Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Sentenza n. 1

336866
Corte costituzionale 32 occorrenze
  • 2016
  • Corte costituzionale
  • Roma
  • diritto
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Tenuto conto che gli interessi implicati non riguardano una singola Regione o Provincia autonoma (sentenza n. 278 del 2010), ma tematiche comuni a tutto il sistema delle autonomie, inclusi gli enti locali (sentenza n. 383 del 2005), appare adeguata la scelta legislativa di coinvolgere Regioni, Province autonome ed autonomie locali nel loro insieme, attraverso la Conferenza unificata: istituto, questo, utile non solo alla semplificazione procedimentale, ma anche a facilitare l’integrazione dei diversi punti di vista e delle diverse esigenze degli enti regionali, provinciali e locali coinvolti (sentenza n. 408 del 1998). Del resto, in più di un’occasione e in casi analoghi, è stata questa stessa Corte a identificare l’intesa in sede di Conferenza unificata come strumento idoneo a realizzare la leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012), qualora non siano coinvolti interessi esclusivamente e individualmente imputabili al singolo ente autonomo.

Oltre a ripercorrere il contenuto della disposizione impugnata, la difesa erariale sottolinea che già a norma dell’art. 10, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 29 luglio 2014, n. 106, era demandato a un decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottare previa intesa in sede di Conferenza unificata, il compito di aggiornare gli standard minimi, uniformi in tutto il territorio nazionale, dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche: ivi compresi, tra l’altro, i condhotel.

riservata a separata pronuncia la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 9 del 2015);

Degli eventuali difetti di questa motivazione e della dialettica ad essa retrostante, le Regioni e le Province autonome potranno eventualmente dolersi nei modi appropriati, anche dinanzi a questa Corte.

.– Con atto depositato il 17 febbraio 2015, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che sia dichiarata l’infondatezza del ricorso della Provincia autonoma di Trento in relazione a tutte le disposizioni del d.l. n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014, ivi censurate. In merito all’art. 31, la difesa erariale ha svolto argomenti uguali a quelli, sopra riassunti, esposti nell’atto di intervento nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano.

Non v’è dubbio che la disciplina dei condhotel attenga alla materia del «turismo e industria alberghiera», di competenza delle Regioni e delle Province autonome, come emerge anche dalla enunciazione delle finalità dell’intervento legislativo in esame, il quale mira a «diversificare l’offerta turistica» e a «favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti». Tuttavia, non si può affermare che essa riguardi in via esclusiva la suddetta materia, presentando altresì profili che interferiscono con la materia dell’urbanistica e del «governo del territorio», nonché con l’«ordinamento civile».

.– Con memoria depositata il 27 ottobre 2015, la Provincia autonoma di Trento ha insistito nelle proprie conclusioni, esponendo argomenti uguali a quelli, sopra riassunti, esposti nella memoria depositata in pari data dalla Provincia autonoma di Bolzano.

.– Con memoria depositata il 20 ottobre 2015, l’Avvocatura generale dello Stato ha confermato le proprie conclusioni, con argomenti uguali a quelli, sopra riassunti, esposti nella memoria depositata in pari data nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano.

L’art. 31, al comma 1, dopo aver esordito dichiarando che la disposizione in questione è ispirata alla finalità di diversificare l’offerta turistica e di favorire gli investimenti per la riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti, definisce i condhotel come «gli esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati».

L’Avvocatura generale ricorda poi che, nella materia del turismo – la quale pure rientra nella competenza residuale delle Regioni ordinarie e in quella primaria delle Province autonome – lo Stato può attrarre a sé funzioni amministrative, nonché regolarne con proprie leggi l’esercizio, qualora ciò sia necessario per rimediare alla frammentazione dell’offerta turistica e realizzare un’attività promozionale unitaria, a condizione che tale chiamata in sussidiarietà sia proporzionata allo scopo e che, inoltre, sia previsto il coinvolgimento delle Regioni, nei confronti delle quali lo Stato deve serbare un atteggiamento di leale collaborazione (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 76 del 2009, n. 94 del 2008 e n. 90 del 2006).

