Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Sentenza n. 1988

333980
Cassazione penale, sezione I 7 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
  • diritto
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., già prosciolto per il delitto di spaccio di cui al capo B), dal delitto associativo di cui al capo A) per non avere commesso il fatto ai sensi dall’art. 530, comma 2 c.p.p. e tenuto conto delle circostanze attenuanti generiche riconosciute a N. G., a M. G., a T. V. e a S. A. provvedeva alla rideterminazione delle pene, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.

A.; 14) S. A., 15) C. S. D., nonché

. – Nel giudizio di rinvio sono state concesse le circostanze attenuanti generiche a T. V., a M. G. e a N. G., sicché, poiché la pena edittale massima per il reato di corruzione risulta inferiore a cinque anno, l pronuncia di condanna deve essere annullata senza rinvio in quanto detto reato la cui consumazione è stata contestata “fino al dicembre 1989” è estinto per prescrizione a seguito del decorso del periodo di sette anno e mezzo.

A.; 5) Z. A.; 6)M. R.; 7) S. V.; 8) T. R.; 9) T. V.; 10) M. G.; 11) LA R. G.;

., responsabile dell’Ufficio lottizzazioni del Comune di Milano, è stato condannato a due anno di reclusione, pena sospesa, a seguito di patteggiamento ex art. 599, comma 1 e 4 e 602, comma 2 c.p.p., con rinuncia agli altri motivi.

A. ha proposto ricorso per cassazione contro il capo di sentenza con cui è stato escluso l’effetto estensivo degli appelli proposti dai coimputati ed è stata confermata la condanna inflitta dal giudice di primo grado a due anno e quattro mesi di reclusione per il delitto di corruzione.

A) Il procuratore Generale di Milano impugnava la sentenza limitatamente al capo con cui il C. era stato assolto dal delitto associativo denunciandone la nullità ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e) c.p.p. per mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul rilievo che la Corte territoriale aveva del tutto trascurato alcuni elementi indiziari e aveva altresì omesso di coordinare logicamente il complesso di quelli presi in considerazione. Il P. G. ricorrente indicava, quindi, i vizi logici in cui a suo dire era incorso il giudice di rinvio nell’interpretare gli elementi probatori relativi ai vari episodi esaminati (provvista dell’alloggio di Liscate a G. C. e acquisito del terreno del Ronchetto; appalti di C. B. e V.; rapporti con Z. A.; operazione “Aiana bis”), concludendo che, nel contesto di un valutazione globale e coordinata, gli indizi assumevano i caratteri della gravità, della precisione e della concordanza e convergevano univocamente nel dimostrare che il C. era inserito nell’associazione criminosa

Sentenza n. 9656

334822
Cassazione civile, sezione II 5 occorrenze
  • 1987
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
  • diritto
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Gli Stecconi, allora, chiamavano in garanzia, per evizione, Tomassina Solfaroli Camillocci, loro dante causa, la quale, costituitasi a sua volta, resisteva, deducendo che gli attori avevano acquistato il fondo “a corpo”, non “a misura”, e che, comunque, avevano avuto la possibilità di rilevare naturalmente quale fosse lo stato di fatto.

Pantaleo LORETO res. in Montereale, elett. dom. a Roma via Oderisi da Gubbio, 91 presso l’avv. Dario Ammassari, rapp. e difeso dall’avv. Antonello Lopardi per delega a margine del controricorso.

Stecconi VINCENZO, Stecconi ANTONIO e Stecconi GABRIELE res. in Montereale; elett. dom. a Roma Corso Vittorio Emanuele, 142 presso lo studio dell’avv.to Basilio Forti che li rapp. e difende per delega a margine del ricorso.

In punto, è appena il caso di considerare che l’azione di rivendica promossa dagli Stecconi aveva nel solo Pantaleo la persona legittimata a contraddire quale possessore del bene in questione, a nulla rilevando in contrario che egli, difesosi in base al principio possideo quia possideo, si fosse anche dichiarato disposto in ogni momento a rilasciare il bene medesimo agli eredi Ferrini, che assumeva essere i legittimi proprietari.

