Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Plico del fotografo: trattato teorico-pratico di fotografia

519300
Venanzio Giuseppe Sella 50 occorrenze
  • 1863
  • Tipografia G.B. Paravia e Comp.
  • Torino
  • Fotografia
  • UNIPIEMONTE
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Quando la luce cade sopra di una superficie che non è pulita, ma appannata, essa non è riflessa regolarmente, come abbiamo detto ora, ma irregolarmente, ossia in tutte le direzioni, ed è una tal luce, così riflessa, che chiamasi luce diffusa, ed essa è quella che ci fa vedere gli oggetti. Non tutta la luce incidente sopra di un corpo pulito viene riflessa regolarmente, ma una parte viene sempre riflessa irregolarmente, ed una parte di essa rimane estinta, o, come dicesi, assorbita dal corpo. Da

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Negli specchi piani, come abbiamo veduto, l’immagine è virtuale. Lo stesso succede negli specchi convessi, nei quali l’immagine oltre all’apparire sempre dietro alla superficie dello specchio, è più piccola dell’oggetto , e tanto più piccola quanto più cresce la distanza dell’oggetto.

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Abbiamo detto sin da principio, che la luce non è che il risultato di ondulazioni prodotte da una sorgente luminosa, capace di comunicare all’etere le sue vibrazioni. Fra loro diverse sono le ondulazioni che producono la luce; infatti i colori che si ottengono scomponendo la luce col mezzo di un prisma di vetro non sono dovuti ad altro che ad una diversa lunghezza delle onde luminose separate dal prisma, la quale lunghezza in media non arriva ad un millesimo di millimetro per ciascuna di esse onde.

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Da ciò che abbiamo detto di sopra, il lettore può comprendere, che, quand’anche ciascun colore del disco fosse di intensità, e di purezza identica a quella che si trova nello spettro solare, il colore risultante non potrebbe mai essere altrimenti che grigio, perchè la quantità totale della luce illuminante il disco non può a meno di venire in parte assorbita per la sua decomposizione sopra ciascuna molecola colorata del disco; e questo grigio, coll'artificiale contrasto prodotto dal nero che trovasi al centro, ed alla circonferenza del disco, apparirà più bianco di quello, che realmente sia, in virtù della nota legge del contrasto dei colori scoperta da Chevreul.

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(a) Il lettore, per rendersi ragione di ciò che affermiamo, può consultare l'ultima parte della chimica fotografica, ove abbiamo descritto un metodo di dosare i corpi nelle loro soluzioni, il qual metodo è intieramente fondato sulla capacità che ha l'occhio di apprezzare le differenze di intensità delle varie gradazioni colorate.dimostrarono che l’occhio non può accorgersi di una differenza piccolissima tra una gradazione ed un’altra. Così, per esempio, tra una soluzione di una parte di solfato di indaco dilungato, per es., con 100 parti di acqua, ed un’altra parte dilungata con 101, con 102, 103, 104, 105 parti di acqua, l'occhio non può giudicare con certezza di una differenza di intensità, e ciò perchè la differenza di 1/100 a 5/100 è ancor troppo piccola perla sensibilità della nostra retina.

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Abbiamo diviso questa seconda parte in due sezioni. Nella prima sezione si tratta delle lenti in generale, del loro effetto nel produrre le immagini, e dei difetti inerenti alla loro natura. Nella seconda sezione si tratta degli oggettivi fotografici, ossia delle lenti e sistema di lenti impiegate nella fotografia per prendere le vedute, e per prendere i ritratti, e si insegna in qual modo, e presso quali circostanze convenga far uso di ciascuna forma di oggettivi.

