Il prefetto, nell'ingiungere al trasgressore il pagamento della sanzione pecuniaria, gli ordina l'adempimento del suo obbligo di ripristino dei luoghi o di rimozione delle opere abusive, nel termine fissato in relazione all'entità delle opere da eseguire ed allo stato dei luoghi; l'ordinanza costituisce titolo esecutivo. Nel caso di mancato ricorso, l'ordinanza suddetta è emanata dal prefetto entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione dell'ufficio o comando di cui al comma 2. L'esecuzione delle opere si effettua sotto il controllo dell'ente proprietario o concessionario della strada. Eseguite le opere, l'ente proprietario della strada ne avverte immediatamente il prefetto, il quale emette ordinanza di estinzione del procedimento per adempimento della sanzione accessoria. L'ordinanza è comunicata al trasgressore ed all'ente proprietario della strada.
Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.
Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell'abuso. Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l'acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune.
Il richiedente il servizio è tenuto ad allegare alla domanda una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, indicante gli estremi del permesso di costruire, o, per le opere abusive, gli estremi del permesso in sanatoria, ovvero copia della domanda di permesso in sanatoria corredata della prova del pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione per intero nell'ipotesi dell'articolo 36 e limitatamente alle prime due rate nell'ipotesi dell'articolo 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Il contratto stipulato in difetto di tali dichiarazioni è nullo e il funzionario della azienda erogatrice, cui sia imputabile la stipulazione del contratto stesso, è soggetto ad una sanzione pecuniaria da lire 5 milioni a lire 15 milioni. Per le opere che già usufruiscono di un servizio pubblico, in luogo della documentazione di cui al precedente comma, può essere prodotta copia di una fattura, emessa dall'azienda erogante il servizio, dalla quale risulti che l'opera già usufruisce di un pubblico servizio.
Quanto a regime sanzionatorio, il t.u. introduce una disciplina articolata, che prevede anche la possibilità di sanatoria ed esclude la rilevanza penale delle opere abusive o irregolari soggette a DIA
Dopo averne sostenuto la esistenza in settori quali la gestione dei rifiuti e, conseguentemente, in quello più specifico degli scarichi, ci si sofferma sulla responsabilità per le violazioni edilizie del proprietario non formalmente committente delle opere abusive, attraverso la elaborazione delle varie pronunce della Corte di Cassazione, che vengono ricondotte a tre orientamenti giurisprudenziali, giungendo ad una risposta positiva alla domanda iniziale, e così sostenendo la esistenza di posizioni di garanzia in campo ambientale quale ulteriore strumento di tutela, anche in considerazione della corretta individuazione degli interessi protetti dalle disposizioni regolanti la materia urbanistico-edilizia.
L'A. evidenzia come la disciplina nazionale sulle clausole abusive, anche grazie ai primi chiarimenti giurisprudenziali ed ai moniti delle istituzioni comunitarie, abbia avuto una notevole incidenza sulle modalità di redazione dei contratti seriali. Tale incidenza si avverte, in particolare, nel settore assicurativo, dove la normativa di protezione dei consumatori ha propiziato un significativo incremento della trasparenza ed una riallocazione dei poteri attribuiti alle parti. Peraltro, dall'esame delle condizioni generali utilizzate da talune compagnie, emerge che, malgrado i significativi passi in avanti sulla strada del riequilibrio, permangono zone d'ombra in cui si annidano clausole foriere di vessazioni a scapito degli assicurati.
Sulla base delle principali esperienze internazionali e di altri settori nei quali è presente la coesistenza di un assetto regolatorio ex ante ed ex post si propongono alcune linee di sviluppo della normativa comunitaria, al fine di garantire procedure di intervento più tempestivo per la rimozione delle condotte abusive. Sul piano funzionale la proposta degli AA. prevede il rafforzamento dei poteri di intervento ex ante di quelli ex post unitamente a una maggiore integrazione delle competenze Antitrust con quelle della regolazione di settore al fine di promuovere la concorrenza in un mercato nel quale gli strumenti tradizionali per l'analisi economica delle posizioni dominanti e delle condotte abusive ad esse riconducibili risultano di difficile applicazione.
