Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 393 in 8 pagine

  • Pagina 3 di 8

Per essere felici

179228
Maria Rina Pierazzi 1 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Ed ecco perchè l'Editore ed io abbiamo pensato di offrirvi un libro possibilmente piacevole che non sia una formula ma un consiglio che possa guidarvi, in ogni circostanza della vita, fra gente per bene, a disimpegnare con garbo la vostra parte di donnine cortesi, educate, spigliate, senza leziosità, senza manierismo, e sopratutto senza quella cerimoniosità che non ha da far nulla con la buona educazione. Sane di corpo e di mente, gentili nei pensieri, cortesi negli atti, discrete nelle parole: quattro piccole profonde leggi infallibili a cui non è difficile sottostare, poichè l'una è la conseguenza di tutte le altre. E giacchè non è possibile essere educati con gli altri se non si è educati con noi stessi, così bisogna partire dal principio che mostrarci cortesi e corretti è un atto di deferenza prodigato al nostro "Io" il quale vuol fare sempre bella figura... Signorine gentili: un vecchio adagio ripete: "L'arte della cortesia è l'arte di farsi amare" ed io aggiungo: "L'arte di farsi amare è l'arte della felicità". E, certamente, voi sarete felici. RINA MARIA PIERAZZI.

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Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180347
Barbara Ronchi della Rocca 7 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Per quanto dolorosa sia stata la rottura, rendiamoci conto che vendette e persecuzioni nei confronti del «fedifrago traditore» o della «vipera poco di buono» non dicono quanto abbiamo amato, ma quanto malamente sappiamo amare. Non odiamo troppo a lungo: sarebbe come promuovere a «indimenticabile» chi non merita questo onore. E non raccontiamo fatti e vicende intimi a chiunque, dovunque e in qualunque momento: il rischio e non solo di essere seccanti, ma che segreti non solo nostri vengano raccontati in giro. Per quanto riguarda l'ex, evitiamo di chiedere sue notizie, di compiacerci platealmente dei suoi mali, di informarci sul conto di chi ha preso il nostro posto al suo fianco. Ma se proprio dobbiamo parlarne, non diciamo «il mio (la mia) ex»: anche se non l'amiamo più, attribuiamogli un nome. Ancora più inopportuno è continuare a dire «mia moglie/mio marito» quando siamo già separati o addirittura divorziati. Sforziamoci di essere civili, salutiamolo (senza fare il muso) quando lo incontriamo; se sappiamo di non riuscire a mantenere un atteggiamento educato, evitiamo ogni possibilità di incontro, magari cambiando abitudini - il caffè al «solito» bar, l'edicola e il supermercato in cui si andava insieme vanno cancellati senza pietà dai nostri itinerari quotidiani. Chi ha figli, non cada nella trappola di usarli come armi: è un'operazione pericolosa per il loro equilibrio e per la loro relazione con i genitori. Non li lasci davanti alla porta di casa al momento di «consegnarli» all'altro genitore, né faccia loro scendere le scale da soli se questo li aspetta davanti al portone. Non affidi loro messaggi per «quello/a là», per sottolineare che «non merita neanche che gli rivolga la parola». bene non parlare (né male né bene) dei nostri ex con l'attuale amore: può scatenare gelosie retrospettive, ma anche far emergere un lato del nostro carattere tutt'altro che lusinghiero.

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Quando abbiamo appuntamento da qualcuno, se dobbiamo farci attendere per qualche minuto, telefoniamo per avvisare, per scusarci (senza dilungarci in spiegazioni sul perché e percome del disguido, ma indicando con molta chiarezza e sincerità quanto tempo ci occorrerà per arrivare) e per chiedere: «Ci possiamo vedere tra mezz'ora, o preferisce che fissiamo per un altro giorno?». E una volta arrivati, non cerchiamo di giustificarci dando la col-pa al traffico, alla difficoltà di trovare un taxi, alla mancanza di puntualità altrui: sono tutti imprevisti di cui avremmo dovuto tener conto. Quando riceviamo qualcuno nel nostro luogo di lavoro, non crediamo che costringere chi ha un appuntamento a fare anticamera ci faccia apparire importanti e indaffarati: in realtà è sintomo di scarsa educazione e/o di scarsa organizzazione. Al suo arrivo, smettiamo quello che stiamo facendo (telefonate comprese) e salutiamo alzandoci in piedi; volendo dare un'impressione di particolare deferenza o cordialità andiamo ad accoglierlo sulla porta. Se poi torniamo a sederci al di là della scrivania sottolineiamo la differenza di ruolo, mentre se ci spostiamo accanto a lei/lui testimoniamo di voler stabilire un piano di parità. Durante la conversazione, evitiamo le interruzioni (motivando con garbo e chiarezza quelle davvero indispensabili) e non rispondiamo al telefono o al cellulare: non solo è una perdita di tempo e di concentrazione, ma dimostra al nostro interlocutore che pensiamo non meriti tutta la nostra attenzione. Non facciamo ricadere sull'ospite/cliente i nostri problemi, quindi non lamentiamoci («Non ce la faccio più», «sono stressato, sono stanchissima») e non polemizziamo con i colleghi, sia assenti sia presenti; quando non siamo in grado di risolvere i problemi, rispondere alle domande, fornire le indicazioni o i servizi richiesti, ammettiamolo sinceramente, esprimendo dispiacere e simpatia. Se offriamo qualcosa da bere, non facciamo il giro col vassoio, ma porgiamo all'ospite per primo la sua tazzina o bicchiere (in un gruppo, si serve per ultimo il capo); se le consumazioni arrivano direttamente dal bar, paghiamo l'addetto in «separata sede», perché non è garbato maneggiare il danaro davanti a tutti.

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Durante un colloquio di lavoro abbiamo pochi minuti per guadagnarci l'interesse del selezionatore, fargli capire chi siamo e trovare una base comune di comunicazione. E tutto questo prima ancora che abbia letto il nostro curriculum vitae. Quindi, attenzione al look: in attesa di conoscere lo stile «giusto» per l'ambiente, meglio stare sul classico: ogni estrosità può essere interpretata come indice di scarso rispetto. E ancora: -non arriviamo in ritardo, ma neppure in anticipo; -non iniziamo a parlare per primi: dopo il «Buongiorno» iniziale (non «Salve»!) aspettiamo che ci venga rivolta la parola; -non invadiamo lo «spazio» altrui appoggiando borse, libri e cartelle sulfa scrivania; -guardiamo in faccia chi ci parla, siamo disinvolti ma non confidenziali, sintetici ma esaurienti; -non diciamo bugie: è difficilissimo dirle bene; -non mangiamo caramelle né «svapiamo»; -evitiamo i conflitti: davanti a una domanda che ci pare inadatta, chiariamo con garbo che non ci pare il caso di entrare in dettagli; -non alziamoci per primi - non tocca a noi mettere fine all'incontro - e non chiediamo: «Come sono andato?». La lettera che accompagna il curriculum vitae è importante, perché contribuisce a completare la nostra immagine: in poche righe dobbiamo invogliare chi legge a incontrarci di persona. Deve essere scritta a computer - ma con data, intestazione (Egregio Dott. Rossi, RGC srl), saluti e firma a mano - graficamente perfetta, in buon italiano (controlliamo apostrofi e accenti!), con tono educato (mai adulatorio o strappalacrime), e offrire informazioni semplici, efficaci e chiare su laurea, diploma o specializzazione, congruenza delle nostre capacità con il lavoro cui siamo interessati, motivazioni personali e professionali, disponibilità a viaggi e trasferimenti. Cerchiamo di limitarci a una sola facciata: tanto, chi vuole approfondire i dettagli, legge il curriculum vitae.

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La prudenza consiglia di capire bene chi abbiamo davanti, prima di abbandonarci a battute e maldicenze su qualcuno che potrebbe essere un suo parente, un suo amico o il suo amato bene: la gaffe è sempre in agguato. Ed è peggio di una figuraccia qualunque, perché ferisce; è un errore non di forma, ma di sostanza. Per evitare i passi falsi basterebbe non dare mai nulla per scontato ed evitare certi argomenti «pericolosi» con persone che non conosciamo bene, o che non vediamo da tempo. Ma il gaffeur naviga a vista sull'onda dell'emozione del momento o - banalmente - di qualche brindisi. È distratto, svagato, ha sempre fretta e non sa concentrarsi su ciò che sta dicendo. Così chiede «Come sta la signora?» a chi è stato appena piantato dalla moglie, chiama il secondo marito di un'amica con il nome del predecessore, delizia una platea di medici e avvocati dichiarando che «Tutti i liberi professionisti sono ladri ed evasori fiscali»... Siccome nella conversazione non esiste il tasto rewind che permette di recuperare o cancellare una parola di troppo, che cosa si può fare quando la gaffe ci è già uscita di bocca? Senz'altro resistere all'impulso di affastellare spiegazioni e aggiustamenti, perché rischiamo di peggiorare la situazione. È meglio tacere. Al massimo, possiamo dichiararci dispiaciuti, magari aggiungendo frasi del tipo: «Scusate, ho un tale mal di testa che non so quel che dico» e sperare che l'offeso ci creda. Se ci accorgiamo che qualcuno sta per fare una gaffe, possiamo eccezionalmente infrangere la regola e interromperlo mentre sta parlando. Ma se arriviamo troppo tardi, non facciamogli gli occhiacci, non scusiamoci al suo posto, non cerchiamo di correggere, spiegare, mitigare. Fingiamo di non esserci accorti di nulla, e parliamo tranquillamente d'altro. E la «vittima», come deve comportarsi? Se non ha la prontezza di spirito di rispondere con una battuta che sdrammatizza l'atmosfera, cerchi almeno di non mostrarsi offesa o imbarazzata. Accetti le eventuali scuse, e si comporti come se la frase incriminata non fosse mai stata detta.

