Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 912 in 19 pagine

  • Pagina 3 di 19

La fatica

169330
Mosso, Angelo 2 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Ogunuo sa che anche nel cervello abbiamo un allenamento e l'esercizio ha una grande influenza per rendere più facile il lavoro intellettuale. Ad averne una prova basta rammentare ciò che Vittorio Alfieri scrisse Vita di Vittorio Alfieri, pag. 190. nella sua vita: "deliziosissimi momenti mi furono ed utilissimi quelli, in cui mi venne fatto di raccogliermi in me stesso, e di lavorare efficacemente a disrugginire il mio povero intelletto, e dischiudere nella memoria le facoltà dell' imparare; le quali oltre ogni credere mi si erano oppilate in quei quasi dieci anni continui d'incallimento."

Pagina 100

Ciò che chiamiamo immaginazione e vivacità dello spirito, è l'attitudine che abbiamo a svegliare rapidamente tutte le sensazioni semplici e complesse, le rappresentazioni, le emozioni, e gli stati psichici che dopo aver lasciato una traccia nel cervello erano rimasti come assopiti o semispenti. Abbiamo molti fatti i quali ci dimostrano che questo riaccendimento delle immagini ha luogo nei medesimi elementi nervosi, dove agirono primieramente le impressioni esterne. Se guardiamo una persona che ha paura del solletico, nel momento che fingiamo di toccarla, noi vediamo che essa prende l'atteggiamento e sta per difendersi, come se si riproducessero in lei coll'idea tutti i fenomeni che accompagnano il solletico. Montaigne ha scritto un capitolo interessante sulla forza della immaginazioneMONTAIGNE, Essais, pag. 45. dove dice: "Nous tressuons, nous tremblons, nous paslissons, et rougissons, aux secousses de nos imaginations: et, renversez dans la plume, sentons notre corps agité à leur bransle, quelquefois jusques à en expirer: et la jeunesse bouillante s'eschauffe si avant en son harnois, toute endormie, qu'elle assouvit en songe ses amoureux desirs." Nella immaginazione gli occhi della mente si rivolgono dentro e contemplano le impressioni che gli oggetti e le emozioni passate lasciarono nella memoria. Noi diciamo che sono poeti ed artisti quelli che sanno veder meglio queste immagini. Ad alcuni questa visione interna manca quasi completamente, altri invece hanno molta attittudine a risvegliare e studiare le memorie delle cose passate. Una grande profusione di immagini, di ricordi, di idee a poco servirebbe praticamente, se non avessimo la facoltà di scegliere fra esse, accostarle e ordinarle. In che modo però si faccia questa scelta, è difficile dire. Questo è uno dei punti dove i psicologi moderni fecero poca strada. Tutti ci siamo accorti che i fenomeni della memoria alcune volte si svolgono indipendenti dalla rostra volontà, e contro la rostra volontà, così che noi restiamo del tutto passivi, ed altre siamo noi invece che risvegliamo le idee e le associamo col lavoro della mente. MünsterbergH. MüNSTERBERG, Beiträge zur experimentellen Psychologie, Heft 1, pag. 67 e 72.dice "è possibile che la riproduzione delle immagini tanto quando è passiva, come quando è attiva, sia sempre un'associazione prodotta fisicamente, e che teoricamente non siano diverse, e solo appaiono differenti perchè una volta nel processo è mescolato un complesso di sensazioni che noi chiamiamo volontà, mentre che nell'altra volta manca; questo complesso di sensazioni potrebbe però esso pure essere un’ associazione passiva prodotta fisicamente, la cui influenza non è forse differente dall'influenza delle altre associazioni". Questo problema non può risolversi direttamente. Dalle ricerche che fece il prof. Münsterberg per trovare una soluzione in via indiretta risultò "che non vi è un limite che divida i processi psicofisici da quelli semplicemente fisici: i fenomeni più complessi della scelta volontaria sono essi pure dei fenomeni riflessi; e i fenomeni psichici che li accompagnano non hanno alcuna influenza apprezzabile. Il processo camminerebbe nello stesso modo anche se non fossimo coscienti dei membri intermedi; tuttociò che sapremmo, sarebbe egualmente una sensazione passiva, ed una riproduzione di sensazioni essa pure passiva, che la nostra coscienza percepisce senza poter intervenire nella loro successione". Tutto questo è vero; ma dobbiamo confessare francamente che qui vi è ancora una grande lacuna che la psicologia moderna non sa come colmare. Chiunque faccia attenzione a ciò che succede dentro di lui quando pensa, si sarà accorto che egli non assiste solo all'apparizione di immagini nel campo della coscienza, ma che egli stesso può raggrupparle, può svegliare altre idee, allontanarne alcune, e tutte ordinarle logicamente. La facilità che abbiamo di tirar giù uno scenario , levarlo e metterne un altro al suo posto, è la cosa più difficile a spiegarsi nel congegno delle nostre funzioni cerebrali. E più meravigliosa ancora, è la potenza che abbiamo di sospendere alcune volte tutta questa rappresentazione e di ottenere una pausa che dura qualche minuto. Della spiegazione di questi cambiamenti non abbiamo fino ad ora la più piccola idea. Secondo SpencerH. SPENCER, Principes de Psychologie, Tome II, p. 310. l'atto ragionevole deriverebbe dall'atto istintivo. Egli dice: "Le diverse divisioni che noi stabiliamo tra le nostre operazioni mentali, indicano solo delle modificazioni nei particolari, che servono a distinguere dei fenomeni essenzialmente simili; sono queste modificazioni che mascherano l'unità fondamentale di composizione di tutte le nostre conoscenze." "Il pensiero rimane dovunque identico non solo nella sua forma, ma anche nel processo. Il ragionamento il più elevato quando lo si considera sotto il suo aspetto fondamentale, è identico colle forme le più basse del pensiero, e identico all'istinto ed all'azione riflessa nelle loro manifestazioni anche le più semplici. Il processo universale dell'intelligenza è l'assimilazione delle impressioni. E le differenze che si manifestano nei livelli ascendenti dell'intelligenza dipendono dalla complessità crescente delle impressioni assimilate." Noi ci crediamo padroni del nostro io e delle determinazioni nostre, perchè ignoriamo i fenomeni psichici incoscienti, che precedono e determinano il nostro pensiero. Appena sentiamo che cessa in noi la facoltà di scegliere fra le varie idee che si affacciano alla nostra mente, appena cessa di essere cosciente il processo della rappresentazione che ci conduce ad un risultato psichico; appena un'idea s'impone e dura più dell'usato e ci sentiamo a lungo impotenti e passivi contro di essa, noi siamo pazzi.

Pagina 221

Fisiologia del piacere

170293
Mantegazza, Paolo 3 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
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E che si tratti di lavoro altamente morale siamo convinti noi pure, e appunto per questo ne abbiamo curato e ne curiamo la diffusione. E perchè il libro abbia meglio a rispondere alle condizioni nuove di vita e alle esigenze dei lettori, che hanno ormai gusti letterari moderni e più raffinati, abbiamo incaricato il prof. Andrea Ferrari di rendere la forma più snella e più corrente, alleggerendola in taluni punti, in altri sostituendo le espressioni alquanto antiquate, ritoccando qua e là il periodare talora prolisso e stanchevole. Ma in questo tentativo di ammodernizzare la forma, e soprattutto di aggiornare il contenuto secondo le nuove scoperte e gli ultimi portati della scienza, è stata nostra cura precipua quella di lasciare integra la sostanza; sia pel dovuto riguardo all'autore, sia soprattutto perchè la materia è trattata dal Mantegazza con squisito senso artistico e scientifico, con tatto particolare, e sotto ogni punto di vista in modo esauriente e completo. Dalle prefazioni, che l'autore ha premesso alle prime edizioni, ci piace riportare qui il «Decalogo di Epicuro», che il Mantegazza ha posto in fronte al suo libro, come guida e ammaestramento «con cui ognuno potrà essere uomo felice, purchè lo voglia».