Il Pantaleo, costituitosi, resisteva, deducendo che il terreno rivendicato era parte di un fondo di proprietà di un lontano autore dei fratelli Leopoldo e Teobaldo Ferrini, il secondo dei quali, poi deceduto, aveva sposato in seconde nozze una sorella di esso Pantaleo, a nome Malvina, poi anch’essa deceduta, talché il terreno in questione era attualmente “detenuto” dallo stesso, “per il rapporto di affinità”. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda, in base al principio possideo quia possideo, pur dichiarandosi a tutti gli effetti pronto in ogni momento a rilasciare il terreno ai sui legittimi proprietari per successione ereditaria, ossia ai nipoti “carnali” dei fratelli Ferrini.

Sentenza n. 13120

335005
Cassazione civile, sezione II 5 occorrenze
  • 1997
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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La società anzidetta, quindi, con un’istanza subordinata rispetto a quella come sopra coltivata in via principale, ha chiesto, a mente dell’art. 1384 cod. civ., la riduzione della concordata, asserita, penale e la condanna della controparte a versarle il residuo del prezzo, detratta la penale.

., nella professata veste di avente causa a titolo particolare per atto fra vivi della “CO.GE.UR.” s.p.a. nella titolarità del credito da questa, a suo tempo, azionato, ha prodotto ricorso, con quattro motivi, per la cassazione della suindicata sentenza di secondo grado, notificata alla sua autrice il 17 marzo 1994.

., ridusse la misura della penale, ravvisata, in tale clausola concordata e, operata la compensazione, fino alla concorrenza, con la somma di L. 1.000.000.000 dovuta alla società istante a titolo di prezzo, condannò l’ente convenuto a pagare alla controparte la somma di L. 450.000.000, con interessi legali dal 17 maggio 1986 al saldo, nonché ulteriori L. 50.000.000, con interessi legali a decorrere dalla data della decisione, a titolo di ristoro del danno correlato alla svalutazione monetaria.

.)”, in definitiva, prospettando, a chiarimento di deduzioni già anticipate nel mezzo precedente, avere il giudice del merito erroneamente ritenuto consentite nel vigente ordinamento giuscivilistico clausole contrattuali, a suo dire, viceversa, da aver per contrarie a principi inderogabili di ordine pubblico, dirette a predeterminare convenzionalmente, in relazione alle promesse del fatto di terzi, la consistenza dello indennizzo dovuto al promissario nel caso di mancata prestazione del fatto promesso, indipendentemente dall’acquisita dimostrazione dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio cui detto indennizzo dovrebbe correlarsi.

1) – I ricorsi, separatamente proposti avverso la stessa sentenza, a mente dell’art. 335 cod. proc. civ., devono essere riuniti.

Sentenza n. 19219

335254
Cassazione civile, sezione tributaria 2 occorrenze
  • 2017
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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Open space pubblicità s.r.l. ricorre con nove motivi per la cassazione della sentenza della C.T.R. della Lombardia, n. 75/67/2010 dep. il 10 maggio 2010, che in relazione a due avvisi di accertamento per IVA, Irap e Irpeg relativi agli anni 2000 e 2001 – emessi a seguito di verifica della Guardia di finanza, col quale venivano recuperati a tassazione una serie di costi (alcuni dei quali ritenuti non inerenti, altri non documentati, altri non di competenza) – confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato l’appello della contribuente.

Questo motivo è fondato, non avendo la C.T.R. esaminato gli elementi forniti dalla società circa un diverso utilizzo del “salottino” cui è stata dalla C.T.R. attribuita una finalità (”ospitalità di VIP”), senza tener conto della diversa prospettazione proposta dalla contribuente (scopi pubblicitari), in relazione a specifiche indicazioni sulla collocazione del salottino (dal quale non era visibile lo stadio), con ciò incorrendo nel dedotto vizio di motivazione, essendosi la C.T.R. limitata a statuire, con motivazione pertanto insufficiente, che “è evidente che l’esistenza di questi locali ha la finalità di mettere a disposizione degli spettatori di target più elevato un servizio di ospitalità in occasione di partite di calcio”.

