Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 534 in 11 pagine

  • Pagina 1 di 11

Otto giorni in una soffitta

204554
Giraud, H. 3 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Maurizio va a cercare nel suo armadio il vestito che faranno mettere a Nicoletta. - Ci vorrebbe anche un cappello, no? - domanda a Francesco. - Sei una bestia. Tu esci forse in giardino col cappello? - A Maurizio sarebbe piaciuto un travestimento completo. È una vera fortuna che tu abbia i capelli tagliati, - dice a Nicoletta. - Coi riccioli sarebbe stato impossibile. - La fanciulletta è pazza dalla gioia. Questa passeggiata di sera, in giardino, assume l' importanza di un'avventura fantastica, d'una spedizione lontana e pericolosa per la quale le precauzioni non sono mai troppe. E i quattro fanciulli attendono, con impazienza, l'ora della cena. Quando risalgono, trovano Nicoletta vestita da ragazzo, ed è per essi, benchè se lo aspettassero, una sorpresa. Il vestito di Maurizio le sta a maraviglia. - Potranno benissimo prenderla per me. - Salvo i capelli, - dice Alano. Poichè, nonostante il taglio di Maurizio, Nicoletta è sempre pettinata da bambina. Il piano è fatto: bisogna metterlo in esecuzione. Intanto è giusto che lascino alla fanciulla il tempo di cenare. Francesco e Nicoletta aspettano che Alano e Maurizio scendano, per vedere se la via è libera. Arrivato in giardino, Maurizio andrà subito a nascondersi e Alano fischierà per dare il segnale che Nicoletta può venire. E infatti tutto procede così. Ma il fischio di Alano sì fa aspettare tanto. Francesco è inquieto e Nicoletta ha paura. Infine, dopo qualche minuto, si sente il segnale. Francesco trascina Nicoletta correndo. Eccoli tutti e quattro riuniti in giardino. - Non potevo fischiare, - dice Alano - perchè Maria era nel vestibolo. Non voleva più andarsene. - A che cosa giochiamo? - domanda Maurizio. - A nascondino, sotto gli alberi; così Nicoletta si divertirà e potremo correre. - Viene in tal modo organizzata una grande partita, e i quattro fanciulli sono così intenti a giocare che dimenticano tutto. Ma Maria non dimentica l'ora, e viene sull' ingresso per chiamare i fanciulli e metterli a letto. Ma siccome essi non la sentono, aspetta un istante e li sente ridere. Guarda in fondo al giardino; è quasi buio e distingue soltanto

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Francesco esita: ha una gran voglia di mettere a prova il suo talento di professore. Ma Alano ha ragione. Avrà il coraggio di dargli retta? Nicoletta accomoda tutto a suo modo, che non è poi il peggiore. - Voglio cominciare con Francesco, poi continuerò con Alano e quindi con Maurizio. - Francesco è rapito. Alano canzonando esclama: - Maurizio, oh! - E ride. - Come! - esclama Maurizio. - Io saprò insegnarle meglio, poiché è meno tempo che hanno insegnato a me. - Alano non ha nulla da replicare. Comincia Francesco, e Nicoletta si applica con buona volontà. Tutto va bene: professore e allieva sono soddisfatti l'uno dell'altra. Francesco assicura che Nicoletta di lì a pochi giorni leggerà correntemente il sillabario. Con Alano va un po' meno bene, ma la ragione è che Nicoletta comincia ad essere un po' stanca, e quando viene la volta di Maurizio, ne ha abbastanza e lo dice. Ma Maurizio vuol darle la sua lezione ed insiste. - Insegnami piuttosto a giocare a dama; me lo promettesti ieri, - chiede Nicoletta con la sua maniera carezzevole. Dopo tutto la fanciulla fa ancora appello al suo talento di professore, e, sia a leggere sia a giocare a dama, Maurizio insegnerà qualche cosa anche lui, anzi qualcosa di più divertente. Ridiscende dunque a cercare il giuoco della dama, ma ritorna quasi subito come un fulmine. - Francesco! Alano! - grida ansante. - Maria sta salendo quassù! Viene a vedere il ritratto. Siamo scoperti. - I due ragazzi sussultano. - Dov' è? - chiede Alano. - Al primo piano; non abbiamo il tempo di scendere. - Presto, presto, - dice Francesco. - Usciamo dalla soffitta. Non aver paura, Nicoletta. - E, come un. buon capobanda, Francesco ha organizzato, in un batter d'occhio, il suo piano di difesa. Egli tiene in mano il ritratto, e insieme coi suoi due fratelli scende la scala a passi di lupo. Prima che la povera Maria, poco svelta, sia arrivata nello « studio », i tre ragazzi sono seduti su uno scalino a mezza strada tra la soffitta e il piano inferiore. E quando Maria apre la porta e vede, con suo grande stupore, la stanza vuota, ode tre scoppi di risa e tre voci allegre sopra a lei. - Benissimo! - Ti abbiamo sorpresa! Curiosa! - Così imparerai! - La vecchia sale i tre scalini e vede i tre fanciulli. - Oh, mi avete sentito salire? - dice ingenuamente. - Perbacco! - Ti avevo raccomandato di non disturbarmi, - dice Francesco in tono severo. La povera Maria è umiliata. - Io non volevo disturbarvi, signor Francesco. Soltanto, avevq dimenticato di avvertirvi che esco. Tornerò per l' ora della merenda. - Va bene, - risponde Francesco in aria maestosa. - Per questa volta ti

