Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 543 in 11 pagine

  • Pagina 3 di 11

La fatica

169771
Mosso, Angelo 2 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Solo eccezionalmente in Germania vi sono dei professori di Pandette, che fanno scuola tre ore, ma ho visto a Lipsia che negli intervalli abbastanza lunghi, gli studenti mangiavano allegramente dei panini gravidi. Ho sentito a Lipsia dei corsi di due ore, ma mi annoiavo terribilmente: e li seguivo solo perchè avevo dovuto pagarli prima. In Italia sono rari i professori che facciano scuola un'ora e mezza o due ore di seguito. Ne conosco però di quelli che fanno tre corsi di un'ora,uno dopo l'altro, e li compiango. Per conto mio confesso che non potrei parlare più di un'ora senza stancarmi eccessivamente. Uno di questi mi diceva che dopo aver parlato per due ore, provava un bisogno irresistibile di tacere, e come un senso di oppressione al petto: oltre il disgusto della parola, notò che sentendo gli altri a discorrere sonnecchiava. Siccome questa molestia non compariva che dopo alcuni minuti dacchè era finita la lezione, egli l'attribuiva ad una iperemia del polmone, e a consecutiva anemia del cervello. Credo non abbia torto, perchè egli si lagnava con me di aver provato qualche volta una leggera vertigine, e un senso di vuoto nella testa. Un mio collega, che qualche volta dimentica l'ora, come dice lui, sente una debolezza grande della vista dopo aver fatto una lezione troppo lunga. Questo fenomeno lo avverte specialmente nel principio dell'estate, quando il caldo eccessivo gli altera un po' la digestione. Allora basta un piccolo strapazzo del cervello, e specialmente una lezione di un'ora e mezzo per annebbiargli la vista, tanto che dopo non può più leggere. È un'astenopia che viene dall'esaurimento del sistema nervoso, e scompare poche ore dopo finita la lezione.

Pagina 275

Schmidt avevano già dimostrato che i muscoli di un cane, vivono abbastanza lungo tempo quando sono staccati dal corpo, se si fa circolare artificialmente del sangue defibrinato nelle loro arterie. Kronecker, eliminando alcune cause di errore, ed esperimentando sulle rane, diede alla legge della fatica la sua espressione più semplice. Kronecker nei muscoli staccati dal corpo, riuscì a scrivere 1000 e anche 1500 contrazioni, l' una dopo l'altra, colla più grande regolarità. Ripetendosi le contrazioni, a misura che cresce la fatica diviene minore la loro altezza e vanno regolarmente digradando sino a cessare del tutto. Kronecker ne trasse la legge che "la curva della fatica di un muscolo che si contrae in eguali spazi di tempo e con delle scosse di induzione egualmente forti, è rappresentata da una linea retta. " Un'altra legge formulate da Kronecker si è che: la differenza dell' altezza delle contrazioni diminuisce quando crescono gli intervalli del tempo: ossia l'altezza delle contrazioni diminuisce tanto più presto quanto è più frequente il ritmo col quale si eseguiscono le contrazioni, e viceversa. Kronecker studiò i mutamenti che succedono nella sostanza dei muscoli affaticati, e dimostrò le differenze individuali profonde, che tanto gli animali a sangue caldo, quanto le rane presentano nella resistenza alla fatica. Vi sono dei cani che dopo fatte 150 contrazioni non rispondono più, ed i muscoli eccitati presentano un raccorciamento minimo ed appena visibile, mentre altri cani in condizioni identiche di esperienza danno 350, 500 e anche 1500 contrazioni, sollevando 40 o 50 grammi prima di esaurire completamente la loro forza. Intorno ad altre parti del lavoro fondamentale del Kronecker, avrò occasione di parlare più tardi.

Pagina 85

Come devo comportarmi?

172093
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Non sorgerà mai, mai, una società abbastanza ricca e devota al dovere, che permetta al vecchio povero di morire dove ha vissuto, fra la gente che ama, seguendo le abitudini incontrate, circondato dalì' affetto de' suoi ?... Perchè la società non è costituita in modo da lasciare il povero vecchio nel posto che Dio gli ha assegnato, là ove l'uomo forte e giovine dovrebbe confortarlo, la donna averne cura, i fanciulli sorridergli ?... È pietoso vedere la debolezza sorretta, dalla forza, la infermità alleviata dalla salute fiorente, il capo canuto chino su i riccioli Biondi!.. È invece triste l'ospizio ove sono raccolte tante vecchiaie, ove sono sepolti i ricordi, i desideri, le languide speranze, non di rado il rammarico, qualche volta la sorda, impotente ribellione contro l'ingiustizia! E pure... che sia mille volte benedetto l'ospizio che apre un asilo ai vecchi poveri, che li toglie al freddo alla fame e, pur troppo, all' ingratitudine! Ma che si possa sperare in un tempo in cui cesserà di essere necessaria questa pietosissima e grandiosa opera di beneficenza, in un tempo in cui l'amore e la gratitudine si uniranno insieme per preparare un posto d' affetto e di riconoscenza ai vecchi affraliti e impotenti al lavoro!

Pagina 120

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174896
Brelich dall'Asta, Mario 2 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Contro tale invasione di pezzenti ci si può difendere abbastanza efficacemente con l'inscriversi in società contro l'accattonaggio a domicilio, mettendo sulla porta l'insegna. In provincia, dove i pezzenti hanno da percorrere lunghe strade, e dove sono generalmente anche più bisognosi, diamo pure l'elemosina anche innanzi alla nostra porta, badando, però, che non ci portino degli insetti e dei morbi. Bisogna abolire il costume di costringere i bambini a dar soldi in mano ai pitocchi; altrettanto pericoloso è il far mangiare i mendicanti in recipienti o piatti che si usano in cucina. Diamo l'elemosina sempre con aria semplice, senza alterezza, nè dimostrarsi troppo « benigni ». Pochi sanno dare l'elemosina, o far carità senza offendere e avvilire la persona soccorsa. Chi si potrà immedesimare nella situazione del povero, troverà senz'altro il tono giusto. Chi dà però soltanto per essere veduto da altri, durante quest' azione « pietosa »,avrà probabilmente poco senso di tatto e non potrà destare nel mendicante, oltre la gioia del dono, un sentimento caldo di riconoscenza. La vera compassione e pietà non aspetta il ringraziamento. « Chi si lagna troppo dell'ingratitudine degli uomini, è un disonesto che non fa mai nulla per sincero sentimento d'umanità, ma soltanto pel proprio interesse » (Kleist). Il bene dovrebbe sempre farsi di nascosto. Le istituzioni umanitarie peccano spesso contro questa legge fondamentale. Signore benefattrici, che appaiono in grande eleganza e pompa per la distribuzione dei regali ai poveri, fanno cattiva figura e destano nei poveri sentimenti di sconforto; possono credere - ed è naturale che lo credano anche - che i ricchi abusano della loro miseria, facendo esse ancora più vivo contrasto con la loro apparenza lussuosa. Facendo del bene, non siamo però sentimentali. Ai vagabondi procuriamo possibilmente qualche lavoro e se ciò non va loro a genio lasciamoli andare senza dar loro il minimo aiuto. Molti alcoolisti ed ubbriaconi vedono la loro fonte nella carità degli uomini.

Pagina 163

Di non applicarvi abbastanza allo studio. 4. Un amor proprio eccessivo. 5. Quello di trovare da ridire su tutto e su tutti. E le domande si susseguono così, con le rispettive risposte: - Siete voi amato? - Quale sentimento ispirate voi? - Dove troverete la felicità? ecc.

Pagina 294

Per essere felici

179562
Maria Rina Pierazzi 2 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
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Non sarà mai abbastanza accurata ed elegante per l'uomo che l'ama. Ella avrà molto riguardo alla propria persona; non si farà mai vedere nè sciatta, nè spettinata, nè mal vestita da suo marito. I suoi abiti da casa, invece, saranno semplici, chiari, ben fatti; ella si mostrerà inappuntabile ed elegante in ogni ora del giorno. Avrà cura che la casa sia perfettamente in ordine, la tavola linda, i cibi ben preparati e gustosi, in una parola, avrà il dovere di rendere dolce la vita familiare all'uomo che deve starle al fianco fino all'ultimo dei suoi giorni. L'amore è composto di grandi, ma anche di piccole cose; e troppo spesso le famiglie si sfasciano per l'incuria della donna la quale non ha saputo compiere qualche sacrificio, mostrando al suo compagno di aver più a cuore l'esteriorità della sua posizione che l'intima gioia della propria casa. Essere bella e piacente verso il marito, non è civetteria: è dovere. Quale idea, altrimenti, egli si farebbe della sua moglie, vedendola elegantissima in società e sciatta e disordinata in famiglia? Ahimè! Le apparenze hanno purtroppo il loro diritto, e l'uomo per ammirare un bel quadro vuol vederlo in degna cornice.

Pagina 178

Naturalmente ella stessa fornirà queste cuffiette le quali non devono dare alla cuoca l'apparenza di una "pappina„ d'ospedale, ma devono essere abbastanza graziose e ben fatte da essere accettate senza rimostranze anche dalle donne più schizzinose. ln quanto alle governanti dei bimbi piccoli è necessario che sieno provvedute per casa di grembiuli bianchi di una certa eleganza e si pretenderà che vestano di chiaro. Per fuori si farà loro indossare il costume inglese che è così elegante nella sua semplicità. Abito e cappa turchina o grigia; in capo un lungo velo azzurro chiuso attorno alle tempie secondo la foggia dei veli portati dalle Dame della Croce Rossa. Tale costume è preferibile a qualsiasi abito "particolare„ perchè talora, onde sfoggiare una tal quale eleganza, queste governantine si camuffano in mille modi sfoggiando certi copricapo da far venire i brividi...

Pagina 218

Il Galateo

181557
Brunella Gasperini 3 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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È uno snobismo idiota, quando non è un vano tentativo di fuga, una ricerca di stimoli artificiali da parte di gente che non ha più abbastanza coraggio e fantasia per vivere senza additivi. Siano questi alcol o canapa indiana o peggio. Ad ogni modo, se siete stati invitati in casa di normale (credevate) gente adulta, che si mette a fumare erba e magari candidamente ve ne offre, i casi sono due: se volete anche voi provare il brivido dell'«esperienza nuova», è affar vostro. Se invece non volete provare, né essere immischiati con chi ci prova, comportatevi come un astemio tra gli sbronzi, e accomiatatevi al più presto: senza comunque mostrarvi indignati o scandalizzati, senza fare prediche, minacce o luttuosi vaticini. Non sta a voi andare in casa d'altri a moralizzare la gente. Se però (può succedere anche questo) è un ospite che i porta hascisc in omaggio a casa vostra come una volta avrebbe portato champagne, o peggio lo porta di nascosto e lo offre misteriosamente in giro (le manovre e l'odore son facilmente riconoscibili), avete tutti i diritti di reagire, senza scene ma con fermezza: l'ospitalità è sacra fino a un certo punto. Potete dire: «No, scusatemi, non fumate questa roba in casa mia, sono contrario». Probabilmente qualcuno vorrà spiegarvi che avete dei pregiudizi, che una sigaretta d'erba ogni tanto fa meno male di una bottiglia di champagne, il che è magari vero, ma non è dal punto di vista sanitario che si vede la faccenda. Perciò, se siete contrari, continuate a essere contrari: senza per questo montare sul pulpito. Dite pressappoco: «Abbiate pazienza, sarò retrogrado, ma non mi va, ecco tutto. Siete liberissimi di fumare la vostra erba, ma non qui. Scusatemi». Se i fumatori d'erba sono persone civili, rinunceranno a fumare. Se non lo sono, se ne andranno. Voi non vi offenderete.

Pagina 134

Rispettate la natura: già abbastanza minacciata e devastata dall'inquinamento senza che vi ci mettiate anche voi coi vostri vandalismi. - Se accendete fuochi, badate alla direzione del vento; non lasciate braci fumanti: versateci sopra un po' d'acqua, e se non basta ricopritele di terra, come ogni boy scout può insegnarvi. - E quando levate le tende, rimettete tutto come prima. Non lasciate tracce di nessun genere; chi arriva dopo di voi non deve trovarne. Solo sull'Everest o al Polo è consuetudine lasciare una bandiera.