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il foco di una lente si comporta come il foco degli specchi sferici, di cui abbiamo parlato (a pag. 60); cioè esso non è un punto fisso, costante, ma è un punto variabile colla distanza dall’origine della luce cui la lente si presenta. Se un punto luminoso si avvicina alla lente, il foco, ossia l’immagine di questo punto si allontana dalla lente, ed inversamente, per cui se si mette il punto luminoso alla distanza presso cui dapprima si formava la sua immagine, il foco va ora a formarsi alla distanza presso cui si trovava dapprima il punto luminoso. Questo effetto si distingue chiamando fochi coniugati i due punti opposti occupati dal punto luminoso, e dalla sua immagine. I fochi coniugati sono così fatti, che non si può spostare l’uno senza spostare anche l’altro, e si chiamano coniugati per esprimere una tale mutua relazione tra essi. Ciò si comprenderà meglio da quel che segue.

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La qual confusione deriva dalle caustiche, o superficie brillanti, che si formano presso l’immagine, dovute, come qui abbiamo detto, dalla più o meno lontana intersezione dei raggi rifratti dalla lente.

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L’immagine, che si ottiene coll’oggettivo ortoscopico, è realmente più uniformemente nitida che non quella che si ottiene cogli oggettivi semplici, ma questa nitidezza, come abbiamo detto, lascia a desiderare, ed è perciò, che alcuni fotografi preferiscono far uso dell’oggettivo semplice nel prendere le vedute. Bisogna però dire, che la nitidezza è ancor notevole anche colla combinazione ortoscopica, poichè l’immagine, che con essa si ottiene, è ancor così nitida, che verso il centro può venire esaminata da un microscopio avente un foco di 0,025, il che equivale a dire, che essa si può osservare con un ingrandimento di 10 volte, e verso le estremità dell'immagine si osserva una differenza di nitidezza poco considerevole. Perciò con questa combinazione di lenti si può copiare carte geografiche nella scala di 1/5 con tale esattezza, che col mezzo di un microscopio che ingrandisca di 5 volte, cioè col foco di circa 5 centimetri, si può osservare nella copia tutti i dettagli, che si osservano nell’originale, ma aggiungerò, che, per copiare, la combinazione ortoscopica è superata da altri oggettivi.

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L’oggettivo doppio, munito di diaframma interno sufficientemente piccolo, può servire a fare vedute di piccola estensione, che in beltà e perfezione si accostano a quelle che si ottengono coi migliori oggettivi semplici; ma per copiare oggetti in scala naturale o presso a poco, esso è superiore ad ogni altro oggettivo, perchè produce un’immagine quasi intieramente priva di trasfigurazione, purchè il diaframma sia posto nella sua vera posizione che abbiamo detto di sopra: quando questo oggettivo si usa per copiare, bisogna evitare che in esso cadano raggi molto obliqui, cioè aventi una obliquità maggiore di 20°, perchè l’immagine prodotta da pennelli obliqui è accompagnata da frangie colorate.

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L’influenza della luce diffusa deve essere molto grande, e noi ne abbiamo una prova nel nostro occhio, che, come vedremo, può in certo modo paragonarsi ad una piccola camera oscura; così chi sta nel fondo di un pozzo può vedere le stelle in pien mezzogiorno, perchè ivi la luce diffusa è nulla.

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Colla camera a cassa scorrevole si ottiene facilmente una tale differenza per mezzo di un doppio compartimento scorrevole in modo, che non vi sia la cassa di dietro che scorre in quella che è fissa, come abbiamo veduto, ma che vi sia una cassa intermediaria capace di scorrere essa stessa nella cassa anteriore, e di ricevere la cassa posteriore, la quale essendo più piccola scorre ad attrito nella cassa intermedia. Con questa modificazione la camera a cassa scorrevole serve così bene come la camera a mantice, e si raccomanda come la più conveniente per la maggior solidità sua.

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Dalla descrizione che abbiamo dato prima d’ora dell’andamento dei raggi luminosi quando vengono riflessi da superficie piane, come sono gli specchi comuni, si può dedurre in qual modo operi lo strumento, in qual modo le due immagini, poste alle due estremità, possono confondersi virtualmente in una sola, quando coi due occhi si osservano nei due specchi posti a metà dell’istrumento. Questi specchi debbono formare tra loro un angolo diedro di 90°; ed un piano che divida per metà quest’angolo deve essere parallelo ai piani in cui si pose le due immagini, e perpendicolare al piano in cui vengono a porsi i due occhi dell’osservatore in

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Al contrario l’ossido di ferro, ossia la ruggine, che come abbiamo veduto è composta di ferro e di ossigeno, posto nelle stesse circostanze e condizioni, non si decompone, non lascia svolgere la più piccola particella di ossigeno. Qui il calore non vale a distruggere la affinità che passa tra l’ossigeno ed il ferro, la quale affinità è per conseguenza più forte di quella che esiste tra l’ossigeno ed il mercurio.