Sentenza n. 7408

335412
Cassazione penale, sezione I 8 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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1 – Con ordinanza pronunciata in data 29.9.1997 nella fase degli atti introduttivi del dibattimento il tribunale di Napoli dichiarava la nullità – per omessa notificazione dell’avviso di udienza a uno dei due difensori dell’imputato A. B. avv. Rosario Ummarino – del decreto che disponeva il giudizio immediato, emesso a norma dell’art. 456 c.p.p. dal g.i.p. presso il medesimo tribunale nei confronti del B. e del coimputato F. F., e ordinava la restituzione degli atti a questo giudice per la rinnovazione dell’atto introduttivo del giudizio.

3. – La Relazione al Progetto preliminare ha reso esplicito che con la citata disposizione normativa “si è voluto sottolineare che la disciplina dei conflitti mira a regolare la sfera della giurisdizione e della competenza, e non anche i dissensi tra gli uffici in ordine a situazioni diverse; in questi casi l’interesse a una sollecita definizione del processo è parso preminente sull’interesse del giudice a non essere vincolato dalla statuizione di un altro giudice, almeno nel, caso in cui il giudice vincolante sia quello del dibattimento”.

nel procedimento a carico di:

S’intende dire cioè che la notifica del decreto di citazione all’imputato e dell’avviso d’udienza a uno dei difensori di fiducia dell’imputato medesimo, nonostante il mancato avviso all’altro difensore, non è assolutamente inidonea a instaurare un regolare i apporto processuale – affatto invalida vocatio in jus essendo solo quella contenuta in un decreto di citazione viziato da nullità di ordine generale, assoluta e insanabile –, ai fini dell’inapplicabilità dell’art. 143 disp. att. c.p.p. (v., argomentando a contrario, Cass., Sez. VI, 11.6.1996, T., rv. 206139; Sez. I, 30.4.1992, D’A., rv. 190385).

A. n. il 25.09.1969

A. n. il 25.09.1969

Dichiara la competenza del tribunale di Napoli a provvedere alla rinnovazione della citazione a giudizio e, per l’effetto, annulla senza rinvio l’ordinanza in data 21.5.1997 del medesimo tribunale, limitatamente alla disposta restituzione degli atti al giudice per le indagini preliminari.

Il g.i.p. rifiutava a sua volta di emettere nuovo decreto per il giudizio, e, rilevato con ordinanza 21.10.1997 il conflitto di competenza con il tribunale, sull’assunto dell’abnormità della regressione del procedimento per la rinnovazione di un atto nullo spettante al giudice del dibattimento ai sensi dell’art. 143 n. att. c.p.p., disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte per la risoluzione dello stesso.

Sentenza n. 5188

335551
Cassazione penale, sezione VI 4 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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A. H. U., anch’egli cittadino colombiano, al quale consegnava la borsa contenente la cocaina.

sul ricorso proposto da A. O. C. avverso le ordinanze di convalida

Sentenza n. 37494

335634
Cassazione penale, sezione VI 1 occorrenze
  • 2017
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

Sentenza n. 1

335923
Corte costituzionale 1 occorrenze
  • 1956
  • Corte costituzionale
  • Roma
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Ma, ciò nonostante, la indeterminatezza originaria rimane e quindi così per l’autorità di pubblica sicurezza come per l’organo chiamato a controllarne l’attività a seguito di ricorso continua a sussistere una eccessiva estensione di poteri discrezionali, non essendo in alcun modo delineata la sfera entro la quale debbano essere contenuti l’attività di polizia e l’uso dei poteri di questa.

Sentenza n. 1

336095
Corte costituzionale 5 occorrenze
  • 1966
  • Corte costituzionale
  • Roma
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6. – A questa interpretazione è stata mossa da più parti la critica che essa ricondurrebbe a forme arcaiche di gestione della spesa pubblica e che, assegnando a ciascun ufficio pubblico una fonte di finanziamento, colpirebbe a morte il fondamentale principio dell’unità del bilancio, sostituendosi a un unico documento in cui spese ed entrate si fronteggiano nella loro interezza, per effetto di leggi susseguitisi l’una con l’altra nel tempo, una fitta serie di minuti bilanci nei quali a ciascuna spesa sarebbe perpetuamente legata un’entrata, ponendosi a fronte puntualmente l’una con l’altra.