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Per questa ragione esige, ancor più di quella «classica», il rispetto di alcune regole fondamentali di galateo, perché l'intimità con persone «nuove», con cui non abbiamo in comune il cemento della parentela e della consuetudine (e che, ammettiamolo, a volte non abbiamo scelto), è a rischio di screzi che possono diventare rotture irrimediabili. Perciò evitiamo di stringere alleanze con alcuni membri della tribù a scapito di altri, asteniamoci dal partecipare a discussioni che non ci riguardano direttamente e soprattutto dall'esprimere critiche e giudizi. Nel caso in cui ci venga espressamente chiesta la nostra opinione, caviamoci d'impaccio con un «Non saprei, non lo conosco abbastanza bene». Non facciamo né sollecitiamo confronti tra parenti «nostri» e «suoi» e, se il nostro partner parla malissimo dei suoi farmiliari, evitiamo di fare altrettanto: potremmo far scattare in lui un meccanismo di solidarietà che ci porterebbe dalla parte del torto. Cerchiamo di non fare vistose preferenze, per esempio, difendendo sempre a priori i nostri figli e nipoti nei confronti di quelli dell'altro. Dobbiamo anche accettare che per i bambini non è facile trovarsi di colpo con nuovi «fratelli», e che si può imporre loro la reciproca tolleranza e il rispetto, ma non l'affetto. Al massimo, possiamo sperare che col tempo nasca l'amicizia. Infatti, è meglio non voler stabilire a tutti i costi all'interno della «famigliastra» i rapporti di tipo tradizionale: accontentiamoci (si fa per dire) di costruire una tribù di amici. Il rapporto più delicato e più difficile da gestire è con i figli di primo letto del partner, perché i bambini sanno essere avversari subdoli, crudeli, prepotenti, dispettosi, spesso vendicativi, più irriplacabili di qualsiasi suocera delle barzellette nel trattarci come intrusi sgraditi. Certo, i sentimenti non si possono imporre, però si può impostare un rapporto accettabile agendo sempre con tanto, tantissimo garbo: saremo indulgenti verso il capriccio fatto «per metterci alla prova», tolleranti con la deliberata cattiveria dell'adolescente in crisi, benevoli con il timido che ci sta sempre fra i piedi senza osare prendere confidenza, pazienti con i vittimismi di chi si sente messo da parte. Ma diremo anche dei «no», con cortese fermezza, per abituarli a non invadere gli spazi e i tempi riservati agli adulti, al lavoro, alla privacy. Chi non è genitore non intervenga mai nelle liti e nelle sgridate con commenti, consigli e «prediche» non richiesti, ma neppure si schieri dalla parte del quasi-figlio quando questi disobbedisce o commette marachelle; non lo vizi con dolci e regali senza motivo, non gli compri vestiti e accessori superfirmati per ingraziarsene le simpatie. Dal canto suo, un genitore non chiede ai figli nati da un precedente rapporto di chiamare «mamma» o «papà» chi non lo è, e non deve imporre loro sistematicamente la presenza del nuovo compagno: concedere loro ogni tanto un po' di tempo «in esclusiva» eviterà l'insorgere di gelosie nei confronti del nuovo amore. Solo se siamo davvero sicuri che rancori e risentimenti con l'ex coniuge e gli ex suoceri sono del tutto scomparsi, possiamo riunire tutto il parentado vecchio e nuovo per le feste comandate. Per quanto l'atmosfera possa essere idilliaca, è necessaria una dose massiccia di buone maniere, per evitare invasioni di campo. Chi non ha legami di sangue con i nipoti, sappia fare un passo indietro rispetto a zii e nonni «veri», senza entrare in competizione per il regalo più bello e costoso, o l'uovo più grande... Da parte loro, i genitori inviteranno i bambini a essere gentili con tutti i parenti, senza mostrare vistose preferenze. Se scrivono la letterina augurale, ne inviino una a ciascuno: magari più corta. L'importante non è che ricevano il doppio dei regali, quanto il doppio di affetto, attenzione, allegria. L'errore più grande è accettare la famiglia «allargata» controvoglia, solo per sentirci moderni e senza pregiudizi; per questo, non forziamo nessuno a partecipare, non offendiamoci davanti a un rifiuto. Non è obbligatorio fingere a comando buoni sentimenti e apertura mentale. Anche perché c'è sempre il rischio di insofferenze e conflitti, che finiscono per ferire crudelmente i più deboli, cioè i bambini e gli anziani. Piuttosto, sdoppiamo le feste: cenone della Vigilia di Natale con una metà della famiglia, pranzo del 25 con l'altra metà; pranzo di Pasqua con gli uni, pic-nic di Pasquetta con gli altri, e così via alternando. L'importante è che le due metà della festa abbiano eguale risalto, decorazione, festosità e golosità, onde evitare antipatiche gerarchie.

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-se abbiamo il rossetto sulle labbra, un gesto davvero cortese è quello di togliercelo con un fazzoletto di carta prima di iniziare a usare il tovagliolo, così da non macchiare (spesso in maniera indelebile) la stoffa; -non auguriamo «buon appetito»: è una frase solo apparentemente gentile, in realtà meccanica e vuota; -quando siamo seduti teniamo i piedi accanto alla nostra sedia, senza accavallare le gambe (e senza toglierci le scarpe!); -non allineiamo accanto al piatto pillole e medicinali vari che vanno presi senza dare nell'occhio; se lo fa il nostro vicino, è vietatissimo chiedergli conto e ragione dei suoi malanni; -versiamo acqua e vino nei bicchieri dei nostri vicini prima che nel nostro, senza riempirli mai fino all'orlo. Se è qualcun altro a versare a noi, non «aiutiamolo» alzando il bicchiere incontro alla bottiglia; l'acqua non si rifiuta mai, il vino sì, ma basta dire «no grazie», senza coprire il bicchiere con la mano; -è molto maleducato bere vino e rosicchiare pane e grissini prima che inizi il pasto (l'acqua, naturalmente, non ha controindicazioni); -prima di bere è obbligatorio pulirsi le labbra con il tovagliolo, gesto che verrà ripetuto subito dopo aver bevuto; -il bicchiere a calice si prende appoggiando le dita sul fondo, non sullo stelo; la presa «a piede» è tipica degli assaggiatori durante le degustazioni: lasciamo che rimanga un appannaggio della categoria. E ricordiamoci di «alzare il gomito», nel senso di non tenerlo appoggiato sulla tavola mentre beviamo; -si può infilare la propria forchetta nel piatto dei vicini, assaggiare, prendere «solo un boccone»? Il galateo lo concede solamente durante una romantica cenetta a due, in cui questa invasione di campo assume connotazioni maliziose, allusive a una successiva maggiore intimità; -prendiamo bocconi piccoli - dovremo ben scambiare qualche parola con i vicini, no? - e masticando non facciamo nient'altro; dal bere al parlare, dall'aggiungere sale e pepe ai cibi al servirsi dal piatto di portata, al condire l'insalata, al brindare: sono tutte attività da fare a bocca vuota; -per bere posiamo le posate sul piatto: la forchetta o il cucchiaio per il primo con la parte convessa verso il basso e il manico a destra (a sinistra, per i mancini), la forchetta (con i rebbi in gù) e il coltello nella posizione delle lancette dell'orologio sulle 7 e 20. Quando abbiamo finito di mangiare, in attesa di portare via il piatto, mettiamo le posate nella posizione delle lancette dell'orologio sulle 6; -il coltello non va usato per tagliare il pesce, la verdura e tutti i cibi a base di uova (comprese le torte dolci e salate) e di patate, che possono essere agevolmente divisi in bocconi con la forchetta; -il cucchiaio si porta alla bocca di punta per mangiare la minestra e dolci, gelati e frutta «al cucchiaio»; di lato per sorbire il brodo; - cucchiaio e forchetta non si devono riempire troppo, perché quello che contengono deve essere mangiato in una volta sola; nei brindisi non è garbato toccare i bicchieri: basta alzare il proprio all'altezza del viso in un gesto simbolico; - il comportamento più inelegante a tavola è quello di chi guarda che cosa e quanto mangiano gli altri commensali, e fa commenti: masticare tenendo la bocca chiusa e le orecchie aperte mi sembra il modo perfetto per definire il commensale garbato! -non è mai elegante fare «scarpetta» col pane per raccogliere il sugo: è concesso solo in famiglia, purché non abbia la pretesa di pulire il piatto a specchio.

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Il Galateo

181557
Brunella Gasperini 2 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Sotto certe tende, in certe roulotte di campeggiatori novellini, oggi si vedono mobili d'antiquariato, tendine di pregio, servizi igienici extralusso; cinque anni fa abbiamo visto comparire le prime lavatrici, l'anno scorso sono comparse le prime lavastoviglie. Questo, a parer nostro, è un insulto al campeggio: è un degenerarne lo spirito inserendovi le nostre schiavitù, i nostri esibizionismi, le nostre nevrosi di poveri supercivilizzati. Per contrasto, ci sono poi quei campeggiatori che fraintendono il concetto di ritorno alla natura, e credono che il fatto di essere in campeggio li autorizzi a comportarsi in modo selvaggio, senza discrezione, senza proprietà. La vita del camping è senza dubbio più libera, ma proprio per questo esige maggior rispetto reciproco. Qui meno che altrove si tollerano sporcizie, rumori molesti, infrazioni alla pace, alla libertà e alla privacy altrui. Tra campeggiatori di classe è vivissimo lo spirito di solidarietà, ognuno è pronto a dare una mano al vicino, la fiducia è istintiva; tutti sono amici, ma nessuno è invadente: mai. - Rispettate i turni di servizio comuni, e usateli propriamente. Non siate ridicolmente pudibondi (state tutto il giorno in bikini e vi vergognate a mostrarvi in pigiama?) e neanche sciattamente impudichi. - Non strappate fiori, frutta, piante; non calpestate l'erba alta. Non buttate mozziconi accesi nei boschi, incoscienti! Rispettate la natura: già abbastanza minacciata e devastata dall'inquinamento senza che vi ci mettiate anche voi coi vostri vandalismi. - Se accendete fuochi, badate alla direzione del vento; non lasciate braci fumanti: versateci sopra un po' d'acqua, e se non basta ricopritele di terra, come ogni boy scout può insegnarvi. - E quando levate le tende, rimettete tutto come prima. Non lasciate tracce di nessun genere; chi arriva dopo di voi non deve trovarne. Solo sull'Everest o al Polo è consuetudine lasciare una bandiera.

Pagina 197

Abbiamo una vita sola, dopotutto. Amare il proprio lavoro è una bella cosa, amare solo il lavoro è da squilibrati. Chi fa del lavoro l'unica ragione di vita, a scapito di ogni altro interesse, stimolo, curiosità, sentimento, è destinato a diventare un nevrotico coi fiocchi, professionalmente arrivato (forse) ma umanamente fallito: generalmente un marito fantasma, un padre mediocre, un uomo che cavalca la tigre e non può più scenderne perché non vuole, perché scendere vorrebbe dire vivere, e lui non è più capace di vivere. Solo di lavorare. Dopo questa apocalittica premessa, passiamo a meno gravi argomenti.

Pagina 216

Il tesoro

181988
Vanna Piccini 6 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Abbiamo notato che le donne in tram sono pazienti e rassegnate, se ne stanno nel millimetrico spazio che la Provvidenza concede loro, senza dare a divedere il loro proprio disagio, e poichè i pesi massimi non sono poi tanto numerosi, la donna che ha la virtù di contrarsi, rimpicciolirsi, farsi esigua entro i propri panni come la chiocciola nel guscio, non è assolutamente invadente in tram. Lo è invece l'uomo, specie in inverno, quando col pesante cappotto, le larghe spalle, la persona corpulenta, siede e non ha alcun riguardo di chi gli sta gomito a gomito, usurpando molto dello spazio ad esso dovuto. E sì pianta magari d'angolo, con le gambe allargate e il giornale spiegato. Che cosa si può fare in simili casi? Sacrificarsi, concedere quanto più si può del nostro territorio, ovvero alzarsi in piedi e lasciare che l'altro faccia magari un pisolino. Non consiglio alcuna donna di sopraffare un uomo che ha adocchiato un posto ove sedersi. Glielo lasci, perchè è molto meglio rinunciare che entrare in lizza con lui: ne avrebbe la peggio. II galateo del tram si riassume in queste norme: Alzarsi e cedere il sedile a una mamma con in braccio il suo bambino, a una donna in istato interessante, a una persona anziana (palesemente anziana), a un mutilato, a un sacerdote o a una monaca (specie quelle della Carità). Esser composti; è inutile, ad esempio, che le gonne femminili vadano più su del ginocchio; evitare battibecchi e querele, sopportare pazientemente l'altrui nequizia.