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Per trovare la quantità di acido reale che contengono le soluzioni molto più dilungate si prende la carta di campeggio come abbiamo indicato presso l’acido solforico. Cioè si prende per termine di paragone un titolo normale di acido cloroidrico, e si cerca col polimetro chimico l’ignoto rapporto dell’acido e dell’acqua. Si potrebbe anche far uso dell’acqua normale dell’acido solforico, perchè la modificazione della carta blù di campeggio succede in ragione inversa degli equivalenti di questi due acidi.

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—Il rapporto che abbiamo nella formola indicata di sopra tra albumina ed il ioduro di potassio:: 400: 1, e quello coll’iodio: 100: 0,2, deve essere conservato, perchè se tu impieghi una maggior quantità di queste due sostanze verrai a produrre sulla tua albumina, nel sensibilizzarla, una troppo grande quantità di ioduro d’argento, e le prove negative risulteranno troppo intense. All'incontro se tu diminuisci i rapporti sopraddetti, i disegni che otterrai non saranno abbastanza vigorosi, i contrasti delle tinte non saranno abbastanza pronunciati.

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È degno di osservazione che i metodi comunemente usati per preparare l’albumina e per sensibilizzarla conducono ad una sensibilità che è troppo piccola relativamente a quella che si ottiene d’ordinario col collodio e colla lamina, mentre abbiamo l’esempio di vari casi, in cui coll’albumina si ottenne una sensibilità così grande, da lasciarsi indietro quella che si può ottenere nelle migliori condizioni col collodio, e colla lamina. Infatti il signor Bacot nel 1851 indirizzò all’Accademia delle scienze in Parigi delle prove positive tirate da negative sul vetro albuminato, rappresentanti il mare con onde agitate.

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Preparando l’albumina nel modo che abbiamo detto, i vetri albuminati si possono senza inconvenienti conservare sensibili per tre mesi ed anche di più, ben inteso se si ha cura di tenerli ben riparati dalla luce in una cassetta perfettamente chiusa. Invece avendo io una volta tentato di sostituire il ioduro di ammonio all’ioduro di potassio nel preparare l’albumina, le mie lastre albuminate dopo quattro giorni dalla loro sensibilizzazione avevano perduto ogni sensibilità, e si ricoprivano di un velo bruno di argento ridotto nello sviluppare l’immagine. Li signori fratelli Alinari di Firenze hanno anch’essi trovato lo stesso inconveniente coll’uso dell’ioduro di ammonio nel preparare l’albumina.

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Per causa dell’ordine che abbiamo dovuto adottare, non faremo conoscere il modo di produrre le prove positive che dopo di aver descritto i vari procedimenti per i negativi, perciò il principiante potrà consultare la parte seconda di questo libro terzo se desidera tosto imparare il modo che si deve seguire nel produrre le prove positive col mezzo del negativo che avrà ottenuto. Ma se il principiante avrà a sua disposizione del collodio, noi vorremmo consigliarlo a voler prima studiare il metodo descritto nella seguente sezione.

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Finalmente osserva che qui abbiamo prescritto grammi 10 di cotone cardato. Questo cotone prima della sua immersione nel miscuglio acido deve venir riscaldato sopra di una piccola rete di fili metallici posta un poco distante da un focone contenente dei carboni accesi, o altrimenti, e si deve scaldare sino al calore dell’ebollizione dell’acqua per cacciar l’acqua che il cotone contiene naturalmente alla temperatura ordinaria, la quale acqua è sempre del 10 per 100 almeno, di maniera che i 10 grammi di cotone freddo non diventano più che 9 grammi di cotone caldo.