L'esercizio, o meglio, la sodisfazione di questo sentimento, produce un piacere, del quale noi non abbiamo coscienza che quando arriva ai massimi gradi. Questo piacere è uno dei più difficili a definirsi, perchè nasce da un sentimento che ne' suoi gradi minori è molto indeterminato. Nella prima età manca la capacità di una profonda riflessione, e la nostra coscienza è poco analitica; per cui non ci accorgiamo di amarci, e quindi non proviamo questo piacere. Nella giovinezza, i sentimenti dell'io sono soffocati dalla voce imperiosa degli affetti che traboccano da un animo appassionato, e che tendono a portarci fuori di noi. Non è che più tardi, quando le burrasche del cuore sono cessate, che la nostra coscienza può scrutare nel nostro intimo un sentimento, che ha fatto sempre parte integrante di tutti i nostri atti morali, che più d'una volta è bastato a calmare o a sollevare una procella, ma che noi non abbiamo mai saputo scorgere. È allora soltanto che l'uomo ha la calma sufficiente per poter gustare un piacere, che ne' suoi gradi minimi non è certamente morboso. Il piacere che nasce dall'amore di noi stessi ci presenta, come tutte le gioie, un fenomeno di riflessione, nel quale però la strada percorsa dalla partenza al ritorno è brevissima. Da tutti i punti sensibili del corpo partono molte impressioni che, arrivando alla nostra coscienza, si unificano nella sensazione complessa della vita. È questa che risveglia il sentimento affettuoso per noi stessi, che si riverbera calmo e soave nelle sensazioni che l'hanno prodotto. Questa gioia ci spinge a concentrarci in noi stessi, ma se ci si arresta appena un momento di troppo a compiacerci del nostro apprezzamento, si diventa egoisti, e il piacere che si prova è colpevole. In questo caso noi abbiamo uno degli esempi più delicati di un affetto indefinito e vago che cambia di natura appena salga di un grado. Del resto, è assai difficile che questo piacere esista da solo e che la coscienza lo possa riflettere un solo istante in tutta la sua purezza. Esso si associa per lo più ai piaceri dei sensi e dell'intelletto, ai quali fornisce nuovi elementi. Quando noi godiamo di vedere, di ascoltare e di pensare, senza volerlo ci rallegriamo anche di sentire il nostro io che vede, ascolta o pensa. Tutti i sentimenti poi che nascono in noi e in finiscono hanno per campo necessario d'azione questo affetto primitivo. Così tutti i piaceri della vanità, della gloria e del pudore sono fili tessuti sull'orditura dell'affetto per noi stessi. Questo piacere è gustato più dall'uomo che dalla donna, ed aumenta quanto più ci si avanza nel grado di civiltà.

Pagina 108

Dall'analisi minuziosa e particolareggiata, a cui abbiamo fatto seguire la sintesi relativa, risalta evidente che il piacere non è altro che uno stato di sodisfazione, di compiacimento ed anche di godimento, procuratoci da una impressione esterna o da un eccitamento interiore. Abbiamo visto che il piacere non è da considerare soltanto quale prodotto della sensibilità fisica, e abbiamo potuto constatare che i godimenti più intensi e più nobili esulano dall'animalità pura e semplice, per assurgere al campo spirituale, in cui primeggiano il sentimento e l'intelligenza. Pertanto, la dignità umana e la stessa nostra natura complessa, che ci fanno superiori agli altri esseri viventi; il grado di civiltà da noi raggiunto, e la raffinatezza e nobiltà del nostro sentire, non possono che elevarci dal campo della sensualità, procurarci i maggiori piaceri interessando direttamente e più intensamente il cuore e la mente. Non è il caso, però, di macerare il corpo e assoggettarlo alle più severe astinenze, per darsi alle pratiche ascetiche, nell'aspirazione dello spirito alle beatitudini di una vita puritana o di quella ultraterrena. E ciò perchè non è consigliabile nè possibile scindere e separare i tre aspetti della sensibilità umana: senso, sentimento e intelletto; e soprattutto perchè non si può troncare la piena coordinazione e associazione fra le sensazioni derivanti da impressioni materiali, e quelle di origine intellettuale e morale. Come l'individuo è unico per costituzione fisica dell'organismo, così lo è pel suo sistema nervoso, e un piacere non potrà mai essere esclusivamente fisico, senza interessare, più o meno direttamente, anche gli altri due rami della nostra sensibilità. Perciò, dicendo di elevarsi dal dominio dei sensi, non significa affatto rinunciare ai piaceri che essi possono procurarci; e ciò tanto più, in quanto la natura stessa ce li ha elargiti largamente, per la preservazione e la riproduzione della specie. Ma poichè i piaceri fisici sono comuni a tutti gli esseri, sino ai bruti e ai tipi primordiali monocellulari, non si vorrà che l'uomo, posto dalla natura al sommo della scala dei viventi, si abbrutisca lasciandosi vincere dai piaceri dei sensi, quando può trovare le più gradevoli e le più vive sodisfazioni coltivando i sentimenti sgorganti dal cuore, ed elaborando i tesori che la mente raccoglie con lo studio e la osservazione. È da ritenere pertanto che i piaceri fisici non possono, nè debbono essere trascurati, perchè essi rappresentano lo stimolo al lavorio dei sensi, che reggono in pieno l'organismo, provvedono alla conservazione della specie, procurano materiale all'intelletto, dànno alimento alle passioni; ma essi debbono essere opportunamente moderati, perchè ogni loro eccesso debilita il nostro corpo, affievolisce la nostra resistenza, demoralizza il nostro spirito. Un giusto e saggio equilibrio fra i piaceri dei sensi, dell'intelletto e del sentimento farà l'uomo sempre più disposto a godere quello stato di benessere morale, che potrà portarlo verso la felicità, per quanto essa possa essere più o meno intensa, più o meno prolungata, secondo le varie vicende e vicissitudini della vita.

Pagina 290

Come devo comportarmi?

172103
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
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Bisogna essere amabili e cortesi, non già per vanità ma per generosità; per il debito che abbiamo verso gli altri. La signorina faccia di tutto per meritarsi l'altrui simpatia; e questo non per orgoglio ma per legittimo bisogno naturale; per ubbidienza alla legge divina, che impone un legame di affetto e di concordia. La signorina finamente educata e buona di sua natura, è un raggio di sole, che reca con sè luce e calore; è un fiore che rallegra con la grazia e il profumo; è la primavera ricca di promesse ; e il sorriso ingenuo e vivificante della società, quando a questa cerca piacere e vuole piacere per mezzo della cortesia, che è l' interprete della virtù, o meglio la figlia della delicatezza.

Pagina 124

Il successo nella vita. Galateo moderno.