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. - Credo che bisognerà andare a cercare il medico, - aggiunge Francesco in tono grave. - Forse vi è un'epidemia. - Tacete, che chiamate le malattie, - dice Maria con orrore. - Venite, signor Alano, venite che vi metto a letto. Che cosa vi sentite? - Ho male al cuore, - risponde Alano, come se fosse moribondo - e mal di ventre. - E alla testa? - No.... non credo. - Avete la febbre? - Mi bruciano le mani.... - dice Alano che pensa alle manine scottanti di Nicoletta. - No, - dice Maria tastando le mani d'Alano - avete le mani fresche, invece. Niente febbre. Mostratemi la lingua. È buona. Volete andare a letto? - Vorrei il medico. - Questo mette terribilmente in pensiero Maria. Ci vogliono sempre tante storie prima d' indurre i ragazzi, quando sono malati, a vedere il medico. Bisogna che Alano si senta davvero male perchè lo chieda lui stesso. - Andate a dire a Leonia di correre a cercare il dottore, - dice sottovoce a Francesco. - Via, cuoricino mio, - riprende poi a voce alta per Alano - venite subito, che vi spoglio. - E in un batter d'occhio Alano è a letto, con una bottiglia d'acqua calda ai piedi. Chiude gli occhi e comincia a temere un po' il seguito dell'avventura. Se il dottore lo trovasse davvero ammalato? Se lo forzasse a prendere delle medicine cattive e sgradevoli? Non si sa mai, coi medici: è sempre angoscioso essere nelle loro mani, e Alano si sente davvero malato quando il medico arriva. - Come, - dice il dottore - malato con quell'aspetto, con quelle guance rosee, quelle mani fresche, e il polso così regolare? Tu scherzi, ragazzo mio. - Alano assicura che non scherza: scherza così poco, che gli par di sentire davvero ciò che ha descritto al dottore. - Non è niente, non è niente, - dichiara il dottore. - Non hai preso nulla stamattina? - «Il latte, » sta per dire Maria, ma Francesco non gliene lascia il tempo. - Niente, - egli dice vivamente. - Ha detto « puah », e il suo latte l'abbiamo bevuto noi. - Bene! Allora bisogna prendere una piccola purga e stare a dieta. Stasera una minestrina leggera, e domani questa grave malattia sarà guarita. Va bene così, ragazzo mio? - Sì, signor dottore, Posso alzarmi? - Se vuoi, sì.... Ma se ti piace fare il pigro e restare un po' a letto.... - Il dottore, dopo avere ordinato una breve ricetta, se ne va, lasciando Maria rassicurata, ma i fanciulli un po' ansiosi. - Purchè Maria non mi obblighi a bere la medicina

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Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205984
Garelli, Felice 8 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Il rinettamento del terreno si fa a mano con una piccola marra o zappino, fig. 11, e col sarchiello, fig.12, specie di zappino con uno o due denti. Nelle grandi tenute, e in seminati a righe, si fa la nettatura del terreno con istrumenti da tiro che si chiamano zappa a cavallo, estirpatore, e scarificatore. Questi strumenti si rassomigliano tutti nella struttura e nella forma.

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I lavori sono necessari a rendere il terreno soffice, e netto dalle male piante. Meglio, e più profondamente, si smuove il terreno, e più rigogliosa si fa la vegetazione. I lavori profondi giovano a tutte le terre; risanano le umide, rinfrescano le asciutte. Ma a farli bene, bisogna avvertire alla profondità dello strato coltivabile, e alla natura del sottosuolo. Varia la forma, e anche la frequenza, e il tempo dei lavori, secondo la natura dei terreni. Si lavorano a porche gli umidi, e i sottili; a spianate quelli sani, e di buona pasta. Gli strumenti aratorii son parecchi; quali a mano, e quali a tiro d'animali. A smuovere il terreno, e prepararlo alla coltivazione, si adoperano la vanga, la zappa, e l'aratro. Zappa e vanga fanno buon lavoro, ma lungo, e costoso. Re degli strumenti agricoli è l'aratro: e tu ne esaminasti la particolare struttura. L'aratro chiama dietro sè l'erpice, perchè dia finitezza al lavoro. L'erpice invoca ancora l'aiuto del rullo su terre forti. A questa prima serie di lavori, un'altra ne succede che ha per iscopo di proteggere la vegetazione normale delle piante coltivate, specialmente contro i danni delle male erbe. Queste invadono i seminati, e mandano a male il raccolto, se con zappino, o sarchiello, o zappa a cavallo, o estirpatore, o scarificatore, non si rinetta il terreno. Talora queste sarchiature non bastano a cacciar via le piante parassite, e si ricorre al maggese pieno, o parziale.

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Già ti dissi, che misurando alla terra il letame a centellini, non si dura molta fatica a insaccare il grano. E così fanno purtroppo quasi tutti i coltivatori: avendo scarsità di concime, lo sparpagliano un po' dappertutto sulle varie terre. Queste poi, magramente concimate, è naturale che diano un magro prodotto. Son le belle spighe che fanno abbondante il ricolto; ma le belle spighe si ottengono solamente in terra buona, o migliorata da larghe concimazioni. Vuoi convincerti che, per ben raccogliere, bisogna ben concimare? Vuoi toccar con mano che a concimar poco si ha una perdita nella coltivazione, ed a concimar molto si coltiva con benefizio? Esamina con attenzione il conto che ti presento. Io suppongo che tu abbia un ettaro di terra coltivato a frumento, alla solita maniera. La spesa di coltivazione non si discosta guari dalle cifre seguenti: Affitto, o interesse del valore del terreno e imposte . . . . . . . . . . . . . . . . L.135 Semente . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 Lavori del terreno, mietitura e battit. . » 60 Concime . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 -- Spesa totale L. 295 Il prodotto sarà approssimativamente di 11 ettolitri di grano, e 110 miriagrammi di paglia, che valgono: 11 ettolitri di grano a L. 23 l'ettol. L. 253 110 mir. di paglia a L. 0,50 il mir. . » 55 -- Valore totale del prodotto L. 308 Quale è dunque il benefizio ricavato dalla coltivazione di un ettaro di frumento? Lire 13, ossia la differenza che si ottiene sottraendo dal valore del prodotto che fu di . . . . . . . . . L. 308 le spese fatte per ottenerlo, cioè . . . » 295 -- Benefizio L. 13 Ti sembra poco: e hai ragione. Ma io ti dico che molti coltivatori non guadagnano neppure queste povere 13 lire, e vi perdono, perchè non sanno coltivare. 2. Ora prova un po' a concimare meglio il terreno. Spendi in concime 100 lire in vece di 50. Le altre spese rimangono a un dipresso quelle di prima, o almeno crescono ben poco. Supponiamo che invece di 295 lire tu ne spenda 355. Il prodotto aumenta, e sale per lo meno a 16 ettolitri di grano ed a 150 miriagr. di paglia; onde ricaverai da 16 ettol. a L. 23 L. 368 150 mgr. di paglia a L. 0,50 . . . . » 75 -- Valore totale del prodotto L. 443 In questo caso hai già un benefizio di L. 88. Un altr'anno, aumenta ancora a 150 lire la spesa del concime. Portiamo pure le spese di coltivazione a L. 420. Il raccolto non sarà inferiore a 22 ettolitri di grano, e a 200 mgr. di paglia che, ai prezzi sopra indicati, ti daranno un prodotto di L. 606; e quindi avrai un benefizio netto di 186 lire. Da questi esempi tu vedi che quanto più si spende in concime, tanto più si guadagna. Se fai una spesa doppia, o tripla in concime, ne ricavi un guadagno dieci, quindici volte maggiore. Ho dunque ragione di ripetere che nel concime si ha tutto. Esso dà il grano, la paglia, il fieno, e ogni altro prodotto. Quindi chi ingrassa la terra, conosce il fatto suo, e fa fortuna. Chi smunge la terra, smunge la sua borsa. DOMANDE: 1. È vero che la terra rende in proporzione di quel che riceve? - Dimostra, con un esempio pratico, che non coltiva con beneficio chi concima scarsamente il terreno. 2. Prova con altro esempio che raccoglie molto chi concima bene.