Pagina 197

Tra i motivi principali, metterei: 1) il sempre più diffuso e giustificato desiderio dei giovani di allontanarsi in fretta dalla famiglia d'origine; 2) l'avvento non ancora abbastanza maturato della libertà sessuale, per cui molte infatuazioni che in tempi meno permissivi si sarebbero spontaneamente esaurite senza lasciar tracce, oggi, alimentate dall'attrazione e soddisfazione sessuale, vengono urgentemente scambiate per grandi amori e tradotte in urgenti matrimoni; 3) la sensazione, fortunatamente fondata, che il matrimonio non sia più un ferreo legame senza uscita; in fondo, se le cose andassero male, c'è il divorzio, c'è la separazione legale, c'è l'annullamento, ci sono tante scappatoie... un modo di uscirne senza sconquasso c'è sempre: questa è spesso, negli sposi, una riserva mentale a livello inconscio. Ma c'è. È normale che ci sia. Quel che ancora non c'è, o non del tutto, è la consapevolezza che quando un matrimonio fallisce un certo «sconquasso», almeno psicologico, è pressoché inevitabile. Che cosa c'entra questo discorso col galateo? Non c'entra niente, infatti. Ma c'entra molto col nostro controgalateo: che non si preoccupa tanto del comportamento esteriore e formale, quanto della sostanza dei rapporti umani. Sempre più minacciati dall'angoscia, dall'incoerenza e dalla confusione. Su allegri. Volevo solo dire: chi si sposa avventatamente, senza reale conoscenza, senza preparazione, senza maturità, contribuisce al disordine e all'angoscia generale. Anche perché i giovani di oggi, se da una parte sono più liberi, più disincantati, più franchi, se hanno maggior senso critico dei loro coetanei di ieri, dall'altra parte sono più viziati, meno pazienti, meno preparati alle rinunce e alle delusioni. Quando vogliono una cosa, la vogliono subito. Quando una cosa va male, la mollano subito. E solo allora sperimentano, sulla propria pelle, quanto possa costare di logorio, di lotte, di compromessi e di amarezze, uscire da un matrimonio in cui si era troppo leggermente entrati. Crepi l'astrologo? Crepi pure. Ma dopo vent'anni di quotidiano contatto con fallimenti matrimoniali d'ogni genere non potevo esimermi da questa premessa. Sposatevi meno, per piacere, e sposatevi meglio.

Pagina 22

Galateo per tutte le occasioni

187869
Sabrina Carollo 3 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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I panni sporchi si lavano in coppia; ✓ nessuno sarà mai abbastanza per la loro bambina. Mantenere un profilo basso e darci dentro con i fiori; ✓ non pensate mai di potervi intrudere nel rapporto madre-figlia quando è buono. Rispettate i loro spazi; se vi pare che l'ingerenza dei suoceri sia eccessiva, chiaritevi con il vostro compagno/a. È lui/lei che dovrebbe far ragionare i suoi genitori; ✓ se decidete di affidare loro i vostri figli, siate grati e non continuamente critici. Non è un gesto dovuto da parte loro; ✓ Non siate troppo diffidenti, né severi. Un po' di umana comprensione - da parte di entrambi, d'accordo - aiuta sicuramente a condurre il gioco in modo più scorrevole.

Pagina 148

Non semplicemente in modo esplicito, una cafoneria abbastanza rara, ma anche in quello più subdolo nel trovare oggetti o soddisfare richieste a senso unico. ✓ Non regalate oggetti singoli di ciò che può essere venduto in coppia. Per esempio, se volete donare un accappatoio cercatene due, uno per lei e uno per lui; se regalate una tazza per la colazione, fate in modo di scovare quelle appaiate. Non si tratta di stucchevolezze, ma piccoli stratagemmi per affermare che avete chiaro in mente il fatto che loro sono una coppia, con un legame speciale che rispettate e caldeggiate. ✓ Non telefonate troppo spesso. ✓ Siate sempre rispettosissimi degli spazi, anche fisici, della coppia. Non entrate mai in casa se non invitati, offritevi di collaborare in caso di bisogno ma non imponetevi né soprattutto fatevi trovare sul posto. Se vi fa piacere prendervi cura dei nipotini, chiedete prima se c'è qualche preferenza in merito a orari e giorni, in modo da conciliare le soddisfazioni di tutti. ✓ Non comportatevi in casa dei giovani parenti acquisiti come superiori in sopralluogo, analizzando la quantità di polvere sugli scaffali e la disposizione del cibo nel frigorifero. ✓ Non fate domande indiscrete. ✓ Rispettate le scelte della coppia. Potete naturalmente esprimere dissenso o azzardare qualche osservazione, ma sempre entro i discreti limiti del parere aggiunto. ✓ Distribuite il peso delle vostre necessità tra tutti i figli. Cercate di non chiedere sempre e solo a quello di loro che vi asseconda, facendovi odiare dal genero cui salta sempre il fine settimana in montagna. ✓ Se avete la stessa idea di vostra nuora per il regalo di compleanno a vostro figlio, cedete voi. ✓ Fidatevi dei vostri figli. Se hanno fatto la propria scelta con il cuore, ce la faranno.

Pagina 150

Stranoto, ma mai abbastanza compreso.

Pagina 96

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189025
Pitigrilli (Dino Segre) 1 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Se non lo è, per idiota che sia la nostra poetica prosa, non sarà mai abbastanza idiota. Nel primo caso conviene ridurre al minimo le occasioni di far ridere. Un invito a un concerto, alle corse, a una prima; un cesto di frutti esotici, qualche bottiglia di champagne, un libro dicono meglio che le solite frasi. E non fanno ridere. In più, provocheranno come risposta una telefonata, un incontro. Con una donna di una certa categoria mentale è più delicato «far capire» che «dire». Il «dire» si ridurrà a esprimere il desiderio di vederla, di udirla, di passare mezz'ora nel suo campo magnetico. Se invece è di una categoria scadente, si può tirar fuori la batteria di cucina del cuore, del sentimento, dell'anima, di «tutta la vita», del «la più bella», l'unica, l'eletta, la «differente da tutte le donne». E' questa la linea da seguire quando si tratti di una donna resa indipendente dalla vedovanza, dal divorzio, dal coniuge in alto mare, non sposata, artista, professionista o consorte addivenuta a un accordo col marito, il quale se ne va per gli affari di cuore suoi. Se sopravvive qualche giovanotto retrogado, che per fidanzarsi con una fanciulla all'antica segue la vecchia procedura, sappia che le sue lettere saranno commentate dalla mamma, dai parenti ragguardevoli e dal parroco. Usi quindi le formule convenzionali: «unire il mio destino al Suo», «renderla felice, costruire un focolare», «trovare nei Suoi genitori un babbo e una mamma» e altri fiori secchi dell'immortale erbario romantico. Quest'ultima classe di fanciulle allevate nelle incubatrici di provincia si va rarefacendo. Le signorine d'oggi, laureate, laureande, impiegate, professioniste, hanno eliminato quel retorico vecchiume. Un pomeriggio la signorina torna a casa un po' più radiante del solito, si dà un colpo di pettine e un tocco di rouge nell'ascensore, butta su una sedia la borsa e i guanti, e annuncia: - Sposo il Tal dei Tali.

Pagina 237

Nuovo galateo

190228
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Allorchè in mezzo ai pericoli pubblici la forza del governo non protegge abbastanza i cittadini, i cittadini si proteggono da sé stessi, associando reciprocamente le loro forze. Il desiderio intensissimo d'uscire illesi dalla burrasca annoda molte amicizie. Diminuite i pericoli pubblici, fate crescere la protezione del governo, e vedrete molte amicizie sciogliersi o raffreddarsi. La debolezza, e scarsità delle amicizie ne' tempi moderni a fronte dei secoli di mezzo non prova dunque decremento di morale privata, ma piuttosto aumento di tranquillità e sicurezza pubblica. Nella gioventù le amicizie sogliono essere calde, ma poco durevoli, perché i desiderii sono nel tempo stesso forti ed incostanti. 4.° Un uomo può conservare degli amici nelle sventure, principalmente se sa soffrirle con coraggio; ma se perde la stima pubblica per azioni infamanti, resta isolato e solo. Tra le persone dotte che non siano rivali, l'amicizia suole essere forte e costante, perchè alta e costante la stima. Si possono avere de'grandi difetti, e ciò non ostante conservare degli amici se si hanno grandi qualità, cioè se si conservano molti diritti alla stima pubblica. 5.° A misura che le persone s'alzano a cariche maggiori, perdono degli amici; giacché scema la confidenza a misura che cresce il rispetto; senzachè l'elevazione trae seco la realtà o l' apparenza dell'orgoglio che offende l'amicizia.

Pagina 233

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190591
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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Sì ai segnaposti, ma solo se il tavolo è abbastanza ampio; la padrona di casa dovrebbe comunque invitare e indicare a voce il posto a tutti i commensali spostandosi di volta in volta dietro la sedia di ciascuno. Accade che, per il piacere di invitare tutti, si obblighino le persone a stare strettissime a tavola: cercate di evitarlo, a meno che non siate in grande confidenza, non tutti amano stringersi e mangiare «vicini vicini». Il numero massimo consigliato è di otto commensali, che è considerato il numero limite per seguire la conversazione e per reggere qualsiasi menu. Vi sfido a scolare più di otto porzioni di tagliolini perfettamente al dente e a servirli caldi. Studiare con attenzione le portate in base al numero degli ospiti vi eviterà molti problemi.

Pagina 44

Saper vivere. Norme di buona creanza

193226
Matilde Serao 4 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
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Ma rimane un piccolo gruppo, da tre a quattro persone; molto interessanti, molto simpatiche, abbastanza importanti, con cui si ha desiderio e necessità sociale di restare in rapporti, in città. E ci si resta! Ci si resta! Talvolta, care donne, cari uomini, persone, è una sola. Su questo, nulla debbo soggiungere. Quando si è ritornati in città, bisogna dividere in due categorie parenti e amici che si debbono rivedere: parenti e amici a cui si tiene molto, di riguardo e a cui si va a far visita: parenti e amici che tengono, essi, molto, a voi e voi, molto meno a loro e, allora, sono essi che vi debbono venire a salutare al vostro ritorno della villeggiatura. Vi è gente di riguardo a cui avete dimenticato di mandare anche una sola cartolina: con finezza, con grazia, bisogna riparare a quest'oblio. Vi è gente che vi ha dimenticato: bisogna aspettarne le scuse e accettarle con disinvoltura. Dopo di che badare molto, a non commettere la indelicatezza di esaltare la villeggiatura, a tutti coloro che non si son potuti muovere dalla città.

Pagina 131

Bella figura, per una signorina che si è portata dietro il fidanzato, dappertutto, e che, a un tratto deve apparire senza costui, abbastanza compromessa, in fondo, da tutta quella troppo prolungata ed esagerata convivenza! E se anche il matrimonio si fa, non è desiderabile che tutta la poesia della intimità, della convivenza, delle uscite insieme, di tutta la vita comune, venga dopo, e non prima? Non è desiderabile che tutte queste piccole gioie - poesia del matrimonio - dello andare dappertutto insieme, dello stare insieme lunghe ore, del comunicarsi ogni impressione, vengano dopo, dopo le nozze, e non prima? Il riserbo, la correttezza, una certa fierezza, l'amore represso dalla educazione, la passione dominata dal rispetto a se stessa, non sono, forse, le qualità più belle di una fidanzata e di una futura moglie? Non è una migliore speculazione - chiamiamola così - far molto desiderare la presenza di una fidanzata, e tutte le piccole grazie dell'amore, e tutto ciò che è l'incanto tenero dell'amore, anzi che sciuparlo, ogni giorno, prima delle nozze? Non è meglio... ma questa è una predica che seccherà moltissimo i fidanzati, abituati, oramai, a spadroneggiare in casa della fidanzata. O genitori, pensateci e pensateci voi, ragazze, perché io ho ragione!

