ancor qui! Ho pochi anni, è vero.... ma, adesso, che avrei a fare a questo mondo?... » « Vi compatisco sì, ma certe cose non bisogna poi prenderle tanto sul serio, perchè staremmo freschi! Già lo so che avete la testina un po' guasta.... è stata una gran benedetta signora quella nostra padrona! e coll' avervi tenuta con sè, ne' vostri primi anni, e fatto imparar a leggere e scrivere di buon' ora.... Vedete, certe idee che avete voi, io non le ho mai avute, nè anche in sogno. » « Ma lei è buona, e non m'abbandonerà! Per carità dunque, lei che ha conoscenza di tante brave persone, mi raccomandi a qualcuna; mi trovino un posto qualunque, un luogo, un servizio, tanto che mi dia come campare, finché il Signore mi lascia qui; cerco poco, e purché, coi le ho detto, non abbia a darle altri fastidi, m'accontento. « Lo farò, Maria, se volete, lo farò: oh vivesse anco la buon' anima di mio marito! quello era un uomo di proposito; ha servito sempre delle eccellenze.... ah! ma saran quasi vent' anni ch' è morto!... » « Signora Giuditta, una buona carola soltanto, a qualche pia dama, a qualche signora.... può valer molto; e la terrò come un nuovo benefizio. » « Bene, sì parlerò, vi Prometto, lasciate pensare a me.... Andrò questa mattina stessa dal signor canonico***, un bravo, un sant' uomo, che conosce tutti gli ottimi signori di Milano.... Ma non crediate mai che sia per non volervi più in casa mia!... » « Perchè, dopo tutto il bene che m' ha fatto, mi vuoi dare questa mortificazione? No, no, l'assicuro, signora Giuditta, quel che le ho detto è proprio il desiderio del mio cuore! « « Dunque sarà come volete, e quando prometto io.... » E fattole una carezza, se ne andò. Benché la Giuditta fosse una donnicciuola sincera, e avesse, per dir vero, fatto qualche bene alla nostra fanciulla e a sua madre, nelle passate loro strettezze, pure non intendeva di prendersi sopra di sè il peso della giovine; la quale, secondo lei, aveva di mani e braccia come tutte l'altre, nè era che un po' ammalata di testa. E siccom'essa era sempre stata avvezza a quel monotono andare dì vita, a quel piccolo inerte egoismo d'una vecchia governante pensionata, così quel gran guaio sopravvenuto al povero vicecurato le era parso un gran malanno, un garbuglio, un finimondo. « Far del bene al prossimo, sì - pensava la Giuditta - quando per l' altrui bene non ci vada il nostro, la dute dell'anima, come andrebbe qui; perchè la cosa è ria, brusca.... e se la Caterina era una buona donna, e se la Maria è una tosa d'oro, c'è però di mezzo questa storia, scura scura del prete, che non ho mai potuto capire, e di cui non mi pento d'aver taciuto, secondo mi diceva quella cima d'uomo del signor Giosuè. » Ella dunque non lasciò fuggir l' occasione: la stessa mattina, non appena la fanciulla le ebbe spiegato il suo cuore, trottò diritto alla casa del signor canonico; e, trovato modo di parlargli, narrò la disgrazia dell' orfana, e lo scongiurò, con una litania di lamenti, che la pigliasse sotto la sua protezione. Egli le promise di far qualche cosa, e durò gran fatica a rinviarla, chè più non la finiva di piagnucolare. Passati alcuni dì, la vedova ritornava alla porta del signor canonico; non era in casa, ma essa, con la pazienza di chi vuoi ottenere a qual si sia costo, l'aspettò due lunghe ore. Alla fine il canonico comparve, e veduta che l'ebbe farsegli vicino e, attaccarsegli alla zimarra: « Siete una benedetta donna, » le disse ; « ve l' avevo pur detto d' aspet- tare, ciò v' avrei .fatta avvertire io stesso! Ma via, poichè la vi preme tanto, dite a questa vostra giovine che si presenti, domani, verso mezzodì, alla signora marchesa****, alla quale ho già parlato di lei; vedrò d'esserci anch' io, faremo di trovarle un destino. Domani.... a mezzodì preciso.... avete inteso? » « Oh quanta carità, signor canonico! lei fa da vero un'opera santa! » E si chinò per baciargli la mano, ch'egli, per modestia, nascose nelle pieghe della zimarra. « Sì, sì: andate, la mia donna, e ringraziate Dio che ci sieno ancora al mondo persone caritatevoli. » E passò innanzi. Non è a dire quanto lieta ne tornasse a casa la vecchia Giuditta, con siffatta novella; lieta, perciò nel riuscirle di metter, via, com' essa diceva, una giovine onesta, le era pur concesso alfine di racconciarsi nella sua pace casalinga, salvando l' opinione della pietà. Appena pose il piede sul suo limitare, non potè trattenersi Ball' abbracciar la giovinetta, dicendole: « Lo sapevo ben io, che il signor canonico, quel brav' uomo, norrpromette per niente! non ve l' ho detto che avrebbe subito trovato dove allogarvi ?... bene , è cosa fatta: domattina vi presenteremo alla marchesa ****, ch' è una gran signora, una dama che ce n' è poche come lei, una di quelle sul far della povera padrona, delle quali, pur troppo, s' è di questi dì perduta la stampa; mettetevi nelle sue mani, e al resto non ci pensate; è il caso vostro, e ne sono contenta per voi.... » « O signora Giuditta, quanto le devo! queste sue pa- role mi danno la vita; io ne la ringrazierò e benedirò sempre, » E Maria passò tutta la giornata nel rassettare il suo miglior vestito, apparecchiata da quel momento a mettersi per la via che la volontà del Signore le destinasse. Il giorno seguente, al primo toccar del mezzodì, le due donne si trovavano alla casa della marchesa: poichè la Giuditta s' era messa in capo di volere ella stessa presentarla a questa dama. Entrarono in uno di que' vecchi palazzi, che portano un nome storico, e de' quali pochi avanzano nella nostra città; uno di que' palazzi, che, in mezzo alle nostre moderne case dalla fronte gretta e linda, dalle molte finestre e da' leggeri terrazzini, mostrano ancora la pesante e soda struttura di un secolo e mezzo fa, il gran frontone della porta, i muri vestiti di sasso nericcio, i radi e ampii finestroni con le fosche invetriate e gli enormi davanzali. Appunto così appare talvolta, in mezzo a gaia gioventù, uno di que' zazzeroni sessagenarii che non si sono ancora emancipati dalla coda, dalla polvere di Cipri, e dalle grosse fibbie d'argento alle scarpe, nè dai due tondi orologi di Bordier, con le catenelle d'acciaio a pendaglio, sotto la giubba larga e quadrata. Per uno scalone, che pareva il vestibolo d' una chiesa, salirono all' appartamento della dama. Un vecchio servitore, infagottato in una livrea orlata di passamano turchino, ri- cevette le due donne nella vasta anticamera; e le fece di là passare nell' attigua galleria lunga e buia, dove stettero ad aspettare il buon momento di presentarsi alla signora marchesa. E passata mezz' ora, che a loro parve eterna,

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Lo stesso vecchio servitore attraversò la galleria, borbottando fra le gengive, e scomparve dietro una porta rivestita di flanella verde; indi a poco tornò, e tenendo aperto l' usciale che metteva alle stanze interne, fatto segno alla giovine di seguirlo, lasciò la vecchia, dispettosa di quel complimento, a contemplare a suo grado i seggioloni d' alta spalliera che fiancheggiavan le pareti, le facce torve e barbute di que' quadri neri, e le soffitte di legno di noce a cassettoni dell' antica galleria. Benchè il passo della fanciulla fosse tremante, e più tremante il suo cuore, nell' attraversar le due sale che conducevano al gabinetto della sconosciuta dama, pure rassicuravasi pensando che la signora, s'era vero quanto la vedova le aveva ripetuto, doveva esser buona e pietosa; e rammentava la prima sua benefattrice, la contessa Anna; ma tanto Maria aveva sofferto, che non confidava più di trovare chi potesse amarla adesso, come lo fu allora. Appena il servitore ebbe aperta la porta del gabinetto, s'intese di là entro una voce d'uomo: « Venite pure, quella giovine, venite; la signora marchesa ha la degnazione di ricevervi. » Ella entrò, in atto rispettoso, fece alcuni passi, e modestamente sollevò gli occhi. La marchesa era seduta sur un canapè ricoperto di un drappo di seta gialla, scendente fino al suolo e foggiato a guisa di cortine; tutto il gabinetto e il rimanente della suppellettile era pure tappezzato di stoffa gialla, a grandi screzii e fiorami, riquadrata entro cornici sottili, dorate, adorne di bizzarri fregi, intagli e ghirigori, che avrebbero fatto la maraviglia de' nostri moderni amatori dell' arredare antico. Parca e malinconica penetrava la luce per l' unica finestra di sotto a' lembi semiaperti di due tende di damasco verde, rischiarando appena un quadro sacro di fresca data, pendente dall' opposta parete, in una gran cornice nera a trafori; il ritratto d' una santa vergine e martire. La signora marchesa mostrava nell' aspetto la dignità d'un buon mezzo secolo compiuto; e benché altri non fosse con lei che il signor canonico, suo direttore spirituale e amico di casa, pure ella si teneva ritta e dura su la persona, con la faccia secca, grinzosa, acuto il mento, e le braccia strette ai fianchi distese sul grembo, come si disegnano le sfingi. Una cuffia bianca di ricchi merletti a can- noncini le s' impadiglionava su la testa e proteggeva due ciocche di capelli biondi artificiali; uno sciallo nero le copriva le spalle magre e la persona; e i suoi piccoli piedi, che forse erano stati la disperazione de' ballerini dell' aristocratico minuetto, spuntavano appena dal lembo del vestito color di nocciuolo, per appoggiarsi sur un sgabelletto di cannucce. Sul tavolino a lei dinanzi, era un monticello di libri co' dossi e fogli dorati, volumi superbi al di fuori ma umili e pietosi al di dentro; un calamaio di cristallo co' becchi dal pennaiuolo d'argento, posava su d'un fascio di lettere e carte, presso ad un vassoio pure d' argento. Il canonico, che le sedeva a lato, finiva allor' allora di succhiare la consueta cioccolata sul dipinto labbro della chicchera, e, per una sua vecchia abitudine, ne risciacquava il fondo coll'acqua cedrata: egli era in abito talare, seconde suo costume per le visite della mattina; delle quali la prima era appunto per la buona cioccolata della marchesa Due lunghe, uguali e scrutatrici occhiate, della marchesa, vo' dire, e del canonico, furono il primo interrogatorio che subì la fanciulla, e bastarono a rapirle dal cuore la poca fiducia con che veniva, e ad agghiacciarle su gli occhi una lagrima di gratitudine, che già v'era spuntata. Ella cercava invano sul volto bianco e arcigno della severa dama un ricordo della simpatia e del sorriso della buon mite contessa, ch'era stata per lei una seconda madre. occhi piccoli e bigi della marchesa, le sue labbra sottili senza colore, compresse in uno stentato risetto, davano alla fisionomia di lei un non so che di stranamente pietoso, un' apparenza di compassata bontà. E bisogna dire che l' esame di quelle occhiate non fosse molto propizio alla nostra Maria, se le prime parole che la dama le rivolse, furono: « M'avevano prevenuta che una povera giovine cercava di raccomandarsi alla nostra compassione; ma siete voi? vestita così come venite, m'avete l'aria d'una damina! » « Signora marchesa, mi perdoni! porto ancora questo vestito nero, perchè da poco tempo ho perduto mia madre, nè mi pare che disdica alla mia umile condizione. » « Però quel color nero fa spiccare la vostra fisonomia; siete un po' pallida, ma bellina. » « Oh! signora, non mi mortifichi così! » « Via, non arrossite.... Ma lasciamo andar questo per ora, e veniamo al sodo. Dunque, ella, signor canonico....» e così dicendo, volgevasi verso di lui con un chinar del capo « m'assicura da vero.... Perchè, » aggiunse, fissando di nuovo gli occhi su la fanciulla « lo dovete alla sua raccomandazione, se acconsento a far qualche cosa per voi.... » « Oh! signora marchesa!... la prego, la prego.... » disse in atto d'umiltà e di riverenza il canonico; « già è la nostra parte, di noi altri preti, quella di procurare il bene de' poveri. E quando s' ha la fortuna d'aver a fare con dame illustri e pie, come lei, signora marchesa.... » « Il male è» ripigliò questa « che pur troppo la nostra carità il più delle volte è sterile: è il grano che cade in terreno sassoso, come dice il Vangelo. Ma, parlando di questa giovine, spero n'avremo bene.... Dunque voi vi chiamate?... « Angiola Maria ***. I miei parenti erano poveri, ma onesti.... e adesso sono morti..,. « Sì, sì, la solita storia; tutte così.... ma prima, spiegatevi; v'adattereste a servire? » « Ah! » rispose Maria con un profondo sospiro; « non mi rimane altro destino, bisogna ch' io sia rassegnata. » « Eh! mi pare che abbiate il vostro piccolo orgoglio anche voi.... » « Bisogna compatirla » mormorò il signor canonico: « era usa a star bene, e m' han detto che passò qualche tempo in una casa di signori inglesi.... » « Ah sì?... » domandò, strabiliando, la marchesa; « veramente, è una circostanza che non mi piace affatto.... Ma chi vi mise in quella casa forestiera » « È stata la sorte.... un caso.... io era la compagna delle damigelle di quel signore; avevo passati alcuni mesi con loro, dopo che le avevo conosciute sul lago; e fu il mio povero fratello.... » « Vostro fratello? dunque avete un fratello? » « L'ho avuto.... È morto, signora. » E non potè stare di nascondere fra le mani il volto, e le lagrime che quelle memorie le richiamavano su gli occhi. « E questo vostro fratello cos' era?... » Così, con la freddezza di un giudice processante, continuava la marchesa il suo interrogatorio. « Era vicecurato in un piccolo paese, a***. » « Come?... come?... » interruppe il canonico; e battendo la tavola con una palmata, che fece sobbalzare a un punto calamajo, vassojo, tazza e libri: « sarebbe mai questo vostro fratello il prete Carlo ***? » « Proprio lui, » proferì con fioca voce la sbigottita giovinetta, e chinò sul seno la faccia, lasciando in quell' atto cadere il velo, che prima aveva sollevato « Possibile?... oh vergogna!.. scandalo!... orrore!... Signora marchesa, signora marchesa, non ne facciamo niente.... ritiro la raccomandazione.... Non si può, la mia ragazza, non ai può So ben che ci canzonate! » Che cos' è mai? per amor del cielo! dica, signor canonico, si spieghi, ch' io mi sento venir fredda!... » E la marchesa, sbarrando con ispavento i piccoli occhi, scoteva la cuffia, a gran rischio di scompigliare le bionde sue ciocche. Il canonico si levò in piedi, e delle braccia fatto arco su la tavola, si chinò all'orecchio della marchesa, sfiorando quasi con le labbra i merletti della preziosa cuffia di lei; e le susurrò, in poche parole, non so che mistero. Ma quelle parole furono come colpo di folgore. La marchesa balzò in piedi anch'essa, con una ciera sdegnosa, stralunata; fulminò la povera giovine con un'occhiata terribile; poi, a poco a poco, si ricompose nella primiera dignità, e mutato lo sguardo dell'ira in quello d'una gelida compassione: « Andate, povera ragazza, » le disse, « andate! Io ne sono proprio accorata, ma non posso far niente per voi.... la cosa è troppo, troppo seria. Voi forse non ne avete colpa, ma le leggi, il governo, la religione e la quiete della mia coscienza, vogliono così; è impossibile, impossibile!... » Ciascuna di queste dure parole apriva nel cuore di Maria una ferita. Una maledizione le era dunque caduta sui capo, una maledizione terribile, immeritata, che faceva altrui delitto la pietà verso l'infelice orfanella? Era l' infamia che pesava sopra il nome di suo fratello, sopra quel nome innocente e caro? Essa tremava, come veramente fosse colpevole; la sua mente si smarriva, nè so qual forza la sostenesse in quella difficile prova. S'avanzò con sommessione, com' era venuta, verso la sdegnata marchesa; timida arrischiò un passo, e tentò di baciar la mano di lei, per chiederle perdono d'averla sturbata. Ma la pia e superba dama ritirò la mano, e la congedò dicendo: « Mi rincresce, la mia giovine; ma, per ora, non m' è concesso assolutamente di potervi far del bene. Chi sa che col tempo.... Piuttosto, cercate ricovero in qualche casa oscura, in uno stabilimento di carità, in un ritiro.... sarà meglio! E intanto, tener lontano i pensieri mondani, avvezzarsi alla modestia, al raccoglimento.... e sopra tutto poi , alla rassegnazione. Quanto a me, vi prometto, se m'avverrà, spenderò forse per voi qualche buona parola anch' io.... ma dipenderà dalla vostra buona condotta. » Così detto, si volse al suo fedele consigliere, facendosi a parlargli in segreto, e con gran calore. Maria trovò nella galleria la vecchia Giuditta; la quale, rassegnata ad aspettarla, erasi a tutto bell'agio accovacciata entro un gran seggiolone del seicento, sotto i piè d' uno degli antenati della marchesa; uno di que' cinquanta ritratti, con irti mustacchi, gorgiera alla spagnuola, cappa bruna, e brache gonfie e listate. E, come vide Maria, le venne incontro con volto sereno, che voleva dire: - E così? siete contenta? Ma la fanciulla, tutt' ancora confusa, le prese tremando la mano, e stringendosele vicino: « Andiamo, » le disse, « andiamo via! Oh lei, signora Giuditta, è più buona di toro: lasciamo per carità questa casa, le dirò tutto poi. » - E partirono. Fu dopo questo, e dopo un novello inutile tentativo presso d'un'altra caritatevole signora, la quale trovò Maria d'età troppo fresca, per essere cameriera di una sua figliuola sposa, fu allora che la povera giovine accettava di collocarsi, come ricamatrice, nella bottega d'una crestaja , una delle cento amicizie antiche della signora Giuditta. E si tenne abbastanza fortunata, chè almeno in quell'oscura vita nessuno le avrebbe rimproverato il dolore, la sua misera condizione; nessuno sarebbe venuto a ripeterle all'orecchio una maledizione all' infelice fratello suo. Così aveva passato già sei mesi nella povertà e nel lavoro, paziente e tranquilla. Era come fosse già morta per tutti; nessuno che domandasse il suo nome, nessuno che le dicesse una parola amorosa, o le avesse chiesto mai il perché della sua tristezza. Anche la signora Giuditta, da prima così premurosa, così affannosa', pareva averla di- menticata; poiché, appena le venne fatto d'appoggiare altrove la fanciulla, non si lasciò più tampoco vedere. Non già ch'ella fosse senza cuore, ma voleva respirare da quel gran trambusto avuto in poco tempo, ché non s' era figurato mai potesse succeder tanto al mondo a una donna. Maria però era venuta più d'una volta a visitarla, perché già non avrebbe potuto dimenticar mai il più piccolo bene a lei fatto; e poi, quel luogo era stato l'ultimo asilo della madre sua, innanzi che l'avessero portata via, all'ospedale; era là, che il suo Carlo l'aveva condotta in un giorno di fatale disinganno; era là, che essa l'aveva veduto l'ultima volta. L'onesta crestaja la teneva in casa sua, avendole destinata una cameretta buja, a mezzo la scala, che prima serviva di ripostiglio, e che rispondeva sur un cortiletto angusto e uggioso. In quel bugigattolo altro non c'era che un cassettone, un letto gramo e basso, o piuttosto uno sdrucito materasso gettato su due panche nane, e un piccolo scanno nella stradetta fra il letto e la parete. Una luce morta, rabbujata dal colore delle tettoje all' intorno, calando a traverso dei piccoli vetri verdognoli della finestra inferriata, dava a quell'umide pareti un aspetto più tristo ancora, e quasi di carcere. Eppure la buona orfanella, quando si trovava, nel misero asilo, dove poteva pensare o piangere non veduta, credeva ancora di esser libera; essa, che un tempo temeva, di restarsene sola, allora cercava, amava il silenzio e l'ora solitaria. E quando, dopo l'assiduo lavoro della giornata, ritornava alla tarda sera nell'abbandonata cameretta; e quando, in ginocchio, a fianco del suo letto, chino il viso su le povere coltri, offeriva al Signore il giorno ch'era passato, il Signore allora spirava in quell'anima verginale l'alito della rassegnazione e della pace. E poi, ella coricavasi col cuor libero, con la mente serena, dormiva ancora i soavi sonni dell'infanzia. E l' angelo custode vegliava certamente sopra il capezzale della fanciulla. Così dunque Maria aveva passato que' sei mesi. E nel giorno de' morti, era venuta su la fossa della madre, fra i poveri e i buoni, a portare anch' essa il tributo della sua orazione a quel Dio che benedice il dolore prezioso de' piccoli, e rasciuga le loro lagrime.

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Se mai, al tramontar d' un bel giorno, quando, miei giovani amici, andate a zonzo per le vie della città, lasciando vagar la fantasia dietro gli scherzosi buffi di fumo del sigaro, vi soffermaste presso la porta invetriata della bottega d' una crestaia; se mai vi piacque di sbirciare, con un' occhiata curiosa, la lieta scena che presentano le giovinette operaie di quel la- boratorio della moda, io vo' scommettere che, con un sorriso su le labbra e forse con qualche grillo in capo avete detto: - Oh il bel cespuglio di rose, che paiono aspettar chi primo le colga!... - E poi forse, appoggiati al fianco della muraglia, dietro il prisma de' tersi cristalli, vi sarete fermati a rallegrarvi gli occhi in quell' affaccendato croc- chio di belle fanciulle. - E via, col fumo del sigaretto, i più matti pensieri vi avranno fatto girar la testa, e sarete rimasti inchiodati là, senz' accorgervi neppure degli urtoni e sgambetti di qualche frettoloso passeggiero. Un banco lucido, incorniciato, attraversa per il lungo quell' elegante officina, coperto e ingombro tutto di scatolone aperte, di cartoni e di cassette; sopra le quali sfog- giano spiegate le più aeree stoffe, i più graziosi trapunti; i veli, i nastri, i mussolini, le sete, danno al luogo un non so che di fantastico, di nebuloso; come si dipingerebbe il misterioso gabinetto d'una sultana delle Mille e una Notte. Entro per le scansie, che nascondono tutto il giro della parete, vedete pendere in bell'ordine da lucidi piuoli le cuffie, le trine, i cappellini, le berrette, le gorgierine increspate, i cappucci, e l' altre cento maniere d' ornamenti che inventò l'arte capricciosa della, donnesca civetteria. In mezzo a quell'onda trasparente di veli e di tessuti, spicca la sollecita figura della maestra crestaia; la quale mentre attende a foggiare il merletto d'una cuffia, o il bizzarro galano dell'ultimo cappello, leggiadra creazione delle sue cesoie, non perde però d'occhio l' inquieto gruppo delle giovani alunne; e queste, sedute in giro alla tavola de' lavori, sotto lo splendore d'una bella lampada di cristallo, si van facendo in segreto piccole confidenze, si raccontano i loro trovi amoretti, e alternano facili risa, motteggi e baie. Sono sei o sette fanciulle vispe, sollazzevoli, accorte una più dell'altra, che, tra l'agucchiare e il ricamare, lasciano scappar certe loro rapide e loquaci occhiate verso l'entrata; poi sorridendo e guardandosi di nascosto, danno di gomito alla vicina, quando alcuna, arrossendo d'improvviso, abbassi il capo sul lavoro; sia che con la coda dell' occhio abbia veduto passare lungo la via il suo giovine innamorato, o sentito il picchiar del suo bastone su lo scalino della bottega, o distinto, fra il continuo strepito del di fuori, il noto zufolare della sua arietta. Una sola di quelle fanciulle se ne stava modesta e silenziosa, tutta intenta al collaretto già mezzo ricamato che teneva fra le dita; e mentre le testoline irrequiete delle gaie compagne si volgevano di qua, di là, a ogni momento, ne' più leggiadri e furbetti modi, quell'una s' inchinava in atto tranquillo e pensoso, quasi fosse straniera al sommesso cicaleccio dell' altre, a quel sì frequente scoppiar di risa mal trattenute. Se non che gli occhi talvolta riposava, come incantati, sul suo gentile ricamo; allora essa non cuciva più, e la mano che teneva l' ago, posava oziosa su le ginocchia. Bensì, di tanto in tanto, le compagne le dicevano qualche lieta parola, o le facevano qualche malignuzza domanda; ma essa non rispondeva che sollevando i suoi begli occhi, aprendo appena le labbra a un leggero sorriso. E certo le amiche non le avrebbero perdonato questa sua maliconica ritrosia; ma sapevano tutte, che alla poverina non restava più né padre, né madre; e che non aveva saputo ancora trovarsi un innamorato: però la compativano, e la chiamavano Maria la novizia. « Senti, Ghita! » diceva alla sua vicina con segreto susurrio la più tristarella di quel gruppo, una piccola brunetta, con un par d' occhi di fuoco, e le guance paffutelle e colorite come lo spicchio di una melagrana; « senti, ma non dirlo nemmeno all' aria, per carità! è un pezzo che volevo parlarti di una cosa.... perché, devi sapere che sono stufa di non aver nessuno che guardi a me. Tu, Ghita, e Rosina e Stella, l'avete pure il vostro amoroso; e me, non c' è anima che mi cerchi.... » Rideva la Ghita a questa sincera, confessione, e : « Cosa vuoi che ti faccia io? » rispondeva pur sotto voce.... E l'altra: « St! st! ché la maestra ne fa gli occhiacci, ché par quasi ci voglia mangiare. » Pure, di a poco, si chinò ancora all' orecchio della compagna, e ripigliò « Dunque.... tu sei felice, Ghita! tu che la sera; appena fuori di qui, trovi l' Eugenio, lì su' due piedi, che t'aspetta; subito gli dai di braccio, e ve n'andate in santa pace; ma io.... » « Tu sei ancora una ragazzina, Luisa, » rispondeva l'amica: « hai quindici anni appena, e non è più di tre mesi che sei qui con noi. » « Cos' importa mai? se son giovine, tanto meglio! Credo poi di non esser così brutta che m'abbiano a metter in un canto come un cencio; e non sono poi nè smorta come la Maria, nè losca come quella superba di Carlotta.... » « Abbi un po' di pazienza, che la capiterà presto anche per te la fortuna; se non è venuta, vuol dire che non è la tua ora. » « E io sento in vece che l' ora è questa.... Ma ascolta una buona volta, che piacere tu m' hai a fare.... » « Gran segreti fra la Luisa e la Ghita! » disse allora battendo sul tombolo la spoletta del suo ricamo, la Carlotta, che sedeva in faccia a loro. « Niente del tutto! E poi, che ne vuole saper lei, signora pretendente?... » rispose la prima, indispettita. « Oh! oh! come la ti fuma subito! non si può dirti nulla! » soggiunse Stella, la sua vicina. « Lasciatemi un po' stare, » replicò Luisa più corrucciata; e in quella piccola ira, alzava con isgarbo le sue tonde spallucce: le compagne le guardavano di sottecchi, sogghignavan fra loro. « E voglio dire e fare quel che mi piace, » riprese poi, cogliendo il buon punto, che la maestra dai suo banco stava mostrando ad una merciaia del vicinato certi fazzoletti di mussolino. « E se voi altre non mi lascerete stare, ve ne dirò tante da farvi diventar rosse di vergogna, dalla prima all'ultima, da da farvi scappare!... » Tutte ridevano; Maria soltanto, in aria di dolce compassione, levò gli occhi sopra di Luisa; ma costei, ostinata nel suo capriccio, si trasse con la seggioletta più vicino alla fedele Ghita, e continuò: « Ascoltami tu , che sei buona voglio proprio dirti tutto, a marcio dispetto di queste male grazie. Sappi dunque, che stamane ho veduto passare di qui, più di due e tre volte, il tuo Eugenio, in compagnia d'un altro: quest'altro non lo conosco, ma mi ricordo d'averlo veduto, dev' esser suo amico.... Bene, questo bel giovine, perchè è un bel giovine, sai?... mi pareva che mi guardasse ne.... oh anzi, ne son certa! E se tu fossi capace stasera di domandargli, all' Eugenio, chi sia quel suo amico.... Oh! ti vorrei far mille baci. Senti, mi dice il cuore che questo giovine passi di qui proprio per me. È di bella statura, ha una fisonomia così cara, ha certi baffetti biondi.... e poi, un bel fare.... Oh! è sicuro un signore, e muoio della voglia di sapere se è per me.... se è lui.... Oh cara Ghita, lo farai a me questo piacere, di', lo farai?... » « Sì, sì, ma se poi non fosse che uno scaldarti la testa!... » « Oh Ghita! tu non gli hai dato mente, perché guardi sempre il tuo Eugenio; ma io.... Sai? è perchè mia nonna, non contenta di recitare tutto il dì la corona, chè in fine non è lei che m' ha fatto, non vuole mai lasciarmi andar sola per le vie, e manda sempre ad accompagnarmi, innanzi e indietro, quello stupido del mio fratello minore, che fa il copista da un avvocato; se non fosse così, oh me la spasserei bene alle spalle di queste cattive, che adesso ridono di me! Quel bel giovine, che tu sai, m'avrebbe già parlato, e vorrei farne crepar molte dall' invidia.... Oh sì vedi, perchè non son degni di stargli a confronto nè il Colombo, quel malcreato che fa all' amore con la Carlotta, nè il signor Antonio che parla alla Rosalia, e che avrà i suoi buoni cinquant' anni.... No, no, io nol vorrei cambiare il mio amoroso, nè col Pietro della Clarina, proprio degno di lei, un giovine di bottega; nè col contino pitocco di cui si vanta tanto la Stella, nemmeno quasi col tuo Eugenio; sebbene, bisogna dirlo, Eugenio li valga tutti insieme. E io, credilo, io sarò sempre la tua vera amica.... » « Senti, Luisa; » rispondeva la Ghita a quell' inquieto cicaleccio: « di malizie n' hai da vendere, ma tant' è, io ti voglio bene, perchè sei sincera; e gli domanderò.... » « Oh! la è lunga stasera!... » diceva una; e le altre: « Già, lei è sempre la disturbatrice! » « Qualche gran mistero! » « Eh lo sapremo anche noi la Ghita, ne lo dirà. » « Sei pur buona tu, Ghita, a darle ascolto. » « Che si faccia sposa la Luisa? oh, oh!. » « E chi volete che la prenda?... » Queste amare baie ferivano il cuore della Luisa, che girò una lenta e torva occhiata su le compagne. E voleva rispondere, ribatter quelle parole nemiche con più acerbi rimbrotti; ma arrossiva, e le sue mani tremavano: allora, lasciando cadere il collaretto increspato, a cui avrebbe dovuto lavorare, appoggiò stizzita la sua piccola testa su la tavola, e ruppe in un improvviso scoppio di pianto. Maria, che sola era stata sempre silenziosa, sentì pietà della Luisa; e quando questa, non trovando più armi contro la sorda guerra delle pazzerelle amiche, finì a rispondere col pianto, ella s' alzò, le si fece accosto, le strinse con affetto una mano; indi, rivolta alle compagne: « Via, » disse « siate buone! non vedete che vi riuscì di farla piangere? sareste mo contente d' esser ne' suoi panni?... E poi, cosa v' ha fatto mai, poverina? Su dunque lasciatela in pace, e fate vedere che avete buon cuore. E tu, Luisa, non pian- gere! ti vogliamo bene tutte, vedi! è stata una burla; non abbilo per male, o pensa piuttosto che non c'è rosa senza spine, e che tu sei ancora felice di non aver altri guai! No, tu non conosci che si ha a sopportare a questo mondo di ben più grandi travagli! » Ma la buona intenzione di Maria, e le sue miti parole fecero peggio; perchè le fanciulle, dispettose dal sentirsi ammonire da una che poco amavano: « Vedi! » bisbigliarono fra loro, « vedi un po' questa, che vuol far la dottoressa! « E perchè se n' impiccia lei adesso?» « Eh la santarella! sentitela, che fa la dottrina cristiana.... » « Taci, taci, Maria; si conta di belle cose anche di te, e non ci far parlare. » Così la tempesta, che prima minacciava la Luisa, scoppiò invece su la buona Maria; la quale mortificata essa pure, tornava mutola a sedere. Ed essendo in quel punto la crestaia scomparsa dietro l' uscio interno della bottega, per salir alle sue stanze di sopra, quelle mordaci cervelline non si tennero più, e si voltaron tutte contro di Maria. In quella, s' intese il battere delle otto. Allora fu un cinguettio, uno scoppiar di risa e di scherzi, un coro di vocine stridule e gaje, una furia di smettere i lavori alla rinfusa, di gettar su la tavola guancialetti, spole, cuffie disfatte, ricami su' disegni incartocciati, cesoje, ditali. E ciascuna delle fanciulle correva a pigliare il suo cappellino di seta e lo scialle a scacchi o a quadretti, e tutte in una volta assediavano la povera Maria, che sola fra tutte era rimasta al lavoro. Pareva quel confuso cicalio che fanno le passerette d'una colombaja, sul vespro d'un bel dì d'estate. Diceva una: « Senti, Maria! tu, in fondo, non sei una cattiva pasta di ragazza, ma vuoi far la gatta morta, e non ti sta bene. E l'altra: « Non le guardate, è marcia invidia che la fa parlare. » E una terza: « No, no; scommetto che sa fare anche lei il fatto suo, e voi la chiamate la novizia! andate là, povere sciocche!... » Chi diceva così era la Carlotta, la più sguajatella e la più brutta, alla quale tutte si strinsero intorno, pressandola con cento interrogazioni. « Ah sì, dici? anche lei, con quella faccia compunta? Ma contane dunque qualcosetta, se ne sai! » « Ah! ah! son proprio contenta: non l'avrei mai creduto; e come?... e dove?... » « Sì, dilla su, com'è stata? dunque l' ha avuto anche lei il suo bello, eh? altro che prediche, che amor del prossimo! » «Ah! l' ha avuto anche lei l'amoroso? lui l'avrà piantata, e per questo arrabbia che noi ce lo teniamo!... conta, conta su! » « Ma io non so altro.... ma non posso dire.... E poi, io nol fo per vendetta, perchè le voglio bene alla Maria.... » Così, ma inutilmente, rispondeva la maligna Carlotta, mentre tutte eranle dintorno, e chi per un braccio la pigliava, e chi le scoteva un lembo dello scialle, e chi le tirava i nastri del cappellino: pareva giocassero a gatta cieca. Maria rivolse alle compagne uno sguardo, in cui appariva più la preghiera che il compatimento; ma quelle continuavano a ridere, a chiacchierare con gran bisbiglio, nè vi fu che la Luisa, la quale, forse per gratitudine, fattasele vicina, le disse all' orecchio: « Buona Maria, scusami se tutto è per cagion mia! » E le diede un bacio di cuore. Certamente, il giuoco avrebbe preso mala piega, se in quel punto non ricompariva la crestaja. La quale, veduta quella confusione, e intesa quella strana armonia di risa e di voci, si fermò nel bel mezzo della bottega, e girando un' occhiata lunga e severa sul crocchietto delle inquieta alunne, che alla sua presenza s'erano ricomposte in silenzio, umili, quatte e stupite, fece loro tal solenne gridata, che da un pezzo non avevano toccata la compagna; e con questa le congedò una dopo l'altra, ch' esse non vedevano l'ora d'andarsene. La piccola Luisa fu l'ultima: le convenne aspettare caro suo fratello; e n' aveva tanto corruccio che dispettosa batteva i piedi. Ma appena lo vide mettere il capo dentro la porta invetriata della bottega, strisciò una goffa riverenza alla maestra crestaja, e subito scappò via, come un uccello. Chi avesse avuto il capriccio dì tener dietro a quelle

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farfalline, n'avrebbe veduta una, appena fuor dell'uscio, pigliarsi al braccio del bel giovinotto lì fermo ad aspettarla, avvolto, come il conte d'Almaviva, nel suo mantello; un'altra andar sola sola, rasente la muraglia, e via dilungarsi in mezzo della gente; un' altra poi, giunta a capo della via, arrestarsi e guardar con ansietà di su, di giù, per ogni parte, in atto di chi cerca alcuno che non compaja; e questa stringersi presso la compagna, raccontare cammin fa- cendo i suoi gelosi misteri d'amore; e quella dare una scrollatina di spalle, o raddoppiare i passi, se avveniva che qualche mal capitato zerbino le augurasse la buona notte o le stendesse la mano indiscreta; in somma, una di quelle scene tra il chiaro e l'oscuro, cosi deliziose a' nostri giovani eroi che vanno in volta per la città, paladini notturni, in traccia d'amorose venture, come bracchi dietro l'atteggia. In quella sera, quando si ritirò nella sua camera abbandonata, Maria benedisse il cielo di potere finalmente lasciar libero sfogo a' suoi sospiri. Sentivasi più che mai agitata la mente da mille imagini dolorose; ma sopratutto l'angustiava un dubbio, un sospetto, un pensiero spaventoso, che non osava confessare al suo cuore. Si pose a sedere: meditava sopra di sè, sulla propria vita, e le pupille le si gonfiavano di lagrime. La folle allegria delle compagne, i loro ghiribizzi, que' motti, que' consigli facili e maliziosi, non rispondevano al suo costume timido e dolce, alle dolenti sue ricordanze; ella si accorava di dover tacere sempre, di vedersi negletta, perchè non aveva il cuore come le altre; pativa di non esser amata, e pur pensava che non avrebbe potuto confidarsi a nessuna Ma tutto questo era nulla ancora; il peso della vita essa l'aveva portato in silenzio e con rassegnazione fino a quel dì; e in quel di appunto, un'improvvisa circostanza bastò a risvegliar nel suo cuore, appena riposato, un antico e fiero contrasto. - Quella stessa mattina, un giovine era passato più d'una volta dinanzi la bottega (se vi ricordate, i furbi occhietti della Luisa l' avevano ben notato); e Maria, nel gettare uno sguardo involontario su la via, lo vide anch'essa, lo riconobbe.... Era lui, era il suo Arnoldo! - Le parve ch'egli pure la conoscesse: le parve che gli occhi del giovine si fossero incontrati ne' suoi.... Poi non si ricordava più di nulla; non l'aveva più veduto. Fu un sogno, un'illusione?... No, no; l'anima sua era troppo in pace nel punto ch'egli passò, perchè quella vista fosse un inganno de' pensieri. Già il rivederlo aveva rinnovato tutti i dolori di sua vita, e vinto il suo cuore; il rivederlo sola una volta bastava a rapirle di nuovo la calma e la forza in tutto quel tempo riavute, la memoria stessa di sua madre, e di tutto il piangere che aveva fatto.... Ella ebbe ancora un momento, un fuggitivo momento di speranza e di gioja! - Ma come si trovava egli qui?... e perchè tornava, e che voleva da lei? Dunque, non era tutto finito fra loro, non erano come morti l'uno per l'altro? non era dessa la povera orfana, alla quale non restava più nulla in terra, più nulla, fuorchè la virtù? Questo segreto patimento, che solo un' anima pura e addolorata può intendere, tolse a Maria il sonno di quella notte. Ma al mattino, appena per le fessure, delle imposte il primo chiarore penetrò nella stanzuccia, essa, lasciato il letto, pregò più vivamente dell'usato; e quando si levò dal suolo, la sua deliberazione era già presa. Salì serena e composta, come soleva, alle camere della crestaja; e poi che la seppe levata, bussò leggermente all'uscio di lei. La buona donna aveva preso ad amarla; cosicchè, sentitane appena la voce, la fece venire a sè, e le dimandò che volesse, dandole animo a parlare. La fanciulla rispose aver un segreto a scoprirle, una grazia a chiederle; si trattenne un pezzo con lei, e le aperse tutto il suo cuore. Quella mattina, non discese nella bottega, e la sua seggiola rimase vota: le compagne n' ebbero gran maraviglia, e bisbigliarono fra loro mille congetture di quest' improvvisa assenza; per tutto il dì non parlarono d' altro, nemmeno de' loro amorosi. Poi, la mattina appresso, la crestaja annunziava alle curiose alunne che Maria era partita di casa sua; ma per tentar che facesse, or l' una or l' altra, di aver la chiave del segreto, non riuscirono a saperne nulla; la brava donna mantenne a Maria il silenzio promesso. Alla fine, venuta la sera, le fanciulle, prima del rintocco delle sospirate ott' ore, svolazzarono fuor della bottega: e ciascuna ebbe a raccontare al suo fedele la storia della scena del giorno passato e della compagna scomparsa. Noi lasceremo le altre, e terrem dietro con passo leggero alla Ghita; la quale, camminando stretta stretta al braccio del suo Eugenio, gli parlava con quell' ingenuo cicaleccio che nelle giovani crestaje ha pure il suo vezzo. Perchè, dove nol pensaste, la Ghita era una buona ragazza, fresca come un botton di rosa, un po' capricciosetta , ma savia: essa, quantunque alunna d'una crestaja, era graziosa, onesta; e le piaceva ch' Eugenio l'accompagnasse, perché, poverina! aveva troppo paura di correr sola per le vie, nè il suo innamorato poteva ancora vantarsi d'averle mai car- pito un solo bacio. Egli poi, Eugenio, era un giovine come ce n' è tanti, allegro, buon tempone, ma di cuor mite e sincero; e benché facesse all'amore, per non saper fare di meglio, pur egli credeva ancore all'amore. Unico figlio d'un vecchio impiegato di scarse fortune, era scritturale in una buona casa di commercio. Una mattina, stando sul terrazzino, gli venne veduta, al terzo piano della casa dirimpetto, una giovine, la quale inaffiava due vasetti di fiori sulla sua. finestruola; stette a contemplarla lungamente, gli parve bella: era Ghita. E poi, vista la fanciulla uscire, le si mise dietro, la seguitò come la sua ombra fedele, e così fece per un mese. Passato il quale, essa non ebbe cuore di far la ritrosa, chè se n'era accorta: un giorno, rispose al saluto del suo bel vicino; il giorno appresso gli concesse un' occhiata e un bel sorriso; poi venne una buona parola, e poi se n'andarono in compagnia; sicchè il povero giovine, a poco a poco, s' innamorò da vero della fedele sua dea del terzo piano. « Senti, mio caro! » diceva in quella sera Ghita all'amico; « l'altro giorno, tu m' hai raccontata la storia d'un bel giovine forestiero, quello.... del nome non mi ricordo più.... quel bravo giovine con cui t'ho veduto passare più d'una volta. Tu m' hai pur detto ch' egli voleva sposare la mia compagna, la Maria, che gli piaceva tanto da un pezzo; ma che poi tutto era andato a monte; nè s'eran più veduti, e.... » « Sì, » rispondeva il giovine; « or bene? avresti forse detto alla tua compagna, che l'amico suo è qui, e a qualunque costo vuoi parlare con essa? » « No, no, t'avevo promesso di tacere, e ho taciuto.... benchè avessi una tentazione, a dirtela schietta, di mostrare che sapevo tutto anch' io, e di farla arrossire un po' quella Maria... un'acqua morta, che fa l' innocentina.... » « Via, cosa vuoi dirmi dunque, che mi fai gli occhietti? » « Voleva dirti che tu non mi vuoi bene, che sei un cattivo arnese, e non avresti cuore di fare come quel tuo bravo amico, che vuole un ben dell'anima alla Maria.... » « Di far che, maliziosa? « Di sposarmi, signorino! » gli susurrò all'orecchio, con una graziosa moina: « non m' hai promesso ancora, ma lo farai, non è vero? appena sarai padrone del fatto tuo : perchè adesso sei un buon giovine, e null' altro, com' io una buona tosa.... » « Tu sei una matterella; e appena fuor del guscio, pensi già.... » « Oh se tu mettessi un po' di giudizio, mi sposeresti... » « Non mi parlar di malinconie, o ti pianto qui su' due piedi. Dimmi piuttosto cosa c' è di nuovo di quella Maria, perchè mi preme di sapere.... » « Oh vedi! una certa idea me l'aveva fatta già dimenticare. Maria dunque, Maria non c' è più » « Come non c' è più? dici da vero? » « Se n' è andata, e non si sa come, nè dove.... » « È fuggita?... » « Chi lo sa? Certo, la cosa non è chiara; ma credo che lei non ne voglia saper altro di quel tuo amico; e io ci vedo! Oh! la è così; essa l'avrà riconosciuto, quando passava con te per la via; e per paura di far dire, e per non voler anche lei adattarsi come tutte le altre, avrà pensato di schivar l'occasione e di fuggire.... » « È impossibile! e perchè dunque? e dove mai? » « Io la conosco quella giovine; ha le idee storte, certe fantasie, ch' io non so proprio dove se le peschi. Figurati, non fa che pensare o piangere; se parla, se ride, è un miracolo.... Io per me, la compatisco, poverina! così giovine, e non aver più nessuno ; ma, suo danno, se la è così semplice da scappar via quando c' è chi l'ama, la cerca..., e, di più, la vuole sposare! Non è vero, ch' è peggio per lei? « Sì, sì! Ma intanto, come fare a dirlo a lui ? Non so da vero, in che modo si possa esser matto, incocciato così per una come lei; e venir apposta d' Inghilterra, e star un mese a cercarla.... Io per me, a quest' ora, l'avrei mandata.... Dio sa dove! » Ma essi, allo svoltar della via, si guardano indietro camminano con passi presti e spessi, si parlan così davvicino, ch' è impossibile seguitarli ancora e rubar loro le parole.... E poi, il più ladro mestiere della terra! Lasciamo dunque che la giovine coppia se ne vada in pace per la sua via.