3.– Il censurato art. 31, dopo aver enunciato le proprie finalità, identificate nell’obiettivo di «diversificare l’offerta turistica e favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti», si sviluppa come segue: a) definisce i condhotel come «gli esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati» (comma 1); b) demanda la determinazione delle «condizioni di esercizio dei condhotel» a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome in sede di Conferenza unificata (comma 1); c) prevede che il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri stabilisca «i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della anzidetta quota di unità abitative a destinazione residenziale» (comma 2, primo periodo), specificando altresì che, se sono stati concessi contributi o agevolazioni pubbliche, il vincolo può essere rimosso solo previa restituzione di questi, qualora ciò avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato (comma 2, secondo periodo); d) prescrive alle Regioni e alle Province autonome di adeguare i propri ordinamenti a quanto disposto dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, entro un anno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (comma 3, primo periodo); e) lascia ferme, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 settembre 2002, recante il recepimento dell’accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico (comma 3, secondo periodo).

Con riguardo a questi parametri, la Provincia autonoma di Trento sviluppa argomenti sostanzialmente analoghi a quelli dell’altra ricorrente.

La difesa erariale si limiterebbe a richiamare la ratio dell’intervento, che è di incentivare gli investimenti nel settore alberghiero; ma non spiegherebbe perché una tale esigenza non potrebbe essere soddisfatta da misure diversificate su base territoriale – come diversificate, in quanto rimesse alla competenza regionale, sono altresì la classificazione delle strutture ricettive, nonché la disciplina degli standard qualitativi e delle dotazioni delle varie categorie di strutture (il tentativo dello Stato di riaccentrare questi profili della materia, osserva la ricorrente, è stato giudicato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 80 del 2012, sia pure per motivi attinenti all’eccesso di delega). Pertanto, se operato con la dovuta severità, il sindacato sulla sussistenza di un interesse idoneo a sorreggere la chiamata in sussidiarietà giungerebbe a un esito negativo. Lo stesso dovrebbe concludersi per il test di proporzionalità, potendo le misure in questione essere sostituite da altre, più rispettose dell’autonomia territoriale: tanto più che lo stesso art. 10, comma 5, del d.l. n. 83 del 2014, come convertito dalla legge n. 106 del 2014, riconosce il rilievo delle specifiche esigenze connesse ai diversi contesti territoriali e alle loro capacità ricettive e di fruizione. Spetterebbe comunque al legislatore, non all’esecutivo, valutare le eventuali esigenze unitarie.

A ciò, prosegue la ricorrente, non potrebbe obiettarsi che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri deve essere adottato previa intesa in sede di Conferenza unificata: in quella sede, la posizione della Provincia autonoma di Bolzano potrebbe soccombere; comunque, la stessa Provincia non potrebbe impegnare per il futuro l’autonomia statutariamente assicurata alla propria funzione legislativa.

A norma dello stesso comma 1, le condizioni di esercizio dei condhotel sono definite da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome in sede di Conferenza unificata: vale a dire, di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, unificata con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

In relazione all’art. 10, comma 5, del d.l. n. 83 del 2014, come convertito dalla legge n. 106 del 2014, la ricorrente osserva che la mancata impugnazione di tale disposizione non fa venir meno l’interesse a ricorrere contro le diverse norme oggi in questione e che, comunque, l’applicabilità del citato art. 10, comma 5, alle Province autonome non era espressamente prevista.

6.– Quanto agli effetti della clausola di salvaguardia di cui all’art. 43-bis del d.l. n. 133 del 2014, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 164 del 2014, si deve convenire con la difesa delle ricorrenti che il censurato art. 31 – prescrivendo esplicitamente, nel primo periodo del comma 3, che le Regioni e le Province autonome «adeguano i propri ordinamenti a quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1 entro un anno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale» – presuppone logicamente la sua applicabilità agli enti ricorrenti. Pertanto, in riferimento alla disposizione censurata, non spiega effetto la generale clausola di salvaguardia contenuta nel decreto-legge (art. 43-bis), la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è da intendersi derogata a fronte di una disposizione del medesimo atto normativo che impone espressamente un obbligo di adeguamento (ex plurimis, sentenze n. 137 del 2014 e n. 241 del 2012).