173145
Brelich dall'Asta, Mario 4 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Se interrompiamo di mangiare per bere, o spezziamo un pezzetto di pane, deponiamo le posate incrociate sul piatto, il che è segno che abbiamo ancora intenzione di continuare a mangiare, mentre se abbiamo terminato, mettiamo le posate una accanto all'altra, col manico a destra, sul piatto.

Pagina 130

Se per caso abbiamo involontariamente urtato o disturbato qualcuno, dobbiamo in ogni caso chieder scusa. Brevi formule di scusa sono, p. e. « Mi scusi! » o semplicemente « scusi », o più cortesemente « La prego di scusarmi » oppure: « Mi perdoni »; molto usata è anche la parola francese « pardon ». La domanda di scusa dell'uno viene accolta dall'altro con un cortese « prego » o con un più gentile « faccia pure » o « si figuri ». E' naturale di chieder scusa nel caso che si debba importunare qualcuno, chiedendogli p. e. di lasciarci passare o interrompendolo nel suo discorso. Le forme più adatte sarebbero: « Scusi se la disturbo » o « mi dispiace veramente di doverla importunare ». Se p. e. a tavola abbisogniamo del sale o di un panino, non conviene passare colla mano avanti al piatto del nostro vicino, o magari allungare il nostro braccio avanti al suo vino. Per lo meno ci si deve scusare, ma in ogni caso più cortese e di chieder l'oggetto che ci occorre, al nostro vicino, senza importunarlo con gesti superflui. Una formula adatta sarebbe: « scusi, signore favorisca passarmi il sale » o « abbia la bontà di passarmi il sale » « per cortesia, mi passi un panino » ecc... L'altro ci passerà l'oggetto chiesto in modo che noi lo possiamo prendere comodamente, p. e. la forchetta o il coltello li dobbiamo prendere sempre dalla parte del manico. In nessun caso è permesso di girare intorno a tutta la tavola per procurarci gli oggetti di cui abbiamo bisogno. Se anche abbiamo il diritto di comandare è preferibile pregare; questo è molto raccomandabile nei rapporti con camerieri, conduttori, portalettere e simile personale pubblico. Comandare si può soltanto a chi ci è sottoposto del tutto, ma anche in tal caso con la cortesia si raggiunge molto più che non con la rudezza. Con persone di rango uguale al nostro siamo deferenti lasciandoli fare o non fare a loro volontà. Se si viene pregato a far qualcosa si risponde con un cortese: « volentieri » o « si figuri, col massimo piacere ». Se non siamo in grado di soddisfare alla preghiera rivoltaci, dobbiamo scusarci motivando ampiamente la causa. P. e. « Mi dispiace, o sono spiacentissimo di non poterle fare questo favore, ma... ».

Pagina 17

Della correzione chirurgica dei seni pendenti abbiamo parlato or ora. In egual modo può venir eliminato il ventre pendente. Molto frequente è il trapiantamento di pezzi di pelle, che si eseguisce specialmente per coprire grandi lesioni al viso, per esempio al naso. A tale scopo si toglie da un'altra parte del corpo, per esempio dal braccio o dalla coscia, un pezzo di pelle che vien poi collocata al posto desiderato. Una frequente operazione ha per scopo di eliminare la protuberanza del naso. Questa non ha sempre un carattere deformante, pure assai spesso è utile allontanarla. Viceversa abbisognano spesso di una correzione i cosidetti nasi a sella. L'operazione di questi consiste nel sollevare l'osso nasale. Per render le guance liscie, il medico chirurgo fa un'incisione dietro all'orecchio, che così resta quasi invisibile, e tende la pelle. Se una delle guance è più infossata, vi si può trapiantare del grasso da qualche altra parte del corpo. Orecchie a ventaglio o pendenti possono ugualmente venir portate nella posizione desiderata in via operatoria. Un altro mezzo per eliminare deformità del naso di grado leggero e di cicatrici che giacciono molto profonde, sono le

Pagina 272

Abbiamo voluto comprendere in questo volume anche una raccolta di pensieri e sentenze dei migliori autori antichi e moderni, poichè, come ben dice Carlyle: « I grandi, presi in qualsiasi maniera, sono profittevole compagnia ». Certamente il consiglio dei saggi è lo stimolo più fecondo di gentilezza per i cuori e di fierezza per i caratteri, ed è lo stimolo più fecondo ed efficace per gli animi alla perfezione morale, artistica e sociale. La conoscenza e lo studio dei pensieri di uomini eccelsi arricchiscono le menti ed i cuori, ed una persona che ad essi si sia dedicato, potrà approfittarne con grande successo società. E' questo il motivo per cui presentiamo al lettore questa piccola crestomazia, nella quale facciamo conoscere anzitutto ed in più ampia misura sentenze citate da opere italiane, e precisamente secondo il tema da essi trattato, in ordine alfabetico; facciamo seguire poi una raccolta di pensieri e sentenze di autori latini, francesi, inglesi e tedeschi, in numero più limitato e, senza riguardo al loro soggetto, semplicemente in ordine alfabetico.

Pagina 397

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180739
Barbara Ronchi della Rocca 2 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
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Significa capire ragioni e mentalità diverse dalle nostre, accettare qualche consiglio, anche se non ne abbiamo alcun bisogno, usare molti sorrisi, molti silenzi, molta buona educazione. Non facciamo domande imbarazzanti o personali («Quanto hai pagato...», «Perchè hai divorziato?») e se le fanno a noi, impariamo a sottrarci con garbo: «Poco, mi pare»; «È una lunga storia». Con il musone oil maleducato irriducibile, l'atteggiamento ideale - molto più producente del «muro contro muro» - è di cordiale indifferenza reciproca. Non chiediamo piaceri, e soprattutto non facciamo richieste che noi per primi non potremmo soddisfare. A chi ci chiede un favore, rispondiamo di sì solo se abbiamo intenzione di farlo, se no svicoliamo con una scusa. Se lo facciamo, non aspettiamoci (né tantomeno sollecitiamo) gratitudine o reciprocità. Ma accettiamo con riconoscenza se ce ne fanno; e non diciamo mai «Ti devo un piacere» perché dimostra che teniamo la contabilità delle buone azioni: sbagliando, perché la gentilezza non è obbligatoria per nessuno, e verso nessuno.

Pagina 218

Da mantenere invece, secondo me, la frase «Per gentile tramite», che significa che abbiamo affidato la lettera o il biglietto a una persona gentile, perché li recapitasse. E mi sembra sempre doveroso far notare alle persone gentili che non le consideriamo alla stregua di schiavetti, o di elettrodomestici.

Pagina 75

Il Galateo

181666
Brunella Gasperini 3 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
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Se invece vediamo che rallenta e tende la mano, mentre siamo noi che abbiamo fretta, non mostriamoci gelidi o bruschi: fermiamoci un attimo, stringiamogli la mano, spieghiamogli che siamo in ritardo, e con un «ci vediamo» o un «ti telefono» tagliamo la corda. Mai comunque due o più persone dovrebbero fermarsi a lungo a chiacchierare in mezzo al marciapiedi, magari su un angolo strategico. Il meno che possa capitare sono spintoni e anatemi. Mi sembra normale.