L'Italia ha pieni poteri sovrani di inibire la connessione ai siti web stranieri che effettuino abusive sollecitazioni di scommesse nei confronti di consumatori italiani a tutela di questi ultimi e dell'ordine pubblico.
Il legislatore - ha chiarito la Corte - avrebbe con tale norma inteso sanzionare le incursioni abusive (ancorché non fisiche) nella vita privata altrui, fissate con strumenti tecnici suscettibili di riprodurre la violazione di ambiti riservati e preclusi all'osservazione indiscreta dei terzi. La lesione della riservatezza può pertanto consumarsi, attraverso illecite interferenze, anche nei locali ove si svolge il lavoro dei privati (studio professionale, ristorante, bar, osteria, negozio in genere). La facoltà di accesso da parte del pubblico - ha evidenziato la Corte - non fa venire meno nel titolare il diritto di escludere singoli individui non autorizzati ad entrare o a rimanere.
Passa poi ad analizzare le sentenze che si sono soffermate sulla portata della novella, le quali fanno già registrare il contrasto tra chi ritiene che la modifica legislativa abbia mutato la natura della DIA da atto privato a provvedimento implicito e il TAR Campania che invece afferma che il legislatore non ha messo in crisi il prevalente indirizzo negativo del valore provvedimentale della DIA, con la conseguenza che il terzo leso può ricevere tutela unicamente azionando la procedura del silenzio inadempimento della P.A. nell'esercizio del potere di controllo delle attività abusive. L'A. si sofferma anche sulle riflessioni che il giudice campano svolge in ordine allo spessore del sindacato del giudice sulla fondatezza della pretesa del terzo nell'ambito del nuovo rito sul silenzio.
Successivamente, lo sguardo comparatistico si rivolge al contesto europeo in generale ed italiano in particolare, a seguito della nota vicenda delle intercettazioni telefoniche abusive di massa poste in essere da una rete di Intelligence parallela senza autorizzazione giudiziaria.
Lgs. 6 settembre 2006, n. 206, che, nell'appropriarsi della disciplina delle clausole abusive, già contenuta nel Codice civile, le sanziona, non più di inefficacia, bensì di nullità: nullità definita espressamente "di protezione", e rilevabile pertanto, come la precedente inefficacia, ad istanza del solo contraente-consumatore e non anche della sua controparte-(operatore) professionale.
E' opportuno, pertanto, rivedere alcuni concetti generali in tema di clausole abusive allo scopo di ricavare alcuni orientamenti di possibile applicazione nella fase di formazione della volontà contrattuale.
Nel delineare il perimetro applicativo del divieto di utilizzazione introdotto dalla l. n. 281 del 2006 quanto ai risultati di illecite captazioni di conversazioni e comunicazioni e di abusive raccolte di dati personali, la sentenza in commento esclude che tale divieto impedisca di trarne una notizia di reato. Si tratta di una lettura del nuovo art. 240, comma 2, c.p.p. coerente con l'analisi dei lavori parlamentari, degli obiettivi di politica criminale perseguiti dalla legge e, soprattutto, con le abitudini lessicali del codice, il quale - in assenza di indicazioni di segno diverso - da un lato intende l'inutilizzabilità come sanzione che non consente di porre un elemento alla base di decisioni motivate assunte nel procedimento, dall'altro configura l'iscrizione della notizia di reato quale attività anteriore al suo inizio.
In particolare, si sofferma sui rimedi "processuali", applicabili all'interno del processo nel quale l'abuso si è verificato e sulla rilevanza penale di alcune condotte abusive. Accenna infine ai rimedi civilistici e ordinamentali.
