Tra le (poche) soluzioni idonee a ricomporre il frastagliato quadro normativo, la più efficace (e matura) rimane quella radicale, ossia la completa abolizione della riscossione frazionata, sia del tributo che delle sanzioni, mentre un isolato intervento sull'art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 (che prescinda dai singoli sistemi) non farebbe che peggiorare la situazione.
Il presente lavoro muove dall'intento di ricostruire l'iter seguito dalla dottrina negli ultimi anni, cercando, da un lato, di chiarire gli aspetti civilistici maggiormente rilevanti ai fini tributari, dall'altro di approfondire alcune problematiche dell'imposizione indiretta, con particolare riferimento all'imposta sul valore aggiunto ed alle liberalità, anche alla luce della recente abolizione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni.
L'ineludibile riforma dei reati penali in materia religiosa, alla luce della gerarchia dei valori che caratterizza la legalità costituzionale, si inserisce oggi in un clima generale incline verso un nuovo progetto codificativo; parte della dottrina auspica un superamento della tutela penale del sentimento religioso attraverso una generalizzata abolizione delle specifiche disposizioni che lo presidiano, facendo rientrare, tutt'al più, le condotte oggi specificamente sanzionate sotto la tutela delle norme penali ordinaria a difesa di beni comuni. Attraverso una, discutibile, equiparazione tra ideologie e fedi - che, peraltro, sottovaluta il "favor religionis" presente nella Costituzione - si verrebbe così a costituire una fictio giuridica, inidonea a cogliere l'essenza di realtà inassimilabili: il credo religioso, con il suo portato di assolutezza metafisica, e le concezioni filosofiche o politiche, con la loro attitudine ad essere ricondotte dallo Stato di diritto entro l'alveo relativistico della dialettica democratica. L'A. - nel considerare le evoluzioni che il processo di secolarizzazione ha apportato nel diritto penale - ritiene, invece, che una concezione della laicità che trascura la specificità e la centralità antropologica dell'interrogativo su Dio non può che suscitare talune perplessità. Disquisendo delle caratteristiche primarie del fenomeno religioso, lo studio - alla luce di una laicità intesa più come metodo che come contenuto - intende argomentare come un ordinamento teso a promuovere l'affermazione del primato dello sviluppo integrale della persona, quale valore in sé, non possa certamente non considerare il fattore religioso un bene giuridico degno di tutela specifica, all'interno dell'organicità del messaggio comportamentale veicolato dal diritto penale.
L'A. valuta favorevolmente il mantenimento di tale divieto, confermato dalla Corte costituzionale, poiché la sua abolizione sarebbe foriera di maggiori difficoltà nella gestione del problema delle madri che abbandonano i figli. In pratica, quel divieto è un male minore che "evita mali peggiori".
Se cosi è, in linea prospettica esso deve essere affinato nell'auspicio che tanto si implementi con la rivisitazione/abolizione dei LEA/DRG per giungere a sistemi e modelli più analitici, conformi alla reale gravità clinica e alle risorse effettivamente utilizzate per il singolo paziente.
Nel successivo giudizio, tutti gli avvocati difensori invocano però l'assoluzione dei propri assisti per intervenuta abolizione dei reati loro contestati (art. 2, comma 2, c.p.), dato che l'ingresso della Romania nella Comunità Europea, a partire dall'1 gennaio 2007, avrebbe eliminato il requisito della condizione di extracomunitario previsto dall'art. 1, d.lg. 286 del 2008 come elemento costitutivo di entrambe le norme contestate. A questa tesi si oppone però il pubblico ministero, il quale rileva che la legge n. 19 del 2006 di ratifica del Trattato di adesione della Romania e della Bulgaria alla CE nulla ha previsto circa l'irrilevanza penale dei reati già commessi da cittadini rumeni, o a danno di essi.
Risulta, infatti, pericolosa la prevista abolizione dell'ergastolo, che è tipo di pena ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale ed approvato con referendum popolare del 1981, e ciò a causa della mancata tutela di beni costituzionalmente rilevanti che deriva dalla mera previsione di una pena detentiva temporanea per crimini gravissimi. Parimenti criticabile appare la variegata tipologia di sanzioni alternative alla pena detentiva, che nel loro numero sono eccessive e talune anche dal contenuto indeterminato. Ulteriori critiche si possono portare alla prevista soppressione degli istituti della capacità a delinquere, della pericolosità sociale e delle misure di sicurezza di natura criminale, nonché l'inserimento di una formula vaga quale quella dei "gravi disturbi della personalità" tra le cause incidenti sulla capacità di intendere e volere.
Insieme alla recente abolizione dell'obbligo di tenuta del libro dei soci nella s.r.l. l'efficacia della cessione di quota nei confronti della società, con la connessa possibilità di esercitare i diritti sociali, viene ricollegata al deposito dell'atto di trasferimento nel registro delle imprese dal nuovo testo dell'art. 2470, comma 1, c.c. Questa soluzione normativa è subito apparsa per diverse ragioni ricca di inconvenienti e , nella varietà delle situazioni concrete, ha finito per rivelarsi il più delle volte contraria a quelle esigenze di semplificazione e riduzione di costi che l'hanno ispirata. La prassi e primi interpreti hanno allora ben valutato l'introduzione di apposita regolamentazione statutaria della fase di acquisto della legittimazione relativa alla quota oggetto di trasferimento, per lo più percorrendo la via del ricorso volontario al libro dei soci. La negativa valutazione che di tale ultima clausola ha dato il giudice del registro veronese su sollecitazione del locale conservatore offre lo spunto - oltre che per stigmatizzare l'inappropriata aspirazione di costoro ad esorbitare dalle competenze, limitate al controllo di regolarità formale degli atti soggetti ad iscrizione, a loro assegnate dalla legge - per riflettere più a fondo sulla corretta interpretazione ed applicazione dell'art. 2470, comma 1, c.c. specie in presenza di limitazioni statutarie alla circolazione della quota (prelazione, gradimento) e per esaminare gli argomenti favorevoli e contrari alla clausola in esame: la cui riconduzione, all'esito dell'analisi, alla categoria delle clausole autorizzate dall'art. 2469 c.c. - quale clausola che pone limiti all'acquisto della legittimazione all'esercizio dei diritti di quota - ne assicura la totale liceità ed evidenzia la meritevolezza degli i interessi con la stessa tutelati.
Trattasi dell'applicabilità della normativa di abolizione del reato intervenuta medio tempore tra due coincidenti leggi di incriminazione: quella in vigore al tempo della condotta e quella vigente al momento del giudizio. Gli argomenti? Anche sulla scorta di un autorevole precedente in materia di giuda in stato di ebbrezza (Sez. IV, 20 maggio 2004, n. 23613), l'operatività dell'art. 2, comma 2, c.p. viene affermata sia sulla base dell'inequivoco tenore letterale della norma, sia in considerazione delle "inique" disparità di trattamento cui rischierebbe di dar luogo l'opposta soluzione, e cioè quella che privilegia la fattispecie incriminatrice vigente al momento del giudizio, se già esistente al tempo del commesso reato: assoluzione o condanna verrebbero a dipendere dalla tempistica processuale.
Secondo le Sezioni unite, soggetto attivo del riformato reato di inottemperanza all'ordine di esibizione dei documenti di identità e di soggiorno (art. 6, comma 3, t.u. imm.) è il solo straniero 'regolare', con conseguente parziale abolizione del reato relativamente ai fatti di mancata esibizione dei documenti di identità da parte degli stranieri 'irregolari'. Mentre è condivisibile la tesi che circoscrive i soggetti attivi del reato agli stranieri 'regolari', non persuade l'affermazione della parziale abolitio criminis per gli 'irregolari', che non tiene conto della riconducibilità dei fatti predetti alla fattispecie generale, prevista dal t.u.l.p.s., che punisce la mancata esibizione dei documenti d'identità da parte della generalità dei cittadini (italiani e stranieri).
Quasi sovrapponendosi alla disciplina della concorrenza, poi, la normativa tende alla abolizione delle "barriere all'ingresso" - in termini di pesi burocratici - al mercato. La difficile arte di semplificare lascia irrisolti, in questo caso, alcuni problemi di rilievo, relativi alla rispondenza ai precetti costituzionali dell'assetto di valori e interessi dettato dal decreto. Ciò avviene sia sul piano sostanziale, circa i limiti della libertà di iniziativa economica, sia su quello formale, con riferimento al sistema delle fonti.
Questo contributo riprende il tema della politica finanziaria locale italiana sia con riguardo al regresso dell'autonomia finanziaria locale, nonostante l'avvento del Titolo V della Costituzione riformata, che al sistema delle istituzioni territoriali che è tornato con forza in discussione soprattutto con riferimento alla prospettiva rinnovata di abolizione delle Province. Con questo fine, il saggio si sofferma prima sulla natura, l'estensione e l'intensità dell'autonomia finanziaria locale e poi su alcune prospettive di riforma del governo locale in Italia e soprattutto sull'utilità e la necessità delle Province, anche se adeguatamente ridotte di numero e accorpate, in un contesto coordinato di competenze con quelle dei Comuni e delle Città metropolitane.