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Indi, quasi per togliersi a quell' ostinato meditare, s' avvicinava alla finestra, e appoggiato alla soglia, se ne stava a contemplare con occhio muto la gente, la strada, le case, e il sole smorto e senza raggi attraverso a quel velame di nebbia, che gli somigliava alla scena d' un sogno. - Eccomi solo! pensava solo, abbandonato a ventitrè anni, tristo come un colpevole, inutile ad altrui, a me stesso!... Povera mia vita, povero mio cuore, che siete mai? È questa la felicità ch' io cercava, la verità, la pace di cui tanto ebbe sete l' anima mia?... Benchè giovine della vita a quest'ora feci troppo duro saggio; ma, nel mondo, ciò che patisce il cuore soltanto, non si conta per nulla. Ho perduto tutto, tutto; e non mi resta nemmeno il ricordarmi del passato senza sgomento e senza rimorso. È possibile che mio padre, mio padre m' abbia maledetto?... Dio! sostieni l' anima mia, dammi la virtù di soffrire, o ch' io mi perdo!... - E gli uomini?... essi che non credono e non vivono che per il fatto, eterni schernitori d'ogni entusiasmo, d'ogni sacrifizio, d'ogni patimento dell'anima, mi volgono le spalle, mi tengono a vile, mi chiamano stolido, fors' anche infame!... No, no io fui, e sono più forte di voi tutti! Sia ciò che vuole, la voce della coscienza, la necessità dell' avvenire, l' infinito desiderio della, verità, gridali più alto di voi; io vi disprezzo. Ho ben già fatto anche di più; a questa immensa speranza della verità ho sacrificato la canizie di mio padre, il pianto delle mie sorelle, il mio nome, la gloria e gli agi che il mondo m' aveva promesso, tutto, la fede stessa della mia famiglia!... Pure, per gli altri, sono un uomo fiacco, uno spirito vile, un imbecille. E qual è la mia colpa? Quella d'aver osato confessare apertamente, in faccia a tutti, di credere!... A che mi valse dunque la lotta lunga, penosa del dubbio? E se fu un martirio, perchè non ne ho io trion- fato ancora?... Io sono cattolico! l ' ho detto, e i miei amici risero; ho creduto alla verità che m' insegnarono la semplice eloquenza d'un santo, l'amicizia d'un angelo; ed essi risero!... Oh sento un' angoscia che, quasi mi fa maledir l' intelletto, e sospirar di finire! - Io aveva tanto bisogno di riposo, eppure sento che nel mio cuore dura ancora una fiera guerra. Se ritorno coll'anima su la vita passata, mi ricordo che a quindici anni io contava già degli amari giorni; che talvolta io veniva meno sotto il peso della noia, e tal' altra la mia mente perdevasi nell' infinito. Ma almeno, allora io poteva piangere.... Oh perchè la povera mia madre mi fu tolta così presto! avrei vissuto dell' amor suo, dell' amor suo, unica virtù di tutta la mia vita! E conce mai mio padre fu sempre così avido di grandezze, e io così indifferente a ciò che si chiama gloria e fortuna ... Se una passione cieca, violenta, m'avesse trascinato, come tant' altri che vidi e conobbi, sarei stato più infelice che adesso non sia. Io non so quale condanna mi s' aggravi sul capo, ma so che ho sofferto, ho veduto piangere e soffrire que' pochi che mi amarono.... No, no! è meglio ch' io discacci questi dolorosi pensieri.... E tornava a passeggiare, e l'anima cupa gli si leggeva su la fronte sdegnosa; più concitati erano i suoi passi, e gli occhi torbidi, irrequieti, segno della tempesta che dentro sopportava. Alla fine rimase per qualche tempo immobile, come se i suoi pensieri tacessero, poi si gettò sopra una seggioia, abbandonò gravemente il capo fra le mani, appoggiandosi alla tavola presso il camino; e di nuovo s' immerse nelle sue scure fantasie. - È impossibile! il mio cuore non ha più che quest' ultima illusione. La buona fanciulla, l'unica ch' io abbia amato coll'anima mia, l'unica che non abbia ardito confidare il suo al mio affetto, e che pure mi amò, anch' essa m'abbandona, non è più qui! Dunque non la vedrò più? E io sperava di trovar vicino a lei una pace che per breve tempo ho pur gustata, in que' pochi giorni fuggitivi, i soli giorni che con dolcezza io richiami!... - Buona e povera Maria! anche tu hai sopportato molto dolore; pure fosti meno sventurata di me. Non sono io sulla terra solo, al pari di te? Ma tu vivi ancora la tua vita pura e tranquilla, non hai il cuore turbato dalle tempeste che agitano il mio; l'affanno t'ha oppressa, ma le tue lagrime sono silenziose e care, sono lagrime di virtù e di rassegnazione: io invece non posso piangere, e se piangessi, non avrei lagrime di conforto, ma di disperazione!... Oh le mie notti! le ore terribili della notte, così gravi e mute, così piene di fantasmi! È allora che la mente va farneticando nelle tenebre, che l'anima si dibatte, come in un mare senza confini. Tenebre dappertutto, nel dì e nella notte, su la terra e nel cielo, tenebre il passato e l' avvenire, la vita e la morte.... O Signora, questa è la fede che m'hai data?... Eppure, io credeva!... e quando pregai d' esser ricevuto nel grembo della tua Chiesa, allora il mio cuore era sincero, era sicuro e forte. Oh! come allora, ponmi al fianco, o Signore, alcuno che mi ami, e mi ricordi sempre che questa fede non è un sogno dell' anima, ma la vera, l' unica consolazione della vita. - Che sarà mai intanto di Maria, di quell' innocente creatura, la quale per l'amor mio è fatta infelice? Io devo cercarla, ridonarle la pace che le ho tolta; e, quantunque non possa più restituirle nè madre nè fratello, saprò almeno, se il cielo consente, e s' ella mi crede ancora, tenere il mio giuramento. E Dio, che l' ha benedetta, benedirà me pure. Di lì a poco, alcuno bussò leggermente all'uscio della stanza. Era un giovine di bell'aspetto e di modi cortesi, un tale che noi conosciamo da poco in qua; era Eugenio, l'amico della graziosa alunna crestaja. Com'egli avesse fatta la conoscenza d'Arnoldo Leslie, e perchè si fossero poi legati d' amicizia, ve lo dirò adesso, se vi piace. Il giovine inglese era tornato in Italia, due mesi innanzi, nell'ottobre; e, come ben lo pensate, col disegno di andare in traccia di Maria, cita a lui stava sempre nel cuore era stato il primo amor suo, il solo anello che ancora lo attaccasse alla vita. Attraversata Francia e Svizzera, poi venuto a Como, s'era fatto tragittare senza indugio al paesello di Maria. La prima gioia che gustasse, dopo tanto tempo, fu al salutare la bella riva, e quella conosciuta e amata dimora: pensava di trovar colà, nella loro pace di prima, Maria e sua madre.... Balzò dalla barca, cercò impaziente con gli occhi la casetta; vide le finestre tutte chiuse; solo semiaperta un' imposta della porticella di strada, e, seduta a capo degli scalini, la vecchia Marta. Essa lo riconobbe; ma quando a lei disse il proprio nome, « Oh santissima Vergine! » esclamò: « che cosa viene a far qui adesso lei? Non sa che non c'è più nessuno? non sa che sono tutti morti?... cioè, la Caterina e don Carlo.... e che di Maria non s' è avuta più nuova nè ambasciata, dopo quella gran disgrazia?... » Arnoldo non ebbe l'animo di chieder di più. Ma il giorno seguente, tornò muto e lento a quella casa deserta; rivide Marta, e domandò e seppe la breve storia della sventurata famiglia, o almeno quel tanto che n' era noto alla vecchia; e pianse con lei. Di là poi s' era recato a Milano. Presentatosi con note commendatizie alla casa di commercio nella quale Eugenio trascinava il suo meschino noviziato, egli s'avvenne in questo giovine, che gli sembrò dabbene e sincero; e com'ebbe in più d'una congiuntura a trattare con lui, quando andava a riscuotere qualche somma di suo credito (perché, per buona o cattiva fortuna, a questo mondo non si vive soltanto d'amore e di fantasie); così non di rado accadeva che se ne tornassero in compagnia, senza essere per questo i più grandi amici del mondo. Arnoldo, d'altro non sollecito che di conoscere la sorte di Maria, aveva inutilmente tentato ogni mezzo di scoprirne traccia. Solitario per costume, divenuto poi più diffidente, non volle aprire a nessuno l'animo suo; ma visse ritirato e malinconico, nell'albergo poco noto, dove aveva preso stanza, e dove altri non capitava a visitarlo fuor d'Eugenio; il quale talvolta, e quasi per forza, lo trascinava seco a diporto, per guarirlo da quella sua cupa tristezza, dicendogli che lo spleen l'avrebbe presto fatto finir tisico. Per questo, Eugenio non conduceva l'amico nè lungo le monotone strade di circonvallazione, nè sotto i castagni già brulli e nudi delle nostre solitarie mura, ma se lo traeva dietro per le corsie più liete e frequenti di popolo; e tenendosi al braccio del compagno, sapeva, in quelle passeggiate, trovar fuori l'ora opportuna di venire verso la nota bottega, dove sedeva a ridere e a lavorare la sua Ghita; e costei ne lo ringraziava con una lunga occhiata, con un sorriso. Ma una volta fra l'altre, mentre al solito passavano appunto appresso l'entrata della bottega, Arnoldo a caso rivolse gli occhi da quella parte, e vide, o gli parve vedere, seduta, occupata al ricamo, vicina alla vetriera della porta, la sua Maria.... Si fermò, la riguardò ancora.... era ben dessa. Poco mancò non gli sfuggisse un grido di gioia improvvisa: ma la fanciulla non s'era distratta dal lavorio, non lo aveva riconosciuto. Egli allora, sforzandosi di parer indifferente, chiese all'amico se fosse stato mai in quella bot- tega; ed Eugenio, pensando che l'altro avesse indovinato il suo segreto, lo guardò sogghignando , e rispose che sì; poi, da buon figliuolo com' era, gli confidò il suo amoretto con la Ghita. Arnoldo l'aveva appena ascoltato; pieno l' animo del contento d'aver riveduta Maria, abbandonavasi alla soavità dell'antico affetto, alla voluttà della speranza adempita. Il suo volto s'era fatto sereno, il suo cuore leggiero e aperto; parlò e rise, ond' Eugenio ne strabiliò, pensò fosse effetto della sua medicina, di darsi un po' di bel tempo; e poco stette che non lo consigliasse allora da bravo amico, a far come lui, e pigliarsi dett' e fatto una bell'amorosa, gaia, alla buona, che certamente gli avrebbe cacciata di dosso lamattana. Ma si pentì, e restò intraddue; quando, prima che si lasciassero, Arnoldo gli strinse forte una mano, dicendogli serio: « Ho un servigio a chiedervi: venite domattina da me; devo confidare al vostro onore una cosa che mi preme. » « Ben fortunato di potervi servire, ». gli aveva risposto Eugenio; « di me potete vivere sicuro; vi stimo troppo, e.... » non finì il complimento, e se n'andò pensando: - Che cosa vorrà mai quest' originale? O ch'egli è matto, o ch' io non ci vedo. La mattina vegnente, non mancò all' ora data; e Arnoldo, con gran mistero, gli scoperse la promessa con che s'era legato alla nostra fanciulla; che per lei soltanto aveva riveduta l' Italia, e che dopo molte vane ricerche, il caso gliela aveva fatta incontrare nella modesta bottega d' una mercantessa; in quella bottega appunto, a cui eran passati dinanzi il giorno prima in compagnia. Eugenio maravigliò e rise, ché gli pareva un sogno; una l'altro prese sul serio la cosa, e fattogli giurare di non dir nulla, volle promessa ch' egli tenterebbe di tutto per dargli modo di parlare alla giovine Maria. Eugenio disse non istimar l'affare molto scabroso; e, prima di sera, aveva già messo a parte del suo segreto l'amica; poichè non sarebbe riuscito a tenerlo intero per sè, ad onta di tutte le promesse del mondo. Ma, saputo ch'ebbe dalla compagna come Maria fosse una giovine un po' diversa dall'altre, e facesse la ritrosa e la santoccia, s'avvide non essere la cosa troppo facile, e non seppe più altro dir nè fare. Fu il giorno appresso che la fanciulla disparve, come già sappiamo. Arnoldo ne disperò quasi, ma Eugenio era là per consolarlo, per dargli buona speranza; l'assicurava esser quello un ghiribizzo, una delle solite furberie delle fanciulle, le quali vogliono vedersi correr dietro quei tapini che abbiano la disgrazia d' innamorarsi di loro. - Pure molti dì passarono, senza che l'uno o l'altro avesse potuto ancora sapere la verità. Ben aveva cercato più volte l'Eugenio di far parlare la crestaja, spacciando grandi promesse a nome dell'amico, ma non n' era venuto a capo: la buona donna fu muta, ostinata a custodire il segreto; quantunque il giovine pensasse ciò essere piuttosto malizia che virtù scrupolosa. Arnoldo, perduta la fiducia di ritrovarla, si rimise alla vita indifferente e monotona di prima, a quella vita tediosa che coli' inerzia del di fuori ricopre l'interno cruccio. Così era venuto il dicembre. « Eugenio! » diceva adunque Arnoldo al suo nuovo amico, quella mattina in cui l'abbiamo trovato che passeggiava nella sala dell'albergo: « Eugenio, sedete qui, accanto a me. Le prove d'amicizia che m'avete dato, il vostro onesto costume, la vostra premura, meritano ch' io metta in voi maggior confidenza. Voi mi conoscete appena, e poco sapendo di me, forse mi giudicate male. È giusto, dunque, che vi spieghi il mistero che a voi ancora mi copre; è giusto che mi conosciate meglio: forse allora, se prima nel cuor vostro avete riso di me, mi compatirete! « Il tono severo di quest'esordio scosse un poco Eugenio: i colloqui serii non erano il suo forte; nondimeno, fatta all'amico una solenne protesta d'osservanza, si pose a giocar distrattamente con le molle fra le ceneri del focolare. E l'altro prese a raccontargli la storia dell'amor suo, meglio che non abbiamo potuto far noi in queste pagine modeste, cosa ben naturale: era l'amante che parlava, e il suo cuore si effoudeva nelle parole, con una verità semplice, poetica. Ma Eugenio intanto pensava che l'amico suo doveva essere un bel pazzo, e che lui, se fosse stato ne' suoi panni, non avrebbe perduto il tempo in codeste malinconie, e a far all'amore alla romantica con una tapinella; mentre invece avrebbe potuto a capriccio fare il mestier del Michelaccio, quel beato mestiere che non s' insegna, e tutti sanno e sapranno sempre. « Dopo quel tempo d'una felicità ch'io quasi non credeva possibile, » così continuava Arnoldo il suo racconto, « dopo quel tempo, vennero per me giorni d'amarezza e di sconforto. Ma qui, bisogna che vi confidi un'altra cosa che ancora non sapete, il vero mio nome. Voi mi conoscete per Arnoldo Randale; questo non è il mio casato, ma quello della famiglia di mia madre; per segrete ragioni lo presi al mio ritorno in. Italia. Mio padre è lord Guglielmo Leslie. » L'amico Eugenio levò gli occhi con gran maraviglia, a quella sonora parola di lord; e poste giù le molle con che giocava, stette con più cheta attenzione ad ascoltarlo. « Mio padre » seguitava Arnoldo « è un uomo severo, superbo del suo nome e dell'antica sua nobiltà, quant' altri mai; i suoi principii sul fatto e su la condizione sociale son quelli d'un vero Inglese, onore, orgoglio e fermezza; il motto dell'arme gentilizia de' Leslie sembrava appunto dettato per lui: Sempre salire!... Ma, fin dagli anni infantili il mio animo s'apva in vece all' incanto delle miti virtù di mia madre, dolcezza e compassione, amicizia e amore. Io, per me, sento di non esser nato per quelle che chiamarsi le grandi virtù del nostro secolo, una politica che si veste del fastoso nome di filantropia, e una civiltà che pesa tutto su le bilance dell'industria. Passai i primi anni dell' adolescenza in casa d'uno zio di mia madre, venerabile vecchio, dal suore giovine e caldo, uomo generoso, soccorrevole e costante: era questi irlandese e cattolico, e aveva perduto il figlio, la nuora e i nipoti, tranne uno solo che formava le delizie dell'abbandonata sua vecchiaia.... Questo giovine cugino fu il mio primo amico. Ma, pochi anni appresso, anch'egli era morto.... » « In quel tempo appunto, » ripigliava Arnoldo dopo una pausa, « nel nostro paese gli spiriti bollivano, in quella famosa guerra d'opinioni e di partiti, che tenne grandemente agitati tutti i giusti e i buoni, la controversia per l'emancipazione de' cattolici. Mio zio metteva in cima de' più cari suoi voti la sospirata legge, e ne procacciò il trionfo, quanto potè e seppe. Parmi ancora vederlo scuotere la sua testa canuta, e volgere al cielo gli occhi accesi d'un insolito ardore di gioventù , dicendomi dover la giustizia trionfare una volta o l'altra anche su questa terra; e nessun sacrifizio esser poco, per guarire la patria d'una piaga che da tre secoli aveva fatto la vergogna della superba nostra civiltà!... Ma, appena mio padre venne a sapere i nobili sforzi del suo parente e il mio entusiasmo a pro di questa causa generosa, mi rivolle presso di sè, caldo sostenitore, com' egli era stato sempre, degli antichi rancori. E mi mandò a viaggiar sul continente, perchè la mia mente perdesse codeste fantasie, ch 'egli chiamava la scorza del fanciullo, e imparasse a conoscere uomini e cose. Ma era tardi. Io aveva già sposata la parte degli oppressi; io amava il culto solenne, maestoso della Chiesa a cui mi guidava fanciullo il mio vecchio zio, e dove univo le mie alle candide orazioni del mio povero cugino; l'arida e corrotta dottrina, e la troppo mutabile fede nel seno della quale io nacqui, non avevano parlato mai al mio cuore. « Nel mio viaggio attraversai, come uomo nuovo, quest'Italia, così degna d'amore e di venerazione; di città in città, vidi le sue basiliche, le sue cupole, le sue chiese, nelle quali mi pareva che l'arte veramente divina traducesse all'anima il mistero della suprema bellezza; vidi i capolavori di Michelangiolo, di Raffaele, di Tiziano, di Guido,

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La villa, che ancora, a breve distanza di *** vedi sorgere sulla riva destra del lago, fabbricata nello stile malinconico e severo del- l' architettura del secolo passato, ha un bel terrazzo, che su d' una roccia stagliata stendesi alquanto nell' acqua, e lascia allo sguardo abbracciare la pittoresca veduta di quelle cinque miglia di lago, chiuse fra Como e la punta di Torno. Su quel terrazzo, che è come il prolungamento d' un' ala della casa, andavano e venivano, nella stessa mattina, alcuni servi per apparecchiare la consueta colezione de' loro padroni, una colezione E infatti, una famiglia inglese aveva preso a pigione la villa per tutta la state di quell' anno. Era un vecchio signore venuto co' suoi figliuoli a cercare, sotto il ridente nostro cielo lombardo, alcuni mesi di salutare riposo dalle fatiche dell'aristocrazia. Avevano lasciato per la prima volta il cielo nebbioso di Londra e lo splendido tumulto della vita politica e cittadina; chè un viaggio sul continente è, per l' Inglese, medicina d'ogni rovescio; per l'Inglese che, in casa sua, tesse tranquillamente la politica delle cinque parti del mondo; e fuori, sen va a centellare con eguale costanza il suo tè sui ghiacci del Gran san Bernardo, e all' ombra delle Piramidi. « Vieni, Elisa! » diceva una bionda giovinetta, correndo fuori colla più graziosa sveltezza sul terrazzo. « Vieni, dunque! chè le dieci ore sono testè sonate al villaggio, e il mio buon appetito me ne avverte. Nostro padre verrà subito anch' esso.» « Eccomi, cara! » uscendo le rispondeva Elisa, la sorella di Vittorina. « Che bel mattino! che bel cielo! Io aveva letto e sentito dir tante belle cose dell' Italia, ma non pensavo che fosse così bella! » « Bada prima, o sorella, a servire il tè! e poi farai le tue contemplazioni alla buon'ora. Pensa a noi, te ne prego, fantastica creatura. Vedi mo: quest'aria, che in te risveglia la poesia, in me stuzzica l'appetito! » Ma Elisa, la sorella maggiore, una giovinetta malinconica e bella come la Malvina d' Ossian, non dava pensiero alla premura di Vittorina. Ella s' era abbandonata mollemente sul poggiolo del terrazzo, distratta guardava l'acqua del lago, che rompevasi con monotono gorgoglio al piede del sasso, e diceva sotto voce, parlando con sè stessa: - O mia povera madre! se tu pure fossi qui con noi! io t' ho conosciuta appena: ero così piccina ancora, quando ci abbandonasti per andare in paradiso!... Ma pure mi ricordo di te, mi ricordo de' tuoi baci, delle tue carezze.... Tu eri malinconica! Oh se tu fossi qui con noi; non piangerei, ma così!... - E sollevava la faccia al sereno del cielo. Venne in quella sul terrazzo un vecchio signore, d'alta statura, di contegno serio e severo; il quale salutò d' un cenno della mano le due giovinette, poi si mise a sedere. Vittorina gli corse al fianco, e lo baciò in fronte, con una tenerezza infantile, dicendogli: «Buon giorno, padre mio! come state? » « Bene. » « Volete ch'io serva il tè? farei subito colezione ben volentieri! Via, non siate così brusco: l'aria di questo paese non vi rallegra? » « Si, quel che vuoi, cara. Ma Elisa che fa? » « Eccomi, padre mio! perdonate, ero distratta ne' miei pensieri.» Intanto che le due sorelle apprestavano il tè, lord Guglielmo Leslie se ne stava taciturno, corrucciato in viso, e le gomita appoggiate alla tavola, in atto d'interno dispetto; le due' giovinette si sogguardavano tacitamente a ora a ora. Ma la fronte di Vittorina era serena e gaia, e sulla sua bocca scherzava sempre un ingenuo sorriso; Elisa invece levava gli occhi azzurri, intenti, e pareva voler leggere nella cupa meditazione del padre, come sentisse il bisogno di dividere il suo dolore e di confortarlo. Quella era dunque una mattina assai mesta, in faccia a un cielo incantevole, nel giorno più bello della primavera. Dopo un lungo silenzio, e finita la colezione, Elisa si volgeva a suo padre, e vincendo una certa titubanza, dicevagli con tutta soavità: «Perdonategli, padre mio, perdonate al nostro buon Arnoldo! Ditemi che non è vero che voi non l'amiate più!... Dunque, se l'amate ancora....» « Chi mi parla di colui?... » rispose con piglio severo il lord. « È la vostra Elisa, padre mio, la vostra Elisa, a cui pur volete tanto bene.- Ma ne volete anche ad Arnoldo, e nel vostro cuore gli perdonate, non è vero?» « Finitela, » riprese il padre, « finitela! Guai a chi mi parla di riconciliazione con quell' uomo indegno!... È troppo! » - E battè con tal impeto di rabbia il pugno sulla tavola, che la povera Elisa si levò sbigottita; e Vittorina, che già stava per aggiunger la sua alla preghiera della sorella, balzò indietro, e mise un grido di spavento. Il vecchio lord, mormorando ancora: - È troppo! - aggrottava le ciglia; poi, alzatosi dispettosamente, voltava le spalle alle figliuole; e rientrato in casa, chiudevasi dietro le imposte. Elisa e Vittorina rimasero guardandosi l' una l'altra, senza osare seguirlo cogli occhi, nè dir parola. Lord Guglielmo Leslie discendeva da una famiglia antica e chiara. I Leslie avevano avuta non l' ultima parte nelle vicende politiche del loro paese; e quantunque scaduti da quell'antico splendore di potenza famigliare che i secoli e le ricchezze avevano sancita, serbavano tuttavia gli avanzi di quell'orgoglio aristocratico, e di quella superbia, direi quasi dinastica, che i severi Inglesi, più che tutti gli altri, seppero mantenere in mezzo a tutte le loro cittadine libertà e a' loro civili progressi. Non c' è popolo, che al pari dell' Inglese sia così ostinato e sdegnoso sostenitore de' privilegi e delle franchigie che i nobili vantano sui cittadini, e che mentre combatte in pace e in guerra per la causa della libertà delle nazioni, conservi con tanta gelosia le sue prerogative, i suoi diritti; i quali almeno non sono colà, come altrove, una boria ridicola, poichè posano saldi sopra una base di fatto, come il cammino degli avvenimenti e le vicende del potere civile ve li hanno essenzialmente stabiliti. I Leslie di Falconbridge tenevano ancora alcuni vasti poderi in una delle più colte contrade del mezzodì d'Inghilterra. Al principiar del nostro secolo, non erano rimasti di quella famiglia che due fratelli, lord Giorgio e sir Guglielmo. Il primo, dopo che sostenne una grave magistratura dello Stato, andò a ritirarsi nelle sue terre, in seguito d'una mutazione del ministero: il re aveva premiato le sue fatiche e il suo ritirarsi a tempo, col titolo di barone. Ma lord Giorgio non aveva figliuoli, e la sua recente dignità doveva passare nella linea cadetta. Sir Guglielmo dunque tenne aperti gli occhi sull' andar delle cose; accarezzò sempre le opinioni di suo fratello, e aspettò quel giorno che doveva dargli nuovi diritti e nuovi doveri. Nella futura grandezza dell' unico suo figliuolo Arnoldo egli concentrava tutta la propria potenza, tutta quella del nome della sua famiglia, del quale era così geloso veneratore. Altero per costume e per educazione, tenace, fino allo scrupolo, di sua antica nobiltà e delle domestiche abitudini alle quali era stato ligio per tant' anni, dal tempo che viveva nell' antico castello di suo padre, là nell'Hampshire, sir Guglielmo pareva, dispettoso d'invecchiare, senza vedere che le sue speranze s' avverassero mai. Non dirò che avesse desiderata la morte di suo fratello lord Giorgio, per venire in possessione delle sue grandi tenute e per andarne esso pure a sedersi nel parlamento; ma stava ad aspettarla, essendo Giorgio d' alcuni anni più vecchio di lui, e di salute logora e fiacca. A quarant' anni, sir Guglielmo s' era ammogliato con Arabella Randale, che l' aveva fatto padre d' Arnoldo e di quelle due care giovinette, Elisa e Vittorina. La povera Arabella non era stata felice! Sacrificata, come pur troppo avviene spesso anche fra noi, all' orgoglio e all' interesse, era stata gettata, qual vittima, nelle braccia d'un uomo da lei non amato, e che le tolse il suo per darle un nome, che non le fece palpitare soavemente il cuore, se non quando divenne il nome de' suoi figli. Ma l' anima sua era pia, la sua volontà docile e rassegnata. Tutta la vita di lei, che non fu lunga, era stata uno studio costante e secreto d' amar l'uomo ch' girale toccato a compagno, di cercare le più sane e oneste idee della mente di quest' uomo, le sue virtù sebben piccole, e le affezioni del suo cuore, per rispettarlo e amarlo in quelle. Ma sir Guglielmo era uno di coloro a' quali la natura sembra aver rifiutato il dovere amoroso di marito e di padre. Agitato da continui pensieri di fumo e d'ambizione, travagliato da mala vicenda nella domestica economia, era quasi sempre meditabondo, accigliato, dispettoso : fosse il cielo torbido o sereno, si raccontasse di fortune o di miserie, si spargesse la gioia o il dolore nella famiglia o ne' circoli, sempre la stessa nube era sulla sua fronte, lo stesso amaro sorriso sulle sue labbra. Non mai egli sovvenne la disgraziata sua donna di quelle consolazioni che cancellano tante memorie penose, nè mai le fu largo di quelle sollecite cure che medicano anche le più triste piaghe della vita. Arabella avea vent'anni quando fu maritata a sir Guglielmo; a trentadue ella moriva, moriva portando con sè tutto il cordoglio della sua vita sconosciuta e negletta. Aveva compiuto il sacrifizio di tutto ciò che v'ha di più sacro, la fede e l' amore, e non lasciava in terra che un pensiero di rammarico e un ultimo ardente desiderio; il pensiero de' suoi tre figliuoli, i quali, così giovani ancora, restavano senza di lei; il desiderio ch'essi almeno, più di lei, potessero esser felici. Dopo la morte di sua moglie, sir Guglielmo si mise dentro, assai più che prima non avesse fatto, nelle pubbliche cose. Si dimostrò allora uno de' più caldi sostenitori della parte de' tory, come già era sempre stato, e adoperò nome, fatiche e promesse al trionfo di quella. Sebbene non fosse quel che si chiama uom di Stato, e i più lo tenessero in conto di persona di comune levatura, nondimeno aveva quella prudenza politica che insegna di non arrischiar mai troppo, e quell'accorgimento che consiglia i mediocri d'appoggiarsi a' potenti senza farseli necessarii, e di giovarsene a tempo, facendo sembiante d'aiutarli. Mandò, com' è quasi legge pe' ricchi Inglesi, il suo Arnoldo a viaggiare sul continente; affinchè poi, tornato in

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Conobbi molti uomini d'alto ingegno, di semplice probità, uomini di fede e di sapienza; conversai con loro, ritrovai in essi le virtù, le parole dello zio Randale; finalmente, venuta in questa stessa vostra città, Dio mi fece incontrare con quel saggio uomo che doveva rinnovare la mia mente, vincere il dubbio del mio cuore, sollevare la mia speranza e la forza del mio intelletto a una meta novella: Fin d'allora io voleva abbandonar l'eresia; pure colui ch' io venerava come mio salvatore, m' aveva letto in cuore; e, veduto che la mia deliberazione era più d' entusiasmo che di convincimento, non assentì. Ma, congedandomi con lagrime di consolazione, mi disse di lasciar fare al Signore, che avrebbe condotta a fine l'opera sua. » Intanto Eugenio, al quale il racconto riusciva nuovo e strano (egli che non aveva mai pensato sul serio a' paternostri e a' credo della sua nonna), diceva tra sè, che quel giovine aveva più del dottore che del lord, sembrandogli l' avrebbe indovinata meglio, se fosse venuto al mondo ai bei tempi del bordone e delle cocolle: del resto, che le belle Madonne dipinte sui quadri l'avessero convertito, non la capiva; ché, per lui, tutte quelle belle sante color di rose e gigli, e quelle Maddalene penitenti che aveva veduto, gli avevan fatto frullare tutt'altri pensieri in capo. « Dopo qualche tempo, « riprese Arnoldo, « mio padre mi richiamò a casa; ma avendo io rifiutato un illustre matrimonio, al quale egli stesso mi destinava, s'inasprì contro di me; mi respinse, e partì con le mie sorelle per l' Italia, ov'io lo seguitava poco di poi. Ma qui, l' amore per Maria, e l' amicizia di suo fratello, come già v' ho narrato, mi ricondussero a' più santi pensieri, alla religione.... Tornato in patria, volli alfine adempire il proposito fatto, e andai a visitare il mio buon zio, il quale più nulla aveva saputo della mia sorte; quell' uomo venerando, giunto nell' ultima vecchiezza, era divenuto cieco. Lo trovai inchiodato dagli anni su d'una seggiola antica, ma con la mente lucida e col cuore tranquillo: Pianse di gioja, al racconto delle arcane vie per le quali la Provvidenza aveva condotto l'opera della mia salute; e levando in atto solenne la nuda testa, e con le mani tremanti cercando la mia, mi benedisse, esclamando che oramai moriva contento, perchè il Signore lasciava nella sua famiglia l'eredità della fede. Alcun tempo appresso, egli si fece trasportare, quantunque cieco, nella chiesa dov'io feci la pubblica abbiura dell'eresia... La memoria di quel giorno non uscirà mai del mio cuore.... Ma da quel giorno stesso, non vidi più mio padre, e forse non lo rivedrò mai. Nessuno, benchè il fatto della mia conversione menasse qualche rumore nel paese, nessuno ebbe l'animo di farne motto con lui; talchè seppi in appresso averne egli letta la notizia sui fogli pubblici.... Mi dissero ancora che, nell' impeto del suo sdegno, egli m' abbia maledetto.... Oh Dio! No, no, io non lo crederò mai; e tu, o Signore, non consenti che un padre maledica il figliuol suo!... Il vero è ch' io son fuggito come un colpevole; che ho abbandonato famiglia, amici, e patria: non avrei potuto vivere, come straniero, vicino alla mia casa, a' miei; e mutai nome e cielo. Poi, qui speravo di trovare quel riposo che sempre fugge dinanzi a me, e qui mi richiamavano una promessa, un affetto.... Ah! si, che almeno io la ritrovi quella virtuosa fanciulla! Essa non mi respingerà più; ora, non sono il giovine ricco e potente, sono il figliuolo diseredato, il povero esigliato che domanda conforto, che ha bisogno di vivere presso alcuno che l'ami ancora. » Oh! » esclamò Eugenio, « vi dico, in coscienza, che di certe cose non ne so uno straccio! Ma se, per la verità, non v'avessi intes' io a raccontare voi stesso la vostra storia, la crederei proprio, come mi dicessero che il Gran Turco s'è fatto eremita. Un giovine come voi, un signore, un uomo d'ingegno, far questa fine.... Scusate, sapete; ma, a me, sono miracoli che poco m'entrano in testa: sebbene, a dirvela, tutto ciò m'abbia imbrogliato un po' l' idee; m'avete tirato giù certe ragioni, certi scrupoli, a cui non ho mai pensato in vita mia. » Arnoldo taceva, e teneva fissi sopra il compagno gli occhi, con un'aria tra mesta e grave. « E vorrei veder adesso, » soggiungeva Eugenio, « che quella fortunata fanciulla volesse far la schizzinosa. È impossibile! e scommetto che il suo nascondersi è furberia bell' e buona, per tirarvi meglio in trappola. » « Non è vero! voi non la conoscete; » rispose sdegnoso Arnoldo. « Sarà, lo dite voi, sarà; però non vorrei che.... » E, con un tal maligno sorriso, Eugenio scoteva il capo. « Ah! voi ridete, ridete come gli altri che mi tengono per uno stolto.... Ma voi non potete vedere quello che passa qui dentro, non sapete quel che si può perdere e sperare! » A tali parole dette con fuoco, l'altro tacque, si strinse nelle spalle, e conchiuse mentalmente: - Non c'è da dire: bisogna persuadersi che pizzichi del matto. - Ma poco di poi, quando Arnoldo gli confidò che al domani partiva per andare in cerca di Maria, al paesello del lago, o nel dintorno, e conchiuse pregandolo in nome dell'amicizia di tentar tutto, durante la sua assenza, per averne egli pure contezza, Eugenio aveva promesso di far l'impossibile: e si lasciarono, buoni amici come prima.

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Una casa di gretta apparenza, con le muraglie dipinte del color del tempo e scalcinate, con un ballatoio alla lunga a ciascuno de suoi due piani, e un' ampia gronda tarlata che si versa all' infuori, come la tesa d' un cappellaccio su la fronte d'un pitocco, guarda su d' una rimota piazzetta, in una parte lontana della città, presso a uno de' nostri abbandonati terraggi. Da un fianco, il murello d'un' ortaglia che fa gomito nell'attiguo chiassuolo, dall'altro una casípola lunga, bassa, bucata d'usci e finestre come un crivello, angusto ricovero di povera gente; e vicino, una vecchia siepe su d' un ciglione di terra, che risponde a una strada fangosa, bistorta, orlata d' un fossato. V' ha ancora pochi angoli della nostra bella e ringiovanita Milano, i quali presentano un aspetto così malandato e tristo, da parer veramente la casa delle streghe; e chi si volesse pigliar lo spasso di cercare quel gruppo d' abituri ch' io descrivo, non aspetti al domani; perchè forse, dov' è la casa del signor Cipriano, troverà un bel palazzetto dalla fronte allegra e linda, dalle verdi gelosie, e invece del rozzo casamento da vicini col marcio fossato al piede, si vedrà sorgere dirimpetto una fabbrica bianca, recente, di cinque piani, da far invidia a chiunque abbia due spanne di terra al sole. Il signor Cipriano era un antico fabbricatore di cioccolatte, il quale, avanzate di buone migliaia di scudi, e non volendo morir sul mestiero, chiusa bottega, si ritirò a godere negli ultimi anni il frutto de' suoi sudori in santa libertà. Egli aveva dunque comperato quella casa a mezzo prezzo; ma poich' era assai taccagno, e aveva spesa sempre la sua lira per venti soldi almeno, si ridusse a menar grama vita in quella topaia cadente, dove una volta aveva sognato di far il signorone. E parevagli di toccare il cielo col dito, allorchè, sdraiato su d'una panchetta accanto al fuoco, col fido suo fiaschetto di vin d' Ossona al fianco, ruminava, tra l'una e l' altra mezzina, il conto degl' interessi de' suoi capitali, all'uno o al due per cento il mese. Quand'egli attraversava la piazzetta, per entrar nella sua porta, andava tronfio, a lento passo, con le mani intrecciate sotto la schiena; e, levando il grosso ventre e il naso bernoccoluto, sbirciava su per le finestre e pe' terrazzini le più tonde e frescoccie comari del contorno: tutti lo conoscevano, e gli facevan di cappello, quasi al bassà del quartiere; perchè tutti supponevano che tenesse un bel morto in cantina. Dal primo all' ultimo de' sessant' anni, a cui toccava allora, egli era stato schivo sempre d'ogni molestia e d'ogni cura; e se non volle mai prender moglie, fu per non avere il pensiero de' figliuoli e l' impaccio della donna, ch' e' soleva chiamare la più spallata mercanzia del mondo. Ma, poco tempo prima, s'era fatta venire in casa la signora Barbara, sua sorella, vedova d'un fallito, e la Savina figlia di lei, le sole che di tutti i parenti gli fossero rimaste, e che s'accontentarono di governare la casa, e pagar la pigione; attaccate all' idea di fare un dì o l'altro una grossa eredità, àncora della loro speranza. In casa però, il signor Cipriano aveva sempre tenuta la mestola a suo modo; ben se lo sapeva quel zotico baccellone di Michele, l' unico famiglio, quando il padrone, dotato d' una memoria spilorcia da far fremere, gli faceva dar conto, ogni dì, della croce dell'ultimo quattrino. Nella casa di questo novello Arpagone, noi troviamo adesso la nostra fanciulla, in qualità di cameriera della signora Barbara; la quale, incapricciata che la sua Savina diventasse una damigella e facesse un bel partito co' fiocchi, non voleva più vederla attendere alle meschine cure della famiglia. Maria vi stava da un mese. Abbandonata ch' ebbe la bottega della crestaia, si gettò nelle braccia dell'unica co- noscente che le restasse, la signora Giuditta; e pianse, raccontando il pericolo che correva, e la scongiurò di allogarla altrove, in qualche casa onesta, dove potesse vivere più sicura, e nascosta a tutti. Appunto alcuni giorni prima, la signora Barbara s' era raccomandata alla Giuditta (da un pezzo si conoscevano) ché facesse di trovarle una brava e savia giovine, la quale, contenta di poco, s' acconciasse presso di lei. Dunque, la cosa fu presto combinata i e Maria, altro non sospirando che un' esistenza casalinga, solitaria, ringraziò il cielo che le avesse conceduto quel ricovero. Ell' era così docile e buona, che la signora Barbara prese a volerle bene: il suo costume, le sue parole, avevano un incanto cosi gentile e dolce, che anche la giovinetta Savina le pose molto amore, e volle subito che tra loro si dessero del tu. Maria le apparecchiava ogni mattina il più fresco e mondo vestito, che pareva sempre del dì delle feste, un candido grembiale coli' orlo a traforo, un bel collare a pieghette, e la cuffietta la più leggiadra, ch'era una grazia a vederla. E la madre si ringalluzziva tutta, non capiva in sè dalla gioja, trovando così bellina e compita d' ogni cosa la figliuola, che tutt' altra sembrava quella di prima. Tutta la casa poi, in quel breve tempo, risentiva già della presenza d'una sollecita regolatrice, a cui il buon ordine e la mondezza sono necessità e abitudine; i vecchi mobili polverosi, muffati, del signor Cipriano, le tende delle finestre e le cortine de' letti luride e cadenti, avevan ripigliata un'aria di giovinezza e di pretensione. Fino quel semplice di Michele, il famiglio, voleva farsi in quattro per ripulire e rassettar le camere, il salotto e la cucina; e lavorava a tutta schiena a rigovernar le pentole, le casseruole, le stoviglie, obbediente come un cagnolino a tutto quel che Maria gli dicesse; perchè glielo diceva con un far così benevolo, ch' egli, usato a ricevere buone lavate di capo dal padrone per cose da nulla, sarebbe per essa ito nel fuoco. L'avaro era il solo che più di frequente brontolasse di coteste novità; nè ci voleva meno di tutto l' accorgimento e di tutta la pazienza della sorella, a persuaderlo che un uomo della sua qualità, con ventimila lire e più di rendita, doveva tenersi in credito, e avere una casa da cristiano; ma la ragione che lo faceva star più cheto, era che non gli toccasse di far vedere la luce a un soldo di più. Dopo che venne in quella casa, Maria non usciva mai, fuorchè là domenica di buon' ora, per andare alla messa nella chiesa più vicina. L' inverno si rabbruscava sempre più; il cielo era quasi sempre rannuvolato, piovoso, e le prime nevi avevano già messo nell' aria quella muta malinconia, che par s'acconci tanto bene a una vita rassegnata e oscura. Sbrigate le faccende di casa, tutta la gioia di Maria era di potersi ritirare nel silenzio della sua camera. E allora, rialzata una cortina del balcone che metteva su la ringhiera sedeva assidua al lavoro, colà presso, sotto la poca luce; e le pianticene d'un vaso di garofani, che teneva su d'un vicino armadietto, lasciavano talvolta caderle in grembo alcune secche fogliette. Quel piccolo vaso, senza un fiore, quell'arida pianticella, quegli steli d'un pallido verde, ricadenti su l' orlo del vaso, bastavano a risvegliarle il dolore del tempo passato, il mesto desiderio d'un avvenire più felice. Si ricordava che nella casa di suo padre, sovra la soglia della sua finestra verso il lago, ella soleva una volta educare una famigliuola de' suoi fiori più amati; e via via, di pensiero in pensiero, il cuore la rapiva.... Essa non era più là, era con sua madre e con la vecchia Marta, era con suo fratello.... e con un altro. E dimenticava tutto, per ricordarsi solamente d' una appassionata canzoncina, che un giorno era tanto piaciuta all'amico suo: ROSA.