L'A. affronta il problema dell'individuazione del soggetto attivo e dell'ambito applicativo della norma di cui all'art. 76 CBC alla luce dell'affermazione contenuta nella sentenza in commento per cui il reato ivi contemplato può essere commesso "anche in contesti diversi dall'effettuazione di ricerche o di opere per il ritrovamento", giungendo a sostenere che quella figura criminosa non contempli ogni pluriforme modalità di adprehensio di beni culturali appartenenti allo Stato ritrovati nel sottosuolo o sui fondali marini, da chiunque perpetrata bensì il solo impossessamento riferibile all'autore della scoperta o del ritrovamento; conseguentemente prende in esame la connessa questione relativa ai rapporti tra l'impossessamento di beni culturali e il reato di ricerche abusive.
Resta ferma, però, la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di configurare eventuali pratiche abusive sebbene la costituzione di una forma societaria per lo svolgimento di attività commerciali non può essere considerata, da sé sola, una pratica abusiva.
Inibizione dell'uso di clausole abusive, pubblicazione della sentenza e, in ipotesi di inadempimento degli obblighi stabiliti nel provvedimento giuidiziale, versamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo, da versare allo Stato, in un apposito fondo per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori, costituiscono misure correttive complementari, idonee ad eliminare e correggere gli effetti delle violazioni della disciplina sulle clausole inique.
La norma delegante non ha invece preso in considerazione il codice del consumo, il quale tuttavia, segnatamente nella parte in cui dà attuazione alla direttiva comunitaria sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori, non potrà non essere (espressamente o tacitamente) modificato dalla futura legislazione delegata: si pensi, in particolare, alla disciplina dello ius variandi della banca, ovvero a quella del recesso. Sarà inoltre inevitabile che siano riviste e profondamente modificate le pur recentissime Istruzioni di vigilanza della Banca d'Italia in materia di trasparenza bancaria.
., secondo cui non possono essere condonate le opere abusive realizzate in zone vincolate, anche nel caso in cui l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa, offre l'occasione di esaminare l'ambito oggettivo del nuovo condono edilizio, anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte costituzionale. L'A. mette inoltre in rilievo le differenze esistenti, sempre sotto il profilo della sanabilità delle opere realizzate in area vincolata, tra il condono edilizio e il di poco successivo condono ambientale disciplinato dalla l. n. 308 del 2004.
Alcune delle sentenze della Corte vertono, invece, alla tutela del consumatore, sia quelle relative alle clausole abusive stipulate nei contratti con i consumatori, sia quelle sulle pratiche commerciali sleali che quelle, più specifiche, sul diritto di recesso del consumatore in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali o di contratti conclusi a distanza, nonché sulla possibilità per un giudice nazionale di rilevare d'ufficio la violazione di una disposizione del diritto dell'Unione europea al fine di tutelare i consumatori. Segnaliamo, infine, due sentenze che riguardano più da vicino l'ordinamento legislativo italiano, la prima è una sentenza che riguarda la legislazione regionale, in questo caso del Lazio, in tema di orario di apertura e chiusura delle farmacie; l'altra riguarda la regolamentazione, nella legislazione nazionale, delle distanze minime tra distributori di carburante. In entrambi i casi si ravvisa una restrizione della concorrenza.
Nel caso affrontato dalla Commissione il contrasto con le fattispecie elusive o abusive era evidente, in quanto è necessario che tale contrasto avvenga sul fronte legislativo, attraverso disposizioni che consentano di salvaguardare anche il principio di certezza nei rapporti tra Fisco e contribuente. Non spetta dunque al magistrato stabilire, caso per caso, cosa è elusione e quando non lo è.
L'effetto finale consistente nella presenza di clausole abusive e prezzi bassi. Tra le soluzioni prospettate dalla dottrina statunitense, o la teoria delle clausole efficienti (che individua il criterio per valutare la sussistenza dell'equilibrio e le norme dispositive da sostituire alla clausola squilibrata), la teoria della reasonnable expectations (in forza della quale entra nel contratto la clausola che il consumatore ragionevolmente si aspetterebbe, a meno che con adeguata informazione non si cambino le ragionevoli aspettative) e la teoria delle penalty default rules (norme dispositive dannose per il professionista, che troverà preferibile introdurre una nuova clausola e rendere così edotto il consumatore).
