Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il successo nella vita. Galateo moderno.

173148
Brelich dall'Asta, Mario 50 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
  • UNICT
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Se vogliamo offrire a qualcuno un oggetto gli diciamo p. e. « Mi permette di prendere la Sua valigetta? » o « che io Le offra il mio ombrello? ». La risposta può essere: « grazie tanto, Lei è molto gentile » o qualcosa di simile. Un aiuto offertoci ma a cui possiamo rinunziare, lo si

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Se in seguito a morte, malattia o sinistri, il biglietto non ha potuto essere utilizzato interamente, verrà rimborsata la differenza tra il prezzo pagato e la tariffa del percorso fatto. Le tasse per i posti riservati non vengono rimborsate. Dall'importo rimborsato viene dedotto il costo del biglietto, le eventuali mediazioni e spese postali. Queste deduzioni non hanno luogo se il biglietto viene restituito in giornata ed intatto. Per biglietti smarriti o rubati, non viene fatto alcun rimborso. Il diritto al rimborso cade in prescrizione dopo sei mesi dall'ultimo giorno di validità del biglietto. La tariffa può contenere anche altre disposizioni, le quali però non possono essere più sfavorevoli al viaggiatore. Il rimborso del prezzo dei biglietti ridotti e di biglietti valevoli soltanto assieme a biglietti di posti riservati, può essere escluso dalla tariffa oppure effettuato soltanto a determinate condizioni. I biglietti dei bambini non possono essere calcolati a questo effetto come biglietti a prezzo ridotto.

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Inoltre il viaggiatore, salvo contrarie diposizioni, può consegnare anche sciolti, ossia non imballati, i seguenti oggetti: A) Sedie portatili e carrozzine per ammalati. Motocarrozzine per ammalati, sedie a sdraio. B) Carrozzelle per bambini. C) Carretti a mano. D) Slitte per sport, canotti fino alla lunghezza di tre metri, ski, ecc. E) Biciclette anche con motore, motociclette anche con carrozzella. F) Campionari. G) Strumenti musicali in cassette, fodere o altri imballaggi. H) Oggetti destinati ad esposizioni, se sono facilmente collocabili nel bagagliaio. I) Strumenti di misurazione sino alla lunghezza di M. 5; utensileria. La tariffa può limitare il quantitativo degli oggetti da consegnarsi come bagaglio. Nei mezzi di locomozione con motore a scoppio, può essere contenuto nei serbatoi anche il combustibile. Altre disposizioni, come il trasporto di animali ed altro, sono contenute nella tariffa.

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Si è obbligati a ciò, tanto

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Riteniamo necessario di dedicare a questo argomento un capitolo a parte, non soltanto perchè la grande maggioranza degli uomini passa più della metà della vita nell'attività della propria professione, ma anche perchè il giusto comportamento ed atteggiamento di fronte alle varie persone e situazioni costituisce un'importante prerogativa per il progresso nella carriera.

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Le congestioni non sono collegate a perdita di coscienza, ma per loro cause assomigliano al colpo apoplettico e non di rado sono i prodromi di un attacco apoplettico. Esse consistono in un'iperemia del cervello e si palesano con rossore del viso, scintille davanti agli occhi, dolori di testa, ronzìo agli orecchi, vertigini. Rimedio: bagni caldi alle mani e ai piedi, impacchi freddi sul capo, posizione tranquilla a corpo rialzato.

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E dietro a loro si mettano nove cavalieri. Sì, proprio dietro alle sedie e precisamente dietro quella vuota anche. No, egregio dottore, non sia tanto avvilito se proprio le è capitata la sedia vuota. Già chi tardi arriva, male alloggia. Ma coraggio d'altra parte, che proprio a Lei sta di iniziare il gioco. Fissi i suoi sguardi più dolcemente possibile su una delle nostre rappresentanti del gentil sesso e cerchi di attrarla a sè col calore dei suoi occhi, finchè essa, accorgendosene, si alzi dal suo posto per accorrere a Lei. Ma non creda che ciò sia tanto facile. Che dietro ad ognuna di esse sta un cavaliere servente che non intende farsela rapire da un solo sguardo e cercherà di trattenersela con la forza. Sì, con la forza, ma non con la violenza, poichè, Lei, caro ingegnere, arrischia di strappare le vesti alla sua dama. Nè d'altra parte si deve trattenere la dama prima che abbia ad accennare ad alzarsi o tenere le mani sopra le sue spalle. I cavalieri sono pregati di distendere le loro braccia lungo i propri fianchi, così, come dice il regolamento militare, chi lo ricorda? « Col pollice disteso lungo la cucitura dei pantaloni ». Eh sì, è la posizione dell'attenti ed attenti state ora, se non volete che l'egregio dottore coi suoi dolci sguardi vi porti via la dama. Si, egregio dottore, prenda coraggio, e faccia i suoi occhi più dolci e più languidi ancora, ma soprattutto più ardenti se vuol riuscire a far comprendere la sua domanda alla dama che sta fissando. L'ingegnere gliela ha trattenuta. Cerchi di fare gli occhi... di triglia a qualche altra dama il cui cavaliere sia meno attento. Forse questo novello Adamo non pensa alla sua Eva che ha seduta dinanzi, ma a qualche altro « serpente » e Lei ne approfitti della sua distrazione, Così, va bene. Ed ora che la ha conquistata stia attento a mantenersela. Ed ora naturalmente è l'egregio avvocato, che è rimasto abbandonato, a dover cercare di attirare a sè un'altra damigella ». E così via. Se dovesse capitare al cavaliere che cerca col suo sguardo di attrarre a sè una dama, che invece di questa gli si slanci un'altra che egli non intendeva, egli può rapidamente voltare la sedia osservando che il suo sguardo non era rivolto a lei. Certo questo rifiuto... poco cavalleresco... non dovrebbe esser fatto che fra persone che ben si può essere convinti che non abbiano a dolersene o ad offendersene e piuttosto il cavaliere farà bene di far buon gioco a cattiva fortuna ed accettare la damigella che gli è piovuta dal cielo piuttosto di scatenare un temporale. Il gioco può essere anche invertito e mettere seduti in circolo i cavalieri, mentre resta alla dama che ha davanti a sè la sedia vuota di invitare con gli sguardi più soavi il cavaliere che consoli la sua solitudine. E qui è ben più facile che la dama abbia a... voltare la sedia... rifiutando il cavaliere non chiesto con i suoi sguardi, poichè i cavalieri in generale sono meno permalosi e non si offendono facilmente per un rifiuto mormorato da due labbra dolci. Chè anche di fronte ad un rifiuto il cavaliere deve comportarsi come tale e far buon viso ad avversa fortuna.