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Il miglior modo di lavare il fulmi-cotone, e nel tempo stesso il più semplice, mi pare che sia quello che abbiamo indicato di sopra, e che consiste nel lasciarlo per molte ore di seguito nell’acqua di quando in quando rinnovata, avendo cura di comprimere alcune volte colla mano la materia filamentosa per far cambiare l’acqua che rimane tra di essa. Dopo si comprime il cotone torcendolo forte dentro di un pezzo di tela, e si fa seccare. È difficile lo stabilire il tempo ad impiegarsi nel lavare la pirossilina. In media il tempo è di 24 ore, ma può variare molto secondo la contrazione che ha subito nella sua preparazione. L’essiccamento del cotone fulminante si effettua in due o tre giorni se si lascia soltanto esposto all’aria alla temperatura ordinaria, e si effettua in tre o quattro ore se viene esposto ai raggi del sole.

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Prolungando, come abbiamo prescritto, il tempo per 40 minuti, una parte del cotone si scioglie però nel miscuglio acido, e la perdita che si ha è piuttosto sensibile se da 10 minuti si prolunga il tempo dell’immersione sino a 20 minuti.

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Questo collodio, essendo meno denso di quello che abbiamo nella formola più sopra, si chiarifica più prontamente; esso può servire benissimo per 15. giorni circa senza gran fatto alterarsi, ma dopo diventa rossigno, perde molto della sua sensibilità, e finisce per diventare così fluido, che lascia sul vetro una pellicola troppo sottile, e questa pellicola è senza coesione, disaggregata, polverosa. Tutto questo disordine deriva dall’essersi impiegato dell’ioduro di potassio nel preparare il collodio. Se invece di ioduro di potassio l’operatore impiega dell’ioduro di cadmio, il collodio si conserverà inalterato per uno spazio di tempo indeterminato.

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Se il collodio si prepara con ioduro di cadmio, senza l’aggiunta del bromuro che abbiamo nella ricetta di sopra, si trova che esso è decisamente più sensibile, e che ha una forte tendenza a solarizzarsi sensibilizzando in bagno d’argento neutro, e sviluppando con acido pirogallico addizionato con acido acetico, e che produce dei neri troppo intensi. Ma l’aggiunta del bromuro di cadmio rende l’immagine meno densa, più armonica, più lenta a formarsi. Dopo qualche tempo la densità è maggiore, e la sensibilità egualmente, ed è allora che esso produce i migliori risultati, ed in questo stato si conserva indefinitamente.

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I bromuri e ioduri dovrebbero essere impiegati secondo le proporzioni atomiche: 1 equivalente o 1 atomo di bromuro sopra 3 equivalenti di ioduro è forse la proporzione migliore pei casi ordinari, ed essa è quella che noi abbiamo adottato impiegando 6 parti di ioduro di cadmio ed 1 1/2 parte di bromuro di cadmio. Infatti l’equivalente dell’ioduro di cadmio è 182, e l’equivalente del bromuro di cadmio è 134, e 182 × 3 : 134 = 6:1,5.

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Noi non abbiamo mai trovato un inconveniente in ciò per riguardo alla sensibilità, mentre le prove sortono con grande purezza e senza macchie.

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Abbiamo detto che dopo un lungo tempo il collodio, quando è preparato con certi ioduri, può arrossarsi e perdere della sua sensibilità. L’arrossamento è dovuto all’iodio dell’ioduro che si pone in libertà nel collodio. La mancanza di sensibilità non è solo dovuta alla liberazione dell’iodio, ma principalmente alla profonda alterazione che riceve il collodio quando si arrossa spontaneamente. Infatti il iodio aggiunto direttamente al collodio fotografico non ha sempre perniciose conseguenze sulla sensibilità, mentre è spesso utile per la maggiore purezza che comunica alle negative. Si credette dapprima che per ristorare la sensibilità di un collodio arrossato, alterato dall’azione del tempo doveva bastare aggiungergli della potassa, o qualche altro alcali, del cadmio in foglie sottili, o qualche altro metallo, p. e. del zinco, del ferro, ecc. Alcune volte questo ripiego è utile, ed il collodio riprende la sua sensibilità, ma altre volte non si ottiene il desiderato cambiamento, ed il collodio persiste nella sua mancanza di sensibilità.