Pagina 534

Sappiamo che il sembrare modeste e timidine è fuori tempo, e da parte nostra non abbiamo neppure troppa simpatia per le arie di madonnine infilzate, specie quando alla apparenza non corrisponde la sostanza. Ma se il contegno impacciato è da bandirsi, non si approva nemmeno un'eccessiva disinvoltura. Del resto le regole al ballo sono note e molto semplificate oggi. Alla richiesta di un ballo da parte dell'uomo, l'invitata risponde alzandosi, se non ha altro impegno; la stessa, invitata, dopo un rifiuto non motivato da impegno, non si farà vedere a ballare con altri; a danza finita ritornerà al suo posto accompagnata dal cavaliere. Il cavaliere eviterà di fermarsi a chiacchierare in luogo appartato con la sua giovane dama; questa non andrà con esso al banco dei rinfreschi a bere e fumare... Belle cose in teoria; quanto a metterle in pratica, la gioventù moderna ha i suoi punti di vista.

Pagina 543

Allora siamo in presenza di quel tale essere ibrido cui abbiamo già accennato. Sta poi male quando una donna dimostra di non poter fare a meno della sigaretta, sicchè se ne è priva è capace anche di chiederla a uno sconosciuto. Moderazione, signore: una boccata di fumo rischiara, corrobora, tiene su: un pacchetto, due, tre di sigarette abbassano il livello del prestigio femminile. Fumare in pubblico non è sempre grazioso per una donna, lo si tollera, ma mette in disagio chi deve sopportare questa vista. Se in un crocchio al caffè, o in altri ritrovi, un uomo offre una sigaretta, si può anche non rifiutare; ma se una donna è sola, vederla con la sigaretta in bocca è penoso e si può equivocare sulla sua qualità. In istrada tanto meno e ammesso che una donna fumi. In treno chi fuma deve scegliersi lo scompartimento riservato ai fumatori, e se nessun altro si serve del legale permesso, prima di accendere si chiederà ai presenti licenza. Ugualmente, in una casa privata, prima di fumare, si chiederà sempre il permesso agli ospiti.

Pagina 561

Una persona intelligente può, se vuole, arrivare a conoscersi: è un'impresa difficile, abbiamo già detto, che richiede riflessione, chiarezza d'idee, sensibilità. Voi v'imbattete certe volte con persone di una goffaggine incredibile, che parlano, agiscono in modo da urtare i nostri sensi e vi stupite che non se ne avvedano. Sono esseri privi di sensibilità, di spirito critico, che mai hanno pensato a gettare uno sguardo sul loro io. Si ignorano e restano tutta la vita nella loro ignoranza. Non hanno neppure lo spirito d'imitazione, che potrebbe, sotto un certo aspetto, salvarli dal loro primitivismo. Chi si esercita nell'indagine o nell'auto-indagine, sempre più allarga la visione di se stesso e accresce la sua capacità di migliorarsi. Perchè a nulla varrebbe conoscersi, se insieme non si fosse animati dalla volontà di correggere le proprie manchevolezze, di vincere la propria natura, di sfuggire anche le tristi occasioni, se non ci si sente ancora fortificati abbastanza per superarle vittoriosamente. Anche ciò fa parte del saper vivere, e abbiamo voluto concludere la nostra riassuntiva esposizione riguardante l'individuo nei suoi contatti col mondo, invitando i lettori all'esame esteriore e interiore di se stessi; perchè non basta sapersi ben comportare verso gli altri, ma è importantissimo essere a posto con sè medesimi, per procedere sicuri e consapevoli nel cammino che dobbiamo percorrere.

Pagina 578

Abbiamo detto che la maggior parte degli uomini dei mariti e dei padri di famiglia è, per lunghe ore del giorno, occupata fuori delle pareti domestiche. A che cosa consacrano gli uomini il loro tempo, di che si occupano, se non degli interessi e del benessere materiale della famiglia? Ma curare questi interessi, provvedere a questo benessere non è faccenda da poco, e non è sempre gradevole e divertente. Infiniti sono gli urti, infinite le brighe alle quali va incontro l'uomo utilmente occupato. Ora lo rattrista l'insuccesso di un'impresa dalla quale si riprometteva rilevanti vantaggi; ora è stata fraintesa e sciupata una sua idea nobilissima; e la malignità ingenerosa dei malevoli, e l'ingratitudine dei più, e l'indifferenza, l'inerzia di tutti sono altrettante ferite per l'uomo intelligente, onesto e attivo. Di queste ferite, bisogna che egli si senta guarire nel varcare la soglia della casa. La casa deve essere veramente l'asilo sacro, ove nè crucci nè noie, nè malignità di fuori possono penetrare. In casa non deve regnare che un'atmosfera pura e serena; tanto più pura e serena quanto più cupe e minacciose sono le nubi che s'addensano di fuori. All'uomo affaticato, irritato, disgustato dalla lotta tormentosa della vita, la casa e la famiglia non devono offrire che riposo e sorriso. Si cerchi di risparmiare all'uomo che vi ritorna affranto da una lotta sostenuta il più delle volte per il bene della moglie e dei figli le piccole ma cocenti noie di un servizio mal fatto, di attriti magari con la suocera, di rabbuffi in sua presenza, di continue lagnanze; tocca alla moglie a far sì che il servizio proceda bene; a lei tocca prevedere a disporre, e assicurarsi che l'ordinato e il disposto venga eseguito a dovere. Tutto ciò importa molta attenzione, un po' di tempo e qualche seccatura. Ma sarà dolce compenso constatare che il marito non si accorge di certe difficoltà e di certi inconvenienti, che tutto scorre facile e liscio; merito della donna che si è addossata il non lieve carico di togliere ogni asperità dal suo passaggio.

Pagina 631

Poichè essi non ci hanno chiesto di essere, ma siamo noi che abbiamo dato loro la vita e il respiro, noi dobbiamo far sì che nulla manchi loro, qualunque sacrificio ci costi il loro benessere e il loro sostentamento. Ben grave è l'errore dei genitori che accampano i propri diritti a detrimento di quelli che spettano ai figli. Noi abbiamo avuto la nostra parte nel festino della vita; se i dolori non sono mancati nemmeno le gioie ci sono venute meno, per quella legge d'equilibrio che forma la base dell'esistenza. Essi, i figli, sorgono, noi fatalmente tramontiamo; d'anno in anno dobbiamo insensibilmente ritirarci per lasciare il posto alla loro trionfante giovinezza, l'egoismo dei figli è scusabile e umano, non così quello dei genitori che non trova giustificazione in alcuna legge umana e divina. Poi il tenero virgulto cresce e s'irrobustisce e appena esso comincerà a mostrare le sue qualità e la sua volontà di omino o di donnina, la madre dovrà mettere in azione quel delicato congegno di freni, che non dovrà mai essere coercizione violenta ma sottile opera di persuasione. E qui, prima ancora di parlare del problema educativo, non sarà fuori luogo ricordare che l'infanzia è sacra, alla donna di coscienza e merita rispetto. Eppure non pochi son coloro che in presenza dei fanciulli non si peritano di parlar di tutto, di far commenti, di lanciare frasi ardite, esclamazioni irriverenti: si narrano episodi salaci, barzellette di cattivo genere; si discute su ogni argomento: di religione, d'amore, di morale. E le orecchie ascoltano, recano per via dell'udito alla mente tenera l'impronta rude delle volgarità, delle miserie, dei pericolosi problemi dell'essere. Ascoltano e ritengono, poichè la profanazione della loro innocenza non è senza frutto; così si demoralizzano presto, si fanno anti tempo scettici, maliziosi, opportunisti. I buoni esempi additati dai maestri, le esortazioni dei genitori, i consigli dei buoni libri a nulla servono, se nella vita dimentichiamo di nascondere ai fanciulli le nostre debolezze, le nostre defezioni: se dimentichiamo il rispetto dovuto all'infanzia che deve corazzarsi di fortezza e di fede. I genitori dovranno dunque impedire che davanti ai bambini si tengano certi discorsi, si inizino certe discussioni, si scenda a certi scherzi, non solo, ma la madre vigilerà sulle persone di servizio,affinchè le loro parole e i loro atti nulla abbiano di sconveniente, e la vanità, la dissolutezza, la disonestà non si rivelino in azione ai fanciulli con la terribile efficacia dell'esempio. La madre è insostituibile e solo essa può plasmare nel miglior modo possibile una materia docile, nuova, vergine ancora d'ogni impronta. Plasmare e lottare contro ostacoli e tendenze che sono il prodotto della eredità, del temperamento, del carattere. Pensate che un piccino di cui la mamma si occupa con assiduità, intelligenza e amore, si sveglia dal torpore della vita animate assai prima di quelli che la mamma trascura e che sono affidati a cure mercenarie. Possiamo constatare tutti i giorni la grande differenza che esiste tra i nostri fanciulli e quelli delle campagne, le cui madri costrette a lavorare nei campi possono concedere ad essi solamente quel tanto di cure che basta alla loro esistenza materiale. Ma una mamma che vive tutte le ore con la sua creatura e ne vede l'intelligenza schiudersi giorno per giorno, insieme alle cure fisiche non deve mancare d'infondere col suo alito amoroso nella piccola mente i germi del discernimento, delle cognizioni rudimentali, del pensiero. La mamma è la prima, la naturale maestra, e non deve cedere questo suo nobile e geloso compito a nessuno. Giacchè non è ancora l'istruzione che deve conferire ma l'educazione, ma la luce dello spirito e la fiamma del cuore. Nessuno potrà farlo meglio di lei, giacchè ella sceglierà i momenti, approfitterà delle circostanze, si varrà dei giochi per imprimere nella piccola anima candida come una pagina vergine di scritto,le prime tracce dei più forti e nobili sentimenti destinati a dirigere la sua vita. « L'avvenire di un fanciullo è sempre I'opera della madre» diceva Napoleone. Infatti è lei che ha l'obbligo d'indirizzarlo al bene, di combattere le sue tendenze cattive, di aprire la sua intelligenza, e senza inasprirlo, senza affaticarlo soprattutto. Le prime nozioni, morali e intellettuali, devono esser date ed apprese per via dei giochi, nel corso di una passeggiata, soddisfacendo a una curiosità, non trascurando di far notare le conseguenze benefiche o perniciose d'una azione; limitando al puro necessario, al comprensibile per non affastellare spiegazioni e renderle inafferrabili alle tenere intelligenze. Coi bambini è bene usare un linguaggio semplice, un poco immaginoso, anche, come è il loro; nè mai lasciarsi cogliere in contraddizione o farsi vedere esitanti. Occorre una risposta pronta agli innumerevoli e terribili perchè, e che questa risposta sia sempre tale da appagarli, da lasciare in essi il solco di una nuova idea su quanto li circonda: e questa idea che diamo loro, sia la più approssimata al vero, la più lontana dal bizzarro e dal superstizioso.