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Si applica a intervalli di 5 a 10 anni, ed in quantità di 50 a 100 e fino a 200 ettolitri per ettaro, dove si può avere a poca distanza, ed a buon prezzo. La calce, e la marna, aumentano il prodotto delle terre; ma le spossano presto, perchè agiscono come stimolanti, e rendono più pronta la scomposizione dei concimi. Esse dunque non suppliscono alla concimazione ordinaria; la richiedono anzi maggiore, e la rendono più utile. 3. Il gesso è un concime utile alla canapa, al lino, e utilissimo ai prati di trifoglio, e di medica, dei quali duplica talvolta il prodotto. Si adopera crudo, o cotto, in polvere, e a dose non maggiore di 200 chilogrammi per ettaro. Si spande a mano, in primavera, a vegetazione già cominciata, di buon mattino con la rugiada, perchè si fermi sulle foglie delle giovani piante. DOMANDE: 1. A quali terre giovano i calcinacci? - Come si adoperano? 2. Qual è l'azione della marna? - In qual dose si applica? - La calce, e la marna, bastano a concimare le terre? 3. A quali piante giova l'applicazione del gesso? - Quando, e come si adopera?

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Sono dunque un concime utile a tutte le terre, e a tutte le piante, specialmente alle viti, agli alberi fruttiferi, alle patate, ai prati umidicci, dai quali fanno sparire i giunchi, e le piante acide, che l'umidore vi fa crescere. Le ceneri correggono efficacemente le terre argillose, fredde; le torbose cui tolgono l'acidità; ristorano quelle impoverite da continue coltivazioni di cereali. Comunemente si adoperano le ceneri lisciviate, cioè che servirono al bucato. Esse costano di meno, ed hanno azione meno energica e corrosiva, che le vergini, o vive. Se ne spandono circa 200 miriagrammi per ettaro, e la loro azione dura almeno da 4 a 5 anni. 2. La fuliggine è pure un eccellente concime che si ha in casa, o che si può acquistare a buon mercato. Giova a tutte le colture, particolarmente ai prati umidicci, nei quali fa guerra alle cattive erbe. Si spande nella quantità di 15 a 20 ettol. per ettaro, mescolata col doppio di terra. DOMANDE: 1. Le ceneri a quali piante giovano? - E a quali terre? - Si adoperano vergini, o lisciviate? In quale dose? 2. La fuliggine è pure un concime? - Utile a quali colture? - Quanto se ne spande per ettaro, e come?

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Il numero delle piante create da Dio a popolare la terra è grandissimo: ve n'ha di tutte specie, di tutte forme, di tutte grossezze. Altrettanto si può dire degli animali. Moltissime piante sono utili all'uomo; altre inutili, o nocive. È ancora lo stesso negli animali. 2. L'uomo imparò presto a scernere le piante utili da quelle che non lo erano. Imparò anchè presto a distinguere tra gli animali quali gli fossero amici, o giovevoli, e quali nemici. A questi ultimi fece e fa continua guerra. Degli altri addomesticò quelli che lo potevano aiutare ne' lavori, o provvedergli cibo con la loro carne. Fece lo stesso con le piante: addomesticò quelle che potevano servire al suo nutrimento, all'alimentazione del bestiame, ai bisogni delle varie industrie; e cacciò via le inutili dalle terre che imprese a coltivare. DOMANDE: 1. Quante e quali piante Dio ha create a popolare la terra? - Sono tutte utili all'uomo? E gli animali sono tutti utili? 2. Quali specie di animali addomesticò l'uomo? - E quali piante?

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La superficie del terreno lavorato si dispone a porche, o a spianate. Le porche sono aiuole strette, convesse, fiancheggiate da solchi profondi. Le spianate sono aiuole larghe alcuni metri, alquanto rialzate nel mezzo, e separate da solchi superficiali. 2. Si lavorano a porche i terreni molto sottili, per crescere lo spessore dello strato coltivabile, e i terreni compatti ed umidi, per dare più facile scolo all'acqua. Anzi in questi si aprono anche dei solchi trasversali, od acquai, unicamente destinati a raccogliere le acque di pioggia, o di neve. Ma, con la lavorazione a porche, rimane improduttiva una parte del terreno, cioè quella dei solchi; è quasi impossibile di spander bene le sementi; e la vegetazione vi si presenta diseguale. 3. Si lavorano a spianate le terre sane, e sciolte; ma si potrebbero ridurre a spianate, di mediocre larghezza, anche le terre compatte, se si lavorassero più profondamente dell'ordinario. 4. Il numero dei lavori dipende dalla natura del terreno, e dai bisogni delle piante che si coltivano. Vanno smosse più frequentemente le terre umide e fredde; importa assai la scelta del tempo conveniente a lavorarle. 5. In generale, perchè i lavori del terreno riescano veramente utili, bisogna farli a tempo opportuno. Le terre sciolte, leggere si possono lavorare in ogni tempo. Non così le terre forti. Queste, a lavorarle umide, aderiscono con forza agli strumenti, e rovinano gli animali; poi fanno crosta durissima, non si maturano, e molta semente si perde. Troppo secche induriscono, e a romperle, e quindi a sminuzzare le grosse zolle, si spreca molta forza. Il tempo migliore per lavorare terreni forti sarebbe subito dopo fatta la raccolta, per avere nel sole un aiuto alla disgregazione, e alla maturazione delle terre. DOMANDE: 1. Come si dispone la superficie lavorata del terreno? 2. Quali terreni si lavorano a porche? - Quali svantaggi presenta questo modo di lavoro? 3. Quali terreni si lavorano a spianate? 4. Da che dipende il numero dei lavori che si dànno al terreno? 5. Qual è il tempo più opportuno a lavorare le terre?

