Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene

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Artusi, Pellegrino 50 occorrenze

A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere.

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Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su’ libri, i signori di Romagna non ne vogliono saper buccicata, forse perchè fino dall’infanzia i figli si avvezzano a vedere i genitori a tutt’altro intenti che a sfogliar libri e fors’anche perchè, essendo paesi ove si può far vita gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull’imbraca e avete un bel tirare per la cavezza che non si muovono. Fino a questo punto arrivarono col figlio Carlino, marito e moglie in un villaggio della bassa Romagna; ma il padre che la pretendeva a progressista, benchè potesse lasciare il figliuolo a sufficienza provvisto, avrebbe pur desiderato di farne un avvocato e, chi sa, fors’anche un deputato, perchè da quello a questo è breve il passo. Dopo molti discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a proseguire gli studii in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe: oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto!

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Bologna è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un tale che a quando a quando colà si recava a banchettar cogli amici. Nell’iperbole di questa sentenza c’è un fondo di vero del quale, un filantropo che vagheggiasse di legare il suo nome a un’opera di beneficenza nuova in Italia, potrebbe giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna si presterebbe più di qualunque altra città pel suo grande consumo, per l’eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli.

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Cuocete nell’acqua o meglio a vapore grammi 200 di patate grosse e farinacee e passatele per istaccio. A queste unite il petto di pollo lesso tritato finissimo colla lunetta, grammi 40 di parmigiano grattato, due rossi d’uovo, sale quanto basta e odore di noce moscata. Mescolate e versate il composto sulla spianatoia sopra a grammi 30 o 40 (che tanti devono bastare) di farina per legarlo e poterlo tirare a bastoncini grossi quanto il dito mignolo. Tagliate questi a tocchetti e gettateli nel brodo bollente ove una cottura di cinque a sei minuti sarà sufficiente.

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A vostra norma, della farina vedrete che ne assorbiranno da 20 a 30 grammi soltanto; ma poi dipenderà il più e il meno dal come riesce il composto.

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Dopo tre prove, perfezionandolo sempre, ecco come l’avrei composto a gusto mio: padronissimi di modificarlo a modo vostro a seconda del gusto d’ogni paese e degli ortaggi che vi si trovano.

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Fatto giorno e sentendomi estenuato presi la corsa del primo treno e scappai a Firenze ove mi sentii subito riavere. Il lunedì giunge la trista notizia che il colèra è scoppiato a Livorno e per primo n’è stato colpito a morte il Domenici. Altro che minestrone!

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Prendete zucchini piccoli del peso del riso che avrete a cuocere e tagliateli a tocchetti grossi quanto le nocciuole. Metteteli a soffriggere nel burro, conditeli con sale e pepe, e rosolati appena gettateli così durettini nel riso quando sarà arrivato a mezza cottura, onde finiscano di cuocere insieme.

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Il pane arrostitelo a fette e tagliatelo a dadi piuttosto grossi.

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Prendete a prefenza i bastoncini di pane e tagliateli a fette diagonali; in mancanza di essi preparate fettine di pane a forma elegante, arrostitele e così a bollore ungetele con del burro. Sopra di esse distendete i tartufi preparati nel modo descritto al N. 169 e bagnateli coll’intinto che resta.

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Questa salsa si presta a moltissimi usi come v’indicherò a suo luogo; è buona col lesso, è ottima per aggraziare le paste asciutte condite a cacio e burro, come anche per fare il risotto N. 51.

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Ponete il latte al fuoco col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire versate il semolino a poco a poco girando in pari tempo il mestolo. Salatelo e scocciategli dentro l’uovo; mescolate e quando l’uovo si è incorporato levatelo dal fuoco e distendetelo sopra a un vassoio unto col burro o sulla spianatoia all’altezza di un dito. Tagliatelo a mandorle e mettetelo prima nell’uovo sbattuto poi nel pangrattato fine e friggetelo. Spolverizzatelo di zucchero a velo, se lo desiderate più dolce, e servitelo solo o, meglio, per contorno a un fritto di carne.

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A mio parere per sentire il vero gusto del fegato di maiale bisogna friggerlo naturale, a fette sottili, nel lardo vergine e mescolato collo stomachino a pezzetti. In questa maniera va levato dalla padella con un poco del suo unto, condito con sale e pepe e mentre è ancora a bollore gli va strizzato sopra un limone il cui agro serve ad ammorzare il grassume.