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E' un gioco che richiede a tutti i partecipanti una buona dose di spirito e di arguzia nonchè un grado di coltura piuttosto elevato specialmente però in colui che deve indovinare il proverbio. Questi deve appartarsi per qualche tempo, finchè i partecipanti si sono accordati sul proverbio da prescegliere. Bene è trovare un proverbio che abbia tante parole quante sono le persone che devono rispondere all'indovino, oppure in modo che ogni persona debba rispondere a due domande avendo due parole dello stesso proverbio da indicare, oppure infine che il proverbio sia così breve da ripetersi nel giro dei partecipanti per due o tre volte, di modo che sono due o più i partecipanti che devono indicare la stessa parola. Sia per esempio scelto in un piccolo gruppo di famiglia il detto « Can che abbaia non morde! » il primo partecipante deve citare nella sua risposta a qualsiasi domanda dell'indovino la parola « cane ». Ad esempio: Cosa farai questa sera? - Risposta: Ma mi prendi per una cane? Che debba render conto di quanto farò » e così via ognuno deve ripetere la propria parola assegnatagli nella risposta in modo che tenendo conto dei vocaboli meno usati delle singole risposte e del numero dei partecipanti, l'indovino a poco a poco comprende di qual proverbio o detto od anche verso si tratti.

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Questo gioco, a cui furono dati i più vari nomi occasionali, quali: il traforo del Sempione, Lo spaccamontagna, La cava e via di seguito, è sempre molto divertente fra piccoli e grandi. Tutti i partecipanti siedono intorno al tavolo nel cui mezzo l'organizzatore pone un grande piatto sul quale vi versa della farina, adagio, adagio, in modo che abbia a disporsi a mo' di montagna il più aguzza possibile. Proprio sulla cima l'organizzatotore pone un anello, meglio se è una vera matrimoniale liscia e bassa, oppure uno stuzzicadenti sul quale sia stato fissato un pezzettin di carta per farne una bandiera. Ed ora attenti! L'organizzatore comincia il gioco. Prende un coltello e spiega: « Ciascuno di Voi deve tagliare via una fettina della montagna di farina spingendola col coltello a margine del piatto. Ma, adagio ed attenti! Poichè chi fa cadere l'anello o la bandiera, deve estrarlo con la bocca. In principio ognuno taglierà con coraggio, non essendovi pericolo che l'anello abbia a cadere tanto presto, ma un po' alla volta ognuno diventa più cauto ad attento, poichè l'anello comincia già a slittare. La sua caduta è seguita da una grande risata, poichè il giocatore che l'ha provocata deve estrarre l'anello con la bocca dalla farina, infarinandosi la faccia, o sbruffando la farina con qualche risata incapace di trattenersi. In ogni modo la pesca dell'anello darà occasione di allegria per tutti.

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Poi comunica a tutti che egli farà un racconto in cui entreranno tutti gli animali e chi sente nominare l'animale assegnatogli dovrà imitarne la voce. In un pomposo racconto egli citerà i singoli animali ed i partecipanti sbellicheranno dalle risa a sentir belare improvvisamente una signorina od abbaiare qualche signore. Il gioco si presta anche per raccogliere pegni, poichè chi dimentica di far la voce dell'animale quando questi viene nominato o chi la fa quando non se ne parla è condannato a mettere pegno.

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può anche dare occasione a qualche gioco divertente. Per esempio tutti sono passati per i giardini pubblici, ma chiedete a l'uno od all'altro se le cancellate sono fatte con sbarre di ferro rotonde o quadrate? Se hanno la punta in alto? quanti gradini ha la fontana? e via di seguito. Quindi anche una descrizione breve a memoria di un posto conosciutissimo può dare occasione di divertimento e di discussioni che potranno essere chiarite subito con la presentazione di una cartolina illustrata o di una fotografia o che saranno il pretesto per fare poi in compagnia una passeggiata. Ma

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Già fra i giochi precedenti abbiamo indicato vari giochi che possono servire per raccogliere fra i giocatori « pegni » che poi devono essere riscattati dal giocatore, sottoponendosi questi a fare una « penitenza ». Parleremo più innanzi delle « penitenze » mentre in questo breve capitolo ci limiteremo ad indicare alcuni giochi che hanno per fine esclusivamente l'assegnamento di un « pegno » a chi non li sa assolvere.

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Il penitente si colloca in piedi con le mani a tergo, davanti ai compagni di gioco. Gli è vietato di fare qualsiasi movimento. Un compagno gli passa celermente davanti alla bocca e alla distanza di venti centimetri circa una candela accesa. Il penitente deve soffiare e spegnere la candela mentre passa. Non riacquista il pegno fino a quando non è riescito nell'intento.

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Per ultimo si invitano a inginocchiarsi. Una volta in ginocchio, la signora volge la testa a destra, il cavaliere a sinistra e, sempre restando in ginocchio, si scambiano il bacio dell'amicizia. Si corre il rischio, in questo piacevole esercizio di perdere l'equilibrio. Se lo perde l'uomo, poco male; la comitiva se ne farà buon sangue: ma la dama non deve perderlo, e spetta al cavaliere d'impedire che ciò avvenga.

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Il giocatore che obbliga il penitente a prendere una determinata posa, deve farlo con la mano opposta a quella di cui si servi il giuocatore precedente. Chi erra, prende il posto del paziente.

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Il penitente continua a domandare pietà, e la signora a ripetere che non ha nulla da dargli. Se però, durante il colloquio col penitente la signora nomina un oggetto o una cosa, che il penitente ha confidato, come un segreto, agli altri della comitiva, la signora è obbligata a fare una penitenza, eseguendo quella qualsiasi che le venisse assegnata dai compagni.