Pagina 162

A costo di passare per sconsiderata, devo dire che durante le vacanze noi di famiglia abbiamo spesso dato passaggi a questi variopinti ragazzi con lo zaino e il pollice alzato, maschi o femmine, con o senza bandierina nazionale infilata nello zaino, con o senza chitarre, barbe e capelli fluenti; ci siamo sempre divertiti (spiegandoci in miscugli orripilanti di lingue), abbiamo imparato da loro cose che non sapevamo, e loro da noi; alcuni, a distanza di anni, vengono ancora a trovarci in Italia. Nessuno ci ha mai rapinati, contagiati, drogati, o è stato villano con noi. Qualcuno dirà che siamo dei fortunati incoscienti. Può essere. E infatti siamo i primi a dire che, se non si ha simpatia per gli autostoppisti, o se ne ha paura, è molto meglio lasciarli a terra: anche perché, una volta che si ha un ospite a bordo, bisogna trattarlo con cordialità e fiducia, non con nervosismo o sospetto. Se per qualsiasi motivo un autostoppista non vi ispira fiducia, tirate dritto senza rimorsi: se è arrivato fin lì, se la caverà anche senza di voi. È largamente nel vostro diritto non accogliere sconosciuti nella vostra auto, neanche durante le vacanze: però è inutile che vi giustifichiate dicendo che tutti gli autostoppisti sono pezzenti, tossicomani, delinquenti. Tra quelli che abbiamo raccolto noi ricordiamo, per esempio, un professore universitario (americano), un missionario (francese) e un architetto (svedese) molto ricco, che viaggiava in autostop non già perché fosse tirchio, ma perché voleva fare esperienze nuove e dirette: viaggiando da ricchi, diceva, non si conoscono veramente né i paesi, né la gente, né i loro usi genuini: i grandi aerei e i grandi alberghi sono uguali in tutto il mondo.

Pagina 190

Anche se siamo importantissimi e occupatissimi, non siamo autorizzati a far aspettare in linea per più di due minuti (son già molti) una persona che abbiamo fatto chiamare noi. Fosse pure un «inferiore». E non valgono le giustificazioni tipo: «Scusa, sai, ma sono preso fino al collo». Se è così, aspettate a chiamare la gente quando avete il collo libero.

Pagina 227

Il tesoro

182102
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
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Net capitolo « Lutti » abbiamo trattato l'argomento del funerali, qui accenniamo solo che al giungere delle partecipazioni, i conoscenti della famiglia possono mandar fiori, purchè non lo vieti l'estrema volontà della persona defunta. In tal caso si potrà devolvere la somma corrispondente a beneficio di qualche istituzione, quale omaggio alla memoria del proprio caro perduto. Nell'ora del funerale, alla porta della casa visitata dal dolore, vi sarà una persona incaricata di raccogliere i biglietti da visita di coloro che sono intervenuti o si son fatti rappresentare; ovvero vi sarà un registro ove ognuno apporrà la sua firma.

Pagina 673

Galateo popolare

183541
Revel Cesare 3 occorrenze
  • 1879
  • Vinciguerra
  • Torino
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Eccoci alla fine del nostro scrivere di cui chiediamo venìa, adempiendo noi per i primi al dovere di Galateo che c'incumbe presso i cortesi nostri lettori cui abbiamo, non richiesti, buttato giù alla buona, alcuni suggerimenti per le varie circostanze della vita che dobbiamo cercare di abellire migliorando la propria educazione che ingentilisce i costumi, e aiuta a sopportare con minor sacrificio le sofferenze, le ingiustizie e le malignità altrui che pur troppo s'interpongono nei nostri focolari domestici e nelle nostre relazioni nella vita pubblica e private, valendosi le molte volte nella loro viltà dell'anonimo!. Vedi a nostro riguardo lo anonimo libello di certi cosi detti Soci Anziani del Circolo Torinese da noi fondato e presieduto per tre anni; non vi fu mezzo di conoscere i libellisti vili nello scrivere come nel ricusare la responsabiltà delle loro ingiurie. Avremo fatto bene, e ciò corrisponderà la accoglienza del pubblico a queste disadorne pagine, e se questa edizione avrà il favore che vi ebbe la prima, non potremo certo lagnarci di avere lavorato e dato lavoro.

Pagina 121

Pagina 27

Non abbiamo tutti il diritto di vivere col sudore della nostra fronte?

Pagina 39

Galateo per tutte le occasioni

187861
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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Questo significa che esiste chi riesce ad avere rapporti idilliaci con i propri familiari, ma anche che spesso ci troviamo a dover sopportare legami - a volte stretti - con persone con cui non abbiamo una vera sintonia. Eppure il legame di sangue è qualcosa di forte, che non si può dimenticare alla stregua di un ragno in soffitta, pena gravi scompensi, come insegna Freud. Dunque è forse più saggio imparare a farci i conti, aiutandosi con un po' di buona educazione (ma non di ipocrisia). Non si tratta (solo o sempre) di egoismo: a volte si preferirebbe trascorrere pomeriggi interi a fare volontariato con estranei piuttosto che dedicare un'ora a quei due brontoloni che ci hanno messi al mondo. Non c'è niente di più complesso della gestione di un rapporto familiare. Tuttavia, riuscirci regala un bonus di serenità enorme.

Pagina 145

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188122
Pietro Touhar 3 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
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Spero che riuscirà utile alle Lettrici alle quali è destinato; e soddisfarà in parte al bisogno grandissimo che abbiamo di buoni libri che servano di utile lettura alle fanciulle.

L' amicizia Poca fatica, per lo più, richiedesi ad acquistare e conservare le virtù delle quali abbiamo brevemente discorso, purchè ci assuefacciamo ad esercitare fino dall'età più tenere; ma d'altra parte, una leggera dimenticanza dei propri doveri basta per farle perdere e allontanare per sempre. La scelta dunque d'un'amica è cosa di molta importanza per le fanciulle, poichè da questa scelta può spesso dipendere il tenore di tutta la vita. A volere che l'intimo affetto dell'amicizia sia profittevole, deve essere animato e sorretto da virtuosi sentimenti e da completa propensione verso il bene in tutto e per tutto. Una vera amica deve, col suo esempio, ispirare tutte le virtù che sono capaci di condurre alla felicità. Non abbiamo voluto, nè potevamo far qui un trattato di morale; ma soltanto porgere alcuni avvertimenti opportuni a servire d'introduzione a quanto diremo intorno ai doveri delle fanciulle; e porremo fine con una riflessione a cui annettiamo molta importanza. Non basta saper viver bene pel mondo; bisogna anche saper vivere per morire, poichè la vita altro non è che il sentiero della morte. Spesso questo sentiero è pieno d'inciampi e di pericoli; in mezzo a giardini e prati smaltati di fiori si occultano orribili precipizi; tocca a noi ad andar cauti per saperli scoprire e schivare; la temeraria presunzione d'esser capaci a varcarli potrebbe essere cagione di farci soccombere. Quando saremo presso al termine del viaggio Presso al fine della vita. non vi è speranza di tornare indietro. Non è già nostra mente Non è nostra intenzione. di obbligare la gioventù ad avere sempre davanti a sè l'immagine della morte; ma se talora questo pensiero le si presenta, vogliamo esortarla a non spaventarsene, a non respingerlo con terrore, deve anzi accoglierla con serenità e fortezza d'animo, considerarlo qual sentimento sublime, qual ricordo benefico perchè sappia essere sempre pronta a lasciare con intrepida tranquillità la vita breve e tempestosa di questa terra. Per lo più, infatti, la morte sopraggiunge a tutti quando meno l'aspettano; la giovinezza non è usbergo Usbergo, difesa. sicuro contro di essa; ed è savio e prudente colui che sa regolarsi sempre in modo da poter dire a Dio, con fiducia nella divina misericordia:

Pagina 13

Un cattivo libro offende anzitutto la delicatezza dei sentimenti quando è opposto alla religione e ai buoni costumi; e se non abbiamo la forza di gettarlo via con disprezzo, incomincia a dilettare e spesso a corrompere un cuore che sarebbe fatto per serbarsi costantemente illibato. Quanto maggiore è l'artifizio con cui le massime perniciose sono occultate, tanto più grave è il pericolo. Ma le fanciulle educate da madri o da maestre prudenti non hanno da temere simil disgrazia; saranno docili e sommesse, ed ogni loro azione sarà guidata dai consigli dell'esperienza.