Pagina 22

Piccola o grande che sia, essa costa più o meno denaro, ma ne costa sempre molto, troppo; essa costa molte cure, molte fatiche, molti fastidi e molte noie; essa vi può procurare molti invidiosi e molti nemici: e bisogna vedere bene, se valga la pena di affrontare tutto ciò, se la ragione di convenienza, di obbligo morale, di decoro, d'interesse, che v'induce a dare questa festa, piccola o grande, sia abbastanza possente, da compensare tutto questo. Io so di un principe, mio grande amico, uomo d'intelligenza, di spirito, pieno di chic, che dette una splendida e simpaticissima festa da ballo: cinque giorni dopo, uno dei suoi più importanti coloni, gli scrisse una lettera, dichiarandogli di non poter pagare l'affitto, e domandando una dilazione, tanto più - diceva il colono - che Vostra Eccellenza ha dato una ricca festa, e non ha bisogno di denaro! Or dunque, pensarci un poco. Un altro inconveniente delle grandi feste o piccole, è che esse vi espongono alle critiche più amare, più aspre, più crudeli dei vostri invitati. Per uno strano fenomeno psicologico, i vostri invitati, coloro che voi avete chiamati a divertirsi, in casa vostra, a cui avete offerto un appartarmento sfarzosamente adorno di piante e di fiori, illuminato a meraviglia, una raccolta di persone elette, di belle donne, di gaie signorine, dei rinfreschi squisiti, una cena sontuosa, tutti costoro vi diventano acerrimi nemici. Tutto è pessimo, per essi, da voi; i fiori odorano troppo; le piante, ve le siete fatte prestare; i gelati puzzano di petrolio; la luce elettrica è volgarissima; il the sa di paglia; la cena è meschina e scarsa; e le donne, poi, le donne, tutte brutte, tutte mal vestite, che orrore! Una sera, in un ballo, poco prima di andare a cena, io ho udito, inavvertita, due perfetti gentiluomini, correttissimi, sorridenti, profferire, a voce sommessa, tali infamie sul conto del padrone e della padrona di casa, da far arrossire qualunque ingenuo: e, dopo, avviarsi placidamente a mangiare la squisita cena. È scoraggiante! Ma, naturalmente, vi è chi, per onorare il proprio nome e il proprio censo, per celebrare un anniversario, un compleanno, un onomastico, una promessa di nozze, deve dare una festa; vi è chi ama tanto poco se stesso e tanto il proprio prossimo, da voler, assolutamente, esercitare la ospitalità; vi è chi, infine, ha bisogno, per suoi interessi, per suoi fini, di farsi vedere ricco e ospitale.

Pagina 77

Antico costume abbastanza cafonesco e che, man mano, si è venuto illanguidendo: antico costume che dovrebbe completamente sparire, nelle grandi città. Si comprende, questo costume, fra gli abitanti dello stesso villaggio - o Ventaroli, di Sessa Aurunca, o terra della mia stirpe, di voi parlo! -che hanno bisogno di stringersi insieme, di prestarsi amicizia, assistenza, soccorso, in qualunque circostanza; si capisce, fra gli abitanti della stessa piccola città di provincia, per le medesime ragioni: si capisce, in estate, ai bagni, in villeggiatura, in albergo, per farsi compagnia, per formare una côterie: si capisce, dovunque la gente è poca, dove molte case mancano, dove la solidarietà umana è più necessaria. Ma in una grande città, dove tutto vi è, a portata di mano, di voce, di passo: in una grande città, dove basta escire dal portone per trovare anche la pietra filosofale, che, si dice, non fu mai trovata; in una grande città, a che può servire di conoscere i propri vicini? A che aumentare le proprie relazioni, inutilmente, quando quelle che si hanno, d'ordinario, sono soverchianti? A che mettersi in rapporto con gente nuova, ignota, forse estranea a ogni proprio gusto, forse antipatica, forse equivoca? Perché conoscere, proprio i vicini, quando il più savio consiglio è di restringere alle persone più note, più simpatiche e più utili, le proprie relazioni? E, veramente, esiste una vicinanza, in una grande città, in una grande strada in un grande palazzo, o non si è, veramente, anche gli inquilini di questo medesimo palazzo, completamente estranei, l'uno all'altro? E in tanto lavoro, in tanti pensieri, in tanti svaghi, in tanti affanni, chi mai s'incarica del proprio vicino? Il vicino non esiste, in un ambiente di metropoli. E non dovrebbe esistere, quindi, la profferta di servigi, barocca e inutile; non dovrebbe esistere l'offerta della visita, che, quasi sempre, è inopportuna e mal gradita; a rigore, non dovrebbe esistere neanche lo scambio dei biglietti da visita. Per questi, passi. Ma non oltre! Non parlo, poi, qui, dei danni delle nuove conoscenze, quasi sempre pericolose, fra nuovi e vecchi inquilini: pensateci voi, o genitori, voi, o mariti, voi, o fidanzati, a questi danni, calcolateli, essi possono essere irreparabili!

Pagina 89

Galateo morale

196456
Giacinto Gallenga 4 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
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E così non saranno mai abbastanza diffuse nel popolo le cognizioni che riguardano certi commestibili, come i funghi a cagion d'esempio, cui importa saper distinguere e conoscere per bene e con prudenti norme ammettere fra i nostri alimenti, onde non recar danno alla salute e mettere a tremendo rischio la vita istessa. E a quest'uopo è utilissima cosa il popolarizzare quelle tavole in cui vengono separatamente disegnati i funghi mangerecci e velenosi: importa che nelle famiglie si oda sovente ripetere la necessità di far istagnare le pareti interne dei vasi ed attrezzi di rame adoperati alla cottura dei cibi, e di non lasciar entr'essi raffreddare questi ultimi. Con tale sistema, che richiede più buona volontà che dispendio, le autorità di polizia renderebbero eminente servigio alla società cui vengono da coteste istruzioni risparmiate molte disgrazie, dovute alla ignoranza ed incuria delle più elementari regole di sicurezza e d'igiene. In Francia da gran tempo si mettono in pratica queste provvidenze. Il prefetto di polizia di Parigi, per citarne un esempio, nei primordii della illuminazione a petrolio fece pubblicare e distribuire gratuitamente una istruzione concernente quel combustibile, per mezzo della quale venivano resi noti i pericoli che ne accompagnavano impiego, le precauzioni da mettersi in opera onde premunirsene, i metodi per riconoseere il petrolio infiammabile, la scelta delle materie e delle forme da preferirsi nei recipienti per la conservazione del liquido e nelle lampade, il sistema da tenersi per riempire, accendere, spegnere queste ultime; le disposizioni da osservarsi nel caso di scoppio dello medesime; e finalmente i rimedi per le scottature riportate in quegli accidenti. L'abbondanza e la chiarezza di quelle istruzioni e il favore con cui vennero accolte e messe in pratica, segnano un grado di civiltà a cui siamo ancora lungi, noi altri, dall'essere arrivati. Né minori provvidenze, né con minore sollecitudine vennero emanate dallo stesso prefetto di Parigi all'epoca dell'invasion del choléra, giacché per sua cura venivano giornalmente diffuse le precauzioni da adottarsi onde rimaner preservati dal suo attacco, le istruzioni per conoscere i sintomi del morbo, allorché alcuno se ne sentiva colpito.

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Quando i popoli saranno davvero civili, vale a dire quando la moralità sarà la base delle loro azioni; quando essi vedranno di poter bastare a se stessi col lavoro e di trovarsi felici abbastanza senza le conquiste, state pur certi che ogni soldato tornerà all'officina e alla campagna, che i ferri si adopreranno non più a lacerare i corpi umani ma a squarciare gli incolti terreni, e il danaro che sprechiamo per ucciderci gli uni cogli altri verrà dedicato a promuovere l'istruzione e la fratellanza dei popoli; le navi da guerra, deposto l'inutile fardello dei cannoni, si trasformeranno in pacifici legni mercantili destinati a portare non più la rovina e la strage, ma i prodotti dell'industria e del suolo in ogni parte del mondo. Moralità e lavoro; ecco i veri fattori della civiltà, ecco i veri abolitori degli eserciti, ecco la vera via, e non ce n'è altra (le declamazioni, le arguzie, gli epifonemi s'è visto che non servono a diminuire le armate d'un sol uomo; anzi!) di guarire per sempre da questa che è piaga, non d'Italia soltanto, ma dell'Europa e pressoché direi del mondo tutto: dal militarismo.

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L'uno è quello di Coriolano che avrete udito nominare molte volte nelle scuole e lodare da'vostri maestri; ma i grandi uomini e le belle azioni non sono mai citati e commendati abbastanza. Caio Marzio Coriolano amava ottenere la gloria pel contento che ne provava la madre sua; per dire de'suoi alti e nobili sensi, egli non volle mai accettare, delle spoglie dei nemici da esso vinti, fuorché un cavallo donatogli dal console in segno d'onoranza, e, libero di scegliere nella distribuzione delle prede, chiese per sua parte che non fosse come schiavo venduto il suo ospite che era stato fatto prigioniero dai Romani. Volendo egli adunque vendicare l'oltraggio ricevuto da'suoi ingrati concittadini che lo avevano costretto ad esulare, spinti da invidia delle sue glorie e dal dispetto che egli non avesse giammai voluto né in Senato né in piazza adulare la plebe, egli non volle, accerchiata Roma, ascoltar le preghiere né degli ambasciatori, né dei sacerdoti a lui inviati dal popolo atterrito onde distoglierlo dal suo fiero proposito di entrare coll'esercito in città. Ma veduta poi avanzarsi al suo incontro la vecchia madre Veturia, non poté altrimenti in quel cuor generoso reggere la concetta ira. «Madre, hai vinto, le disse, ed abbracciatala teneramente dismesse ogni idea di vendetta e ritornossene in esiglio». Vediamo ora ciò che potesse in un altro romano la reverenza al proprio genitore. Tito Manlio era stato cacciato di casa dal padre avaro e crudele ed obbligato a ridursi in villa ov'era tenuto come servo a'più umili e faticosi servigi. Avendo egli un giorno udito, essere stato accusato da alcuni nemici il proprio padre, dimenticò immediatamente i torti da lui ricevuti e partitosi di soppiatto andò verso Roma e si recò difilato all'abitazione di uno de' principali accusatori; quivi, tratto fuori un pugnale, minacciollo di morte, qualora non si fosse obbligato con solenne giuramento di ritirare nella seguente mattina l'accusa prodotta contro suo padre.

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Per tutto quello che si è detto non sarà mai raccomandato abbastanza agl'inquilini di mantenersi, anche a costo di qualche sacrifizio pecuniario o di amor proprio, in buone relazioni coi portinai. Ci va della loro tranquillità e sicurezza; senza esagerazione la portinaia tiene nella sua mano o per dir meglio nella sua lingua il riposo, il buon nome, la fortuna delle famiglie. Essa vi fa e disfa le riputazioni. Quanto gioie avvelenate, quanti successi attraversati dall'opera sua! frugate i misteri, rovistate le memorie dei portinai e delle loro mogli e troverete, non ne dubito, in quelle nerissime pagine che più d'un'eredità, più d'un impiego, più d'un matrimonio che avrebbero coronate le vostre speranze e che voi eravate in diritto di aspettarvi andarono in fumo, passarono ad altre mani, resero felici altre persone, pel solo motivo della vostra imprudenza nell'esservi inimicati i portinai.Amicatevi costoro, e voi crescerete del 50 p. % le probabilità, delle vincite nella grande lotteria della vita.