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I giocatori si mettono in circolo rivolti verso il centro, mentre l'organizzatore del gioco gira intorno a loro tenendo un fazzoletto annodato ad uno dei capi ripetendo: « Non ti voltar, te l'ho già detto, se vuoi schivar, il fazzoletto »; oppure: « Non ti voltar, se no qual pena, ti colpirò sulla tua schiena ». Chi si volta può essere battuto col fazzoletto per punizione. L'organizzatore fa più volte il giro dei giocatori che devono tenere le mani dietro la schiena e, senza farsi accorgere, pone il fazzoletto nelle mani di uno dei giocatori. Questi resta fermo e non si muove, lasciando che l'organizzatore continui il suo giro, ma quando egli è nuovamente quasi vicino a lui, allora si muove dal suo posto e, dando un forte colpo col fazzoletto sulle spalle del suo vicino di destra, si mette a correre più che può per fare il giro e riguadagnare il suo posto. Anche l'altro giocatore abbandonerà il suo posto per fare di corsa il giro in senso inverso. Invece l'organizzatore che aveva quasi raggiunti i due posti lasciati vuoti, ne occuperà uno. Degli altri due giocatori chi arriva primo a fare il giro ed a rioccupare il posto ha finito il suo compito mentre l'altro rimasto senza posto prende il fazzoletto e ricomincia il gioco da principio come sopra indicato. Il gioco può essere variato anche come segue: si segnano sul terreno due circoli sufficientemente grandi perchè abbiano posto tutti i giocatori intorno ad uno di essi mentre l'altro circolo sarà distante una decina di metri. Intorno ad uno dei cerchi si dispongono i giocatori sempre rivolti verso l'interno mentre l'altro circolo resta vuoto. L'organizzatore gira dietro loro tenendo un fazzoletto annodato a palla ad uno dei capi e lo lascia poi cadere senza farsi scorgere dietro ad uno dei giocatori continando a fare il suo giro. Quando è alquanto discosto dal punto in cui fece cadere il fazzoletto grida: la palla è a terra. Allora tutti quanti i giocatori si voltano e quel giocatore che trova davanti ai suoi piedi il fazzoletto lo raccoglie e comincia a colpire con esso gli altri giocatori che fuggono per disporsi nuovamente intorno al secondo circolo. Raggiunto questo tutti si volgono al centro mentre il giocatore che ha il fazzoletto si mette a girare intorno a loro ed il gioco ricomincia.

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Se, però, con le lettere di una parola, variamente disposte, non si ottiene un novello vocabolo, sibbene una frase, l'anagramma, allora, si addimanda a frase. Esempio: Parlamentario: in te parla amor; e se ne sortono più frasi, allora s'ha l'anagramma a frasi. Esempio: Cenerentola: can è 'l tenor, è re nel canto, ovvero nel contare. Ora, è bene che si sappia, che la bellezza di un anagramma non dipende dal numero delle combinazioni a cui può aver dato luogo, sibbene quando offre di svolgerlo magari con due parole sole, caratteristiche, dissimili fra loro, sostantivi puri. E' tempo perso cercare col lanternino aggettivi, voci di verbi, parole storiche e geografiche, ecc., a meno che possano far parte integrale - senza sforzo - di un lavoro a soggetto. Altri esempi di anagrammi semplici: Entrare, terrena, errante, eternar; laconica, canicola; calonaci, cicalano; mareb, brame; cortesie, esercito, ecc.

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Ogni diritto ha il suo rovescio (Ogni D ritto; A; IL su o rovescio). Relazioni di spostamento. - Sono quelle decise dalle parole su, giù, sotto, sopra, imo, basso, qui, là, entro, fuori, alto, vicino, lontano, presso, a lato, distano, dopo, avanti, prima, poi, ecc. Relazioni matematiche. - Quando si profitta dei segni algebrici + (più); - (meno); (minore); (maggiore); : (o) X (per); : : (come); = (o, eguale o come); e infine l'esponente (a, ad, all, agli, ecc.). Relazioni grammaticali. - Date dalle particelle in, fra, tra, nel, nello, di, o dalle voci di verbo sono fatte, o sono di, fatte con, date da, ecc. Esempi:

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Intimi amici, miseria divide (In T imi A; mi CI; mi s'è; RI A divide). Le relazioni tra le lettere sono innumerevoli. Ecco gli esempi delle più comuni: Relazioni di posizione. - Sono quelle indicate con le parole chino, china, inclinata, eretto, ritto, diritto, rovescio, pende, giace, al suolo, steso, disteso, giacente, in terra, al rovescio, al contrario, etc. Esempio:

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Lo scommettitore si appresterà a levarsi la giacca « da solo » ma, pur lasciandolo fare, l'iniziato da parte sua si toglierà la propria giacca ed ecco che lo scommettitore non è stato capace di levarsi la giacca da solo ma sono stati in due a levarsela.

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Se non ci credete, andate a consultare il Trattato di Aritmetica di Nicola Tartaglia, che ha cercato di risolvere il problema di quattro mariti gelosi che, viaggiando con le relative mogli, vollero passare all'altra riva di un fiume con una barchetta capace di due persone sole. Trovarono, i buoni mariti, che il passaggio a quelle condizioni non era possibile. Però lo sarebbe stato se la barca ne avesse potuto contenere tre. A forza di ripieghi vi riescirono; ed allora fecero passare tre donne, affinchè una riconducesse la barca; al secondo viaggio passarono due donne ed una tornò a riva con la barca; questa restò con suo marito durante il terzo viaggio che venne fatto dagli altri tre uomini, uno dei quali tornò a prendere la coppia solitaria... accompagnato dalla moglie. Il quarto viaggio fu fatto da due uomini e una donna, che se ne tornò indietro con la barca per ricondurre sull'altra riva, nel quinto viaggio, l'amica restata ad attenderla. Ma, questo problema è simile al precedente. E' vero; ma non sono io che l'ho rubato al Tartaglia, sibbene il Bachet, che ci si è fatto bello!... Ed è per questo che li ho messi uno vicino all'altro.

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A. Si poteva disporre il proprio percorso in maniera di passare su ciascun ponte, ma una volta sola? Dopo lungo Euler si rispose: no! in base al calcolo seguente: sull'isola A sboccano 5 ponti sulla riva C »3 sulla riva B »3 » sulla riva D »3 » Più di due totali sono dispari, quindi il problema è insolubile.

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L'otto di cuori, di quadri a di picche. Vita lunga. - Inaspettate ricchezze. L'otto di fiori, di quadri e di cuori. - Vita tormentata da cattivi parenti od amici, ma vittoria finale. L'otto di quadri, di cuori a di fiori. Esistenza calma e felice. L'otto di picche, di cuori e di fiori. Lunga esistenza, malattie cagionate da soverchi piaceri. Cure di spirito.