È vero che la Corte costituzionale (sent. 230/2012) ha escluso che l'art. 673 c.p.p. possa trovare applicazione in caso di mutamento giurisprudenziale con effetti abolitivi; ma è altresì vero, come sottolinea l'ordinanza annotata, che ''l'abolitio criminis'' è sempre opera del legislatore, e che la sentenza della Suprema Corte, pur resa nel suo più autorevole consesso, non ha alcuna efficacia costitutiva dell'intervenuta abolizione del reato. Devono pertanto essere revocate le condanne per il predetto reato, pronunciate nei confronti degli stranieri irregolari e passate in giudicato: tanto quelle relative a fatti commessi prima della riforma del 2009, come nel caso dell'ordinanza annotata, quanto, attraverso un'interpretazione dell'art. 673 c.p.p. conforme a Costituzione, quelle relative a fatti commessi dopo quella riforma, e pronunciate, per errore dal giudice di cognizione, allorché il fatto non era più previsto dalla legge come reato.
"decreto IMU"), recante l'"abolizione" della "prima rata" dell'"IMU 2013" e limitate modifiche puntuali alla disciplina IMU per gli "immobili esenti" e quelli "assimilati" all'"abitazione principale", appare piuttosto deludente rispetto alla "riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare" annunciata con il D.L. n. 54/2013. Si è dunque in presenza di una manovra ancora "incompleta", destinata ad essere definita in più tappe, che ancora "non affronta" la questione che prima o poi dovrà porsi in ordine all'eventuale "assoggettamento" a "IRPEF" [Imposta sul reddito delle persone fisiche], già a decorrere dal 2013, degli "immobili" definitivamente "esonerati" dall'applicazione dell'"IMU", considerato che la "cancellazione" dell'"IMU" sui "terreni agricoli" e su taluni "fabbricati assimilati" all'"abitazione principale" si atteggia come una "forma" di "esenzione" e non già di esclusione da imposta.
Per non creare uno squilibrio tra la posizione finanziaria dell'esportatore e quella del suo fornitore, la soluzione sarebbe la completa abolizione del sistema, eliminando così anche i possibili abusi e gli onerosi adempimenti, mediante la concessione di una corsia preferenziale nei rimborsi a favore degli esportatori. Altre semplificazioni potrebbero prevedersi in tema di controllo delle dichiarazioni d'intento, con riferimento alle quali il disegno di legge "semplificazioni" già propone il ribaltamento degli adempimenti più gravosi sul soggetto che beneficia dell'agevolazione, cioè l'esportatore.
L'A. affronta il tema della responsabilità penale dello psichiatra per atti auto ed etero lesivi del paziente, prendendo atto del radicale cambiamento di prospettiva che si è attuato con labolizione dei manicomi giudiziari dopo la legge Basaglia e con l'introduzione dei principi espressi in materia di responsabilità medica con la legge Balduzzi. Attraverso l'analisi dell'attuale contesto normativo e giurisprudenziale, l'A. giunge alla conclusione che la responsabilità per atti auto ed etero lesivi del paziente psichiatrico, oltre ad essere limitata ai casi di colpa grave, può configurarsi solo per i soggetti in T.S.O., in ragione della "posizione di garanzia" che caratterizza la figura dello psichiatra in questi casi. Infine, l'A. auspica ad un ripensamento della giurisprudenza per ciò attiene alla configurabilità del reato colposo, in considerazione della sostanziale impossibilità di previsione degli eventi etero ed auto-lesivi dei pazienti e della conseguente inevitabilità degli stessi.
Il saggio ripercorre le vicende, e soprattutto gli effetti delle leggi di abolizione del contenzioso amministrativo del 1865, della quale ricorre il 150 anniversario, e della legge del 1889, che, istituendo la IV Sezione del Consiglio di Stato, introdusse nel nostro ordinamento un processo amministrativo di solo annullamento dell'atto. L'A. giunge alla conclusione che, in campo penale, la legge del 1865 è stata in attuata ed elusa con particolare riferimento alle sanzioni amministrative, e, per quanto riguarda la devoluzione al giudice civile prevista dalla legge del 1865, il recente codice del processo amministrativo dovrebbe provocarne l'estinzione pressoché totale ... anche se il c.p.a. ha modificato la legge del 1889 e non quella del 1865 ...