leggera fra i cespugli. Ritornata al muro non sa come risalire. Si rivolge ai due uomini e le rispondono che non hanno scale. Allora, contenendo la paura
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E mia madre contro, attaccata al corpo, violenta che cerca di baciarmi a morte, di trascinarmi sotto. Riemergo nuotando da quel fango e buco nero
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Sa poco il testimone. Il suo sguardo non va, per quanto s'interni, al di là di quel che gli si manifesta. Chino sul proprio corpo ne ha percepito gli
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alte fin quasi al soffitto. Ma un piccione non s'era ancora visto. Fino a sera sperammo che se tornasse in cielo da solo, com'era stato per gli altri
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Il marito s'addormenta, a tavola, dopo il pranzo. Se russa lo sveglia e lo manda in terrazza a spandere i panni o al supermercato per il fabbisogno
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noi le indicazioni dei cartelli tra campi riquadri file numeri fino al giusto rettangolo di neve di Giuseppe, proprio il nostro sento che dico a mio
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Bevendo tè al gelsomino, parla di lontananze e di scoperte. È stupita dall'indifferenza dei più per i viaggi spaziali. Dopo i grandi entusiasmi per
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pulizie minaccia di abbandonare la casa abitata dai fantasmi. I tre fusti di detersivo riappaiono d'improvviso, nel bagno, al suo ritorno da una
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che le fa differenti e lucide di sé. E complimenti al platano e addio alla passeggiata, di chi per un momento ha creduto di vederlo e l'ha dimenticato.
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con la mano, e perché non ho il coraggio di rispondere al saluto e tanto meno di partire io per primo, visto che poi staremo qui a cercarci camminare da
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. Non avere nome significa fuggire: pochi hanno il coraggio di andarsene dal nome che hanno fino al nome che sono.
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... Le vele le vele le vele Che schioccano e frustano al vento Che gonfia di vane sequele Le vele le vele le vele! Che tesson e tesson: lamento
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ininterrottamente Sopra l'ombra del bosco che la annega Sale in lontano appello Insaziabilmente Batte al mio cuor che trema di vertigine
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colse, e cadde, morta, al suolo? o pur, libera, dopo lungo palpito d'ale, giunse all'immenso, azzurro Oceano natale, ove ne l'aria, ondeggiano
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La scena succede nel castello di Renato, in una valle delle Alpi piemontesi. - Gran sala, stile Trecento. - Al levarsi della tela Renato e Iolanda
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mare Itti e Senia si risvegliaro dei mortali a vivere la morte. Fra le grigie lagune palustri al vario trasmutar senza riposo al faticare sordo
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adorarmi? ". Egli avea detto : - Vuoi ? - Quando vent'anni avea, e spensierata il suo viaggio correa, ella avea detto al mesto Sigismondo: - Tu sei
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... Ma un canto ecco s'innalza, e un uomo, al muro brancicando, arriva. - Chi è, chi non è ? Oh povero me!... Il prete lo giura, ma nulla io ne so: chi
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intingolo, ti fai bollente del mio cranio al foco? Ah, solitario se tu lavori, se non t'aiutano i miei dolori; se cacci l'anima dal suo canile, come dal
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piangeva l'amica diletta sepolta sulla vetta di una qualche piramide d'Egitto; e certo, nel tragitto di quell'ottobre, gli mancò la lena, al pensier di
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tempio qua e là si dipingeva di negre spoglie; e il pispiglio dei passeri sorgeva fuor dalle foglie. Ed era un altro dì fra i dì già sorti e scesi al
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cerro. E' il sacerdote del problema oscuro, è il nuovo ingegno del redento Giobbe: forse è per lui che al secolo maturo l'uom brandirà la scala di
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. Quella che, mi sovvien, spesso hai guardato come si guarda un morto, non già coll'occhio di chi pensi al fato di un Dio risorto! Povera croce!... e ne
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Vivis rosa grata et grata sepulcris. I bei giorni trascorsi al presbitero! O mio santo curato che al giovinetto amico schiudesti il dolce asilo
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di aprirsi al fiorellin notturno, e la lucciola sente, al burrichìo dell'invido insettume, che la notte fedel le accese il lume; quando buccie e
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; toglili al buio ove sepolti sono, e un inno sol redimerà la ignava vita che persi! Inno, inno santo, e varcherai l'oceano! L'amor che ti conduce guida
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il volgo la giostra combattuta dai mille dolor; poiché al volgo narrarle non lice le vittorie dell'aspra tenzon; e il quattrino dell'uomo infelice non
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La caravana dei desiri miei verso di voi salìa, donna divina, come una fila di camelli ebrei al limitar di mistica piscina. Oh se giungeva ad
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fecondi affetti, e in un bacio affamiglia il ciel, lo stagno, il sasso, e il giovin granchio al passo aiuta, e il nibbio al vol. Il sol che vide al
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crede; abbatti, uccidi, interroga i morti e le rovine, cingimi, o bardo, al crine l'irrevocato allòr! - Egli lasciò le facili gioie, le soglie care. E
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cretini che vide immoti a' suoi piedi divini!... E sentirai dalla vetusta dea come la forma strangoli l'idea, come al vergine altar della bellezza sorga
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alle aiuole vergini e tranquille, oh non languir sul petto al viaggiatore!. . . Io leggo il cielo attraverso l'amore.