Dopo aver ribadito che, a suo avviso, in virtù della previsione di cui all’art. 31, comma 3, primo periodo, la disposizione impugnata risulta direttamente applicabile anche alle autonomie speciali a prescindere da ogni valutazione circa la sua compatibilità con i singoli ordinamenti statutari, la ricorrente enumera le proprie competenze con le quali la disposizione interferirebbe: le competenze legislative primarie e amministrative in materia di «urbanistica e piani regolatori», nonché di «turismo e industria alberghiera» (di cui agli artt. 8, numeri 5 e 20, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino – Alto Adige»); la competenza legislativa residuale in materia di commercio (ai sensi degli artt. 117, comma quarto, della Costituzione e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»); la competenza concorrente in materia di «esercizi pubblici» (art. 9, numero 7, dello Statuto della Regione autonoma Trentino – Alto Adige / Südtirol). La ricorrente richiama inoltre, con riguardo alle norme di attuazione statutaria, l’art. 11, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino – Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), secondo cui «[l]e funzioni delegate alle regioni a statuto ordinario in forza del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, qualora riguardino materie comprese negli articoli 4 e 8 dello statuto speciale, sono trasferite, rispettivamente, alla regione o alle province autonome per la parte che già non spetti loro per competenza propria».

.– L’impugnato art. 31 introduce norme in materia di condhotel, una tipologia innovativa di esercizi alberghieri, a gestione unitaria, che forniscono servizi sia nelle tradizionali camere destinate alla ricettività, sia in unità abitative a destinazione residenziale. Nell’ordinamento italiano, la figura del condhotel è menzionata per la prima volta all’art. 10, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 29 luglio 2014, n. 106, che non ha mai ricevuto attuazione. È solo nell’art. 31 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, qui in esame, che il nuovo istituto trova una sua definizione e un principio di disciplina, da svilupparsi tramite l’apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, configurando una nuova tipologia di esercizio alberghiero contraddistinta dall’offerta di servizi, oltre che in camere tradizionali, anche in unità residenziali di proprietà di terzi privati.

2.– I ricorsi hanno ad oggetto la medesima disposizione e formulano censure analoghe, sicché ne appare opportuna la riunione ai fini di una decisione congiunta, riservando a separate pronunce la decisione delle censure rivolte, nel ricorso della Provincia autonoma di Trento, ad altre disposizioni del d.l. n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014 (ex plurimis, sentenze n. 156, n. 155, n. 141, n. 140 e n. 125 del 2015).

A tale ultimo proposito, la difesa erariale richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2004, in cui, per realizzare la collaborazione e la concertazione con le Regioni in relazione a un intervento sussidiario dello Stato, sono stati individuati due livelli di partecipazione costituiti, il primo, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano; il secondo, da un intesa tra le competenti amministrazioni statali e la singola Regione interessata. Nel censurato art. 31, il principio di leale collaborazione sarebbe pienamente soddisfatto dal rinvio all’intesa in sede di Conferenza unificata: il sistema delle conferenze costituirebbe il principale strumento attraverso il quale le Regioni possono avere un ruolo nella determinazione del contenuto di atti legislativi dello Stato che incidano in materie di loro competenza (è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 401 del 2007); più specificamente, la Conferenza unificata sarebbe adeguatamente rappresentativa tanto delle Regioni, quanto degli enti locali, anch’essi titolari di funzioni amministrative condizionate o incise dalle scelte di settore (è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 2005).