1) i compiti che, a norma dell’art. 1 del decreto legislativo 27 giugno 1946, n. 33, spettano all’A.N.A.S. sono tra gli altri: a) di gestire le strade statali e le autostrade appartenenti allo Stato, provvedendo alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria; b) di realizzare il progressivo miglioramento delle strade statali e nuove autostrade. A tali compiti l’Azienda provvede con i fondi posti a sua disposizione e l’intervento del legislatore nel 1959, per la parte che si riferisce alla migliore sistemazione e adeguamento delle strade statali di primaria importanza, non avrebbe altro fine se non quello di “programmare” una spesa destinata a un compito normale dell’Azienda e che perciò non può essere considerata “nuova”, nuova essendo una spesa che soddisfi un fine nuovo rispetto a esigenze preesistenti, e nemmeno “maggiore”, perché una spesa così qualificata richiede un termine di raffronto costituito dal “bilancio in corso” che, nel caso in esame, non sussiste, provvedendo la legge impugnata, senza incidere sul bilancio in corso, a realizzare, mediante una spesa ripartita in un numero determinato di anni, uno dei fini istituzionali dell’A.N.A.S.;

3) a torto si farebbe richiamo alle decisioni di questa Corte indicate nell’ordinanza, perché queste decisioni riguarderebbero spese nuove o maggiori. Viceversa, l’Avvocatura ritiene che possa trarsi argomento a sostegno della sua tesi dalla sentenza della Corte del 19 maggio 1964, n. 33;

Né vale addurre in contrario, come fa l’Avvocatura dello Stato, la sentenza n. 33 del 12 maggio 1964, la quale non si propose il problema se la copertura, prevista dagli artt. 11 e 21 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, fosse conforme alla Costituzione, ma si limitò ad affermare che, non avendo la legge previsto o autorizzato la spesa per l’assistenza sanitaria a talune categorie di pensionati, non era tenuta, per conseguenza, a indicare i mezzi per far fronte a una spesa, ne nuova, né maggiore, ma inesistente.

Le conclusioni alle quali essa perviene sono le seguenti: a) la legge impugnata non costituisce un nuovo titolo di spesa; essa si riferisce a un titolo di spesa già esistente nell’ordinamento giuridico e rappresentato da uno dei fini istituzionali fondamentali dell’A.N.A.S.; b) quando per legge si riservi per un certo numero di esercizi una parte della disponibilità di bilancio a uno specifico titolo di spesa, non si fa se non procedere a una programmazione settoriale della spesa pubblica, non vietata da alcuna norma costituzionale, ma imposta da obiettive necessità di una visione d’insieme di determinate esigenze pubbliche, che non è possibile soddisfare nel termine di un solo esercizio finanziario. L’approvazione legislativa di un piano di spesa pluriennale non significherebbe, del resto, l’autorizzazione ad erogare senz’altro la spesa considerata negli esercizi futuri, dovendosi provvedere a ciò per ogni singolo esercizio finanziario attraverso la legge di bilancio e lo stanziamento nei singoli capitoli di spesa della somma prevista nel piano.

Sentenza n. 1

336204
Corte costituzionale 4 occorrenze
  • 1986
  • Corte costituzionale
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Anzitutto la Corte ritiene, in via preliminare, che non si possa dubitare della rilevanza della questione in quanto risulta inequivocabilmente che il giudice a quo era chiamato a decidere sulla pretesa dell’attore a una giusta retribuzione della quale fanno parte i diritti e l’indennità di cui trattasi. E non poteva emettere la decisione del giudizio principale indipendentemente dalla decisione della questione pregiudiziale di legittimità costituzionale delle norme da applicare (sent. n. 300/83).