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d'abbandonar la camera ove stava presso a lei e alla figliuola. Ma il signor Cipriano era uscito di buon' ora, nè tornò fino al desinare; durante il quale, sempre sopra pensiero, non disse parola, non guardò nessuno, tenne un broncio duro che gli s'acconciava a meraviglia. Maria non poteva crederlo, pur non desiderava di più: la sorella e la nipote non ci vedevan dentro chiaro. Il giorno dopo fu lo stesso: cosicche la fanciulla cominciò a rassicurarsi, a pensare che il suo timore fosse giuoco d'un sogno cattivo: si persuase perfino, che il sospetto ond' era stata presa fosse un reo pensiero dell'anima sua, una colpa di più. Intanto la festa del Natale era passata, e nella casa del vecchio avaro tutto camminava col solito andare. La mattina breve, ma pur tediosa, era appena ingannata dalle poche faccende di casa, e da qualche rara visita d'una comare del vicinato o d'alcuna delle amiche della padrona. La sera poi, al consueto, le tre donne sedevano presso la tavola; e il signor Cipriano se ne stava nel salotto rincantucciato al focolare, in compagnia del suo fiasco di vin vecchio, studiando sul fido libricciolo degl' interessi il conto della fin dell'anno, quel conto fatale a' poveri debitori; e al saldar di ciascheduna partita votava d' un fiato il colmo bicchiero, e lanciava un'occhiata lunga, maligna alla giovinetta pensosa; una somma, un buon bicchiero, e un' occhiata di traverso, e via con tal giuoco. A mezza sera, le donne si ritiravano, e il padrone rimaneva ancora un buon pezzo a succiare del suo boccale; e allargando le gambe a cavalcioni del fuoco, rintascato il libro nero, lasciava le briglie a' pensieri, si deliziava ne' più bei castelli in aria che abbian mai ballonzato nel cervello d'un vecchio. Una sera fra le altre, egli era solo, e forse qualche pit strano ghiribizzo gli stuzzicava la fantasia, perchè grattandosi ora le orecchie, ora sfregandosi le mani o facendosi scricchiolare le dita, borbottava strane e scucite parole, lasciava sfuggire certe mute risa, da disgradarne il don Bartolo della commedia; al quale somigliava, imbacuccato com'era in una grossa berretta di cotone e nell'emerita vestaccia da camera, che aveva tutti i colori dell' iride. Tant' è! bisogna finirla, o non sono io!... È oramai tempo! - così borbottava il maligno vecchiardo. - Non mi riconosco più!... mi par quasi di non aver più testa, tutto mi balla in giro. Ecco! di tante belle cose pensate da dirle non ne so più un'acca: e sì, che quando mi ci metto, so parlare in punta di forchetta!... Maledette le parole! Basta, sarà quel ch' ha da essere. Quando la vedo, mi sento rimescolar tutto.... ma lei? se bastasse il promettere, le prometterei Roma e Toma.... - E qui pensava. - A ogni buon conto, se la tristarella ha il cattivo uso di serrarsi in camera la notte.... non sono padrone di casa per niente.... Una volta ch'io ci sia.... Vorrei vederla, che quel musetto avesse ad arricciare il naso alla vista di questo bel rotolo di ruspi nuovi!... - E si toglieva di tasca un cartoccio, e lo contemplava con occhi di ramarro. - Veramente, penso che dodici son troppi, e mi piange il cuore..., perché, se la fosse come tant' altre, qualche cencio e un par d' orecchini... e saltar tant' alto!... Eh! una volta, che tempi! Gli è vero che allora io era io, e quell'altre non tenevano soltanto a' miei soldi.... - E si ringalluzziva, poi guardandosi nell' antico specchiaccio ch' era sopra il camino, scoteva il capo, e rannuvolavasi in volto. - Ma questa piagnolona non so come pigliarla. Se non fosse che la mi ha stregato... Eh via; chè il mio grimal- dello apre qualunque uscio.... - E riponeva il rotoletto. - - E poi? vada todos! la sarà l'ultima questa, non ci casco più da vero, mi costa troppo caro tant' e tanto, di questi dodici bei zecchinetti, mi ricatterò su quel piccolo prestito d' jeri.... Ma basta, non voglio arrischiar troppo, chè potrei fare qualche marrone, e perder la testa. Dunque.... zitto, zitto! Parmi che a quest'ora tutti devano dormire... - E il vecchio rimbarbogito s' avviò verso l'uscio del salotto. Ma n'andava di male gambe, chè tra il mòlto vino bevuto, e una cotal segreta paura, adombravasi, sostava a ogni: passo, quasichè alcuno lo spiasse; e si guardava le calcagna, come il lupo che sente le peste del villano. Nel mentre che il vecchio sciagurato così andava mulinando l'infame suo tentativo, Michele, il dabben servitore, insospettito del perché il padrone, a quell'ora così tarda, non si fosse coricato, si cacciava all'oscuro per il corritojo che conduceva alla camera di Maria; poi, cautamente avvicinatosi all'uscio, batteva un tocco leggiero, dicendo sottovoce: a Maria, aprite: son io, sono Michele; aprite per carità! » L'uscio s'apri, e la fanciulla comparve ansiosa, atterrita, tenendo il lume in una mano, e con l'altra raccogliendosi sul seno il giubboncino, del quale già stava, per díspogliarsi. Maria, » disse Michele con accento rapido e sommesso, a ho una cosa a dirvi, e in tutt' oggi non ho potuto mai trovar momento... » « Cosa e' è mai? per amor del cielo, parlate! » e la giovine si fece pallida pallida per il terrore. « È perché siete così buona, che non mi dà l'animo di vedervi rovinata: ah! se potessi dir tutto quel che so.... Ma no, vi basti, che non ci state bene voi in questa casa; il padrone v' ha messo gli occhi addosso; voi non sapete che uomo sia, massime quando si lascia prender dal vino.... Ah, per carità, pensateci, tremate! non siete sicura, vi dico; e il Signore abbia compassione di voi.... » « Oh mio Dio, mio Dio! ma cosa ho a fare? » « Fuggire, fuggir di qui più presto ch'è possibile. Se sapeste, Maria, che lagrime ha fatto versare quell' uomo!... se vi dicessi la storia d'un' altra poveretta.... Domandate la vostra licenza, andate via, credete a me che vi voglio bene, come foste mia figliuola. Voi non potete dormir in pace nel vostro letto! » Maria ascoltava, come istupidita, queste parole, e cogli occhi immobili, e con le labbra gelide e semiaperte, muta e quasi senza senso guardava Michele, aspettando da lui una parola, un' ispirazione. Poi, vinta dal dolore: - « Oh! perchè mai » disse « non m'avete parlato prima? Ora abbiate voi compassione di me, salvatemi voi, fate ch' io fugga subito da questa casa! » « È impossibile! come volete ch' io faccia? è impossibile adesso! dove vorreste andare? Pensateci; e domani, o posdomani, qualche pretesto non vi mancherà. » « No, domani no! adesso, vi dico, adesso.... sono nelle vostre mani, salvatemi, salvatemi! » E piena di raccapriccio e di spavento guatava per il bujo del corridore, come già temesse l'avvicinarsi dell'odioso padrone. « Non sapete » ripigliava Michele « quel ch' arrischio solo per avervi avvisata? il mio pane per tutto il resto della vita; sarei cacciato di qui; e dove trovare chi voglia di me, vecchio e gramo come sono?... » « Anche voi m'abbandonate, buon Michele? Ebbene, Dio mi darà forza; dovessi anche gettarmi dalla finestra, domani non sarò più in questa casa! » « Oh! siete voi che parlate così, Maria? No, no, farò tutto, farò quel che volete. Sentite dunque.... » « Che il cielo vi benedica! ma ch' io fugga sul momento.... Domani, questa notte.... qui sarei già morta! » « Sentite bene! raccogliete quale le cosa del vostro; poi, senza strepito, zitta e lenta, andate a basso, ch' io sarò giù ad aspettarvi appiè della scala.... Per una fortuna del cielo, ho qui una vecchia chiave dello sportello; vi metterò fuori, e se v' accontentate d' un povero cantuccio per questa notte bussate a una porticina qui poco lontano, la seconda, votato il canto: vi stanno una mia sorella e Brigida la mia figliuola, dite che vi mando io; v'apriranno, e sarete la ben venuta: domani poi, all'alba,verrò anch' io; intanto il Signore v' inspirerà che cosa fare. » « Ch' Egli vi dia del bene! non sarà mai che il mio cuore dimentichi un benefizio così grande.... » E stringeva con affetto all'onesto famiglio le mani, su cui cadeva una sua lagrima, una lagrima di riconoscenza. Questo colloquio agitato, sommesso, fu cosa d'un momento. Un momento dopo, Michele era scomparso; e a tentane attraversando la stanza vicina e l'antisala, con gran cautela disserrò I' uscio che rispondeva sul pianerottolo della scala; lasciatolo socchiuso, discese, ponendosi, con animo inquieto, ad aspettare presso la porta di strada. Maria intanto, tutta smarrita e tremante, era rientrata nella sua camera, nè potendo sopportar l'angoscia che le toglieva quasi il respiro, abbandonavasi su d'una seggiola, benchè sentisse bisogno più che mai di riacquistare tutto il suo coraggio. Poi, riscossa da quel breve letargo, al destarsi di nuovo spavento, si racconciò in fretta nella sua semplice vesta, e s'era mossa per uscire, quando le sovvenne di portar con sè il rosario benedetto che sua madre le aveva dato al punto di morte. Tornò indietro, lo cercò fra le cose sue, colà lasciate; e trovatolo, con santo pensiero infantile, nè sapendo quasi più che facesse, se lo pose al collo. In quella, apparve su l'entrata della camera la stupida, esosa figura del signor Cipriano. Egli aveva trovato schiuso l'uscio; nè volle di meglio; chè, vinto il primo passo, si teneva sicuro. S'avanzava pian piano, con un andar rotto, incerto; sul volto acceso gli si leggeva il sinistro ghigno, d'una compiacenza che aveva qualcosa di bestiale. Volendo parlare, balbettò; ma, al primo vederlo, la fanciulla mise un disperato grido, un grido soffogato dal terrore, e corse a nascondersi nel più lontano angolo della stanza. Il vecchio continuava ad avvicinarsi tentennando, sogghignando, e te. neva sovr' essa gli occhi intenti e bramosi. Giunto presso alla debole sbigottita creatura, la quale, rannicchiata sul pavimento, tentava farsi scudo delle braccia, nè osava respirare, come se un respiro avesse potuto perderla, il vile vecchio distese la destra per sollevarla dal terreno, e chinossi lentamente sopra di lei. Allora, inspirata da verginale coraggio, la giovinetta alzò la testa, e con uno sguardo innocente, sublime, ardente di disprezzo e di vergogna, fissò la delirante faccia del vecchio, il quale, colto da involontaria tema, ristette scompigliato, e diede addietro. Essa continuava a guardarlo senza dir parola: quell'aspetto laido, abbominevole, le suscitò tal fremito nell'anima, ch'ella, per salvarsi dall'orrore che sentiva, come dall' apparizione d' un demone, strinse fra le mani la sacra medaglietta del rosario che le pendeva sul seno, e la baciò. Quel bacio fu una preghiera, un voto. Il vecchiardo, il quale, non aspettando quel contrasto, temeva vedersi fuggire di mano la preda, fece i due passi che lo dividevano da lei, e chiamandola a nome, e ringhiando, allungò di nuovo le braccia per afferrarla; ma la fanciulla con un rapido balzo distaccossi da lui, e corse verso l'uscio. Allora, fatto più audace dall'impensata resistenza, il vecchio le attraversò la via, brancicando qua e là, e dando pugni all' aria per trattenerla nella sua fuga: sentendo la poveretta invocar misericordia e soccorso, ruppe in maledizioni, e nell' inseguirla giunse un momento ad afferrarla per le mani; ma, all'impuro tocco, poco mancò che Maria non cadesse svenuta. Egli mischiava intanto preghiere e bestemmie con rauca voce, ripeteva parole insensate, atroci; e co' denti serrati per l' ira, quasi schizzando fuoco dagli occhi grifagni, minacciava, minacciava d'ammazzarla se non tacesse. In quel punto terribile, la fanciulla, raccolta la poca lena che le rimaneva, e sostenuta da virtù sovrumana, superando l'orrore, fece sembiante di cedere alla brutale forza che la trascinava.... Poi, con un' improvvisa stratta, si sciolse dal feroce abbracciamento del vecchio, e sorta di lancio, con impeto, dallo spavento fatto più grande, lo respinse lontano, gridando: - « Lasciatemi, infame! il Signore vi punisca!... lasciatemi! » Il vecchio demente, mezzo ebbro e arrancato com' era, rinculò barcollando, vacillò, e cadde rovescioni sur una tavola; e traendo seco a ridosso la tavola, il lume e ogni altra cosa, stramazzò con un tonfo sul terreno, nè potè rialzarsi: ammaccato e malconcio, andava lamentandosi con un rantolo affogato, interrotto; finchè giacque immobile, riverso nel lurido sfinimento dell' ebbrezza. Maria era fuggita.

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La strada era solitaria; le rive, le campagne si confondevano mute, nude, in tutta la squallidezza dell' inverno: le rotaje del cammino, insudiciate d'un limaccio pesto, sdrucciolevole, eran rotte a ogni tratto da fossatelli e da pozze. La natura intirizzita e moribonda, le piante aride e grame lasciavano cadere qualche ramicello spezzato dal gelo, l'ultime foglie già morte: non un fiore, non un fil d'erba che spuntasse disotto la neve già vecchia e gelata, nè un passero che saltellasse fra i vizzi rami. In mezzo a questa scena, la quale t'avrebbe messo il freddo nell' ossa e nel cuore, solo indizio di vita erano i tocchi replicati e sordi del mezzodì, clic venivano dal campanile d'un lontano paese. E la neve, già promessa dal rovajo della notte precedente, cominciava a cader fitta, quieta, a larghe falde; ben presto tutta la campagna fu ricoperta d'una nuova veste biancastra, che lasciava appena indovinare giù per le avvallate costiere la pesta del cammino. Già da molte ore continuava a nevicare a gran fiocchi; pure, su quella strada deserta, un povero cavalluccio, coperta la groppa d' un ruvido coltrone addoppiato, andava trascinando a fatica una carretta a due ruote, con le spallette armate di quattro legni ad arco , e sopravi tesa una grossa tela di canapa, che formava il tetto dello strabalzante traino. Sul davanti vi era seduto, con le gambe penzoloni all' infuori d'una delle stanghe, un buon villano, il padrone della carriuola: egli aveva una berretta rossa e nera, tirata su gli orecchi, cadente da una banda e suvvi un vecchio cappellaccio sfondato; e invece di mantello, anch' esso, come la sua bestia, portava su le spalle un grosso boldrone di lana. Di tanto in tanto dava un sodo scrollo alle briglie di corda che teneva fra le mani, e col mozzicone della frusta punzecchiava le anche del paziente ronzino, o co' più strani versacci l'aizzava a un impossibile trotto; sicchè la povera bestia, con le zampe ingranchite dal gelo, sprofondava fin sopra al garretto nella neve già alta, e a stento vi rompeva una calìaja, inciampando sovente, e levando il muso, sbuffante come un Rabicano. « Uh! uh!... maledetta bestia! » gridava il villano, il quale, come gli eroi d'Omero, aveva costume di parlare col suo cavallo: « uh! uh!... pare che sia la prima volta che batti questa strada, e sì che, per dannata sorte, potrei confarne gli alberi e i sassi.... hop! hop!... non c' è verso; è come se parlassi alla cavalla orba del mulino.... Poveraccia! un po' di ragione l'hai anche tu; con una neve di questa fatta, non ci si può vedere più in là del naso.... Ah! la è una vita ladra la vita della povera gente! Oh se almeno, arrivato a casa, mi aspettasse un po' di roba da cristiano sul tagliere, un bel fuoco allegro, un buon letto!... Ma non c' è santi per noi! la casa aperta alla furia di questo tempo indemoniato, i miei due marmocchi a piangere sulla porta, e la donna a gridarmi dietro che non m'ho guadagnato una boccicata; e rotte le impannate delle finestre, e sul focolare morto una pentola screpolata!... poi domani, andare in giù con quattro ceste d'erbaggi, e qualche fardello, se pur càpita, e tornare in su, il dì appresso, con le ceste vôte, e le tasche magre.... e da capo sempre la medesima vita, finchè sia venuta l'ora di tirar le calze.... Oh! se qualche volta non si guardasse in su, di sopra ai tetti, sarebbe meglio vendere l'anima al diavolo, che forse è più galantuomo di tante birbe di questo mondo.... Ah che giornata! che neve!... eh! uh i trotta, che la mangiatoja t'aspetta con una buona bracciata di fieno; trotta, trotta, se non vuoi star digiuna come me, bestia dell'inferno! » Così andava brontolando il villano, mentre spingeva gli sguardi di sotto l' ale del cappellaccio, per vedere, attraverso la folta neve, se spuntasse l' acuta cima del campanile del suo paese. In quel punto, un sospiro, come un gemere di voce soffocata, che veniva dal fondo della carretta, gli ruppe il filo de' pensieri; egli allora, rivolto indietro il capo, si ricordò della giovine a cui, partendo da Milano, ebbe la carità di ceder quell'angolo; una poveretta da lui incontrata, appena fuori delle porte della città, sola, tapina e malata. E per tutto il durar del viaggio (chè certo avevano fatto forse diciassette miglia) ell'era rimasta là, in quel fondo, come in un nascondiglio, accosciata, raccolta ne' miseri panni, e coperta d'una vecchia mantellina nera, che le nascondeva quasi del tutto il viso pallido e le bianche mani tremanti di freddo; nè lungo la via aveva detto mai parola, ma era stata così cheta, che il buon cavallaro s'era già dimenticato della sua compagna di viaggio. Pure, quel nuovo gemito aveva un non so che di doloroso, che ruppe il cuore del buon uomo; il quale si pose a contemplare la giovinetta con quella compassione rozza, ma schietta, che forte sentono i cuori di coloro i quali, senza saperlo, fan vita domestica con la sventura. E vide, sebbene l'infelice si tenesse tutta chiusa nella sua mantellina, che frequenti brividi l' agitavano , le labbra livide e semiaperte, il viso scolorito e rigato di lagrime. Ella piangeva, pativa, eppure soffocava il suo dolore. « Ehi! cos' avete, quella giovine? vi vien male? dite su, mi fate una compassione.... » «No, » rispose con voce debolissima che appena giunse all'orecchio del cavallaro; « no, ho dei travagli.... » « Pure, voi dovete aver freddo: tremate come una fo- glia! Mi rincresce, sapete, che faccia un tempo così brusco, più per voi, che per la mia povera bestia e per me: siete così bianca e sparuta, che non vorrei che questo vento gelato vi portasse via.... Maledetta neve! non n' è mai venuta tanta come in quest'inverno; è proprio una Russia!... Uh! trotta, bestia poltrona!... Oh, guarda ch' io non ci aveva dato mente: prendete, la mia figliuola, prendete questo mio tabarro; è una grossa coperta di lana, ma tant' e tanto vi terrà un po' di caldo; e io, bestia! non ci ho pensato prima!...» « No, no, brav'uomo, » rispondeva la giovinetta; « io sto bene, e poi siam vicini al vostro paese, non è vero? » « Eh! questa dannata strada non la finisce mai, come quella del paradiso; il campanile lungo lungo del nostro Cantù è sempre là, nè mai ci s' arriva. Pigliate, via, pigliate la coperta; avreste ben potuto cercarmela voi, chè per me è tutt' uno, ci sono avvezzo a questa vita, e ho le ossa dure.... Mo, brava, siate buona, così! chiudetevi ben dentro che vi sentirete meglio, e tiratevi i piedi sotto.... Oh! guardate, se una giornata come questa la doveva toccar proprio a noi, con questo vento che taglia la faccia, e que- sta neve che seguita allegramente; brr! brr!... » « Vi ringrazio della vostra carità; » disse la fanciulla, che, ravviluppatasi nel boldrone del villano sentiva, di tornare in vita, ed era tocca nel profondo del cuore dalle parole del galantuomo. « Oh! » riprese l'altro, « fate conto davvero di tirar innanzi fino a Como, con questo tempaccio del diavolo? » « Sì: prima che ci arriviamo, il tempo può calmarsi che se mai si facesse più cattivo, mi fermerò lungo la strada in qualche cascina; ma bisogna ch' io arrivi a Como prima di notte. » « Ma, perchè mai andate sola? e come vi siete arrischiata?... » « Non ve l'ho detto? Vo a casa mia, dove non ho più nessuno: e se non foste stato voi, che così buono mi pren- deste su in vostra compagnia, io già l'aveva risoluto, mi sarei messa in istrada tant' e tanto. » « Pover' anima, vi compatisco: perchè lo so anch' io cos' è patire, e anch' io la mia parte di disgrazie l'ho avuta, vedete.... Oh! è pur troppo vero che le disgrazie son come le ciliegie; lo sapete il proverbio.... in pochi anni, me ne son capitate delle belle, che quasi non le potrei contare; e in verità santa, penso che a noi, povera gente, tocca proprio di vivere, se il vivere è portar fastidi.... Con tutto questo, se sapeste, nella mia miseria c' è dei momenti che non invidio, di cuore, a tutti quei gran signoroni che ho cono- sciuti; perch' io povero e ignorante tal qual mi vedete, so cos' è il mondo; e son certo che se avessi a metter su uno di que' loro vestiti foderati di seta e coi bottoni indorati, ci creperei dentro prima di sera.... No, no! una minestra col lardo, un bicchier di vino, e un ,sonno duro tutte le notti e viva i poveri diavoli! Vedete, sono già otto o dieci anni che fo questa vita di trottare innanzi e indietro, due o tre volte la settimana, dal mio paese fino a Milano; pure, ogni volta che lascio quel gran Milano là in fondo, e mi trovo all'aperto, io respiro largo, mi sento battere il cuore più giusto.... Ah! » A queste sincere parole, che il cavallaro diceva per confortar la fanciulla, essa non potè rispondere che con un nuovo sospiro, in cui era l'amarezza di tante ricordanze! Poi tacquero entrambi, finchè il ronzino, il quale, a malgrado de' sodi colpi dal padrone menatigli sulla schiena, mogio e stracco tirava di lungo per il disagiato cammino, li ebbe strascinati presso all'entrata di Cantù. Intanto il mal tempo cominciava a calmarsi, la neve e il vento a poco a poco cessavano. A un crocicchio di strade, la carretta s'arrestò; ma la giovine, per quanto il buon villano la pregasse, non volle consentire a nessun patto a fermarsi in casa sua, e discese. Per dir tutto, il cavallaro non se ne disperò, chè già in cuor suo pensava al rabbuffo che poi avrebbe tocco dalla sua donna. « Via, dunque, » disse; « se dovete veramente andar innanzi, non voglio tenervi. Di qui a Como c' è una buona camminata, un' ora e mezzo grossa.... e la strada, la sapete? » « Oh sì! e poi, spero di trovare alcuno di qui, di fa la via insieme. » « Può darsi! la strada è battuta, ma con tutto questo non vi fidate troppo. » « Ebbene, sarà come Dio vuole! Egli, che m' ha ajutata sempre, non vorrà abbandonarmi adesso! Quanto a voi, non putro che ricordarmi sempre del servizio che m'avete fatto. » « Eh! m' è costato poco, la mia figliuola; chè quasi m'ero dimenticato che c'eravate voi nel fondo della carretta. Promettetemi almanco, che se aveste a passar ancora di qui, se tornaste un' altra volta a Milano, farete capitale di me; al caso, cercate conto di Battista il cavallaro; e tutti v' insegneranno. » « Ah no! io non vi ritornerò mai più; così non vi fossi andata mai!... Addio dunque, buon Battista; ricordatevi qualche volta anche voi della povera orfanella. » Il buon villano pareva commosso, e: « Che almeno io sappia il vostro nome, » riprese, « perchè voglio che sta- sera la mia piccola Tecla dica un'avemaria anche per voi.... » « Sì, la preghiera dell'innocente mi farà del bene! Ditele dunque che raccomandi la povera Angiola Maria. » Al momento di congedarsi, la giovinetta s'avvicinò al cavallaro, e, traendo dalla taschetta del grembiale una moneta d'argento, fece prova di mettergliela nelle mani; ma egli, levata la destra in atto di malcontento, si fe' brusco in viso, e con un salto fu di nuovo al suo posto su la carretta; menò una buona sferzata al ronzino, il quale, come sentisse l'odore della stalla vicina, tirò innanzi di galoppo un momento appresso, l' uomo e la carretta erano scomparsi; e la fanciulla si trovò sola, in mezzo alla strada deserta e nevosa. Ma quella sicurezza ignara quasi del pericolo, quel semplice coraggio che la Provvidenza mette ne' cuori buoni, in quel duro momento rinacque nel suo. Era sola, ma pensava che intanto sua madre pregava per lei in cielo, e si sentiva tranquilla, nella fiducia che la risoluzione presa le fosse stata inspirata di lassù; così, senza nessun terrore, ella s'apparecchiava a incontrare la traversia del cammino, il rigore della stagione, l'incertezza dell'avvenire. Solo un pensiero di malinconia le chiamò in quell' ora una lagrima sugli occhi; fu un involontario ritorno dell'anima al passato, il ricordarsi con che diverso augurio, con che speranza aveva attraversato, poco più d'un anno prima, quelle stesse strade, que' luoghi stessi! che voti erano stati i suoi, che incantesimo pareva la sua vita! E adesso in poco tempo, che funesto mutamento, che lezione dolorosal... Non più lusinghe nè amore, non più madre nè fratello; dietro a sè lasciava il disinganno dell' innocenza, l'orrore della malizia degli uomini; e nell'avvenire, più nulla, nulla, se non la fede nel Signore; la fede, che serbava sempre per lei il medesimo sorriso, ch'era come un angolo di cielo azzurro, con una stella di pace, quando la notte è buja e l'aria carica di nubi nere. Maria si mise per una viottola di traverso, che la guidò al sagrato d'un' antica chiesa, fuor dell'abitato, che quei del paese chiamano Ia Madonna de' Miracoli. Per avventura la porta n' era aperta; ella entrò, e inginocchiata appiè dell'altare, innalzò a Dio dal fondo del cuore una preghiera pudica, ardente, segreta; una preghiera tutta d'amore, che nessuno le aveva insegnata, e per questo forse più pura, più preziosa! La chiesa era vasta, deserta, oscura; un lumicino, sprizzando le ultime scintille, moriva a fianco dell'altare. In quella solitudine, in quel silenzio le risovvenne la sera, quando, sola del pari al cospetto di Dio, e tutta tremante d'una gioja nascosta, aveva ascoltate le calde parole del giovine straniero, e ricevuta la promessa dell'amor suo. Allora, compresa da religioso spavento, quasi quel così importuno pensiero le pesasse su l'anima, grave come la memoria d'un delitto, posò la fronte ardente sul freddo marmo della balaustrata dell'altare, e con ferma voce proferì queste parole: - O Signore, io aveva dimenticata la vita oscura e tranquilla, nella quale voi mi poneste, e la vostra mano s'è