Secondo il principio di formazione comunitaria del divieto di pratiche abusive, tuttavia, non possono essere riconosciuti i diritti connessi all'esercizio delle libertà di prestazioni di servizi e di stabilimento qualora, pur nel rispetto formale delle condizioni previste, il fine perseguito dalla normativa europea non sia raggiunto e vi sia l'intenzione di ottenere un vantaggio mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.
Alla luce dell'affermazione del principio del contraddittorio come principio generale dell'ordinamento europeo e la tendenza di parte della dottrina a considerarlo come principio generale del nostro ordinamento tributario, ci si dovrà chiedere se possono essere estese analogicamente le garanzie procedimentali previste dall'art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 per le operazioni elusive anche alle ipotesi di operazioni abusive. La risposta affermativa nasce dalla maggiore garanzia che tale modulo procedimentale offre al contribuente e dal fatto che se il bene protetto è unico - il contrasto all'elusione - unica dovrebbe essere la procedura per accettarla.
Una recente sentenza della Cassazione penale ha ritenuto configurabile il delitto previsto dall'art. 517 c.p. nei confronti di chi ha commercializzato copie abusive di opere di industrial design, pur in assenza di marchi (registrati o meno) apposti sul prodotto e senza che vi fossero registrazioni di disegni o modelli: tali conclusioni si pongono in radicale contrasto con i principi consolidati in tema di tutela penale dei diritti di proprietà industriale.
Più nello specifico l'articolo, attraverso l'analisi degli istituti più significativi della materia - come il diritto all'informazione ed alla sicurezza dei prodotti, o il divieto circa la pubblicità ingannevole e l'inserimento di clausole abusive tra le condizioni generali di contratto - dimostra come il diritto dei consumatori nei paesi esaminati sia stato influenzato da regole provenienti da tradizioni giuridiche fra loro assai diverse, come il diritto islamico tradizionale, il diritto francese ed il diritto prodotto dall'Unione Europea.
A questo profilo si affianca quello di stabilire se il conseguimento della sanatoria paesaggistica possa incidere sulla condonabilità sotto il profilo edilizio delle medesime opere abusive. Il T.A.R. giunge alle seguenti conclusioni: le opere abusivamente realizzate in aree vincolate sono sanabili dal punto di vista edilizio a condizione che risultino conformi alle leggi ed agli strumenti urbanistici; l'ottenimento del condono paesaggistico di cui alla l. 308/04 produce effetti limitati ai soli reati paesaggistici ed è pertanto inidoneo ad incidere anche sulla condonabilità degli abusi dal punto di vista edilizio.
In attesa che la nozione di abuso del diritto in ambito fiscale sia tradotta nel diritto positivo, pare indispensabile che la procedura prevista per le fattispecie elusive sia applicabile nell'ambito dell'accertamento delle condotte abusive non tipizzate dal legislatore.
Il disegno di legge delega per la riforma fiscale approvato dal Governo non risolve il problema della rilevanza penale dei comportamenti elusivi; anziché introdurre una nota di certezza, si sono allargati i margini di incertezza poiché non si prevede espressamente l'esclusione della rilevanza penale di comportamenti ascrivibili a fattispecie abusive; dunque, se viene approvata la legge, tali comportamenti potranno avere rilevanza penale, ma solo in quanto si tratti di comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazioni false. Tutto questo deve avvenire nell'individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie. Il Governo ha rilanciato la palla al Parlamento, il quale non potrà lasciare il testo nella sua formulazione insufficiente, se non ambigua.