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Le lastre di vetro a collodionare si lavano e si ripuliscono esattamente nel modo che abbiamo detto per quelle destinate ad essere albuminate, ed il ripulimento si protrae anche qui sino a che il fiato alitatovi sopra si condensi uniformemente e senza macchie sulla superficie del vetro. Il ripulimento delle lastre destinate ad essere ricoperte di collodio non è però di una importanza così essenziale, come nel procedimento all’albumina, epperciò noi non ci arresteremo più oltre intorno a questa operazione; faremo solo osservare, che l’operazione del collodionare si deve eseguire alla luce del giorno che si riceve dalla parte del laboratorio che si lascia aperta per tale oggetto, e che si chiude dopo terminato il collodionamento. L’eseguire questa operazione alla luce di una candela non conviene, perchè i vapori di etere, che si svolgono, possono infiammarsi, e ciò potrebbe principalmente succedere se la candela fosse posta in sito più basso che non la lastra che si collodiona, essendo i vapori dell’etere più pesanti dell’aria.

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Per evitare un simile inconveniente noi abbiamo veduto di sopra che conviene mettere il collodio in piccoli fiaschetti, in modo che ciascuno abbia a servire per una sola operazione nello stesso giorno. Quando si ha una provvista di collodio sufficientemente grande, è veramente così che si deve fare per evitare i non successi, ma quando si ha poco collodio, e che l’operatore deve far servire il collodio contenuto in un sol recipiente per collodionare alcune lastre, il miglior modo è di versare in un altro vaso il superfluo del collodio di ogni lastra. In tal maniera il primo vaso di collodio, se venne decantato con cura, per cui non abbia dei precipitati nel suo fondo, conserva la sua limpidezza, ed oltre a ciò non viene a ricoprirsi di bolle d’aria, le quali altrimenti venendo ad errare per le lastre che si preparano in appresso, occasionano delle striscie diagonali nel versare dalle lastre il collodio eccedente. Il collodio ricevuto nel vaso a parte si addiziona con qualche gramma di etere, e si ripone quindi col collodio primitivo quando si sarà ben chiarificato col riposo.

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Per questa operazione abbiamo nella prima edizione di questo trattato prescritto l’impiego del nitrato di argento fuso. Questo, quando è ben preparato, ha il vantaggio di essere perfettamente neutro, per cui la sensibilità che esso può comunicare al collodio è più grande di quella, che produce il nitrato di argento cristallizzato, che è spesso con reazione acida. Ma il nitrato di argento fuso non è sempre in buona condizione, perchè è difficilissimo il regolare la temperatura della fusione, la quale temperatura oltre certi limiti promuove una parziale decomposizione del nitrato d’argento. Le analisi, che si fecero del nitrato d’argento fuso hanno infatti dimostrato che in esso può trovarsi del nitrito d’argento, e dell’ossido d’argento. Coll’uso del nitrato d’argento fuso queste sostanze potendo venir introdotte nel bagno sensibilizzatore, ed essendo nocive nell’operazione del sensibilizzare in quanto che comunicano alle lastre collodionate una grande tendenza a macchiarsi nelle operazioni successive, ne deriva che è sempre cosa più sicura il far uso di nitrato d’argento cristallizzato. Quando si trova che quest’ultimo è con reazione acida, lo si può far recristallizzare, oppure si neutralizza l’acido eccedente nel modo che diremo nelle operazioni seguenti.