Pagina 645

L'angelo in famiglia

183322
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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POICHÈ stamane abbiamo parlato della rassegnazione veramente cristiana di Silvio Pellico, ci cade in acconcio di parlare un po' della nostra, od almeno della necessità che noi abbiamo di farne tesoro per noi medesime, mentre l'occasione di servircene ci si mostra ad ogni piè sospinto, ad ogni volger d'occhio, ad ogn'istante. Abbiamo riflettuto assieme più d'una volta, che coloro i quali vengono colpiti dalla sventura senza essere contrabbilanciati dalla fiducia e dalla speranza del premio futuro a quella promesso, si abbandonano a smanie, alla disperazione, fino al suicidio se non sono cinici, e se non sono riusciti ad attutire ogni loro sentimento. Ad evitare simili eccessi, noi abbiamo in pronto le virtù cardinali, le quali ci sollevano da un gran peso, e se non arrivano ad asciugare le nostre lacrime, per non privarci del merito ad esse congiunto, le rendono però meno amare, e comunicano loro una soavità ignota per sempre al mondo ed ai mondani. E chi leggendo la stupenda poesia del Torti sulla Fede, allorchè egli parlando della vecchierella della sua montagna dice: O del raccolto le godesse il core, O la gragnuola i tralci le schiantasse, Benedisse nel gaudio e nel dolore, Nè fu il suo ragionar che una parola: La volontà sia fatta del Signore. chi non si sente profondamente intenerito, ed invogliato a ripetere con essa la difficile parola la volontà sia fatta del Signore? È un errore credere esservi bisogno di una simigliante rassegnazione soltanto nei grandi dolori i quali ci capitano a lunghi intervalli, mentre ci e più che mai indispensabile in tutte le circostanze della vita, se non in grado uguale, almeno nella sostanza, tanto nei piccoli contrattempi e nelle leggiere indisposizioni, quanto nelle più fiere sventure e nelle mortali infermità. Oggi mi duole il capo od il petto, mi sento senza lena, svogliata, ed ho una matta inclinazione ad inquietarmi di tutto e con tutti; se avrò il pensiero costante di tutto prendere dalla mano di Dio, non farò sentire il peso del mio male a coloro che mi circondano, ma sarò dolce con essi, paziente, e mi guarderò dal riuscir loro di flagello forse maggiore di quanto nol sia il mio stesso male. Ecco la pazienza, la rassegnazione cristiana produrre naturalmente l'uguaglianza di carattere, quell'uguaglianza invidiabile che conserva la pace nelle famiglie, accresce il vicendevole attaccamento, migliora gli animi, e genera una lunga serie di benedizioni. Mia cara amica, io spero che questi miei consigli ti sieno superflui, e tu già possieda quella dolcezza, quella tranquillità inalterabile la quale proviene dall'aver donato la mente ed il cuore a Dio, dal quale tutto accetta; ma, pur troppo, alla tua età le passioni sono vigorose, la fantasia agitata, e molto facilmente potresti cadere in preda della sfiducia, dello scoraggiamento. No, no, figliuola, non cedere alle tentazioni; è l'angelo delle tenebre che soffia nel tuo fuoco per unire alle sue le tue fiamme; non ti accorgi che l'angelo tuo benedetto nol vuole, e che lui, proprio lui, ti suggerisce al cuore quel buon consiglio, quella specie di rimorso, per strapparti dal cuore quella sublime parola che l'Unigenito Figlio di Dio c'insegnò a dire quando nell'orto del Getsemani, immerso in un sudore di sangue, esclamò al Padre: la vostra volontá sia fatta, e non la mia? Disprezza i piccoli acciacchi, le piccole miserie della vita; renditi ad essi superiori, tieni il tuo spirito rivolto a Dio, ed allorchè ti sopravverranno le disgrazie, saprai accoglierle con animo rassegnato, offerendo al Signore le tue pene in espiazione delle colpe tue e delle altrui. Allorchè ad Abramo fu fatto il terribile comando di sacrificare ed uccidere il suo unico figlio sospirato tanto tempo, e tanto teneramente amato, egli dovette provare uno smisurato dolore; pure egli pensa all'obbligo di rassegnarsi al voler del sommo Iddio e di prestargli l'atto della sua obbedienza; e, caricato Isacco delle legna sulle quali doveva essere svenato ed arso, si reca con lui sulla sommità del monte, lega il proprio figlio, gli benda gli occhi, ed impugnato un coltello e fatto un supremo sforzo di rassegnazione, solleva la mano per ferirlo ed ucciderlo. Ma il Signore ha veduto l'obbedienza del suo servo, ha accettato il sacrificio già consumato nel suo cuore, ed inviato un Angelo, arresta la mano al santo Patriarca, e gli restituisce il figlio. E chi può ridire la gioja immensa di quel padre virtuoso e fortunato? E chi può enumerare la lunga catena di benedizioni riservatagli da Dio pel suo eroico coraggio, per la sua eroica rassegnazione? Orbene, il Signore non pretende da te un simigliante eroismo; pure pretende qualche cosa, anzi molto da te, ed è che tu rinunci alle tue passioncelle, alle tue inclinazioni per servire Lui solo, ti uniformi completamente alla sua divina volontà in tutte le cose, diventi tutta di Dio e per Iddio. Desideri tu vivamente un collocamento onesto, e vedi sempre fuggirti dinanzi quell' ombra che prima ti aveva cotanto lusingata? Pensa che soltanto pel tuo bene Iddio ti lascia nella tua casa; Egli conosce le cose future come le presenti, e vede che quanto forma il tuo sospiro, sarebbe invece la tua rovina. Pronuncia adunque generosamente quel fiat mediante il quale la tua volontà sarà unita ed uniformata a quella di Dio, e ti renderà meno pungenti le perdite amarissime ch'io prego ti vengano risparmiate, ma che pur troppo facilmente verranno a colpirti. Entriamo in uno spedale; da un letto una donna ti guarda con occhio bieco quasi a vendicarsi del benessere che tu hai e ad essa tolto; t'avvicini ad essa, le dici parole pietose, le porgi un soccorso, ma l'inferma conserva alcunchè di selvaggio e d'irritato; si lagna del letto, del vitto, dell'infermiera, del medico, e finisce col bestemmiare che Dio ha fatto male ad aggravarla così... Col cuore accasciato ti allontani da quella malata, e t'accosti ad un'altra la quale ha un occhio più mite ed un'apparenza più tranquilla. Leggendo sulla tabella sovrapposta al letto, cancrena, chiedi tremante all'inferma se il suo male è tormentoso; essa affermando china dolorosamente il capo, e soggiunge non volerci che la somma carità delle infermiere a tollerarla cogl'infiniti suoi bisogni e cogl'interminabili suoi ahimè! Essa trova ottimo il trattamento usatole dai medici, dalle suore, dalle inservienti; dice e crede di non meritare tanta bontà; si sforza di ringraziar il Signore il quale si degna, colle pene temporali, accorciarle le pene del purgatorio, ed avendo sentito il medico susurrare all'orecchio dell'infermiera che quella vita non potrà prolungarsi oltre una quindicina di giorni, ha frenato un primo movimento di timore per dar luogo ad una vera esultanza. La terra si dilegua ai suoi occhi; non vede che il cielo. Tu le chiedi se ha parenti che la visitino, e la poveretta traendo un sospiro e levando al cielo uno sguardo ti dice che spera rivederli lassù: tu non sai distaccarti da quel povero letto, e mentre la povera inferma ti ringrazia commossa d'averla visitata senza pur conoscerla, ti dice che sei l'inviata di Dio e ti promette di pregare per te. Io lo vedo, sulle gote ti scorrono calde due lagrime, e giunta all'altarino della Madonna, e piegato il ginocchio nascondi il viso tra le mani volgendo nell' animo: Io sono veramente un nulla; quella è vera grandezza! Non sai allontanarti da quella sala senza volgere un ultimo sguardo alla povera inferma, senza riavvicinarti ad essa, raccomandarti nuovamente alle sue preghiere come a quelle d'un'anima santa, ed il suo limpido sguardo figgendosi nel tuo ti riempie di confusione, e come eco insistente e pur cara ti ripete al cuore: rassegnati, rassegnati al voler di Dio! Oh! sì la rassegnazione è una virtù difficile se la consideriamo astrattamente; ma se la vediamo praticata, posta in atto, leggiamo come in un libro lucente la soavità da cui è costantemente accompagnata. E dimmi; coloro i quali tolgono alle anime afflitte la rassegnazione cristiana, sforzandosi considerarla dote delle anime piccole, dimmi, cosa danno loro in compenso? Essi come popoli vandali e selvaggi non sanno che abbattere e distruggere, senza pensare nè aver modo alcuno a riedificare. Io ho una casina modesta se vuoi, ma ben salda sui fondamenti, comoda e pulita, adattata ai miei bisogni e rispondente a tutto il confortevole alla vita: viene un mestatore e mi dice che quella casa è piccola, indecente, rovinosa, e, senz'aver mezzo alcuno di rifarmela poi pretende la mia adesione per atterrarla, o tenta passare dal detto al fatto colla violenza; non sarei io sommamente sconsigliata, assoggettandomi alla stolta prepotenza del temerario? Oh! non lasciamoci abbattere questo edificio: non lasciamoci rapir dal seno questo tesoro!

Pagina 821

Galateo ad uso dei giovietti

184017
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
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Noi cittadini del regno d' Italia, grazie a Dio, non abbiamo di questi pericoli e di queste paure.