Pagina 95

Signorilità

199160
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 1 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Per le prime, basta un abito nero per gli uomini (e non frac e thigt), e un vestito anche modestissimo, purchè decente, con maniche lunghe, abbastanza lungo e accollato, per le signore. È concesso portare anche un mantello nero, e va sempre il velo nero. Nelle altre udienze di pellegrinaggi e comitive, il Santo Padre dispensa dal nero, ma la sua Corte esige vestiti puliti e decorosi. Gli ufficiali stranieri sono ricevuti in alta uniforme; d'or innanzi gli ufficiali del nostro glorioso esercito lo saranno del pari. Nelle funzioni in S. Pietro (beatificazioni e altre a cui presiede il Pontefice) nelle tribune dell'aristocrazia e della diplomazia, sono di rigore frac e vestito elegante come per le udienze private. Nelle altre tribune e recinti sarebbe di obbligo il nero e il velo in testa, però il Papa, padre tenerissimo, si preoccupa per i non abbienti e non vuole escludere dalla casa di Dio quelli che non posseggono un guardaroba ben fornito. Parecchie invitate spesso approfittano di questa bontà, vestono in rosso o in giallo, e vanno beatamente con cappelli variopinti, dando prova di poca convenienza e di poca educazione... Una veletta modesta costa poche lire, un vestitino scuro è presto rimediato, un mantello nero può essere chiesto ad un'amica...

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Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

201070
Simonetta Malaspina 5 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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Molto spesso questo atteggiamento è soltanto un modo poco onesto per nascondere la propria incapacità: se il bambino non rende a scuola non significa necessariamente che l'insegnante non è all'altezza del suo compito, ma il più delle volte vuol dire che lo scolaro non studia abbastanza, è distratto, e non fa i compiti a casa come dovrebbe. Non aiutate il bambino a fare i compiti. Se non ce la fa, pazienza. Deve imparare a cavarsela da solo, e da solo risolvere i suoi primi problemi di lavoro. Ai genitori non tocca altro dovere che quello di esortarlo, incoraggiarlo, pretendere che tutti i compiti siano fatti (un controllo serale è sempre opportuno) e parlare periodicamente con gli insegnanti per stabilire con loro un rapporto di intelligente collaborazione. Il bambino, cioè, deve sentirsi seguito ma non aiutato. È la sua intelligenza, non la sua pigrizia, che dev'essere stimolata. Altra raccomandazione importante: non fate regali all'insegnante. Può darsi che nel corso dell'anno scolastico (per esempio a Natale o a Pasqua) sia gentile e opportuno offrire fiori all'insegnante: ma solo se lo faranno anche altri scolari. I fiori, poi, vanno portati esclusivamente a scuola, mai a casa: qualsiasi dono può essere giustamente rifiutato dall'insegnante che se lo vedesse recapitare al proprio indirizzo di casa. Nessun regalo, quindi. Anche nei rapporti con i compagni di scuola il piccolo scolaro deve imparare a tenere bene in mente le prime basi del saper vivere. Insegnategli quindi a essere modesto, a non vantarsi della professione del padre e tanto più a non pavoneggiarsi per cose come l'automobile, la villa al mare, la barca. E’ brutto ascoltare un bambino che si vanta con coetanei meno fortunati di lui: se scoprite che vostro figlio si dà delle arie, non esitate a punirlo come si merita. Un bambino dev'essere gentile con gli adulti. Nel caso particolare della scuola, deve rispettare l'insegnante. Per nessun motivo incoraggerete un suo tentativo di ridicolizzare la maestra o riderete per una frase spiritosa contro di lei. Si sa che in tutte le epoche gli alunni hanno sempre preso in giro gli insegnanti: ma non devono avere (come spesso hanno oggi) l'approvazione divertita dei genitori. Gli scolari non si devono mai sedere prima che si sieda l'insegnante. Se sono già seduti, si alzeranno non appena arriva in classe l'insegnante e rimarranno in piedi fino a quando quest'ultimo non li avrà invitati a sedere. I bidelli devono essere rispettati. Le mance non devono essere date dai bambini, ma dai genitori. Anche se non vi piacciono, per qualche motivo, i metodi didattici dell'insegnante di vostro figlio, non date mai un giudizio negativo in presenza di quest'ultimo. Il bambino deve avere fiducia nei suoi maestri, comunque essi siano, altrimenti il suo rendimento diminuirà, e a suo danno. Guardatevi bene dal coltivare in lui la convinzione di essere la vittima innocente di una persecuzione sistematica e premeditata. Non create antagonismi Se proprio ritenete necessario che il bambino cambi scuola, o classe, dategli una spiegazione che lo soddisfi senza rivelargli la verità. Per nessuna ragione potete telefonare a casa agli insegnanti di vostro figlio. Come abbiamo detto ci sono ore prestabilite per i colloqui e rivolgersi ai maestri direttamente sarebbe una grave indelicatezza. Nel caso aveste bisogno di un colloquio straordinario per motivi particolari, potete chiederlo attraverso la segreteria della scuola. Per lo stesso motivo non fermate per strada l'insegnante che incontrate per caso, per chiedere notizie sul profitto del vostro bambino. Limitatevi a salutare cortesemente. Se un ragazzo ha bisogno di ripetizioni i genitori non devono dipingerlo al nuovo insegnante come la vittima di svariate ingiustizie da parte dei professori. E nemmeno criticare per altri motivi l'insegnante del figlio. L'unico vero motivo delle lezioni sta nel fatto che vostro figlio non ha studiato abbastanza: accettate questa realtà e non recriminate inutilmente addossando ad altri una colpa che è soltanto del ragazzo. Il pagamento delle lezioni è un problema che riguarderà esclusivamente voi e l'insegnante: il ragazzo non dovrà assolutamente intervenire e tanto meno provvedere direttamente alla consegna del denaro. Il compenso dovrà essere pattuito prima dell'inizio delle ripetizioni. Non pretendete di assistere alle stesse: avreste l'aria di non aver abbastanza fiducia nelle capacità dell'insegnante. Nei rapporti con i genitori dei compagni di scuola di vostro figlio siate cauti. Un giudizio espresso innocentemente potrebbe essere frainteso e riferito distorto a chi non vorreste lo sentisse. Non vantate le doti intellettuali dei vostri figli, i loro successi scolastici e qualsiasi altra qualità: così facendo, attirereste su di loro soltanto antipatia. Cercate di conoscere i compagni di scuola preferiti dei vostri figli invitandoli qualche volta in casa e osservandoli senza averne l'aria. Insegnate ai vostri ragazzi a essere cordiali e gentili con tutti e a non darsi arie qualora fossero più bravi degli altri. In conclusione, l'insegnamento dei genitori dev'essere parallelo a quello scolastico, senza contrasti e senza malumori. Attraverso la collaborazione, genitori e insegnanti potranno veramente trasformare qualsiasi ragazzo e farne un uomo capace di vivere serenamente.

Sarà apparecchiata con una tovaglia bianca e abbastanza grande da poter toccare terra. Coprire le gambe del tavolo serve anche a fornire un nascondiglio per bottiglie vuote e altri oggetti ingombranti, senza costringere chi serve a continui spostamenti. Sulla tavola, fin dal giorno prima, si possono già preparare le posate, i bicchieri, i piatti (i cibi saranno portati dal fornitore poche ore prima dell'arrivo degli ospiti). Alla decorazione floreale si penserà il giorno del ricevimento, evitando composizioni troppo alte che darebbero fastidio a chi serve. Gli invitati di solito si servono da soli. I camerieri (o l'unica cameriera, o la sola padrona di casa) si preoccuperanno soltanto di servire le bevande. Se la padrona di casa, però, vede che qualche ospite troppo timido non prende niente, interverrà con garbo per aiutarlo a servirsi. Se gli invitati sono numerosi, per evitare assembramenti davanti al buffet, si possono far circolare i vassoi. Quando il buffet consiste in una vera e propria cena in piedi, non preparate cibi che esigano l'uso del coltello; consigliabili, invece, quelli che si possono agevolmente mangiare con la sola forchetta. Per questa ragione, anche quando si serve un piatto caldo, sarà opportuno ricorrere al tradizionale ma sempre graditissimo risotto. Minestre in brodo e pasta asciutta sono da scartare categoricamente. Gli ospiti devono fare onore al buffet e servirsi senza sciocche e inopportune timidezze, ma non devono neppure dare il penoso spettacolo di chi piomba su un buffet come una cavalletta affamata. La padrona di casa farà sempre buon viso a cattivo gioco e non si scandalizzerà visibilmente: ma è autorizzata, al prossimo invito, a scegliere diversamente i suoi ospiti. Un'ultima raccomandazione per le padrone di casa: non adoperate piatti e posate di carta se non siete in rapporti di stretta amicizia con gli invitati.

Sia che riceviate spesso, sia che no, è bene che abbiate sempre un bar abbastanza fornito di bottiglie. Come minimo consigliamo: una bottiglia di cognac, una di whisky, una di liquore dolce per le signore e almeno una bottiglia di buon aperitivo. A questo minimo indispensabile si possono aggiungere una bottiglia di gin (necessario per certi cocktail), una di vodka, una di grappa, una di rum, una di maraschino, e altre a vostra scelta. Come accessori sono necessari un secchiello per il ghiaccio, uno shaker per preparare i cocktail (e amalgamare liquori di diversa intensità), uno spremilimoni, un coltellino per tagliare la scorza degli agrumi. Se non vi piace il mobile-bar, potete mettere le bottiglie su un vassoio o su un carrello a portata di mano. Di solito è il padrone di casa che serve i liquori: si presuppone che egli se ne intenda più della moglie. Non è mai la cameriera a servire i liquori. I bicchieri non vanno riempiti fino all'orlo, soprattutto nel caso particolare del cognac che viene servito in bicchieri a pallone molto grandi, o del whisky che si beve in bicchieri simili a quelli da bibita. La bottiglia non va messa sul tavolo: lasciatela a disposizione degli ospiti su un tavolino a parte, su un vassoio, o su un carrello. Non si beve un liquore in un sorso solo, nemmeno se volete darvi le arie di grande bevitore; e neppure dovete centellinare il liquido con aria leziosa. Non trattenete il liquido in bocca, e non schioccate la lingua. Non umettatevi le labbra come un gattone che si pulisce i baffi dopo aver bevuto il latte. Se il padrone di casa vi rinnova l'offerta, potete rifiutare senza offenderlo. Non lasciate il vostro bicchiere a destra o a sinistra col solo risultato di confonderlo con quello degli altri. Non abusate dell'ospitalità dei vostri amici. Bevete sì, ma con moderazione, e se non siete abituali all'alcool, o non vi piace, o semplicemente non lo reggete, chiedete una bevanda analcolica. I liquori dovrebbero essere sempre di ottima marca. Anche chi non ama bere, ha l'obbligo di essere informato sulla qualità dei liquori che offre agli amici, riservando ad altre cose il desiderio di risparmiare. Non si bevono liquori di mattina. Il liquore si offre dopo il caffè a colazione, nel pomeriggio o al termine di un pranzo la sera. I bambini non devono bere liquori, neppure per assaggiarli. Agli adolescenti è permesso bere, ma in circostanze eccezionali e in quantità limitatissima.

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Si, se con la persona alla quale lo si regala si hanno rapporti abbastanza confidenziali. Quindi non si regala profumo a una conoscente, ma solo a una parente o a un'amica molto intima. Si può profumare la casa? No. Il profumo in bombole è intollerabile, qualunque esso sia. Lasciate poi l'incenso o altri odori esotici ai romanzi di stile dannunziano e concedete alla vostra casa l'unico profumo che merita e che piace a tutti: un sano profumo di pulizia.

Pagina 324

La differenza di prezzo tra l'una e l'altra è abbastanza forte. I vantaggi della prima sono i seguenti: a) migliore collocazione dei posti; b) vitto migliore; c) bevande alcooliche gratuite. Con i compagni di viaggio abbiate la stessa riservatezza raccomandata per i viaggi in treno. Non pretendete di fissare i posti in aereo. Chi arriva prima sceglie la poltroncina che vuole. Di solito, al primo volo, il posto preferito è quello vicino al finestrino: ve lo sconsigliamo, in quanto potreste impressionarvi osservando il paesaggio sottostante e qualora soffriste di mal d'aria, vi sarebbe più difficile raggiungere in tempo la toletta. È meglio quindi scegliere un posto che dia sul corridoio, anche perché la hostess potrà assistervi prontamente nel caso aveste bisogno di lei. In aereo si può fumare. Ma quando appare sullo schermo luminoso la scritta "vietato fumare" l'ordine è perentorio e bisogna osservarlo. Di solito esso precede il decollo e l' atterraggio.