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All'erpice si dà una forma diversa, secondo la natura dei terreni cui deve servire; secondo che questi son arati a solchi, od a piano; e secondo l'effetto che si vuole ottenere. Per terre compatte l'erpice ha un telaio pesante, e denti di ferro, o acuminati, o taglienti, come il coltro dell'aratro. Per terre sciolte, per la copertura delle sementi, si usano erpici leggeri, e a denti di legno. Per terre lavorate a solchi l'erpice ha il telaio incurvato. In queste terre, non spianate, giova meglio l'erpice snodato, cioè composto di tutti pezzi mobili. 4. I denti dell'erpice sono per lo più inclinati. E perchè? Per poter fare un lavoro più o meno superficiale. L'erpicatura riesce più profonda, se i denti sono inclinati verso il tiro; più superficiale, se sono rivolti oppostamente al tiro. Con un erpice a denti dritti, ossia verticali, si può anche fare un lavoro più profondo, caricando il telaio di pietre, per renderlo più pesante. Qualunque ne sia la forma, un buon erpice deve avere i denti a ugual distanza fra loro; e ogni dente deve tracciare il suo solco distinto. DOMANDE: 1. L'aratro basta da solo a preparare bene il terreno? - Quali strumenti si adoperano per rompere le zolle, e, ragguagliare la superficie? 2. A quale scopo si erpica il terreno? - Che cosa è l'erpice? 3. Qual erpice si adopera in terre compatte? - In terre sciolte? 4. Perchè in taluni erpici i denti sono inclinati? - A quali condizioni deve soddisfare un buon erpice?

Pagina 92

Gemme - Corso completo di letture

206819
Grassini, G. B., Morini, Carla 2 occorrenze
  • 1905
  • Remo Sandron - Editore
  • Milano - Palermo - Napoli
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Quel monello di Giulio, invece di tornarsene a casa dopo la scuola, scappò a girare per i campi. Dalla Rivista «Modelli d'arte decorativa» ADOLFO MAGRINI dip. Bestetti e Tumminelli, edit., Milano (Ripr. autor.) L'orso polare. Acchiappò molte cavallette, e il giorno dopo, in classe, le buttò addosso ai suoi compagni. Questi, che stavano cheti cheti e tutti intenti a fare un compito, si spaventarono assai. La signorina rimproverò severamente il birichino e lo fece accompagnare a casa. E la mamma, di Giulio poverina, pianse tanto pel dispiacere che le aveva dato il suo bambino.

Pagina 19

. - L'Emilia si decide a lavarsi Ma la fanciulla cominciò a piagnucolare e a toccare l'acqua appena con la punta delle dita. - Fin che farai così e sarai sudicia, non mi piacerai - le disse la mamma. L'Emilia voleva piacere a tutti e specialmente alla mamma; e allora si lavò ben bene.

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Angiola Maria

207095
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Fra l'una e l'altra canzone facevano pausa; e le ultime voci s'andavano perdendo a poco a poco nell'aria silenziosa della notte, si che quasi non poteva dirsi se il canto fosse venuto dalla terra o dal cielo. Avresti pensato che ciascuna delle due sorelle volesse all'accento confidare il segreto del proprio pensiero. Quando poi toccava a Maria a cantare, essa non avendo avuto altro maestro che il cuore, e solo col fino senso dell'orecchio misurando l'armonia, sapeva esprimere tutta la soavità, tutta la malinconia dell'anima nelle fresche semplici note della sua voce. MARIA.

Pagina 114

La giovinetta campagnuola

207514
Garelli, Felice 5 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Ti parlai del companatico: ma c'è a dire anche del pane, che in generale non si fa bene. Sia di pura farina di frumento, o vi si mescoli cruschello, o farina di segala, di formentone, di castagne, o di patate, bisogna impastarlo bene — poi lasciar fermentare la pasta a un grado conveniente — e da ultimo procurarne la buona cottura. Bada sovra tutto a rivoltar bene la pasta, a batterla, comprimerla e ripiegarla più volte in ogni senso. Quanto meglio l'avrai impastato, più bello e rigonfio sarà il pane. La pratica ti insegna a quale grado conviene sia lievitata la pasta, prima di metterla in forno. Avverti poi che il forno non sia eccessivamente caldo. Il pane è più saporito, se non cuoce tanto in fretta. Non farne troppo in una volta: l'indurire sarebbe il meno danno; ma il pane piglia la muffa, e fa male alla salute.

Pagina 105

Dio disse a tutti gli uomini:Amatevi l'un l'altro come buoni fratelli, come foste una sola famiglia. Ognuno faccia agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a lui, e non faccia agli altri ciò che non vorrebbe a lui venisse fatto. Il Signore vuole da noi anche più: Gesù Cristo disse a tutti gli uomini: Amate i vostri nemici, fate bene a coloro che vi odiano, pregate per coloro che vi perseguitano. Io terrò come fatto a me stesso quello che farete a pro degli altri, e ve ne compenserò, chiamandovi a possedere il regno de' cieli. Perchè noi potessimo eseguire il suo comando, Iddio ci ha fatto il cuore capace di un amore infinito: Egli infuse nell'anima nostra la virtù della carità. È questa la più bella, la più santa, la più divina delle virtù. Essa ci insegna ad amare, a compatire, a perdonare, a beneficare. Felice chi ascolta i consigli della carità! Egli cammina dritto nella via del bene, e si rende caro agli uomini, e a Dio. Giovinetta, accogli nel tuo cuore la carità: ama il prossimo come te stessa. Questo amore ti darà le più dolci consolazioni nella vita presente, e ti prepara il premio nella vita futura.