Pagina 140

Come devo comportarmi. Le buone usanze

185145
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Quelle norme che abbiamo già date sul ballo in genere e sull'accettazione o meno d'un invito, valgono anche qui. Se abbiamo consigliato ad una buona madre di famiglia di non condurre le proprie figlie a ballare in case dove non si sia sicuri d'incontrare una compagnia superiore anche al più lontano sospetto, dobbiamo ora consigliare chi si propone di dare un ballo a scegliere con grande oculatezza gl'invitati, in modo da evitare che qualche elemento discordante turbi l'intimità e la dignità della festa. S'invitino dunque persone della cui buona educazione e correttezza si abbiano prove sicure, scartando tutti coloro che anche lontanamente ci siano sospetti. Secondo l'importanza del ballo, gl'inviti si fanno a voce o per iscritto, e generalmente molto tempo prima (una quindicina di giorni almeno) della data stabilita. È bene ch'essi siano limitati, specialmente se lo spazio di cui si dispone non è molto: l'affollamento nuoce quasi sempre all'andamento regolare della festa. Per quel che riguarda più da vicino i preparativi del ballo, è necessario, per far le cose in regola, avere a disposizione almeno tre sale: una più grande, dove si ballerà; una seconda per coloro che non ballano o si riposano dopo aver ballato; una terza per il buffet. La sala da ballo deve essere molto illuminata e vuota d'ogni mobile: tutt'al più, se è molto grande, può aver tutt'all' intorno degli stretti divani, per i ballerini e le ballerine. In un angolo si farà il posto per il pianoforte o per l'orchestrina. Non importa dire che, se appena appena il ballo è d'una certa importanza, ci devono essere per la musica delle persone apposta: sottoporre al martirio di sonare a ballo per ore e ore qualcuno degl'invitati, è cosa alla quale non si deve neppur pensare. Sul pavimento della sala da ballo si stende generalmente una tela a mo' di tappeto, che trattiene la polvere e facilita i movimenti delle coppie danzanti. La seconda sala sarà invece provvista di ogni comodità. In essa potranno stare a loro agio le mamme che non ballano o coloro che si riposano. Ottima cosa sarà poter disporre di una stanza contigua, riservata specialmente agli uomini che fumano o giuocano; servirà mirabilmente, a questo scopo, la sala da biliardo, se c'è, o anche lo studio del padrone di casa. La sala da buffet rimane generalmente chiusa e oscura fino a quando non entra in funzione, cioè verso la mezzanotte. In essa, su una lunga tavola centrale, o su piccole tavole laterali, sono disposti i cibi e le bevande destinati agl'invitati. La preparazione d'un buffet freddo per una festa da ballo di una certa importanza è un affare difficile e complicato; e la cosa migliore è affidarla a persona dell'arte, risparmiandosi fatiche talvolta, sgradite sorprese. Tuttavia, chi voglia farla da sè, tenga conto soprattutto che la nottata è lunga e che i ballerini sono generalmente molto giovani e d'ottimo appetito. Ci sia dunque una certa abbondanza di cibi e di bevande. In generale i cibi principali sono il pollo in galantina, gli sformati, il prosciutto, i crostini assortiti, le paste dolci, le arance, i mandarini e altre frutta; per le bevande, oltre lo spumante, che è di rito, i vini bianchi e in special modo le bibite ghiacciate, come aranciate e limonate, delle quali si fa durante la notte gran consumo. Quando cominciano ad arrivare gl'invitati, il padrone e la padrona di casa debbono interamente dedicarsi al loro ricevimento, non omettendo mai di presentarli gli uni agli altri, quando non si conoscano. È questa la regola più antica e più comoda; oggi, specialmente quando si tratti di balli con gran numero d'invitati, si omette spesso questo cerimoniale; in tal caso, gl'invitati si presentano fra loro al momento opportuno. Durante il ballo, i padroni di casa e le altre persone di famiglia, se ce ne sono, devono occuparsi soprattutto delle persone che non ballano. Sono queste, in generale, le mamma e i babbi, e quelle povere signorine che la natura matrigna, privandole delle doti di grazia e di bellezza, destina a far da tappezzeria. Il padrone di casa farà dunque l'opera buona d'invitarle ogni tanto, e per turno, a fare un giro con lui, e pregherà garbatamente i suoi amici più intimi a far lo stesso. Intanto la signora terrà circolo con le mamme, cercherà di affiatarle fra loro, intavolerà la conversazione; e quando vedrà che tutto procede bene, potrà anche alzarsi per occuparsi d'altro. Di tanto in tanto, farà anch'essa il suo giro di ballo, accettando qualche invito; ma non ballerà tutta la notte, lasciando la sorveglianza generale della festa. Per dei padroni di casa che desiderano che tutto proceda regolarmente, una festa da ballo esige una gran fatica e molto spirito di sacrifizio. L'unica preoccupazione di chi la dà dev'essere di far divertire gli altri senza pensare a sè; l'unica soddisfazione, quella di veder godere gli altri. Abbiamo parlato altrove degli abiti da ballo. Qui diremo soltanto che il padrone a la padrona di casa devono per i primi strettamente uniformarsi alle regole che hanno stabilite. Se si è imposto l'abito nero, sarebbe una sconvenienza presentarsi in giacchetta, col pretesto che si è in casa propria; se non si è imposto, sarebbe un esporre gl'invitati a far cattiva figura, indossando il frac. Quanto ai figliuoli, se sono molto piccoli, non conviene che prendano parte al ballo: essi sono quasi sempre d'impiccio, e la loro salute non gode a perdere per una notte intera il riposo e il sonno; se sono grandicelli, potranno assistere alla prima parte del trattenimento più come spettatori che come attori; quasi sempre, i bambini che ballano intralciano le danze dei grandi. Queste regole non valgono naturalmente per i balli dei bambini, che si danno nelle ore del giorno. In essi, soltanto i bambini devono ballare, e i grandi, anche se molto giovani, devono far la parte di spettatori. Per quel che riguarda il vestito, una madre saprà vestire il proprio piccino con eleganza, senza arrivare all'esagerazione. Purtroppo si vedono talvolta girare per le sale dei bimbi abbigliati come tante bambole, pieni di fronzoli e di nastri; e la madre che è responsabile di una tale caricatura vien subito tacciata di cattivo gusto. Si può, anzi si deve, unire l'eleganza, alla semplicità, perchè ciò che veramente è elegante non può non essere anche semplice. Tornando all'argomento, la festa ha termine di solito la mattina, fra le quattro e le sei; ma gl'invitati possono lasciarla anche prima, quando lo credano conveniente; nè i padroni di casa hanno diritto di aversene per male. Nelle feste di gran parata e molto numerose, si può filare all'inglese, cioè senza salutare gli ospiti; ma nei balli di famiglia, e quando si abbiano relazioni d'amicizia con chi dà la festa, l'accomiatarsi con parole gentili è d'obbligo. Ed è pure d'obbligo una visita di ringraziamento dentro gli otto giorni.

Pagina 197

Il saper vivere

185569
Donna Letizia 1 occorrenze
  • 1960
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
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Molte mamme si proclamano con un misto di compiacenza e di civetteria "le migliori amiche" delle loro figliole, concludendo immancabilmente: « Non abbiamo segreti, ci raccontiamo tutto! ».I rapporti tra madre e figlia che "si raccontano tutto" covano quasi sempre epiloghi burrascosi. Alla prima divergenza di una certa importanza, la mamma cerca invano di risalire in fretta gli scalini dell'autorità: la figlia le risponde da pari a pari, magari rinfacciandole le sue confidenze, come farebbe appunto con un'amica che volesse improvvisamente imporle la propria volontà. L'assoluta confidenza "reciproca" è ragionevole e naturale solo quando la figlia, ormai sposata, ha assunto la responsabilità della propria vita. Ecco riassunti i 10 Comandamenti della buona madre: 1) Alla buona madre non preme tanto di essere capita dai figli, quanto di capirli lei. 2) Se le accade di bisticciare con il marito in loro presenza, si controlla ragionevolmente. 3) Non è gelosa dei loro amici: li sollecita a venire in casa e li accoglie sempre cordialmente. 4) Se autorizza un ricevimento di ragazzi, può astenersi dall'apparire in salotto, ma non esce di casa, a meno che qualche persona di fiducia non vi rimanga in sua vece. 5) Prima di autorizzare la figlia ad accettare inviti in casa di un'amica si assicura che si tratti di un ambiente "pulito". Non, ostacola le sue amicizie con ragazzi di condizione più modesta, purché beneducati. 6) Proibisce alla figlia cinematografi e serate a quattr'occhi con un ragazzo. 7) In nessun caso dà la chiave di casa alla figlia, anche se questa si reca a una festa di sera accompagnata da una persona di fiducia o lei o il marito l'accoglieranno al ritorno. 8) Non si ostina a imporre vestiti da educanda alla figlia, né pantaloncini al ginocchio al figlio, quando alla prima è già fiorito il seno, e al secondo sono spuntati i baffi. 9) Fa di tutto perché la figlia non debba confidare al suo diario o alla migliore amica: "La mamma non mi capisce". Non rifiuta mai di discutere con lei una situazione o un fatto che le stanno a cuore. In queste discussioni non perde mai il controllo. Se la figlia ha un flirt, non diventa di colpo sospettosa e aggressiva. 10) Non apre la corrispondenza dei figli se non in casi estremi.

Pagina 34

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188280
Pietro Touhar 2 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
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Abbiamo quindi creduto utile esporre alcuni di quei precetti di civiltà che giova seguire a chi non vuole esser tacciato di zotico in mezzo a simili riunioni. Le riunioni serali possono essere classate così: riunioni di semplice conversare e di giuoco; riunioni letterarie; riunioni musicali. Quanto alle prime non vi è nulla di particolare; e basterà far riscontro del capitolo sul Contegno in conversazione, e leggere quello che qui aggiungeremo intorno al giuoco, per avere bastanti nozioni sui modi di comportarsi. Le seconde sono rare, massime in provincia, e per lo più non riescono molto divertevoli, o non sono adattate alle giovani; ma ritrovandovisi, anche una fanciulla deve sapervi stare come si conviene, e far conoscere che se non ha pregi letterari, possiede bensì tutte le qualità della buona educazione. Chi legge qualche componimento, mostra, è vero, di sottoporlo al giudizio imparziale degli uditori, ma nutre anco la speranza di raccoglierne i suffragi. Spesso rivolge un occhio indagatore sulle faccie delle persone che gli stanno attorno, col timore di scorgervi indizio di noia, o con la speranza di tener sempre viva la loro attenzione. Procurate dunque di non distrarvi; non rivolgete la parola a chi vi sta accanto, non fate gesti che possano parere indizi d'impazienza, non tossite, non vi abbandonate insomma ad alcun atto che possa smentire quella premura che aver dovete per la buona accoglienza della lettura che vi vien fatta. Potete peraltro addimostrare la vostra approvazione, se vi sembra opportuno, ma coi debiti riguardi; chè se vi faceste a interrompere troppo spesso il lettore, potrebbe parere che andaste cercando una distrazione nella prodigalità degli applausi. Fareste eziandio cattivo servigio al lettore, se il vostro plaudire lo interrompesse in mezzo a un periodo di maggiore effetto e sul quale fondato avesse le sue più lusinghiere speranze. Non importerà avvertire quanto starebbe male che alcuni si ponessero a far crocchio da sè prima che una lettura sia giunta al suo termine. Le serate musicali presentano pressochè i medesimi inconvenienti, e richiedono le stesse cautele e non meno benevola attenzione. Vi avverrà talora di dover udire un pezzo di musica stentato, eseguito senza grazia, senza armonia; le vostre orecchie non devono mostrarsi infastidite dalle stonature; nè dovete far mostra di volervi astenere dai consueti elogi che peraltro nulla significano. Anche la civiltà ha certi obblighi talora gravosi, ai quali ciascuno, senza bisogno di mostrarsi servile o piaggiatore, deve per benignità e gentilezza d'animo sottoporsi. Il vestiario, per chi vuole debitamente fare onore alla comitiva, è cosa da farne conto; e soprattutto le donne devono saperlo adattare alla circostanza, e perfino alla forma dell'invito. Fuggano sempre ogni sorta di esagerazioni, ma non affettino trascuranza o dispregio delle più ragionevoli consuetudini. Se la grazia è necessaria per sapere assistere ad una riunione festiva, la modestia è ornamento ben più d'ogni altro pregevole. Non saranno mai troppe le cautele delle fanciulle in questo punto, e massime al loro primo comparire nella società. Sfuggano eziandio la estrema vivezza dei modi, l'arditezza degli sguardi, le risa smoderate, i sorrisi maliziosi, tutto ciò insomma che richiamar potrebbe attenzione sopra di loro. Siano disinvolte con naturalezza e con grazia; modeste senza affettazione di eccessiva ritrosia, ingenue, dignitose, prudenti; e si ricordino che spesso dal loro contegno, nei primi passi che faranno in mezzo alla società, può dipendere la futura riputazione in questa parte della umana convivenza. Dobbiamo: Porgere attenzione alla lettura di un componimento a cui abbiamo consentito di assistere; applaudire con opportunità e moderazione; mostrarci benevoli verso chiunque si cimenta nelle ricreazioni musicali: osservare le usanze relative al vestiario da conversazione; essere cautelate in ogni incontro. Non dobbiamo: Assentarci o tirarci in disparte prima che sia posto fine ad una lettura nelle riunioni letterarie; interrompere una lettura o pezzo di musica con applausi fuor di luogo.