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Così nella prima edizione di questo trattato abbiamo prescritto il sensibilizzatore del collodio al 6 per 100, mentre qui, avendo un collodio più ricco di ioduro, abbiamo dovuto portare all’8 per 100 il nitrato del sensibilizzatore. Però in circostanze eguali è meglio che il bagno sia relativamente debole, perchè allora l’opera del sensibilizzare è più facile a riescire bene, quantunque essa sia un po’ più lenta ad effettuarsi. Quando il bagno contiene una dose un po’ troppo forte di nitrato d’argento, la produzione dell’ioduro d’argento sul collodio essendo subitanea, se non s’introduce di un sol getto la lastra nel liquido, e se non si agita il liquido stesso affinchè possa togliere dallo strato l’alcool e l’etere che respingono il bagno, ne succede una sensibilizzazione irregolare sul collodio steso sul vetro; inoltre la soluzione fortemente concentrata sciogliendo con facilità il ioduro d’argento, che dapprima si forma sul collodio, ne nasce che se non si ha la precauzione di lasciare per il minore spazio di tempo possibile la lastra nel bagno sensibilizzatore, rimane su di essa una troppo tenue quantità di ioduro, l’immagine non riesce bene.

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Laonde la quantità che abbiamo dato di sopra di 8 per 100 di nitrato d’argento potrà essere portata, al 6 ed anche al 5 per 100 quando la temperatura presso cui si opera è molto elevata.

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Noi abbiamo le varie volte osservato, che quando si corregge il bagno con acido. acetico non si ottiene poi una grande purezza nei bianchi delle prove. L’acido nitrico, che si mette nel bagno in piccolissimo eccesso, basta spesso per neutralizzare l’azione delle sostanze organiche che tendono a far macchiare le prove, mentre una tale azione non può venir effettuata dall’acido acetico, se non quando se ne aggiunge una dose molto forte.

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Il collodio venendo molto facilmente impressionato dalla luce quando è sensibilizzato col nitrato d’argento, bisogna, come abbiamo detto di sopra, che il gabinetto oscuro entro cui si fa l’operazione del sensibilizzare sia reso il più oscuro che sia possibile, e che la luce esterna non possa penetrare in esso. La luce diffusa del giorno è bianca, e basta una piccolissima quantità di essa per impressionare lo strato sensibile. La luce, che viene prodotta da una lampada e da una candela accesa pregiudica molto meno lo strato sensibile, perchè questa luce non è bianca, ma giallognola. Ma questa luce, quando è un po’ forte, può alterare notevolmente la sensibilità dello strato ed impedire che le prove riescano purissime nelle parti, che devono rimanere trasparenti, ossia che non devono ricevere una impressione sensibile. Perciò il miglior modo di illuminare il gabinetto oscuro, che deve servire alla sensibilizzazione del collodio, è quello di far uso di vetri gialli tinti coll’ossido di argento nella fusione del vetro. I vetri gialli aranciati di tinta un po’ intensa possono venire esposti ai raggi del sole e trasmettere una abbondante luce gialla nel gabinetto oscuro, senza che questa luce sia capace di produrre una impressione notevole sulla lastra di collodio sensibile.

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. — Quest’apparenza oleosa, di cui abbiamo già prima d’ora fatto menzione, deriva dalla difficoltà, che hanno l’etere e l’alcool del collodio a mescolarsi col bagno sensibilizzatore. Lasciando la lastra collodionata nel bagno per un tempo sufficientemente lungo, l’etere e l’alcool si mescolano col bagno e come più leggeri vengono alla sua superficie; ed un tal fenomeno si può osservare dal movimento, che prende da se stesso il bagno alla sua superficie appena che in esso si introduce la lastra collodionata. Se non si facesse totalmente partire le vene, e l’aspetto grasso dallo strato sensibile, il ioduro d’argento si formerebbe sulla lastra in modo disuguale, e la prova si verrebbe a macchiare infallantemente. Queste macchie possono anche derivare da ciò che rimanendo sulla lastra dell’etere e dell’alcool, questi impediscono poi una regolare azione del liquido sviluppatore.

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Nella parte ottica abbiamo spiegato in qual modo ciò succeda per la diversa rifrangibilità dei raggi colorati della luce.