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A forza di lavorarlo deve il composto riuscire in ultimo fine come un unguento. Se si tratta di bombe gettatelo in padella a cucchiaini dandogli la forma rotonda e se desiderate la pasta siringa fatelo passare per la canna a traverso di un disco stellato come alla pag. precedente e tagliatelo via via alla lunghezza di 9 a 10 centimetri. Quando avrà perduto il primo bollore spolverizzatela di zucchero a velo.

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Li zucchini fritti bene piacciono generalmente a tutti e si prestano a maraviglia per rifiorire o contornare un altro fritto qualunque.

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Lavoratela molto e con forza colle mani come fareste del pane comune, facendole, a poco per volta, assorbire una cucchiaiata di olio fine. Per ultimo tiratela a bastoncini, tagliateli a pezzetti del volume poco maggiore delle nocciuole e gettateli subito in padella a lento fuoco dimenandola continuamente. Cotte che sieno le castagnole, spolverizzatele di zucchero a velo e servitele diaccie, chè sono migliori che calde.

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Intridete la farina colle uova e col latte versato a poco per volta entro a una cazzaruola, aggiungete il cacio gruiera a pezzettini e mettete l’intriso al fuoco mescolando continuamente. Quando sarà assodato per la cottura della farina, salatelo e aggiungete grammi 20 del detto burro. Lasciate che il composto si diacci e poi, nella stessa guisa degli gnocchi di farina gialla, mettetelo a tocchetti in un vassoio che regga al fuoco e conditeli via via col resto del burro a pezzetti e col parmigiano suddetto grattato. Rosolateli sotto a un coperchio di ferro o nel forno da campagna e serviteli caldi.

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Un’altra volta, molti anni dopo, lo combinai in un caffè a Meldola nel momento che fremente d’ira contro un tale che, abusando della sua fiducia, l’aveva offeso nell’onore, invitava un giovane a seguirlo a Firenze per aiutarlo, diceva egli, a compiere una vendetta esemplare. Una sequela di fatti e di vicende, una più strana dell’altra, lo trassero dopo a quella tragica fine che tutti conoscono e tutti deplorano, ma che fu forse una spinta a Napoleone III per calare in Italia.

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Si può dare migliore aspetto a questi contorni restringendo il riso a bagno maria entro a uno stampo; ma badate non indurisca troppo, chè sarebbe un grave difetto.

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A Torino ho visto servirla con uno strato superficiale di tartufi bianchi crudi tagliati a fettine sottili come un velo.

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Tagliateli a quarti o a pezzi grossi nelle giunture e metteteli al fuoco con una fetta di presciutto, un pezzetto di burro e un mazzetto guarnito, condendoli con sale e pepe. Quando cominciano ad asciugare bagnateli con brodo e, a mezza cottura, aggiungete, le loro rigaglie, delle animelle a pezzi, e funghi freschi tagliati a fette, od anche secchi ma fatti prima rinvenire nell’acqua calda, oppure tartufi; questi però vanno messi a cottura quasi compita. Dopo averli bagnati con del brodo, versateci, se i piccioni son due, mezzo bicchiere di vino bianco consumato avanti di metà al fuoco. Continuate a farli bollire dolcemente poi aggiungete altro pezzetto di burro intriso nella farina, oppure farina sola, per legarne la salsa e per ultimo, avanti di mandarli in tavola, levate il presciutto e il mazzetto e strizzate sui piccioni un limone.

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Se lo volete alla piemontese, altro non resta a fare che collocare nel centro della palla, quando la formate, un uovo sodo sbucciato il quale serve a dar bellezza al polpettone quando si taglia a fette. Non è piatto da disprezzarsi.

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Tagliate la spalla a pezzi sottili e larghi tre dita in quadro. Trinciate due cipolle novelline oppure tre o quattro cipolline bianche; mettetele a soffriggere con un pezzetto di burro e quando avranno preso il rosso cupo buttate giù l’agnello e conditelo con sale e pepe. Aspettate che la carne cominci a colorire ed aggiungete un altro pezzetto di burro intriso nella farina; mescolate e fategli prendere un bel colore, poi tiratelo a cottura con brodo versato a poco per volta.

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Sopra la metà del petto dove sono rimaste le ossa tenere, distendete parte del composto e sopra a questo disponete parte del presciutto e della mortadella tagliati a striscie larghe un dito intercalandole a poca distanza tra loro. Sopra a questo primo strato ponetene un secondo e un terzo, se avete roba sufficiente, tramezzando sempre col composto e i salumi. Finita l’operazione tirate sopra al ripieno l’altra metà del petto rimasta nuda, per chiudere, come sarebbe a dire, il libro e con un ago grosso e refe cucite gli orli perchè il ripieno non ischizzi fuori; oltre a ciò legatelo stretto in croce collo spago. Così acconciato mettetelo al fuoco in una cazzaruola con un pezzo di burro, sale e pepe e quando avrà preso colore da ambedue le parti, portatelo a cottura con acqua versata a poco per volta.