Hanno poi diritto ad una indennità integrativa a carico dell’erario (art. 148, T. U. n. 1229/59) nel caso in cui, con la percezione dei diritti, al netto del due per cento delle spese di ufficio e del dieci per cento per la tassa erariale, non vengano a percepire uno stipendio iniziale pari a quello previsto per il personale appartenente alla sesta qualifica funzionale.

U. n. 1229/59): a) mediante i proventi costituiti dai diritti di notificazione, dai diritti fissi postali sugli atti e commissioni inerenti al loro ufficio, dai diritti di chiamata di causa; b) con la terza parte della percentuale sul recupero dei crediti erariali spettanti agli ufficiali giudiziari che, quindi, hanno detta quota a loro carico. Essi ripartiscono tra loro in quota eguale i detti proventi, diritti e percentuale, al netto delle spese di ufficio e dell’importo del trattamento economico da corrispondere a quelli in soprannumero.

Va anche notato che, in base alle vigenti disposizioni, le notificazioni a mezzo posta, regolate di recente da nuove disposizioni di legge (L. 20 novembre 1982, n. 890), costituiscono il mezzo ordinario e generale di notificazione, mentre quelle a mezzo ufficiale giudiziario o aiutante o messo di conciliazione costituiscono ormai un mezzo eccezionale.

Sentenza n. 1

336470
Corte costituzionale 8 occorrenze
  • 2006
  • Corte costituzionale
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4. – A questa disciplina a regime dell’indebito previdenziale, così evolutasi nel tempo, si è poi sovrapposta una disciplina eccezionale e transitoria.

Pertanto non è contraria agli artt. 3 e 38 Cost. la scelta legislativa che imponga a chi – non versando in stato di bisogno – abbia percepito una somma indebita di restituirla, in quanto non necessaria a far fronte al soddisfacimento di bisogni primari.

La legge del 1991, oggetto di quella sentenza, nel rendere più rigorosa per il percettore la disciplina a regime dell’indebito previdenziale, volendo uniformare la nuova regolamentazione, ne aveva previsto l’applicazione retroattiva. Invece il legislatore del 1996, come quello del 2001, non è intervenuto sulla disciplina a regime (che resta quella del citato art. 13 della legge n. 412 del 1991), ma si è limitato a introdurre una normativa speciale e derogatoria rivolta solo al passato.

Infine la sentenza del 1993 ha posto in rilievo come la legge allora censurata colpisse pensionati a reddito non elevato; invece il criterio reddituale posto dalla normativa oggi in esame vale proprio a sottrarre i pensionati con reddito più basso alle pretese restitutorie dell’INPS.

Nella specie poi si tratta dell’affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede, ed esso è tanto più meritevole di tutela ove si tratti di pensionati a reddito non elevato che destinano le prestazioni pensionistiche, pur indebite, al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia. In tale affidamento questa Corte (sentenza n. 431 del 1993) ha individuato – alla luce dell’art. 38 Cost. – un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione non dovuta, destinata a soddisfare essenziali esigenze di vita del pensionato, non sia a lui addebitabile.

I rimettenti chiedono in sostanza alla Corte un intervento caducatorio analogo a quello compiuto con la sentenza n. 39 del 1993, che ha dichiarato illegittimo l’art. 13, comma 1, della legge n. 412 del 1991, nella parte in cui estendeva le innovazioni introdotte in tema di ripetizione di indebito previdenziale ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore o pendenti a tale data.

Sono poi sopravvenuti i commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge n. 448 del 2001, in base ai quali l’indebito erogato dall’INPS anteriormente al 1° gennaio 2001 non è ripetibile se i percettori avevano nel 2000 un reddito personale, imponibile ai fini indicati, pari o inferiore a € 8.263,31 (corrispondenti, secondo il noto tasso di cambio, a 16 milioni di lire).

D’altra parte occorre tener conto della compatibilità con le risorse disponibili, sicché al Governo ed al Parlamento, nell’esercizio della loro discrezionalità e tenendo conto delle esigenze fondamentali di politica economica, spetta, in sede di manovra finanziaria di fine d’anno, introdurre modifiche alla legislazione di spesa, ove ciò sia necessario a salvaguardare l’equilibrio del bilancio statale ed a perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria.