Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Crisi del diritto oggi? - abstract in versione elettronica

131041
Grossi, Paolo 1 occorrenze
  • 2012
  • DoGi - Dottrina Giuridica
  • diritto
  • ITTIG
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L'A. si interroga sul significato della odierna crisi e, più in particolare, della crisi del diritto, della quale ormai da tempo i giuristi parlano. Muovendo dalla osservazione per cui il significato saliente del sostantivo "crisi" non ha una valenza negativa ma, al contrario sottolinea un transito da un certo contesto ad un altro, un presente che si fa futuro, l'A. rileva come sia indubbio che oggi siamo investiti da una crisi, da una stagione di passaggio che dalla modernità giuridica porta al post-moderno. Questo processo ha inizio a fine Ottocento - quando il corpo sociale preme e inizia a frantumare quell'ordine giuridico, rinsaldato dalla rivoluzione francese, che aveva nello Stato il controllore del "sociale" e il monopolizzatore della produzione giuridica - e si protrae poi il Novecento. E' in questo secolo che v'è la riscoperta della fattualità, che il diritto ottocentesco il più delle volte comprimeva e che verranno pian piano erosi quegli strumenti, quali le "carte di diritti" e i Codici, con i quali si era creduto di poter arrestare il corso della storia a una certa data. Le "carta dei diritti" cedono presto il passo alle Costituzioni novecentesche, che esprimono la società, rappresentano un prius rispetto all'apparato statuale, si fanno portatrici di valori, ossia di criteri e orientamenti che l'effimero e l'episodico non riescono a sfiorare e sono pertanto durevoli. I Codici, dal canto loro, continuano ad avere realizzazioni rilevanti anche nel secolo post-moderno e lo Stato, a fronte della loro usura determinata dalla frizione fra la loro immobilità cartacea e il movimento/mutamento della società uscita dalla seconda guerra mondiale, ha tentato di colmare i vuoti con una folta legislazione speciale che non è però riuscita nell'intento adeguatore. E' qui che si manifesta, piena, la crisi, che nella sua accezione negativa va intesa come severa e stringente messa in discussione delle forme - ossia delle fonti - entro le quali la modernità ha preteso di imbrigliare il diritto: crisi della legge, sempre più incapace di disciplinare il movimento/mutamento e crisi del moderno sistema rigidamente gerarchico delle fonti. La crisi allora, nel senso negativo abitualmente attribuitole, concerne le fonti, la loro pluralizzazione e detipicizzazione, ma non il diritto che, in perenne ascolto delle richieste del corpo sociale, respinge la sua dimensione ufficiale, quella legislativa, per recuperare invece su altri piani e in primis su quello della interpretazione/applicazione, che è oggi da cogliersi come ultimo momento del processo formativo della norma.

La definizione celsina del diritto nel sistema giustinianeo e la sua successiva rimozione dalla scienza giuridica: conseguenze persistenti in concezioni e dottrine del presente - abstract in versione elettronica

137143
Gallo, Filippo 1 occorrenze
  • 2013
  • DoGi - Dottrina Giuridica
  • diritto
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L'A. mette in luce l'avvenuta rimozione, nella tradizione romanistica occidentale, della definizione celsina del diritto, indicandone alcune persistenti conseguenze negative. Preliminarmente rileva che non sempre i romanisti hanno recato l'apporto di loro competenza alla storia giuridica europea. Un riflesso può vedersi nelle tesi, presentate come pacifiche dal Sacco, secondo le quali Giustiniano con il "Corpus iuris" non creò niente di nuovo e l'idea di un potere legislativo assoluto venne elaborata per la prima volta in Francia al tempo della rivoluzione. Emerge uno stravolgimento storico. Le fonti a noi note rendono infatti sicuro che già Giustiniano aveva teorizzato la spettanza in via esclusiva all'imperatore del potere legislativo, unitamente all'elaborazione dottrinale, immedesimata nelle "leges". Confutate alcune posizioni della scienza romanistica suffraganti le tesi del Sacco, l'autore delinea la menzionata rimozione. Nel sistema della compilazione giustinianea gli elementi enunciati nella definizione celsina (artificialità e "bonum et aequum"), riflettono ancora, da un punto di vista formale, la situazione in atto. Tuttavia le "leges" sono sottratte a ogni critica e valutazione; non ne è neppure consentito il libero commento. E i giudici, ove ritengano che, per i casi a loro sottoposti, esistano lacune o incertezze nelle "leges", devono chiedere la soluzione all'imperatore. Nella nuova situazione l'artificialità e il "bonum et aequum" non hanno più la funzione, di fondamentale rilievo, che avevano avuto nell'antico diritto. La definizione celsina non è più riferita nelle Istituzioni; i commissari preposti alla loro stesura sostituirono ad essa, per indicare l'oggetto dello studio del diritto, i "tria praecepta" ("honeste vivere", "alterum non laedere", "suum cuique tribuere") di stampo giusnaturalistico. Dopo il Mille, in Italia e poi in Europa rifiorì, con lo studio del "Corpus iuris civilis", la scienza giuridica. Il messaggio giustinianeo della "legum doctrina", pur non senza oscillazioni, contrasti e deviazioni, si rivelò vincente nella tradizione romanistica. La definizione celsina venne estromessa dall'elaborazione dottrinale e non è più stata recuperata. Se pure il dato non è percepito, l'influenza della "legum permutatio" giustinianea e della ricordata estromissione ha valicato la fase delle codificazioni e persiste ancora al presente. Ad esempio, per la consuetudine, la rimozione dell'artificialità (coinvolgente la sovranità popolare) inficia la sua configurazione come diritto involontario, diritto spontaneo e, da ultimo, come diritto muto. A causa della stessa rimozione la dottrina pura del diritto ne ha cercato, con un'intrinseca contraddizione, il fondamento della validità nella "Grundnorm", non esistente nella realtà, ma inventata. In dipendenza della rimozione del "bonum et aequum" la medesima dottrina ha sostenuto la validità di ogni norma posta nelle forme debite dal legislatore, pur se prescrivente un comportamento criminoso o insensato. Inoltre, per la salvaguardia della purezza del diritto, ne esclude - riproducendo al livello del sapere giuridico il divieto legislativo giustinianeo - ogni valutazione, in contrasto con quanto è opportuno o necessario fare e si fa abitualmente.