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Per noi la chiromanzia non è, e non può essere altro che un mezzo piacevole per passare il tempo in allegra brigata, quando le noiose pioggie d'autunno, o i venti ghiacciati dell'inverno costringono a rimanersene tappati in casa e a rinunziare a più elevati ed intellettuali soddisfacimenti dello spirito.

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Quegli, che fa le carte, può darle due a due o tre a tre; ma il modo di distribuirle non può essere modificato durante la partita. Quando la carta dominante è un sette, chi fa le carte guadagna 10 punti. Se la carta dominante (la 13) non è un sette, il giuocatore che durante il giuoco prende dal mazzo un sette di briscola (seme dominante) ha il diritto, dopo una mano, di cambiarlo con la carta di briscola scoperta (13) e nello stesso tempo di segnare 10 punti a proprio vantaggio. Distribuite le 12 carte e voltata la 13, le altre, come nella briscola, si posano coperte su questa, e formano il mazzo. I giuocatori fanno le carte a turno. Del mazzo. - Il mazzo o talloneè costituito dalle 19 carte rimaste dopo la distribuzione e serve a sostituire volta a volta le carte che i due avversari giuocano. Dopo ciascuna mano, quegli che l'ha vinta prende la prima carta del mazzo, l'avversario quella che segue, e così di seguito fino ad esaurimento del mazzo. Valore delle carte. - La carta più alta è l'asso; seguono: il dieci, il re, la donna, il fante, il nove, l'otto e il sette. Le carte di briscola (del seme della 13) vincono tutte le altre, come nella briscola. Tra due carte dello stesso valore è la prima giuocata che vince.

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(Un mazzo di 52 carte). a) Il ventuno ordinario. Nel ventuno ordinario ciascun giuocatore mette la sua posta. Il banchiere distribuisce due carte coperte per ciascuna persona che partecipa al giuoco, e due ne dà al banco. Ciascuno, allora, guarda e somma i punti r appresentati dalle proprie carte, ricordando che le figure valgono10, l'asso 1 oppure 11, e le altre carte il numero rappresentato dai punti che sopra di esse sono impressi. Coloro che hanno un giuoco di due carte, la somma del quale è 21, le scoprono immediatamente e ricevono dal banchiere il doppio della posta. Egualmente, il banchiere che fa 21 d'amblé, cioè d'acchito, o di prima mano, ritira il doppio della posta da ciascun giuocatore, ad eccezione di quelli che avessero fatto 21 d'acchito, i quali nè pagano, nè riscotono nulla. Se il banchiere non ha fatto 21 d'acchito dice: - Dò carte. In tal caso i giuocatori cercano di aumentare i punti che hanno, avvicinando per quanto è loro possibile al 21, chiedendo: - Carte. Il numero delle carte da chiedersi è illimitato e il banchiere le dà scoperte fino a tanto che le carte in tavola, cioè quelle richieste e date, non sommino a 21 punti. Quando il giuocatore sorpassa il 21 è obbligato a dire: - Sballato, e paga la posta al banchiere. Dopo aver dato a tutti i giuocatori le carte domandate, il banchiere fa il suo giuoco, tentando di raggiungere il 21. Se sballa, paga la posta a tutti i giuocatori che hanno fatto 21 o meno di 21. Se non sballa ritira la posta da chi ha meno o ugual numero di punti al banco; paga la posta a chi gli è superiore.

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A questo scopo uno dei giuocatori mischia le carte, e sarà prima a fare il mazzo quegli a cui sarà toccato il primo trionfo, o quell'altra carta che d'accordo avranno indicata i giuocatori. 2. Permetterai, dice il codice piemontese, prima che tu dia le carte, che io le coppi (alzi) a mio senno. Una sola carta non si può coppare; ma voglio coppar basso, perchè dice il proverbio: Chi coppa basso, guadagna. Quelle che sono coppate le metterai sotto le altre, e le altre che erano sotto, debbono trovarsi al disopra del mazzo. Ricordati sempre, quando giuocherai, di dar a coppare a chi siede a sinistra; se questi non vuole, copperà l'altro; quando tutti ricusino, darai tu allora le carte, come sono state mischiate. 3. Se coppando si volterà una qualche carta inavvertitamente, sicchè essa si veda dai giuocatori, tu chiederai subito se devi di nuovo mischiare, e quando ti si risponda di sì, tu subito mischierai a darai a coppare nuovamente, perchè il giuoco non siasi ancora visto da alcuno. 4. Prima che si coppi abbi avvertenza di dir sempre in quante carte vuoi dare; e qualora tu voglia in progresso cambiar data, devi sempre chiederne permesso agli altri giuocatori, altrimenti ti faranno pagare la partita semplice. 5. Nel distribuirne le carte bada bene di non dar giuoco fallo, cioè una carta di più o di meno di quella che dar dovevi, perchè in tal caso ti farò pagare la partita, come la pagherò io, quando, coppando, andrò a vedere la carta che resta in fondo del mazzo coppato, se pur questo vizio non mi sarà passato per buono da tutta l'assemblea con cui giuoco, la quale ami praticare il simile. E' però inciviltà. 6. Prima di dare le carte dirai ancora ai compagni tuoi se giuocasi la rola, il marcio, quanti punti richiedansi per essere di smarcio; se avendo o il Folle o lo Scarto; o lo Scarto ed il Folle, si perde la partita rola, ecc., secondo si vuol giuocare a questo o a quell'altro giuoco. Tutto questo si deve conchiudere chiaramente prima di dar le carte, come pure di quanto si giuochi la partita semplice, qualunque sia il giuoco che facciasi. 7. Se darai o t'accorgerai d'aver dato giuoco fallo prima che abbi scartato, sarà bene che tu lo dica subito, perchè così non perderai la mano. 8. Debbo pur avvisarti che quando ti si porgono le carte a coppare, tu puoi, se ti piace, tralasciar di coppare; anzi per trattare civilmente, qualora vedessi che il tuo compagno sotto la tua coppa non avesse mai un giuoco di vaglia, farai bene una qualche volta a tralasciar di coppare, o far coppare da un altro. 9. Date le carte, non si deve nè parlare, nè guardare il giuoco d'altri, nè far segno nè cenno di sorta, massime se si giuoca tra più persone. Così si eviteranno parecchi litigi, e non si correrà il rischio di soggiacere ad alcuna penale. Chi parla o fa segni, pregiudica qualche volta sè stesso come gli altri. 10. Baderai pur bene di non dare le carte quando non ti spetti, e succedendoti, cesserai di dare al primo avviso che ti venga fatto, e rimetterai il mazzo a chi di ragione: così non soggiacerai ad alcuna penale, salvo che tu sia solito farlo per abuso o malizia. Se poi le carte fossero già date, e lo scarto fatto, saranno le medesime carte ben date, e tu che le desti pagherai il giro a suo turno come se non vi fosse stato sbaglio. Chi è stato saltato abbiasi il danno in pena della sua disattenzione. 11. Nel giuoco la parola vale tutto, così bisogna andar guardingo nel dire a monte, come usasi comunemente, e quando si è detto, bisogna adattarsi al danno che ne consegue. 12. Sta pur attento a non giuocare la carta, quando non ti tocca: e succedendoti, ritirerai subito la tua carta, se giuocasi in due persone; se in più, avrai pazienza e pagherai ciò che l'uso o l'accordo avrà stabilito. Studia pur bene prima di giuocare la tua carta, perchè, giuocata, non potrai più ritirarla. 13. Tu sarai sempre padrone di contare i tuoi punti, ma non quelli degli altri, cosicchè devi stare sempre attento alle carte non giuocate; da questa attenzione dipende mole volte il buon esito del giuoco. 14. Se dirai: ho scartato e poi volessi cambiare lo scarto, non potrai più, ancorchè t'accorgerai aver fatto errore; ed a questo proposito ritieni bene in mente che non si possono scartare gli onori, cioè nè il Re, nè l'Angelo, nè il Folle, nè il Bagatto, salvo che il Bagatto sia solo, senza il Folle ancora si potrà scartare, ma in un sol caso, cioè, quando si sia certo di far rola. In molti giuochi però, come a permesso, si potrà il Folle dar via quando torni in acconcio, cambiandolo in un'altra carta. 15. Se a bella posta o per inavvertenza rinnegherai, cioè non risponderai di quella sequenza o pallio che giocasi, avendone, sarai obbligato a pagare ai compagni la partita semplice, eccettochè le carte siano ancora in tavola da coprire; ed in tal caso chi ha giuocato il prima lascierà la sua carta, chi ha rinnegato la cambierà, e tutti gli altri appresso saranno ancora padroni di cambiarla. 16. Ti guarderai pur sempre dal prendere punti al tuo compagno, perchè se sarai colto sul fatto, pagherai, ancorchè avessi guadagnato. Farai dunque benissimo ad osservare che ciò non si faccia da altri con tuo danno.