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Questa gioia del lavoro cresce ogni giorno, ci fa contenti del nostro stato, e ci anima a continuare nella stessa vita attiva e laboriosa. Napoleone I, mentre passava a cavallo per una foresta, vide un boscaiuolo che lavorava, e cantava allegramente, ed esclamò: «Vedi quell'uomo; si guadagna il pane con tanta fatica, eppure sembra felice!» E accostatosi a lui, senza essere conosciuto, gli domandò: «Che cosa ti rende sì allegro?» E quegli rispose: «Ho una salute di ferro, e lavoro volentieri: non ho forse ragione di essere contento? «Quanto guadagni al giorno? «Tre lire. «E bastano per te, e per la tua famiglia? «Altro che bastano: mantengo la moglie e tre figlioli, e me ne avanza ancora da mettere a interesse, e a pagare vecchi debiti. «Come è possibile ciò? «Metto danaro a interesse, mandando a scuola i miei figlioli; pago vecchi debiti, col mantenere i mie genitori». Vedi, giovinetta, come il lavoro fa la gente virtuosa, e contenta del proprio stato!

Pagina 26

La formica sa che, venuto l'inverno, fuori non troverà più nulla, e lavora nell'estate, dal mattino alla sera, a far provvista di cibo. Anche le api sono bestioline giudiziose, e previdenti, come le formiche. Vedi con quanta arte si fabbricano la loro casetta! Con quanta diligenza lavorano durante la buona stagione! È un via vai continuo dall'alveare alla campagna, a far provvista di miele per l'inverno; leste volano da un fiore all'altro per raccoglierlo; si allontanano anche più miglia a farne ricerca; e quando n'han le zampette cariche, volano a deporlo; poi ripartono subito a cercarne dell'altro. Impara anche tu a mettere in serbo quanto ti sopravanza al bisogno. Nei giorni buoni provvedi pei giorni cattivi, che vengono sempre; perchè dice bene il proverbio: il sole del mattino non dura sempre fino a sera; e chi spende in gioventù, digiuna nella vecchiaia.

Pagina 32

Oggi tutti si va a scuola, poveri e ricchi. E più si è poveri, più si ha bisogno della scuola: e ai contadini fa mestieri, quanto a ogni altro. Alla scuola s'impara a scrivere, se occorre, quattro parole ad un lontano; a fare una ricevuta; a tenere i conti; a far calze, a cucire di bianco, a rammendare. E s'imparano altresì la pulitezza, l'ordine, l'abitudine al lavoro, i doveri del proprio stato. Forse che tutto ciò è inutile? L'ignoranza a che giova? Lascia la gente nell'impotenza, e con la testa piena di pregiudizi, il che è anche peggio. Perciò fu detto con ragione, che l'ignoranza è la peggiore delle miserie. La donna che sa, fa bene i fatti suoi. Chi si affatica per sapere, lavora per avere, e si fa strada alla fortuna. Un tempo le scuole erano pochissime, e ad istruirsi c'erano grandi difficoltà per la povera gente. Ma ora l'istruzione è a tutti obbligatoria per legge; in ogni villaggio vi hanno scuole per maschi, per femmine, per fanciulli, e per adulti, con buoni maestri, e bene ordinate. Non si ha che la fatica di andarvi. Epperò oggidì chi rimane ignorante, colpa sua.

Pagina 35

Quell'estate al castello

213668
Solinas Donghi, Beatrice 1 occorrenze
  • 1996
  • Edizioni EL - Einaudi Ragazzi
  • Trieste
  • Paraletteratura - Ragazzi
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A Camilla Salvago Raggi, l'amica di tutte le stagioni

I miei amici di Villa Castelli

214097
Ciarlantini, Franco 16 occorrenze
  • 1929
  • Fr. Bemporad & F.°- Editori
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA Oggi Mario è tornato a scuola. Egli ha ritrovato la sua maestra dell'anno scorso, i suoi vecchi compagni e qualche scolaro nuovo, che ripete la classe. Mario dice che si vergognerebbe a ripetere la classe, perciò ha promesso che starà attento e studierà.

I ragazzi felici di servire a qualche cosa riattaccano a cantare: -Solicino, vieni vieni, cogli Angioli e coi Santi...

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Mario e Sèrafo per la gran calura provano una tentazione: Se scendessero nell'acqua, par così bassa; e giocassero un po' a chi sa farne schizzare di più addosso al compagno? Già han rimboccato i calzoni, già stanno per discendere fra le canne e le foglie grasse galleggianti. «Moschino» intanto guarda i due fanciulli come li interrogasse: forse s'accorge che stan per commettere qualche malefatta. Ma a Sèrafo viene in mente un'idea biricchina; se facesse fare il bagno prima a «Moschino»? Non ci pensa due volte, prende la bestia a mezza vita e la butta nell'acqua. Per fortuna «Moschino » si divincola e Sèrafo non può gettarlo lontano dalla riva. Ecco che la povera bestia si mette a guaire lamentosamente, a zampettare con furia senza poter muoversi dal posto ov'è caduto, anzi, a mano a mano si dimena per salvarsi, affonda adagio adagio nel fango. Ora sì, Sèrafo e Mario han paura: «Moschino» è perduto, «Moschino » sta per morire. Sèrafo capisce il pericolo, capisce che guai a non far presto: la bestiola affonda nello stagno! Si leva in fretta la sottoveste, e tenedo un capo nella mano cerca di lanciare l'altro capo a «Moschino » perchè lo addenti. «Moschino » ha già capito e asseconda Sèrafo. Ecco; i due fanciulli tirano il cane a riva e «Moschino » tutto sporco di fango, ma salvo, si agroppa con forza e fa festa a chi lo ha salvato. Esso non sa che i due bambini, che ora s'allontanano allegri e contenti, dovrebbero ringraziar lui. Se avessero ceduto alla tentazione, povere le loro mamme!

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Deve far la guardia al granturco sparso ad asciugare sull'aia, e invece gioca a nocino dietro il pagliaio. Galline, galli, galletti e colombi fanno festa e beccano a più non posso. - O Pietrino! Ti finiscono iI granturco... - Pietrino corre, tira due o tre tutoli agli... intrusi, grida: «Sciò, sciò, via!» e poi torna a giocare. Galline, galli, galletti e colombi tornano a ingozzare senza perder tempo. - Pietrino, dove sei? Ti finiscono il granturco! - E Pietrino ritorna più indispettito che mai a gridare: «Sciò, sciò, via!» e a tirar tutoli alle bestie golose. Ma non vi sembra che Pietrino sia più colpevole delle galline, dei galli, dei galletti e dei colombi?