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. — Da ciò, che abbiamo premesso, si ricava, che basta una sola prova per riconoscere se in un oggettivo a foco non coincidente, il foco chimico è al di qua, oppure al di là del foco visuale, che basta, cioè, prendere una veduta. In questa veduta gli oggetti devono essere tutti molto distanti, e nel mettere al foco si fa in modo che l’immagine nitida sia della massima nitidezza nel centro, cioè si fa attenzione che la massima nitidezza non sia verso le estremità, nel qual caso le parti verso al centro sarebbero meno nitide, il che deriva dalla curvatura dell’immagine formata dalla lente, mentre il vetro spulito è piano, per cui verso le estremità esso è più lontano dalla lente che verso il centro. Ora si tira la prova procurando che lo strato sensibile venga ad occupare esattamente il piano o la posizione occupata dal vetro smerigliato. La prova ottenuta se è nitida verso il centro indicherà che il foco chimico coincide col foco visuale, se invece è nitida verso gli orli, sarà indizio che il foco chimico è più lontano dalla lente, e se essa non è nitida verso il centro e lo è meno ancora verso le estremità, allora il foco chimico è. più vicino alla lente, che non il foco visuale.

Pagina 383

Il signor De Latreille, nel suo egregio trattato di fotografia, propone quest’ultimo acido in quantità presso a poco eguale a quella che abbiamo prescritto per l’acido acetico (a). L’acido citrico non ci pare sia conveniente fuorchè allorquando si vogliono produrre delle prove positive destinate ad essere osservate per trasparenza, perchè esso produce dei neri perfetti, mentre coll’acido acetico non si ottengono che neri poco intensi, e volgenti o al bruno o al rosso.

Pagina 397

Versando invece la soluzione gommosa sullo strato di collodio secco, nella persuasione di potere poi stenderla col mezzo di un bioccolo di cotone, operando come abbiamo veduto presso l’albumina, si trova che spesso lo strato di collodio si lacera sin dai primi istanti in modo irreparabile, per causa della sola forza di dilatazione esercitatavi dal liquido inegualmente distribuito. Si vede a fortiori che se si volesse far uso del cotone, non si mancherebbe di guastare l’immagine.

Pagina 412

. — Come abbiamo detto prima d’ora, il collodio per la sua natura permeabile cedendo facilmente tutto il ioduro d’argento inalterato alla soluzione concentrata di iposolfito di soda, viene da questo reso di una trasparenza perfetta nei siti che non vennero impressionati dalla luce. Da ciò ne nasce che se la prova fissata coll’iposolfito di soda 40 per 100 si pone sopra di un fondo nero, si ha sottocchio una prova positiva, la quale sarà tanto più perfetta, quanto più l’esposizione non sarà stata troppo prolungata. Infatti con una posa molto lunga le parti oscure del modello, avendo tempo di decomporre, di ridurre parzialmente il sale d’argento sensibile alla luce, producono una impressione corrispondente che diminuisce o toglie la trasparenza necessaria nelle ombre.

Pagina 412

lo non ho verificato l’esattezza di questa tavola, nè di altre di questo autore, ma lo scorgere come nella sua tavola dell’iposolfito al grado 10 corrisponde il N. 194,471 pel quantitativo del sale, e come nella tavola del cloruro di ammonio dello stesso autore allo stesso grado 10 corrisponde il N. 251,952, mentre qui non abbiamo che il N. 128,934, mi fa supporre che una differenza così grande sia troppo considerevole.

Pagina 431

. — Nella formazione delle prove negative abbiamo fatto osservare che il nitrato d’argento deve adoperarsi allo stato neutro, e che quando non è tale conviene sottoporlo ad un forte calore, farlo fondere per scacciare l’acido libero, oppure neutralizzarlo con un carbonato alcalino. Ciò è anche importante per la produzione delle prove positive. Se si prepara la soluzione d’argento con nitrato molto acido, le prove positive nel fissarle si macchiano facilmente.