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Non eccedendosi questo numero, e rimanendo a soli trentasei, la partita non sarà nè vinta nè perduta; poichè, perdendo trentasei, col giuoco fallo consumato, rimane in pace, e pagando l'onoranza di dieci punti segue lo scarto a chi succede. Il rifiuto, o rinnegamento, quand'è fatto ad arte e con malizia, paga la partita, come si disse nel giuoco precedente. Lo scarto dei tarocchi, quando non ve ne siano altri, è permesso: quello degli onori è vietato rigorosamente. Ogni onore vale per cinque punti. In questo giuoco è proibito ogni qualunque parola, o segno particolare, tendente a scoprire il giuoco del compagno a danno degli avversari; sono però permessi i segni di convenzione fatti sulla tavola secondo l'uso.

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A distribuzione compiuta tra i giuocatori s'inizia una specie di gara (asta). Il distributore ha la priorità nella scelta del colore dominante con atout o senza atout. Se le sue carte non gli consentono di dichiarare, passa la parola al vicino di sinistra, che si comporterà nello stesso modo. Se nessuno può o crede di fare una dichiarazione, ciò che accade quando le carte sono molto divise, si addiviene ad una nuova distribuzione, passando la mano. La nuova distribuzione può farsi in due modi: a) ogni giuocatore dispone le sue carte di valore dall'asso al due, ordinandole da destra a sinistra per colori: picche, cuori, quadri, fiori. Quindi, mette il pacchetto delle proprie 13 carte su quello di chi le ha precedentemente distribuite, e ciò in ordine da destra a sinistra. Riformato così il mazzo, si mescola e si fa tagliare dal giuocatore di sinistra e si distribuiscono le carte in senso contrario e cinque per due volte e poi tre a ciascun giuocatore; b) oppure: ogni giuocatore passa e riceve da ogni compagno quattro carte. Spetta allora al vicino di sinistra del distributore di fare la dichiarazione. Le prese o levate sono 13, di cui 6 obbligatorie e 7 d'incanto. La dichiarazione quindi consiste nello impegno di fare, dopo le obbligatorie, tre prese a picche sulle sette non obbligatorie. Le rimanenti 4 possono esser fatte dagli avversari. I colori si dividono in due gruppi: forti o maggiori (picche e cuori), deboli o minori (quadri e fiori). Ciò importa, durante l'asta, la necessità di superare il numero delle prese dichiarate dall'avversario nel loro valore, nel fine di ottenere l'assegnazione del giuoco dichiarato. Esempio: Se A dichiara due prese di picche, C, avversario, deve dichiarare tre prese di cuori, dovendosi tener conto che due picche valgono 18 punti, mentre due cuori ne valgono 16. Di conseguenza a tre picche si opporranno in dichiarazione cinque fiori, e a quattro picche quella di sei quadri. A parità di totale sono sufficienti le prese dichiarate in più. Es. per quattro picche occorrono sei fiori, quantunque i due totali si pareggino nei 36 punti ciascuno. Questo è di regola generale, poichè taluni tengono calcolo non della somma dei punti delle prese, ma del loro numero.