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Pel ragno sospeso tra fila d'argento i baci del zefiro son sbuffi di vento. Al verme indifeso togliete la fede che il fango non l'odia che l'astro lo
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domestiche pareti, o giovinetto: sul nido tuo non aliti l'aura del mondo infetto, bevi in pace e in silenzio al tuo nappo dorato; là fuor de' tuoi
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divini, e i merli ai fiori e ai pampini frammisti sogno dei paesisti; così della tua luce, o Musa, un raggio, rapito al paesaggio, scenda sul viso alle
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Oh bello è pure, al soffio dell'aura mattutina, il Corso, ove s'esercita la boria cittadina quando sui tetti e i platani da lunge il sol si specchia
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Vengono al mar quando la luna accende per gli spazi tranquilli il mesto vel; vengono al mar quando la nebbia stende le bianche braccia e lo congiunge
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festa: avea candida la vesta e danzava in mezzo ai fior! Vidi al corso un cocchio splendido: son gli eredi di un marchese, che di qui, non corse un mese
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oblia! Vieni e vedrai, specchio di un tuo sorriso, la tavolozza mia tutta splendore, e sentirai, commosse al dolce viso, le fosche tele sussurrar d'amore
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inespugnabile, mia bella trinciera? Che filtri, che spasimi fan d'uopo al tuo cuore, perché mi rimuneri di un raggio d'amore? Vuoi dunque ch'io lagrimi
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nel loro inferno! Brindisi ad essi, e agli angeli dei cielì, brindisi al sole, e agli astri pellegrini, brindisi al mare, al fulmine, e agli steli dei
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imbroglio, ma voglio stringerti strozzarti al cor! Quando poi stanco sarò del bianco tuo sen, del morbido tuo folto crin; quando al tormento del
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son moderni in folio legati a ghirigori, che sembran dir: - guardateci non siam belli ... di fuorí? - Vi posa, o pia memoria! tolto al suo tavoliere
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, badate al fanciullin di quando in quando, se mai la coltre allontanò sognando. Triste si fa la vita al cantoniere ed al soldato per gli spalti perduto e
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vita grama, quanto, quanto dolore! E come tutto è fumo, e la mestizia e la letizia! Candida, tu, consolatrice e il biondo crin d’un fanciullo al mondo
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... ma mi sorride il giorno, ma la mia musa è qui! È ver: son solitario. Vivo una vita grama... ma so che al mondo m'ama qualche buon'alma ancor. Dal
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Quanti sogni, quante favole, che follie, che visïoni, non scandemmo, o Musa, al facile rimeggiar delle canzoni! Si cantò la luna, il pallido astro
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ALLA DUCHESSA E. L. Terror et Pietas. Duchessa, l'epigrafe del vostro blasone par scritta da un angelo mutato in leone... il motto al mio genio Dio
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attraverso al sole opimo vino; parea ruscello immobile il zaffiro, e lo smeraldo egizïan splendea del color che, a ciel fosco, ha la marea. Ma il topazio
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nuda assomiglio, mia carne ideale, al legno d'un feretro che avesse le ale. Oh!... I mistici effluvii che hai tu nella gonna!... Talvolta fantastico
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