Pagina 433

. — Il cloruro d’argento, che si produce nel sensibilizzare la carta per positive, non essendo così sensibile ai raggi della luce come il ioduro d’argento, si può impunemente sensibilizzare ad una debole luce diffusa; ma bisogna dire che è preferibile illuminare la camera ove si sensibilizza con una finestra a vetri gialli, come abbiamo raccomandato più sopra, perchè non è allora necessario di fastidiarsi se la carta rimane più o meno lungo tempo sotto l’influenza della luce gialla. La luce di colore arancio sarebbe ancor meno a temere della luce gialla, e la luce rossa non produrrebbe quasi più alcuna azione sulla carta sensibile. Infatti:

Pagina 442

Se nel sensibilizzare la carta venne adoperata una soluzione soverchiamente concentrata di nitrato, oppure se, come prescrivono alcuni, si fa seccare la carta mettendola in una tavola orizzontale appena estratta dal nitrato d’argento, invece di lasciarla sgocciolare e seccare appesa con un ago ad una corda tesa, come abbiamo detto, possono formarsi sulla superficie sensibile dei piccoli cristalli di nitrato d'argento, i quali, venendo in contatto collo strato della negativa, producono delle macchie indelebili sopra di questa.

Pagina 446

Come abbiamo detto, la soluzione di iposolfito di soda, mentre, coll'uso, per contenere del tetrationato di soda e dell'iposolfito d’argento, acquista la facoltà di comunicare delle tinte aggradevoli all’immagine, ha il grave torto di rendere questa meno solida contro l’azione del tempo. Perciò l’operatore dovrà evitare di servirsi di bagni vecchi di iposolfito per fissare e colorare, e cercare nelle soluzioni di cloruro d’oro il modo di colorare convenientemente le prove, come insegneremo più avanti.

Pagina 454

L'acido cloroidrico ha una proprietà sul cloruro d’argento, che prima d'ora abbiamo accennata, e che qui è principalmente vantaggiosa. Esso col suo contatto impedisce l'azione della luce sopra del cloruro d'argento della prova positiva, di maniera che si può illuminare liberamente il disegno nella soluzione del cloruro d'oro acido, per seguitare coll'occhio le differenti fasi per cui passa il colorito, senza alcun pericolo di danneggiare la prova. Come è evidente non si potrebbe rimpiazzare l’acido cloroidrico in questa reazione, nè coll'acido acetico, nè coll’acido solforico o coll'acido nitrico, per la ragione che il nitrato d'argento della prova verrebbe a decomporre il cloruro d'oro, prima che questo potesse operare sopra il disegno.

Pagina 457

Se la si conserverà in una cassetta contenente del cloruro di calcio essa potrà conservarsi molto lungo tempo senza che si guasti perchè, come abbiamo avvertito più sopra, l'umidità è quella che altera assai presto la carta sensibile quando questa è fuori del contatto della luce.

Pagina 460

Non si potrebbero dare altre regole in questa operazione, tranne quelle che da se stesse emergono dalla nostra teoria del miscuglio dei colori, epperciò il lettore farà bene consultare la parte ottica ove abbiamo trattato del miscuglio dei colori, a pagina 70.

Pagina 465

. — Per inverniciare la prova con questa sostanza prendi l'albume d'uovo, battilo in neve, e lascialo liquefare col riposo, nel modo che abbiamo veduto, quindi adoperalo senza dilungarlo con acqua, quando vuoi una vernice molto brillante, e dilungalo invece con acqua quando non vuoi far altro che correggere le asperità troppo grandi della carta, ottenere una vernice leggera. Alcuni mescolano coll'albumina della gomma arabica sciolta nell'acqua; la vernice viene in tal maniera resa più solida, e meno alterabile dall'umidità. La sua applicazione sulla prova si fa nel modo che si disse per preparare la caria positiva col mezzo dell'albumina.

Pagina 467

Presso di noi non abbiamo alcun gelatinatore di professione, per quel che io sappia, epperciò sarà tanto più utile che noi abbiamo ad intrattenerci sopra di quest'arte del gelatinatore, assai umile in se stessa, ma che in Parigi è una specialità importante che viene utilizzata in molte guise, p. e., per abbellire vari disegni, per formare fogli colorati o non, su cui si stampano, in oro od in argento, indirizzi, biglietti di visita, ecc., ecc.

Pagina 469

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