Pagina 6

Eva Regina

203517
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 5 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Certi matrimoni male assortiti per l' età, recano in loro il germe del dissolvimento o peggio di un lungo martirio, quindi la prudenza, nel contrarli non sarà mai raccomandata abbastanza a coloro cui l' amore momentaneamente fa velo. Si sono dati, bensì, dei casi d' unioni che risultarono felicissime nonostante la differenza degli anni fra i due, ma le doti fisiche o morali necessarie ad un buon risultato, sono tutt'altro che facili a rinvenirsi. È vero, certe giovinette non troppo belle, molto buone, molto docili e ignare della vita, desiderose, più che d' amore, di tenerezza e d' appoggio, vissero in tranquilla e dolce serenità accanto al marito dai capelli grigi, che aveva però salute ben conservata, e molta finezza di modi, molto tatto di contegno. Oppure qualche giovine che s' innamorò perdutamente di una donna sulla quarantina e s' ostinò a sposarla, non ebbe a pentirsene e l' amò ancora e gli rimase fedele: ma quella donna era rimasta malgrado gli anni, affascinante e graziosa od aveva doti d' animo e intelletto superiori. Uno dei più grandi esempi d' amore rimasti nella storia è appunto quello fra Musset e la Sand che aveva quindici o vent' anni più di lui ; ed uno dei più grandi esempi di fedeltà si riscontra in Roberto Browning, il poeta inglese, verso la sua compagna Elisabetta, maggiore a lui di tre lustri. Ma viceversa non abbiamo o non ricordo, esempi speciali di felicità e di costanza nell'altro caso, nel caso del marito vecchio e della moglie giovane. Questo indurrebbe a credere che grande elemento di buona riuscita risiede nell' esperienza della donna, nella sua forza di volontà, nella coscienza della sua individualità e nel pieno sviluppo delle sue energie mentali e sentimentali, evoluzione che avviene solamente con l' età, quando non sia stata preparata (e si dovrebbe !) con un' educazione speciale.

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Ell'è forzata a rivelare a coloro dai quali desidera aiuto l'intimità più gelosa della sua anima, a mettersi nelle loro mani, affidandosi tutta alla loro prudenza, alla loro fedeltà: prudenza e fedeltà dubbie, se nell'amica compiacente esiste un po' di leggerezza, entra un po' d' invidia, è urtata qualche suscettibilità; se nella cameriera resta quel poco di malcontento per un premio non abbastanza generoso, o avviene qualche reazione che da alleata la muti in nemica. Per scongiurare questi pericoli la signora la copre di regali, le concede tutti i permessi che domanda; chiude tutte due gli occhi sui suoi difetti: finge di non udire le sue risposte insolenti; la impone in famiglia, tanto che costei, forte del potere che le dà la consapevolezza dell' intrigo della padrona, è diventata la vera tiranna della casa. Con l'amica compiacente, la signora è poi quasi servile. Anche per lei regali ad ogni occasione, inviti, adulazioni continue, predilezioni d'ogni maniera. Se l'amica ha pure qualche... debolezza, la beneficata le renderà gli stessi servigi che riceve; e molte di queste amicizie femminili dove manca affetto vero e stima, non hanno altra base che quella d'una mutua complicità, d'un interesse comune a ricercarsi e a sostenersi a vicenda. Ma la complicità più penosa e più pericolosa è quella degli avventizi: portinai, domestici d'albergo, fiaccherai, portalettere, fattorini, fornitori. Tutta questa gente fiuta il contrabbando e vi specula su, non solo, ma prende in giro, si diverte, e spessissimo tradisce in ricompensa...

Pagina 254

Il governo d'una casa, si sa, comprende noie, difficoltà, piccole disgrazie, e colei che la regge deve avere abbastanza energia, abbastanza disinvoltura per provvedere da sola, evitando, finché può, di far pesare sulle spalle del suo compagno che ha già la parte più grave della responsabilità e dei pensieri, anche le molestie e gli ostacoli minori. Certo fra due sposi che si amano e vivono d'accordo e tendono entrambi al benessere e alla prosperità della famiglia, nulla deve essere taciuto di quanto riguardi l' andamento generale o qualche riforma importante, o alcuna determinazione seria da prendere. È bello anzi, ed è giusto che si consiglino a vicenda, che insieme riflettano e risolvano. Sono insieme per questo. Ma è inutile dire al marito che si è rotto un piatto o un bicchiere, che la serva ha risposto male, che ha litigato con la donna di servizio dei vicini, che il bambino ha fatto uno strappo alla tenda e il gatto ha rubato una porzione di arrosto. Come pure è inutile che la signora affligga il marito chiedendogli di consigliarla nella scelta d'una foggia o d'un colore per i suoi abbigliamenti. Ogni donna ha il dovere di saper già quello che le si addice e quello che le conviene: il marito giudicherà dell'insieme di un vestiario, ma non dovrà subire la penitenza di assistere alla sua composizione ed esaminare i dettagli. Certo che nel scegliere, la signora deve pensare anche al gusto del suo compagno, ricordarsi quale modello preferisce e quale colore per lei. Può anche, in via di discorso, o trovandosi egli presente, interpellarlo, ma brevemente e senza insistere, senza annoiarlo. Gli uomini amano di vederci ben vestite, apprezzano anche i dettagli dell' eleganza, ma non amano sapere particolarmente di che cosa questo fàscino dell'abbigliamento muliebre si compone. Evitiamo quindi di farli assistere ai nostri convegni con le sarte, con le modiste; di farci accompagnare da essi nei negozî di mode, di fermarci, quando sono con noi, davanti alle vetrine. Quando una signora capisce che una spesa personale, un divertimento, un oggetto, costerebbe sacrifizio a suo marito e minaccerebbe di alterare l' equilibrio del bilancio, non ne faccia nemmeno vedere il desiderio o la necessità : compia tra sè e sè la rinunzia senza render palese la sua privazione. Pensi che più d'una volta si è veduto che le piccole e persistenti economie, sono il segreto del benessere sicuro delle famiglie: sono un rimedio pronto, una difesa efficace. E senza lesinare su quel tanto che il marito le passa per le spese di casa, guardi di farvi entrare anche le spese imprevedute, così se qualche guasto accade, può ripararvi senza frastornare il suo sposo. I denari per le spese eventuali, sono sempre quelli che gli uomini dànno meno volontieri. Molte signore hanno una somma fissa mensile per le loro spese personali: ed io ne conosco che si fanno un dovere di spendere fino all' ultimo centesimo per l' abbellimento della propria persona. Ne hanno il diritto, ma dimostrano però molto egoismo. Una donna di sentimento delicato e di coscienza severa dovrà fare in modo di risparmiare sempre nelle sue spese particolari per offrire al marito qualche regaluccio, per aiutarlo in un momento di bisogno, per ornare la casa ch'essi abitano in comune, o concorrere in parte al necessario per l'educazione dei bambini e il loro vestire. Così facendo ella diviene proprio quale un nobile scrittore — il de Gubernatis — la designa: « La donna deve essere nella sua casa il più diretto rappresentante di Dio, con le sue aspirazioni, come con le sue ispirazioni; coi suoi consigli, col suo esempio, con l'opera sua intera.

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E questa nobile attività che per la prima ha fatto uscire la donna dalle tranquille pareti della sua dimora non sarà mai encomiata e incoraggiata abbastanza, anche fra le signorine che hanno forse più tempo a loro disposizione. Vorrei anzi che in ogni città d'Italia le signorine si stringessero in sodalizio e sotto l'egida di qualche nome gentile cooperassero in qualche modo a migliorare le condizioni delle classi indigenti, o per mezzo di Biblioteche popolari o di qualche piccola Agenzia di collocamento per le giovinette povere, di un Comitato di soccorso per i bambini malati: secondo il bisogno della città in cui risiedono e la sua importanza.

Pagina 434

Non si sarà mai, dunque, abbastanza cauti e pronti, quando si tratta della salute, ch' è il supremo dei beni della vita, la cui conservazione è un dovere. E non solo quando si tratta di noi, bisogna essere solleciti, ma anche quando si tratta degli altri. Non bisogna pensare subito che sia affare di sensitività eccessiva, di esagerazione, di insofferenza, di falsità; e, nei bambini, di malessere passeggero o di capriccio. Pensiamo piuttosto quale sarebbe il nostro rimorso se quei mali di cui l'adulto o il bimbo si lagna, quel malessere che dimostrano, dovessero essere i prodromi d' un' infermità grave, dovessero mutarsi, per la nostra imprevidenza, in lutto per noi ! Attente dunque ai sintomi, agli araldi di malaugurio.

Pagina 531

Otto giorni in una soffitta

204526
Giraud, H. 4 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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La mamma ne ha abbastanza della sua cura ad Aix-les-Bains, e soprattutto di esser separata dai suoi bambini, e si propone di tornare presto a casa, senza però dire in qual giorno: farà una sorpresa. La prossima lettera sarà per Alano. - Che fortuna!... - esclama Maurizio saltando come un capriolo. - Scommetto che la mamma arriva senza avvertirci, forse domani. - Domani no, - replica Alano - poichè dice che la prossima lettera è per me, e ci vogliono ancora due giorni. - Quando la mamma sarà qui, le diremo di Nicoletta? - chiede Maurizio. Francesco è pensieroso. - Certo, a lei non potremo nasconderla, - dice. - Prima di tutto perchè le diciamo ogni cosa, e poi perché è quasi sempre con noi. E inoltre, credi che a tavola potrai riempire il sacco come fai ora sotto il naso dello zio Fil e di Maria? La mamma lo vedrebbe subito. - Che cosa penserà? - Anche Alano è inquieto. - La mamma ha sempre detto che non voleva delle bambine e che era molto più contenta coi suoi ragazzi, e forse sarà seccata di aver Nicoletta. - Soprattutto avrà paura di qualche storia con lo zio Fil, - riprende Francesco. - E se quella vecchia strega vede che Nicoletta è qui, verrà a riprenderla, - aggiunge Maurizio. Tutto ciò è molto preoccupante per quei tre giovani babbi. Essi rimangono un momento silenziosi, accasciati sotto il peso di quel tormento; ma Francesco pronunzia finalmente la formula magica, che ha servito sempre a consolarli: - Ci penserà la mamma. - La seconda seduta di pettinatura è ancora più laboriosa della prima. Francesco ha corso il rischio di perdere la pazienza e Nicoletta ha le lacrime agli occhi. Ma Nicoletta è risoluta a chiedere l'aiuto di Maurizio, e quando viene, un momento dopo, gli espone il suo desiderio. - Capisci, - gli dice - così non può durare. Francesco mi fa troppo male, e poi si arrabbia. Mi domando a che cosa mi, servono tutti questi capelli. - Anche Maurizio è dello stesso parere. - Del resto, - aggiunge egli - tutte hanno i capelli corti, anche le signore, anche le signore vecchie. - Anche la tua mamma? - No, ma ne parla sempre. Lei è tanto carina così, i suoi capelli le fanno come una corona intorno alla testa. - Ascolta, Maurizio, io starò molto meglio coi capelli corti; dovresti andare a cercarmi un paio di forbici e tagliarmeli. - Se si domandasse un parere anche a Francesco? - chiede Maurizio un po' inquieto per questa responsabilità. - No, no, rifìuterebbe. Se hai paura, dammi le forbici, proverò da me.