Costruita attorno a una retorica che rinvia costantemente alle relazioni sessuali tra uomini e donne, la concezione anti-discriminatoria usata dalle Corti americane non riesce ad orientarsi in modo soddisfacente verso la rimozione delle relazioni di potere e subordinazione nel luogo di lavoro, né a cogliere che sia donne sia uomini possono essere vittime di pratiche abusive che risalgono a concezioni stereotipate dei ruoli di genere. Ne offre un esempio significativo il tema della discriminazione per molestie sessuali, che l'articolo esplora mettendo in luce la rete di influenze, tra le quali in primo luogo quelle risalenti al paradigma della discriminazione razziale, che hanno contribuito a ingessarlo in un approccio spesso troppo statico e limitante, dal quale tenta di uscire, pur con significativi interrogativi ancora aperti, lo standard della "donna ragionevole".
Per la Corte di giustizia, è incompatibile con l'art. 6 della direttiva europea 93/13 in tema di clausole abusive nei contratti con i consumatori la disciplina spagnola di cui all'art. 83 del Real decreto Legislativo 1/2007, che consente la sostituzione della clausola vessatoria nulla con regole ricostruite dal giudice, ovvero con norme dispositive. Per la Corte, in tali casi la disciplina comunitaria imporrebbe la mera soppressione del patto nullo (nel caso di specie un patto sugli interessi di mora, che in tal guisa non sarebbero più dovuti alla Banca). Un tale esito in prima battuta sembrerebbe compatibile con l'idea ordinaria di caducazione parziale (o di "non apposizione") di una clausola e sarebbe preferibile anche perché più idoneo, in quanto sanzionatorio per il professionista, ad assicurare le finalità protettive della disciplina dei contratti con i consumatori. Ad una riflessione più approfondita, le conclusioni della Corte tradiscono tuttavia ambiguità ed incongruenze su cui vale la pena di riflettere. Perché il problema degli effetti della caducazione della clausola abusiva vessatoria è, a ben vedere, più complesso di quel che è apparso alla Corte e neppure chiuso nella sola alternativa - che una prima lettura della pronuncia potrebbe accreditare - tra pura caducazione del patto e sua correzione giudiziale. Risultando piuttosto preferibile ritenere che la caducazione parziale comporti l'applicazione della disciplina dispositiva abusivamente derogata.
Questo ampliamento suscita, al contempo, problemi di coerenza - ad esempio, là dove non sono trascrivibili le domande di arbitrato irrituale - e muove necessità di tutela - ad esempio, in relazione alle trascrizioni abusive di domande giudiziali. In effetti, le soluzioni prospettate dagli interpreti appaiono difficili da percorrere per le strettoie positive che esse incontrano. L'ampliamento della sfera di applicazione propria alla trascrizione delle domande giudiziali sollecita allora una riforma, che ne riconosca la funzione cautelare e ne assoggetti l'esecuzione ad un provvedimento giudiziale, sul modello della "Vormerkung" tedesca. L'occasione potrebbe essere utile anche per introdurre, a tutela dei terzi aventi causa, uno strumento analogo all'annotazione dell'ordine di grado, tipico del sistema tavolare, cosi favorendo anche l'armonizzazione dei sistemi pubblicitari.
La Corte di Cassazione, con la sent. 30 novembre 2011, n. 25537, ha enunciato il principio secondo cui, ai fini della sanzionabilità amministrativa delle condotte elusive o abusive, è necessaria una espressa previsione legislativa; ciò porta ad escludere che una sanzione amministrativa in materia tributaria possa essere applicata a fronte della violazione non di una precisa disposizione di legge ma di un principio generale, quale quello antielusivo, ritenuto immanente al sistema anche anteriormente alla introduzione di una normativa specifica.
È un significativo segnale la decisione del "Conseil Constitutionnel" francese 2013 - 685, che ha dichiarato incostituzionale la norma che qualificava abusive le operazioni aventi come scopo principale (e non più unico) il risparmio fiscale, ritenendosi violati i principi di legalità e di certezza giuridica. Una somma confusione definitoria regna anche nella giurisprudenza della Corte UE.