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CHI MALE FA, MALE ASPETTI Un giorno il Moscone, la Formica e la Cicala andarono insieme a fare una passeggiata. Dopo un bel tratto di strada mangiarono un boccone e poi si misero al solicchio a riposare. A un tratto la Cicala, che aveva una gran voglia di ridere, disse al Moscone: - Sóffiati il naso!- Il Moscone obbedì, ma si staccò la testa. Poi disse alla Formica: - Stringiti la cintura! - La Formica, obbedì tanto bene.... che si divise in due. Figuratevi l'allegrezza della Cicala! Si mise a ridere; e rise, lise, rise tanto che ne scoppiò

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BUONE AVVERTENZE Non rimettere mai a domani quello che puoi fare oggi. Non aspettare che altri faccian ciò che puoi fare da te stesso. Non spendere mai danaro prima d'averlo guadagnato. Ricòrdati che la vanità e l'orgoglio costano assai più della fame, della sete, e del freddo. Non pentirti mai d'aver mangiato poco. Se lavori di buon cuore non ti stanchi mai. Piglia sempre le cose dal lato buono.. Quando sei irritato conta sino a dieci prima di parlare, fino a cento se sei in collera.

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A. CUMAN PERTILE.

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LA STALLA Accanto alla casetta rustica di Mario, in un fabbricato a parte, vi è la stalla. Ora che i buoi sono tornati dalla montagna e tutte le mangiatoie sono occupate, Mario qualche volta aiuta iI babbo a portare il fieno alle bestie. Anche lui versa nelle greppie il suo carico odoroso e gli pare di essere ringraziato per la sua fatica, quando vede qualche vacca, mansueta mansueta, voltare lenta la testa verso di lui, e guardarlo con i grandi occhi umidi, mentre un ciuffo di fieno le sparisce nella bocca a poco a poco.

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UNA BUONA AZIONE Una vecchietta che passava sempre a chiedere l'elemosina, era stata al bosco di Cusona a raccogliere legna per riscaldarsi. Nel tornar a casa la strada era lunga e il peso troppo grave, tanto che la povera donna ogni poco lasciava cadere il fascio. Passò vicino alla vecchia Sèrafo, guardò e tirò di lungo. Però non tardò molto a pentirsene e ne fu addolorato per tutta la strada. Ma passò Amalindo ed ebbe compassione della vecchietta. Si caricò sulle spalle la legna e gliela portò a casa, poi riprese la sua via, contento di aver fatto una buona azione.

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CIÒ CHE MARIO DEVE IMPARARE La maestra di Mario ha assegnato il posto a tutti i bambini, poi quando ognuno è seduto nel proprio banco ha cominciato a dire: «Quest'anno dobbiamo studiar tanto: dobbiamo imparare a conoscere il paese che abitiamo per rispettarlo; le persone che stanno intorno a noi per voler loro bene».

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A dicembre freddo, segue anno fecondo. Se piove a Santa Bibiana (2 dicembre) piove quaranta giorni e una settimana.

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I GINGILLONI Mario, Bianchina e Nello qualche volta trasgrediscono agli ordini della mamma e si gingillano per la strada mentre si recano a scuohla. Oggi però l' aver disobbedito alla mamma ha portato male ai ragazzi. Essi hanno posato le cartelle e l' involtino della colazione sul ciglio della strada e si son messi a giocare a nocino in attesa dell' ora giusta per entrare in scuola. Mentre eran tutti intenti al gioco, il gattone del Razzanella addentò l'involtino della carne e corse a mangiarsela in un fossato lontano. Finita la partita, i bimbi riprendono la cartella, raccattano il pane incartato e, cerca che ti cerca, non trovano più l'involtino col lesso da mangiare a colazione. Mogi mogi vanno a scuola e, per non essere sgridati, all' ora di mezzogiorno tirano fuori iI loro pane e lo mangiano con le noci! Chi sa se un'altra volta si gingilleranno ancora per la strada?

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A. CUMAN PERTILE

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Rosa non è mai contenta dei suoi polli: ha una gallina nera che ogni giorno le fa un uovo e pure essa continua a darle da mangiare a più non posso. Così, a furia di impinzarla, la gallina è ingrassata troppo e non fa più l'uovo.

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LA PREGHIERA DELLA STAGIONE RISORTA Quando la primavera trionfa siamo grati a Colui che ci largito nuovamente luce, fiori, speranze! Eleviamo quindi a Lui la nostra preghiera: «Gloria al Padre e al Figliolo e allo Spirito Santo, com'era nel principio, e ora, e sempre nei secoli dei secoli. Così sia».

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Un Re aveva, condannato a morte un contadino, il quale era stato sorpreso a rubare. Però, poichè il contadino si era mostrato pentito e desideroso di ravvedersi, gli lasciò scegliere la pianta a cui doveva venir impiccato. Si prepara la corda, si prepara il confortatore e il contadino è condotto un'ultima volta davanti al Re. - Dunque - disse questo - hai scelto la pianta a cui dovrai essere appiccato? - Si - rispose timido il contadino - io vorrei essere impiccato a una pianta di fragole. Tutti i compagni di Sèrafo si misero a ridere, e voi capite perchè.

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Sempronio e Sempronella

214686
Ambrosini, Luigi 14 occorrenze
  • 1922
  • G. B. Paravia e C.
  • Torino - Milano - Padova - Firenze - Roma - Napoli - Palermo
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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- Vorrei andare a scuola e non posso. - Perchè non puoi? - Mio padre non vuole. - E perchè tuo padre non vuole? - Dice che la scuola è lontana e perderei troppo tempo fra andare e tornare. - È vero, - disse il Ministro, - la scuola è molto lontana. Se ne fabbricassimo una più vicina, che direbbe tuo padre? - Non mi ci manderebbe, perchè dice che imparare a leggere e a scrivere è un perdere il tempo. E io non posso disubbidire a mio padre. - Tu sei un figliolo ubbidiente, - esclamò il Ministro. - Ma lascia fare a me: troverò il modo di renderti contento. Lo salutò e se ne andò.