Orsù, abbiamo chiacchierato abbastanza, e m' impedite di fare il mio lavoro. Signor Francesco, siate ragionevole: fate lavorare i vostri fratelli. - È molto difficile fare problemi e analisi quando si hanno delle preoccupazioni, e i tre ragazzi pensano assai più alla loro «figlia» che ai compiti. La « figlia » è molto savia, e Francesco la trova a cantar la ninna-nanna alla bambola. Egli giunge con un pettine, una spazzola e un gran libro. - Qui son descritte le avventure di Beccaccino, - dice. - Ma tu non sai leggere e non ti divertirai tanto. Se vuoi, t' insegnerò a leggere. - Oh, sì! - dice Nicoletta. - La mamma voleva farlo, ma era sempre malata e non aveva la forza di muoversi. - T' insegnerò io, - ripete Francesco. - Intanto ti pettinerò meglio che mi è possibile. - Ahimè, è un terribile compito, quello a cui si accinge, e benchè tanto lui che Nicoletta diano prova di una pazienza angelica, la

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Tra un compito e l'altro Maurizio viene a farle una visitina, e il tempo trascorre abbastanza presto. Giù i compiti son fatti, ma assai male: i ragazzi tengono un consiglio di famiglia per deliberare su una questione importante. - Bisogna trovare un mezzo per andare in soffitta senza che vengano a cercarci, - dichiara Francesco. - Non sarebbe molto comodo.... - soggiunge Maurizio scotendo la testa. - Io credo che sarà meglio non parlare di soffitta, - dice Francesco. - Maria è curiosa e vorrà sapere quello che ci facciamo; e se venisse a cercarci, la nostra Nicoletta sarebbe scoperta.

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Con Alano va un po' meno bene, ma la ragione è che Nicoletta comincia ad essere un po' stanca, e quando viene la volta di Maurizio, ne ha abbastanza e lo dice. Ma Maurizio vuol darle la sua lezione ed insiste. - Insegnami piuttosto a giocare a dama; me lo promettesti ieri, - chiede Nicoletta con la sua maniera carezzevole. Dopo tutto la fanciulla fa ancora appello al suo talento di professore, e, sia a leggere sia a giocare a dama, Maurizio insegnerà qualche cosa anche lui, anzi qualcosa di più divertente. Ridiscende dunque a cercare il giuoco della dama, ma ritorna quasi subito come un fulmine. - Francesco! Alano! - grida ansante. - Maria sta salendo quassù! Viene a vedere il ritratto. Siamo scoperti. - I due ragazzi sussultano. - Dov' è? - chiede Alano. - Al primo piano; non abbiamo il tempo di scendere. - Presto, presto, - dice Francesco. - Usciamo dalla soffitta. Non aver paura, Nicoletta. - E, come un. buon capobanda, Francesco ha organizzato, in un batter d'occhio, il suo piano di difesa. Egli tiene in mano il ritratto, e insieme coi suoi due fratelli scende la scala a passi di lupo. Prima che la povera Maria, poco svelta, sia arrivata nello « studio », i tre ragazzi sono seduti su uno scalino a mezza strada tra la soffitta e il piano inferiore. E quando Maria apre la porta e vede, con suo grande stupore, la stanza vuota, ode tre scoppi di risa e tre voci allegre sopra a lei. - Benissimo! - Ti abbiamo sorpresa! Curiosa! - Così imparerai! - La vecchia sale i tre scalini e vede i tre fanciulli. - Oh, mi avete sentito salire? - dice ingenuamente. - Perbacco! - Ti avevo raccomandato di non disturbarmi, - dice Francesco in tono severo. La povera Maria è umiliata. - Io non volevo disturbarvi, signor Francesco. Soltanto, avevq dimenticato di avvertirvi che esco. Tornerò per l' ora della merenda. - Va bene, - risponde Francesco in aria maestosa. - Per questa volta ti

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Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205578
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Ma la rugiada, se fa ancora un passo, divien brina; non ha che a provare un freddo abbastanza vivo per gelare. E le brine, specialmente tardive, fan gravissimo danno a tutte le piante, particolarmente a quelle di vegetazione precoce. La neve nei paesi freddissimi ripara il terreno, e i seminati. Le piante, coperte da questo mantello, sono assicurate dal freddo. «Sotto neve, pane». Ma il troppo nuoce; se fonde, e poi il freddo rincrudisce e l'agghiaccia, allora fa danno. Quanto alla gragnuola, tu sai la strage che mena sui raccolti: è una desolazione. Dio ne scampi le tue terre! DOMANDE: 1. Quando l'acqua si dice viva? - Morta? - Quando fa bene? - E quando fa male? 2. L'acqua dell'aria fa sempre bene alle piante? - A quali piante giovano, e a quali fan danno le nebbie? - Le pioggie primaverili? - Le estive? - Le autunnali? - Come giova la rugiada? - A quali piante fa più danno la brina? - La grandine? La neve fa bene? - Sempre?

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Lo stralisco

208416
Piumini, Roberto 2 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Si avvicineranno abbastanza al cancello, si faranno vedere: nessuna ti parlerà. Avranno coperto il viso, come è uso, ma i loro occhi saranno scoperti, e ti guarderanno. E tu li guarderai. Un tremito improvviso prese Gentile. Nascondendolo, disse: — Potente signore, le tue favorite non indossano certo al mattino la veste della notte... Come potrò sapere quali sono gli occhi della bella Amilah? Maometto guardò perplesso il pittore, quasi ad un tratto Gentile gli avesse parlato nella lingua veneziana, e non nella sua. Poi sorrise, e con dolcezza disse: — Come potrai non saperlo, amico mio?

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. — Sai, Sakumat, prima avevo pensato di fare il mare anche nella terza stanza, — disse Madurer, descrivendo con la mano una linea orizzontale, — perché il mare è grandissimo, e non ce n'è mai abbastanza. Pensavo che ci avremmo messo qualche isola, e altre navi: era un progetto che mi piaceva. Avremmo potuto metterci anche i delfini e i pesci spada, e anche il balzo della balena. Avremmo potuto fare un mare cosí, non è vero? — Certo. — Poi però, immaginandomi la figura, mi veniva una specie di insoddisfazione, e pensavo che, non so come, anche se di mare non ce n'è mai abbastanza, tutto quel mare sarebbe stato troppo. Il mare ha... troppa lontananza. È troppo pieno di lontananza, capisci? — Credo di sí, Madurer. Davanti al mare gli occhi non sanno stare fermi; il piede si stanca dell'immobilità. Credo di capire che cosa sentivi. E allora? — Allora mi è venuto all'improvviso, cosí, un pensiero nuovo: un'immagine di qualcosa come il mare, ma con meno lontananza. Una cosa grande, ma vicina. — E qual è l'immagine, Madurer? — È un prato. Con l'erba e i fiori. Non come quelli che abbiamo fatto sulle montagne e le colline, però. Quelli sono visti da lontano. Io vedevo un prato con erba e fiori molto vicino. — Un prato grande e vicino, — ripeté Sakumat. — Si, come un mare, ma vicino, capisci? Tutto intorno, in modo da esserci in mezzo. Di essere dentro. — Cosí dipingeremo un prato, Madurer. — Ma c'è una cosa. C'è una cosa che ti devo dire... Però ora ho molto sonno. Te la dico dopo, Sakumat. Qualche volta, durante le attese, il pittore non uscva dal palazzo. Percorrendo corridoi e scale, per i quali aveva assoluta libertà di movimento, raggiungeva una torre non altissima ma decisamente piú elevata di ogni altra costruzione del villaggio, e guardava il volo degli uccelli. Li guardava cosí a lungo e attentamente che, tornando nelle stanze di Madurer, e trovandolo ancora addormentato, disegnava su grandi fogli di pergamena la traccia di quei voli, in larghi scarabocchi a nessun altro comprensibili. Poi piegava i fogli, e li riponeva nel basso scaffale della prima stanza. Spesso, al risveglio, come se durante il sonno avesse vissuto una curiosità, Madurer chiedeva che il letto fosse spostato da una all'altra delle stanze dipinte, oppure orientato diversamente, in modo da aver di fronte ora le montagne, ora la pianura e la città assediata, o le colline deserte, o la nave pirata nel suo mare cangiante, o il puro orizzonte marino. — Cosa mi volevi dire sul nuovo prato, Madurer? - chiese Sakumat. — Sarà bellissimo, vero? Io lo penso bellissimo. — Credo che sarà bello. Facciamo buone cose, di solito, tu ed io. Ma avevi qualche altra cosa da dirmi, ricordi? — Sí. Non è molto facile. Non vorrei che fosse troppo faticoso, per te. Sakumat sorrise e aspettò senza parlare. Il bambino riuní le mani sulla coperta, appoggiandole quietamente sul ventre. Era uno degli atteggiamenti di Sakumat, e spesso, volendo o no, Madurer li imitava. — Ricordi la nave, quando arrivò? — disse. — Certo che la ricordo. — Voglio dire, ricordi che si fece vicina a poco a poco? Al principio c'era quel puntino lontano, e non sapevamo nemmeno che era una nave... Sí, ricordo bene. — Poi diventò grande, e cosí si vedeva che era una nave. — Sí. Prima viaggiava solo di notte, — sorrise Sakumat, — poi decidemmo di incoraggiare la ciurma... Il bambino aveva la fronte corrugata, come per uno sforzo. Sakumat tacque, e aspettò. — Io vorrei che anche per il prato fosse cosí, — disse Madurer tutto d'un fiato, aprendo un poco le dita sulla coperta. Sakumat alzò un sopracciglio. — Se penso che vuoi una nave che arriva lentamente sul prato, penso giusto o sbagliato? — disse. Madurer rise. Si sollevò nel letto e si appoggiò ai cuscini. Ormai era tornato abbastanza in forze, e la carnagione, naturalmente non troppo colorita, aveva perso tuttavia il pallore della malattia. — Sbagliato! Volevo dire che mi piaceva moltissimo vedere la nave avvicinarsi. E anche il prato, mi piacerebbe vederlo crescere piano piano. — Vuoi che lo dipinga lentamente? — No... Vorrei proprio che fosse un prato che cresce. Prima con l'erba corta, poi più lunga... Prima i fiori, come si dice, acerbi? E poi maturi. Capisci? — Adesso ho capito, — disse Sakumat. — E si può fare? — Sí. Ma ci vorrà tempo. — Prima delle montagne dicevi: «Abbiamo tutto il tempo, Madurer!» — fece il bambino, tentando di imitare la voce del pittore. — È vero. Abbiamo tempo, — disse adagio Sakumat, — tutto il tempo che ci è dato, l'abbiamo. — Puoi chiamare i servi, per favore? Vorrei far portare il letto nella terza stanza. Voglio dormire li, mentre cresce il prato. Anche tu ci dormirai? — Mmh... Alla mia età, un prato può essere troppo umido, di notte, Madurer! — fece Sakumat. — Ma visto che il prato crescerà lentamente, forse mi potrò abituare. Quando, piú tardi, venne il burban a trovarlo, il bambino parlò a lungo con lui del nuovo progetto. Il padre disse che era una splendida idea. — Nemmeno il burban di Ankara ha un prato in casa! — disse. Poi Madurer si addormentò. — Amico mio, quanto tempo occorrerà per dipingere il prato, come lui vuole? — chiese il burban a Sakumat. — Come vuole lui... almeno quattro mesi, signore. Forse cinque. — E questa è l'ultima stanza. Quattro mesi sono sufficienti... — disse Ganuan. — Posso chiedere sufficienti a cosa, signore? — Ad allargare l'alloggio di mio figlio. Chiudere le finestre, abbattere i muri delle stanze vicine. Non rom- però il prato. L'ingresso potrà essere nella stanza delle montagne. Ah, tuttavia... Il burban si interruppe, confuso, e guardò il pittore. — Scusami, amico mio, — disse, — parlo come se il tuo corpo e la tua mente fossero i miei. Sakumat sorrise. — Il mio corpo e la mia mente sono ben vivi, e in mio possesso, signore. Non c'è un solo istante del tempo che passo in questa casa che non sia da me voluto ed amato. Ci fu un breve silenzio. — Ho notato, amico mio, che da quando sei giunto, ed è ormai molto più di un anno, hai lasciato crescere la tua barba, — notò il burban in tono leggero. — Quando arrivasti eri poco più di un giovanotto dal volto liscio. Ora la barba ti fa piú solenne. Per quanto tempo ancora crescerà? Non temi che i tuoi amici non ti riconoscano, quando ti presenterai a loro? — Signore, io dirò loro: «Eccomi qui, sono Sakumat! Sono io, il vostro amico! Vi piace la mia lunga barba?» E ai miei amici piacerà. E forse, il piú scherzoso di loro me la tirerà con affetto. Ganuan sorrise. — Il tuo cuore è grande, amico mio e fratello. — Signore, — si inchinò Sakumat, — io te l'ho detto: sono qui per la mia gioia.