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Ora la così detta cucina fine ha ridotto l’uso de’ condimenti a una grande semplicità. Sarà più igienica, se vogliamo, e lo stomaco si sentirà più leggiero; ma il gusto ne scapita alquanto e viene a mancare quel certo stimolo che a molte persone è necessario per eccitare la digestione. Qui siamo in questo caso. Se trattasi di fagiuolini lessateli a metà, se di zucchini lasciateli crudi tagliati a spicchi o a tocchetti, metteteli a soffriggere nel burro quando questo, bollendo, avrà preso il color nocciuola. Per condimento mettete solamente sale e pepe in poca quantità.

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Nella stessa maniera si possono cucinare i finocchi tagliati a spicchi, le rape a dadi grossi, le patate e gli zucchini a spicchi, ma questi ultimi non vanno lessati.

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Scartate le costole più dure, nettatele dai filamenti e lessateli a mezza cottura. Qui sia detto una volta per tutte che gli erbaggi vanno messi al fuoco ad acqua bollente e i legumi ad acqua diaccia. Tagliate le costole dei cardoni a pezzetti lunghi tre dita circa e tirateli a sapore con burro e sale a sufficienza, terminate di cuocerli aggiungendo latte e poi legateli con un poco di balsamella N. 89. Aggiungete un pizzico di parmigiano grattato e levateli subito senza più farli bollire. Questo è un eccellente contorno agli stracotti, alle braciuoline, allo stufatino di rigaglie ed a simili piatti.

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1a Mettetelo a soffriggere nel burro, poi tiratelo a cottura col sugo di carne e uniteci del parmigiano quando lo mandate in tavola;

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Prendete finocchi polputi, nettateli dalle foglie dure, tagliateli a piccoli spicchi, lavateli e scottateli nell’acqua salata. Metteteli a soffriggere nel burro e quando l’avranno succhiato, tirateli a cottura intera col latte. Assaggiateli se stanno bene a sale, poi levateli asciutti e poneteli in un vassoio che regga al fuoco. Spolverizzateli di parmigiano e copriteli di balsamella. Rosolateli col fuoco sopra e serviteli col lesso e coll’umido.

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Tagliate a fette sottili delle patate già mezzo lessate e ponetele a suoli in una tegliettina, intramezzate da tartufi, anch’essi a fette sottili, e da parmigiano grattato. Aggiungete qualche pezzetto di burro, sale e pepe, e quando cominciano a grillettare, annaffiatele con brodo. Prima di ritirarle dal fuoco spremete sulle medesime un po’ d’agro di limone e servitele calde.

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Non è piatto difficile a farsi e però vi consiglio a provarlo, persuaso che ve ne troverete contenti.

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Una singolarità dì questo pesce, meritevole di essere menzionata, è che egli nasce, come tutti gli animali bene architettati, con un occhio a destra ed uno a sinistra; ma a un certo periodo della sua vita l’occhio che era nella parte bianca cioè a sinistra si trasporta a destra e si fissa come quell’altro nella parte scura. Le sogliole e i rombi nuotano collocati sul lato cieco.

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Tagliatelo a fette grosse mezzo dito e mettetelo al fuoco, sopra a un abbondante soffritto d’aglio, prezzemolo e olio, quando l’aglio comincia a prender colore.

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Le arselle cucinate in questa maniera sono buone; ma, a gusto mio, sono inferiori a quelle del numero precedente.

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Cuoceteli a fiamma e se il loro becco non l’avete confitto nello sterno, teneteli prima fermi alquanto col capo a penzoloni onde facciano, come suol dirsi, il collo; ungeteli una volta sola coll’olio quando cominciano a rosolare servendovi di un pennello o di una penna per non toccare i crostini, i quali sono già a sufficienza conditi dai due lardelli, e salateli una volta sola.

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Cuocetela a fuoco lento, salatela a sufficienza ed ungetela con panna di latte e nient’altro.

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Quando sarà ben cresciuto da arrivare alla bocca del vaso mettetelo in forno a calore non troppo ardente, sformatelo diaccio, spolverizzatelo di zucchero a velo e se credete (questo è à piacere) annaffiatelo col rhum.