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Io perdono a tutti quelli che mi hanno fatto soffrire, e voi perdonate a me! e perdonatemi ancora, o Signore, la mia preghiera per lui! Solo vi prego che vogliate aprirgli gli occhi dell'anima, onde vi conosca e v'adori nella grazia e nella fede. Io benedico il vostro santo nome, e voi guardate al breve cammino dell' orfanella su questa terra.... - Fatta questa preghiera, si levò con tacita divozione, e togliendosi dal collo il rosario di sua madre, che ancora teneva nascosto in seno, dalla notte fatale in cui era fuggita dalla casa del suo ultimo padrone, appese quel povero dono accanto all'altare, come un' offerta della cosa più cara che avesse; l'appese fra i molti voti d'altre infelici e afflitte creature, ond'era coronata quella santa imagine della Madre di Dio. E così, compito l'ultimo sacrifizio del suo amore sulla terra, uscì della chiesa con l'anima piena di contentezza soave, di pensieri intemerati e tutti nuovi, e si sentì come riposata in quella certezza che consola i più lunghi travagli, nella certezza che dal Signore le era perdonata la sua colpa. Attraversato il borgo, allora taciturno e quasi deserto, si mise per la vecchia strada di Como, lungo una bella costiera orlata dell' ultime cascine del paese, e con leggiero e spedito passo, benchè il terreno fosse molle e manchevole per la neve recente, camminava pronta e sicura; poichè, portando ella povere vesti e grossi zoccoli all'uso delle contadine, pensava che nessuno l'avrebbe osservata; e quasi le pareva tornato quel tempo, che, fanciulletta ancora, correva in libertà su per gli erti dossi della sua terra, a cercar pe' sentieruoli e sotto le più tarde nevi i cespi delle viole de' suoi monti. Ma l' aria, che prima, s' era mitigata, si fece a poco a poco più cruda e tagliente. La fanciulla rivolgeva attorno per la campagna gli occhi attoniti e stanchi; quell'uguale, interminata veste biancastra, che tutto ricopriva il piano e l'altura, le metteva ancora nell' anima certa mestizia, mentre la gelida brezza ferendole il viso dilicato, le metteva un brivido per le membra infievolite. Tentò allora di seguitar con più rapido passo la via, chè sperava il camminare potesse ridarle animo e calore di vita; ma, essendo rimasta digiuna per tutto quel giorno, sentiva già languir le poche sue forze. E non più avvezza a quell' aspra vita, ben presto il suo non fu più camminare, ma uno strascinarsi lentamente su per la salita, che comincia a due mi- glia circa del paese a cui aveva dato le spalle; i passi le mancavano, e parecchie volte fu costretta di fermarsi e appoggiarsi al tronco d'un albero, a un masso della riva, per non cadere oppressa e sfinita. Ma nessuno v'era che potesse intendere il suo gemito, quel gemito che il durare del patimento avrebbe strappato ad anime ben più forti che la sua non fosse; ella avrebbe potuto venir manco e finire colà, senza che nessuno il sapesse: per tutta la strada non aveva incontrato anima viva. Alla fine, di lontano, in mezzo alle nebbie che andavano sempre più raddensandosi, gli occhi abbagliati della fanciulla distinsero un mucchio di case, una piccola colonna di fumo nericcio, fuggente dal comignolo d'un casolare poco discosto; poi le giunse all'orecchio l'abbajar d'un cane; le parve quasi il saluto d'un amico. Allora, ripigliata un po' di lena, strascinò a stento i passi fino alla casupoia dapprima scorta; e giunta all'entrata d'una morta siepe di primi, che faceva cinta alla piccola aia dinanzi la casa, vide quel cane che malinconiosamente uggiolava. Pure al suo avvicinarsi l'animaie levò il muso e si tacque, come se l'aspetto d'una creatura sofferente l'avesse raumiliato. Ristette un momento la fanciulla, in forse d'entrare o d'andarne altrove a cercar ristoro; ma il cane in quella attraversò la corte saltellando verso la casa, e a ogni poco guardando indietro, quasi volesse invitare un ospite aspettato; giunto all'uscio d'una stanza a terreno, con lo spingere del muso ne aperse le imposte, e la fanciulla gli tenne dietro. Era la cucina umida, tetra, del povero contadino: le pareti e le travi della soffitta nere di fumo e di fuliggine, una tavolaccia nel mezzo, dall'un canto una rastrelliera appiccata al muro, con sopravi in bell'ordine mezza dozzina di tondi di peltro lucenti e poche terrine; gli altri canti della stanza tutti ingombri dagli arnesi della campagna ammucchiati, disfatti e ancora polverosi: l'aratro, le marre, gli erpici, i coreggiati, le vanghe; in faccia poi l'ampio focolare, dove ardeva stridendo e sfavillando un bel fuoco di legne secche; é su la sporgente capanna del camino ve- devansi il vecchio e lungo archibugio, posato per traverso su due grossi arpioni, il mortajo e la falce. Presso quell'allegra fiamma sedeva sur un rozzo ceppo un contadino attempato, ma vegeto e d'aspetto gioviale; rimpetto a lui se ne stava, con la rocca assestata sotto l'ascella manca, la sua donna, la quale torcendo prestamente il fuso filava alla distesa un grosso pennecchio di lino. Maria s' accostò con peritanza; ma il contadino con quella schiettezza bonaria e serena, ch' è proprio tutta lombarda, fece la più onesta accoglienza alla giovinetta pellegrina; la quale, vinta la prima sua tema, arrischiò di domandar per carità qualche po' di ristoro. Quei contadini erano buona gente, marito e moglie, - quali menavano vita abbastanza contenta nella loro povertà; perehè il poco che avevano era anche di soverchio per essi dopo una recente disgrazia, quella d'avere veduto morire prima di loro l'unica figliuola, una poverina di quindici anni. E appunto la memoria della perduta figliuola rinacque al medesimo momento in cuor dell'uno e dell'altra, appena Maria apparve loro innanzi. Il suo bianco volto, gli occhi grandi e intenti, l'andar faticato, tutto fece quasi credere a quelle due buone creature che fosse l'anima della loro Margherita, la quale tornasse ancora una volta a visitarle: era l' illusione d'un dolore ancor vivo; il ricordarsi ch' essa pure, la Margherita, soleva così in compagnia del vecchio cane tornarsene spesso dal vicino chioso, ov'era stata a far pascolare la sua vaccherella. La ricoverarono dunque come fosse stata veramente la loro figliuola, e la fecero sedere nel canto del focolare; poi, intanto che il bravo compare le poneva dinanzi una scodella di latte fresco e un bel pezzo di pane raffermo, dicendo esser tutto quanto restava loro per quel dì, la sua donna traeva di dosso alla fanciulla l'umido sajone che le copriva la testa e le spalle; e, accarezzandole i neri capegli, li rasciugava dalle gelate goccie di che erano stillanti ancora. Questa premura affettuosa, queste carezze furono un balsamo. per il cuor di Maria. Un' ora di poi, essa abbandonava la casupola ospitale, seguita dalla sincera compassione, dagli augurii di quelle due buone creature; e persuasa che il Signore, il quale l'aveva prima fatta incontrare coli' onesto cavallaro, e poi condotta alla casa del contadino dabbene, l'avrebbe accom-pagnata nel resto della via. E ben s'era anche il buon cala pagnuolo profferto di venirle dietro, per un tratto di cammino; ma essa, che già non sapeva come dimostrargli la sua riconoscenza, non volle a qualunque modo ssentire, e si rimise sola per il suo sentiero. Pure, appena uscita, vide che il vecchio cane del casolare l'aveva preceduta; e giunta poi dove la strada faceva svolta al basso, lo scorse ancora sopra un'altra ripa, ov'erasi fermato, e donde la seguì per gran tempo cogli occhi, finehè si fu dilungata. La via s'avvallava, facendosi di tratto in tratto più lubrica e difficile: fuor dalle gole dell' alture vicine soffiava cruda e sottile la tramontana; pure, alla fanciulla, quell'aria spirava benedetta e salutare, perchè veniva dalla sua terra natale, e pareva dirle che dietro alle folte nebbie di che essa vedevasi circondata, erano le creste delle sue montagne, le care acque nelle quali si specchiava il suo paesello. Al piede di quella scesa, attraversava un rustico ponte gittato a cavallo d'un torrente, che coll'onda grossa e limacciosa rodeva i margini della riva: un uomo era seduto a un capo del ponte, sur un masso di tufo, che forse l'urto delle piene estive aveva roveschiato. Era un vecchio mendicante, con la bisaccia vuota in collo e un giubbone di lana rattoppato, alla foggia dei montanari; stringendo a due mani un nodoso bastone, se lo teneva piantato dinanzi e appoggiava al vertice di quello la testa contornata di radi e canuti capegli e di una barba grigia e irta. La fanciulla s' arrestò in faccia del vecchio, e con un senso di profonda compassione tolse fuori una moneta d'argento, unica a lei rimasta, che appena sarebbe bastata a procacciarle qualche soccorso lungo la via; e la lasciò cadere nella palma callosa e tremante che in quel momento il povero le tese. Egli fissò gli occhi con meraviglia su la moneta, poi li levò con espressione indicibile sul volto della fanciulla, confuso e in atto di dubbio e d'inchiesta. « Ditemi, buon vecchio, » gli domandò allora Maria, « è questa a mancina la buona strada per Como? » « Sì, tenete per di là; dopo un duecento passi vi troverete sulla strada maestra, poco lontana dalla Camerlata.... Ma dite, la mia buona giovine, non avete paura d' andar sola a quest' ora, in una stagione così fatta? » « No! mi son messa alla volontà del cielo; e pregatelo anche, voi per me.... » « Oh pensate! anzi, se non fossi vecchio e stracco come sono, vorrei farvi compagnia; sono incamminato anch' io verso Como; ma fiacco e malato qual mi vedete, dopo aver fatte venti lunghe miglia sotto la neve, appena potrò prima di notte tirar innanzi fino a quella cascina ch' è laggiù. » « Vi ringrazio della buona intenzione; ma devo andarne ancor molto lontano, e si fa tardi. Addio! » Ripigliò il cammino, e ben tosto trovossi all' imboccar della strada maestra. A mano a mano che progrediva, il nebbione si levava più denso e cupo, stillando umidi e crassi vapori nell'aere gelato. Già non era più di due miglia lontano della città; e qualche viandante, povero coni' essa, e alcune carrette e calessi tenevano quella via. Sicchè ella si sentiva battere il cuore più sicuro di prima, quando camminava sola per la strada di traverso. Passò davanti al portone d'una vecchia taverna dalle muraglie sgretolate e tutte nere di fumo che spiccavano sotto le tettoje biancastre per la neve caduta: il carro d'un mulattiere era sotto il portone, e dalle grate di legno delle finestre usciva a lampi il chiarore d'una gran fiamma rossiccia. S' udiva, ora distinto, ora confuso, uno strepito di voci, un alto e sonoro scrosciar di risa: la fanciulla tremava di freddo e continuava la via, seguendo intanto con l'anima la storia de' suoi mesti pensieri. Non molto dipoi, il suo orecchio fu percosso da un rumore di ruote e di cavalli; e quel carro, da lei veduto sotto la porta dell'osteria, le passò vicino: lo conducevano due giovani e robusti mulattieri; uno de' quali, seduto di traverso su la schiena d'un vigoroso mulo, cantava a piena gola, sur una rauca e strana solfa; l'altro camminava a fianco del carico, traendo spesse boccate di fumo da una corta pipa di gesso che teneva inchiodata in un angolo delle labbra, e facendo agli orecchi delle bestie chioccare a grandi scoppi la grossa scuriada. Quando i due ebbero adocchiata la fanciulla, cominciarono fra loro a parlarsi in un rozzo gergo, alternando certe risa sguajate e certi atti misteriosi, che la giovinetta ne raccapricciò tutta, e più stretto si chiuse sul viso e sul seno il rozzo panno che la copriva, rallentando i passi per rimanere indietro. Ma un d'essi, mettendo fuori un aspro gorgheggio che somigliava all'urlo d'un mastino, attraversò d'un salto il fossatello che lo divideva dal sentiero dov'era Maria, e le si piantò dinanzi, ficcandole nella faccia gli occhi arditi e travolti. La fanciulla gelò, arretrandosi con involontario ribrezzo, chinò la testa e si nascose il volto con le mani; l'altro allora, al quale era cosa nuova quella paurosa modestia, le si fece incontro più audace, e con un motto vergognoso, che ripetè per la buona intenzione di calmare gli scrupoli della giovinetta, le profferse di far la strada in compagnia. Ella non rispose; ma d'improvviso, volte le spalle allo sfacciato, cercò di salvarsi dalle sue mani fuggendo: il terrore le dava l'ale, ma il giovane la seguiva, la incalzava; e l' altro mulattiero, veduta la scena, balzò dalla groppa della sua cavalcatura, e correva anch' esso in ajuto del compagno. Maria ansante, affannosa, fuggendo, guatava per ogni parte se alcuno giungesse: e nessuno si vedeva. Già i due le stavano sopra, e con avide braccia, come una colomba che due falchi si contendano, già l'abbrancavano; quand'ecco un uomo sbucar fuori da una viuzza della campagna: era il vecchio mendicante da Maria incontrato al ponticello del torrente. Costui la vide, corse, gettossi tra la fuggitiva e i due inseguenti, e strinse al suo seno la sbigottita fanciulla, con un braccio che l' ira fece ancor forte, nel tempo stesso che levò l'altro arwaio del nodoso bastone, minacciando di rompere fossa al primo che si fosse avvicinato: tutto fu un istante. I due compagni, sorpresi dall' imbarazzo, si guardarono in faccia un l'altro; ma il vecchio, con ferma voce, gridò: « Non fate un passo, birboni, e tornate per la vostra strada! Io non ho paura di voi; voi accopperete me, vecchio come sono, prima di toccare a questa fanciulla la punta d'un dito! » « Cos' ha mai questo demonio di vecchio? » disse uno allora; e l'altro: « Malann' aggia il dannato che guasta il fàtto nostro! Come c'entri tu, vecchia tramoggia dismessa? Va al diavolo, che t'aspetta, o t'avrai a pentire! » E tutt' e due intanto fecero per iscagliarsi sul mendicante, e strappargli di mano il bastone, ch' egli teneva ancora sollevato in atto di minaccia su le loro teste. La giovinetta aveva gettato le braccia al collo del suo difensore, e a lui si teneva stretta, avvinghiata. « Lasciatela stare, per Dio! » il vecchio riprese con accento disperato; « lasciatela stare.... È mia figlia!... » Queste parole fecero uno strano effetto sulle anime rozze ma schiette de' due garzonacci: l'accorta menzogna, che la stretta del pericolo suggerì al pover uomo, fu quella che salvò la fanciulla dallo scellerato insulto. « È mia figlia! » rèplicò l' animoso vecchio, e la sua nuda fronte si corrugava, ardevano gli occhi, e tutte le sue membra per lo sdegno tremavano. I due giovani si trassero indietro, celti da un cotale istinto di vergogna che non sapevano spiegare a sè stessi; su que' volti foschi, e fortemente scolpiti, lo sfacciato ardimento aveva ceduto il luogo a un insolito senso di compassione che li faceva stupidi e muti. Alla fine: « Andiamo, Anselmo! » disse uno: « questo non è pane per i nostri denti; e voi, galantuomo, perché non l'avete detto alla prima, ch'era vostra figlia?... Non avete a far, con degli assassini; vi sareste risparmiato a voi l'incomodo d'alzare il bastone, a noi il rischio di rompervi le corna. » Ciò detto, voltaron le spalle; e, pigliatosi a braccio un l'altro, se n'andarono zufolando di concerto, per tener dietro a' muli che avevano perduto di vista. « Sia ringraziato il Signore! » disse il mendicante, appena si furono allontanati, « che m'abbia mandato l' inspirazione di continuare la strada; io son vecchio, è vero, ma mi ricordo d'altri anni, d' altri tempi.... e, per l'anima! vi giuro, che, a costo di questi quattro dì che mi restano di vita, quegl'infami non avrebbero ardito non solo di torcervi un capello, ma nemmeno di dirvi una parola di più.... Or via! andiamo, io mi sento bene; la mia forza antica mi è tornata in corpo, e voglio venire con voi, fino laggiù alla città. » La fanciulla lo guardava con una tenerezza soave, dalla quale traspariva tutta la gratitudine d'un' anima pura, che non sa trovar parole per esprimere quello che prova. « Creatura del cielo! » continuava il mendicante, « voi avete stesa la mano al povero vecchio, voi avete spartito con lui forse l'ultimo vostro pane. Poco fa, quando là sul ponticello vi siete fermata dinanzi a me, e con atto di compassione m'avete guardato, io ho veduto spuntare una la- grima su' vostri occhi; era tanto tempo che non incontravo una faccia pietosa!... Adesso, sono un povero diavolo; ma anch' io sono stato un uomo, e ho vissuto giorni ben diversi.... Oh! ma allora, in vece di questo giubbone, io portava la divisa gloriosa del soldato, e aveva veduto più di trenta battaglie, io odorava con gioia il fumo del cannone; e queste mani, che adesso vedete tremare, hanno piantato una delle bandiere di Napoleone, là sui tetti delle case di Smolensko, in mezzo ai ghiacci della Russia!... Ma oramai tutto è finito da tanto tempo, e nessuno sa più nemmanco chi io mi sia.... Voi sola m'avete consolato con un'occhiata d'amore; siate dunque benedetta! » Maria s' era appoggiata al braccio del vecchio; e alternando parole di conforto al racconto delle loro vicende cosl diverse, ma dolorose del paro, continuarono a camminare in compagnia, fino a che giunsero presso alla città. Qui si fermarono, si separarono: Maria, con un senso di riverenza e d'affetto, strinse la mano della sua guida, quella mano arsa e callosa che poco prima s'era levata in sua difesa, e a malincuore si congedò dal vecchio mendicante, che più non doveva rivedere. Battevano le quattr'ore di sera sulla torre d'una chiesa del sobborgo di Sant'Agostino, quando la giovinetta, sola un'altra volta e sostenuta dal suo cuore, l'unico amico fedele che rimanga agl' infelici, prendeva la via della montagna; sperando pur di potere almeno arrivare presso al suo paese, prima che la notte fosse venuta. Pensava che le sarebbe stato impossibile trovare in quell'ora una barca che ve la tragittasse, tanto più che non le era nemmeno avanzato di che pagarne il nolo; e poi, il timore d'esser conosciuta, e la ripugnanza che sentiva a mettersi di nuovo in mezzo alla gente per le vie oscure ed anguste della città, le accrescevano la sicurezza di poter giungere egualmente dalla parte di terra al termine del suo viaggio: era quella la strada del suo terreno nativo, e l'aveva trascorsa più d'una volta, fin da fanciulla, in compagnia del padre suo. L'alpestre cammino era disagiato e rotto, ma i passi della fanciulla eran rapidi e sicuri; un segreto coraggio la sosteneva, dicendole che dopo un' ora di via sarebbe finalmente giunta al luogo della sua pace, a quel ricovero così sospirato e pianto, dove oramai aveva poste le sue poche speranze, tutta la sua vita. La poveretta si pasceva, camminando, di queste pure idee consolatrici; e mentre continuava a salire su per la difficile erta, pareva che la ricordanza de' suoi mali recenti andasse dietro a lei fuggendo, svanendo a poco a poco, come l'angustia di un pericolo già passato. Domandava a sè medesima, se la vecchia Marta fosse ancor viva, se l'aspettasse ancora, se l'avrebbe stretta nelle sue braccia, se le avrebbe perdonato e tenuto luogo di madre. In mezzo a queste immagini, la cui amarezza era temperata dalla fiducia, Maria non s'accorgeva dell'asprezza della strada, e le sue gracili membra portavano con alacrità l'insolita fatica. Di poche e rade traccie umane eran tocche le nevi di quelle dirupate rive; il fianco della montagna, tagliato a mezzo della via che conduce da uno all'altro di que' sette miserabili e oscuri villaggi, i quali si chiamano con superbo nome le sette città di Blevio, presentava in tutta la sua nudità lo squallor dell'inverno, che aveva fatto quasi impraticabili i sentieri e le coste. Macigni rovinati di recente, e ricoperti tutti dallo stesso manto di neve; alberi conquassati dagli eterni rovaj, minaccianti di rovesciar su la strada, co' rami più annosi squarciati, che crepitavano al più leg- giero soffiare del vento; e gore d'acqua putrida, ghiacciata, ov' era rotta o fessa la terra; e giù giù, per il dosso della montagna, boscaglie nude, stecchite, e rigagnoli di nevi squagliate: vecchi torrenti che trascinavansi dietro ceppaje sbarbicate e lembi di terreno lacerati dall' impeto del gorgo, poi con impeto si dividevano, si moltiplicavano, saltando per le rapide balze e rovinando per entro le scoscenditure e le frane con uno scrosciare dirotto, solo strepito che sturbasse la sepolta natura; e al basso, in fondo, spiccante col suo cupo colore, sotto il cielo torbido, bruno, e sotto ai monti tutti bianchi, la verde e muta acqua del lago. Intanto era sopraggiunta la notte; e, dopo molti pericoli e molto terrore, Maria aveva attraversato l'ultimo di que' sette villaggi. Passando, non vide che il riflesso di qualche tardo lume, dietro il pertugio ingraticolato d'una casipola; non aveva incontrato che due o tre montanari, i quali, senza badare a lei, s'erano perduti per le tenebrose callaje del paese. Cominciava a spirar di nuovo la tramontana, a fioccar più larga e più folta la neve, sbattuta dal vento, che fischiava rompendosi contro ai dirupi e sollevava nei suoi vortici quella già caduta. Più d'una volta la fanciulla, la quale infiacchita, affranta dal crudele viaggio, reggevasi a stento, sentì mancarsi sotto i piedi il terreno, e alzò uno strido di spavento, uno strido che l' orrida solitudine lasciava senza risposta; più d'una volta con disperato sforzo si mise a correre a tutta lena su la perigliosa via, a fianco de' precipizii, sul margine de' sdrucciolevoli massi, come per salvarsi dal turbine che pareva inseguirla; e poi af'annosa, anelante e credendo veramente di morire, s'avvinghiava con le deboli braccia al tronco d' un albero, alle punte d' uno scoglio. E il vento quasi si facesse giuoco della misera creatura, come di gracile canna, or la incalzava e or la respingeva imperversando: nella foga del correre contro la furia dell'uragano, essa aveva perduto la mantellina che la copriva: e, a ogni buffa del vento, le sue trecce sciolte le sferzavano sul candido collo e sul viso livido, agghiacciato. Poi tornava a camminare, e sollevando di sopra il capo le mani strettamente intrecciate, sembrava tra l'orror della paura e il gemere della preghiera domandasse al cielo la morte come una grazia; stanca la vista le si appannava, le si confondevano nella mente gli stessi pensieri di terrore, e già più non sapeva dove ella fosse. Alla fine, il sentiero cominciava a calar al basso, e in mezzo al fosco della notte e allo smorto biancheggiar delle nevi, parve a Maria di vedere un filare d' alberi, un muro, una casa.... A tentone seguiva la guida di quel muro, e trovavasi in faccia d'un cancello chiuso fra due cadenti pilastri. Appoggiò la fronte alle fredde aste del cancello.... e riconobbe il campo santo del suo paese; credè perfino discernere il mucchio di terra dov' era sepolto suo padre e la croce coperta di neve che lo proteggeva. Allora si mise devotamente inginocchioni su l' entrata del sacro terreno; e da quella scena di morte richiamata d' improvviso ai pensieri della vita, pregò, pregò a lungo.... Ma il disagio patito, la dolorosa via, l'angoscia e il rimorso le piombarono in quel punto su l'anima, la quale forse più non era attaccata che per un filo all' esistenza. Ella abbrividiva, si sentiva sfinire, ardeva, gelava nei momento stesso.... Non ebbe più forza di tenersi al cancello che aveva abbracciato, e lasciandosi cader giù lentamente su l'agghiacciato terreno, giacque come morta. Un' ora di poi lo scalpitare d'un cavallo turbava il silenzio mortale di quella desolata riva. La notte era già alta; l'uragano cessato; solo testimonio di vita era il fremito indistinto del lago, che si rompeva alla sponda col monotono spumeggiar del fiotto. Il giovine cavaliero, ravvolto in un corto mantello, pareva disprezzare tutto il rigore della stagione, consolarsi quasi nel respirare l'aria asprissima della montagna. Egli aveva abbandonato le redini sul collo del cavallo, che con passo lento e stanco discendeva per la china. Allorchè giunse vicino al campo santo, il suo sguardo cadde a caso sopra qualche cosa d'opaco che spiccava sul bianco terreno. Raccolte le briglie, fè volgere il cavallo a quella parte, e curvandosi sulla sella vide, al debole chiaror della neve onde appariva coperta ogni cosa all' intorno, una misera creatura la quale pareva svenuta o estinta; pensò che fosse colà venuta dal paese a pregare per i suoi morti, e che la crudezza del freddo o l' imperversar dell' uragano l'avessero ridotta a quegli estremi. Il cuore gli tremava forte; fermò il cavallo, scese di sella; poi, chinatosi sul terreno presso quella salma assiderata, riconobbe ch'era una povera giovinetta: sorreggen- dola sulle braccia egli la sollevò alquanto, e la sostenne inginocchiato com'era, sì che la testa grave e cadente dell'estinta si rovesciò su la sua spalla. Allora avvicinò il suo volto alla bocca dell' infelice, per conoscere se un alito leggiero di vita scaldasse ancora quelle membra immobili; fissò gli occhi sovr' essa; ma al primo guardare nulla vide, nulla distinse, quasichè l'anima sua non avesse più senso.... Tornò a fissar quella fronte, que' labbri, que' cigli, ogni fattezza.... Un brivido gli corse per tutte le vene, e si sentì trapassar il cuore come dalla fredda lama d'un pugnale.... Arnoldo l' aveva riconosciuta.

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Fu un agitarsi, un andare e venire, una faccenda, un tramestìo che a memoria d' uomo non s' era mai veduto il simile in quelle quattro mura; i novellieri del paese n'ebbero a cianciar per lungo tempo, a farne le più belle e strane conghietture del mondo. Nel mezzo della stanza, sopra il seggiolone collocato là, solito trono serale del signor curato, giaceva distesa e sostenuta da alcuni guanciali la povera giovinetta, la quale non dava più segno di vita. Erane il viso bianco e smunto; solo a' contorni degli occhi infossati e delle labbra sottili appariva dipinto d' un rossor livido, cupo e morente nel pallidissimo colore della fronte e delle gote; ma chiusi gli occhi, le braccia al lungo del fianco cadenti, irrigidite; e tutta la bella persona immota, raggruppata, per così dire, In sè medesima, e co' ruvidi panni raccolti d'intorno, che s' informavano dalle dilicate membra, stava nella grave, abbandonata positura d'un cadavere. Presso a lei, curvo sopra uno de' bracciuoli della sea gioia, era il giovine inglese, muto e smorto esso pure, quasi come la svenuta; e le sue pupìlle senza moto non si staccavano mai dalla faccia di Maria; la quale posava con la testa arrovesciata all'indietro, come se l'anima di lei avesse già abbandonata la sua verginale dimora. Nè altra cosa rivelava la vita nella strana immobilità del giovine, fuorchè il leggero mover delle labbra, quasi pronunziassero parole senza suono, e tremassero commosse dall' incerto e sublime sorriso che fu dato solamente a quel dolore, che non perdè ancora tutta la speranza. Con le faccie lunghe, curiose, guardandosi di sottecchi a ogni momento, uno in atto d'interrogare come la sarebbe ita, e l'altro di rispondere che non lo sapeva, se ne stavano il signor curato e il deputato politico, dietro il seggiolone, presso d' un tavolino; sul quale vedevasi lo scacchiere abbandonato, con le pedine sparsevi sopra: e da certe occhiate che i due vi lasciavano cadere di quando in quando, s' indovinava il rammarico della partita intralasciata. In mezzo ad essi allungava il collo, come il solitario cappone dalla stia, l' agente comunale, quotidiano testimonio e giudice delle sette disfide de' due campioni a dama. Colui che dall' altra parte gesticolando con gran foga parlava sottovoce al dottore, era quel vecchio galantuomo del signor Gaspero; e nel ragionare, spiegazzava la gazzetta che ancor teneva fra le mani, l' ultima capitata al paese quel giorno stesso. E qui, torna bene che conosciate la prudenza del curato; il quale, dopo il brusco esempio di quel disgraziato don Carlo, aveva smesso non poco del

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Intanto lo speziale e il dottore s'affaccendavano a gara intorno alla tramortita fanciulla, con una sollecitudine e un'umanità degne veramente del secol nostro; e mettevano alle prove la dottrina e l' arte per richiamarla alla vita, e conoscere se mai un palpito ancora poteva essere suscitato in quel cuore che più non batteva. Lo speziale, rimboccato un lembo del suo grembiule di tela roana scura, e inforcato il naso con gli occhiali, davasi attorno con una premura, un affanno da non dire; rimestava le cassette, gli armadii e le scansie, che dalle spalancate vetriere presentavano la tremenda falange de' vasi e delle bocce di polveri e manteche, d' olii e di sali, di succhi e quintessenze, da disgradarne Avicenna e Hanhemann. Il dottore aveva già invano sperimentato di stropicciar le tempie, la fronte e i polsi della giovinetta con essenze spiritose, e metteva giù con dispetto le inutili ampolle; invano le aveva posti sopra il seno de' pannilini riscaldati, e di grosse coperte le andava ravvolgendo le insensibili membra. Tutti volevano dire e fare; proponevano, discutevano, parlavano tutti in una volta; facevano un trambusto, un frastornío, da risvegliare i sette dormienti della leggenda. - E quella gran gara era l'effetto di due sole parole pronunziate dal nostro giovine eroe allorchè, entrato nella bottega, con infinito stupore e maraviglia di tutti, recandosi sulle braccia la svenuta fanciulla, depose sul seggiolone il caro suo peso, e disse « Tutto quanto posseggo a chi salva questa giovine. » Ma poichè il mio racconto, con vostra buona pazienza, cammina a rilento, non v'incresca di volgere indietro un'altra occhiata. Era passato più d'un mese dal giorno che Arnoldo abbandonava Milano, per venire in traccia della perduta Ma- ria. Se vi ricorda, appena seppe ch' essa non era più nella bottega della crestaja, nè potè averne in altra guisa novella alcuna, si mise in mente che la si fosse ricoverata al suo paese, presso qualche parente; e partì con questa certezza. Venuto fino a ***, prese a pigione una parte dell' antico palazzotto, ove suo padre aveva dimorato; ma quant' egli fece per trovar traccia della giovine orfana, fu tutto vano. Queste ricerche replicate, e sempre perdute, gli facevano scorrere nell' affanno e nel dubbio i tristi giorni dell' inverno; e un mese così passò. C' eran pure alcuni dì, ne' quali sentiva ancora di vivere: erano quelli in cui, salito in sella d'un giovine cavallo, che aveva da un pacifico Comasco comprato in quel torno, s'arrischiava su per le rotte strade delle montagne, sfidando l'aspreggiare della stagione e la traversia de' venti. Quelle corse selvagge lungo i margini dell'acque, e sopra i fianchi de' dirupi, gli ricordavano la sua patria, il suo cielo, le nebbie del mare, il castello del buon zio, la combattuta sua giovinezza; tutta la prima, la vera poesia dell'anima vergine e ardente. Ma poi succedevano de' giorni, ne' quali tornavagli incresciosa la vita; gli pareva che al suo soffrire non restasse altro conforto che un novello soffrire. Allora se ne stava, le ore intere, appoggiato alla finestra della sua stanza, guardando il lago, e si sprofondava nella meditazione e nel passato: un volume, suo. fedele amico, un bello Shakespeare, datogli per ricordanza dal cugino Randale, dal compagno de' suoi prim' anni, gli stava aperto dinanzi; e gli uomini disegnati da quel gran pittore dell'anima e della vita prendevano agli occhi suoi figura e movimento. Mirava sè stesso nello sfortunato Edgardo, il figliuolo di Glocester; piangeva al sublime delirio, alle cocenti lagrime di Lear; fremeva a' soliloquii di Macbetto, e pensava a suo padre; per lui, la tenera Cordelia, l'innamorata Desdémona, la dolente Caterina, eran sempre Maria. Altre volte, e il più sovente, camminava di buon mattino fino alla casetta d'Andrea, dove la vecchia Marta abitava ancora, quanto solitaria e grama, lo pensate! E vi restava per tutta la giornata, seduto in un canto del focolare, poco lontano dalla vecchierella; la quale non rifiniva di parlargli di quella cara tosa. Era la meschina dimora unico avanzo del bene della fanciulla; e senza il buon signor Gaspero, il quale aveva salvato per miracolo dagli artigli dell' esattore comunale la casa e la vigna, tutto sarebbe stato perduto. Egli poi lo fece perchè, a dirvela in confidenza, sentiva ancora un po' di batticuore per la giovinetta, che si ricordava d'aver tante volte fatto ballonzare piccina su le ginocchia. Arnoldo dunque contemplando, coll' animo tremante e con lo sguardo fisso, atterrito, immobile, la faccia della fanciulla, spiava se in mezzo a' tormenti, con che il dottore e lo speziale straziavano quella bianca e dilicata creatura, il cuore e le labbra di lei si riaprissero al gemito dell'esistenza. Con ambe le mani le strinse la destra agghiacciata, e appressandovi le labbra, con un affetto che solo poteva essere consacrato dalla terribile idea della morte, v' impresse un lungo ardente bacio, delirando quasi che con quel bacio dovesse restituirle la vita; come Romeo, quando venne alla tomba di Giulietta. Baciatala appena, la riguardò ancora.... soprastette.... E poi, balzando d' improvviso, con un accento soffocato da un impeto di gioja, proruppe: « Ella vive ancora!... » Non era vana illusione; quella fredda mano aveva risposto al premer delle sue, con un tremito leggero, fuggitivo. Era il tornar della vita; egli allora, tutto agitato da speranza e da terrore, le posò la destra sopra il seno, e quel leggiero risalto si ripetè: il cuore ripigliava il suo palpitare. Nè molto andò ch' essa riaperse e lasciò errar debilmente all'intorno gli occhi estatici e muti; poi fece come uno sforzo per sollevare la testa; ma gli occhi le si richiusero, e la testa ricadde. Arnoldo sentì di nuovo la crudele stretta dell'angoscia, e il suo volto si ricoperse di mortale pallidezza. Afferrò per un braccio lo scompigliato dottore, che gli era vicino, e fortemente scuotendolo: « Mi rispondete voi della sua vita?» domandava con alto sgomento. E quegli, sotto la tortura di così valide stratte, balbettava: « Rispondo, rispondo io.... non tema; mi lasci, mi lasci andare!... » « Ma questo Ietargo mi spaventa! » replicava il giovine, dando un altro e più fiero squasso al braccio del povero dottore. « Non tema, » questi rispondeva, « è un semplice sopore, cosa naturale.... Io me l'aspettavo..., bisogna che sia così! » Ma lo speziale, veduta cotesta gagliarda dimostrazione, rinunziava a tentar altri specifici, alla speranza del pingue regalo; e cautamente, come capitano che preveda a tempo il pericolo, ritiravasi dietro la trincea del suo banco. Intanto bisognava pensare a collocar la malata in altra parte, dove potesse trovar riposo, meglio che in quel duro seggiolone del curato; bisognava procurarle una camera, un letto: lo speziale era nel cimento d'offrire il suo per quella notte, e Arnoldo già aveva risoluto di farla trasportar nella villa; quando il signor Gaspero venne fuori col consiglio migliore: e fu, che si mandasse a chiamar la Marta, e trasportassero la fanciulla nella sua propria casa, che non era lontana; così almeno la poveretta, al risvegliarsi, si sarebbe trovata sotto un tetto conosciuto, tra le braccia d'una persona amica, Mandarono dunque per la Marta; e come la buona donna si rimanesse consolata insieme e sbigottita, tra la contentezza di riveder la sua Maria, e il dolore di vederla in quello stato, può credersi appena. Ma Arnoldo e il dottore pressavano, sicchè ben presto portarono la giovinetta, tutta ravviluppata nelle coltri, a casa sua; dove giunti, la deposero in quella camera, da lei un tempo occupata, nel suo letticciolo, ch' era ancor rifatto. Ell' era tuttavia immersa in un sopore profondo. Arnoldo, che l'aveva sostenuta tra le sue braccia, con quella cura attenta, gelosa di cui solo l'amore è capace, si trattenne per lunga pezza appiè del letto; e, seduto su d'uno sgabello, col capo chino su le ginocchia, s' abbandonò a profondi e crucciosi pensieri. Poi, avendo il medico raccomandato sopratutto silenzio e quiete, acconsentì a ritirarsi nel piccolo andito vicino, e si gettò sopra una seggiola, presso la porta socchiusa della cameretta: donde gli giungeva all'orecchio l'affannoso e grave respirar di Maria, la quale, riavuta alfine dal suo lungo svenimento, s'era addormentata profondamente. Marta stette a vegliare tutta notte presso il capezzale della fanciulla. La mattina seguente, sul primo albore, vedevasi il cielo sgomberato del tutto dalle nuvole della bufera notturna, e risplendeva uno di que' dolci soli d' inverno, che consolano il cuore degli uomini e la malinconia della natura: uno di que' soli che, dopo l' imperversare del cattivo tempo, non sono radi in quella beata parte di terra. - Maria si riscosse dal profondo suo sonno, e sollevandosi lentamente su la persona, alzò gli occhi, e vide il primo raggio di quel sole, smorto ma pur limpido, che penetrava per la finestra e cadeva sul suo letto. Guardò trasognata all'intorno, ravvisò la figura amorevole e serena della Marta; la quale, seduta da un canto, stava a mirava tra confortata e pietosa, senza poter dire una parola. Riebbe allora la conoscenza, tornò a cercar con gli occhi per ogni parte, chè non sapeva dove fosse. Era pur quella la sua cameretta, un tempo così cara, il soggiorno d'un'età più felice; era il raggio del suo sole che la salutava, era la casa di suo padre e di sua madre. E già non si ricordava più d'aver pianto e patito.... era ancora là, erano tornati i giorni della sua fanciullezza.... tutto era stato un sogno, un lungo e terribile sogno! Ma rivolse il capo dall'altro canto, e gli occhi suoi s'incontrarono in quelli d'un giovine di nobile aspetto, con incrociate sul petto le braccia, che la contemplava silenzioso, ma sorridente. Lo guardava essa, e coli' incertezza dello sguardo pareva domandar chi fosse. Allora tutti i pensieri le si sollevarono nella mente, si confusero, le ripiombarono in un punto sul cuore; la speranza che ogni cosa fosse stato un sogno era svanita.... Distolse gli occhi da lui, gittò le braccia al collo della Marta, che a lei stava vicina, e tutto nascondendo il viso in quell'amplesso, si mise a piangere, come si piange quando con le lagrime si può sfogare un dolore raggruppato per tanto tempo nel cuore. « Oh! cosa le avete voi fatto, signor Arnoldo?... » domandò la Marta, posando in atto di compassione la destra sul capo chino della giovinetta. Io l'ho amata!... » rispos' egli. ln quel mezzo, il medico comparve su l' entrata della camera. Maria era ricaduta sui cuscini del letto, in un nuovo spossamento di tutte le forze. Il dottore le si avvicinò, studiò con attenzione il suo volto colorato allora d'un leggier vermiglio, e gli occhi incavati e morti; le toccò i polsi, che rispondevano con ardenti e ineguali bàttiti febbrili, e conobbe che il male era più serio che prima non avesse pensato. Ma, benchè in cuore lo sentisse, pure tacque al giovine forestiero il fatale sospetto; si limitò a ordinare alcune pozioni, e a prescrivere nuovamente che lasciassero l'ammalata nel più assoluto riposo, procurando di risparmiarle la menoma sensazione di piacere e di dolore: poi si volse ad Arnoldo, e, fattosi un po' d'animo, gli comandò d'allontanarsi da quel luogo, se pur voleva che la vita dell'ammalata fosse salva. Arnoldo obbedì a malincuore, ma obbedì. Uscito in compagnia del dottore, appena furono nell' andito, si fermò, e lo prese per la destra, dicendo: « Giuratemi ch' ella vivrà! » con un accento che fece tremare il pover uomo; il quale lo guardò, e balbettando rispose: « Oh! oh! oh! tutto sta nelle mani di Colui ch' è lassù!... » Chi amò veramente, chi pianse al terribile dubbio di dover perdere per sempre l'amor suo, immagini l'angoscia dell' innamorato giovine. Alla vita di quella creatura era allora attaccata la vita della sua fede, il coraggio dell'anima sua, tutta la sua speranza terrena. Prima d'allora, egli non aveva pensato mai che fosse così dura la solitudine a un'anima bisognevole d'amore e d'esempio; e quando ritrovò quella fanciulla di pura bellezza, che nella sua mente egli aveva rivestita dei più ideali colori della virtù, confidò finalmente che il cielo si fosse riaperto per lui. Il solo pensiero di dover perderla ancora gli appariva troppo tremenda e incomportabil cosa. Egli non aveva creduto prima d'allora d'amarla tanto! Il dì seguente, il medico dovette pur troppo confermarsi nel concepito sospetto: gl'indizii d'una lenta febbre di consunzione si manifestarono nell' ammalata: la notte l'aveva passata senza sonno; al letargo del giorno innanzi eran succeduti turbamento, delirio, e l'obblio del passato e il vago presentimento d' un termine vicino; a tutto ciò ben presto s'aggiunsero una tosserella acre, muta, e un assiduo languore. L'infelice si lamentava spesso d' atroci punture al cuore, d'un sordo tintinnio negli orecchi, d'improvvise fiamme che le ardevano il sangue, le oscuravano gli occhi e la mente; e allora, le coltri le pesavano sul seno, tutto le dava tedio; e, con un fievole gemito, diceva di non poter respirar l'aria che la circondava. Poi seguiva una lunga spossatezza, e pareva che la sua vita andasse mancando, come raggio che si dilegui; pareva che ogni ora dovesse esser l'ultima per lei. La buona Marta stava sempre al fianco di quel letto; la sorreggeva, apprestava le medicine dal dottore ordinate; e benchè nel suo cuore molto patisse, aveva forza di non piangere, e trovava sempre qualche pietosa parola per sostenerla. Ma quando l'ammalata s' acquietava, e ch' ella sedeva sola a' piedi del letto, lasciava allora tacitamente scorrere le sue lagrime; e nell'anima semplice e fedele pregava, ma sempre in segreto, la Madonna. Talvolta, nel cuor della notte, Maria a un tratto balzava esagitata, in mezzo a que' sonni leggieri, se pur sonni potevano dirsi gli sfuggevoli riposi che il dolore, stanco quasi di tormentarla, le concedeva; balzava a sedere sul letto, e cacciandosi indietro con le mani tremule e scarne i lunghi capegli, che umidi di febbrile madore le si stendevano sul viso, spingeva gli occhi attoniti fra l' ombre della camera, poi levava la destra convulsa per additar le immagini sinistre che l' assediavano, o le persone amiche con le quali immaginavasi di parlare e di piangere. Allora i suoi pensieri vagavano nelle torbide memorie del passato; la sua innocenza, l'amor suo, i pericoli corsi, le disgrazie, e quanti l'avevano avuta cara, e quanti le avevano fatto del male, tutto le si affacciava, in un punto, all'anima oppressa; e le sue interrotte parole erano piene di pietà e di dolore. La sola Marta era testimonio di codesti solitarii e compassionevoli lamenti. - Perchè mai mi lascian tutti così sola, sola, dopo che fui sempre perseguitata?... Oh Dio! che ho fatto di male? O mia madre, io pensava sempre a voi, quand' ero lontana; ma questo povero cuore.... questo cuore non era mio! C'è qui dentro un segreto, che non devo scoprire a nessuno, neppure a lui, a lui che.... ah il suo nome non potrò dirlo mai!... Perdonatemi, o mia buona mamma! Dio m' ha castigata.... perdonatemi voi!... S'egli mi parla di qui innanzi, tacerò, farò la sorda, fuggirò via.... Ahimè! dove sono?... questa è la chiesa ov' egli m' aspetta, questo è l' altare - Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te.... - Forse non verrà.... ah no! eccolo, è lui.... Perdono, o Signore! io ascoltai la sua promessa, perdono! - E ricadeva illanguidita, senza movimento, per sollevarsi ancora, dopo pochi istanti, rapita dall' impeto di nuove immagini: - Egli tornerà, il suo cuore è buono; le sue parole son vere, come la virtù; con quel suo sguardo è impossibile non dire la verità!... Oh caro! io l'avrò convertito, egli crederà nella nostra santa fede, verrà a pregare il Signore con me.... lo sono pallida, lo so; ho patito tanto, e sto ancora assai male.... Guardatemi, ditemi; è possibile che non mi riconosca più, che più non sappia chi sono?... No, non è vero! esso era pur qui, l' ho veduto; e' m' ha ravvisata, m' ha sorriso come una volta.... se non fossi bella come prima, avrebb' egli sorriso ?... - E anch' essa, la povera giovinetta, come se contemplasse un' ombra presente, sorrideva così da strappar le lagrime chiunque fosse stato presente al suo mesto delirio. Dopo un altro istante di riposo, risorgeva ancora lentamente, giacchè invano la desolata Marta tentava con amorose e ripetute preghiere di far ch'ella si caricasse più tranquilla. E giungendo le mani, e scotendo il capo, in atto di chi racconta lunghi travagli sostenuti, ripigliava: - Io non ho amato altri che te, e non te l'ho detto mai.... ma, per amor del cielo, non ne parlare con persona viva.... Vedi! mia madre è morta, mio fratello, mio padre, tutti son morti!... io sono sola a questo mondo.... e tu, tu mi puoi dare il paradiso o l'inferno.... Io vorrei esser tua; ma temo che lassù in cielo non sia scritto così! Vieni, vedi, questa è quella Madonna a' piè della quale giurasti di volermi sempre bene.... T' avvicina, pigliami per mano! Dio ne benedirà! Ma, chi è mai quel prete? lo vedi? io lo riconosco.... è lui, è mio fratello, è il tuo amico.... Oh Dio! Dio eterno! fuggiamo, lasciami.... non vedi che leva la destra in atto terribile di minaccia? non senti ch' egli ne maledice tutt' e due?... - Ma il cielo pietoso, dopo quelle notti d'angoscia, dopo quelle visioni di sgomento, le concedeva almeno lunghe ore di calma benefica e sollevatrice, interi giorni di pace e di rassegnazione; nel volger de' quali, dolci le tornavano lo sfogo del pianto, il conforto d'una calda preghiera, e soave perfino il ricordarsi del dolore sofferto, il pensare a quello che ancor le restava a soffrire. In quel tempo però ella poco parlava, e pareva quasi straniera a ogni affetto che la riavvicinasse alla vita: l' avresti quasi creduta una di quelle sante giovinette martiri della prima età cristiana, le quali, in mezzo a' tormenti, contemplavano estatiche la corona celestiale. Io non dirò tutto il patire di quella meschina, che già questa semplice narrazione è troppo compassionevole e piena di pianto. La malattia della povera Maria fu lenta, sorda, penosa; più d'una volta essa toccò a quel tremendo punto, in cui la sola speranza che rimanga è un domani nel cielo; più d'una volta fece temere di vederla finire, dopo alcuno di quegli impeti di tosse convulsiva che di frequente l'assalivano. Eppure il dottore, sia che non fosse troppo sapiente, sia che vedesse più in là che non sembrava, ebbe segreta speranza di salvarla ancora; e nelle cure assidue che le prodigava, non tardò ad accorgersi non avere il male soggiogato del tutto quella debole complessione, e anzi a poco a poco rimettere di sua crudeltà; onde fu persuaso che se alla fanciulla non erano quaggiù promessi lunghi anni, le sarebbe stato conceduto almeno di veder più d'una primavera, e forse di respirar novella vita ne' balsami dell' aria nativa. Egli non s' ingannò. Venne la primavera, e ben presto la gracile salute della nostra giovinetta cominciò a rifiorire. Il silenzio dell'anima e la pace di natura poterono più che gli sforzi dell'arte; ma per non far ingiustizia a quel dabben dottore, bisogna dire che la paziente attenzione e lo studio che pose a risparmiare alla sua ammalata ogni più leggera commozione, e più di tutto ogni memoria della sua vita passata, fanno fede ch' era miglior medico ch' egli medesimò non si credesse: un medico filosofo, voglio dire, come pretendono d' essere tutti i nostri medicuzzi d' ieri. Non permise ad Arnoldo di visitar Maria che una sola, o al più due volte la settimana; e sempre in compagnia di lui, per due eccellenti ragioni: una, perché il mondo non ci avesse a ridire; l'altra, perché un solo colloquio che fosse finito con far piangere l' ammalata, avrebbe potuto rovinare il sistema della sua cura. Dunque, in tutto quel tempo, Arnoldo era stato quasi straniero per Maria; essa non osava dimandar di lui, neppure alla Marta; ed egli, temendo sempre che il cielo non gli rapisse quel fiore s adorato, si tenne in una mesta e contegnosa lontananza. La Marta poi, la quale dapprima, finché durò il male di quella sua diletta, aveva saputo soffocare le lagrime, allora piangeva; ma piangeva di consolazione. Era un mattino, un bellissimo mattino, al principio d'aprile. Maria sedeva al raggio di quel puro sole, nel cortiletto che si specchiava al lago; sedeva tranquilla presso il muricciolo, su cui erano ancora i suoi vasi di fiori, quantunque inferme e cadenti ne fossero le odorose pianticelle. Essa respirava l' aria imbalsamata dai profumi della mattina; e il suo viso, alquanto pallido ancora, mostrava quel gracile incanto di bellezza, che tocca assai di più, quando riveli il segreto d' un' anima memore de' suoi dolori. Un sorriso ineffabile, misto d' una dolcissima malinconia, errava sulle sue labbra ancora smunte; e la lieve tinta rosata onde le si coloravano le gote, faceva spiccar di più la muta candidezza del bel volto e del sottile suo collo. Arnoldo entrò nel quieto recinto, nè Maria, assorta ne' suoi pensieri, s'avvide di lui. Egli le si avvicinò lentamente: la fanciulla alzò allora gli occhi, e la fronte le si velò d'un vivo rossore, che subito disparve. Da prima, Maria non trovò parola, poi balbettò come un saluto; e il giovine, fattosi a sederle d' accanto, si rimase lungo tempo a guardarla, incerto, pensieroso. Ed essa, inchinate le pupille a terra, taceva. « O Maria! » diss' egli finalmente, « io benedico quest'aria così serena e in pace, questa gioia di tutta la natura, questa divina bellezza della terra e del cielo che vi restituiscono la vita, che sembrano sorridervi per consolarvi di quello ch' è passato!... Voi siete nata in un paese beato; questi monti e quest'acque sono la più bella contrada del mondo.... Oh vi fossi nato anch' io, oh fossi anch' io Italiano!... Ma voi lo sapete, Maria, io ho risoluto di non abbandonarli più questi luoghi. Ora sono solo su la terra, costretto a fuggire dalla casa de' miei padri, a portare un nome non mio.... Una volta io era potente, adulato, cercato; ora mi respingono tutti. Ma voi non mi respingete, no; non posso più offrirvi, è vero, che un' umile sorte e l'esilio; ma voi siete buona, e manterrete la vostra promessa.... Ditelo, Maria, ditelo adesso ch' è tempo. Fra voi e me non c'è più distanza; una vita anche povera, ma beata con voi, è la sola felicità alla quale io voglia, alla quale mi sia concesso aspirare. » « Lei è buono, e de' cuori come il suo ce n' è pochi. Ma io cerco inutilmente di esprimere quello che sento.... Pure, se le mie parole hanno qualche valore agli occhi suoi, m' ascolti, signor Arnoldo!... E così Dio mi mandi forza di parlarle come devo, in questo momento che deciderà della mia vita! » « Dite, Maria! Il farmi felice o infelice per sempre sta in voi.... a voi lascio la mia sorte! Ho saputo rispettare fin adesso ogni vostro desiderio, non v' ho mai ricordata una promessa.... perchè il vostro dolore, le vostre disgrazie.... » « Per carità, signor Arnoldo, non parliam più di me. È di lei che mi preme, della sua felicità, del sacrifizio che vorrebbe fare. Ritorni per un momento alla sua vita passata; pensi a lei, come deve fare un uomo, e poi decida. » « Come, Maria, sarebbe possibile che ricusaste d'unire la vostra sorte alla mia? dopo tutto quello ch' è stato, dopo tanto amore?... Oh io vi amo ancora, Maria, v' amo come la prima volta che vi ho veduta, come quel giorno.... » « Non mi dica così, signor Arnoldo, ne la prego col mio cuore, con le mie lagrime!... se ha ancora della stima per me, parliamo come fossimo stranieri uno all'altro. Non è vero che lei non abbia più nessuno a cui pensare.... Suo padre soffre certamente, per la sua lontananza, sospira di rivederla prima di morire, di lasciarle il suo nome e l'onor della famiglia.... E le buone sue sorelle?... e il suo paese che lo chiama, l'aspetta, che ha bisogno di lei?... queste cose, appena lo capisco come sieno, ma pur sento che sono vere. Non posso crederlo che suo padre l' abbia maledetto, non è vero che più nessuno si ricordi di lei! E se anche, al primo momento, lo sdegno l'avesse fatto ingiusto, si sarà pentito poi; perchè padri e madre posson perdere tutto, non i figliuoli.... E se un tempo, per l' onore, ha creduto bene d'abbandonare chi lo disprezzava, adesso è il momento di far vedere a quegli stessi, che la persuasione e non il capriccio l' hanno consigliato, e che ha ancora, lasci ch' io lo dica, lo stesso cuore e la stessa virtù! » « Buon Dio! siete voi che mi parlate così? Chi vi disse tutte queste cose? chi ve le inspira? Io, sì, lo sento il cruccio di star lontano da' miei.... so che le mie povere sorelle piangono e m'aspettano; ma, per me, il domandar perdono sarebbe come rinnegare la verità che ho abbracciata! Nè per questo ho fatto sacrifizio d' ogni cosa; l' ho fatto per ciò che tutti calpestano, per fede e coscienza. Maria, lo vedo, voi non mi amate più! » « Ah! signor Arnoldo, non dica, non pensi così. Io era già morta, e lei mi salvò! La riconoscenza ch'io ne sento basterà oramai essa sola ad occupare tutta la mia vita!... » « Voi parlate .di riconoscenza, ed è amore ch'io vi do- mando. E che? se dovessi anche tornarvi, là nella mia patria, se l'onore mi richiamasse, non andrei superbo di mostrare a tutti qual tesoro io possegga? non benedirei sempre il cielo di poter mettervi a parte d' ogni contentezza della vita, di farvi grande, come siete degna d'essere, più d'ogni altra donna? » « Il suo cuore è giusto e generoso; ma io, quantunque nulla sappia in confronto di lei, sento che questa è un' illusione. Noi so da vero, perché mai abbia preso a voler bene a una poveretta come me; ma so ch' io non lo meritava, e che non ero nata per questa fortuna. Oh non mi guardi così! se ascoltassi soltanto il mio cuore, una cosa così amara non potrei dirla.... E insieme, capisco ch' io le parlo troppo male; pure, al momento in che siamo, bisogna dir tutto com' è. » « Cielo! oltre al non amarmi più, potreste pensare, Maria, che verrebbe tempo ch' io avessi a mancare alla mia fede, all'amore?... » « No! vedo pur troppo che non so spiegarmi, o che lei non m' intende!... E questi suoi rimproveri mi fanno piangere. Ma.... non voglio dire di lei.... Tutti l' hanno amato, e l' ameranno sempre: e come noi dovrebbero, nessuno ardirà disprezzare la fortunata che porti il suo nome. Ma per questa donna felice, se mai fosse d'una condizione diversa dalla sua, una meschina come son io, non ci sarebbe una continua rampogna, un tormento segreto, eterno?... Potrebbe mai credere ad onori che non sono per lei, non arrossire di trovarsi con quelli che mentono con Ia bocca e disprezzano nel cuore, con quelli che tacciono per compassione?... Oh! gli occhi di chi ha molto sofferto leggono in fondo ai cuori, da cui non sono amati, abbastanza per poter piangere ancora. E poi, viene il tempo il più amaro. L'uomo che prima era l' amico, il fratello, il padre suo, il suo tutto, non la guarda più come in quel giorno, in quel giorno felice che nasce una volta sola, e non torna più; non le chiede più di quelle parole che, un tempo, facevano la sua gioia, il suo conforto. Egli è un uomo fatto, un cittadino; ha la gloria che lo chiama, la vita che gli comanda, la società che l'accarezza, il mondo che lo guarda.... Egli non è più solo, come in quel giorno così bello! « Maria, Maria, che cosa dite mai? » « Ah! lasci ch' io sfoghi tante cose che da gran tempo porto nel cuore! Quella poveretta che sente non essergli più necessaria, quella, che quasi un fiore per un giorno gli piacque, non è più la medesima.... Ella tace sempre, piange spesso; ed egli volge indietro la testa, cerca altri fiori più freschi, più belli, perché l'uomo ha sempre bisogno della bellezza.... Oh mio Dio! quest'angoscia non basta sola a farla morire di dolore? E il dubbio che l'accompagna sempre, e il timore di proferire una parola sola che lui dispiaccia, l'affanno segreto di sentirsi così piccola cosa a paragone di lui, e fin la grandezza dell' amore che gli porta, di un amore ch' egli con un solo pensiero può maledir per sempre.... » « Non più, Maria, non più!... Ecco, era una speranza del tutto vana la mia, e voi spezzate quasi l' ultimo anello di mia vita.... Tu, o Maria?.., tu, la più bella, la più santa creatura del Signore, l'unica luce ch' io avessi ancora, puoi abbandonarmi? Abbandonarmi, quand' io, per amarti, ho dimenticato patria, parenti, nome, tutto?... Cielo! dunque la virtù ch' io cercai, altro non era che un delirio, la poesia de' vent' anni, l'incanto d'una primavera? Bisogna che sia così. E ora che farò?... Tornar nei mondo, gettarmi in questo vortice di cose, nell'ebbrezza della passione, nella vita del momento; sì, ridere delle lagrime che si versano da per tutto, e di quelle che farò versare anch' io; e a quanti mi rinfacceranno di non creder più a nulla, nemmeno alla virtù dire: Gli uomini m'han voluto così! peggio per loro. » Maria raccapricciò a codeste strane parole, chinò la fronte e impallidì. Arnoldo la guardava quasi sdegnoso, e levandosi a un tratto, mosse per allontanarsi. « Si fermi, signor Arnoldo, » proruppe la sbigottita fanciulla, « e non mi lasci in questo modo.... Io le ho parlato come una povera giovine onesta, ho fatto il mio dovere. Lei non sa, non vede il mio dolore, ma soffrirei ben di più se non avessi coraggio di parlarle col cuore in mano. La grandezza, la felicità che mi vuol dare, non sono fatte per me: questi due anni della mia vita non saranno stati altro che un sogno, ma il più bello di tutt' i miei sogni!.. Quando penso a queste quattro mura, dove sono nata, dove per tanto tempo sono stata felice anch' io.... quando penso a mio padre, a mia madre, a mio fratello.... Oh se vivessero ancora.... non mi avrebbero certamente benedetta! » « Se que' buoni vivessero ancora, vorrei metter la nostra sorte nelle loro mani. E anche lui, vostro fratello.... » « Il povero Carlo!... Ah se sapesse com'egli pensava e