Pagina 118

Se abbiamo intenzione d'invitar qualcuno a venire a casa nostra la prima volta, o ad un banchetto, o ad una conversazione, o ad una festa qualunque, conviene fargli visita prima di mandargli l'invito; e questa visita deve essere restituita in breve tempo. Contuttociò non sarà necessario avvertire che in niun caso le donne sono obbligate a far visita agli uomini. Le visite d'obbligo che devono esser fatte dentro gli otto giorni, sono destinate a ringraziare per qualche servigio ricevuto, o vengono fatte dopo un desinare, dopo una festa, dopo qualsivoglia riunione a cui siamo state invitate; ed anche queste vogliono essere corte, e opererebbe contro la civiltà chi le trascurasse. Visite di circostanza sono quelle del capo d'anno, o in occasione di matrimoni, di battesimi, di lutti; e queste per lo più vengono regolate secondo il maggiore o minor grado di conoscenza, d'intimià, di familiarità che passa tra noi e le persone a cui le facciamo. La visita è sempre un'attenzione; laonde chi la riceve deve mostrarne gradimento e riconoscenza; e facendo all'opposto darebbe prova di inciviltà. Conviene poi scegliere per esse il tempo opportuno, scansando, cioè, quello comunemente assegnato ai pasti ed alle consuete faccende, e non mai prima d'un'ora dopo mezzogiorno. Se, ad onta di queste cautele, vi par di giungere in mal punto, o perchè la persona da visitare sia per uscire, o debba occuparsi d'affari, o vada a mensa, vi accomiaterete più presto che sia possibile, e non cederete alle istanze, ancorchè ripetute, che per gentilezza vi saranno fatte per indurvi a trattenervi di più. Andando a far visita è necessario portar vesti adattate, purchè non si tratti di visite amichevoli, nelle quali il fare sfoggio di acconciatura sarebbe cosa ridicola e pressochè offensiva. Nell'anticamera convien lasciare tutto ciò che ci fa ingombro, come controscarpe, mantello, ec.; poi aspettare che il servo abbia annunziato il nostro arrivo; e se il servo non vi fosse, va battuto leggermente all'uscio prima di aprirlo. La qual cautela deve essere usata anche verso le persone a cui siamo legate da molta amicizia. Quando siamo in case di confidenza possiamo levarci il cappeIlo, se ci piace; ma, ove non passi grande familiarità fra noi e la persona visitata, è meglio aspettare che ce ne sia fatto cortese invito. Abbiamo già osservato che una visita di complimento deve essere di breve durata. Se la persona a cui fate visita non tien vivo il colloquio, approfittatevi del silenzio per prenderne commiato. Al sopraggiungere d'un'altra visita potete allontanarvi senz'altro con quella disinvoltura che non interrompe le accoglienze fatte alla nuova persona. Se al vostro arrivo trovate altri che già siano a colloquio, non istarà bene che prendiate subito parte nel loro conversare; rispondete concisamente alle domande che vi saranno fatte, e cogliete il destro d'abbreviare la visita. Chè se vi vien fatta premura di rimanere, cedete, e tornate ad assidervi. Ma sebbene queste premure siano da considerare quale riprova del gradimento della vostra compagnia, non ne abusate, e in breve allontanatevi. Uscendo salutate la padrona di casa, e fate poi un saluto collettivo alle altre persone. Prima di dar fine a questo capitolo, parliamo alcun poco dei biglietti da visita, dei quali per solito vien fatto un abuso che le persone bene educate non possono approvare. Furono da principio istituiti per far sapere ai conoscenti che avevamo fatto proposito di vederli, se non ne fossimo stati impediti o per la loro assenza da casa o per cagione di affari che loro impedivano di ricever visite; ed ora, specialmente in certe occorrenze, come per esempio, pel capo d'anno, sono divenuti una specie di ricordo senza importanza e senza significato, talchè molti che presumono di stare in sul convenevole Che presumono di stare in sul convenevole, che presumono praticare con ogni cura le cerimonie e i complimenti. e la vera cortesia non conoscono, commettono perfino la ridicolezza o la inciviltà di mandarli per mano dei loro servitori. Allora il rimandare il proprio biglietto è risposta bastante a quella specie di visite; e il portarlo in persona sarebbe attenzione superflua. Nelle visite alle amiche non ha che fare la carta, poichè con esse non teniamo conteggio di dare ed avere; e se non le troviamo in casa basterà informarci delle loro nuove e lasciare i nostri saluti. In sul cominciare di questa usanza furono adoperate le carte da giuoco, non più servibili, e tagliate in tre o quattro pezzetti, sui quali ii visitatore scriveva da sè il proprio nome. Ora chi vuol seguirla, e non esser creduto indietro un secolo, deve valersi di biglietti espressamente incisi o stampati o litografati; e quanto più semplici saranno, tanto più daranno indizio di buon gusto. Spesso i biglietti ricamati, profumati, ornati di titoli, d'emblemi di nobiltà, ec., si assomigliano ai cartelli dei ciarlatani. Dobbiamo: Fare anticipatamente una visita alla persona che abbiamo intenzione d'invitare a casa nostra per la prima volta; far le visite d'obbligo nello spazio d'otto giorni; mostrare cortese gradimento delle visite che ci vengono fatte; usar vestiario convenience quando andiamo a far visita; abbreviare la visita quando la conversazione si va illanguidendo; fare, partendo, un saluto distinto alla padrona di casa. Non dobbiamo: Far di seguito due visite di cerimonia innanzi che la prima sia stata restituita; usare importunità o indiscretezza nelle visite; assumere modi troppo familiari con le persone che appena conosciamo; intrometterci in una conversazione incominciata, senza essere richieste; fare abuso dei biglietti da visita; nè servircene nelle visite d'amicizia.

Pagina 56

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189226
Pitigrilli (Dino Segre) 2 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Secondo l'Ecclesiaste il numero degli stolti è infinito; secondo Mark Twain i quattro quinti dell'umanità sono composti di sciocchi, una persona su 18 ha bisogno, negli Stati Uniti, di un più o meno lungo soggiorno al manicomio, il 14 per cento, nei paesi latini, soffre di turbamenti nervosi, e Alejandro Raitzin ha scritto 720 grandi e fittissime pagine intitolate «El hombre no es cuerdo» - l'uomo non ha la testa a posto - per sostenere che tutti quanti, uomini e donne, abbiamo il cervello sregistrato. Per conseguenza c'è poco da imparare dall'ambiente. Se abbiamo la fortuna di figurare nella quinta parte generosamente riconosciuta, da Mark Twain, i quattro quinti di sciocchi che popolano il mondo sono pronti ad assorbirci, assimilarci, fagocitarci, e noi offriamo una predisposizione ancestrale a cedere alla potenza del numero. Basta osservare come si trasforma l'uomo in villeggiatura, in carovana, in crociera: egli si metamorfosa nel villeggiante, nel turista, nel crocerista, come se la campagna, la terra straniera, il piroscafo facessero germogliare e fiorire in forma lussureggiante la pianta della stupidità. Quando gli individui si agglomerano, il loro livello mentale è tanto più basso quanto più il loro numero è alto. Un uomo di trenta anni ha la mentalità di trent'anni; prova a mettere cinquanta uomini insieme: manifesteranno la mentalità di uno studente di quindici, bocciato e vendicativo; imbottìgliane cinquantamila in un campo di foot-ball, e vedrai esplodere la mentalità collettiva di un bambino di sette anni. I governi che incoraggiano lo sport sanno che quei 22 bruti, più l'arbitro, hanno il potere di abbrutire cinquantamila persone e disabituarle dal riflettere e dal pensare. Se ognuno di noi non si sradica dall'ambiente è perduto; la mentalità della moltitudine lo assorbe e lo assimila. E' più facile imparare una frase stupida che una frase intelligente, perchè la frase stupida trova nel nostro cervello i solchi incisi dalla stupidità ereditaria. Se così non fosse, non si spiegherebbe la travolgente fortuna che hanno i proverbi, le parole delle canzonette, le esclamazioni dei melodrammi, i detti memorabili mai pronunciati, la facile psicologia contenuta in certi titoli come «gli interessi creati» e in certi versi «el color del cristal con que se mica» - il colore del cristallo attraverso il quale si guarda. Se così non fosse, non si spiegherebbe la facilità con cui la gente si aggrappa a un tentativo di spiegazione dei fenomeni inspiegabili. Esempio : si discorre di spiritismo. E' inevitabile che uno dei presenti prenda la parola per enunciare questo luogo comune: - E' come se cinquant'anni fa qualcuno avesse detto che un giorno, girando il bottone di quella cassetta, si sarebbe udito la voce di una stazione radiostrasmittente di Montevideo. Si parla di zoofilia: - Con tanta fame che c'è nel mondo... - esclamerà l'insopprimibile cretino, come se gli avanzi che si dànno a un gatto a Parigi si potessero convertire in un tacchino arrosto per i Cinesi che muoiono di fame sul Fiume Giallo, o se col feltro della coperta della cagnetta del Duca di Windsor si potesse fare un soprabito per il povero che agonizza di freddo sulla Perspektive Newski. Non avete mai teso l'orecchio alla facile filosofia dei mediocri con pretesa di profondità di pensiero? Ci troviamo davanti a un tramonto: - Se un pittore lo mettesse in un quadro, tutti diremmo che è falso. Davanti a un mazzo di fiori: - Chissà perchè quando i fiori sono belli si dice che sembrano finti, e quando sono finti si dice che sembrano veri. A un suicidio? - Ci vuole più coraggio per vivere che per suicidarsi. Contro questa facilonerìa, contro questo squallore mentale, gli intelligenti reagiscono. All'epoca delle demolizioni di Haussmann, che sulla Capitale del Secondo Impero, muffita, antigienica e crollante, costruì la Parigi dei nostri tempi, il direttore di un quotidiano collocò in redazione un cartello: «Sarà licenziato sui due piedi il redattore che scriverà la frase: «Ed ecco un altro po' della nostra vecchia Parigi che scompare». Eliminò così quella frase. Non eliminò la «stultiloquentia» dilagante, il blablabla della gente semicolta che brilla per mezzo delle frasi semierudite: «Ma questa è un'altra storia, come direbbe Kipling» e «come il signor Jourdain che faceva della prosa senza saperlo», e «i popoli felici non hanno Storia»... Mi si obietterà: Ma allora non si può più parlare. Se è così denunciatore il far sentire la propria voce non sappiamo più che cosa dire. Voi ci togliete il coraggio di aprire la bocca. Risponderò che l'autocontrollo deve insegnarci a disporre equilibratamente della parola, dono divino del quale abbiamo la pericolosa disponibilità, e al quale la saggezza araba pone un temperamento con la domanda: «Perchè parli, dal momento che puoi anche stare zitto?»