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La forma migliore di stampo, per questo dolce, è quello di rame a costole; ma badate ch’esso dev’essere il doppio più grande del contenuto. Copritelo con un testo onde non prenda aria e ponetelo in caldana o entro a un forno di campagna, pochissimo caldo, per lievitarlo; al che non basteranno forse due ore. Se la lievitatura riesce perfetta si vedrà il composto crescere del doppio, e cioè arrivare alla bocca dello stampo. Allora tirate a cuocerlo, avvertendo che nel frattempo non prenda aria. La cottura si conosce immergendo un fuscello di granata che devesi estrarre asciutto; nonostante lasciatelo ancora a prosciugare in forno a discreto calore, cosa questa necessaria a motivo della sua grossezza.

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Ricetta A

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Lo zucchero mettetelo al fuoco con un terzo del suo peso di acqua e quando è ridotto a cottura di filo gettate in esso tutti gl’ingredienti, mescolate e versate il composto nella spianatoia sopra la farina per intriderla; ma per far questo vedrete che vi occorrerà dell’altra farina, la quale serve a ridurre la pasta consistente. Formate allora i cavallucci, dei quali, con questa dose, ne otterrete oltre a 40, e siccome, a motivo dello zucchero, questa pasta appiccica, spolverizzateli di farina alla superficie. Collocateli in una teglia e cuoceteli in bianco a moderato calore.

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Se le cialde restassero attaccate al ferro ungetelo a quando a quando col lardo, e se non venissero tutte unite, aggiungete un poco di farina.

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Preparate uno stampo da budino, liscio o lavorato, unto col burro e cosparso di pangrattato, e versateci a poco per volta il composto diaccio rifiorendolo via via di conserve a pezzetti o a cucchiaini secondo che esse sieno liquide o sode; però avvertite che non vadano a toccare le pareti dello stampo, perchè vi si attaccherebbero e che non sieno troppo in abbondanza, chè stuccherebbero. Servitelo caldo.

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Prendete mele rose o di altra qualità duracine, levate loro il torsolo con un cannello di latta e tagliatele a fette rotonde e sottili. Poi mettetele al fuoco con 1’acqua sufficiente a cuocerle e un pezzetto di cannella. Quando saranno a mezza cottura versate tanto zucchero da renderle dolci e un poco di candito a pezzettini.

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Sbucciate le mandorle e pestatele nel mortaio, bagnandole a quando a quando con l’acqua di fior d’arancio suindicata.

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Venezia pe’ suoi rapporti commerciali in Oriente fu la prima a fare uso del caffè in Italia, forse fin dal secolo XVI; ma le prime botteghe da caffè furono colà aperte nel 1645, indi a Londra e poco dopo a Parigi ove una libbra di caffè si pagava fino a 40 scudi.

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Se poi invece di distendere la crosta bianca tutta unita, vi piacesse di ornare il dolce a disegno, provvedetevi da chi vende simili oggetti per decorazione, certi piccoli imbuti di latta incisi in cima che s’infilano entro a un sacchetto apposito; cose tutte di questo genere che a nostra vergogna acquistiamo dalla Francia. In mancanza di questi istrumenti potrete supplire alla meglio con cartocci di carta a cornetto. Posto in essi il composto strizzate perchè esca a fili sottili dal piccolo buco del fondo. Se il composto della crosta bianca riesce troppo liquido quando lo formate, aggiungete dello zucchero.

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. – Aranci a fette aggraziati con zucchero a velo e alkermes.

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A voi che, scevri d’invidia e rancore, senza annoiarvi mai, mi tenete assidua compagnia: a voi che quando stavo in cucina a provar questi piatti, soffregandovi alle mie gambe a codino ritto, smaniavate dirmi pei primi il vostro parere: a voi che, dirazzando dalla vostra stirpe, non si può dar taccia di traditori, e se di qualche raro ladrocinio siete colpevoli, sola, sola la forza irresistibile per un pezzo di cacio o per un quarto di pollo arrosto vi ha fatti prevaricare: a voi che con

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la vostra concordia insegnate agli uomini l’amor fraterno e intenti a lisciarvi e a farvi belli, non volgete la mente alle insidie. A voi infine che, coi vostri lazzi e coi salti snelli e graziosi esilarandomi spesso, non mi avete mai lasciato sulle mani le impronte del disamore.

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Strutto di maiale che serve a varii usi, ma più che altro per friggere. (A Napoli nzogna).

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