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Il giovine era commosso e sorpreso da contrarii pensieri. « Ecco, » ripigliò indi a poco Maria, « che le ho aperta l' anima mia. Un' altra ragione poi.... non ho nemmeno il cuore di dirla, ma pur è vera anch' essa... ed è che sento già di potere durar poco: è un' idea che ho avuto sempre.... Ma, adesso, Dio mi darà la virtù di patire per queste poco tempo. » « No, Maria, non lo dire; no, non è vero!... Vuoi tu vedermi disperato, vuoi ch' io maledica al mondo e a Dio?... A questa imprecazione la fanciulla non resse; il coraggio, che fin allora l'aveva fatta maggiore di sè stessa, era esausto; ella tornava una stanca affralita creatura com' era prima. Fece per parlare, e non potè; si senti venir meno, vide appannarsi, confondersi le cose d' intorno, e la sua voce non seppe formare che un debole sospiro. O Maria! mio angelo tutelare; » diceva Arnoldo con supplichevole affetto, sostenendola: « ascoltami, Maria, non m'abbandonare, non morire Tu sei una santa, io ti venero come mia madre... farò tutto quello che vuoi; guardami! dimmi una parola sola.... Non m' ami più? ah! non importa.... sarò infelice; ma tu ascoltami, non morire, oh non morire!... Ti sono forse odioso?... no, no! dimmi che non è vero! E perdonami; io voleva un poco delle tua felicità, un poco della pace del tuo cuore. Parla Maria! ma non mi togliere tutta la speranza. Vuoi ch' io parta che corra a gettarmi a' piedi di mio padre?... me n'andrò, domani.... oggi.... subito! Ma tu vivi, aspettami, e lascia ch' io creda all'amor tuo. » « Sì, sì, è meglio che parta, signor Arnoldo! » disse Maria, alla quale le ardenti parole del giovine avevano restituito un po' di coraggio, quantunque misto a un segreto fremito di terrore; « è meglio che parta adesso! Io per me, spero che Dio m'ajuterà.... Senta dunque; se lei torna nella sua patria, l'aspetterò per un anno.... e poi.... quando veramente fosse la volontà del cielo.... » « È una condizione troppo dura, Maria; nè so come potrò obbedire.... » « Ah! è necessario che s' allontani per qualche tempo, che torni in pace con suo padre! Consoli le sue sorelle, mi rammenti a loro; a quella buona Elisa, se la si ricorda ancora del mio nome. Io intanto penserò a lei, sempre a lei, signor Arnoldo, ch' è stato così buono per me! Io non aveva più nulla a questo mondo, nulla fuorchè ia mia onestà; lei ha avuto compassione di me, e io la benedirò sempre, pregherò sempre per lei!... » Arnoldo era commosso fino alle lagrime. Contemplava Maria con muta tenerezza, e la piena degli affetti che gli agitavano il cuore, non poteva trovare un' uscita. Alla fine le si appressò umiliato, le prese una mano, se la recò alle labbra, la bagnò del suo pianto, e: « Addio, » le disse, « Maria! addio per un anno. » « Addio! » rispose con voce sicura la fanciulla; ma il suo cuore addolorato, in quel momento, tremò che non fosse per sempre. Il seguente mattino, Arnoldo abbandonava quelle rive, abbandonava l'Italia. Tornato alla villa dopo il colloquio avuto con Maria, vi aveva trovato alcune lettere d' Inghilterra, fra le quali una di Elisa sua sorella, che dipingendogli il misero stato di salute del padre, il terrore o l' abbandono in cui essa e Vittorina vivevano, lo scongiurava a non perder nemmeno un' ora, a ritornar subito, a ricordarsi del nome che portava, e del dovere di figlio e d' Inglese, che lo richiamavano in patria. Questa lettera finì di persuadere Arnoldo. Bisognava dunque partire, senza rivedere Maria; tutto glielo comandava: e chi sa anche se avrebbe potuto ancora arrivare a tempo per ricevere la benedizione del padre suo? Egli dunque partì. Maria, che in tutta quella notte non aveva mai potuto chiuder occhio, s' era levata col sole, e se ne stava appoggiata al davanzale dell'aperta sua finestra, contemplar di lontano la villa *** dov' egli abitava. I balconi del terrazzo erano spalancati; quella parte della casa aveva l'aspetto d'un luogo abbandonato di recente. Quel pianerottolo deserto, quell'alto terrazzo, quelle vate finestre, le mettevano nell'anima un' involontaria tristezza. I suoi sguardi calarono lenti e distratti allungo della riva.... Nello stesso momento vide una barchetta staccarsi dal piccolo porto che si apriva al piede della villa. Un uomo, avvolto nel suo mantello, era nella barca, la quale ben presto pigliò il largo; il barcajuolo faceva forza di remi contro il vento che increspava tutta la superficie del lago. Un grido doloroso, invano trattenuto, le scoppiò dal più profondo del cuore.... Allora, quasi fosse stato scosso da quel grido, Arnoldo levò il capo, e di lontano la riconobbe. Si alzò, stese la mano verso di lei in atto d'un ultimo saluto; poi, quasi oppresso da forza prepotente, s'abbandonò di nuovo su la prora della barca: la quale fuggendo via via si dilungò rapidamente, finché non apparve più che come un punto nero, nell' iride dell' acque che riflettevano il sole nascente. Ma quand' ebbe perduta di vista quella barchetta, la povera Maria sentì mancarsi il cuore: uno schianto improvviso la soffocò; proruppe in lagrime d'amarissimo cordoglio, in quel piangere caldo e dirotto di chi non ha più speranza. Ella pensava che tutto era finito, che non l'avrebbe riveduto mai più. Angiola Maria visse ancora un anno, nella solitaria casetta, in compagnia della sua vecchia amica, che le era prodiga delle cure le più amorevoli, e che si ricordava così spesso di lui. Aveva raccolte sei o sette povere fanciulle del contado, tutte da quattro a cinque anni, belle creaturine dai capegli d'oro e dai visetti color di rosa, innocenti anime che l'amavano come madre. Insegnava loro a leggere, a dire quelle prime orazioni del fanciullo, che sono il più soave profumo che si innalzi ne' cieli; si deliziava di vederle folleggiare, quelle piccine, per le ajuole del suo cortile; e tutte le metteva a parte di quel poco ben di Dio che a lei era avanzato. Cosi si sentiva abbastanza felice, perchè persuasa e contenta d'aver compito il suo dovere. Innocente e sublime creatura! Essa aveva compito il suo sacrifizio. Al cominciar dell'altro inverno, que' fatali indizii d'una lenta consunzione, sopita per poco tempo ma non vinta, tornarono a spiegarsi; e il dottore, che di quando in quando capitava a visitarla, s' era subito accorto della funesta verità. Pure Maria trascinò i suoi giorni per tutta l' invernata. A poco a poco, ella si consumava, finiva, senza temere di nulla, senza patire. Dio è sempre pietoso, e volle risparmiarle l'ultima angoscia. Le fanciullette sue amiche venivano ancora quasi ogni dì a tenerle compagnia; qualche tolta, alcuna d'esse, la più grandicella, le domandava perchè fosse cosi pallida e dimagrita, e nel domandare pian- geva.... Ma ell'era rassegnata; nè fu udita mai pronunziare un solo lamento; chè anzi, assorta talora in dolce meditazione, le sue labbra s' aprivano a un tranquillo e celeste sorriso. Tornò la primavera, tornò il bel sole, tornarono i fiori; ma il cielo non fu più sereno, nè l'aria ebbe più balsamo per lei. Oramai, ella non sorgeva più dal suo letticciuolo. Al principio dell' aprile, in quel giorno stesso che, un anno prima, aveva veduto partire Arnoldo, ella restituì l'anima pura al Creatore. E le fanciulle da lei tanto accarezzate, e la Marta, alla quale lasciò la sua casetta, e quel buon galantuomo del signor Gaspero, che sempre le aveva voluto bene, furono i soli che l'accompagnarono l'ultima volta fin al luogo del suo riposo. Ella è sepolta presso a suo padre; e quelle due zolle sono protette da un' unica croce. Alcune settimane dopo la morte di Maria, il signor Gaspero stava leggendo agli amici le novità della gazzetta: sedevano a circolo su l' entrata della bottega di Samuele; poichè, al venir della state, l'aristocrazia del paese, come i capi delle tribù indiane, soleva tener consiglio a cielo sereno. Dunque, fra le altre novelle, sotto la data di Londra, egli lesse questa: « - Sir Arnoldo, figlio di lord Leslie, quello stesso la cui conversione alla religione cattolica menò gran rumore l'anno passato nel bel mondo, fu eletto membro del parlamento pel borgo di ***. Si pretende che l'onorevole baronetto deva condurre in isposa una sua cugina, la bella e ricca erede di lord S.... miss Elena Davison. » Il buon vecchiotto continuò a leggere; nè a lui, nè al dottore (il quale però conservava ancora, come reliquie, certe tre quadruple di Spagna lasciategli in dono dal giovine inglese), nè al curato, nè allo speziale, cadde in pensiero che quell'onorevole baronetto fosse appunto il bel forestiero da tutti loro già conosciuto. Non vi fu che il deputato politico, il signor Mauro, se pur vi ricordate di lui, il quale susurrò a mezza voce: « Quel nome non m' è nuovo.... Ma via, a noi cos' importa?... » Bisogna dire, peraltro, che di Maria non si dimenticarono. Il signor Gaspero raccontò più d'una volta la storia della povera fanciulla; e n' era sempre commosso, e conchiudeva seriamente: « Il mondo è una scala, e ciascuno deve starsene al suo scalino. La Provvidenza non ha creato per niente i signori e i poveri diavoli. Dunque rimani contento nella condizione in che essa t' ha collocato, nè voler sollevarti da quella per non perdere pace, libertà e salute.... » Ma, dopo un momento, scrollava il capo, e con un sogghigno di compiacenza, soggiungeva: « Questo è vero! Eppure io sono la prova del contrario. Se fossi sempre stato quel baggeo ch'io m' era da fanciullo, la mia fortuna a quest'ora sarebbe di menar la barca fino a Domaso e di pescare agoni laggiù sotto la riva; ma perchè, in que' bei tempi, non me ne stetti con le mani nel giubbone, da povero merciajuolo son diventato quello che sono, ho veduto quel che so io; almeno ho casa e tetto, e posso fare e disfare anch'io la mia parte; nè mi manca nulla, fuorchè la consolazione d' un' anima bella, come fu Angiola Maria. Ma! un' altra come lei non la troverò più, campassi anche gli anni di Noè. »

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Le montagne all' ingiro s' erano velate di quel cupo uniforme colore che spandono i poetici crepuscoli dell' autunno, e più non si distingueva nè un villaggio, nè una chiesa, nè un campanile: appena gli ultimi riflessi del sole già caduto tingevano tuttora d' un roseo a grado a grado fuggente l' altissima cresta del Legnone, che sola, fra tutti gli altri monti all' intorno, portava un candido cappuccio di neve. io dubitai d' aver fallito il cammino: ero solo, né sapendo se, prima di notte fatta, mi fosse possibile di giungere al villaggio il più vicino, cominciavo a trovar la via più lunga e meno romanzesca che non mi paresse da prima, più umida e più trista la sera. Ero già sul punto di voltar indietro i passi per tornare al paese donde venivo. Ma a poco a poco una cotale magia che si diffonde dalla silenziosa maestà della natura, una specie di vaghezza dolorosa che ne fa parer bello lo stesso terrore, e in uno quella meraviglia cui andiamo sempre cercando nell' incertezza delle cose di quaggiù, mi diedero animo a continuare la via. Allora mi venne all'orecchio il rumore d'un passo lento e grave dietro al mio, e l' eco d' una monotona cantilena, della quale non potevo ancora distinguere le parole, che aveva qualche cosa di patetico e misterioso, a cui mal non rispondevano i miei pensieri e le confuse fantasie on- d' era occupata in quel momento l'anima mia. Nelle grandi solitudini, fuor dello strepito degli uomini e della vita, dove natura regna ancora nella primitiva e severa sua bellezza, una sola voce, un suono lontano, un sospiro del vento, che ti rechino di nuovo i pensieri del mondo che già avevi, senza saperlo, dimenticato del tutto, d' improvviso ti rapiscono alla contemplazione dell' infinito, all'entusiasmo dell'anima che dianzi ti facevano maggiori di te stesso, per ripiombarti nella realtà delle cose, nel terrore, direi quasi, d' esser uomo e d' esser solo. Mi fermai in mezzo della via, e diedi attento l'orecchio al suono che andavasi mano mano facendo più distinto e più vicino. Era forse (pensai) un alpigiano di quella valle, che tardivo, al par di me, si trovava sulla medesima strada per tornarsene a casa, e ingannava il tempo e il cammino ricantando alcuna delle vecchie canzoni del suo paese. Così parevami dicesse, press' a poco, quella canzone:

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Arnoldo abbandonava a malincuore, e colla fidanza di rivederle, le bellissime spiaggie di Mergellina, di Pozzuoli e di Baja, ove trovavasi allora; abbandonava la delizia di quel mare e di quel cielo veramente, italiani, per ritornarsene, ignaro della domestica fortuna che l' aspettava, nel seno della superba Londra. Qui vide suo padre, acceso più che mai di volontà d'onori e di ricchezze, attorniato di favoreggiatori e di nuovi amici; i quali vivevano tutti del suo credito e de' suoi conviti, e vendevansi a gara alla sua potenza. Il giovane amava le solenni memorie domestiche, e l'antica grandezza di sua famiglia così severa, veneranda e tranquilla, della quale il pensiero de' suoi primi anni gli risvegliava le poetiche ricordanze. Ma allora il suo cuore non era più il cuore del fanciullo; Arnoldo non era più quel di prima. Educato dall'esperienza de' viaggi, dallo spettacolo di tanti e variati costumi, dagli avvenimenti che dovunque parevano incalzarlo, dagli stessi suoi pensieri che si maturavano a volontà più tenace e a più costanti proponimenti, il giovine si persuadeva che il tumulto della vita civile non era per l'uomo che sortì da natura affetti generosi ma tranquilli, non era per lui. Egli era entrato nell'onesta casa del cittadino di Parigi, e nella soffitta del povero operaio di Lione; stanco dalla lunga via sotto gli ardori del sole d' estate, s' era riposato all'ombra d'una vecchia quercia spagnuola, in mezzo a una banda di guerrilleros, che dormivano d' intorno a lui sicuri e spensierati, sul nudo terreno, co' fidi loro moschetti a lato; aveva durato molte notti sotto il tetto d' un casolare svizzero, in cima delle Alpi, alla vista delle eterne ghiacciaie e del paese povero e libero; s'era adagiato nella barca del gondoliere veneziano, e aveva vogato nel navicello del pescatore di Napoli. Allora, aveva sentita più fortemente nel cuore la voce misteriosa della verità e della bellezza, che spiegano allo sguardo sempre e da per tutto una poesia potente e divina, nello spettacolo della natura e nelle vicissitudini del cielo e del mare, nella religione della povertà e nell'entusiasmo degli, umani sacrifizii: allora, meditando a sè stesso, egli aveva conosciuto che ben poca cosa diventano, in faccia d'una provvidenza così grande, le glorie storiche e l'orgoglio d'una famiglia che conta i nomi degli avi e de' redati poderi, nè si giova delle larghe fortune, che per fare nuova grandezza e per ambizioni maggiori. Il cuore d'Arnoldo era buono e mite; generoso, com' il giovine a vent'anni, ardente di trovare nella vita la bellezza e l'amore, come il poeta nelle sue prime inspirazioni, egli avrebbe fatto rinunzia del proprio avvenire e forse di sua stessa fortuna, preparata con sì lunga solerzia, per una vita oscura e modesta, ma consolata dalla benevolenza, dall' amore, dalla semplice e tranquilla amicizia. L' arte della vita per lui altro non era ancora che il bel sogno della virtù. Una sera, lord Leslie, all' uscir della Camera de' Pari, chiamò con gran mistero il figlio nel suo gabinetto. E con insolita amorevolezza, e con la fronte serena, egli ch' era sempre accigliato e di scarse parole, s' aperse con lui: gli disse d'avere spesa tutta la vita per lui solo; gli ragionò della grandezza della famiglia, dell' onoranza degli avi; e conchiuse col proporgli un illustre matrimonio, che doveva ristorar la sua ricchezza, crescere il favore del suo nome, e anche a lui aprire la luminosa via degli onori. In sulle prime, il giovine ristette unitolo e scontento, ma poi non potè rifiutare a suo padre di conoscere almeno la damigella che doveva essergli promessa sposa: la cosa stette intanto segreta. La vide dunque, la conobbe: era bella, orgogliosa e leggiera; era fatta per i piccoli trionfi del gran mondo, non per vivere nel cuore d'un uomo. Arnoldo sentì subito che non avrebbe potuto amarla mai; vide che, insieme alla fanciulla, gli era necessario sposare anche la causa de' parenti di lei; gli parve quasi d' essere venduto, e a questo repugnava. Disse aperta la sua risoluzione al padre, che impaziente aspettava, e lo scongiurò di comandargli qualunque sacrifizio, fuor quello del suo cuore. Levò la testa il lord in atto di maraviglia, impallidì alla negativa improvvisa; e congedò, senza dir nulla, ma in superbo atto, il ribelle figliuolo. Lord Leslie aveva impegnata la sua parola a' genitori della fanciulla: quello strano rifiuto d'Arnoldo rovesciava tutto l'edificio delle sue speranze. Poichè invano ebbe intromessi i consigli d' alcuni autorevoli parenti per vincere l'ostinata ripulsa del figliuolo, risolvè di lasciar l'Inghilterra, e se ne venne con rapido viaggio in Italia, insieme con Elisa e Vittorina. Arnoldo, ignaro affatto di questa subitanea partenza, e dolente dell'ingiusto sdegno del padre, ascoltò il buon pensiero di seguitarlo, per tornar più presto che potesse in pace con lui. Parti non molto dipoi, e lo raggiunse ch' egli era di fresco arrivato. Non dirò come il padre e il figlio s'incontrassero sul terrazzo della villa di***, nè dirò le lagrime e le preghiere delle due giovinette, che tentarono invano di mitigare la cupa collera del vecchio sdegnato. « Io sono figlio vostro » aveva detto Arnoldo supplichevole « e voglio starmi con voi! se voi non mi perdonate ancora, aspetterò che il tempo e la conoscenza delle mie virtuose intenzioni mi tornino in grazia vostra. Sì, avrò pazienza, finché voi non pronunziate sul mio capo la maledizione!... » Lord Leslie parve commosso; ma non cedette, nè rispose che questo: « Andatevene, sconsigliato! Io non vi rivedrò finché non abbiate fatto miglior senno. » - E ogni ragione fu inutile. Ma Arnoldo non rinunciò alla sua affettuosa speranza. Prese a pigione una piccola casa, che non era a più d'un miglio di quella villa; abbastanza contento, se gli avvenisse d'incontrare le sue buone sorelle o sul lago, o sui sentieri della montagna. Con loro, egli ingannava molte ore, ragionando di tante cose, di tante memorie che portava nel cuore. La storia di codesta vicenda famigliare potrà, cred'io, spiegare la sdegnosa tristezza del lord, e l'amorevole preghiera delle due fanciulle, in quella mattina.

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- Ecco, dicevo tra me, dove va a nascondersi la semplice poesia, amica del sole e del cielo sereno. Le rimembranze della passata età, le schiette, calde fantasie di questi abitatori d' ignote capanne, serbano ancora un' impronta di quella naturale dolcezza antica che noi perdemmo sono incolte, ma pur belle le armonie che, d'un in altra generazione, consolano le loro veglie invernali, le tranquille domeniche e gli allegri giorni della vendemmia, quand' essi s' accolgono a crocchio sulla spianata, al raggio del sole cadente! Il cittadino ritrova la sua patria per tutto il mondo: non v' è più che il montanaro il quale ami la sua rupe e la casipola che vi siede sopra, e viva contento di sua povertà all'ombra del campanile che lo vide nascere. In quella, sul sentiero che saliva con rapida svolta verso il colmo d' una piccola altura, vidi venire verso di me un vecchio, il quale, sebben curve le spalle sotto il peso d'un fardello appiccato alla cima d'un bastone, moveva con passo così alacre e spedito che in un momento m'avrebbe oltrepassato, se io stesso non gli fossi ito a rincontro, domandando: « Brav' uomo, siete del paese? » Egli si fermò; parve maravigliato di trovare uno straniero ad ora così tarda su quella via. E guardandomi prima un poco, con cert'aria diffidente, ch' era forse un resto della sperienza di fresco imparata nella città, mi rispose: « Sì, signore, torno a casa mia. » « Quant' è lontano di qui il vostro villaggio? e come si chiama? » « Oh bello! si chiama ****: e in una buona mezz' ora al più, del mio passo, ci sarò arrivato. » Il nome del luogo non mi parve nuovo, ma non sapevo in quale angolo della memoria cercarlo. « Se non v' incresce, » soggiunsi, « verrò fino al paese con voi; chè in mezzo alla notte, e ignaro di questi monti e di queste valli, temo perdere il sentiero. » « Come le piace, signore! Ma se mai credesse di trovare là un alloggio, cangi pure strada fin d' adesso; chè sulla costa della vallata, fra que' sassi del tempo del diluvio, non ci stanno che un cinquanta povere e disperse tettoje, aperte al sole e alla neve, come Dio vuole; e son case, quelle, ove non può dormire se non chi vi è nato. » « Ci sarà almeno il curato; egli forse.... » « Eh! il curato? So bene che quando alcuno di lor signori capita nelle nostre parti, si fa servir da osteria la casa della parrocchia; ed è un onore che fanno.... Il curato c' è sicuro, un bravo prete, non fo per dire; ha un cuor da padre, un cuore proprio da buon montanaro. Eppure.... » « Eppure che cosa, amico mio? » « Ecco, vorrei dirle, non so se il signor curato vedrà tanto volentieri in casa sua la faccia d'un forestiero. Egli fa la vita del romito; quella magra terra e quelle poche decime, che fanno tutta la prebenda, gli bastano appena per non morir di fame, perchè il paese è povero, caro signore; e anche noi vecchi, quasi ogni anno, dobbiamo andarne a cercare un po' di sorte alla Bassa, e dopo tagliati i boschi de' nostri monti, girare laggiù facendo il manovale, o qualch'altro duro mestiero. Ma intanto, con la grazia di Dio, la si campa da povera gente. » « E credete che il vostro signor curato avrebbe cuore di lasciarmi sulla via? Eh! per un uomo che insegna il Vangelo sarebbe una bella carità. » « Non è questo; ma è che pur troppo qui, nella nostra terra, benchè rintanata fra l' alpi, i forestieri han finora condotto la mala fortuna. E il parroco anche lui, vede, ha dovuto imparare a non creder troppo alla gente, dopo la disgrazia del nostro vicecurato.... Oh! ma quello sì era un uomo! cosa dico? era un santo, la nostra provvidenza. Bisognava vederla quella testa che pareva inspirata veramente dal Signore! Così giovane e così sapiente! E il suo cuore, chi non l'ha conosciuto e benedetto?... Egli spartiva con noi il suo pane, andava a comprare del suo le medicine per I poveri malati, veniva a consolarci nella disgrazia o a piangere con noi: tutti, dal primo all'ultimo, vecchi, uomini e figliuoli, abbiam imparato a ripetere il suo nome con una benedizione.... Oh! chi l'avesse veduto com' io che andavo in casa sua tutt' i giorni per que' pochi servigi che gli occorrevano!... Bisognava poi sentirlo, come lo sentivano tutti quei della vallata, che venivano a frotte, quando predicava e parlava delle cose del Signore; si doveva proprio dire ch' era la verità santa. Anche il signor curato, quantunque vecchio e superior suo, lo stimava come un dottore, lasciava che facesse tutto lui; e quell'uomo del Signore, in una parola era veramente il nostro padre, il nostro fratello! » Mentre il vecchio alpigiano così parlava, mi risovvenne il come non mi, fossero ignoti quel paese e la sventura del vicecurato: la quale io aveva udito raccontare alcuni anni innanzi, e m' aveva dato di poter scrivere nella pace della giovanile mia stanza un libro semplice ma vero; un libro che, nel gran vortice della letteratura, dovea sortire un destino ben più lieto di quanto (non per la consueta umiltà d'autore, ma per coscienza di sè) avesse sperato mai colui che lo scrisse. E mi cadde in mente che più d' uno trovò ravvolta di soverchio mistero la storia di quel prete, credendo così tutt' altro che vera una sciagura ch' io, per certe ragioni che vorrei potervi dire, non aveva potuto raccontare in modo più chiaro. In quel momento, trovandomi a pochi passi dal villaggio in cui visse per alcun tempo il buon prete del quale mi parlava il montanaro, pur non sognando per certo ch' egli fosse mai stato da me conosciuto, pensai che il caso m'offriva un' occasione di saperne qualche cosa più di quanto non avessi potuto prima raccapezzare di quella storia buia; o, se non altro, di visitare i luoghi dove quell' anima eletta, piena di tanto amore per gli uomini e di tanto desiderio del bene, lasciò la migliore eredità che di noi possa restar sulla terra, una memoria incontaminata e cara. E tutto in questo pensiero, ringraziai la fortuna che m'avesse messo per quell'alpina contrada e fatto compagno di via del vecchio. Il quale continuava con le schiette e vive sue parole a ragionarmi delle virtù umili e grandi del vicecurato, ripetendo a ogni poco che il Signore l'aveva rivoluto troppo presto con lui. Il montanaro sapeva solo che, negli ultimi giorni del viver suo, l'infelice prete aveva patite grandi e immeritate sciagure; sapeva esser egli morto lontano lontano di là, e che la sua famiglia era ita per il mondo alla misericordia di Dio. Mi guardai bene dal rivelargli il poco a me noto della tremenda verità; chè temevo quasi rapire all' anima sua semplice e buona quel culto segreto, quel religioso amore serbato ad una vita caduta così presto in mano dei cattivi, e ch' era stata (per dire come quell' onest' uomo) la vita d'un martire. Io camminava a fianco del vecchio, senza dirgli più nulla, e lasciai che a sua posta egli interrompesse l' alto silenzio della notte, parlandomi della sua montagna e delle città vedute, del magro ricolto, del maggior figliuolo mortogli da pochi mesi, e dell'altro partito l'anno innanzi coscritto militare, che più non sperava di rivedere, vicino com' era anche lui ad andarne a star co' suoi vecchi. - I miei pensieri ritornavano a quegli anni in cui io pure conobbi e amai il misero vicecurato, e s'erano fatti così dolorosi, ch' io sentiva a quando a quando qualche lacrima cadermi dagli occhi. E nondimeno, m' era dolce in quell'ora il pensare alla mia patria!... il montanaro, accorgendosi da' io più non poneva mente alle sue parole, guardava la luna che allora appunto si levava limpida e bella, come un diadema d'argento, dietro gli altissimi gioghi dell'alpe; e canterellava ancora a mezza voce:

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Dopo un' ora buona di cammino (poichè su per la via de' monti, quando vi dicono una piccola mezz' ora s'intenda un'ora grossa al manco) cominciammo a trovar le prime case del villaggio. Non si vedeva più neppure un lumicino, essendo già spento ogni focolare; nulla che rompesse l' alta quiete notturna, se non il lontano romoreggiar del vento fra le cime de' pini e degli annosi castagni: talchè mi pareva d'attraversare uno di que' paesi adombrati, morti, che talora ci fuggono dinanzi agli occhi ne' sogni. L'alpigiano mi condusse lungo la costiera, per certe viottole che facevano giravolta a ogni cinque passi; e calando sempre, si fermò alla fine dinanzi un casolare isolato, dicendomi: « Questa è casa mia. » E battè forte all'uscio. « Nessuno m'aspetta per certo, » ripigliò poi: « la mia vecchia e l'Assunta, la figliuola del mio povero Piero, mi credono ancora laggiù alla fiera di Delebio; e il Sandro, quell'altro disutile che m'hanno lasciato, sarà ancora sull'alpe con le poche bestie, finchè vi abbia pur qualche spanna di terra erbosa; due grame vacche, poveracce! le venderò sulla fiera; perchè ci aspettiamo una trista invernata, e non potendo far vivere le bestie, bisogna pensare a campar noi. » Tornò a battere, e una voce rispose di dentro: poi s'udì uno strepitar di zoccoli accorrenti, e levarsi il travicello che sprangava l'uscio, e due donne in un gruppo comparir nel vano della porta: una d'esse teneva alzata dinanzi agli occhi una fumigante lampanetta, che maggior lume non mandava d'una lucciola estiva. « Oh Madonna santissima!» disse la vecchia, « siete voi?» « O caro il mio nonno! » soggiunse la fanciulla, che, vedendo uno straniero, ardiva appena far capolino dietro la spalla della vecchia. « Che il Signore vi benedica! Ben lo diceva io, non poteva esser altri che voi. » Entrammo nel casolare Il messere col quale, camminando di conserva, avevo fatto più ampia conoscenza, e in cui veramente vedevo uno di que' patriarchi di montagna

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Piacquemi di trovare ancora, fra queste buone creature, un esempio dell'antica ospitalità a cui il mondo più non crede; e, rese grazie all'onesto vecchio di quelle sue cordiali profferte, accettai di preferenza dalle mani della giovane montanina una colma scodella di fresco latte. L'Assunta era una fanciulla di sedici anni, una brunetta dalle pupille di fuoco, di forme spigliate e snelle: il breve guarnelletto turchino lasciava vedere un bel piede e una gamba fatta al tornio: il busto di lana rossa le serrava bene alla persona; e il bianco fazzoletto, aggruppato di sotto al mento, faceva spiccare di più i bruni contorni del suo viso e le due lunghe trecce di bei capegli neri che le scendevano sul seno. Veramente non si poteva dir bella l'Assunta; ma aveva nella sembianza quella dolcezza che annunzia la pace del cuore, negli occhi vivaci quella gioia che accompagna i semplici pensieri; ma nel lindo vestire, nell' ingenua positura, seduta com' era sulla grossa radice d'un albero a canto del focolare e intenta all'avolo suo, che andava narrando tutto quanto aveva detto e fatto dacchè s'era partito, l'Assunta mi parve in quel momento una poetica figura, e poco mancò che i miei pensieri pigliassero tutt'altro colore, che un diverso perché mi facesse fermar dimora in quella lontana e povera vallata. A poco a poco, senza metter ombra di sospetti nel vecchio sincero, lo ricondussi a parlarmi del vicecurato; gli dissi che, per me, ero contento di dormir quella notte, per qualche ora, in un angolo della sua cucina, facendomi letto d'un bel mucchio di foglie secche colà raccolte: intanto io pensava che miglior giaciglio non avrei forse trovato a venti miglia all'ingiro, e che così solevano dormire al tempo antico paladini e trovatori. « Or fan sett' anni, » mi narrava il messere, « noi avevamo ancora il nostro vicecurato. Egli ne conosceva tutti dal primo all'ultimo, veniva a sedere presso i nostri fuochi, nelle nostre povere stalle; nè mai così poco s'intese parlar di disgrazie in paese quanto a quel tempo. Già gliel' ho detto, egli era il braccio destro del signor curato, e ogni cosa facesse era per il meglio. Aveva, questo si sa, un'anima santa; e quanti de' nostri, può dirsi, tornarono a vita per quella speranza ch' egli solo sapeva dare, per quell'amore con che faceva carità a tutti di quel poco che possedeva! Egli ci diceva sempre: - Sono povero anch' io al par di voi altri, sapete! ma il Maestro, in nome del quale vi parlo, ha voluto essere quaggiù l'ultimo degli uomini, ed io v' amo tutti come miei fratelli.... La povertà è la terra di promissione. » Queste poche parole, ricordate nell'umile dimora con un sacro rispetto dal montanaro, mi ridipingevano alla mente l'austera e pallida figura di quell'uomo che aveva sostenuto quaggiù, per quanto era in lui, il cómpito della verità e del sagrificio. Chiesi allora al buon vecchio perchè e come mai l'avessero perduto quel loro padre e amico: ed egli, dopo avere sospirato , guardommi con non so qual turbamento. Poi, con voce commossa, continuò: « Un giorno, era nella state del 183*, una brutta giornata d'agosto, nella quale tre temporali maledetti si scatenarono un dopo l'altro su questa povera nostra valle, comparve qui nel paese un giovane straniera, perduto forse sulla via, come lei in questa notte. Con sè non portava nè bagaglio nè altra cosa; ma andava chiuso in un mantellaccio, e teneva calcato fin sugli occhi un cappello acuto all'alpigiana. Al primo tetto che trovò, chiese alla Menica, la quale stava filando sul suo uscio, dove fosse la casa del vicecurato. La Menica a quella domanda, alla foga, all'agitazione dello straniero, che guardavisi indietro ogni momento, capì bene che colui, quantunque vestisse il giubbone di lana e portasse le grosse scarpe del montanaro, era tutt' altro da quello che compariva. E com' io appunto di là passava, mi fe' un cenno del capo domandandomi se volessi accompagnare quell'uomo alla casa del vicecurato. Io, che fo sempre di cuore un servigio al prossimo, dicendo al giovine che mi tenesse dietro, m' incamminavo lungo la ripa, fino alla chiesa: colui mi stava alle calcagna, fisandomi con cent' occhi che m' avrebbero fatto paura se non mi fossi accorto che il falso montanaro pareva avere egli stesso una gran paura in corpo. Il signor vicecurato, quando fummo a due passi da casa sua, usciva appunto, con un libro sotto il braccio; come soleva sempre a quell'ora, quando andava solo a girare per la montagna. Il giovine gli corse incontro, ma appena i loro occhi s' incontrarono, vidi don Carlo farsi tutto bianco in viso, e levar la mano verso di lui, come per parlare e non poter dire parola; ma poi subito ricomporsi, pigliar per mano il forastiero, e rientrare con gran furia in casa. Ed io, che senza nulla comprendere faceva per andargli dietro, vidi serrarmi dinanzi quella porta che da tant' anni era sempre stata aperta a tutti. » « E non si venne poi a sapere chi fosse lo straniero » domandai. « Quel giovine, poi che andò là entro non fu più veduto uscirne. Chi disse vi sia stato chiuso tutta la notte, chi tre giorni, e chi più d'una settimana: ma chi fosse, nessuna lo seppe mai. Pietro il mio figliuolo, che allora era ancora qui con noi, mi raccontò d'averlo veduto passare il giorno seguente, prima che l'alba uscisse, e andarne in compagnia del vicecurato per la selva de' pini, e arrampicarsi poi verso il Sasso Aguzzo; insomma, chi ne disse una, chi un'altra; io per me non potrei giurar nulla. Quello che so pur troppo, è che da quell'ora don Carlo non fu più lui; era sempre malinconico, non parlava quasi mai: ed io, che lo vedeva ogni mattino, lo trovai più d' una volta seduto al tavolo della sua stanza, con un gomito sur un vecchio librone e la testa appoggiata alla mano, intanto che scriveva e piangeva. Appena si fosse di me accorto, faceva il viso sereno, e alzandosi mi prendeva per mano, mi chiamava il suo buon Bernardo, il suo amico vero. Più d'una volta mi domandò se mi sarei sempre di lui ricordato, ove mai, gli fosse toccato di lasciar la nostra valle in cui aveva vissuto quattr' anni di pace.... Alcun tempo di poi, il vicecurato partì per il suo paese, ch' è sul lago di Como, e mi disse che andava a vedere per l'ultima volta il suo vecchio padre moribondo: stette lontano quasi tutta la state, poi tornò in mezzo di noi, salutato e venerato dall'amore di tutti; chò senza lui ne pareva d' esser come pecore senza pastore. Passò anche quell' inverno, venne la primavera: e don Carlo da un giorno all' altro, senza che alcuno ne sapesse nulla, abbandonò di nuovo il paese, e andò, s' è vero quello che fu detto, laggiù fino a Milano. Quella mattina, lui medesimo venne a salutarmi; il fuoco era acceso come adesso, e si pose a sedere su quello scanno di paglia dove lei siede adesso, mi consegnò la chiave della sua casa , e mi disse addio. Dopo quel giorno, non ricomparve più nei nostri monti. » Così narrava l'alpigiano, e il suo racconto m' invogliò più che mai di penetrare il mistero che pareva circondar gli ultimi anni della vita del buon prete, quantunque un segreto presentimento mi dicesse la causa della sua sciagura essere stata troppo alta e tremenda, e che per quanto avessi potuto raccorre della verità, non mi sarebbe fatto per certo di rivelare del tutto quel mistero alle anime compassionevoli di coloro i quali avevano già versata qualche lagrima sull'umile storia di Angiola Maria. Ma pure, confidando di trovare almeno qualche dimenticata reliquia delle memorie del vicecurato, che mi facesse più sacro il nome suo e più nota la sua preziosa virtù, determinai di condurmi la vegnente mattina a visitare il curato di quel paese, per cercar la via d'alleggerirgli un poco la coscienza di que' vecchi segreti che certamente gli dovevano pesare. Il montanaro, vedendo ch' io me ne stava imperterrito senza più dargli ascolto, credè che mi tornasse indifferente il suo discorrere, o fossi colto dal sonno: m' offerse allora il suo letto, nella stanza superiore, ma non lo volli a nessun patto accettare; contento di poter dormire una notte sulle foglie secche, come una volta il romeo che tornava di Terra Santa. Dettogli che sprangasse di nuovo la porta e addormentasse il fuoco sotto le ceneri, diedi all'ospite mio la felice notte; e ravviluppato nel mantello mi gittai su quel silvestre letto de' nostri primi padri. La buona comare faceva l' alte maraviglie; la fanciulla mi guardava di sottecchi, lasciando sfuggire un involontario riso; e l'una e l'altra s' avviarono sulla rozza scaletta appoggiata alla parete opposta al camino; poi sul pianerottolo si fermarono un poco; e dall'alto guardando giù nel cantuccio dov' io stava, mi salutarono un'altra volta, e disparvero. Io dormii un sonno intero e tranquillo, come da lungo tempo non aveva dormito; ma sognai l' alpi e il lago, e la povera casa del vicecurato e gli occhi limpidi e bruni dell'Assunta, la gaja figliuola del montanaro. Sorsi coll'alba e trovai già levati i miei buoni ospiti. La giovinetta, sulla breve spianata dietro la casuccia, stava mugnendo la sua piccola giovenca, e il vecchio messere era già pronto a servirmi di guida per la valle e sul monte; poiché la sera prima io aveva detto che volentieri avrei fatto un'escursione nel dintorno. Ma non appena seppe com' io volessi prima di tutto far la conoscenza del signor curato, si esibì di condurmi a lui, contento, a dir poco, ch'io avessi preferito nella passata notte la sua umile dimora a quella del curato medesimo. Allora seguitai i suoi passi, facendo alle due donne promessa di ritorno. Il curato di **** aveva veduto passare la metà de' suoi settant' anni in quell'ignota parte di Valtellina: la sua era forse la più povera pieve della diocesi. Uomo semplice e dabbene, di timida e ombrosa natura, egli avea menato colà una vita cosi solitaria, così uguale, che quasi la sua povertà gli era divenuta necessaria; e da nessuno al mondo invidiato, non portava invidia a nessuno. In tutto quel tempo, l'unico avvenimento che turbasse la lunga pace di lui, fu la vicenda di don Carlo, il suo vicecurato: quella storia, nella quale non seppe mai veder chiaro, era stata per lui come lo scoppio d'una bomba; e soleva dire ne' momenti di grande espansione di cuore: - Guai, a questo mondo, a chi non vuol tacere! Io per me vedo che non potrò rifarmi più da simile tracollo! Quel buon uomo adunque rimase in sulle prime tra insospettito e impacciato dall' inattesa mia visita. Mi guardava di traverso, con una cotal cieca scura in uno e piacente, a ogni mia domanda rispondendo appena con qualche fugace monosillabo, quasi avesse temuto che gli rubassi i pensieri. Ebbi un bel dirgli il mio nome, il caso che m'aveva fatto capitare in que' luoghi, e l' intenzione sincera d'andar cercando per quei contorni i pochi avanzi del tempo antico, da' quali potessi cavar qualche vecchia storia da fare un libro; egli lasciava morir sempre il discorso, e pareva che tentasse ogni uscita per salvarsi dal pericolo della conversazione. Lasciai sfuggirmi di bocca il nome del suo antico vicecurato, e dissi averlo un poco conosciulo; mi rispose con un gelido: « Ah sì?... » e per quella mattina non potei più strappargli una sillaba. Per allora m'accommiatai, non senza chieder licenza di tornare a presentargli il mio rispetto innanzi di abbandonare il paese. E per tutto il giorno andai vagando in compagnia del mio ospite su per le vicine montagne, al raggio d' un bel sole d'autunno, e lieto di vedere un lembo di quella terra che nel passato secolo era stato testimonio di lunghe e feroci guerre di parte, quando in essa soffiarono sì forte la libertà e la riforma. Ma la ritrosia del signor curato non mi tolse dall' intento mio: e quella sera medesima, io era amichevolmente seduto vicino a lui ad un piccolo desco, dinanzi a un cotal botticello di legno, colmo dell'ottimo vin di Sassella: un orciuolo d'antica foggia, col beccuccio sporgente, che quegli alpigiani chiamano ancora galéda, come lo chiamavano press' a poco i Romani, forse da certa somiglianza al loro elmetto, galea. Fosse virtù di qualche libagione del patrio vino, fosse consiglio della fedele sua Brigida e del mio ospite montanaro, il vecchio parroco s' era ammassato, e potei a poco a poco entrargli in grazia. Tempestato dalle mie inchieste sulle cose antiche del paese, e non trovando più il filo d'uscir del labirinto in che s' era messo, egli scappò a dire che se ci fosse stato ancora il suo quondam vicecurato, il quale ne sapeva anche di troppo e aveva scritto un mucchio di scartafacci appunto sulle antichità da me cercate, m' avrebbe potuto dire di quegli antichi tempi di miseria tutto quanto io voleva e non voleva sapere. Allora lo posi alle strette; e mi confessò come, difatti, don Carlo gli avesse lasciato una confusione di quadernacci e di fogli sparsi, dove forse avrei potuto pescar notizie; ma che, non avendo egli mai avuto nè tempo nè voglia di leggere quella scrittura così fina e minuta, giacevano tuttora dimenticate in un cassettone del suo studio, se pure i topi n' avevano avuto misericordia. In quella, con generoso atto, si cavò dal taschino la chiave dello studio e me la porse. Non mi parve vero d'avere così presto ottenuta la vittoria; e cita la palla al balzo, come si dice, presi un lume, e, fatto ardito da quella sua facile concessione e dal desiderio che mi aveva condotto a lui, penetrai nello studio del curato. Apersi senza scrupolo, e frugai nel barcollante cassettone, ove rinvenni molte memorie di cose antiche, delle quali forse mi gioverò un' altra volta, se a me non verranno meno il tempo, l' amicizia del lettore e la sua pazienza. Fra quelle, venni a capo di raccogliere le poche e scucite pagine del manoscritto del buon prete, e stimai di darlo fuori tal quale; perchè, leggendo que' caratteri e ripensando a quell'uomo del sagrificio, mi rasciugai qualche lagrima, e dissi nell'anima mia: - Tu solo il giudicasti, o Signore! e i figliuoli degli uomini avranno sempre speranza sotto il velame delle tue ale.