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Col pollice e l'indice si prende l'asticciuola che lo attraversa al centro e s'imprime al girlo un moto rotatorio come a una trottola. Quando si ferma, il girlo presenta sempre superiormente una delle facce piane sulla quale si legge un numero poichè ciascuna di esse è numerata progressivamente dall'l al 6, all'8, al 10, al 12, secondo i casi. Talvolta il girlo ha sei facce solamente. Due portano incisi ghirigori qualsiasi, le altre una lettera maiuscola dell'alfabeto, e cioè: P. A. D. T. Queste lettere son le iniziali di quattro parole latine: pone, rappresentato dal P, e quando rimane scoperto dice a chi ha fatto frullare il girlo: paga. L'A è l'iniziale della parola: accipe, cioè incassa; la D è l'iniziale della parola dà, cioè paga; la T è quella della parola totum, e quando nel giuoco si scopre, dà facoltà a chi ha fatto il colpo di rimpossessarsi di tutte le scommesse. Il girlo a 12 facce è detto anche porcellino (dal francese); ma allora non ha l'asticciuola, sibbene ha la forma di un dodecaedro, cioè di un dado a dodici facce; non si fa frullare, ma si getta, come il dado; sul tavoliere. Vari sono i modi di giuocare il girlo, ma tutti si basano su queste regole: 1. I giocatori mettono tutti una posta eguale per formare il fondo di cassa del piattello. 2. I giocatori a turno fanno frullare o gettano (secondo i casi) il girlo. 3. Il girlo ha le facce o i numeri colorati, metà in rosso, metà in nero. 4. Si stabilisce quale colore debba guadagnare, quale debba perdere. 5. Si ritira o si paga un numero di marche o monete, pari al numero scoperto.

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Leggere che Omero ne parla nel Canto I della sua Odissea, e che taluni attribuiscono l'invenzione di questo giuoco a Palamede, non aiuta a vincere una partita, nè a perderne con meno disdoro una ormai compromessa. Lo scacchiere, detto pure damiere e tavoliere, è un quadrato risultante da un determinato numero di quadrati più piccoli, dette caselle, bianchi e neri alternati. Nel damiere all'italiana le caselle sono 64, ma in quello alla polacca le caselle sono 100. Nel giuoco con il damiere all'italiana i giuocatori dispongono, ciascuno, 12 pedine sulle caselle bianche delle tre prime file più prossime ai giuocatori; ma nel giuoco alla polacca le pedine da disporre sono 20 per ciascun giuocatore e si posano sulle caselle bianche delle prime quattro file. Le pedine sono bianche e nere. Le bianche spettano tutte ad un giuocatore; le nere tutte al compagno. Di alcune voci proprie nel giuoco della dama. Avere la mossa. Diritto di fare la prima mossa al cominciare del giuoco. La mossa nella prima partita spetta a chi fu designato dalla sorte; nelle successive al vincitore dell'ultima partita. Barattare, fare baratto. Dare a mangiare uno o due pezzi all'avversario per mangiargliene altrettanti. Chiudere, vuol dire mettere un pezzo avversario in condizione di essere mangiato se mosso. Dama, addimandasi quella pedina che è pervenuta a collocarsi nella prima fila dell'avversario, la più lontana dal giuocatore a cui appartiene la pedina. Damare una pedina, significa sovrapporre una pedina dello stesso colore a quella che è pervenuta a dama. Fare gli occhiali, dicesi quando un giuocatore riesce a collocare una propria dama tra due pedine o dame avversarie, in maniera da poterne mangiare una. Liberare. Accorrere con una dama o con una pedina in soccorso di un pezzo chiuso o in pericolo. Mangiare, vuol dire vincere una pedina, o più pedine, o dame all'avversario. Soffiare o buffare, significa: confiscare una pedina o una dama dell'avversario che, potendo prendere, non ha mangiato.

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I principii del giuoco di dama all'italiana sono: guadagnare qualche pezzo dell'avversario; chiuderlo a pezzi eguali o inferiori di numero; andare a dama più presto che si può. I baratti sono utili per sbarazzare la via che conduce a dama, e per favorire il giuoco prefissosi da uno dei giuocatori. Ciò dico, per ricordare che alla dama non si giuoca, nè si può giuocare a casaccio; ma che tutte le mosse devono essere determinate da una considerazione, sia pure errata, poco monta, purchè riflettuta. A dama, insomma, non si giuoca a... orecchio. Un buon giuocatore non deve serrare troppo il suo giuoco, nè sparpagliare eccessivamente le sue pedine. Nel primo caso corre il rischio di essere chiuso; nel secondo di vedersi mangiare due, tre e forse quattro pezzi di seguito, per una mossa abile fatta dall'avversario. Cercare di accaparrarsi i lati della scacchiera, affinchè sia possibile fronteggiare e immobilizzare con uno due pezzi avversari, è buona tattica. Se un giuocatore indebolisce il proprio giuoco da una parte è opportuno aggredirlo con forza su quel punto, onde, con un cambio o con il sacrificio di una pedina, si possa andare sollecitamente a dama, senza però abbandonare o indebolire il lato contrario. Chi possiede una dama, si ricordi di non tenerla inattiva; ma cerchi con quella di infliggere il maggior numero di perdite all' avversario. Il buon giuocatore si rende sempre conto di tutte le mosse e delle conseguenze, anche lontane, che ne possono derivare. Scoprendo o indovinando il giuoco avversario, gli si crei subito una opposizione; e si abbandonino subito i progetti, che risultassero indovinati dalla parte avversa. La posizione, più che il numero delle pedine, contribuisce a far guadagnare la partita. Quando la partita sta per decidersi si raggruppino i propri pezzi e si lotti in massa, affinchè gli uni possano riescire di aiuto agli altri pericolanti. Quando la partita sembra perduta, si cerchi, sacrificando tutto, di giungere almeno a dama. Se l'avversario si è impadronito degli scacchi, è opportuno manovrare nel mezzo del damiere, procurando di chiudere i pezzi avversari.

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I giuocatori fanno i colpi a turno. 3. Perciò ogni giuocatore ha un numero. Il n. 1 acchita, il n. 2 batte, ecc. 4. Vince il giuocatore che per primo raggiunge 24 punti. Gli altri continuano la partita ed escono dal giuoco man mano che vincono. Gli ultimi due che restano a disputarsi la vittoria vanno ai 36 punti. 5. Il perdente paga la posta stabilita. 6. Quando un giuocatore beve, cioè perde punti, si segnano a vantaggio di tutti gli altri giuocatori i punti bevuti.