La soluzione si basa su recenti sentenze della Corte di giustizia volte a riconoscere un'accentuata efficacia deterrente alla normativa della direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. La questione esaminata dai giudici di Lussemburgo, che negli ultimi tempi ha suscitato un vivace dibattito dottrinale, attiene alle conseguenze derivanti dalla pronuncia di vessatorietà di una clausola: all'impostazione tradizionale secondo cui la lacuna (sopravvenuta) deve essere colmata mediante il diritto dispositivo, si contrappone una tesi maggiormente "funzionalista" (fatta propria dall'ordinanza in commento) che, escludendo l'applicazione del diritto dispositivo, favorisce la posizione del consumatore.
Leredità di un pensatore politico è sempre soggetta al pericolo di appropriazioni abusive, fraintendimenti, interpretazioni più o meno fedeli, soprattutto se misurata a secoli di distanza e collocata in contesti culturali molto diversi da quelli in cui l'autore si muoveva. Questa considerazione è particolarmente vera nel caso di Edmund Burke, sia perché le sue opere e le sue concezioni filosofiche, politiche e giuridiche sono strettamente legate alla risalente tradizione inglese, sia perché egli univa alle virtù del pensatore l'acume e la passione dell'uomo politico, immerso nelle problematiche della propria epoca storica. Questo articolo si propone di verificare come alcune correnti del pensiero politico contemporaneo, segnatamente di stampo liberale e conservatore, abbiano inteso richiamarsi ai capisaldi di questo Maestro settecentesco, talvolta servendosene legittimamente come bussola per orientarsi, in altre circostanze travisando o forzando il suo pensiero per renderlo spendibile di fronte agli interrogativi che la realtà proponeva. La tesi che si vuole sostenere è che la "Burke's legacy" sia composita e controversa, fatta di tanti e variegati lasciti, alcuni anticaglie di modesto valore, altri gemme preziose tuttora da tenere nel dovuto conto, ma che sempre meriti di essere trattata con il dovuto rispetto, evitando banali arruolamenti nei ranghi di questa o quella corrente del pensiero politico contemporaneo.
In relazione, poi, agli strumenti approntati dalla legge per prevenire (e sanzionare) eventuali condotte opportunistiche (quando non del tutto abusive) si tratta, oltre che degli aspetti connessi agli obblighi informativi e all'eventuale nomina del commissario, della controversa questione della successione nel tempo di una pluralità di domande di "automatic stay".
L'articolo analizza le misure di contrasto al fenomeno delle occupazioni abusive di immobili adottate dal governo Renzi, sotto il profilo della loro legittimità costituzionale e compatibilità con la democraticità dell'ordinamento. L'art. 5 del "Piano Casa" pone infatti un divieto retroattivo di richiedere e ottenere la residenza, nonché l'allacciamento ai pubblici servizi, per coloro che non siano in grado di allegare un titolo di legittima occupazione della propria casa di abitazione, insinuando in tal modo dubbi sulla correttezza del bilanciamento operato tra principio di legalità e diritto alla casa.
Il giudice adito non può riqualificare come abusive le operazioni accertate dall'Ufficio utilizzando l'istituto dell'interposizione perché le due fattispecie sono incompatibili. Inoltre, la rilevabilità d'ufficio dell'abuso del diritto non può legittimare soluzioni "a sorpresa". È obbligo del giudice che rilevi d'ufficio l'applicabilità di tale principio assegnare alle parti un termine per le controdeduzioni, pena la violazione del principio del contraddittorio.
Sul versante amministrativo, il sistema sanzionatorio delineato dai DD.Lgss. nn. 471 e 472 del 1997 non sembra, infatti, garantire l'esigenza di prevedere risposte punitive differenziate tra condotte abusive ed evasive. Sul versante penale, invece, si pone un delicato problema interpretativo circa il possibile contrasto tra la nuova norma statutaria e il principio del "favor rei", laddove il D.Lgs. n. 128/2015 sancisce la parziale irretroattività di tutte le disposizioni contenute nell'art. 10-bis dello Statuto.