Pagina 40

L'idioma gentile

208863
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1905
  • Fratelli Treves Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Ma non sarai mai abbastanza persuaso di questa verità: che non si studia con amore, che non s'impara bene nessuna lingua straniera, se non s'è prima studiato con amore e imparato bene la propria; poichè, se imparare una lingua straniera non è altro che imparare a tradurre in questa i nostri pensieri da quella che usualmente parliamo, come si può fare una buona traduzione d'un cattivo testo? Come riuscire a dir con esattezza e con garbo in un' altra lingua quelle cose che non sappiamo dire se non confusamente e senza garbo nella nostra? E in che maniera intendere e sentire le qualità degli scrittori stranieri, se queste, in qualunque lingua, non s' intendono e non si sentono se non paragonando le parole, le frasi, le forme a quelle che loro corrispondono nella lingua che ci è famigliare? E ti seguirà anche questo: che mentre non imparerai che male altre lingue, ti si corromperà e confonderà nella mente quel poco che sai della tua, perché, essendo poco e mal fermo, non reggerà il materiale straniero che gli verserai sopra, e ti troverai così ad aver acquistato varie mezze lingue, senza possederne una intera; sarai come chi a un vestito tutto buchi ne sovrapponga un altro pieno di strappi, che rimare mezzo nudo a ogni modo. Dammi retta: fatti prima un buon vestito italiano.

Pagina 19

Il libro della terza classe elementare

210353
Deledda, Grazia 1 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Una sera mi capitò di leggere un aneddoto abbastanza conosciuto. Voglio raccontarvelo. I ragazzi si fecero attenti. - Un giovane andò da un grande banchiere e gli chiese di essere accolto nei suoi importanti uffici. Il banchiere, con belle parole, gli rispose che non vi erano più posti: ma, affacciatosi per caso alla finestra, vide che il giovane per la strada si era curvato a raccattare qualche cosa. Lo fece richiamare. - Che cosa avete raccolto? - gli chiese. - Una spilla. Il banchiere rimase un momento soprapensiero: poi disse: - Voi avete molto senso di economia e di opportunità. Vi è un posto per voi nella mia banca. - Dopo anni quel giovane divenne il padrone di tutta l'azienda. Io, commosso da quell'episodio, non mi lasciai scoraggiare dall'avversità della fortuna - continuava con voce dolce a raccontare l'ingegnere - e se non trovai una spilla, mi misi a venderne: a poco a poco, con quell'umile commercio, potei procurarmi i mezzi per studiare, presi la laurea in ingegneria e inventai precisamente macchine speciali per costruire spille: eccole là. Naturalmente mi sono specializzato anche in altri campi metallurgici, e ora, dopo circa trent'anni di lavoro, questa officina è mia, e io la dirigo con lo stesso amore con cui dirigo la mia famiglia. Si presentò un capo operaio che rispettosamente interruppe il racconto: - Signor ingegnere - disse - è ora. L'ingegnere tolse di tasca un fischietto e lo fece stridere. Come per incanto fischiarono tre sonore e prolungate sirene, i macchinari si fermarono, le centinaia di operai se ne allontanarono lieti. Gli operai si lavarono, le macchine erano ancora calde; ma nella sera che calava, tutto dava il senso del riposo. Era bastato un gesto di quell'ometto dai capelli bianchi, perchè quel grandioso organismo dell'officina cessasse il suo ritmo. - E tutto questo per una spilla? - domandò Cherubino quando la nostra comitiva si allontanava.

Pagina 141

La freccia d'argento

212111
Reding, Josef 1 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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. - Non ne hai abbastanza delle mascalzonate, Ed? Sarebbe un'infamia spaccare di nuovo la Freccia d'argento a quei ragazzi! Era la voce di Jörg, e qualche altro gli faceva eco. - Chiudi il becco! E piantala con le prediche! Comincio ad averne abbastanza! - esclama Ede minaccioso. - E io di te è un pezzo che ne ho fin sopra i capelli! Con voi non ci sto più! - Davvero, pivellino? Non vuoi più stare con noi? Io invece la penso diversamente! Hai capito? E se non vuoi più starci, conosco due argomenti persuasivi per farti cambiar parere! Il primo... Ede sputa la gomma che stava masticando e se ne ficca in bocca una nuova. La sua voce si abbassa di tono, ma si fa più imperiosa e cattiva. - Dunque, il primo argomento sono i miei pugni, che ti pianto subito nel mostaccio, e l'altro è una parolina in un orecchio alla polizia, a cui interesserà sapere chi è quel ragazzo che di notte ha trafugato la bandiera del Municipio, che poi non si è più ritrovata. - Maledetto! - geme Jörg. - Ma sei stato tu a esigere da me quella prova di coraggio prima di ammettermi nella banda! - Hai delle prove? Hai testimoni? Lo vedi, dunque! Jörg stringe i pugni furibondo, ma è completamente disarmato. Ede li tiene tutti in suo potere. Dopo quel facile trionfo, Ede, che sa di aver ottenuto l'effetto desiderato, impartisce i suoi ordini senza che nessuno fiati. - Allora dopodomani, di notte!... Alla medesima ora dell'altra volta. Però prenderemo le chiatte e dal canale punteremo dritti sul capannone. Ma attenti? I mocciosi hanno messo le sentinelle. Saranno sopraffatte senz'altro. Portate anche i vostri randelli, intesi?... E ora filate! Ede armeggia ancora un poco nel locale. Anche questa volta è lui che se ne va per ultimo. Apre la porta: uno scialbo raggio di luna si insinua nella cantina e va a cadere sul teschio Guarda, guarda! Sotto il teschio ora c'è un solo pugnale!

Pagina 32

Mitchell, Margaret

221385
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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. - Quei bastardi hanno già avuto abbastanza. Che altro avete? - I suoi occhi fissarono acutamente il suo corpetto. Per un attimo Rossella credette di venir meno, sentendo già quelle mani rozze che frugavano nel suo seno. - Non ho altro; ma immagino che abbiate l'abitudine di spogliare le vostre vittime. - Oh, vi crederò sulla parola - rispose il sergente tranquillo, e sputando mentre se ne andava. Rossella raddrizzò il bambino e cercò di calmarlo tenendo la mano nel punto dov'era nascosto il portafogli e ringraziando Dio che Melania avesse un bimbo in fasce. Sentiva al piano superiore pesanti scarponi scalpicciare sul pavimento. Sentiva i cassetti gettati sul pavimento, lo strepito delle porcellane e degli specchi infranti, le maledizioni perché non si trovava nulla di valore. Dal cortile giunsero grida: - Prendili, non farli scappare! - E lo schiamazzo disperato delle galline, delle anatre e delle oche. Sussultò sentendo un grugnito doloroso che fu subito acquetato da un colpo di pistola; e comprese che la scrofa era morta. Maledetta Prissy, era scappata via lasciandola. Se almeno i maialini fossero salvi! E se la famiglia avesse raggiunto la palude! Ma non vi era modo di saperlo. Rimase tranquilla nel vestibolo mentre i soldati si agitavano intorno a lei gridando e bestemmiando. Le dita di Wade stringevano terrorizzate la sua gonna. Ella sentiva quel corpicino scosso da un tremito, ma non aveva la forza di parlargli per rassicurarlo. Né riusciva a rivolgere una parola agli yankees, sia pure di lamento, di protesta o di collera. Poteva soltanto ringraziare Dio perché le sue ginocchia continuavano a sorreggerla, perché il suo collo era abbastanza forte da permetterle di tenere la testa eretta. Ma quando un gruppo di uomini barbuti, discese la scala portando un vero assortimento di oggetti rubati e fra le mani di uno di costoro ella vide la sciabola di Carlo, allora gridò. Quella sciabola era di Wade. Era stata di suo padre e di suo nonno e Rossella l'aveva regalata al piccino per il suo compleanno. Ne avevano fatto una vera cerimonia, e Melania aveva pianto lagrime di orgoglio dicendogli che doveva crescere per essere un soldato coraggioso come suo padre e suo nonno. Wade era molto fiero di questa sua proprietà e spesso si arrampicava sulla tavola al disopra della quale era sospesa per accarezzarla. Rosella poteva sopportare di veder la propria roba uscir dalla casa fra le mani odiose di quegli stranieri, ma non questo... Questo era il vanto del suo bambino. Wade, sogguardando dalle pieghe della gonna al suo grido, trovò la forza di emettere una parola in un singhiozzo. Stendendo una mano, gridò: - Mia! - Non potete prendere questo! - gridò Rossella tendendo anche lei la mano. - Non posso? - sogghignò il piccolo soldato che la teneva. - Sicuro che posso! È la spada di un ribelle! - No... non lo è. È una spada della Guerra Messicana. Non potete prenderla: è del mio bambino. Era di suo nonno. Oh, capitano - esclamò volgendosi al sergente - vi prego, fatemela restituire! Il sergente, soddisfatto della promozione, si avanzò di un passo. - Fammi vedere quella spada, ragazzo - disse. Riluttante, il piccolo cavalleggero gliela porse. - Ha l'impugnatura d'oro massiccio - disse. Il sergente la osservò, la mise contro il sole per leggere l'iscrizione che vi era incisa. «Al colonnello Guglielmo R. Hamilton» decifrò. «Dal suo Stato Maggiore, per il suo valore. Buena Vista 1847.» - Oh, signora! Anch'io ero a Buena Vista. - Davvero? - fece Rossella freddamente. - Sicuro. E vi assicuro che ci faceva caldo! Non ho mai visto in questa guerra una battaglia come quella... Dunque questa spada era del nonno di quel ragazzino? - Sí. - Allora bisogna lasciargliela - disse il sergente che era abbastanza soddisfatto per i gioielli che aveva annodati nel fazzoletto. - Ma è d'oro massiccio - obiettò il soldato. - Gliela lasceremo per nostro ricordo - e il sergente sogghignò. - Oh, penserò io a lasciarglielo, un ricordino! - replicò il cavalleggero. Rossella prese la spada senza neanche ringraziare. Perché avrebbe dovuto ringraziare quei ladri che le restituivano ciò che era sua proprietà? Tenne la spada stretta al petto mentre il piccolo cavalleggero discuteva col sergente. Rossella cominciava a respirare. Non aveva sentito parlare di incendiare la casa. Non le avevano detto di andarsene perché volevano appiccare il fuoco. Forse... forse... Gli uomini rientrarono nel vestibolo e discesero dal piano di sopra. - C'è qualche cosa? - chiese il sergente. - Un porco, qualche pollo e poche anatre. - Un po' di grano, di patate dolci e di fagioli. Quella strega che abbiamo visto a cavallo deve aver dato l'allarme. - Avete scavato sotto alla dispensa? Di solito è lí che nascondono i valori... - Non c'è dispensa. - E nelle capanne dei negri? - Solo del cotone. Lo abbiamo incendiato. Rossella rivide le lunghe giornate ardenti nel campo di cotone, sentí nuovamente il tremendo dolore alla schiena e alle spalle. Tutto invano. Il cotone era distrutto. - Non siete molto provvista, eh, signora? - Il vostro esercito è già stato qui, prima - rispose ella freddamente. - Infatti. Eravamo in questi paraggi nel settembre - disse uno degli uomini rigirando tra le mani qualche cosa. - Me n'ero dimenticato. Rossella vide che era il ditale d'oro di Elena. Quante volte lo aveva visto brillare mentre Elena lavorava! Ed eccolo nella mano callosa e sudicia di uno yankee e fra breve nel dito di una donna yankee che sarebbe fiera di usare una cosa rubata! Il ditale di Elena! Rossella chinò la testa perché il nemico non la vedesse piangere, e le sue lagrime caddero sul capo del piccino. Come attraverso una nebbia vide gli uomini muovere verso la porta, udí i comandi del sergente. Se ne andavano e Tara era salva... Ma tormentata dal ricordo di Elena, non riuscí ad esserne contenta. Il rumore delle sciabole e degli zoccoli le diede scarso sollievo ed ella si sentí improvvisamente stanca ed abbattuta, mentre la pattuglia percorreva il viale, tutti gli uomini carichi di oggetti di vestiario, coperte, quadri, galline ed anatre; e la scrofa. Alle sue narici giunse un odore di fumo ed ella si volse, troppo stanca per preoccuparsi del cotone. Attraverso le finestre aperte della sala da pranzo vide il fumo alzarsi pigramente dalle capanne dei negri. Era il cotone che ardeva. Il denaro delle tasse e parte del denaro che doveva aiutarli a trascorrere quel terribile inverno. Non vi era nulla da fare: solo guardare. Aveva visto altre volte ardere del cotone, e sapeva com'era difficile spegnerlo, anche con l'aiuto di parecchi uomini. Grazie a Dio, il quartiere degli schiavi era abbastanza lontano dalla casa! E non vi era vento che portasse le scintille sul tetto di Tara! A un tratto balzò in piedi irrigidita, fissando con orrore l'estremità del vestibolo, dove sboccava il passaggio coperto che conduceva alla cucina. Da quella parte veniva del fumo! Posò un attimo il bambino. Si liberò dalla stretta di Wade, balzò nella cucina piena di fumo, indietreggiò tossendo, con gli occhi pieni di lagrime. Entrò di nuovo, tenendosi la gonna contro il naso: la stanza, illuminata solo da una finestrella, era quasi buia; il fumo era talmente denso che non si vedeva nulla attraverso. Però udiva il crepitio delle fiamme, e cercando di ripararsi gli occhi con la mano, scorse sottili lingue di fiamme che dal pavimento correvano verso le pareti. Qualcuno aveva sparso per la stanza i pezzi di legno che ardevano nel focolare, e il pavimento di legno di pino si stava bruciando rapidamente. Tornò di corsa nella sala da pranzo e afferrò un grosso tappeto, facendo cadere con fracasso due sedie. - Non riuscirò a spegnerlo... Dio, Dio se ci fosse qualcuno per aiutarmi! Tara è finita... finita! Dio, Dio! - Ecco che cos'era il ricordo che le aveva lasciato quel farabutto... - Avrei fatto meglio a lasciargli la spada! Riattraversando il vestibolo vide suo figlio giacente nell'angolo con la sua spada: aveva gli occhi chiusi e il suo visino aveva un'espressione di pace indicibile. «Dio mio! È morto! Morto di paura!» pensò con angoscia. Ma balzò al secchio d'acqua che era sempre nel corridoio. Immerse nell'acqua l'estremità del tappeto e trattenendo il respiro penetrò nuovamente nella stanza piena di fumo, sbattendo la porta dietro di sé. Due volte le sue lunghe gonnelle presero fuoco, ed ella spense le fiamme stringendole tra le mani. Sentiva l'odore dei suoi capelli che ardevano, perché le forcine erano cadute e le trecce le ondeggiavano sulle spalle. Le fiamme correvano intorno a lei, verso i muri del passaggio coperto, serpenti rossi che si contorcevano e balzavano; vinta dall'esaurimento, comprese che non vi era piú speranza. L'uscio si spalancò e il soffio d'aria fece balzare le fiamme piú in alto. Mezza accecata, Rossella vide Melania che calpestava le fiamme, le batteva con qualche cosa di oscuro e di pesante. La vide vacillare, la sentí tossire, vide il suo corpicino agitarsi. Per un'altra eternità lottarono, fianco a fianco; e Rossella vide che le strisce di fiamma diventavano piú brevi. A un tratto Melania si volse verso di lei e con un grido la percosse violentemente tra le spalle. Poi Rossella cadde in un vortice di fumo e di oscurità. Quando riaperse gli occhi, era coricata nel porticato posteriore, col capo posato sulle ginocchia di Melania; sul suo volto brillava il sole pomeridiano. Le capanne degli schiavi erano avvolte in dense nuvole di fumo e l'odore del cotone che bruciava era intollerabile. Rossella vide nuvolette di fumo levarsi anche dalla cucina e fece per alzarsi freneticamente. Ma fu respinta dalla voce tranquilla di Melania. - Resta coricata, cara. Il fuoco è spento. Rimase quieta per un momento, sospirando di sollievo, con gli occhi chiusi, e udí accanto a sé il gemito sottile del piccino e il rassicurante singulto di Wade. Non era morto, grazie a Dio! Aperse gli occhi e guardò Melania. Aveva i riccioli abbruciacchiati e il viso nero di fuliggine, ma i suoi occhi brillavano di eccitazione e la bocca sorrideva. - Sembri una negra - mormorò Rossella riappoggiando il capo sul morbido guanciale. - E tu, uno spazzacamino. - Perché mi hai battuta? - Perché avevi il dorso in fiamme. Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo... Ti... ti hanno fatto male? - Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di piú... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò; e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di cameratismo. «Bisogna ammettere» disse fra sé rimuginando «che è sempre presente quando c'è bisogno di lei.»