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Per metterlo in pratica ci vogliono 4 birilli bianchi e uno rosso (alti intorno a 20 centimetri), tante palle, a colori o contraddistinte con un segno visibile, quanti sono i guocatori; tante stecche, o palette, o martelli, o magli, che possono essere quelli co' quali si giuoca alla palla al maglio (crocket), al trucco (cricket), al golf, ecc. Il numero dei partecipanti al giuoco dipende dalle palle di cui si può disporre; ma in genere, il numero dei giuocatori si adatta all'ampiezza del campo. Si stabilisce la posta e il numero di punti da raggiungere per vincere. Ogni birillo è segnato con un numero progressivo dall'uno al cinque; il cinque però è riservato al birillo rosso. La sorte determina il turno dei giuocatori. Il giuocatore designato dalla sorte a giuocare per primo, si acchita come nel biliardo, perchè come in questo i birilli sono disposti a croce sul terreno con quello rosso in mezzo. Il secondo giuocatore spingendo con il martello, o maglio, la propria palla dal punto di partenza segnato sul suolo, deve cercare di colpire la palla del n. 1 e di spingerla sui birilli a ciò li faccia cadere. La somma rappresentata dai birilli atterrati è eguale ai punti da accreditarsi a chi fece il giuoco. I punti rappresentati dai birilli abbattuti per errore con la propria palla, sono segnati a vantaggio del proprietario della palla sulla quale si fece il giuoco. La linea di partenza deve essere tracciata a un metro e mezzo dai birilli; i birilli distano da quello rosso 20 centimetri circa.

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l'architrave e il cornicione, di volte a culla, di volte a croce, di cupole e semicupole. Quando ebbe l'architettura romana il suo apogeo? - Dal 140 av. Cr. al 150 d. Cr. Il fasto romano creò oltre ai tempii una quantità d'altri edifizi: terme, teatri, circhi, strade militari, ponti ed acquedotti nelle più ardite costruzioni ad archi.

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- Il capitello a dado, chiamato così perchè fondamentalmente sembra tagliato da una massa cubica, a forma di dado. (Figura 5). Quale stile si sviluppò dall'architettura romana? - Lo stile gotico, caratterizzato dalla più costante applicazione dell'arco acuto nelle finestre gotiche (Figura 7), della forma a croce delle chiese, dalle leggere ed aggraziate ghirlande di foglie dei suoi capitelli (Figura 6).

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L'avaro intanto che bada a risparmiare, non pensa ai veri modi d'aumentare. Tommaseo.

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Vi sono delle cose che non son belle che a desiderarsi. Galliani.

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La donna è un essere singolarissimo: potente e debole, sublime ed abbietto, appassionato e crudele, compassionevole e feroce, atto a tutto soffrire ed anche a tutto osare. Ella è tutto quanto v'ha di meglio e nel tempo stesso tutto quanto v'ha di peggio, di abbominevole e di funesto nell'umanità. Ell'è in una parola, Angelo e Demone. Padre Ventura.

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Per misurare bene sè stesso e non mettersi mai a imprese dannose e impossibili, bisogna che l'uomo domini i troppo accesi desideri e tutti i prepotenti affetti del cuore e divenga padrone di sè. A. Vannucci. Tu che agogni essere eroe, comincia ad essere cittadino; tu che vuoi vincere il mondo comincia a vincere te stesso. F. Cavallotti. Tienti lontano da ogni ciarlataneria. Spogliati da ogni risentimento, acciò nello scherzo che ha l'aria di sferzare il disordine in generale non si nascondano le tue stizze private. Sostieni il tuo cuore tanto che non cada nello sgomento; e nel continuo spettacolo del vizio, bada di non disperare della virtù. Voglia Dio che questo lume benigno ti risplenda di quando in quando all'occhio desideroso. Alimenta sempre più dentro di te questo fuoco sacro dell'amore che t'arde e ti purifica, il fuoco divino! Chi t'ha sentito una volta non può dire d'essere nato e vissuto infelice. Spazzati d'intorno il letame delle conoscenze fatte senza considerazione, e tienti di conto quei pochi ai quali t'accosti. Giusti. Negli ultimi atti della vita, s'avvezzi a fare dei sacrifici ignorati da tutti; s'avvezzi senza che nessuno lo sappia o possa sapergliene grado o lodarla, a rinunziare cosa che le piaccia, come ad accettare cosa che le dispiaccia; cominciando da piccole cose, e via, via, affrontandone sempre maggiori e di più difficili. D'Azeglio.

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A molti vili l'obbligo della gratitudine pesa come una specie di servitù, laonde maggiore il beneficio, maggiore l'odio verso il benefattore. G. Giusti. Tutte le astuzie per giustificare l'ingratitudine sono vane; l'ingrato è un vile e per non cadere in questa viltà, bisogna che la riconoscenza non sia scarsa, bisogna che assolutamente abbondi. Pellico, Doveri degli uomini. E' più grande l'ingratitudine e la calunnia che la remunerazione e la laude alle buone opere. Guicciardini. I buoni pensano ai favori avuti; i men buoni a quelli da avere. Tommaseo. L'ingrato fa male a sè e a tutti: perchè svoglia altrui dal beneficiare. Cantù.

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Sia madre per tutte le sofferenze, madre per tutti gli errori, madre per tutti i bisogni, madre nel compiere sacrifizi e rinunzie, nell' apparecchiarsi a tutte le lotte, a tutte le vittorie. Jolanda, Fiori del pensiero.

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A. Negri, Maternità.

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Giusti Augurate a quest'ossa eterna pace. Tasso Le urne dei grandi sono are votive. N. Persichetti, Pensieri

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Se un commensale comincia a mangiare quando noi già fumiamo, stiamo attenti che il fumo non lo importuni o smettiamo di fumare sino a tanto che mangia. Specialmente trattandosi di signore, si dovrebbe aver sempre la cortesia di smettere di fumare. Leggere si può soltanto avanti o dopo il pasto, o eventualmente tra due portate, ma al momento che si è serviti, si mette da parte il giornale o il libro. I giornali che si trovano in un ristorante o in un caffè, sono per tutti gli ospiti. Non se li tiene quindi per ore e ore, e strapparne i fogli è un'azione massimamente inurbana. Se si desidera un giornale, che è in mano di qualcuno, lo si dice al cameriere. Se si sente che qualcuno desidera il giornale o la rivista che noi stiamo leggendo, possibilmente affrettiamoci. Se entrano dei conoscenti salutiamoli. Se tra loro ci sono anche delle signore, i signori devono alzarsi e salutarle con un inchino; quindi devono pure aiutarle a spogliarsi e ad accomodarsi nei posti migliori. Se si vuole domandare qualcosa ad un vicino di tavola che non conosciamo, ci si rivolge a lui dicendogli: « Vorrebbe dirmi per favore... » o « mi permette una domanda?... ». Ad un estraneo con cui si è attaccato discorso, ci si presenta soltanto nel caso che la discussione vada a divagare su territori personali o si approfondisca. Del modo di presentarsi si parlerà in appresso, nel capitolo intitolato: « La presentazione ». Signore che sono in compagnia di signori, non partecipano a un simile discorso, soltanto se questo si fa più vivace ed esse vengono quasi tirate nella discussione. Il signore deve presentare alla signora che è in sua compagnia la persona con cui parla. Naturalmente non ci si presenta mai ad una signora accompagnata da un signore, senza esserci presentati prima a quest'ultimo. Come dappertutto, anche al ristorante o al caffè, si mantenga un comportamento riservato, e discreto. Non si discorre ad alta voce, nè si parla di cose famigliari.