Pertanto, nella peculiare disciplina in questione, per come essa è formulata, vengono in rilievo competenze eterogenee, alcune delle quali di stretta spettanza esclusiva statale, altre a vario titolo attribuite alle Regioni e alle Province autonome. Inoltre, tali molteplici competenze non si presentano separate nettamente tra di loro e sono, anzi, legate in un inestricabile intreccio (sentenze n. 334 del 2010 e n. 50 del 2005), senza che sia possibile identificarne una prevalente sulle altre dal punto di vista qualitativo o quantitativo.

D’altra parte, la disciplina dei condhotel coinvolge anche rapporti di natura privatistica: basti osservare che, all’interno della nuova figura delineata dall’art. 31, comma 1, le «unità abitative a destinazione residenziale» possono essere oggetto di diritti, evidentemente anche reali, di soggetti diversi dall’impresa alberghiera; sicché, le «condizioni di esercizio», da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui allo stesso comma 1, debbono riguardare sia i rapporti con il pubblico dei turisti, sia quelli con i proprietari delle unità residenziali, nelle quali pure l’impresa offre i propri servizi, «in forma integrata e complementare» a quanto avviene nelle camere tradizionali. Dunque, la natura ibrida e complessa della nuova figura giuridica – la quale si riflette nella sua stessa denominazione – richiede che siano regolamentati anche importanti aspetti contrattuali e condominiali, come tali attinenti alla materia dell’«ordinamento civile» (sentenze n. 80 del 2012 e n. 369 del 2008), prevista all’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost., il quale, peraltro, ha codificato il limite del «diritto privato» già consolidatosi nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (sentenza n. 295 del 2009).

Il successivo comma 2 del censurato art. 31 prevede che il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri stabilisca altresì i criteri e le modalità secondo i quali, qualora un condhotel sia realizzato mediante interventi su esercizi alberghieri esistenti, può essere rimosso il vincolo di destinazione alberghiera, limitatamente alla realizzazione della anzidetta quota di unità abitative a destinazione residenziale. Il medesimo comma 2 specifica che, se sono stati concessi contributi o agevolazioni pubbliche, il vincolo può essere rimosso solo previa restituzione di questi, qualora la rimozione avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato.

L’intesa prevista nello stesso comma 1 avrebbe carattere forte, non debole: l’inveramento del principio di leale collaborazione sarebbe garantito perché nei casi di cui all’art. 3, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 281 del 1997, richiamato dall’art. 9, comma 2, lettera b), dello stesso decreto legislativo – vale a dire, qualora l’intesa non sia raggiunta entro 30 giorni dalla prima seduta della Conferenza in cui è all’ordine del giorno, e qualora sussistano ragioni di urgenza – il Consiglio dei ministri può provvedere unilateralmente, ma solo con deliberazione motivata. Anche la previsione che, ai sensi del censurato art. 31, comma 2, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri disciplini i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione si spiega con il nesso di consequenzialità tra questi e gli altri contenuti del decreto stesso, nonché con le ragioni di uniformità a livello nazionale che li giustificano.

Con riguardo a tale disposizione, svolgendo deduzioni in buona parte corrispondenti a quelle dell’altra Provincia autonoma, la ricorrente rivendica le proprie competenze legislative primarie e amministrative in materia di «urbanistica e piani regolatori», di «tutela del paesaggio», nonché di «turismo e industria alberghiera» (di cui ali artt. 8, numeri 5, 6 e 20, e 16 dello Statuto della Regione autonoma Trentino – Alto Adige / Südtirol) e, altresì, la competenza legislativa residuale in materia di commercio (ai sensi degli artt. 117, comma quarto, Cost., e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001). La ricorrente richiama, inoltre, con riguardo alle norme di attuazione statutaria, il d.P.R. n. 381 del 1974, il d.P.R. n. 278 del 1974 e il d.P.R. n. 686 del 1973, nonché l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Come frutto dell’autonomo esercizio delle competenze rivendicate, è citato l’art. 13-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 15 maggio 2002, n. 7 (Disciplina degli esercizi alberghieri ed extra-alberghieri e promozione della qualità della ricettività turistica), il quale reca disposizioni in materia di realizzazione di villaggi alberghieri e di residenze turistico-alberghiere, quali definiti nell’art. 5 della stessa legge, disciplinando altresì il vincolo di destinazione gravante su tali strutture.