Pagina 9

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188861
Pitigrilli (Dino Segre) 1 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Altra storia: Un tedesco dice: «Abbiamo perso la guerra per colpa degli ebrei». «Eh, si, dei generali ebrei», conferma l'altro. «Come, dei generali ebrei? - ribatte il primo dopo un momento di riflessione - Se noi non avevamo generali ebrei». «Già, ma li avevano gli altri». Non perderti nella descrizione del dottore, della cliente, del tedesco, dell'altro e dell'ambiente. Non dire dove l'hai letta nè chi te l'ha raccontata. Nei giornali umoristici, le scene che fanno più ridere, a parità di contenuto umoristico, sono le storie senza parole.

Pagina 161

Nuovo galateo

190112
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
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Noi abbiamo seguito la seconda. E sebbene nissuno sia obbligato a guarentire ciò che un altro scrive di lui, ciò non ostante l'altrui scritto rende sempre necessari degli schiarimenti, delle apologie, delle proteste che non sempre riescono a cancellare la sinistra impressione da quello scritto prodotta giacché, quando si tratta di rovinare qualche galantuomo, non tutti i governi si vantano di ragionare.

Pagina 206

Nuovo galateo. Tomo II

194169
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Swift attribuisce la decadenza della conversazione in Inghilterra all'esclusione delle donne; da ciò nacque una famigliarità grossolana che porta il titolo d'allegrezza e libertà innocente, « abitudine dannosa, » egli dice, ne' climi del Nord, ove la poca » pulitezza e decenza che abbiamo, si è introdotta » per così dire, di contrabando e contro la naturale » inclinazione che ci spinge continuamente » verso la barbarie, e non si mantiene che per » artifizio ».

Pagina 29

Signorilità

199343
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 3 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Turati, abbiamo progredito anche in questo ramo e saremo arrivati fra breve a una forma di arte per la casa. Vedremo di sicuro presto grandi artisti disegnare modelli per l'ebanista, lo stipettaio, l'orafo, il fabbro, il vetraio, la ricamatrice, l'incisore, l'intarsiatore, il ceramista... . Intanto, ottimo segno dei tempi è il ritorno graduale alla semplicità della linea, l'abbandono dello sfruttato e odioso «liberty» o stile nuovo, e il ritorno all'antico. È vero che, accanto al ritorno all'antico, abbiamo il cubismo, il quale disegna case simili a grandi cassoni di lavandaia o a immensi «sylos» per deposito di grano, ma appunto questo eccesso riporterà più volentieri alle linee sobrie e signorili dei grandi maestri, i quali avevano studiato a fondo la natura, la poesia e la musica, oltre che il loro mestiere... e tutto avevano tradotto in bellezza...

Pagina 148

La moderna tendenza egoistica e il ritmo accelerato e più laborioso della vita moderna hanno, come abbiamo visto, spesse volte ridotto di molto certe usanze e certe convenienze, quando non le hanno abolite. Ma una signora ben nata e bene educata deve saper distinguere. P. e. non deve obbligare un'amica a stare appositamente a casa per ricevere quella che, con brutto termine volgare, si chiamava un tempo «visita di digestione», ma deve farsi viva con una riga o una telefonata cortese dopo essere stata invitata a pranzo; una signora moderna e bene educata deve adottare il ritmo del tempo presente, unita all'educazione che non potrà mai passare di moda. E ciò in molti rami (corrispondenza, scambio di carte da visita, lettere di circostanza, visite) e anche nel modo di contenersi nei riguardi alla posizione del marito, in tram, per via, a teatro, nell'organizzare feste di beneficenza ecc. ecc... in una parola nell'ingranaggio della vita sociale.

Pagina 399

Noi tutti, che pretendiamo così rigorosamente una parola cortese, un «grazie», un ricordo, forse anche una prova tangibile di gratitudine da persone che abbiamo beneficato,... dobbiamo essere le prime a riconoscere, che al Creatore del mondo e dell'uomo, a Colui che ha creato il sole e la luce, che ci ha dato intelligenza, amore, i nostri diletti figlioli, dobbiamo dare il primo pensiero di gratitudine, riconoscendolo come Padre e come Padrone, adorandolo come l'essere Supremo e sublime.

Pagina 7

Eva Regina

203872
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 6 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Che merito abbiamo noi se il destino ci fece nascere in una famiglia che curò tutte le nostre buone tendenze e procurò di estirpare le cattive ? Se fossimo nate in tane luride come quelle vagabonde notturne dagli occhi luccicanti e dipinti nel viso imbellettato, se la nostra adolescenza fosse stata inasprita dalla miseria, dai cattivi trattamenti, contaminata dal cattivo esempio e dal vizio, avremmo avuto noi la forza ch' esse non ebbero di conservarci buone e pure ? E le nostre debolezze, i nostri errori non sono meno scusabili dei loro, anche se meno gravi, noi che abbiamo un ideale di elevazione, noi che i patimenti della miseria non costringe, noi che avemmo intorno nobili esempi, confortanti parole, noi che nella, coscienza non abbiamo offuscato il senso del dovere ? Abbassiamo l' orgoglio! Forse una di quella creature, al nostro posto, sarebbe riuscita meglio di noi...

Pagina 419

Non abbiamo che il sentimento d'una grande ingiustizia, non sentiamo che il nostro dolore, e la preghiera che non può più essere un inno o una supplica ardente, muore sulle nostre labbra.... Ebbene, in queste ore di buio, di annientamento, bisogna imporsi una coscienza vigile, una volontà indomabile. « Preghiamo, diceva il Manzoni, che il nostro capo possa sempre inchinarsi quando la mano di Dio sta per passarvi sopra. » Se abbiamo errato, accogliamo la dura prova come un' espiazione: se non abbiamo nulla a rimproverarci, sforziamo i nostri occhi mortali a vedere in essa più d' una causa comune di sofferenza, qualche cosa di prestabilito, d' utile per il bene del nostro spirito, per il nostro progresso morale. E se avremo la coscienza di sentirci puri, anche fra il martirio una pace arcana, malinconica ma benefica, non tarderà a scendere leggera e non sperata sui tumulti del cuore, sull' acerbità del dolore. Noi dobbiamo imparare inoltre a soffrire in silenzio senza far portare agli altri il peso della nostra croce: dobbiamo sorridere alle gioie degli altri senza funestarli coi fantasmi dei nostri disinganni, dei nostri rimpianti: dobbiamo valerci della nostra esperienza del dolore senza perdere la fede nell'esistenza della bontà e della giustizia, e consolarci consolando....