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per andare a salutare altre conoscenti in altri palchi. Un ritardo in teatro disturba molto il pubblico: perciò si procuri di essere puntuali. Se però si è stati impediti da motivi seri e si arriva quando la rappresentazione è già cominciata, si resta sino alla fine del primo atto o della prima scena alla porta o eventualmente si occupa un posto rimasto libero all'angolo d'una fila. In ogni caso si attende, specialmente all' opera, che si arrivi ad un passo più rumoroso della musica, cercando allora di raggiungere più inosservati il proprio posto. Se, andando verso il proprio posto, si è costretti a far alzare delle persone passando innanzi a loro, non si volga loro la schiena, ma con una faccia affabile, si chieda scusa almeno alle ultime persone disturbate che saranno i nostri immediati vicini. Naturalmente coloro che devono alzarsi, non facciano visi arcigni e in nessun caso aspettino d'esser pregati, ma s'alzino spontaneamente e volontieri. Entrando in un teatro o concerto, il signore andrà avanti per non esporre la sua dama a sguardi curiosi. Si deve sempre badare di non sbagliare i numeri delle poltrone, e di non occupare posti non nostri: tanto più sconveniente è questo, se fatto appositamente per avere dei posti migliori. Con ciò si può cagionare un disturbo sensibile, specialmente se i proprietari dei posti arrivano soltanto dopo il principio della rappresentazione. Per il maneggiamento dei sedili a molla badiamo di tenerli alzandoci e sedendoci sempre colla mano, per evitare un rumore superfluo. Se una signora è accompagnata da un signore, le spetti il posto migliore, quello di destra. In palchi è talvolta uso, se i posti furono venduti a parte, di cedere quelli davanti anche a signore estranee: naturalmente nessun signore è obbligato a fare ciò, specialmente se ha pagato un prezzo più alto. Ad ogni modo se un signore offre il suo posto in cambio ad una signora, deve sempre rivolgersi prima al signore che l'accompagna, e mai offrirglielo direttamente. Un rifiuto non deve esser preso a male, una ripetizione dell'offerta potrebbe apparire importuna. In concerti non si usa offrire i posti migliori a signore estranee perchè lì non si tratta di vedere, ma di sentire. Ognuno porti seco, se possibile, il programma, il binocolo, il libretto di teatro, ecc. Chiedere tali oggetti da vicini, guardare nel programma o nel libretto di chi ci siede davanti, è sconveniente. In generale: raccomandiamo di studiare i libri di testo già a casa e non importunare poi i vicini con lo sfogliare rumoroso delle pagine. Il binocolo, che non si porta a tracolla come in una gita sui monti, serve in prima linea a guardare lo spettacolo che si svolge sul palcoscenico o sul podio. In concerti di orchestra o coro, è meglio lasciarlo a casa, perchè si può evidentemente far figura di andare al concerto piuttosto per vedere che per sentire. Col binocolo si può guardare anche il pubblico, ma soltanto in modo che nessuno se ne accorga e di sfuggita. Il fissare col binocolo costantemente un palco o una persona, è molto indistinto e specialmente sgarbato è di farlo con una persona che ci siede vicino. Se una signora si accorge di essere osservata e fissata, cerchi di evitare lo sguardo curioso ed importuno. Alzarsi durante la pausa e voltare la schiena al palcoscenico per osservare il pubblico non è troppo fine; è però perdonabile se si fa soltanto per un attimo. Specialmente signore non dovrebbero guardare troppo intorno, e dovrebbero evitare di correre su e giù nella sala o nei corridoi. Sedendo, si cerca di mantenersi tranquilli. Dondolare la testa durante lo spettacolo disturba moltissimo chi siede dietro a noi. Una grave e grossolana mancanza di riguardo è di alzarsi durante lo spettacolo per vedere meglio. Guardatevi dal fare simile cosa! Appoggiarsi sullo schienale della poltrona che vi sta dinanzi, è pure un uso abbominevole. Ancora peggio poi è di appoggiare su di essa i piedi. Si guardi di mantenersi nel più perfetto silenzio durante lo spettacolo. Si eviti ogni cosa che potrebbe fare rumore. Non sta bene neanche sussurrare. Si stia tranquilli anche durante l'introduzione, e ciò non soltanto se si tratta di opere musicali. Se qualcuno ha un forte raffreddore o tosse, fa meglio di rimanersene a casa.

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La dignità e la severità del luogo impongono a chiunque debba presentarsi dinanzi ai Giudici un contegno rispettoso e corretto. La serenità di spirito e la cortesia dei modi saranno a vantaggio di chi vuol far valere i propri diritti; sarebbe un errore gravissimo farsi richiamare all'ordine dal Giudice.

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Un signore attento toglierà sempre il cappello con la mano opposta alla persona che vuole salutare per non sbarrare la vista, a meno che non ci si trovi a fianco una signora o si abbia una mano occupata. L'ombrello, il bastone, la borsa o altri ingombri del genere non devono mai occupare tutte e due le mani, non solo per essere sempre pronti al saluto, ma anche per non rendersi goffi. Il cappello duro o il cilindro si prendono alla tesa, mentre il cappello molle si prende a sommo del cappello.

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La signora ha il diritto di rifiutare il baciamano, ma in tal caso non deve concederlo a nessuno. Comunque, il rifiuto deve essere fatto in tempo: sarebbe infatti un'offesa ritirare la mano concessa a mezzo.

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