In virtù del già citato comma 3, che conclude l’art. 31, le Regioni e le Province autonome sono tenute ad adeguare i propri ordinamenti a quanto stabilito nel previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, entro un anno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (primo periodo); in quanto compatibili con l’art. 31, restano ferme «le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 settembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 25 settembre 2002, recante il recepimento dell’accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico» (secondo periodo).

A prescindere dal fatto che la lamentata debolezza dell’intesa non sarebbe attribuibile all’impugnato art. 31, ma finirebbe per investire la stessa disciplina generale delle intese in seno alla Conferenza unificata (art. 9 del d.lgs. n. 281 del 1997), nonché quella delle intese in seno alla Conferenza Stato-Regioni (art. 3, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 281 del 1997), che non sono oggetto del presente giudizio, occorre precisare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, gli strumenti di cooperazione tra diversi enti debbono prevedere meccanismi per il superamento delle divergenze, basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione. Se, da un lato, il superamento del dissenso deve essere reso possibile, anche col prevalere della volontà di uno dei soggetti coinvolti, per evitare che l’inerzia di una delle parti determini un blocco procedimentale, impedendo ogni deliberazione, dall’altro, il principio di leale collaborazione non consente che l’assunzione unilaterale dell’atto da parte dell’autorità centrale sia mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa entro un determinato periodo di tempo (ex plurimis, sentenze n. 239 del 2013, n. 179 del 2012, n. 165 del 2011) – specie quando il termine previsto è, come nel caso, alquanto breve – o dell’urgenza del provvedere. Il principio di leale collaborazione esige che le procedure volte a raggiungere l’intesa siano configurate in modo tale da consentire l’adeguato sviluppo delle trattative al fine di superare le divergenze.

D’altra parte, un obbligo di adeguamento come quello di cui al censurato art. 31, comma 3, sarebbe illegittimo anche per le Regioni a statuto ordinario, dato che l’art. 117, comma sesto, Cost. esclude ogni competenza regolamentare dello Stato nelle materie oggetto di competenze legislative regionali.

Infine, in via subordinata, i ricorsi lamentano una violazione del principio di leale collaborazione, in quanto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto dal censurato art. 31, deve essere adottato in base a una procedura che prevede un’intesa con le Regioni e le Province autonome, da assumersi in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 281 del 1997, disposizione questa che – richiamando, attraverso il proprio comma 2, lettera b), l’art. 3, commi 3 e 4, dello stesso d.lgs. n. 281 del 1997 – consente al Governo di procedere unilateralmente, con deliberazione motivata, quando l’intesa non è raggiunta entro trenta giorni, ovvero in caso di «motivata urgenza», salvo sottoporre entro 15 giorni i provvedimenti adottati all’esame della Conferenza Stato-Regioni.

D’altra parte, la chiamata in sussidiarietà può giustificare l’attrazione al centro di funzioni amministrative, mentre, nel caso, verrebbe in rilievo una «funzione di mera regolazione», che, nelle materie di competenza regionale, lo Stato può esercitare solo con legge, unica fonte abilitata a disciplinare i profili unitari delle materie regionali, «attraverso le clausole dell’art. 117, commi secondo e terzo, Cost.».

Tra le norme di attuazione statutaria sono, altresì, richiamati l’art. 11, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino – Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), secondo cui «[l]e funzioni delegate alle regioni a statuto ordinario in forza del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, qualora riguardino materie comprese negli articoli 4 e 8 dello statuto speciale, sono trasferite, rispettivamente, alla regione o alle province autonome per la parte che già non spetti loro per competenza propria»; nonché l’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino – Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), a norma del quale – sostiene la ricorrente – per le Province autonome un onere di adeguamento potrebbe sussistere solo nei confronti di atti legislativi dello Stato.

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