Pagina 456

Anche il rimpianto si è rivestito di una dolcezza quieta e poetica, come una rovina s' ammanta di museo e d' edera: Buoni e profondi conforti ci scortano nella vita che abbiamo rifatta tutta pazientemente, filo per filo, imitando il ragno quando ricompone la sua tela che la violenza dell' uragano ha lacerato e disperso. Non si è felici — oh no — ma si è in pace perchè nulla si teme più nè si spera dall' avvenire. E così abbiamo la convinzione di dover proseguire fino alla morte. Ma l'imprevisto attende a uno svolto della via. Il cuore che avevamo creduto immerso in un eterno letargo, dà qualche segno di vita, si scuote, palpita ancora di quel palpito affrettato, il palpito antico, ben noto.... È l'incontro di una persona, è una lettera, è una parola, è uno sguardo a cui il cuore non rimane più insensibile. E inconsciamente, nostro malgrado, quasi, proviamo in tutto l'essere il misterioso, profondo, agitatore, divino moto della resurrezione; lo stesso che dopo il sonno invernale serpeggia con le linfe della terra nelle radici segrete delle piante che parevano morte, che si credevano morte. Passa un alito di primavera sul volto e nell'anima, purificato dal gelido battesimo del dolore, e un timido desiderio sboccia finalmente, come una gaia corolla destinata a dar frutto. E la maggior sensibilità che la sventura ci ha dato, ci fa sentire con più raffinatezza il risveglio dei sensi e del sentimento. Si ricominciano ad amare le cose che nella severità del dolore avevamo escluso : la musica tenera, i versi appassionati, le letture amene, i colori lieti, i profumi; e lo specchio, più abilmente interrogato, rivela nuovi fascini di cui eravamo possessori senza saperlo.

Pagina 473

Eppure non abbiamo potuto dimenticarla, mentre abbiamo dimenticato tante altre persone che prendevamo più sul serio di lei. Il ricordo tenace è il vantaggio maggiore della personalità. Una donna che si veste come tutte le altre, che si pettini come tutte le altre, che abbia idee comuni, parole convenzionali, che prenda tutto dalla moda del giorno e dalla sua ricchezza, se anche è bella ed elegante ha molte probabilità di non rimanere in modo speciale nella memoria : mentre una signora che sappia farsi una eleganza personale, che manifesti preferenze per un colore, per una foggia, per uno stile d' arte, per un profumo; che esprima idee consone al suo carattere, apprezzamenti che risultino frutto d'un' esperienza, d'un pensiero, d'una volontà individuale; che abbia per l'amore, per l'amicizia, parole non dette da alcuna, ma zampillanti dal suo vivo cuore come un getto d'acqua naturale che contiene in sè le proprietà del suolo da cui sgorga ; questa donna che si riconoscerà fra mille, la cui casa avrà un carattere particolare, si profilerà nella nostra memoria nettamente, anche se non è bella, nè ricca, nè mondana. Si è affrancata dalla grande massa oscura ed emerge per la forza delle sue linee in rilievo: è una stella che splende di luce propria fra gli altri pianeti che ricevono luce dallo splendore altrui.

Pagina 570

Anche al ventaglio abbiamo appreso un linguaggio : un linguaggio psicologico, amoroso, convenzionale come quello dei fiori, dei colori, dei francobolli... Una lingua di non molte parole, certo, ma così espressive che possono ben tener vece di un lungo discorso. Attente dunque. Il ventaglio tutto aperto e fermo contro il petto significa : « Perchè non vi decidete? il mio cuore è libero ». Il ventaglio agitato lentamente vuol dire : «Vi voglio bene ». Agitato con forzar «Vi amo con passione ». Chiuderlo rapidamente con un colpo solo indica : « Inutile seccarmi, il mio cuore è impegnato ». Chiuso lentamente, stecca per stecca, denota: « Chissà? Sperate.... » Chiuso, contro le labbra significa : « Non posso amarvi ». Passato da una mano all'altra : « Vi aspetto domani». Tutto aperto sulla bocca: « Siate prudente ». Chiuso e abbandonato sulle ginocchia o sul parapetto del palco dice: « Il mio cuore è morto, non vi amo più.... »

Pagina 625

Noi non ne abbiamo colpa alcuna. La nostra responsabilità individuale cessa al limite delle nostre facoltà. Il poeta inglese Roberto Browning lasciò scritto : « All'ultimo non ci verrà domandato che cosa abbiamo fatto, ma che cosa ci siamo sforzati di fare. » Ed è proprio vero. Se ognuna di noi senza guardare lontano si contentasse di compiere scrupolosamente il proprio dovere, di fare tutto il bene che può nella sfera ove la natura e il suo destino l'hanno messa a vivere, basterebbe, e non dovrebbe rammaricarsi di non aver potuto compiere opere d' importanza maggiore. Vi sono delle donne non convinte di questa verità e che si sentono spinte dall' inquietudine a tentare alti voli, ad esercitare la loro attività dove non è necessaria, solamente perchè il campo d' azione è più vasto e visibile e la loro vanità più soddisfatta. Sono queste le mamme che lasciano in abbandono i figli propri per dedicarsi con ardore a qualche beneficenza : le mogli che trascurano la loro casa e lo sposo, per correre a sgonnellare ad ogni congresso e far pompa d'idee umanitarie : le signorine candidate alla gloria che per aver pubblicato un libro di versi si credono emancipate da ogni dovere figliale, da ogni occupazione domestica, e non sognano che la celebrità : Sono spostate morali più dannose che utili, mentre se rimanessero nella loro cerchia potrebbero realmente beneficare. — Dice ancora la nostra buona consigliera, Maria Pezzé Pascolato: « Non soltanto servono alla vita coloro i quali compiono un atto luminoso di eroismo o un' opera di palese utilità generale. Ma ben anco tutti gli umili — ignoti talvolta persino a sè stessi — che si piegano senza lamento e senza viltà al còmpito quotidiano ch' è loro toccato in sorte ; tutti i piccoli che in ogni giorno, in ogni ora della oscura esistenza fanno del loro meglio semplicemente e coraggiosamente. »