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Ora mi conviene diventare un uomo nuovo, dispogliarmi degli affetti e de' voleri che fin qui mi trascinarono d' uno in altro peggior disinganno, sollevar gli occhi al cielo, a quell' unica (*) Sembra che queste prime pagine del manoscritto si riportino al tempo che il buon prete fu mandato viceparróco in quel povero e ignoto villaggio di montagna. patria dei buoni e de' giusti; al cielo, verso il quale elevano le gigantesche loro cime questi monti, esultando quasi e narrando, in armonia col firmamento, le glorie dell'Eterno. Diedi un addio al mio vecchio padre, alla madre mia, all' innocente sorella. Che il Signore vi protegga sempre, giuste e semplici creature! Là, sulle rive del lago, tornerò ben sovente fra voi co' miei pensieri, seguirò coll' anima e col desiderio i vostri passi; siederò invisibile con voi presso l' umile focolare, e ricordandomi di quel tempo che più non può ritornare per me, porrò giù il peso delle immeritate angosce e il cumulo delle recenti sciagure. Qui troverò, lo spero, creature schiette e buone come voi, o miei parenti! Qui non ire, non invidie, non basse e perfide congiure di chi s' adombra d' ogni forte e generosa parola; qui non verrà a turbarmi il cuore la fastosa ignoranza o la melliflua impostura di coloro a cui s' inchina il mondo; qui umili doveri da compiere, oneste compiacenze, tranquille opere di virtù non conosciuta e perciò non calpestata; qui lagrime da rasciugare e cuori da tener vivi nella speranza; qui solitudine, silenzio e pace. 7 di settembre. I pochi, i quali han fatto di me quella vana e volgare conoscenza che suolsi troppo presto chiamare amicizia, mi credevano misantropo, o forse orgoglioso; molti mi davan taccia d' uomo irrequieto, bollente, pericoloso; mi chiamavano una testa falsa e matta; i più mi avevano un po' di compassione, trattandomi da sognatore, da utopista, da uomo nato fuor del tempo suo. E io che, dopo tanta guerra di dubbii e di terrori, non perdei quella calda volontà di bene, la quale fu l'alito primo di mia vita; io che potei credere e riposare nella verità promessa da Colui il quale da una croce annunziò tutti gli uomini esser fratelli, doveva io forse mettermi alla tremenda prova di disperare un' altra volta, di lottare ogni giorno faccia a faccia col disinganno, di rinunziare a quel solo amore che può vivere eterno, e senza del quale non c' è fede?... No! Sieno grazie alla Provvidenza che mi tolse di mezzo a coloro i quali io voleva poter amare come fratelli, e che invece mi attraversarono la via più che nemici, m' insidiarono come lupi bramosi! Ora li abbandonai, forse per sempre, ma non ho pagato offesa con offesa, nè solo una stilla dell' odio loro è caduta nel mio cuore. Ben so che per guadagnarmi i loro preziosi favori, le bugiarde loro carezze, bastavami soffocare nel petto le ardenti speranze, i forti auguri di virtù e di giustizia ch' io non temeva far manifesti a chiunque si fosse, con la sincerità d' uomo giovine e credente; che mi bastava chinar la fronte a ogni loro detto, mentire a me stesso, rinnegare la voce dell' anima con servile ossequio, e farmi stro- mento di loro potenza, o almeno tacere.... Ah no! no, mai! Codesta non fu, non sarà la parte mia sopra la terra; e il campo seminato dal male non può fruttar la verità. Abbandoniamo queste amare ricordanze. Vi fu un tempo nel quale le poetiche immagini della prima età potevano consolarmi delle traversie sopravvenute. Allora io scriveva:

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Tornato a casa col cuor pieno di rancore e di pianto, trovai la Bibbia sul mio tavolo: a caso l'apersi, e mi venne sott' occhio quel lamentoso e poetico salmo con cui il profeta, ne' giorni della persecuzione, confidava l'anima sua al Signore. - « Io mi confido nel Signore. Perché dite voi all'anima mia: Ti trafuga, come il passero al monte? » Poichè gli empii, ecco, hanno teso l'arco; apprestarono le saette nella faretra, per saettarle contro a' retti di cuore in luogo scuro. » Dopo che ruinarono quello che voi faceste, e che mai poteva il giusto? » Il Signore nel suo tempio santo, il Signore ha la sua sede nel cielo. » Gli occhi suoi vedono il povero; le sue palpebre interrogano i figliuoli degli uomini. » Il Signore interroga il giusto e l'empio: colui che ama l'iniquità odia l'anima sua. » Pioverà lacci sugli empii: fuoco e zolfo e procelloso turbine è porzione del loro calice » Poichè il Signore è giusto, e amò la giustizia; e la faccia di lui riguarda all'equità. » - Che altro avrei potuto dire a Dio, fuorchè offerirgli dal profondo, anche per me, questa santa preghiera?... 21 di novembre Ho riveduto il solo amico che mi rimase della mia giovinezza, l'uomo che amo e onoro come padre e fratello, quell'amico a cui la sorte, o per dir più vero, la provvidenza di Colui che scruta i cuori, parve volesse congiungere per sempre la mia vita, con quella catena di gratitudine ch' è più forte della vita stessa. E l' averlo riveduto una volta, dopo lunghi mesi, e per un giorno solo, mi fece sentir ben più doloroso e vivo quel bisogno di fratellanza e d'amore che fu il primo tormento dell'anima mia. Con lui, coll'uomo il più modesto, il più degno di fede ch'io m'abbia conosciuto, parlai d'un tempo che non tornerà più per noi; e sentii riaprirsi una dopo l'altra tutte le mie ferite. E ora ch' egli se n' è ito, e che mi trovo nel mio romitorio, solo ancora, al cospetto delle grandi e severe ombre de' tempi andati, sento in me medesimo vergogna e dolore d'aver rimpianto un' altra volta con l'amico le mie giovanili vicende; e mi pesa, direi quasi, d'essermi abbandonato così a una soverchia e intempestiva effusione del cuore. Ecco qual povera cosa siam noi! Io stimava d'avere vinto per sempre contro il mio passato, mi credevo forte, impassibile, tetragono, come dice il poeta, a' colpi della sciagura. E invece, poche parole di malinconici ricordi, poche lagrime versate in un momento d' abbandono e di fralezza, mi rapirono il frutto di tanto volere e di tanti sacrifizi. Che avrà detto, o pensato di me l'amico mio?... EgIi forse mi trovò ben mutato da quel che fui; o forse più non mi stima se non come un cuor debole, inetto alle grandi prove dell'esistenza, un povero illuso, un fanciullo! Ma se, all'opposto, fosse tutto amor proprio, fosse superbia che m'accieca, codesta brama di comparire agli occhi dell'amico altro da quel che sono? Non fu egli che m'aperse il cuor suo e la sua casa, che mi prodigò tutto quanto la santa amicizia può dare, che mi restituì il coraggio di vivere, e mi strappò alle braccia di morte che mi voleva far suo?... Egli sedè le intere notti al mio capezzale, quand' io lottando col male e venuto quasi all'agonia delirava e diceva parole di furore e di pianto alle mie fatali speranze, alla tradita giovinezza, alle mille ombre che giorno e notte m'assediavano. Egli stesso, con occhio sapiente, studiava intanto il lampo del mio sguardo e il pallor del mio viso; con la mano pietosa premeva la mia, contava i battiti delle mie arterie e i pochi minuti di posa che la febbre e il dolore concedevano allo strazio de' nervi e allo spavento dell'anima. - Io era solo, povero, lontano da' miei, calpestato da' potenti, umiliato dagli amici, languente in un letto non mio, sospiravo di finire una volta: ed egli fratello, amico, medico, benefattore, mi fece dono della vita perchè tornassi non indegnamente a respirare fra gli umani; egli rimise in pace l'animo mio, e mi rese quasi altero delle sofferte nemiche fortune. Su quel desco, ove con esempio raro di vera grandezza quell'uomo saggio e buono aveva con me spartito il suo pane e profferta la metà della sua tazza, io scrissi le pagine consacrate alla gloria d'un Grande che non è più; e a quelle pagine io poneva in fronte il nome dell' amico venerato e caro. Nulla di più m'era concesso. Ma questo nome che i piccoli e i buoni conoscono, questo nome che l'orfano e la povera femminetta impararono da tanto tempo a benedire, era per me il solo degno d'unirsi a quello del sommo genio italiano, per il quale fu rinnovata l'arcana scienza della natura e il nome della mia città non morrà mai. (*) Così, non vendei Ia memoria intemerata della sapienza all' oscuro dovizioso o all' indegno possente; non infransi l'aureo simulacro della gloria, per fondere la corona all'infamia: ma di quel nome altissimo feci l'umile ghirlanda della gratitudine al beneficio. (*) Pare che qui intendesse di parlare d'Alessandro Volta, del quale avea scritto a quel tempo. Qui il manoscritto presentava una lacuna, e pareva che fosse stato per parecchi mesi interrotto. A quel tempo, forse, si riportano i pochi brani delle lettere che trovai fra que' fogli, scritte con mano quasi illeggibile, spiegazzate e lacere, siccicè vedevasi che prima di finirle il vicecurato s' era pentito e le aveva gittate a parte. Amico mio. - M' è di grande consolazione il poter tornare a te in questi giorni d'amarezza e di prova, ne' quali anch'io, come Colui che portò tutti i nostri dolori, posso quasi dire: L'anima mia é trista fino alla morte.... Io viveva qui dimenticato, e non potei dimenticare. Le passioni degli uomini tornarono a visitarmi nella solitudine, e ascoltai quelle voci che altre volte avevano conturbata la mia giovinezza: un affetto ch' emunge le forze dello spirito e rimpicciolisce le idee dell' umanità e dell'infinito si risvegliò nel mio cuore, dove, non ancora spento del tutto, consumava non veduto le più pure sorgenti della vita, come fuoco che vive addormentato sotto la cenere. A tanto mio dolore s'aggiunge una piaga novella, il rimorso: poiché io sono ancora talvolta il trastullo d'una fuggitiva larva di bellezza, e mi trovo così debole e vile in faccia di me stesso, che parmi nessun sacrificio esser poco per ricompormi quest' avvenire che pur non voglio e non so disprezzare, che fugge sempre più da me lontano, con sè portando a brano a brano la mia vita. Tu sai la compassionevole vicenda che mi persuase di rinunziare alle facili glorie concesse dal mondo a chi appena sappia lusingar le inezie del proprio tempo, e farsi campione del vizio imbellettato di virtù.... Io volli sposare la parte di coloro che patiscono; e nato povero e nudo, morrò vero e nudo. Poiché, non per nulla, avrò detto addio alle splendide fantasie dell' arte, alle severe meditazioni della scienza, a' giorni tempestosi e ardenti della gioventù, alle grandi speranze dell'uom pellegrino in cerca della verità, a tutto quello che formò la poetica visione de' miei vent' anni . . Amore, amicizia, patria, sapienza, gloria, non bastano per legarmi a questa vita; più non sono per me altro che il primo batter dell'ale che fa l'anima nostra verso l'infinito, il simbolo della virtù eterna, di quel bene che non alligna in terra, perché la terra ritornerà nel suo nulla, e il bene è immortale. Amico! - V' ha qualche istante nel quale credo che Dio non abbia accolto il suo servo: e parmi ch' Egli maledica come opera di superbia, ovvero di disperazione, questo sacro e terribil dovere ch' io m' assunsi - io così pieno ancora di ribelle volontà, di mortali odii, d'inutili speranze - d'annunziare agli uomini la sua verità, il giorno del suo regno. Allora lo spavento e l' angoscia incurvano la mia fronte; vo cercando i luoghi più solinghi e dirupati di quest' alpi selvagge; piango, senza trovar sollievo dal piangere, e dico in mio cuore: O Signore! come potrò recar la tua pace agli uomini, io che non ebbi mai pace per me!... In codesti giorni d' abbandono e di miseria morale, mi sforzo di temperar l'interno patimento colle dolci distrazioni della lettura e dello studio, tornando ad evocar le belle imagini della poesia, le grandi ombre di coloro i quali parlarono il vero e furono infelici, e infelici ben più ch' io non sia! Ma anche la poesia è morta nel mio cuore! - Io aveva fermo nell' animo di non tornar mai più agli antichi prediletti studii poetici: voleva darmi tutto alle austere contemplazioni della sacra scienza, che sola oramai può consolarmi de' tanti disinganni provati, delle stolte speranze umane, delle menzognere imagini suscitate dall' inquieta fantasia che vuol levarsi nella regione dell' impossibile.... Eppure, in questi giorni, tornai alla poesia, al culto di quell' arte che mi rende ancora così belli gli anni giovenili. Rovistando fra vecchie carte, rinvenni abbozzi di novelle poetiche, di poemetti, di canzoni, di tragedie; sorrisi di me stesso e de' sogni miei, rileggendo que' miseri brani. Mi sembravano come le macerie d'un edifizio caduto in rovina prima che di poche braccia sorgesse dal terreno. Mi provai a scrivere; ma sarà in vano. La letteratura del nostro tempo, se ne togli pochi, i quali temono di mostrarsi fra gli altri per la coscienza di una virtù intemerata, ma pur tremante e sdegnosa, è fatta per tutt'altro che per educare il cuore e innalzar la mente a vera grandezza. È una letteratura smascolinata, come quell' arcigno del Baretti direbbe, una letteratura da canapè, buona tutt' al più per i gabinetti delle damine svenevoli e profumate. Nondimeno scrissi anch' io: ho gittato giù l' abbozzo di due tragedie. Nell'una, il Buondelmonte, vorrei dipingere, a diversità degli altri che tentarono lo stesso tema, l'origine della fiorentina Repubblica, e il fiero carattere del Mosca, Che disse, lasso! capo ha cosa fatta. " Nell' altra, il Procida, vorrei mostrare quanto possa amor di patria in lotta coll' amicizia e coll' amor paterno. Ma le mie forze non basteranno, io temo, all' altezza del concetto. Quando nè lo studio nè la contemplazione della natura valgono a levarmi dal cuore il peso che lo preme da tanto tempo, allora prendo la penna per scrivere a te, amico mio, a te che sai la storia di mia vita, e solo fra tutti puoi compatire il solitario prete, l' uomo che nulla più domanda su questa terra, tranne di vivere nella memoria onesta de' pochi montanari, i quali fanno la sua famiglia. Quando seppi rinunziare alle illusioni della mente, superba d' aver vestita di novelle forme la vecchia filosofia del dubbio quando parlai agli uomini d' una religione di fratellanza e d'amore che sola può apparecchiar l'avvenire, coloro che stavano in alto gittarono vergogna e disprezzo sopra di me. Avrebbero voluto che la mia fede si facesse serva delle imposture mondane, delle rugginose pretensioni della forza: io cercava invece d'abbracciare il povero e l'oppresso, che al par di me pativano e pregavano; e coloro mi rinfacciarono la ferrea legge del fatto, mi presentarono agli occhi de' miei fratelli come sognatore irrequieto, come uomo perduto dietro i delirii del pensiero umano, dietro le novità della filosofia e della religione. E i miei fratelli risero di me. Allora io non poteva più ritornar fanciullo, raccogliermi nell' innocenza della vita e della speranza; e sapendo già, per averne fatto duro saggio, quello che fosse il mondo, sentii tutta l' amarezza d'una vita inutile e tormentosa. Ma al tempo stesso una grande e nuova luce d' amore s' era fatta dentro di me, nel profondo: in questa luce si rinnovò la mia fede a poco a poco; e, divenuta matura, la ragione unì i pochi e deboli suoi sforzi a quelli de' tanti e tanti che combattono quaggiù per la causa della libertà nella giustizia. I miei mali cominciarono a parermi ben piccola cosa al paragone de' molti e grandissimi che aggravano l'umanità; e fui persuaso, da quel momento, che ognuno il quale cammini con semplicità per la via su cui la Provvidenza lo mise, nè mai rinneghi sè medesimo, nè venga a patto con la propria coscienza, potrà dire un giorno: O Signore, anch'io feci la mia parte di bene, e vissi sempre nella fede, nella speranza, e nell' amore! - Perdonai da quel punto all'uomo, che, col suo tradimento, m' aveva ferito nella più viva parte del cuore: e mi gittai nelle tue braccia, t' apersi tutti i miei segreti; e tu, mio amico e fratello, mi donasti il coraggio di vivere e d'operare. Gli uomini mi calunniavano, e io li amai; mi respinsero, e chinai la testa; poi venni a nascondere in questa povera valle il mio oscuro ma innocente apostolato. E oggi, anch' io ripeto a te le dolorose parole che un moribondo amico manda a me lontano: Fra me e te esiste un legame che la morte non rompe! Mio buon padre. Nel mio romitaggio, sento il bisogno di tornare a voi, di venir col pensiero all'umile casa ove nacqui, a quel paradiso de' miei anni infantili che si specchia nell' acque purissime del lago. Vedo, padre mio, il vostro incredulo sogghigno a queste poetiche ricordanze; ma se vi dirò che la nostra casetta, dove abita mia madre, dove, nascosta ome rosa silvestre, si fa bella e grande la buona Angioletta, è il più sacro, il più desiderato angolo della terra per me, che pur vidi molto e molto conobbi, forse non sorriderete più così, e darete un pensiero anche voi, un pensiero di compassione alla tristezza che bene spesso viene a tenermi compagnia. Non è già che mi lagni della condizione mia, e del trovarmi qui solo, in povera e lontana contrada, dopo che i primi augurii della vita m' avevano promesso un diverso avvenire. Sulla via che tentai d' aprirmi, ardente com' ero di volontà e di fiducia, ma scarso pur troppo di virtù, non trovai che spine; e m' avvidi come, nell' ampio teatro del mondo, il poco ch' io potessi fare m' avrebbe alla fine guadagnato le ire e le maligne persecuzioni di chi s' adombra d'ogni franca e generosa parola, di chi suol chiamar delitto il coraggio d' alzar la testa contro le prepotenze umane e quelle della fortuna. Per questo, benedissi come venuta dal cielo l' inspirazione che mi condusse qui, fra i poveri e i semplici, qui dove si soffre e si aspetta, dove passano smarrite o ignare tante creature per le quali morì crocifisso Colui che aveva pur detto a tutti: Io sono la via, la verità, e la vita!... Vi ricordate? La prima volta ch' io ho voluto parlar da un pulpito, con nuovo ardimento, di certe grandi verità delle quali non sarà mai strappata la radice dalla terra, delle mie parole si prevalse il fanatismo; le condannò il nuovo fariseo, ne fu scandolezzata la debole virtù. Così sempre avviene; ed io non ho voluto chiamar sulla casa di mio padre, sui vostri bianchi capegli, il turbine che di subito sorse a minacciarmi: pensai a mia madre, a mia sorella, e obbediente a chi mi percoteva, rinunziai ad ogni gloria e mi tenni abbastanza felice di questa parte che Dio m' aveva ancora serbata. Qui, i buoni alpigiani mi conoscono e mi riveriscono come padre, m' ascoltano e mi amano come fratello; qui m' è consolazione il pensiero di quel filosofo: Se utile non è quello che facciamo, stolta è la gloria. Ma non più di questo Ringrazierete per me l'Angioletta di quella cassettina contenente poche cipolle de' panporcini de' nostri monti, ch' essa mi mandò per il Bernardo, l'ultima volta che capitò al paese. Direte a lei e alla mamma che si ricordino di me nelle loro orazioni care al Signore; io non n'ebbi mai tanto bisogno come in questo momento. Se mai tornasse a vedervi l' amico mio p***, e vi domandasse di me, ditegli che i miei poveri nervi risentono ancora a quando a quando le fiere commozioni patite, e che la mia testa qualche volta non è a segno del tutto; ch' egli stesso mi scriva se le lunghe peregrinazioni, che vo facendo ogni giorno per questi monti, possano o no di soverchio abbattere le mie forze e fare in me effetto contrario a quello ch' io m' era promesso. Un' altra cosa vi commetto per la mia cara sorella. Ella sa dove stanno i pochi libri che innanzi partire lasciai, fra l' altre cose mie, in quella che fu la mia povera e beata cella. Nello scaffaletto a manca dello scrittoio, vicino alla finestra, troverà alcuni vecchi volumi giallognoli, mezzo rosi dal tarlo: sono i cari e preziosi amici di mia passata gioventù. »Fra essi vi son due libri rilegati in carta pecora, e intitolati l'uno: I Soliloquii di sant'Agostino, e l'altro La Città di Dio. Nell'armadio situato nell' angolo dov'era il mio letto, ne troverà pure alcuni altri più vecchi ancora, fra cui un volume delle Opere di san Tomaso, e uno di quelle di Sant' Ambrogio; e un altro più piccolo, al quale manca il frontispizio, è il Trionfo della Croce di Fra Girolamo Savonarola: quest' ultimo lo conoscerà dal mio nome scritto sull'ultima pagina di mia mano, sotto ad un braccio che tiene impugnata una spada e che vi disegnai quand'ero chierico ancora. Se l'Angiola riesce a raccozzare quel piccol mucchio di libri, ne' quali pongo tutta la mia speranza per quest' inverno, voi, mio buon padre, fate di trovar modo a spedirmeli al più presto, per la via più sicura; ne pagherò la spesa all'uomo che me li porterà. Mio padre. Vi raccomando quello che già vi scrissi nell' altra, di tener sempre presso di voi le lettere che per me venissero alla posta di Como, e di non darle in mano di nessuno, fuorchè del Bernardo, che verrà a pigliarle alla fin del mese, a mio nome. Se ve ne fosse alcuna pressante, queila potreste consegnarla all'amico mio p***, che sa come mandarla a questo mio nido di montagna. Dite a mia madre che, al tornare della primavera, ho speranza di venire a casa per qualche giorno: che non veggo il momento di sedermi ancora, come quand'ero fanciullo, vicino a lei sugli scalini della nostra porta: e che le farò raccontare un'altra volta la storia de' poveri morti di Torno. Oh! quante memorie leggiere, fuggitive, tessute, come tutte le cose della nostra vita, di piccole gioie e di grandi dolori, mi rifanno dinanzi al pensiero tutta l'età passata, e mi sforzano a piangere un'altra volta Perchè non sono io nato che per invocar la benedizione del Signore sopra coloro i quali devono trovare ogni lor bene nel patimento mitigato dalla speranza?... Io la sentiva pure nel mio cuore una fiamma più ardente, l' alito della fede, il coraggio di morire per i miei fratelli.... 2 di maggio 18.... (*) « Niuna cosa violenta puo essere perpetua. » E fino a quando vedrò sulla terra il trionfo del male? O Signore, tu rovesci i potenti dal seggio, ed esalti gli umili; ma tu dicesti ancora: Il regno mio non è di questo mondo. Noi dovremo dunque piegar sempre la fronte, come in atto di vile osservanza, in faccia alla malizia che si veste di pompose apparenze, che vince la semplice onestà colle sue compre lusinghe, o colla ipocrisia, la peggiore delle tirannidi?... Combattere la forza brutale, che non concede alla stanca umanità di sollevare il capo da quella nebbia d' ignoranza in cui da secoli le misere generazioni son costrette a vivere, o piuttosto a morire; parlare in nome di Quello che dal Calvario annunziò agli uomini che sono tutti figliuoli dello stesso Padre che ama e perdona, è una grande e dolorosa parte, la quale a pochi fu dato di compire sulla terra! Il tempo, come spaventoso torrente, trascina via con sè uomini e idee: pochi nomi benedetti, poche sante e divine parole rimangono appena a far testimonianza del passato, a fermar la promessa del futuro. Avventurato chi visse nell'aspettazione de' tempi migliori, procacciando intanto e operando il bene, come se dovesse da un dì all'altro fruttare! Dio ha veduto il cuor suo, Dio raccolse le sue lagrime; e quando seduto in disparte, come Geremia, stette solitario e tacque, Dio gli perdonò il silenzio, e la luce del cielo venne sopra di lui. (*) Forse il manoscritto fu ripigliato all'entrar della seguente primavera; se pur non erano mancati alcuni foglietti. E il suo cuore sollevò un' altra volta quel profetico lamento: - « La parte mia è il Signore; e per questo io l' aspetterò. » Buono è il Signore all' anima che in lui pone speranza e lo cerca. » Buona cosa è procacciar nel silenzio la salute del Signore. » Buona cosa è all' uomo portare il giogo nella sua giovinezza. » Siederà solitario e tacerà; poiché Dio gl' impose il suo carico. » Metterà la sua bocca nella polve, cercando se vi sia speranza. » Porgerà la guancia a chi lo percote; sarà pasciuto d'obbrobrio; » Perocchè il Signore non lo respingerà da sé in sempiterno; » E s' egli affligge, ha pur compassione, secondo la moltitudine delle sue misericordie. » 12 di maggio. Qualche nuova e più grave sciagura sovrasta a me o ad alcuno de' miei cari. Io ne ho da parecchi giorni il doloroso presentimento; poichè alla pace gustata per alcun tempo, alle forti contemplazioni della scienza, infiammatrice dell' intelletto, alla soave poesia della natura, è succeduta nell'animo mio l'amarezza delle cose, la codardia del dubbio, e quasi una paura di me stesso. Questo fu sempre per me il presagio di un tristo giorno della vita. I miei vecchi volumi non mi racconsolano più; non mi sembrano più che vani, indicifrabili enigmi, i quali altra cosa non mi fanno certa, se non che quaggiù nulla è certo. Non posso scrivere, non posso nè manco pensare.... 19 d' agosto. Io mi reputava cosi forte, così provato nella vita, e padrone di me medesimo, da sostener con fronte serena e animo tranquillo ogni e qualunque nuova e più dura esperienza. Dopo essermi seduto tante volte al capezzale della morte, dopo aver veduto spirar nel bacio di Dio tante infelici e candide creature, e aver accompagnato sulla tremenda soglia dell'eternità tanti uomini ciechi del bene, travagliati dal patimento, consunti dalla disperazione o dal rimorso, io credeva che più nulla d'umano potesse conturbare ancora i miei pensieri - Deh! che cosa è mai l'uomo, se tu nol visiti colla tua forza, o Signore? Oggi, dopo molti anni, il caso, o piuttosto il volere di Chi tutto dispone per il bene, mi ricondusse dinanzi un uomo che forse fu la prima cagione di tutte le mie disgrazie. Io gli aveva dato, nella generosa effusione del mio cuore giovine ancora, il santo nome d'amico.... Ed egli lo rinnegò questo nome così bello! mi rapì la prima, la più poetica lusinga della vita, l'amore; mi derise con una crudele indifferenza nelle innocenti mie illusioni; e ligio a coloro che poco m' amavano, se pur non m' odiavano già per la mia naturale e avventata libertà del pensiero, per quello ardimento che di rado è scompagnato da un cuore acceso del desiderio d'operar qualche cosa a pro d'altrui, egli pose in mano de' potenti il segreto che doveva partorirmi l' infamia, farmi morire!... Ma, come Dio anche quaggiù non consente sempre la vittoria ai cattivi, io, povero, oscuro e calpestato verme, fui più forte di coloro che si levarono, come stormo nemico, contro di me. Vinsi l' impostura e l' aperta menzogna ; poi mi ritrassi a piangere il mio passato nel silenzio della casa nel Signore, e perdonai. Perdonai, sperando che Dio a me pure perdonasse. Ed Egli m'avea dato codesta pace: fatto puro il mio cuore del lievito dell' ira, parevami d'avere in me spogliato per sempre il vecchio Adamo. La mattina era bella. - Per sollevare i pensieri dal peso delle angosce che ne' passati dì m' avevano grandemente prostrato, m'incamminavo verso il sentiero della selva, dalla parte ove sorgono tappezzate di lambrusca e di parietaria le rovine dell' antica torre lombarda: è là dov' io passo, in faccia alle maestose, lontane ghiacciaie dell' alpi e all' interminato azzurro del cielo, le più solitarie e beate ore del viver mio. Appena fuor della porta, un uomo incappucciato in un gabbano da montanaro mi s'affaccia d' improvviso. Lo guardai; teneva china a terra la fronte, voleva come parlare; e pareva tremasse. « Chi siete? » domandai. « Uno che.... vi conosce; » rispose, o piuttosto balbettò, senza levar gli occhi. Quella voce non mi parve al tutto ignota; ma Io strano vestire, la sua dubitazione, lo sgomento con che andava guardandosi intorno, turbarono un poco me pure; e persuaso che foss'egli ben altro da quello che i suoi meschini panni mostravano, me gli feci più accosto e di nuovo il richiesi: « Che volete da me? » « Sono un povero fuggitivo; venni a chiedervi asilo. » « Ma, signore! » ripigliai; « nè vi conosco, nè so.... » « Sì, mi conoscete; è in nome dell'amicizia ch'io vengo a voi. » E dicendo così, tolse giù il vecchio cappellaccio che gli copriva mezzo il volto, e mi guardò con aria supplichevole, malcerta. Ancora noi ravvisai. « Per carità, apritemi la porta di casa vostra! voi, ministro del Signore, abbiate compassione del fuggiasco perseguitato.... » E qui abbassò la voce, e fatto un passo verso di me, dopo essersi di nuovo guardato dietro le spalle: « Io sono Alberto ***: fui vostro amico! » Era colui che m'avea tradito. Quello che passasse in quel momento nel mio cuore, non voglio nè potrei scriverlo. Egli dimorò sotto al mio tetto due dì e due notti, nè io gli domandai se fosse innocente, o perchè avesse scelto ricovero nella casa d'un uomo a cui egli aveva fatto tanto male, e che fors' anche avrebbe potuto restituirgli il suo tradimento. Ah no! mai, mai! Colui che uccide è più misero di chi rimane ucciso: egli mi credè generoso e incapace del delitto di che spensieratamente, e per leggiere cause, non dubitò farsi reo contro di me. Io non so le conseguenze, le quali per la mia pietà potrei incontrare; ma non le temo. Nè fu pietà la mia, fu giustizia. A lui diedi tutto quel poco denaro che avevo, pregai per esso il Signore, e in quel momento dimenticai tutto il passato. Egli era più che amico mio, era fratello; Dio solo, Dio che mi lesse nel fondo dell'anima, mi giudicherà! Quando volle partire, io gli aveva stesa la mano e lo contemplava fissamente senza far motto. Mi parve commosso, soggiogato dalla memoria di quello che fu tra me e lui: mi guardò egli pure , poi mi si gittò al collo, e pianse. 3 di maggio. . . . Nessuna novella del fuggitivo. Che il cielo l' accompagni! Il mio cuore s' è allargato nella pace di prima sono rassegnato e tranquillo nella mia coscienza. Non so spiegarmi come non ricevessi ancora riscontro alcuno da ***, e da *** alle ultime mie lettere.... Queste note e questi pensieri trovai qua e la sparsi sopra alcuni brani di carta frapposti alle pagine del manoscritto erano per avventura frammenti o postille di guaiate libricciuolo messo in luce, senza nome, in altro tempo. Ne tenni conto, perchè panni che rivelino meglio quali fossero la mente e il cuore del vicecurato. « Molti presuntuosi reputano impossibile tutto ciò che per loro o non si sa o non si fa; moltissimi considerano le grandi cose che non intendono, o che non sono capaci di operare, come inutile fatica d' un esaltato fanatismo; e stanchi prima d' intraprendere, si addormono sui morbidi ma dannosi letti dell' ozio. Tanto è superbo l' amore di noi stessi per non confessare la propria ignoranza e la propria debolezza; tanto è artificioso per giustificarla; tanto è ingiusto per assolverla! Frattanto l' infingardaggine si scusa colla pretesa impossibilità alle grandi cose, per non confessare il timore dell' utile fatica; e il vizio colla pretesa loro inutilità, per non denunciarsi da sè medesimo vile e iniquo; l' infingardaggine e il vizio diventano costume e perchè ciò che non è il costume dei più, sia tristo, sia buono, si chiama fanatismo e pazzia, ogni bello e generoso ardire vien collocato indegnamente in quest' ultima classe. .... « L'uomo contempla, rappresentata ne' grandi genii, in una pompa la più solenne e nella sua più illustre magnificenza, la propria natura: una sublime compiacenza lo fa inorgoglire delle proprie forze; l' animo s' eleva ai più ardui concepimenti; il cuore s' infiamma ai plà scabrosi sperimenti; nulla più si tollera di mediocre, senza una nausea mortale e un magnanimo disprezzo. » .... « Nella rivoluzione de' tempi occorrono età cosi sciagurate per corruttela di costume, e cosi impudenti per abitudine di vizio, che portano in trionfo la colpa, infamemente la collocano sugli altari della virtù, e, per averle cangiato nome, reputano di purgarsi da sacrilega idolatria. Allora, gentilezza di modi le mollezze, gloria l' oro, mo- destia destia la viltà, prudenza il timore, umiltà la codardia, obbedienza la venalità, senno il raggiro, economia l' usura, avvedutezza la frode, laude l'adulazione, belle arti la lussuria; in una parola, la colpa virtù. Tale è il rovescio miserando e scandaloso che si fa d' ogni buono in cattivo, quasichè, per mutar di vocabolo, mutino le cose: ma dando così chiaro a vedere che ogni uomo sente che non è stromento di scelleratezza, e che tale è necessità per esso la virtù, che il delitto non abbraccia se non colorato dalle tinte di quella. Anche scellerato, ama d' ingannarsi che non è; epperò, perdendo la virtù, ne conserva la divisa, onde molta è la ciurma degl' ipocriti: e così, se dappertutto ove sono uomini il delitto ha schiavi, in nessun luogo regna a fronte scoperta. Quindi accade che, se in così fatti tempi sorge un magnanimo amico della virtù e del vero, tutti se gli fanno intorno co' sassi; ed è ben conseguente, perocchè se giunga face là ove tutti hanno bisogno di tenebre per ascondere la colpa, tutti si sforzano di spegnerla subitamente. Delitto dell'amore di noi medesimi, che giustificando i propri errori è pur d'uopo che le virtù contrarie condanni per evitar contraddizione: sicchè in cuore invidia l'altrui virtù, e col labbro la lacera e la condanna. Del resto, la verace virtù che passeggia nel mezzo alla finta, tacitamente denunzia la colpa nascosa sotto le sue larve, e coll' opera del paragone squarcia la veste dell' impostura la più veneranda e la più astuta. Allora si distingue la virtù dall'ipocrisia che fa studio d'imitarla, coll' eguale facilità che da un re di scena un re da trono: ed è per questo che in tale condizione di tempi la virtù e la sapienza sono guardate come due possenti nemiche; è per questo che solo compaiono attraverso lo squarciato manto d'un' illustre povertà, e che sempre le ritrovi fuggiasche sulle spinose vie della persecuzione, e spesso ancora fra le catene, e dentro la carcere dell'omicida e del ladro. » .... « Le grandi speranze e i grandi sforzi sono dei generosi; le forti presunzioni e i deboli attentati, de' superbi.... Io tutto spero, tutto tento, nulla presumo! » .... « Se è vero che dal conoscere scende ogni volere, e dal volere ogni .operazione umana, con cui si satisfà all'inesorabile bisogno, si accontenta il desio insaziabile, e si avverano le indelebili speranze, nella cui somma soltanto può essere riposta quella felicità ch' è data ai mortali; se è vero, io dico, tutto questo, deve scusarsi la nostra curiosità che tutto ad un solo sguardo vorrebbe possedere lo scibile umano. Anzi questa curiosità io la reputo come il possente motivo onde la natura invita l' uomo a ricercarla nel sacrario della scienza: come col desio della felicità lo spinse alle perenni agitazioni delle sorti mortali. Quindi è che, una volta messa sulle vie delle indagini per un sì grande impulso, non già s'avanza gradatamente e con tarda saggezza, contenta ad un vero discreto; ma impaziente delle sagge dimore della riflessione, si avanza baldanzosa, prima fidata al solo probabile, poi al verisimile, ed in ultimo anche al falso in colore di vero; e così, per volere acquistare la vetta per la più spedita via, corre la più lubrica; e correndo questa, bene spesso precipita al basso. A spogliar la cosa di veste metaforica, fatto è che quando cessa il vero, ce lo fabbrichiamo coll' ipotesi del nostro cervello; e vien poi una demenza filosofica, che delira argomenti in suo soccorso; i quali, accreditati dall' umano orgoglio e dall'umana ignoranza, gli ottengono la cittadinanza del vero; e così, come dicevano i Greci, si abbraccia la nube per la diva. - Non già ch' io abborra dall' uso giudizioso dell'ipotesi: so benissimo ch' essa sola batte alle porte della verità; anzi m' aggrada quella sua audacia con che la sollecita a parlare e le squarcia il velo più misterioso. Mi rammento di Newton, che con essa s' innalzò in mezzo de' cieli e che da essa imparò come due mirabili forze equilibrino i firmamenti. Io abborro che lo stromento diventi la cosa, che la via si reputi la meta, e voglio che l' ipotesi non si usurpi nome di realtà, ma che con felice metamorfosi si cangi in essa. Ma pur troppo più persuadono i nomi che le cose: onde il fatto inesorabile bene spesso appalesa le gradite menzogne di noi stessi: decipimur specie recti. » .... « La feconda meditazione de' grandi, tacita e nascosa ne' suoi preziosi ritiri, non ha nemmeno l' applauso che il saltimbanco ottiene sul trivio; anzi spesso dal volgo le sue sapienti lentezze e le sue cautele da precipitato giudizio s' imputano a colpa, e si accusano d' ozio e di pi- grizia. Ma i grandi, sdegnosi di piatire con una plebe che ha bisogno d'assiduo cicaleccio, per non morir d' inedia sulla vie e ne' fori, ne confondono le menzogne, recando in pubblica luce il frutto delle loro nascoste fatiche. » « Le più sublimi speranze non bisogna misurar col solo calcolo del corto soffio dell' umana vita. Non bisogna solo calcolare quanto possa l'individuo; ma quanto può la specie, la cui vita è lunga come la sua perfettibilità. L'orgoglio umano è una menzogna quasi sempre nell'individuo; ma spesso nella specie è una verità; è uno sprone a quanto ella di fatto può. Questo esiste in ogni individuo; e ognuno, al divisamento, è pari all' idea che lo move; ma, all' opera, non potendo quanto la specie, ciò che non sa non fa, lo reputa per un cotale astuto giro dell' amor di sè stesso, o inutile o impossibile. - Ma la specie, all'opposto, può di più che non sappia: ognuno porti quel masso che reggono le sue spalle, e l'edificio s' innalzerà verso il cielo saldo e sublime. Io l'ho detto: Umana perfezione? un sogno: - Umana perfettibilità? una via di cui non conosco la meta, ma sulla quale io pure cammino.