Prestò i suoi servizi a un droghiere e rincasò con una boccetta d'olio e un pacchetto di sale. Al quarto piaceva molto leggere e scrivere, ma quel giorno non potè fare ciò che gli piaceva. Uscì, andò pel bosco e fruga fruga raggranellò un fascio di stecchi. Il più piccino avrebbe voluto uscire a far qualche cosa anche lui, ma rimase a casa col padre a fargli assistenza. Mentre gli faceva assistenza gli leggeva un vecchio libro e la lettura distrasse il padre dai tristi pensieri.

A CAVALLO 1.

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il figliolo maggiore rispose: - Lascia fare a noi. Disse una parolina nell'orecchio a ognuno dei fratelli e uscì. Egli amava molto giocare alla trottola, ma quella mattina non giocò alla trottola. Andò da un ortolano a lavorare, e la sera tornò con un cestino d'erbe e dí patate. Al secondo piaceva andare a spasso e far castelli in aria, ma quella mattina non andò a spasso, nè fece castelli in aria. Offrì i suoi servizi a un mugnaio ed ebbe da lui una bella scartocciata di farina.

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Un giorno la mamma le disse: - Trottolina, va a prendere in prestito la padella da comare Assunta. Voglio cuocere quattro frittelle. - Sì, mamma, corro subito! Ma sull'aia Trottolina s'imbattè nel gallo, che la fermò: - Chicchirichì, Trottolina, dove vai? - Vado per i fatti miei. - Se non mi dici dove vai, non ti lascio passare. - Oh! - disse Trottolina:-- vado da comare Assunta a prendere la padella, perchè la mamma vuol cuocere quattro frittelle. - Ne darai due anche a me? Se no, ti becco. - Vieni stasera sull'aia, e le avrai, - rispose Trottolina, compiacente. Più oltre il gallo: - Miau, miau, Trottolina, dove vai? - Vado da comare Assunta a prendere la padella perchè la mamma vuol cuocere quattro frittelle. Le frittelle piacciono anche a me. Me ne darai due? Se no, ti graffio. - Vieni stasera, e le avrai. più in là, Trottolina trovò il cane. - Bau, bau, Trottolina, dove vai? - Vado a prendere la padella per cuocere quattro frittelle. - Ne darai anche a me? Se no ti mordo. - Vieni stasera sull'aia, e le avrai. Più in là il lupo: - U, u, dove vai, Trottolina? Trottolina ebbe tanta paura e disse: - A prendere la padella per le frittelle. - Bene! - disse il lupo. - Promettimene due, se no ti mangio! - Vieni sull'aia stasera, e le avrai. Trottolina arrivata a casa di comare Assunta, dice: - La mamma mi manda a prendere la vostra padella per cuocere quattro frittelle.

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IL RITRATTO RIUSCITO MALE Un giorno Sernpronio fece il proprio ritratto, si mise davanti a uno specchio e comincio a disegnare. Prima la testa, i capelli, gli occhietti, il nasetto, la bocca, il mento, i padiglioni degli orecchi; poi il collo, il petto, le braccia, le mani, e più giù le altre parti della persona. Cercò di fare del suo meglio, e appena ebbe finito corse da Sempronella, le mostrò il disegno e le domandò: - Di chi è questo ritratto? Sempronella guardò curiosa, e capì che era il ritratto di un fanciullo; ma non s'accorse che assomigliava a Sempronio, e non seppe dire altro che: - Mi pare il ritratto di un ragazzo qualunque. Sempronio si sentì mortificato. Ebbe un moto di impazienza, stette lì lì per dire alla sorella una brutta parola; ma tenne a freno la lingua, stracciò il disegno e andò a chiudersi in camera, come un povero Giottino riuscito male. Sedè al tavolino, si prese la testa fra le mani, e cominciò a pensare che era molto difficile fare il proprio ritratto. A un punto gli venne un'idea. - Il mio ritratto voglio farlo con le parole. Proviamo se riesco meglio. E giù a scrivere

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Prendono a destra e vanno a finire sull'orlo d'uno stagno. Le rane gracidano: qua... qua...: brech... brech. Le rane gracidano e i due fanciulli si soffermano ad ascoltare. Le rane giocano «alla scuola» nello stagno. Hanno grembiulini bianchi e calzoncini verdi. Stanno composte della persona, e cantano in coro: qua... qua... brech... brech... La maestra siede su un ceppo di salice, che sporge dall'acqua e serve di cattedra. Ella fa cenno agli scolari di cessare il canto e comincia la lezione. I piccini silenziosi, attenti, fissano sulla maestra gli occhietti lucidi come capocchie di spillo. Ad un tratto, una ranocchietta sbuca dal verde, con una campanella bianca e rossa in mano e allegramente dà il segnale che l'ora della lezione è finita. È la bidella delle rane! Le rane si mettono a saltare, proprio come gli scolari in ricreazione. Esse hanno bisogno di sgranchirsi le gambe. Quale si sdraia sull'erbetta. quale si tuffa a capofitto nell'acqua, altre si rincorrono e giocano a nasconderello. - Che proprio anche le rane vadano a scuola? - domanda Sempronio, che non crede a quanto ha veduto. - Se invece di andare a zonzo, ci si andasse anche noi? - dice Sempronella. I due fanciulli tornano indietro, ritrovano il sentiero, e cammina, cammina, giungono al villaggio. Si fermano davanti a un uscio che reca la scritta: SCUOLA.

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IL VOSTRO RITRATTO Ognuno di voi provi a fare il proprio ritratto. Chi vuol disegnarlo a penna o a lapis, avanti, ci si provi! Ma credo che ognuno di voi farà uno sgorbio. Riuscirete meglio se farete, come Sempronio, un ritrattino a parole. Non importa avere gli occhi azzurri o bruni, avere i capelli biondi o castani; importa essere più o meno buoni, più o meno bravi. Fate dunque il ritrattino dei vostri difetti e delle vostre virtù.