Pagina 688

Lo stralisco

208394
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
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Abbiamo ogni tipo di colore. Il burban tuo padre ha fatto arrivare per noi gli oli e le polveri colorate piú preziose tra quelli che i mercanti portano dalla Persia con i cammelli. — Non intendevo questo, Sakumat. Io chiedo se... siamo sicuri delle cose da dipingere. — Abbiamo qualche idea, Madurer. — Si, certo. Ma non bisogna sbagliare. — Perché dici questo? Perché non bisogna sbagliare? — Perché se sbagliamo... se non facciamo le figure come vanno fatte, dovremo tenerle per sempre. Sakumat alzò una mano. Disse: — Invece possiamo sbagliare, Madurer. Basterà tenere gli occhi aperti, e accorgersi degli errori. Forma cancella forma, e colore copre colore. Però ora bisogna cominciare. Se non cominciamo non possiamo fare le cose giuste, e nemmeno quelle sbagliate. — Sí, — disse il bambino, — hai ragione. — E dunque, da dove cominciamo? Quale parete dipingiamo per prima? — Questa. No... quella! Oppure... Vedi, Sakumat? Sbaglio già adesso, e non abbiamo nemmeno cominciato! — Non stai sbagliando, Madurer. Stai decidendo. Questo è sempre difficile: ma si può fare. Sakumat attese in silenzio. Il bambino si era fatto molto serio. — Cominciamo da questa parete, — disse poi, — qui, a destra della porta. — Bene. E cosa dipingiamo? Ci fu altro silenzio. Madurer si leccava le labbra e respirava profondamente, con gli occhi spalancati. Sakumat teneva le mani appoggiate su un cuscino, davanti a sé. — Abbiamo parlato di molti luoghi, ricordi? — disse. — Sí, ricordo. Ma aspetta un poco, per favore. È proprio difficile scegliere. — Noi non abbiamo fretta, Madurer. Nessuna fretta davvero. — Cominciamo con la montagna. Ricordi quando abbiamo parlato del prato fiorito e del pastore Mutkul? Facciamo la montagna dove vive Mutkul! — Quella soltanto, Madurer? — No, certo! Anche le montagne intorno. Non tutte le montagne del mondo... Facciamo delle montagne. Sakumat non chiese altro: si mise al lavoro. Con un carboncino tracciò le linee di una grande vallata, schizzando vette rocciose intorno. Indicò con tratti leggeri le zone di bosco, definí sul fondo della valle i campi coltivati. Tratteggiò un gruppo di case di pietra e una strada che si arrampicava sul monte, sparendo a tratti in avvallamenti pietrosi. Dietro di lui Madurer guardava incantato. Ogni tanto si spostava inquieto, seguendo con il capo e il corpo i segni del carboncino sulla parete. Poi, calmato, sedeva sui cuscini e osservava a occhi socchiusi, godendosi le svelte aggiunte di Sakumat, ammirando il nascere ed ampliarsi degli spazi nella pittura. — Quello che cosa è, Sakumat? — Forse è un macigno. O una capanna. Vuoi che sia una capanna? — Ma può essere una capanna? — Certo. È vicina al grande campo... Può essere la capanna del contadino. — Però, Sakumat, è davvero una capanna? Tu volevi fare la capanna? Sembra un macigno. — È solo uno schizzo, Madurer. Niente è ancora finito. Potrebbe essere un macigno. E può essere la capanna del contadino. Il pittore, con tocchi leggeri, aggiunse qualche segno, e formò l'immagine della capanna. — È la capanna di un amico di Mutkul! — sbottò entusiasta Madurer. — Come si chiama? — chiese Sakumat senza voltarsi, — non ricordavo che Mutkul avesse un amico. — Nella storia non c'era, infatti! Però Mutkul poteva avere un amico contadino, vero? — Certo che poteva. Era un uomo socievole, anche se stava bene con le sue capre e il suo cane. — Allora facciamo che si chiamava Insubat! — Sí: questa è la capanna di Insubat. Aveva molte pecore, Insubat? — No, perché non era un pastore: era contadino. Aveva un bue per tirare l'aratro e anche un asino vecchio dal muso peloso. Sakumat schizzava rapidamente. — Ecco, questo è il piccolo recinto per il bue e l'asino, — disse, — è qui, dietro la capanna. Madurer si era di nuovo alzato e guardava ansioso la parete. — E la capanna di Mutkul, dove la mettiamo? — Ci penseremo oggi, Madurer, — disse il pittore, — ora siamo un po' stanchi. E fra poco arriverà il burban. Piú tardi, nel pomeriggio, mentre sfogliavano insieme un libro che mostrava molti insetti dalle lunghe zampe, il bambino chiese: — E il grande macigno, Sakumat? — Quale macigno? — Quello che... Quello che poteva essere un macigno, e dopo è diventato la capanna di Insubat. Quello che non era ancora la capanna... Il macigno che avrebbe potuto esserci, insomma... — Sí, ricordo. Cosa vuoi sapere? — Dov'è? — Non so, Madurer. Non esisteva ancora... C'era qualcosa, là, e abbiamo deciso che è la capanna di Insubat. C'è solo la capanna di Insubat. — Ma avrebbe potuto esserci anche il macigno, vero? E se non c'è, dov'è? Voglio dire, non esiste proprio per niente? Non c'è? Sakumat stava per rispondere, ma si trattenne. Tacque per qualche istante. Poi disse: — Forse è dall'altra parte della montagna. È sul lato che non vediamo. Madurer prese a sfogliare il libro. — Facciamo che è dall'altra parte della montagna, — disse, — quella dove ci sono anche i ladri di bestiame. E proprio in un bosco di cedri. Non è mai completamente illuminato dal sole, perché i rami dei cedri sono fittissimi. — Allora deve essere un po' coperto di muschio, - disse Sakumat. — Di che colore è il muschio? — chiese il bambino, continuando a sfogliare il libro. — Io ho letto che è verde. Ma è verde come questa farfalla? È verde cosí il muschio? — Un po' piú scuro. Assomiglia al verde di... questa parte del disegno. Ma ci sono molti tipi di muschio, e certamente esiste un muschio piú chiaro. Forse esiste un muschio dello stesso colore della farfalla. — Tu l'hai visto? — No. Non c'è molto muschio, in questa regione. Ma piú a sud, e anche a nord, fra le montagne alte, se ne trova moltissimo. Cosí dicono i viaggiatori. Madurer alzò la faccia. — Se esiste davvero, — disse, — e se la farfalla ci va sopra, nessuno la può vedere, perché ha lo stesso colore. — Sí, è cosí, — disse Sakumat, — come la lucertola sulla roccia. Madurer rise brevemente. Poi disse: Tu credi che la farfalla sappia di esistere, quando è sul, muschio verde chiaro? Anche Sakumat rise. — Sí. Credo che sappia di esistere allo stesso modo di quando vola, o è in riva a una goccia d'acqua... — Io invece credo che lo sappia un po' meno, — disse Madurer, continuando la sua risata leggera.

Pagina 22

Il libro della terza classe elementare

210385
Deledda, Grazia 4 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
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Noi, invece, abbiamo questi doni preziosi. Preghiamo, dunque, o fanciulli. Il fanciullo che prega dà lode a Dio, fa sorridere Gesù, dà letizia agli Angeli, dà refrigerio alle anime dei suoi poveri morti, fa contenti i suoi genitori, abbellisce tutta la sua giornata.

Dunque sta bene che abbiamo a chiedergliene perdono nella preghiera. Dice il proverbio: - Peccato confessato è mezzo perdonato. - Questo con gli uomini; ma con Dio, peccato confessato, con vero pentimento, è perdonato. Però, affinchè il Signore abbia a perdonare a noi, è necessario che noi prima perdoniamo a chi ci ha offeso. Questa è una condizione rigorosissima e necessaria. E difatti, in che modo placherà il padre quel figliuolo che non vuol fare la pace col suo fratello? Un compagno, dunque, ci ha offeso? Ebbene, cosa ci costa perdonargli? La gioia serena del perdono ci metterà il cuore in pace. E non solo si deve perdonare, ma anche pregare di cuore per i nostri offensori. E questa è tutta una carità che porta sempre buon frutto da raccogliere in Cielo.

Pagina 171

Questa è l'umile ma divina origine della Chiesa, alla quale noi abbiamo il grande onore e la grande consolazione di appartenere.