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I loro pensieri eran diversi, ma ne' loro cuori si sentivano del paro sbigottite per quell' ostinato dispetto; nè capivano come mai un padre potesse, benché offeso, non aprire per il primo le braccia a un figlio che pregava. Avventurate! si ricordano ancora della madre loro, e di quell' amore con cui le accarezzò fanciullette; nè sanno di che sia capace un antico orgoglio, quand' è caduto da un' alta speranza. Elisa fu la prima che, avvicinandosi a sua sorella e abbracciandola con gran dolcezza d' affetto, le propose di scendere nella piccola barca, e d' andarsene così sole a diporto lungo le rive del lago, che lucido e trasparente, al par del cielo, pareva le invitasse: quella buona fanciulla sperava che forse le sarebbe accaduto di vedere di lontano il suo Arnoldo, e di mandargli un saluto; in questa fiducia si consolava dell'amarezza che il rimprovero paterno le aveva gettato in cuore. - Eran due giorni che non incontravasi col fratello, e il segreto timore ch'egli potesse abbandonar que' luoghi, e toglierle la cara speranza, da lei pur nutrita, di riconciliarlo col padre, le angustiava i pensieri. Alla proposta della sorella, la leggiera nuvola di mestizia, che aveva offuscato la placida fronte di Vittorina, si di- leguò; e la sua bocca s'aperse al sorriso e alla risposta d'un lieto consenso. Discesero inosservate, attraversarono l' ombreggiato viale del giardino, e calarono fino alla darsena; la quale s'apriva, come una grotta silenziosa, appiè del terrazzo. Qui Vittorina, con un grido di gioia, balzò in una delle due barchette assicurate a grossi anelli di ferro; distaccò colle sue piccole mani la catena che la legava al masso, e distese la destra per prendere quella d'Elisa; la quale, con maggiore ritrosia, arrischiando un passo dall'ultimo scalino della sponda che le acque lambivano, la seguì nella barca. Allora Vittorina, dato di piglio all'un de' remi, l'appuntò con agile movimento contro la muraglia, e sospinse la barchetta fuor della darsena, sì bene come l'avrebbe fatto un robusto navicellaio. E quando furono un po' al largo, affidò l'altro remo a Elisa, dicendole: « Via, sorella, aiutami almeno, se vuoi che andiamo innanzi. Già tu se' una cattiva barcaiuola, lo so! ma ti farò io da maestra. Dunque.... guarda!... Non così! Tien saldo quel remo, allunga la destra.... ora allenta!... così! Non lo levar tant'alto, e fa che il remo si tuffi senza strepito, e senza mandar quegli sprazzi d'acqua.... così! bene! Tien dietro a me, d'accordo; se no, vedi! la barca tentenna come una trottola. Aspetta.... adesso!... » E la giovinetta rideva di cuore. La barca leggiera andava scorrendo lungo la costiera, sotto l'ombra oscura che gli annosi macchioni e i massi scheggiati, coperti d' eriche e di muschi, gettavano sulle onde; e le due soavi figure delle giovinette rematrici si disegnavano leggiadramente sul fondo della verde parete della riva; la quale pareva via via fuggisse, a mano a mano che il battello col suo continuo ondeggiamento si dilungava nel lago, quieto e scintillante come zaffiro. Esse erano tutt' e due vestite d'un semplice abito bianco, e cinte d'un nero grembiale di seta, a busto bipartito; entrambe portavano una ciarpetta di velo color di rosa, ripiegata d'intorno la persona, e annodata dietro in modo vezzoso; e, seguendo la vicenda de' remi, s'alzavano e s'abbassavan insieme le giovenili loro teste, difese da un leggiadro cappello di paglia allacciato di sotto il mento; ma i bianchi veletti de' loro cappelli svolazzavano all'indietro, scherzosamente agitati dalla fresca brezzolina, spirante lungo i dossi e i pendii delle montagne del lago; perchè da quella parte non era disceso ancora il raggio del sole già alto. Quando d'un buon tratto di lago si furono allontanate dalla villa, le due sorelle allentarono i remi, lasciando andare la barchetta a capriccio dell'onde; ma le onde eran si tran- quille, e parevano cullare il legno con sì grazioso moto, che Elisa e Vittorina, rapite dalla magica scena che si distendeva loro d' intorno, sedettero, deposti i remi sulla piccola prora, l'una accanto all'altra. E mentre tenevansi soavemente abbracciate, le anime loro erravano negli amorosi pensieri e nelle divine fantasie, che non si risvegliano fuorchè in mezzo a que' luoghi felici, nell'ora splendida del meriggio, mentre al disopra de' casolari d'ogni paesetto del lago vedi levarsi, come nuvoletta sottile, una lunga striscia di fumo, e dai campanili delle chiese sparse sulle montagne odi echeggiare in un aereo concerto il sacro saluto del mezzogiorno. Così stettero per qualche tempo ad ammirare quel delizioso paese, che col suo grande e variato spettacolo di movimento e di quiete, colla sua superba armonia di cielo, d'acque e di monti, ampiamente presentavasi dinanzi a' loro sguardi. Poi, quasi mosse da uno stesso pensiero, gli occhi loro s'arrestarono su quel mucchio di case che formano la terra di ****, cercando sul pendio del piccolo promontorio una casa nota, la quale sorgeva più in alto dell'altre, all'ombra d'un verde poggio. Stettero fisse per lunga pezza alle finestre di quella casa; era là che il loro Arnoldo dimorava. Ma quelle imposte non s' apersero; e per quanto Elisa e Vittorina cercassero con gli occhi, nulla poteron vedere. « Temo che neppure quest' oggi non gli possiam dire una parola, » cominciò allora Elisa. « Fors' egli va errando su per la montagna, » soggiunse la sorella. « O forse.... non è più qui! » « Oh non lo credere! » E poi, come colpita da un'idea: « Vuoi tu sapere s'egli è qui? Poniamci a cantare! Egli ne sentirà, si getterà in una barca, raggiungerà la nostra, e noi saremo tutte contente. A te! » « Ma se nostro padre, di lontano, ci scoprisse?... » « Eh! vuoi che ne proibisca di cantare? E poi, scommetto che adesso è già immerso nella lettura de' suoi eterni giornali: jeri n'ha ricevuto un grosso piego da Londra; certo, per tre o quattr' ore non sente più nulla: dorme nella sua politica. » « Or bene? » « A te dunque! Canta la romanza che quel giovine italiano ha scritta l'anno scorso sul tuo albo. È così patetica, e piace tanto ad Arnoldo! » Elisa non voleva: ma Vittorina, stringendosele più vicino con quel suo vezzo leggiadro, ne la pregava con un bacio. - Ed Elisa cantò. IL RICORDO. CANZONE DI ELISA.

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- Chi sa, dissi fra me, ch'egli stesso, il buon prete, non abbia insegnato a quella montanina codesti semplici versi, modulati su qualche poetica tradizione dell' Alpi! E il mio pensiero, raffigurando la sembianza dell'Assunta, ricordò ancora la fine della povera Angiola Maria, alla quale parevami quasi compiangere quel malinconico canto.

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vedo che tocca a me! la mia voce è più lieta, più viva; se nostro fratello non ,è lontano di qui una lega, scommetto che risponderà al nostro richiamo! » E la gentile sorella si fece essa pure a cantare. La voce di lei era limpida, gioiosa e acuta; e mentre gli accenti che scioglieva dall' innocente suo labbro vibravano in vivace gorgheggio per quell'aria tranquilla, il roseo volto di lei coloravasi d'insolita vivezza, e gìi cechi suoi scintillavano d'una leggiadria, di un fuoco, che parevano chiamare i baci. IL DESIO. CANZONE DI VITTORINA.

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Intanto che la barca leggiera delle due giovinette solca a dilungo le placide acque del lago, entriamo in una piccola casa del paesello, la quale sorge poco sopra della riva, sull'orlo d'una facile discesa, e par quasi nascondersi dietro il lento dosso che forma l' ultima radice della montagna. Un cortiletto le s'allarga sul davanti e il muricciolo che lo circonda cala sino al filo dell'acqua. Sopra la porticella bassa e quadrata, a cui si sale .per quattro scalini rozzi e malsicuri, e sulle due finestre inferriate dell' angusto piano terreno, una delle quali rischiara una, povera ma decente cucina, e l' altra un salottino dipinto a verde ma umido e nudo, vedi stendersi all' infuori un bel pergolato, ricco di novello fogliame e di pendenti tralci gemmati. Al di sopra della pergola s' aprono alcune altre finestre ineguali; e le impannate dischiuse vi lasciano entrare la piena luce di quel bel sole. Fuori d' una finestretta, ch' è presso all'angolo manco della casa, e sul cui margine s'intrecciano e arrampicano i viticchi del convolvolo silvestre tutti fioriti di candide campanelle, vedi svolazzare una leggiera tendicciuola. Era quella la casa del povero Andrea. Colà, pochi giorni innanzi, quell' uomo dabbene era morto, lasciandovi sole Caterina, la sua donna, e Angiola Maria la sua cara figliuola. In tempi migliori, vivente ancora il conte Francesco***, signore della villa, ove in quell' anno abitava la famiglia inglese, fu Andrea il fattor della casa, l'intendente, il factotum di quel buon padrone. Ma com' egli era sempre stato un uomo onesto, così, al contrario di ciò che al solito si vede, benchè agente dell'altrui, non aveva saputo avanzare nulla per sè. E per ciò quando, morto il suo antico signore e venduta la villa, egli venne lasciato in libertà, fu abbastanza contento di potersi ritirare in quell'umile casetta che lo aveva veduto nascere, e dalla quale gli era dato almanco scorgere di lontano il palazzo, come sempre continuava a chiamarlo, il palazzo del vecchio conte. Egli non ebbe più cuore, l'Andrea, di mettersi al servizio d' altri padroni; e neppure per diventare il più ricco fittaiuolo della Bassa, avrebbe consentito di abbandonare la riva del suo lago, l'acqua sulla quale era nato. E se ne morì contento in quel fidato ricovero, in faccia ai monti e al cielo che aveva amato sempre come cosa sua. I suoi settant' anni erano corsi in tanta oscurità, in tanta quiete! Carlo, il suo figliuolo maggiore, era in quel tempo vicecurato in un povero paese della Valtellina: e anche questa fortuna egli la doveva al conte Francesco, il quale alcuni anni prima aveva fondato apposta un piccolo beneficio per il giovine abate. La signora contessa poi, un'aurea donna, piena di bontà e d'amore, avendo messo una singolare affezione nella piccola Angiola Maria, poi che dal cielo le era stata negata la consolazione d'aver figliuoli, si teneva cara quella fanciulletta, come la fosse sua propria. É inutile ch' io vi dica, perchè ben lo pensate, come, ogni volta la buona contessa Anna ne venisse a passare i lieti mesi d' autunno nella villa del lago, la prima cosa a chiedere fosse della piccola Maria. Quella ragazzetta era così graziosa e bellina fin da' suoi primi anni, aveva il volto cosi ritondetto e color di rosa, e i capegli tra il biondo e il bruno così lucidi e inanellati, che rubava al primo vederla i baci e le carezze di tutti. La sua voce ancor fanciullesca aveva già quell'insinuante dolcezza ch'è segno di un'anima timida, amorosa; e l' ingenuo parlare e le schiette domande che faceva, mostravano bene quanto la sua nascente ragione fosse semplice e retta, e la sua mente già commossa dal trepido desiderio di pensare e di conoscere. La contessa Anna dunque rapiva spesso alla madre quella cara creaturina così bella, ch' era la sua piccola delizia. E qualche volta pure la condusse con sè alla città; nè poco ci voleva allora per vincere una certa ritrosia del buon Andrea; il quale finiva con obbedire, perchè la era volontà dei padroni, ma in cuor suo pensava da quella domestichezza co'signori non poterne venir bene a una povera figliuola come la sua. Alla madre invece, la pareva una benedizione del cielo: ella si trovava, è vero, come perduta, quand'era sola, ma il suo orgoglio materno, com'è naturale, n'andava consolato, vedendo crescere così bianca e bella la figliuola, da lei chiamata sua perla, sua ricchezza. Quando la fanciulla si fe' più grandicella, la contessa se la teneva più spesso in compagnia, talvolta per le lunghe ore della mattina, talvolta per l' intera giornata, e le prodigava ogni cura, con sollecitudine quasi materna. Sotto gli occhi suoi, la fanciulla imparò a legger que' libri che sono l'amore delle tenere menti, appena s'aprono facili agli accorti consigli del senno; e di que'libri, una Storia Sacra, tutta adorna di belle figure miniate, era il suo prediletto. Poi, seduta accanto dell'amorosa protettrice, Maria attendeva a qualche gentile lavoro d' ago o di spola; o si piaceva, sullo medesimo scrittoio della contessa, di sgorbiar de' fogli copiando e ricopiando il nome della buona signora e quelli di suo padre, della mamma e del fratello: era la sua gran gioja. Oh! quanto l' amorevole donna sentivasi dolcemente rapita da quell'anima candida e ingenua, vedendola a poco a poco prender come una nuova vita, alle semplici lezioni del bello e della virtù! Oh quanto era commossa dalle parole di Maria che rispondevano alle sue, dall'affetto di quella innocente che le chiedeva la grazia d'un bacio, dalle stesse sue lagrime, quando, per qualche lieve cruccio, il picciol cuore di lei non trovava altra risposta che un largo pianto! Quella era una beatitudine: e non di rado la contessa, dopo avere a lungo contemplata la fanciulla, si faceva mesta, pensava che felicità sarebbe stata la sua, se anch' ella avesse potuto sentirsi chiamar madre, se anche a lei fosse stato dal cielo concessa una figliuola come quella. Ma la felicità di questi anni doveva presto finire. Il conte Francesco morì, e l' ottima sua compagna lo seguì presto nel sepolcro. Erano svaniti i bei sogni di mamma Caterina: il compare Andrea aveva avuto ragione. Angiola Maria non abbandonò più la casa paterna, pur vi crebbe bella e serena com'era sempre stata; perchè quell'impronta virtuosa che il suo cuore aveva ricevuto, non poteva cancellarsi più. Pareva che la giovinetta portasse la pace e il bene con sè; il vecchio suo padre menava giorni tranquilli, d'altro non ragionando che delle sue lontane memorie, de' tempi burrascosi di sua gioventù, e de'suoi buoni padroni; e Caterina divideva colla figliuola le poche faccende della casa, serbando però sempre le più dure per sè; paga abbastanza nella sua tenerezza di vedersi sorridere d'intorno quel fior sì gentile della sua Maria. Solo il giovine vicecurato

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mancava a compire la loro felicità: la parrocchia era lontana dalla sua terra, e la strada rotta e aspra, a traverso di monti e vallate. Nondimeno, una o due volte l'anno, egli veniva nel seno de' suoi cari, veniva a spargere di letizia le tranquille abitudini di quella domestica esistenza. Ma il buon Andrea aveva cominciato a sentire il peso della vecchiezza. Già da tre o quattr' anni aveva appesa sopra il suo capezzale il fedele archibugio, l'unica sua gloria, l' ultima sua amicizia; dopo ch'eragli morto il vecchio cane Azor, stato un tempo custode della villa, poi suo compagno nella disgrazia, Andrea non era uscito mai più alla caccia del gallo di montagna o del camoscio sulle balze del Legnone , nè a quella degli anitrini e degli smerghi nelle paludi di Colico e del forte di Fuentes. Oramai altro spasso non si dava che di pigliar soletto ogni mattina il sentiero della riva, fino all' antico palazzo; e di riposare, in faccia al sole, sul sedile di sasso che stava ancora presso la porta della fattoria. Era la sua abitudine più cara: le ore gli fuggivano in pace; e la sua mente serena gli si dipingeva sulla fronte calva, ma senza rughe. Un giorno, l'ora consueta passò; e come non fu veduto tornare a casa, la Maria ne venne, con passo rapido e con cuore inquieto, fino alla villa; ma si rassicurò quando io vide seduto all' usato posto, che pareva dormisse. La fanciulla s' avvicinò, quietamente sedette presso di lui, e temendo di risvegliarlo, se ne stava a contemplarlo in atto d'amore.... Quando, chinandosi più vicino al suo volto, s'accorse che non dormiva: i suoi occhi erano aperti, travolti, senza sguardo; il capo piegato sul petto, immobile, la bocca stranamente contorta. Allora spaventata si levò, lo prese per mano: la mano era fredda, insensibile: lo chiamò a nome più volte, e non rispose; lo riscosse fortemente... e Io vide cader rovescioni da un lato sopra il sedile, come un cadavere. Diede un alto grido di terrore la fanciulla, chiamò soccorso: due giovani del paese, che passavano al basso della riva, salirono a quella volta; un pescatore non lontano, all'udir quel grido, lasciata la sua barca, accorse anch' esso. Trasportarono a casa il povero vecchio che credettero morto, lo deposero sul suo letto; nè mi domandate come lo ricevesse la sua donna, che lagrime fossero quelle dell' infelice figliuola! - Ma il medico del paese, che non fu tardo a correre, trovò che al pover' uomo restava un fil di vita: colpito d'apoplessia, era morto di mezzo la persona. Andrea si ridestò ancora una volta; guardò, riconobbe quelle sventurate di Caterina e di Maria, e le benedisse co' tremanti segni della mano, chè non potè colle parole. Alcuni dì appresso, egli aveva finito di patire. Gli uomini che fanno vita di mondo dicono che la povera gente ha ruvida la pelle, che il suo dolore è simile alla sua allegrezza, ridicolo e rumoroso, come lo scoppiar de' mortai in una sagra di villaggio; al domani quel ch' è stato è stato. Io non so che sia così, ma son persuaso che il dolore della gente semplice e buona del popolo è più vivo e sincero di quello de' grandi, ne' loro magnifici funerali e nell'ereditarie gramaglie. Fra noi, nelle colte e fiorenti città, gli uomini nascono e muoiono, ridono, piangono, gavazzano e si disperano, tutti nello stesso momento, uno accanto all'altro: spesso un solo piano di casa, una sola parete dividono il delirio di un'orgia dall'agonia di un moribondo: nessuno lo sa, nessuno se ne cura. L'etichetta poi, tra i profumati suoi codici, ha pur quello del dolore: il vestire a lutto è prescritto a mesi, a giorni; il bruno è una legge sancita per tutti, fuorchè pel gran cancelliere di Francia e per i nepoti del papa; padre, madre, fratelli, avoli; zii, moglie, marito, cugini primi, secondi, eccettera, a ciascheduno il suo, nemmeno un' ora di più; è la tariffa del dolore pesato, direi quasi, a once e dramme. Si lasciano le case ov' è entrata la morte, si chiudono a chiave le camere del caro defunto, si spediscono cento lettere dolorose coll'orliccio nero, si fa stampare l'indispensabile necrologia, si ricevon le visite d'una monotona e ceremoniosa condoglianza, si vestono di nero i fanciulletti che sorridono, e il servidorame che susurra, e conta sulle dita il sospirato assegnamento vitalizio. E intanto che si deplora la luttuosa morte, con tutta l' energia della vita si disuggellano e confrontano i testamenti, si frugano e si compitano i codicilli. Ma io venero il dolore della povera gente, quello schietto e rozzo dolore che non conia frasi, e di conforto non vuol saperne. Nessuno, fuorchè il buon campagnuolo, mi parla più del suo nonno buon' anima; nessuno, fuorchè la vecchia massaia, o la sposa de' nostri contadi, quando ricorda alcuno de' suoi che non è più, ne accompagna il nome con quel santo augurio: Gesù per lui! Ma torniamo nella solitaria casetta d'Andrea. giovine vicecurato sedeva presso la finestra del salottino, tenendo nelle mani il suo breviario socchiuso. Egli alzava a quando a quando la testa, e volgendo gli sguardi fuor della piccola finestra, perchè solo il cielo fosse testimonio del suo sospiro, gemeva sommessamente; poi restava immobile, e si lasciava cadere il volume sulle ginocchia. Allora i suoi pensieri erravano lontano ; le memorie del dolore, le memorie di questa terra, si mischiavano alle interrotte frasi dei salmi che le sue labbra recitavano susurrando. Intanto sua madre e sua sorella, affaccendate negli apparecchi d'un parco desinare, andavano e venivano, a passi cauti, in quella e nell'altra stanza, ch'era la cucina; e scambiavan fra loro poche e sommesse parole, per non turbare la sua meditazione e la sua preghiera. Un' ora di poi, il piccolo desco fu pronto La tavola era coperta d'una tovaglia nostrale, ma pulita e bianca; a ciascuno de' tre lati una modesta posata e una seggiola di paglia; all'altro capo della tavola fumava la minestra allora versata in una capace scodella dai manichi rabescati e dipinta di fiori azzurri, avanzo di qualche vecchia eredità. Le due donne sedettero l'una dirimpetto all'altra, senza parlare; e un momento appresso, il prete ripose il breviario, e venne a collocarsi in mezzo di loro. Al cominciar del desinare, che presentava una strana mischianza di festivo nell'apparecchio, e di malinconico nelle persone, nessuno de' tre che vi sedevano, ruppe il silenzio. Guardavansi a ogni poco l'un l'altro; e la madre, trangugiando a stento qualche cucchiaiata di minestra, non poteva distaccare gli occhi dalla faccia del figlio, e pareva fare una gran resistenza al piangere. « Via, mamma, cosa fate? » disse alla fine il prete con certa bruschezza; « non v'accorate in questa maniera: non avete già pianto abbastanza? » « E siete voi che parlate così, don Carlo? » rispose rammaricata la buona donna. « Non v' ho veduto piangere anche voi, che adesso mi rimproverate? Ieri, quando siete capitato qui, e ch' io vi son venuta incontro sull'uscio, non v'ho veduto forse far di tutto per nascondermi le lagrime? » « O mamma! in quel momento.... « Lo so, che faceste per amor mio, per non cruciarmi di più; ma quando avete lasciato cadere la testa, qui, sulla mia spalla, e m'abbracciaste stretta stretta, mi sono accorta che voi piangevate.... E stamane, quando avete fatto quella bella' predica, che non ne ho sentita mai l'uguale, nemmeno in duomo a Como, non avevate anche voi gli occhi rossi, non vi tremava la voce? » « Sì, sì, è vero! buona mamma, perdonatemi! Ma bisogna peraltro esser cristiani, pensar che Dio ha voluto così, che stiamo quaggiù per soffrire, e rassegnarci. Quando ci tocca il male, ricordiamoci del bene che prima il Signore ci ha fatto. Così benediremo sempre il suo nome! Il nostro povero padre almeno è morto vecchio: e non avremmo forse potuto perderlo tanto tempo innanzi, se Dio l' avesse voluto?... » « Oh! tu hai ragione, Carlo, » disse allora sua sorella. « Il Signore non abbandona mai! Lui che ci manda i travagli, ci darà sempre anche la forza di sostenerli. » « Buona Maria, tu sei un angelo. È la tua innocenza che parla: oh che tu possa essere sempre così rassegnata! Tocca a te di sostenere il coraggio di nostra madre.... E anche il mio, sai, perchè sento che ho bisogno delle tue parole; mi sforzo di parer franco, ma sono afflitto e perduto d'animo. » Poi tacevano tutti e tre, e si riguardavano alternamente di nascosto. Solo la vecchia madre, non dimentica delle sue abitudini di buona massaia, levavasi ogni tratto da sedere, per togliere dal treppiè sul quale cuocevano e apprestare a' suoi figli le due vivande da lei stessa ammannite; un piatto di luppoli conditi, e una bragiuola. Ma poi ch'ella era di nuovo seduta, non poteva star di ripetere: « Quando penso che quella buon'anima di vostro padre non ebbe la consolazione di vedervi diventar curato, o don Carlo, nè di sentirvi predicar sì bene, nè provò la gioia di seder a tavola con voi, là, a quel posto ch'è voto, e di bere insieme a voi una bottiglia di quel suo vin vecchio, l'ultimo avanzo della cantina del signor conte!.. E dire, che anche lui, il signor conte, quel re degli uomini, è morto già da tant' anni!... Oh se Dio m' avesse almeno chiamata lassù, me, prima del povero Andrea!... » « Fareste meglio a tacere, cara mamma! Voi siete una benedetta donna! Che pensieri, per carità, che pensieri vi girano in mente! Guardate adesso, col vostro dire, anche Maria non fa che mandar giù lagrime. Via, dunque, parliam d'altro. Di forestieri ne son capitati quest' anno? » « Credo di sì, » Maria rispose. « Certo, » aggiunse la madre: « un signore inglese è venuto a stare nel palazzo, e vi resterà per tutto l' anno. Pochi dì innanzi morire, Andrea aveva parlato a quel signore, e anche alle sue figliuole, che son cosi belle.... E pensare che il pover uomo, adesso, non c'è più! » « Povera mamma! è impossibile parlar d'altro! » disse Maria. « O mio Carlo, almanco tu fossi stato qui cinque giorni fa, quando è succeduta la disgrazia, e io non sapeva travare una parola da dire a nostra madre! Lo domandava io alla Madonna il coraggio, ma alla mamma non sapevo ripetere altro che: Il Signore ha volutoctosì!... E poi, dopo trattenute le lagrime un pezzo, che mi scoppiava il cuore, anch'io finiva a piangere con lei. » « Così l'avessi potuto, com'io voleva, trovarmi fra voi! O Maria, se tu sapessi che colpo fu per me il ricevere la tua lettera, che senza dirmi il pericolo di nostro padre mi fece tremare per la sua vita!... E non poter subito correre a vederlo!... Il curato era anche lui inchiodato in letto da una malattia ostinata: io non poteva, non doveva partire. Il Signore mi consegnò dell'altre anime; non m' era permesso abbandonar quelle, nemmeno per accompagnar l'anima di mio padre nel suo transito da questo mondo. In che stato io mi fossi, pensate! » « Ecco qui! e voi, don Carlo, perchè adesso mi parlate così? Forse per tenermi su allegra? » disse sua madre. « Il signor curato, quantunque si sentisse ancora male, mi stimolava a correr qui; diceva, oh ne lo rimeriti il cielo! che per lui l'andava meglio, e si sarebbe trascinato giù del letto, avrebbe in qualche modo servita la parrocchia.... Io però aspettai ; la più dura prova che soffersi fu questa! Ma c'è sempre il rimedio della provvidenza: due giorni appresso, il signor curato era sano, che l'ho creduto un miracolo. E io partii allora, e fu lui stesso che m' imprestò il suo biroccio, e mi mise le redini in mano.... Ah! speravo ancora d' arrivare in tempo. » « O Carlo, Carlo!... » lo interruppe Maria, scotendo me stamente il capo. « Non fu così! pazienza! » E il buon prete lasciava cader fra le mani la faccia. E qui nuove lagrime, invano soffocate da una parte e dall' altra, affettuose occhiate e strette di mano, come per annodare più forte que' legami d'amore che la morte aveva rallentato. Finito il piccolo desinare, che in quel dì non fu condito nè da fame nè da contentezza, ragionarono insieme de' pochi fatti loro, e di quel ben di Dio ch' era loro rimasto: consisteva tutto in un po' di terra sulla falda della montagna, e in un magro capitale di cinquemila lire, avanzo dei sudori dell'onesto castaldo, e da lui pochi anni prima messo a traffico ne' magli di ferro, là sopra di Lecco. Un altro tenue peculio di tremila lire aveva lasciato la buona defunta contessa, nel suo testamento, in dote a Maria; ma gli eredi, con certe loro scuse di passività da purgare e di attività da liquidare, non avevan pagato mai codesto piccolo legato; poi se n' erano scordati, nè l'Andrea aveva avuto cuore e fronte di cercar più nulla; perchè, diceva, quella era roba dei signori, e in giustizia a lui non avrebbe dovuto toccare. L' unico voto di don Carlo sarebbe stato che le due donne potessero lasciar il paese, e venire a stabilirsi con lui, nella sua parrocchia di Valtellina. E anch'esse lo avrebbero voluto, chè pesava loro il pensiero della futura solitudine; ma la cosa era impossibile. Bisognava vender la casa, vender la terra, fare de' grossi sacrifizi: e tutto questo per andarne a stentar la vita in un paese lontano, solitario, sepolto in grembo d' una vallata infeconda, dove non abita che uno sparso e povero popolo di mandriani e di caprai, i quali al cominciar del freddo lasciano i loro dirupi per calare al piano, nei dintorni delle città, e non tornare alle abbandonate case che allo squagliarsi delle nevi. Nel durar delle lunghe invernate, era colà il buon prete conforto e sostegno d'una grama moltitudine di vecchi, di donne, e fanciulli che rimanevano nell'alpestre villaggio; divideva con loro la scarsa rendita del suo beneficio, e tutti lo benedicevano. - Che avrebbero mai fatto sua madre e sua sorella, in quella solitudine squallida e malsana? « Sentite dunque, » disse don Carlo alle due donne. « Poichè il mio parroco me l'ha consentito, resterò qui con voi, tre o quattro settimane, finchè abbia fatto quel che c'è a fare in queste triste congiunture. Messo che avrò in ordine i nostri pochi interessi, tornerò al mio romitorio. Io per me rinuncio alla parte che mi può toccare, e voglio che quel poco che abbiamo, non è vero, mamma? serva per voi, e per te, Maria, per te, quando troverai qualche onesto partito. E in appresso, se il Signore farà ch' io possa divenir parroco in qualche paese meno triste e più vicino a voi, per esempio, qui sul lago.... allora v'aprirò la mia casa, vi aprirò le mie braccia, e dirò a tutt'e due: Venite a star con me, a consolarmi la vita. Oh allora sì, che mi parrà ancora d'esser felice! » Caterina e Maria furono commosse e persuase; guardavano con tacita tenerezza il prete, che oramai era l'unico loro angelo protettore. E il prete, levatosi e fattosi vicino alla madre, strinse tra le sue mani la destra della buona vecchia che piangeva, e la baciò con verecondo rispetto. Poi la sorella gli stese la sua; ed egli, stringendola del pari, se la pose sul cuore, con una forza d'affetto che non può dirsi. Indi a poco uscì dalla casetta.

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Il giorno se n' andava, e il sole declinando al più sereno tramonto che mai rallegrasse la primavera, spargeva una luce d' oro di fuoco nel purissimo orizzonte dell' Alpi lontane; una luce, scemando a mano a mano nella diffusa interminata armonia degli splendidi suoi colori, dal rosso di fiamma, fino al croceo porporino e al roseo morente nell' azzurro, pareva mandar gli ultimi saluti del giorno alla nostra parte d' Italia. E intanto un leggiero vapore s'innalzava lentamente sulle acque del lago, che risplendevano ancora di quell'argentina e tranquilla varietà de' riflessi dell'occidente, commosse dalla brezza freschissima a una lieve increspatura; un leggiero vapore, che non era una nebbia, ma pareva quell' immenso velo di luce quieta che l' iride quasi sempre spiega al cessar d' un temporale: era come un etereo profumo che si levasse per imbalsamar l' aria tutta pura, e per rivestire di nuova incerta bellezza le rive deliziose. E quel velo trasparente, aereo, dilatavasi a poco a poco in tutto il cielo, conciliando una pensierosa malinconia, che tanto cara alle anime che vivon di sè stesse e delle loro memorie, quando le rapisce la contemplazione dell'infinito, d'onde nè l'occhio nè il cuore vorrebbero staccarsi giammai. Per una stradetta solinga, che discendeva con facile declivio alla riva del lago, se n'andava passeggiando lento lento il giovine vicecurato, e arrestavasi talora, sollevando distrattamente gli occhi al cielo, o fissandoli con una cupa. immobilità sul terreno, cosa come lo movevan le molte angustie in che era posta la sua mente. Erano i suoi pensieri d'una tristezza insolita, inquieta; erano i pensieri del suo avvenire e di quello di due creature tanto amate, e per lui sacre allora più che mai. Alla svolta del sentiero, mentre il prete affrettava involontariamente i passi, quasi tenendo dietro alla foga delle idee che lo crucciavano, uno sconosciuto, il quale presso al margine della strada era seduto sulla rovina d'un di que' rozzi ponti che attraversano i torrentelli lungo le rive, levossi d'improvviso, e chiuso un libro che stava leggendo, s'avanzò incontro al vicecurato, e si tolse, con atto cortese di saluto, il berretto: quest' era un dire: mi preme di far la vostra conoscenza. Era il giovine Arnoldo. Sulle prime don Carlo, il quale aveva tutt' altra voglia che di parlare, e peggio con uno sconosciuto, pensò di rispondere al saluto, e salutando andarsene per la sua via, come fece; ma l'altro, che apposta gli s' era fatto incontro con deciso animo di parlargli, ne lo trattenne con instanza rispettosa, e in atto di scusa gli disse: « Mi perdoni, signor abate, se ardisco così d' attraversare il sentiero della sua passeggiata. Io però ringrazio la fortuna che m' ha fatto incontrar con lei. » « Signore, non so veramente a che io debba questa sua gentilezza. » « Signor abate, lei non mi conosce; non sa nè manco chi io mi sia; e io, al contrario, sebbene non sappia il suo nome, la conosco, e la stimo con sincerità. » « Come? non saprei davvero.... » « Ma prima, mi permetta che mi faccia conoscere a lei quantunque ciò forse poco le importi. Io sono inglese, e mi chiamo Arnoldo Leslie. » « Forse è della famiglia del lord, che dimora là, nella villa ***? » « Si, sono uno della famiglia! sono suo figlio. » Così rispose, con un sospiro represso, il giovine, e ristette pensoso alcun tempo, poi soggiunse: « Stamane, io passava a caso per la piazza del paese: vidi aperte le porte della chiesa, ove, nella loro divota sincerità concorrevano i contadini d'ogni parte, e udii il suono d'una voce che parlava, alla raccolta moltitudine. Non so da che proposito fossi condotto, quando venni nel piccolo tempio; so bene che appena v'entrai e intesi poche parole di quel discorso, mi sentii conciliato a certa tristezza, a cui mal non rispondevano i miei poco lieti pensieri. » « Oh! se le pareti d'una povera chiesa di campagna sono meschine e nude , le rende auguste la solennità de' misteri che vi si celebrano » « Ma voi parlaste a quella gente con tale semplicità d'affetto e di parole , che non credetti quasi a me stesso, tanto io era lontano dall'aspettarmi di trovare in un oscuro presbiterio chi ragionasse di Dio e della virtù con tale mitezza di pensieri, e insieme con tanta efficacia. Oh! l'ho sentita nel mio cuore, e letta su quei volti rozzi e intenti de' vostri ascoltatori, la pietà semplice e religiosa, quella pietà che finora non ho incontrato mai nè sotto gli archi de' santuarii delle più popolose città, nè in Roma stessa, tra le superbe pareti di San Pietro. » « Mi perdoni, signore! mi vuol far merito di quanto, forse, fu solo effetto d' un particolare sentimento del suo cuore. D'altra parte, io non dissi se non quello che l'anima mia, e la povera condizione di que' buoni contadini, mi chiamavano alla memoria. » « Oh! io me n' avvidi, signor abate; voi parlavate secondo il cuore, e il cuore è tutto! Ma quando uscii della chiesa, più che non maravigliassi della schietta sapienza delle ascoltate verità, sentiva in me stesso il desiderio di conoscere più davvicino colui che le aveva pronunziate. Si! non solamente nella sua voce e nell'efficace convincimento delle parole, ma nel suo volto, nel girare degli occhi, nella commozione che tutto l'agitava, indovinai in lui un uomo d' alti pensieri e d'anima generosa, l'uomo che ha sofferto e pianto, che ha studiato e conosciuto, l' uomo della sventura e del sacrifizio. » « Lei si piace, signore mio, di far del romanzesco, io credo! » disse don Carlo, con un cotal sorriso di scontento, « No, non è così! » riprese serio il giovine, a cui quella dura risposta spiacque. « Ma fa meraviglia l' udire » soggiunse il vicecurato « che un giovine, pari suo, nell' ardore dell'età e della fortuna, s' occupi di cercar quegli uomini oscuri e per lo più dal mondo disprezzati, che vivono in un cantuccio della terra, per consacrare questi poveri anni al bene di pochi loro fratelli. Del resto, le confesso, non vedo altra generosità nel sacrifizio che feci, se non quella che mille altri, al par di me, conduce per la stessa via. » E coteste parole egli diceva, con certa poco nascosta intenzione di tagliare a mezzo un colloquio che gli pareva strano, e l' impacciava. Ma il giovine Arnoldo, benchè il vedesse, dimostrò di non se ne accorgere, e continuò con un far d'amichevole premura, mentre teneva dietro a' passi del prete, che lentamente s'era mosso per il suo sentiero: « Ben lo vedo, voi siete sorpreso, forse, che un uomo, nato sotto altro cielo, cresciuto ne' principii di un' altra fede, venga qui a cercar la conoscenza d'un prete cattolico, in un paese romito, senz' altra ragione o scusa, che quella d' una sua buona volontà. Vi parrà, certo, un capriccio.... Ma se sapeste! Io son solo! e spero d'aver ritrovato in voi un' anima che m' intenda e mi compatisca... Oh perdonatemi dunque! » O mio buon signore, questa simpatia, non so dire, se di pensieri o di sentimenti, che vi spinse a cercar di me, solo perchè il caso vi portò a intender poche parole, che non son già mie, ma del Vangelo; questa simpatia vostra, credo, scemerebbe ben presto, se poteste gettar uno sguardo nel mio cuore. Esso è come un libro di poche pagine, una storia di solitario dolore; e la storia del dolore è sempre monotona e grave ad altrui! » « È dunque vero?... e a ciò io m' aspettava. Voi dunque avete sofferto?... » « Ma, buon Dio! cosa domandate voi da me? » « Quel ch' io domandi? nol so. » E il giovine rimase di nuovo mutolo e pensoso. E intanto; seguendo quasi involontariamente il pendio del sentiero, erano discesi a lenti passi fin presso la riva del lago; poi, continuando taciturni tutt' e due per la costiera folta d'arboscelli e cespugli, salivano dall' altro lato del ridente promontorio di****, donde, nell'orizzonte più vasto e vaporoso, la più bella ed estesa parte del Lario, illuminata da quel pacifico tramonto, spiegavasi in magica lontananza agli attoniti loro sguardi. Ma il vicecurato, più sovente che non riguardasse ad uno spettacolo ben noto al suo cuore, volgeva gli occhi alla fisonomia del giovine inglese; il quale sollevava la faccia commossa da non so che di mesto e sdegnoso insieme, come chi frema d'un pensiero che vorrebbe cacciarsi di mente e non può. Pareva che il prete volesse indovinare i segreti di quell'animo giovenile e ardente, che per certo non aveva volontà e affetti quali tutti hanno: e sebbene don Carlo sentisse, in quel doloroso momento della sua vita, desiderio di tutt'altro che di nuovi amici, pure la strana maniera con che il giovine forestiero gli cercò amicizia e conforto, la sincerità che rivelavasi nell'espressione malinconica della sua brama, e anche la speranza di poter in qualche modo far del bene a un'anima creata forse per miglior destino; tutto parve s' unisse nel suo cuore a consigliarlo di rispondere a quel fraterno richiamo. Arnoldo intanto camminavagli a fianco, e tuttavia nutriva pensiero di acquistarsene la fiducia, perchè le parole gravi e contegnose del prete gli dimostravan chiaramente ch'egli non era di coloro i quali, nel volger d' un' ora, ti sono amici; amici a posta d' ognuno, che ti rubano i tuoi e ti vendono i loro segreti, se pur ne hanno; che si sfiatano in protestazioni di servitù e di fede, poi il di appresso, se avviene, ti rinfacciano amaramente l'angoscia che hai deposta nel loro cuore; usurpatori del nome santo dell'amicizia, infami che ti si prostrano a' piedi quando buona fortuna ti sorride, e dappoi, dove ti colga sventura, ti gettano il fango sul viso, ti guardano in cagnesco e sogghignano. Ad Arnoldo dunque non increbbe quell' esitanza del giovin prete, quell'inquieta tema d' aprire il cuor suo, che rivelavano in un'anima severa e forte un pudore quasi verginale. Egli vide però che, per farsi amico di quest' uomo, gli era d'uopo avvicinarsegli con semplicità e fede, dimostrargli di esser degno dell'affetto che a lui domandava. Gli si rivolse quindi, e: - « Mi rincresce » disse « d' avervi forse sviato dal vostro diporto della sera. Se la mia compagnia vi disturba, vi prego di scusarmi; e vi lascio. » Don Carlo, il quale un momento prima avrebbe forse risposto: - Fate come v' aggrada, - allora conobbe che la scusa del giovine forestiero era dettata da una dilicata civiltà, schiva sempre di troppa instanza; e senti un segreto rimorso della ritrosia con cui prima ne aveva accolto le parole. E poi, se in quel momento si lasciavan così, forse tutto era finito tra loro. Perciò, quando Arnoldo si volse per riprendere il già battuto sentiero, e' gli accennò di fermarsi, e disse: « Oh no! signore: la vostra compagnia m'onora, e vi son grato. Oggi poi, massime in questo momento, ho bisogno di distrarre i miei pensieri, perchè la vista di questi luoghi, in vece di consolarmi, come io sperava, mi rattrista. Non so se questo giovi; ma la memoria, che ha gran potere sopra di noi, la memoria, qualche volta pesa e opprime. In questi luoghi vissi fanciullo, vissi circondato d' illusioni e di poesia, accarezzato dalle speranze, e adesso.... » « Eppure io credeva » Arnoldo rispose « che una scena bella com' è questa potesse calmare il dolore di qualunque ferita morale. È qui che s'impara a pensar veramente; qui il cuore è libero e largo. La solitudine è madre de' grandi concepimenti, e in faccia a questa natura sempre stupenda e tranquilla.... » « Ah, non v' illudete, o signore! È questa una parte di terra, come qualunque altra; anche qui il dolore ha la sua casa, il dolore più grande forse della consolazione che pur vi si ritrova. Se non temessi d' annojarvi, ve ne darei un testimonio in me stesso. Credete a me, la natura è dappertutto bella e amica, e gli è dal nostro cuore che nasce la sventura; anzi, bisogna dire che noi stessi la vogliamo, bisogna credere il dolore una necessità, com' è il desiderio d'esser felice. Signore! la mia tristezza contrasta colla serenità del giorno che tramonta. » - Indi a poco soggiunse con voce tremante di commovimento : - « Ma, s' io vi dicessi che, appena cinque giorni fa, in questi luoghi, è morto mio padre, che alla sua vedova e alla figlia sua non rimane più nessuno al mondo, tranne il povero prete che vi parla?... Oh pensando a loro, bisogna ch'io pianga!... » Arnoldo sentì stringersi il cuore: la verità di quel filiale cordoglio lo compunse vivamente; e il pensiero tremendo, improvviso, ch' egli pure forse avrebbe potuto perdere un padre, il vechio padre che l' aveva sdegnosamente cacciato dal seno, lo toccò d' involontario raccapriccio. Egli prese allora la mano del giovin prete, e la strinse in atto di affettuoso rispetto. Intanto, s'era fatto notte. Don Carlo levò gli occhi, e: « Vedo » disse « là in fondo, tra quel gruppo di case, un lume passar dall'una all' altra finestra della mia dimora. Là stanno le due donne abbandonate; esse m'aspettano, e io so che han bisogno di consolazione. Permettete dunque, signore, che vi lasci: però vi ringrazio di cuore della bontà che mi avete dimostrato, e vi domando scusa della mestizia delle mie parole. Perdonatemi; e se mai non vi fosse discaro di visitare un prete sconosciuto e solitario, quella è la mia casetta Voi siete così cortese, che vi rivedrò sempre volentieri. Buona notte, signore. » E se n'andò. Arnoldo stette ancora per lungo tempo in quello steso luogo; chè la notte era bella e stellata, e il suo cuore commosso da mille pensieri.