L'intervento del legislatore delegato, tuttavia, non sembra idoneo ad impedire l'utilizzo del valore normale per rettificare operazioni tra società del gruppo residenti, in presenza di comportamenti palesemente antieconomici (non giustificati dal contribuente) o di condotte abusive.
Con la decisione in commento, il Giudice amministrativo è tornato a pronunciarsi su un profilo particolarmente delicato, che attiene all'individuazione dei soggetti passivi dell'ordinanza di demolizione di opere abusive e sul conseguente provvedimento comunale di acquisizione di beni illegittimamente edificati, per il caso di inottemperanza alla predetta ordinanza di ripristino; e ciò con particolare riguardo alla posizione del proprietario che non risulti, tuttavia, responsabile dell'intervento abusivo. La nota a sentenza si sofferma, dunque, sulla figura del proprietario incolpevole e sui requisiti che lo possano rendere neutro rispetto al gravoso provvedimento ablatorio comunale.
Le sentenze dello scorso dicembre confermano questo principio e ne stabiliscono un altro, di notevole importanza, secondo il quale l'art. 20, norma d'interpretazione degli atti, non può essere usata per contrastare condotte abusive, oggi punibili solo ai sensi e nei limiti dell'art. 10-bis, Legge n. 212/2000. Tuttavia, residuano perplessità sull'interpretazione dell'art. 20 adottata dalla Cassazione, che non sembra coerente con la struttura dell'imposta né con la funzione della norma, guardata anche in una prospettiva storica.
Si tenta, per tal via, di garantire all'utilizzatore - quale parte debole del contratto - un giusto rimedio civilistico che gli permetta di tutelare in maniera corretta i propri interessi e che, dall'altro lato, eviti condotte abusive da parte degli altri contraenti.
L'interpretazione della legge processuale domestica, che importi la sospensione obbligatoria di un giudizio attivato dal consumatore - per censurare una clausola abusiva - nell'attesa che si definisca la causa collettiva pregiudiziale osta all'obbligo degli Stati membri di fornire "i mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori". Il principio di autonomia processuale cede davanti al principio di effettività: assumendo la sospensione del procedimento individuale, a fronte del pregiudiziale procedimento collettivo, come obbligatoria, si lede la stessa effettività del diritto dell'Unione.
Lo studio affronta il tema della formazione di una nuova "clausola generale", attraverso l'esame della genesi, dell'evoluzione e del definitivo consolidamento della norma sul divieto di abuso di dipendenza economica, dettata dal legislatore in tema di subfornitura industriale, ma poi diventata norma di sistema per disciplinare (e reprimere) le condotte abusive nella formazione ed esecuzione dei contratti commerciali tra imprese, ossia tra soggetti del mercato, operanti in condizioni di squilibrio di potere contrattuale. L'analisi sistematica della dottrina, che ha subito colto e valorizzato il nesso tra la disciplina antitrust e la normativa sul contratto di subfornitura, insieme alla tendenza della giurisprudenza nel senso della "generalizzazione" del divieto, hanno determinato il consolidarsi della nuova clausola generale.
Imbrugia", che ha indicato l'Europa come modello da seguire, l'A. confronta le due esperienze, evidenziando come sul versante europeo, almeno rispetto ai consumatori, la disciplina sulle clausole abusive e quella in tema di ADR siano idonee a mettere al riparo dall'uscita sistematica dal circuito giurisdizionale; resta, tuttavia, ancora insoddisfacente la configurazione della tutela collettiva risarcitoria.
E poi, il divieto per il giudice di qualificare come abusive le fattispecie diversamente configurate dall'Amministrazione è conforme ai poteri propri della funzione giurisdizionale?