Pagina 195

Gli scrittori che abbiamo ricordato cercarono di diffondere questa verità. Essi volevano persuadere di due cose i principi che regnavano in Italia: concedere maggiori libertà ai propri sudditi; aiutare con le proprie milizie quello di essi, che si fosse assunto il maggior peso della prima guerra per la riscossa nazionale.

Pagina 220

Sempronio e Sempronella

214715
Ambrosini, Luigi 2 occorrenze
  • 1922
  • G. B. Paravia e C.
  • Torino - Milano - Padova - Firenze - Roma - Napoli - Palermo
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Allora disse Sempronio: - Non abbiamo pensato che oggi è domenica, e anche il mulinaro riposa. Dolenti essi stavano per andarsene, quando abbaiò loro incontro il cane, e poco dipoi comparve compare Festo, tendendo le braccia in segno di affettuosa accoglienza. Tutto vestito a festa, con una cravatta azzurra sotto il mento, un largo cappello calcato sulla fronte, egli era più allegro del solito. - Bravi, bravi! M'avete fatto un regalone. La domenica, sapete, non si lavora; un giorno di riposo su sette ci vuole. Fa bene al corpo, fa bene all'anima. Io chiudo il mulino, e dò la via all'acqua: quella non si ferma mai, non ha domenica, quella! Io, invece, ho bisogno di un po' di svago, e sapete quale? - Quale, quale? - domandarono i ragazzi. - La pesca ai gamberi!

Pagina 47

. - Abbiamo pescato in compagnia di compare Festo. - Oh i bei gamberi! - esclama il maestro, che ne è ghiotto. - Bisogna cuocerli subito. - Li coceremo. Ho la mia ricetta. E la brava bambina si mette subito a sfaccendare in cucina. Ella vuole ammannire un buon piatto pel suo caro maestro. Che cosa non farebbe per lui! Ella è chinata sul paiolo e guarda. I gamberi mutano colore, mettono su una veste rossa. È segno che sono cotti. Entra Sempronio e dice: - Ho preparato la tavola. Sono pronti cotesti gamberi? - Pronti! - esclama la cuoca, sollevando il paiolo. Di lì a poco i gamberi fumano sotto la lampada accesa.

Pagina 52

Quartiere Corridoni

216491
Ballario Pina 2 occorrenze
  • 1941
  • La libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Noi li conosciamo anzi, tutti abbiamo ricevuto il primo ch'è il più necessario: il Santo Battesimo. Appena nati, i nostri cari ci hanno portati alla chiesa, e mentre il sacerdote ci versava l'acqua sul capo e diceva le parole: - Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, - la grazia santificante adornava la nostra anima con una bella veste divina, e ci rendeva amici di Dio, figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, eredi del paradiso. Da quel punto la Chiesa ci ha accolti: noi siamo divenuti cristiani. Alcuni di noi hanno ricevuto pure la Cresima. È il Vescovo che l'amministra. Con questo Sacramento riceviamo in modo speciale i doni dello Spirito Santo, e diventiamo soldati di Gesù Cristo, capaci di professare con coraggio la Fede di Lui.

Pagina 240

Abbiamo voluto essere i primi... La mamma ride, soffocata dalle loro effusioni. - Infatti siete proprio i primi. È mezzanotte e un minuto.

Pagina 39

Ti ho sposato per allegria

225589
Ginzburg, Natalia 3 occorrenze
  • 2010
  • Giulio Einaudi editore
  • Torino
  • teatro - commedia
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come abbiamo riso tutte e due!

Pagina 18

Poi ci siamo fatte le uova al tegame, abbiamo mangiato tutte le pesche, e siamo andate a dormire. E prima di dormire Topazia mi ha detto: Domani pensiamo, col bambino, cosa puoi fare. Se vuoi tenerlo, ti aiuterò io a tirarlo su, perché io tanto ho l'utero retroflesso, e non posso avere bambini. E io nell'addormentarmi pensavo: «Sí sí, lo tengo questo bambino! Lavorerò! Topazia mi aiuterà a trovare un lavoro! Farò anch'io la fotografa!» Ma al mattino, quando mi sveglio, mi metto a piangere e dico: No, Topazia, no! io non mi sento di averlo questo bambino! Non ho casa, non ho lavoro, non ho soldi, non ho niente! E lei ha detto: Bene. E mi ha portato da un medico ungherese, suo amico, e questo qui mi ha fatto abortire.

Pagina 19

E abbiamo abitato insieme per dieci giorni, fino a quando è ritornata la Elena. E in quei dieci giorni, io ogni tanto gli chiedevo: Trovi che ho stile? E lui diceva No. Anche lui trovava che non avevo stile. Però a me, con lui, non me ne importava. Gli dicevo tutto quello che mi veniva in mente. Non stavo mai zitta. E lui ogni tanto diceva: Però non stai mai zitta un minuto. Io ho la testa come un paniere!

Pagina 21

Manon

234088
Adami, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1922
  • Edizioni Alpes
  • Milano
  • teatro - commedia
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Ma - Numi eterni - abbiamo lacerata anche la borsa! La borsa, cavaliere!... E non siam tre che non possiamo vivere senza denaro!... Finora, lo vedete, mi avete avuto qua... compagno, alleato, fratello!... Non è a dire che non abbia fatto di casa vostra Ia mia casa. Vi ho portato gli amici... V' ho trattato con piena confidenza... La vostra mensa diventò la mia... ho persino adottato il vostro sarto... e accondisceso che mi pagaste i debiti... Tutte queste rinuncie, dirò così, alla mia individualità, servono a dimostrarvi che avevo fede in voi, che vi stimavo!... Ma se a un piccolo intoppo vi perdete, se affogate d'un tratto negli scrupoli, eh! cavaliere mio, con gran dolore... con dolore immenso... ahimè, sarò costretto a infilare la porta... Se non volete dunque che ciò avvenga, cerchiamo di risolvere la crisi!...

Pagina 133

La ballerina (in due volumi) Volume Primo

247186
Matilde Serao 2 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Egli lancia altri tre volumi della sua fortunata biblioteca popolare, ed abbiamo, pertanto: Sonatine bizzarre, di quello spirituale e soavissimo mago dello stile ch'è A. Fogazzaro; San Martino, tre splendidi e suggestivi racconti militari del bravo Olivieri Sangiacomo; Da Costantinopoli a Madrid, impressioni di viaggio del noto scrittore touriste Adolfo Rossi. In corso di stampa molti altri libri su cui figureranno i nomi d'un De Amicis, d'una Matilde Serao, d'un Lorenzo Stecchetti, d'un Mantegazza, d'un Bovio, d'un Cesareo, d'un Capuana e di molti altri illustri. Davvero, davvero che questa del cav. Giannotta è opera meritoria ed egregia! (L'Instituto di Scienze, lettere ed arti, 15 maggio 1899).

Pagina X

Abbiamo detto ci piace e ripetiamo la frase, già che l'autrice ha condotto così accuratamente il racconto, ha studiati tanto oggettivamente i caratteri fisici e morali dei personaggi, da presentarci un tutto armonico e caro nelle sue parti. Alcune descrizioni sono veri ricami artistici, molti momenti psicologici sono colti assai bene. (Vittoria Colonna, di Napoli, 1. giugno 1899).

Pagina XI