Pagina 471

Saper vivere. Norme di buona creanza

248590
Matilde Serao 4 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
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Antico costume abbastanza cafonesco e che, man mano, si è venuto illanguidendo: antico costume che dovrebbe completamente sparire, nelle grandi città. Si comprende, questo costume, fra gli abitanti dello stesso villaggio - o Ventaroli, di Sessa Aurunca, o terra della mia stirpe, di voi parlo! - che hanno bisogno di stringersi insieme, di prestarsi amicizia, assistenza, soccorso, in qualunque circostanza; si capisce, fra gli abitanti della stessa piccola città di provincia, per le medesime ragioni: si capisce, in estate, ai bagni, in villeggiatura, in albergo, per farsi compagnia, per formare una côterie: si capisce, dovunque la gente è poca, dove molte cose mancano, dove la solidarietà umana è più necessaria. Ma in una grande città, dove tutto vi è, a portata di mano, di voce, di passo: in una grande città, dove basta escire dal portone per trovare anche la pietra filosofale, che, si dice, non fu mai trovata; in una grande città, a che può servire di conoscere i propri vicini? A che aumentare le proprie relazioni, inutilmente, quando quelle che si hanno, d'ordinario, sono soverchianti? A che mettersi in rapporto con gente nuova, ignota, forse estranea a ogni proprio gusto, forse antipatica, forse equivoca? Perchè conoscere, proprio i vicini, quando il più savio consiglio di restringere alle persone più tenere, più simpatiche e più utili, le proprie relazioni? E, veramente, esiste una vicinanza, in una grande città, in una grande strada in un grande palazzo, o non si è, veramente, anche gli inquilini di questo medesimo palazzo, completamente estranei, l'uno all'altro ? E in tanto lavoro, in tanti pensieri, in tanti svaghi, in tanti affanni, chi mai s'incarica del proprio vicino? Il vicino non esiste, in un ambiente di metropoli. E non dovrebbe esistere, quindi, la profferta di servigi, barocca e inutile; non dovrebbe esistere l'offerta della visita, che, quasi sempre, è inopportuna e mal gradita; a rigore, non dovrebbe esistere neanche lo scambio dei biglietti da visita. Per questi, passi. Ma non oltre! Non parlo, poi, qui, dei danni delle nuove conoscenze, quasi sempre pericolose, fra nuovi e vecchi inquilini: pensateci voi, o genitori, voi, o mariti, voi, o fidanzati, a questi danni, calcolateli, essi possono essere irreparabili!

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Ma rimane un piccolo gruppo, tre a quattro persone, molto interessanti, molto simpatiche, abbastanza importanti, con cui si ha desiderio e necessità sociale di restare in rapporti, in città. E ci si resta! Ci si resta! Talvolta, care donne, cari uomini, queste persone, è una sola. Su questo, nulla debbo soggiungere. Quando si è ritornati in città, bisogua dividere in due categorie parenti e amici che si debbono rivedere: parenti e amici a cui si tiene molto, di riguardo e a cui si va a far visita: parenti e amici che tengono, essi, molto, a voi e voi, molto meno a loro e, allora, sono essi che vi debbono venire a salutare al vostro ritorno della villeggiatura. Vi è gente di riguardo, a cui avete dimenticato di mandare anche una sola cartolina con finezza, con grazia, bisogna riparare quest'oblio. Vi è gente che vi ha dimenticato: bisogna aspettarne le scuse e accettarle con disinvoltura. Dopo di che badare molto a non commettere la indelicatezza di esaltare la villeggiatura a tutti coloro che non si son potuti muovere dalla città.

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Bella figura, per una signorina che si è portata dietro il fidanzato, dapertutto, e che, a un tratto, deve apparire senza costui, abbastanza compromessa, in fondo, da tutta quella troppo prolungata ed esagerata convivenza! E se anche il matrimonio si fa, non è desiderabile che tutta la poesia della intimità, della convivenza, delle uscite insieme, di tutta la vita comune, venga dopo, e non prima? Non desiderabile che tutte queste piccole gioie - poesia del matrimonio - dello andare dapertutto insieme, dello stare insieme lunghe ore, del comunicarsi ogni impressione, vengano dopo, dopo le nozze, e non prima? Il riserbo, la correttezza, una certa fierezza, l'amore represso dalla educazione, la passione dominata dal rispetto a sè stessa, non sono, forse, le qualità più belle di una fidanzata e di una futura moglie? Non è una migliore speculazione - chiamiamola così - far molto desiderare la presenza di una fidanzata, e tutte le piccole grazie dell'amore, e tutto ciò che è l' incanto tenero dell'amore, anzi che sciuparlo, ogni giorno, prima delle nozze? Non è meglio.... ma questa è una predica che seccherà moltissimo i fidanzati, abituati, oramai, a spadroneggiare in casa della fidanzata. O genitori, pensateci e pensateci voi, ragazze, perchè io ho ragione!

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Piccola o grande che sia, essa costa più o meno denaro, ma ne costa sempre molto, troppo; essa costa molte cure, molte fatiche, molti fastidi e molte noie; essa vi può procurare molti invidiosi e molti nemici: e bisogna vedere bene, se valga la pena di affrontare tutto ciò, se la ragione di convenienza, di obbligo morale, di decoro, d'interesse, che v'induce a dare questa festa, piccola o grande, sia abbastanza possente, da compensare tutto questo. Io so di un principe, mio grande amico, uomo d'intelligenza, di spirito, pieno di chic, che dette una splendida e simpaticissima festa da ballo: cinque giorni dopo, uno dei suoi più importanti coloni, gli scrisse una lettera, dichiarandogli di non poter pagare l'affitto, e domandando una dilazione, tanto più - diceva il colono - che Vostra Eccellenza ha dato una ricca festa, e non ha bisogno di denaro!Or dunque, pensarci un poco. Un altro inconveniente delle grandi feste o piccole, è che esse vi espongono alle critiche più amare; più aspre, più crudeli dei vostri invitati. Per uno strano fenomeno psicologico, i vostri invitati, coloro che voi avete chiamati a divertirsi, in casa vostra, a cui avete offerto un appartamento sfarzosamente adorno di piante e di fiori, illuminato a meraviglia, una raccolta di persone elette, di belle donne, di gaie signorine, dei rinfreschi squisiti, una cena sontuosa, tutti costoro vi diventano acerrimi nemici. Tutto è pessimo, per essi, da voi; i fiori odorano troppo; le piante, ve le siete fatte prestare; i gelati puzzano di petrolio; la luce elettrica, è volgarissima; il the sa di paglia; la cena è meschina e scarsa; e le donne, poi, le donne, tutte brutte, tutte mal vestite, che orrore! Una sera, in un ballo, poco prima di andare a cena, io ho udito, inavvertita, due perfetti gentiluomini, correttissimi, sorridenti, profferire, a voce sommessa, tali infamie sul conto del padrone e della padrona di casa, da far arrossire qualunque ingenuo: e, dopo, avviarsi placidamente a mangiare la squisita cena. È scoraggiante! Ma, naturalmente, vi è chi, per onorare il proprio nome e il proprio censo, per celebrare un anniversario, un compleanno, un onomastico, una promessa di nozze, deve dare una festa; vi è chi ama tanto poco sè stesso e tanto il proprio prossimo, da voler, assolutamente, esercitare la ospitalità; vi è chi, infine, ha bisogno, per suoi interessi, per suoi fini, di farsi vedere ricco e ospitale.

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