Pagina 121

Si racconta che un celebre romanziere, dopo aver parlato per un'ora di se stesso, investito da un'improvvisa raffica di pudore, disse: - Ma finora abbiamo parlato di me. Ora parliamo un poco di te. Hai letto il mio ultimo libro? Sembrerebbe dunque che un cenno all'ingegno o al trionfo desse risultati infallibili. Almeno così crede il gran pubblico, che quando scrive a un letterato destina mezza pagina alla «captatio benevolentiae», dicendogli su quali alti gradini della scala della celebrità egli lo colloca. Ma non sempre il metodo riesce. Chi parlava a Tolstoi dell'opera sua gli dava un dispiacere. Quando si riconciliò con Turghenieff, dopo diciassette anni di inimicizia e di indifferenza, Turghenieff passò con lui sette giorni nella sua casa di Iasnaia Poliana, e lodò i suoi libri. Appena l'ospite fu ripartito, Tolstoi gli scrisse: «Quando sento parlare delle mie opere, provo un sentimento complesso, i cui principali elementi sono la vergogna e il timore che mi si canzoni. Benchè sia certo della vostra benevolenza, mi sembra che anche voi ridiate delle opere mie. Meglio dunque non parlarne più fra noi».

Pagina 338

Nuovo galateo

190079
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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.» * Il timore d' essere gravoso con una visita diviene irragionevole ed é una specie di affronto quando il vantaggio che abbiamo in vista, è molto maggiore dell'incomodo che rechiamo, del che ne diede esempio quel contadino, il quale essendosi portato di notte alla casa d'un curato per chiamarlo a soccorrere suo padre moribondo stette tre ore alla porta picchiando molto piano e interrottamente; della quale cosa ripreso dal curato, il villano rispose che avea timore di svegliarlo.

Pagina 197

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190737
Schira Roberta 2 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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Se siamo catapultati a una cena con decine di tavoli, non abbiamo fatto in tempo a informarci degli invitati e non conosciamo nessuno, ricordiamo che ci si presenta sempre. Si porge la mano dicendo semplicemente: «Buonasera, sono Anna Rossi». Doverosa la citazione del fortunato libro di Sibilla della Gherardesca Non si dice «piacere». Da approvare senza riserve. Formula alla quale si risponde: «Molto lieto/a» o semplicemente «Buongiorno» o «Buonasera». Si dà sempre del «lei», meglio lasciare il «tu» a un secondo momento e solo se viene richiesto, tranne tra persone appartenenti alla stessa categoria, come i giornalisti o i membri dello stesso club. E ovviamente, ma è utile ribadirlo, si pronuncia prima il nome poi il cognome, e mai il contrario. Mentre si fanno le presentazioni gli ospiti devono rimanere in piedi; le signore sono esonerate, a meno che non venga loro presentata una persona particolarmente importante o più anziana. Insomma, in ogni situazione l'atto di alzarsi è visto come un gesto di reverenza e di rispetto, ricordatelo per sapervi destreggiare in ogni evenienza. Ci occuperemo della stretta di mano nella seconda parte del libro; ora basti dire che deve essere ferma e decisa. Ricordiamo che negli Stati Uniti la stretta è uno degli elementi che influiscono sull'esito di un colloquio di lavoro.

Pagina 43

Basti pensare al declino della flûte, quel bicchiere lungo e stretto che invade le nostre vetrinette e che abbiamo accumulato negli anni. I bicchieri vanno presi per lo stelo per non lasciare aloni sulla coppa e per non alterare la temperatura del vino e vanno sempre tenuti con la mano destra e posati in tavola alla nostra destra. Ah, i bicchieri più belli in cui abbia bevuto in vita mia? Quelli dell'enoteca Pinchiorri a Firenze, una delle più grandi al mondo.

Pagina 79

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

191940
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 3 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
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E noi abbiamo occhio a tutto, dal rifornir l'acqua ne'vasi, sino a spazzolare i vestiti. Nè questi ci sembrano uffizi ignobili e bassi. Ve n'ha forse, ove si tratti della famiglia e di render servigio a que' tanto cari che ci hanno data la vita?

Pagina 211

Noi, che al corpo applichiamo vesti contessute di lino e di canapa, non abbiamo ugualmente mestieri dei bagni, come gli antichi; tuttavia saranno molto utili anche per noi. Nello stato di sanità sono più convenienti i bagni appena tepidi. Ciò nondimeno non è certo da riporvarsi che dalla fanciullezza si avvezzasse alle mutazioni di temperatura per mezzo dei bagni; perchè in tal guisa il corpo s'indura. Non conviene mai prendere il bagno subito dopo il cibo; ne troppo a lungo in quello fermarsi. Il bagno riesce più vantaggioso se il corpo si dimeni nell'acqua, e ad un tempo la pelle venga leggiermente stropicciata. La cute è tutta sparsa di bubbarelli detti pori, pei quali si fa la traspirazione, cioè traspiriamo certi umori superflui o nocivi del nostro corpo, i quali, se dentro di esso restassero, sarebbero cagione di gravi malattie e di gravissimi accidenti: la traspirazione è perciò necessaria, e dovete guardarvi dal sopprimerla, il che v'accadrebbe se passaste repentinamente da una temperatura calda ad un'altra fredda, o rimaneste all'azione del freddo col corpo molle di sudore, il quale non è altro che una traspirazione abbondantissima. Il sudiciume impedisce ancora che la traspirazione si faccia perfettamente, ed è perciò causa di vari malesseri. Importa adunque che vi laviate sovente non tanto per pulizia che per sanità; lavatevi se siete sano piuttosto con acqua fresca che con acqua calda; non esponete subito dopo d'avervi lavato le mani od i piedi al fuoco, se non volete avere i geloni o i pedignoni. I pori non solamente fanno l'ufficio di traspirare i detti umori, ma ancora assorbiscono l'umidità, le esalazioni esterne, sicchè ciò che è nocivo alla respirazione è anche nocivo alla cute; quindi anche per questo motivo bisogna che vi guardiate distarvi dove l'aria è corrotta, poichè per questa cagione certe malattie si apiccano da un corpo all'altro, come il vaiuolo, la rosolia, la rogna, la febbre putrida, e s'insinuano nel nostro corpo vari veleni provenienti da esalazioni metalliche, o da morsicature di bestie o d'insetti. A tutto ciò ottimo preservativo è il lavarsi sovente.

Pagina 312

I doveri che abbiamo verso Dio s'adempiono coll'esercizio della virtù della religione. Essa è la pia disposizione dell'animo a rendere a Dio l'omaggio che gli è dovuto. Ma quale omaggio, che sia pieno, può rendere la creatura al suo Creatore? I doveri della religione pertanto soro primi e massimi fra tutti i doveri, e indicalo la parola stessa « religione » la quale, nota Cicerone, viene da rilegare, legare doppiamente, perchè se sono sacri o santi i doveri verso gli uomini, quelli verso Dio sono sacri e santi ad un tempo, riferendosi ad un essere di infinita perfezione. Ecco alcuni documenti generali di religione : Incominciate, o figliuole, fino da' teneri anni a riguardare con profonda riverenza l'altissimo Iddio, siccome nostro principio, ed ultimo fine d'ogni nostro operare. Considerate che la sua mano onnipotente ha fatto ogni cosa in cielo ed in terra, che ci creò a sua immagine e somiglianza, e che ci agguagliò poco meno che agli angeli. A questo re dei secoli, immortale, invisibile, unico, date onore e gloria in ogni tempo, adoratelo in ispirito e verità; umiliatevi dinanzi alla maestà sua, e temete la sua giustizia. Pensate, o figliuole, che voi non potete sfuggire mai alla vista di Dio, perocchè tutto è nudo e palese a'suoi occhi.Egli vede tutto ciò che è occulto: egli penetra nel vostro cuore, pone a scrutinio i vostri pensamenti, i vostri desideri e darà la retribuzione proporzionata alle vostre opere. Qualunque cosa voi sarete per fare o in parole o in opere, fatela sempre in nome del Signore, e sia tale che non dobbiate mai per vergogna na celarla agli occhi altrui. Ricordate che il peccato non fa fortuna, e che invola sempre la gioconda pace del cuore. Non arrossite in qualsiasi tempo di mostrarvi religiose; si deve arrossire del mal operare, ma non della virtù. E religiose e devote siate nella semplicità del cuore, attendendo con amore alle opere buone che la morale prescrive e consiglia nel vostro stato. Una parola men che onesta o contraria alla decenza non esca mai dalla vostra bocca, ne permettete che altri la proferisca voi presenti. Guardatevi, fanciulle mie, dai piccoli falli, se volete evitare i gravi, giacché chi quelli trascura, facilmente incappa in questi.

Pagina 8

Nuovo galateo. Tomo II

194359
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Ella è infatti cosa difficilissima il convincere un uomo dopo che abbiamo offeso il suo amor proprio. Se il sole, dice d'Alembert, viene ad illuminare in un istante gli abitanti d'una caverna oscura, e dardeggia impetuosamente i suoi raggi sui loro occhi non anco disposti e preparati, e quindi gli irrita soverchiamente, renderà loro per sempre odioso lo splendore del giorno, di cui non conoscono ancora i vantaggi, mentre sentono il dolore che loro cagiona. Se al contrario introducesi in questa caverna un debole raggio che per insensibili gradi vada crescendo, si riuscirà a dimostrare il pregio della luce, e gli abitanti stessi ne brameranno l'aumento. Per la medesima ragione conviene rattemprare la luce del vero, ed aspettare che l'intelletto a poco a poco si sciolga dalle false idee che l'ingombrano, divenga gradatamente più forte, s'abitui e s'addomestichi col nuovo ospite che non conosceva per anco. Pretendere che tutti gli intelletti ammettano tosto le stesse verità, é pretendere che tutti gli stomachi digeriscano egualmente le stesse vivande. La pulitezza vi fa dunque un dovere di conoscere il carattere personale e la situazione sociale delle persone che al solito crocchio concorrono, acció le vostre idee ed affezioni non vadano a dar di cozzo contro quelle degli ostenti, e con reciproco risentimento rimbalzino.

Pagina 72

Galateo morale

197358
Giacinto Gallenga 4 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Il medico, abbiamo detto, deve essere paziente; e non offendersi in conseguenza di qualche osservazione, di qualche dubbio che gli muove l'infermo sulla virtù di qualche rimedio ordinatogli, sul metodo di cura adottato; l'infermo ei lo deve in certo modo considerare come un fanciullo a cui non s'imputa a colpa il discostarsi talvolta dalle più strette regole della delicatezza, trovandosi egli sotto il dominio del male, che sempre dal più al meno ha la facoltà d'indebolire il cervello e togliere all'uomo quell'energia di ragionamento, quella pienezza di criterio, di sentimenti che è necessaria per tenersi negli stretti limiti delle convenienze. È malato e vuol essere compatito, suol dire la gente di cuore d'un tale che infermo si lasci andare a qualche mancanza verso coloro che lo circondano; il medico non deve sdegnare di sottoscrivere ei pure a questo santo precetto di tolleranza. Ma l'essere paziente non vuol dire tuttavia pel medico che egli debba sacrificare il proprio decoro in modo da sottostare, senza alterarsi, alle ingiuriose imputazioni lanciategli dagli sciocchi e dai maligni; che egli debba tollerare villane ed insolenti osservazioni; soffrire d'esser messo a paro cogli empirici e cogli armeggioni d'ogni fatta che usurpano il campo della medicina, permettere che lo si tratti come un servitore, un prezzolato a cui si compensano con salari e con mancie le durezze, le ingiustizie, le scortesie a cui vengono sottoposte da un padrone disonesto ed incivile. Più che inurbano è a dirsi spietato quel medico che non ha pell'ammalato quei pietosi riguardi cho si devono agli infelici, spiattellandogli freddamente la gravità, i pericoli della malattia; giacché può bastare la commozione, il terrore prodotto da simili confessioni per rovinare un ammalato. Il medico oculato sa tener conto di ogni particolare circostanza di famiglia, come del grado di sensibilità e di coraggio dello infermo; ma anche in quei casi in cui egli reputa necessario palesare all'infermo od alla famiglia i suoi fondati timori, egli deve farlo non a guisa di un giudice impassibile che legge al reo la sua condanna, ma sì a modo di un padre, di un amico che all'amico, al figlio venga costretto a palesare il pericolo da cui egli è minacciato.