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E studia che studia, lavora che lavora, prova e riprova, a vent'anni era maestro nell'arte dell'intaglio. Venne la guerra, dovè andare soldato. Lasciò a mezzo i suoi lavori, chiuse la bottega. Lo mandarono in caserma. In caserma lo vestirono con panni grigio-verdi, gli misero un elmetto in testa, gli diedero un fucile in mano, e dopo qualche mese lo mandarono in trincea. Pinotto si disse: «Farò il mio dovere»; ma facendo suo dovere pensava alla bottega e ai ferri del mestiere. Un giorno cade una bomba sulla trincea. Pinotto fu ferito alla testa. Urlava pel gran male; lo portarono all'ospedale. Ma egli non vedeva più niente; era cieco, era cieco, per sempre! Allora pianse, pianse tanto! Non piangeva pei suoi occhi, piangeva per la sua arte. Quindici anni aveva studiato, quindici anni aveva lavorato, per essere un maestro nell'arte dell'intaglio! Ora tutto era finito, non poteva più vedere, non poteva più lavorare! Lo mandarono a casa. Quando fu a casa si fece coraggio. Si fece condurre nella bottega, riprese i ferri in mano, li riconobbe a uno a uno: prese un pezzo di legno, cominciò un rozzo disegno, intagliava e tastava: qualche cosa venne fuori. Il suo cuore si aprì alla speranza. Il giorno dopo volle riprovare. A poco a poco si rifaceva la mano, ricominciava a lavorare; il lavoro gli veniva, ma non ancora come una volta! Ma Pinotto si disse: «Ci vorrà tempo e pazienza; ci ho messo quindici anni quando avevo gli occhi buoni». E ogni giorno tornava da capo, ricominciava a studiare la sua arte. E faceva sempre meglio, lavori sempre più fini. Pareva ci vedesse con gli occhi di una volta. E studia che studia, lavora che lavora, e prova e riprova, dopo un anno di pene s'accorse con gioia che nell'arte dell'intaglio era tornato maestro, quasi come una volta!

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Il venticello, scherzando tra le foglie dei salici che ombreggiano la gora, pare che zufoli a bassa voce una canzone ironica sul capo dei nostri tre pescatori. I gamberi rimangono tappati in casa. No: ecco, un usciolinos'apre, e un primo gambero esce lento e guardingo, camminando all'indietro. L'esca di compare Festo gli pende quasi sul capo: l'incauto allarga le pinze, afferra il boccone, e in quella che lo stringe per portarselo via, il virgulto si solleva con uno strappone e il gambero anch'esso uscito dall'acqua va a ruzzolare lì presso nel prato. I ragazzi gli sono sopra e lo vedono sgambettare. - A posto, a posto! - ingiunge compare Festo. Ed ecco di nuovo le tre schiene chine sulla gora e le braccia tese. Ora i gamberi escono fuori a due a due, a tre a tre, come fosse l'ora della passeggiata. Vanno a spasso, vedono il boccone, abbrancano e... zumpete nel prato! In un'ora se ne è empita una bella rete.

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I contadini a fuggire, tirandosi dietro le mucche, e l'acqua a inseguirli, a entrare nelle case abbandonate, a invadere le cantine e le stalle. In una casa c'era un povero vecchio paralitico, che non poteva più scendere di letto. Rimase con lui un uomo della famiglia, finchè vennero i soldati con una zattera e li salvarono tutti e due. L'inondazione durò tre giorni e i campi tutto all'intorno si mutarono in laghi pantanosi. Poi, per buona sorte, la pioggia cessò, il fiume andò scemando rapidamente e rientrò nell'alveo. Ogni anno, in primavera e in autunno, s'odono brutte notizie di inondazioni, e a volte muoiono intere famiglie: rovinano case, e vasti campi ubertosi rimangono sepolti sotto un lenzuolo di fango.

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RUSTICO Alla volontà del babbo Rustico aveva fatto un viso di festa: egli non desiderava di imparare a leggere nei libri. La sua vita era in mezzo ai campi, fra i giochi e le corse, e gli piaceva molto più andarsene a caccia di nidi, o prendere a sassate le lucertole che si trastullano al sole sui muriccioli o che vanno a spasso sulle siepi di more, che non rinchiudersi tra le pareti di una scuola a prendere una penna in mano. Rustico era soddisfatto e contento di avere in sorte un babbo simile. E quando incontrava un compagno di ritorno dalla scuola, con la cartella dei libri sotto il braccio, un po' lo compiangeva, un po' lo beffava, ma finiva sempre con l'esclamazione: - Che bravo babbo ho io!...

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E stava per firmare, quando il Ministro ripensò al caso del piccolo Desiderio, al quale suo padre non avrebbe permesso di andare a scuola, perchè s'era impuntato su quella idea storta che le scuole non servissero a niente. - Un momento, Maestà. Bisogna aggiungere un ordine a questa legge: «Che tutti i genitori siano obbligati a mandare propri figlioli alla scuola». Ce n'è qualcuno che non vuol saperne. - Possibile?! - esclamò il Re. - È proprio cosi, Maestà. Allora il Re aggiunse di suo pugno quell'ordine e la legge fu bandita. Da allora molto tempo è passato in quel lutese lontano. Molte scuole furono costruite nelle città e nei villaggi. Molti maestri e molte maeste hanno consumato la loro vita nell'insegnare. Molti bei libri sono stati scritti e stampati per fanciulli. E non c'è più babbo che non voglia mandare i suoi figli a scuola. E quanto a costoro, se essi assomigliano a Desiderio o a Domestico, vanno a scuola come andrebbero a festa: se assomigliano a Rustico, fanno qualche smorfia e qualche lacrimuccia le prime volte, ma sono lacrime che asciugano presto!

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SCUOLA E FAMIGLIA Sempronio e Sempronella pregano maestro Saverio di scrivere subito una letterina ai loro genitori, a mamma Venusta e a babbo Terenzio, per avvisarli che essi non torneranno in montagna se non quando avranno imparato ben bene a leggere e a scrivere. Cari genitori, siamo scesi al villaggio e siamo entrati la prima volta in una scuola. Il maestro ci ha accolti come fossimo suoi figlioli. Ci ha detto che in un anno impareremo a leggere e a scrivere. Sono insieme con noi tanti fanciulli e fanciulle. Chi ha i capelli biondi, chi li ha bruni, chi ha le scarpe di contadino e chi calza gli stivaletti da signore. Ma questo non importa niente: l'importante è avere voglia di imparare, e di farsi onore. Il vostro Sempronio e la vostra Sempronella in capo a nove mesi di studio vi scriveranno una bella letterina di loro mano. Ve lo promettono. Questa è scritta dal maestro Saverio, il quale vi saluta e vi prega di venire giù al villaggio appena potrete. I vostri affezionatissimi figli SEMPRONIO E SEMPRONELLA.

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