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Un letto di foggia antica, e chiuso da verdi cortine di seta, era collocato nell' alcova che s'apriva nel fondo: allato, un gran seggiolone a bracciuoli coperto di velluto damascato, una tavola con le gambe a rabeschi, e sopravi una guantiera con tazze di cristallo e vaselli d'argento. Pendevano dalle pareti antichi ritratti di famiglia, quell'ultime memorie de' nostri vecchi, che oramai non hanno altro rifugio che i cameroni e gli anditi buj delle ville deserte, se pur non albergano capovolti, in mucchio, su le soffitte o ne' soppalchi delle nostre case, o non sono dagli stessi figli e nipoti, come succede, mandati all' incanto su pe' muricciuoli. - Un armadio di legno nero intarsiato, uno scrittoio ingombro di carte e libri alla rinfusa, e poche seggiole rivestite di coperture di scia verde, compivano la suppellettile di quella trista dimora. Già da venti lunghi giorni il lord era là, inchiodato nel suo letto dall'improvviso malore che l'aveva colto; era là, con la sola compagnia de' suoi foschi pensieri e delle sue speranze antiche, richiamate con un accoramento febbrile, assaporate quasi, per crucciarsi l' animo con la loro memoria. Le sue figliuole, que' due angioli che il Signore gli aveva mandato, perchè fossero la sua più fedele consolazione nella vuota esistenza, pareva gli venissero in uggia anch' esse. Quand' erano a fianco del suo letto, sedute insieme nell' ampio seggiolone, con le leggiadre lor teste abbandonate su gli stessi origlieri che lo sorreggevano, quando venivano a confortarlo con quelle parole che a' figli nessuno insegna, e ch'essi soli sanno trovar così bene, egli non sentiva l' armonia delle care voci, che dovevano versare sul suo cuore ferito il balsamo dell'amore. Assorto ne' pensieri che lo facevan dispettoso d'ogni altra cosa, voltavasi bruscamente dall'altro lato, se una d'esse lo chiamava teneramente col nome di padre; poi le congedava con mal piglio , dicendo di volere star solo e di non aver bisogno delle lor fanciullesche carezze. Piangevano silenziosamente le buone giovinette al suo duro parlare, e se n' andavano mute e lente; ma, uscite appena, compativano tra loro al povero padre, chè il male l'avesse fatto inquieto e aspro; e si confortavano a vicenda ad aver pazienza, chè forse, con l'amorose loro sollecitudini, avrebbero medicato il suo dolore, e vinta la sua ostinata tristezza. E si fermavano nella vicina stanza, origliando a ogni più lieve rumore; riscosse, appena che uno sfogo improvviso di tosse turbasse il caro ammalato, accorrevano di nuovo al suo fianco; e lo pregavano, col pianto sugli occhi, che per amor loro bevesse alcuna delle pozioni che gli apprestavano a temperare quella sua angoscia convulsiva. Ma non gli svelarono mai che un medico le avesse ordinate; sarebbe stato un dirgli di spezzarne le bocce contro la parete: bensì, con pietoso inganno, l'assicuravano sempre ch'eran semplici calmanti da esse loro apparecchiati. Ma le innocenti non sapevano come la principal cagione di quel male fosse l' ira dell'egoismo ingannato che lo rodeva, fosse l'estrema rovina delle sue lunghe fatiche, l'ultimo crollo d'un edilizio a cui per tutta la vita aveva lavorato, l'edifizio della sua grandezza! Le novelle venutegli d' Inghilterra per lettere e per gazzette, e confermate pur troppo presto, avevano rivelato a lord Leslie come tutto il suo credito, un tempo così potente, fosse perduto; le sue mene politiche cagionare la caduta della sua stessa fazione; e le nuove elezioni della sua contea, ultima speranza a lui rimasta, esser cadute sopra individui della parte opposta, e, fra questi, sul più conosciuto suo nemico politico. Di più, gli toccò perfino di leggere ne' giornali rapportata la, sua rottura col figlio, travolta, esagerata, come si suole; commentata a suo discredito , quasi fosse stata una domestica tirannide. Tutto ciò, e anche meno sarebbe certo bastato, fini a suscitare nella sua logora salute un subitaneo rovescio; la malattia, che da gran tempo covava, si spiegò violenta; senza l'amore e la paziente attenzione di quelle soavi creature d'Elisa e Vittorina, lord Leslie avrebbe forse dovuto soggiacere a tale ultima offesa dell'orgoglio vulnerato. Non era il mattino, ed Elisa, a passo cauto, leggiero, entrava nella camera del padre ammalato; il suo cuore batteva di speranza e di segreto timore. Ella rimosse con mano tremante la verde cortina dell'alcova, si sollevò lieve su la persona, e guardò. - Suo padre pareva dormire d'un sonno tranquillo; perchè il respirar di lui non era più sì affannoso, e la calva sua fronte, che ombravano due ciocche di grigi capegli, era pallida e serena. La buona figlia sentì allargarsi il cuore, levò al cielo gli occhi, domandò una benedizione all'anima di sua madre, affinchè le desse forza di compiere il generoso proposito, per cui quel giorno ell' era venuta, così di buon' ora, nella stanza paterna. Poi lenta avanzando, s' adagiò cheta cheta nella seggiola, accanto al capezzale di suo padre; e abbandonata a' pensieri ond' era pieno il suo animo verginale, si perdette ne' sogni dell'avvenire, in quell'estasi che un' intemerata speranza dipinge come d' un' iride di felicità. Intanto, senza ch'ella se ne fosse accorta, il padre s'era desto; e il primo oggetto che gli appariva, era l'amorosa fanciulla sedutagli accanto, era quella sembianza angelica e pura, che la faceva parere cosa non mortale. Il vecchio, senza pur muoversi, la guardava, nè ancora ella s'era riscossa; la guardava, mai non l' aveva creduta così bella. - Povero padre ! quel pensiero d'innocente orgoglio nasceva nel suo cuore forse per la prima volta! Continuava a contemplarla; sentiva un piacere mite, segreto, che non aveva provato mai. Allora trasse una mano fuor delle coltri, e strinse con dolce forza il braccio che la figlia pianamente aveva poggiato su la sponda del letto. Elisa a un tratto si risentì, le parve che il padre leggesse ne' suoi pensieri, che quello sguardo la penetrasse sino al fondo del cuore.... I suoi sogni eran così belli! Arrossendo per subitanea tema, si chinò verso di lui, e disse: « O mio padre! io era venuta a spiare il momento che vi sareste svegliato, e intanto i miei pensieri m'avevano rapita lontano lontano, ch'io quasi vi dimenticava, mio caro povero padre! » « Buona Elisa! tu mi vuoi bene, lo so! tu mi sei cara, adesso più che mai! » rispondeva l'ammalato con tale accento di mitezza insolita, che la figlia non credette quasi a sè stessa. « E potrei non amarvi? Ma ditemi, prima, che avete passato una notte quieta, che state meglio d' jeri.... » « Si, sì! Sto bene, bene da vero. » « Corro dunque a dirlo a Vittorina, che aspetta qui fuori questa buona novella. Pure, siete assai pallido, e la vostra mano arde e trema... » « Non importa, sto bene! perchè, sappi, il mio male è qui, qui dentro!... » E con la destra si premeva il cuore. « O padre mio! che pena mi danno le vostre parole! No, non dite così; dite che noi possiam consolarvi, poichè nostra è una parte del vostro dolore! Fatevi cuore, siate giusto con voi medesimo! E se troppo vi pesa, come, dite voi, la cattiveria degli uomini, oh copriteli di disprezzo, d' obblio! E guardate a noi, pensate alle vostre due figlie, e anche al vostro.... sì, al povero.... » Ma s' arrestò d' improvviso, e chinò gli occhi a terra, sbigottita da uno sguardo terribile di suo padre. « Finite! Che cosa volevate dire? » chiese il lord, con tuono severo, ma fatto più dolce in viso. « Oh nulla! » Elisa rispondeva: « non so , io parlava come il cuore mi suggeriva.... mi compatite? » « No! voi lo sapete pure, che non si deve pronunziar quel nome dinanzi a me: bisogna dimenticarlo! » « Dimenticarlo?... non lo potrei. È mio fratello! » « Egli non è più mio figlio, e non lo vedrò mai più! Ho cancellato dalla memoria anche il suo nome. » « Dio! s' io fossi quell' infelice, ne sarei morta! » « Tu, buona fanciulla, non m'avresti fatto il male ch'egli mi fece! « Ma se ora ne piangesse, se non parlasse che di voi, se non avesse in cuore altra speranza che del vostro perdono, che di vedervi ancora una volta? » « Egli? come t' inganni! Tu non conosci gli uomini non sai come certi cuori son fatti! V' ha de' figli che calpesterebbero il cadavere del padre, se fosse messo a traverso della loro via!» « Ah non parlate così! Egli.... era buono; e forse, se il vostro sdegno.... » « Eh non sai tu, che quell' uomo ha rovesciata la mia più lieta fortuna, l' opera di tutta la mia vita? Egli è, che ha gettato nel fango il nome di suo padre, egli che mi lima i giorni, che mi precipita prima del tempo nella fossa! » - E il lord s' era levato su la persona: il suo volto ardeva di tutto l'antico sdegno: ma, indi a poco, raccolse le coltri, e s'abbandonò, come oppresso, sugli origlieri, dicendo con voce mutata: - « Via, non parliam più di lui! non affrettiamo con impeto inutile quell' ora che non tarderà a venire! Povera Elisa! tu sola mi resti, tu che intendi che cosa sia il segreto dolore di tuo padre. Tua sorella è troppo giovinetta, è ingenua, spensierata; essa vede le rughe della mia fronte, non la ferita del mio cuore. » « O padre, se lo sapeste, non io sola, ma tutti piangiamo per voi.... Oh! ricordatevi che l'ultimo voto di nostra madre fu la felicità e la pace di noi tutti.... e che invece!... perchè, anche lui...« « Lui! sempre lui? Lo sa forse ch' io sono qui, presso a morire, in terra straniera, e per sua colpa? Io giuro che se lo sa, ne ride! « « Gran Dio!... » proruppe la figlia, e si coperse con le mani il volto già bagnato di lagrime. « No, non è vero!... oh se vi dicessi!... » « Ma voi, che sapete di colui?... dov' è? dite.... dite! rispondete a vostro padre.» « È qui!... » balbettò allora, con voce timida e sommessa

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Son due mesi che sta in una povera casa, non lontano di noi, nascondendosi a tutti, e a voi più che a tutti, perchè l' avete con tanta collera discacciato. Era questo il nostro gran segreto!... Oh perdonateci! Quante volte volle tornare, gettarsi dinanzi a voi, stringervi le ginocchia, giurare di sacrificar tutto al menomo volere di suo padre!... » « Che sento? Lui qui?... S' è dunque dimenticato che nulla v' è più di comune fra noi? E perché non è partito? perché non lascia ch' io sopporti in pace questo male? « È che aspetta il vostro perdono.... » « E intanto che aspetta.... io qui finisco, dimenticato da, tutti.... Oh! aspetti, aspetti pure, ch' io morirò ben presto, e porterò con me nella fossa il nome di mia famiglia!... Ahimè, che ho vissuto infelice, per morire infelice! Oh s'egli non avesse spezzato ogni legame fra noi, se venisse a so- stenere il mio capo, a dirmi una parola di compassione!... Ma no! non verrà. Il suo cuore non è impastato che di bassezza e d'egoismo. Se fosse qui, mi lascerebbe languire, finire così, senza cercar di vedermi? « Ah signore, voi lo dite? sì, ditelo un'altra volta, e lo vedrete inginocchiarsi a' piedi del vostro letto, piangere, domandarvi la vostra benedizione! Ricordatevi, padre mio, ricordatevi che siete voi che l' avete respinto! Dite adesso una pietosa parola. Ma, voi l' avete già detta!... e Arnoldo, lasciate ch' io vi confidi tutto, Arnoldo è là che v' ascolta, che piange nelle braccia di Vittorina.... » E così parlando con inesprimibile dolcezza d'amore, essa correva affannosa all' uscio della stanza, e: « Vieni » diceva, « mio povero Arnoldo, vieni! tuo patire ti perdona! ah ringraziane Dio!... » Entrava Arnoldo, pallido, sommesso, fatto umile da' gran dolore. Il veder suo padre così mutato, così invecchiato in due mesi gli spezzò il cuore d' affanno. In quel momento, egli sentiva la forza di rinunziar per lui a ogni speranza, a ogni volere. Oh! nulla avrebbe osato negare a quel vecchio, che per la prima volta vedeva giacere oppresso, sotto la muta sentenza d'una morte aspettata. S'avanzava lentamente, s' avvicinava al letto, china al terreno la testa, coprendosi d'una mano gli occhi; piangeva, nè sapeva trovar parole a spiegare la piena degli affetti, che sì forte in quel momento lo conturbavano. Rivedeva suo padre, lo rivedeva più mite e meno ingiusto; e la speranza di consolare i giorni travagliati di quell' uomo caduto gli faceva parer men dura la parola d' accusa che stava per pronunziare contro sè stesso. L'immagine di un padre prostrato in prematura vecchiezza, portante il pesa d'una sciagura, quantunque voluta, lo ferì nel più vivo del cuore. E cadde in ginocchio a' piedi del letto di lui. Lord Leslie sentivasi, pur non sapendo come, trascinato da un' angoscia segreta a perdonare, a dimenticare il passato, a rivivere come un tempo nell'unico suo figlio. Sollevossi allora sul letto; e alzando la testa calva e superba, nell' impeto d' un prepotente pensiero, stes la destra ad Arnoldo; il quale con rispetto la strinse, chinando su quella la fronte. Ma il lord non disse parola; il suo volto non fu rischiarato dal sorriso, il suo sguardo non si levò al cielo. Fu una pace gelida, incerta. Pareva che un destino, col quale entrambi avessero tentato di lottare invano, li riunisse in quell' ora. Nel cuore del figlio, l' interno contento era temperato da grave dolore, ma nel suo volto, più che gioja e dolore, leggevansi timidezza e rispetto: in vece l' impassibile e severa fronte del padre non era da nessun affetto rasserenata; le rughe, che da tanto tempo la solcavano, non erano scomparse; gli occhi suoi non bagnò mia lagrima, il suo sguardo fu lucido e fisso. - Era Io strano e fiero contrasto di due cuori concitati, diversi; e quasi faceva terrore la verità di quella scena semplice e muta. Ma le due giovinette eran tutte commosse. Elisa, piena di gioja, perchè questa pace era stata opera sua, nascondeva nel seno della sorella il volto e le lagrime di tenerezza. Vittorina teneva fissi gli occhi sopra di lei, e col sorriso d'un gaudio celeste la baciava in fronte.

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Tacquero entrambi un poco; poi Arnoldo, come facesse forza a sè medesimo: «Amico» interrogava, «parlatemi di cuore: quanto avete scritto qui, lo sentite voi veramente? Crederò che il vostro cuore abbia per sempre trovato, come lo dite, quel riposo, quella rassegnazione, incredibile virtù, per cui la fede divien coscienza in voi? » « O amico » rispose l' altro, « fin adesso noi non abbiamo mai seriamente discorso intorno a così gravi cose; ma io ben conobbi tutta la vostra vita dal primo giorno che mi sono incontrato con voi; ho penetrato il vostro cuore e la sua piaga... Lasciate che la scopra a voi stesso; è la mancanza d'una fede!- Povero giovine, vi compiango! » « Oh sì! » proruppe l' altro, dopo una solenne pausa, « compiangetemi! Non so dire che tumulto s'agiti qui dentro talvolta! Non so dir con quale ardore cercassi anch' io questa che voi chiamate virtù, certezza e verità, la fede! Ma non la trovai. Tutto calpestato, tutto disseccato e morto! Ond' io penso che questa lede non sia che il rifugio dell' anime semplici, ingenue, fiacche: in quanto a me, non la vidi che in una povera chiesa di montagna, in un' officina, in un tugurio.... e, anche là, fu un mistero per me! Ma voi.... ma chi ha dubitato una volta, chi ha pianto per la sete dalla scienza, chi ha numerato in un cuore i battiti della virtù, e le convulsioni del delitto.... Oh vi credeva di tempra più forte e disdegnosa! » « Uomo ingannato! tu non sai quanto ti costi la tua illusione, o che debolezza sia questa che tu stimi forza! Tu non vedi con quell' occhio di pace con che io guardo uomini e cose, per ascendere fino a Colui che gli uni e l' altre ha fatto. Ma forse, verrà qualche momento nella tua vita.... » « Via, lasciamo un proposito, del quale non possiam convenire, nè per questo si turbi la nostra amicizia.... Ma l'ora è tarda, e non vorrei che il cattivo tempo ne cogliesse. Seguitiamo per quella via, se vi piace, e torniamo a casa dalla parte di terra. » L' altro si mosse senza far nuove parole; ma nel resto del cammino, fin al paese, il loro ragionare fu contegnoso e più cauto del solito.

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Il giovine non puo esser mesto a vent'anni, egli non vuole allora la malinconia e la meditazione, ma ha bisogno d' un affetto più potente che l' aiuti, e gli faccia sentire il fremito della vita; sia l'amore o l'ambizione, la gloria o la scienza, sia l' avvenire o la fede che lo commuova, è forza che il suo entusiasmo si nutra e viva. Guai a chi a vent' anni ha il fiele dell' amarezza nel cuore, e il ghigno del disprezzo sul labbro nella solitudine, nella pace della campagna, che il giovine è più inchinevole alla dolcezza degli affetti. Nel seno d' una bella e tranquilla natura, noi siamo, o almeno ci par d' essere, più virtuosi; crediamo più facilmente all' amicizia, ascoltiamo il consiglio della benevolenza, gustiamo la pietà, cerchiamo l' amore. Non tutti pensano che sia così, ma non importa: non sono io il primo che così pensi e creda. Arnoldo, fra gli altri, così credeva. Nella vita solinga, abbandonata, ch' egli menava in quel villaggio, presso al padre, alla famiglia, e pur costretto a nascondersi, a divorare in segreto il suo cordoglio, aspettando con fiducia che qualche propizio incontrò lo riconducesse al seno de' suoi, la conoscenza del giovine e saggio vicecurato era stata una gioia, una fortuna per lui. Trovandosi solo, sentiva la necessità di cercar un amico che temperasse il suo sconforto, e lo compatisse. E questa così cara, amichevole servitù nessuno gliel' avrebbe potuta prestare meglio che don Carlo, il quale de' dolori di questa terra aveva abbastanza veduto per poterli prendere sul serio. Qui Arnoldo gli scoperse il perché ruppe col padre suo; e di quell domestica guerra, di che molti avrebbero riso, egli vide e conobbe tutta l' acerbità e il disgusto. E non solo ne patì lui per l' amico, ma gli consigliò di tornare in pace a ogni patto, dicendogli che la collera del padre non podeva esser vinta che dall'amore delle sue sorelle. Ma quando Arnoldo si rallegrava con sè stesso dell' amico acquistato, una memoria più cara gli si risvegliava nell' anima. Si ricordava di quel giorno in cui ascoltò la predica del vicecurato, là nella chiesa del paese. Pensava a quella bellissima e modesta creatura, che aveva veduto pregare, inginocchiata presso la madre; a quella sembianza malinconica e pur così serena nel dolore, a quel volto candido sotto il nero zendado. Egli aveva accompagnato con la sua preghiera quella che allora fece l'anima travagliata della fanciulla. Poi si ricordava che il giorno appresso, quando andò a visitare il prete nella povera casetta, rivide la fanciulla, e al rivederla si turbò : ella invece non aveva sol- levato gli occhi, come non si fosse accorta di lui; e la piccola scortesia di lei gli dispiaceva ancora. Questa memoria la serbava come un segreto; ma non ardiva interrogare il proprio cuore; quantunque il dubbio, in cui era, gli fosse assai penoso. Ma poi, col tornar ch' egli fece alla casetta del lago, e quando, più dimestico con le due donne, vide la semplice bonarietà della madre dell' amico suo, e scoperse l' anima delicata e sensitiva della sorella di lui, cominciò a provare una gioia tranquilla e solitaria, una consolazione che non aveva gustata da tanto tempo. Respinto dalla sua, parevagli quasi d' aver trovato un' altra famiglia; i suoi pensieri, prima agitati da un gran tumulto di cose, i dubbi cocenti che sempre lo travagliavano, le speranze incerte, le visioni che disturbavano i suoi sonni e la sua solitudine, svanivano; e il suo cuore ritornava sereno, si riposava, appena passasse il limitare di quell' umile casa - dove non era nessun rumore, fuorché il lento batter del fiotto al basso del muricciolo dell'angusto cortile ; dove non era nessun' ombra fuor quella della vecchia vite che, salendo bistorta accanto all'uscio della casa, vestiva il pergolato. Al primo avvicinarsi a Maria, egli non poco si maravigilò, ché gli parve di trovare in essa una rara modestia, una riservatezza semplice insieme e sicura, insomma una soavità di costume, che, di subito, annunziava non solo la bellezza nativa del cuore, ma anche lo studio, la squisitezza de' modi. Il portamento di lei era timido, ma aveva un non so qual vezzo: il sorriso rado e quieto, il parlare assai modesto, ma schietto; quel che più toccava il cuore, era il suono dolcissimo della sua voce. Ella portava sempre un vestitino semplicissimo, povero ma lindo, e fatto da lei stessa; i suoi bei capegli eran pettinati con gran cura; le sue mani bianche, come quelle d' una damigella. Ben vedevasi com' ella conoscesse d'esser nata in umile stato, ma pur non avesse dimenticata ancora la gentilezza delle consuetudini d'una volta, la più eletta educazione della sua prima età. Arnoldo vedeva Maria taciturna e pensierosa. Egli non le aveva parlato quasi mai, quantunque venisse sovente; il più delle volte ella e sua madre non discendevano nel salottino, quando il giovine vi si trovava in compagnia del vicecurato. Quindi Arnoldo ardeva dal desiderio di conoscere i pensieri di quell' anima pudica e ritrosa, che pareva chiudere in sè stessa un tesoro di dolcezza e d' amore. E cominciò a pensare che la giovinetta doveva sentir con dolore la povertà della sua condizione, perchè il suo cuore era stato un giorno accarezzato dalle grazie della vita; a pensare ch' ella aveva la virtù d'esser felice ancora nell'oscura sua tranquillità, e che forse sentiva più forti que' nobili affetti di che suo fratello gli ragionava sempre con tanto ardore. Arnoldo aveva egli potuto leggere nel cuor di Maria?... O era il suo un incauto sospetto, un fumo che appanava il limpido specchio di quell' anima pura? L' idea che Maria fosse degna di miglior sorte, la fiducia di sollevarla, di darle una vita novella, lo sedusse, lo vinse: il suo pensiero non corse più in là. S' abbandonò a nuove e gentili illusioni: un amore poetico, misterioso, un amore non rivelato, e tranquillo ancora nella sua purezza, gli suscitò nel cuore altri sogni da quelli che aveva fatto prima, e gli promettevano tuttavia qualche cosa di celeste in terra. Questo amore era il suo più prezioso segreto; uno sguardo, una parola non l' avevano tradito ancora. Dopo molto esitare e molto pentirsi, risolvette di tacere e aspettare, con la sola speranza che la simpatia di quell' anima candida nascesse spontanea per lui.... Nel principio dell'amore, il giovine non pensa che al suo cuore basterà per poco quella solitaria delizia; ch' egli ben presto cercherà, vorrà corrispondenza d' affetti; non pensa che tranquillo può essere il sorriso della virtù, non quello della passione, e che; sparita la prima aurora dell' amore, esso non gli dipingerà più la vita co' suoi bei colori; ma l'abitudine l'avrà circondata di muta nebbia, e allora verrà il tempo del disinganno, fors' anche del rimorso. E non era la prima volta che Arnoldo amasse. Ma erano stati amori d' ebbrezza e di delirio; amori di un giorno, d' un' ora: visioni fugaci e lusinghiere di donne bianche e rosee, di semidive trasparenti sotto i ben foggiati merletti, in un' onda di trine e di veli, ne' molli velluti, o nelle pellicce profumate; erano stati capricci di facili seduzioni, usurpate dolcezze, e misteriosi ritrovi; gioie sparse di fiele, e sfuggenti più rapide che non fosser venute, lasciandosi dietro un torpore, un tedio; se pur non era affanno e dispetto. Fino allora, dell'amore egli s'era fatto giuoco, come le donne s' eran fatto giuoco di lui: le grandi, le infelici passioni, colle quali si pretende di dare una tempra romanzesca alla nostra società, soleva chiamarle le passioni a buon mercato. Si può perdonargli, perchè quando amò per la prima volta, credeva che l'amore fosse tutt' altra cosa! Ma ora quel cruccio e quell' amarezza avevano dato luogo ad altri voti, ad altri pensieri. Egli non credeva ancora all'amore, ma, pur credeva all' incanto della bellezza; e già si sentiva migliore da, quel momento che una povera fanciulla, la quale non lo cercava, non lo guardava, era divenuta come la forma ideale delle sue fantasie. E non sapeva che quel divino soffio che spira la vita alla bellezza, è amore! Già eran passati alcuni giorni dacchè Arnoldo aveva racquistata la grazia del padre; nè più essendosi in quel tempo incontrato coll' amico, lasciò la villa e prese il sentiero lungo il lago che conduceva alla casetta. L'acqua era quietissima; la sera bella, ma senza luna; ed egli pensieroso più dell' usato. Bussò. Chi venne ad aprirgli fu Marta, la vedova d'un pescatore che Caterina alla morte del marito aveva fatto venire in casa per le bisogne domestiche, e per non rimaner tutta sola con la figliuola, quando don Carlo fosse partito. La Marta, che già conosceva il giovine, « Non c' è nessuno, signore! » disse, restando su la porta. « Don Carlo è dal nostro signor curato, Caterina e Maria sono in chiesa al rosario; e non tornano ancora. » « Dunque me n'andrò! » disse Arnoldo, col cuor malcontento. « Ma, se volesse fermarsi, possono tardar poco.... » « Non importa! Ma sì, aspetterò, bisogna ch' io parli a don Carlo. » - E seguendo la donna, attraversò le due stanze a terreno, e per la scala che riusciva in un canto del salotto, ascese nella camera dell'amico. Marta pose giù sur uno scrittoio il lume, e se n' andò. Poco stante egli s'accorse che le due donne erano tornate a casa; intese la voce di Maria cercar di Marta, quella voce a lui così cara. Poi rispondersi, bisbigliare fra loro, e non far zitto.... Certo Marta aveva detto alle donne ch' egli era là, e s'eran ritirate nell'ultima cameretta, dar altra parte della casa. Intanto Arnoldo aspettava. E lo guardo suo errava distratto su le carte e su' pochi libri, de' quali era sparso lo scrittoio del prete: un volume delle Opere di sant'Agostino, un Tommaso da Kempis, un Dante di vecchia edizione, il Breviario e la Bibbia; e qua e là, fra que' volumi, vide gettati a caso alcuni fogli e quaderni manoscritti. Ne prese uno, l'aperse, lo guardò. Eran pensieri scritti in questo o in quel giorno, nel tempo della solitudine, in ore di tristezza o di meditazione. Lesse in que' fogli amare parole, parole di sconforto e di sdegno, dettate, senza dubbio, da una potenie e gelosa cura, poi temperate da un voto di pace, da un ricordo di pietà o di rassegnazione, da un augurio di virtuosa coscienza. Una pagina, ch' egli trascorse con rapido sguardo, diceva: A' 30 d'aprile 18... « Il mio povero padre è morto! - E io non lo vidi nella sua ultima ora, non ebbi il conforto di bagnar del mio pianto la sua testa moribonda! - Oh che lagrime avrei sparse, e con che fervide parole pregato!... Ma no: anche questa misera speranza doveva esser vana. - un' altra prova che il Signore mi ha mandata!... » A' 2 di maggio. « .... Le lagrime di mia madre, il dolore tacito e rassegnato della mia dolce sorella, hanno umiliata l' anima mia. E a me tocca di consolarle, a me di sorridere, col cuore serrato dall' affanno! Datemi forza, o Signore, e benedite, benedite sempre a quelle pietose e cristiane creature! » E più sotto, a caratteri rapidi, intralciati, che mostra vane la foga dello scrivere: «....Perchè il cielo è così sereno, e la natura così feconda e lieta? - Una storia di secoli di sangue, inutile insegnamento a' miei fratelli - una contrada senza nome e senza avvenire - un' età grave a sè stessa - uomini vili e ciechi, che non sanno se vivano, e perchè....! Non è uno scherno della provvidenza?... O forse è la pena di un eterno peccato, la dimenticanza della prima virtù che Dio ci ha data, la virtù del volere?... No! no! via da me questi mortali e terribili pensieri! - Non ho madre e sorella, a cui preparare una sorte migliore, non ho tanti poveretti, a' quali un dovere più sacro della vita e della morte mi lega per sempre?... » Volse la pagina e continuò: « - Jeri ho incontrato quel giovine straniero. Non so perchè egli brami tanto di conoscermi e di leggermi in cuore. Pure, l'anima sua mi pare schietta e nobile, vorrei rivederlo; poichè mi sarebbe dolce lo spargere qualche consolazione in un cuore ben fatto, in una vita giovine e capace di bene. - Stasera quando raccontai a mia madre l' impensato incontro, Maria mi disse d' aver veduto più d' una volta quel solitario giovine, che da qualche tempo dimora in questi contorni; e avend' io soggiunto ch' era un gentiluomo inglese, si maravigliò come cercasse di farsi amico mio. - Buona sorella, le dissi, tu non sai di quali oscuri mezzi talvolta si valga il Signore per il nostro bene! Chi sa che quell' anima traviata e deserta non trovi nella calma delle mie parole, nella povera virtù d'un uomo ignoto, com' io sono, un occulto consiglio, un nuovo conforto a miglior meta, la prima parola forse d' una verità aspettata, nè ancor conosciuta!... Allora ben me n'avvidi, il puro intelletto dell' ingenua fanciulla comprese d'un lampo il mio segreto proposito. Oh la purezza del cuore e del costume sono la più vera luce del pensiero!... » - Buona e infelice Maria! Penso bene spesso a te, e ti compiango, perchè l' anima tua parmi destinata a patir molto quaggiù. Il tuo cuore sente troppo, e troppo. di buon' ora hai gustato i piaceri dell' anima, per viver contenta nella tua meschina sorte.... Ecco a che si riduce la benevolenza del ricco!... Con te, io non ho mai fatto parola di ciò.... Ma oggi bastò una lagrima che ti cadde dagli occhi ad agghiacciarmi il cuore. Essa mi parlava del giovine forestiero. Oh! con quale accento, con che sorriso celeste mi disse: Egli dev' esser buono, e pare infelice! E tu devi consolarlo, o fratello: oh se le tue parolgli toccassero il cuore!... Io non potrei sopportare il pensiero ch' esso abbia ad andar perduto in questo mondo e nell' altro!... » Arnoldo non lesse più innanzi. Gettò dispettoso il libro, un amaro sogghigno errava su le sue labbra. Ristette, lo sguardo fisso, le braccia serrate al petto, con un, brivido nel cuore e uno strano tumulto ne' pensieri. Dopo alcun tempo don Carlo, tornato a casa, salì nella stanza; e, veduto l' amico in atto di sì profonda occupazione, che non s'accòrse del venir suo, lentamente gli s'avvicinò. « Arnoldo, voi m' avete aspettato, non è vero? » « Siete voi? » rispose, riscuotendosi, il giovine. « Ero venuto a cercarvi. Non vi aveva riveduto da alcuni giorni, temevo non foste partito. » « Converrà bene che vi lasci presto; forse non resterò oltre domani.... » « Come? » « Da parecchie settimane son qui. Oramai, le poche brighe che domandavano la mia presenza sono finite. Jeri mi fu consegnata la tutela di mia sorella, e di quel poco ben di Dio che le tocca; quest' oggi ho riscossa porzione d' un vecchio credito, che mio padre teneva verso un tale di Lecco. Adesso, mi richiamano altrove doveri assai più sacri. » « V' assicuro che mi sa male che partiate. Ma, lo prometto, verrò a trovarvi, e vi scriverò. Il vostro nome non è di quelli che si dimenticano cosi presto; e la conoscenza nostra, spero, non morrà come tante che profanano la virtù e la fiducia dell' amicizia. » « Dio il voglia! E quanto a me, vi confesso che una certa tristezza mi prende nel lasciare questa mia povera casa, e mia madre, e Maria.... Esse qui resteranno con la compagnia di molti travagli; e io non potrò, solo e lontano da loro.... » « Oh! ne siate certo, finchè io starò qui, verrò di frequente a visitare la buona vostra madre; e verranno meco le mie sorelle, e farò conoscer loro Maria. Ed esse s' ameranno, perchè anche Elisa e Vittorina sono due affettuose fanciulle.... Oh voi noi sapete ancora! Ho seguito il vostro consiglio; e furon esse che calmarono lo sdegno di mio padre, che m'hanno ricondotto al suo seno.... Dacchè non ci siam veduti, la pace fu fatta: domandai perdono a mio padre d'una colpa non mia; ma lo feci di cuore.... Oh da tanto tempo non avevo intesa la sua voce! » « È dunque vero? Ora, dovete essere felice! Il vostro cuore gusterà una di quelle gioie che solo sono concesse alla virtù cristiana, d'umiliarsi. » Don Carlo ringraziò l' amicò per la sua cortese pro- messa; poi, prima di prender commiato, volle dirla anche a sua madre. Usciti di là e passati per un piccolo corridore, vennero nella stanza dov'erano le donne, le quali non aspettavano quella visita. Era la cameretta di Maria. La parete ignuda e bianca; da un lato un letticciuolo, a capo del quale pendeva un quadretto a olio, l' immagine della Madonna addolorata; e sotto, una candela benedetta e un crocifisso d'argento. Era il letticciuolo coperto d' una coltre di color cilestro, e le lenzuola ripiegate sovr' essa così candide che non parevano ancor tocche. Da un altro lato, una piccola finestra che guardava nel cortile verso il lago, mezzo nascosta da una tendetta bianca. Qualche seggioia di paglia, un rozzo tavolino, suvví una piccola spera, e un vecchio armadio in un canto compivano la suppellettile della cameretta. Arnoldo sentì una tacita gioia in cuore, quando il suo sguardo s'arrestò su quella scena modesta e casalinga. I raggi pallidi, che fuggivan di sotto il coperchio della lucerna, mandavano una quieta luce su l' angelica faccia della fanciulla, e su le piccole sue mani intese a lavorar di maglie; i bruni capegli le rilucevano lisci e spartiti su la fronte, ricadendole dietro le orecchie in folte e facili anella fino a toccarle il seno, china com' era; una veste semplice di percallo cenerino, e un nero fazzoletto appuntato nella cintura aggiungevano una grazia pudica al con- torno della sua leggiadra persona. La madre sedeva anch'ella presso la tavola, occupata a rimendare coll' ago alcuni vecchi lini; e la Marta più addietro, presso la parete e sur un trespolo, attenta all'arcolaio, dipanava. - Il lume della lucerna, disegnando con varia movenza d'ombre e di chiarore quel gruppo così raccolto dava all'umile scena un incanto di quiete e d'armonia: pareva uno di que' cari quadretti fiamminghi così semplici, così veri. « Sapete, madre mia? » disse don Carlo, entrando « bisogna ch'io parta domani: ho deciso. « Come? non ne sapevo nulla: è proprio vero? do- mani, mattina?... » domandò con turbato accento Maria, sollevando la faccia. Voleva dir di più, ma s'accòrse che con suo fratello anche un altro era là: chinò il capo, e ristette tra pentita e peritosa di quella domanda, che le era uscita dal cuore. « È necessario, » rispose il prete; « stetti qui con voi più ancora che non avrei dovuto. » E Caterina intanto scuoteva la testa, in atto di rassegnazione malcontenta, e mormorava piano: « Già son avvezza a mandar giù di più, amari bocconi.... dunque, pazienza! » « Sì! abbiate pazienza. Anche questa volta, mamma Caterina la confortava Arnoldo. « La speranza del rivedersi è intanto qualche cosa: io poi vi darò spesso notizie di vostro figlio, perchè gli ho promesso d'andare a visitarlo a****. » « Lei è proprio un buon signore! » rispose, in atto di render grazie, la madre. « Oh sì, » aggiunse Maria, con voce soave, ma così timida e fioca che Arnoldo l' intese appena. « Fatevi pur cuore, nè mettete di malanimo anche me. Già bisogna che sia così! » diceva don Carlo. « Ma credetelo, amico, » riprese Arnoldo, « m'ero assuefatto così bene a passare i dì con voi, in questa contrada! « Errando in vostra compagnia da qualsiasi banda, ogni paesetto, ogni villa aveva la sua storia, ogni montagna, ogni rupe il suo nome; e temo che mi costerà il divezzarmi.... » « Lei è un signore » soggiungeva Caterina, « e non vorrà pensare a noi.... » « Che cosa dite? anzi, se non me lo negate, voglio far conoscere le mie sorelle a voi e a vostra figlia, che siete così amorevoli e buone. » « Oh signore! noi avremo vergogna » rispose la madre. « No, non può essere, ve n' assicuro. » « Oh desideriamo tanto di conoscerle » soggiunse vivamente e arrossendo alcun poco Maria: « tra noi ci vorremo bene. » Quella sera, l' ultima ch' egli passava presso de' suoi, chi sa per quanto tempo, don Carlo rimase fino a ora tarda con le donne, le quali a malincuore pensavano al domani. Anche Arnoldo stette un buon pezzo in quella modesta compagnia, fra que' dolci colloquii familiari, in cui si ripetono tante lievi e care cose, e s'avvicendano parole di consiglio, di ricordo, d'aspettazione. L' animo suo sentiva una pura contentezza; e quando, salutato di novo l'amico, tornò per la riva del lago alla villa, ripensava alla buona famiglia, e gli pareva che il suo cuore rimanesse là, in quell' angusta cameretta.

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