Pagina 274

In Italia abbiamo molti o pochi giornali? e fra questi predominano i buoni o i cattivi? La questione è di difficile scioglimento, troppe essendo le passioni, troppi gli interessi che si collegano all'esistenza di un giornale, di qualunque colore esso sia; e, prima di dare il nostro voto converrà studiare il giornalismo negli esempi che abbiamo sotto gli occhi.

Pagina 335

Ma quando vedo giornali che si dicono indipendenti, democratici, farsi organi e promotori di invidie, di astii fra una parte e un'altra della nazione; quando li vedo con maligne insinuazioni mettere in odio e in sospetto un paese all'altro, Milano contro Torino, Torino contro Firenze, Napoli contro tutti; quando veggo farsi guerra a un ministro perché nato ai piedi del Vesuvio o delle Alpi, o a un ministero perchè composto in maggioranza di Toscani o di Lombardi; quando li odo parlare di privilegi concessi a questi o a quelli, di servizi resi piuttosto dagli uni che dagli altri; e pesarsi sulle bilancie di un gretto municipalismo i sacrifizi e le perdite, e dare un prezzo a lire e centesimi al patriottismo e all'abnegazione di una regione o di un'altra d'Italia, assegnare, per così dire, un valore in obbligazioni al sangue versato, ai dolori sofferti per formar questa patria, che pur dicono di amar tanto, io direi a costoro: o voi, che non vergognate di fare i conti alla vostra madre del ciò che vi costa; di ricacciarle nel seno quello strale che tanto abbiamo faticato a levarle, quello delle nostre fraterne discordie; come avete coraggio di vituperare quel giornalismo religioso che voi accurate di spargere il ridicolo sulla fratellanza degli Italiani? Dite: se non è vero che tutti i giornali dei preti presi insieme non fanno la metà del male che fa un solo di voi con questi scellerati attacchi alla concordia, senza della quale l'indipendenza della patria sono una vana parola? io per me dico sinceramente che giornali di questa fatta, senza della quale l'unità, l'indipendenza della patria sono una vana parola, li tengo in conto di traditori e nemici d'Italia; giacché il veleno, sia esso tinto in rosso, in giallo o in nero è sempre veleno; e tanto è da biasimarsi chi scrive in odio di tutti gli Italiani, quanto chi eccita, scrivendo, gli Italiani ad odiarsi fra loro. Il delitto è sempre lo stesso: il fratricidio.

Pagina 352

Qui da noi abbiamo un esercito di guardiani e di cantonieri in città e in campagna, e ciò nullameno nel bilancio passivo dei comuni e dei privati si ha mai sempre a stanziare una somma considerevole per la rinnovazione delle pianticelle, degli arbusti, dei fiori tagliati e strappati e in ogni peggior modo danneggiati dai coltelli e dai bastoni; per le riparazioni alle cancellate, alle banche sciupate a bella posta per solo spirito di distruzione. Queste spese continue di nuove provviste e di restauri cadono sulle spalle di coloro che non prendono veruna parte a questo lavoro di demolizione e costituiscono una specie di tributo posto dagli ostrogoti sulle borse dei concittadini. Altri, barbari per eccellenza, si giovano delle tenebre e della solitudine per deturpare le pareti, le porte delle case, le imposte, le insegne dei negozi, e peggio i bronzi e i marmi dei monumenti con ogni genere di sconcie iscrizioni, con guasti d'ogni maniera, danneggiando così impunemente, senza verun utile di loro stessi, le proprietà sacrosante dei cittadini, vituperando i ricordi delle patrie glorie. L'opera di costoro è più vile che non sia quella delle altre categorie di malandrini che attentano alla borsa e alla vita per amor di guadagno o spirito di vendetta, e non coll'unico fine di fare altrui danno e dispetto. Tutte queste operazioni sono generalmente dovute a quei ragazzi abbandonati, genie per così dire di nessuno, non privi sempre d'ingegno e di carattere, che potrebbero, ben coltivati, farne degli onesti, e dei galantuomini, e vengono invece adoperati a questi nefandi scherni, che non sono fuorché il preludio dei furti, dei delitti della loro ignobile carriera.

Pagina 91

Signorilità

197936
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 2 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Se non abbiamo nulla d'importanza decisiva da fare, e se una sola donna e un solo ragazzo accompagnano la bara, accompagnamola anche noi per un tratto, con doverosa carità cristiana. Se incontriamo un reggimento con una bandiera, un gruppo con un gagliardetto glorioso, fermiamoci e facciamo il saluto romano; se incontriamo il S. S. Sacramento, inginocchiamoci. Salutiamo con un corretto e impersonale chinar del capo le persone che salutano non noi, ma chi ci accompagna per via e, se siamo con un ufficiale, tutti gli ufficiali, anche sconosciuti, che portano la mano al berretto. Quando, nelle città affollate, è prescritto tenere la destra o la sinistra nelle vie popolose, obbediamo subito; quando dobbiamo attraversare una strada percorsa dal tram e solcata da rotaie, facciamo attenzione dove mettiamo i piedi, per evitare che il tacco delle scarpe non entri e resti «inchiodato» nelle rotaie. Per attraversare incolumi una via frequentata e bivii pericolosi, adesso che tutta l'Italia tiene la mano destra, guardiamo alla nostra sinistra prima di raggiungere il mezzo della via; giunti là, guardiamo alla nostra destra per finire la traversata incolumi, nel momento in cui ci sarà un sicuro passaggio fra due veicoli. Oppure dopo la prima traversata mettiamoci accanto all'agente municipale, che, con la sua bianca mazza in mano, regola il transito. E, in epoca di tante disgrazie tramviarie, impariamo a scendere dal tram. Attacchiamoci alla sbarra colla mano sinistra, mettiamo dapprima il piede destro e poi il sinistro sul predellino, e poi il piede destro a terra, venendo quindi a camminare nello stesso senso del tram. Così non finiremmo sotto le ruote, se il tram si muovesse repentinamente. Questa è pedanteria? No: è previdenza e intelligenza.

Pagina 413

E, quando la possediamo, o abbiamo meritata e conquistata, facciamola passare in altri. So di una giovinetta a cui un sacerdote disse, accanto al letto di sua madre morta: «Le più dolci parole del Vangelo sono indirizzate da Cristo alle vedove e agli orfani, a cui egli è particolarmente largo di protezione». Ebbene: quella giovanetta, che sperimentò subito la paterna protezione divina, ricordò sempre quelle parole e sempre le ripete o le scrive agli altri orfani, dando loro lo stesso balsamo, la stessa certezza, la stessa fede che l'hanno sostenuta e fortificata nella prova. Ecco della buona propaganda. Ad essa si deve unire l'esempio, dato ai figlioli e ai dipendenti, di una vita cristiana e anche delle pratiche cristiane, seguite per gioia ed impulso del cuore. Qui non è il caso di dire che «la mano destra deve ignorare ciò che fa la sinistra», bensì ricordare la grande virtù dell'esempio. Così, a Pasqua, una signora faccia in modo che i componenti la famiglia e la servitù sappiano che ella adempie al precetto della chiesa; e, una sera, si congedi dai suoi figlioli, dicendo: - Ragazzi, domattina in piedi di buon' ora, e tutti con me alla Comunione! - Spesso le madri hanno, verso i figlioli che frequentano l'Università, un senso che è quasi soggezione; esso le trattiene di parlare loro di Dio, d'incitarli ad adempiere - senza diventare dei bigotti o dei sagrestani - i loro doveri religiosi, quasi che il Cristianesimo fosse cosa da donnicciole o da bimbi!... Ormai, fortunatamente, in tutti i grandi centri ed anche, spesso, nei piccoli, vi sono sacerdoti dalle idee larghe e generose, pronti ad istruire e a guidare le generazioni giovinette, affinchè esse - rappresentanti l'Italia nuova e l'Italia di domani - crescano più istruite nella fede, più pronte, più forti, e più nobili di quanto siamo e fummo noi. A Roma il Provveditore agli studi organizzò un corso quindicinale di istruzione religiosa per gli allievi delle scuole medie "

Pagina 8

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

201078
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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La vittoria della vostra squadra non vi consente di dire "abbiamo vinto" come se fosse vostro il merito di quella vittoria. Risparmiatevi poi certe scommesse di cattivo gusto con l'amico-avversario. Imparate dagli sportivi, quelli veri, il senso della misura e l'accettazione di qualsiasi responso arbitrale, senza dare in escandescenze perché il risultato non è quello che avevate previsto e sul quale avevate scommesso. Le donne soprattutto hanno il dovere di mantenere il loro entusiasmo nei limiti della grazia che ad esse è richiesta in qualsiasi luogo e occasione. Non si mettano a gridare incitazioni e tanto meno insulti, non imitino gli uomini nei loro atteggiamenti peggiori. Se la vostra squadra ha vinto, siate generosi con i perdenti e non vantatevi del trionfo come se vi aveste sostanzialmente contribuito. Certe manifestazioni di entusiasmo possono anche divertire, ma quando arrivano agli eccessi sono deprecabili. Che non si devono dire parolacce, bestemmie, insomma usare un linguaggio incivile, è cosa risaputa. La regola vale sempre, anche durante le manifestazioni sportive: vicino a voi ci sono donne, ci sono bambini che hanno il diritto di assistere senza trarre lezioni di inciviltà e di maleducazione.

Pagina 341

Le buone maniere

202293
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
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Questo lo abbiamo veduto nelle massime della saggezza, riportate fedelmente nel capitolo antecedente. La morale umana, è stato detto già tante volte, non risponde a nessun codice; essa è indefettibile come la luce: ci possono essere dei costumi paesani, rurali, cittadini, campestri, inglesi, francesi, italiani, tedeschi, russi; ma una bella azione sarà dappertutto considerata come bella. Le usanze invece mutano, e dice un proverbio, paese che vai usanza che trovi. Non bisogna però dimenticare che la scelta è anch'essa in natura e che ognuno è in libertà di scegliersi le proprie usanze, le quali perchè sono scelte è presumibile siano le migliori. E l'uomo ha inventato la parola selezione naturale, poichè ha veduto la natura viva, forte, irresistibile scegliersi il posto per la conservazione e l'accrescimento delle sue infinite e mirabili specie. La filosofia detta positiva ha errato, quando ha trasportato dal campo materiale al campo filosofico e morale le sue formole scientifiche; ma ha errato in quanto ha voluto o cercato di dare una soluzione materiale alla sensibilità istintiva della razza umana, mentre egli è colla nostra sensibilità morale che abbiamo potuto scoprire le leggi fisiche; con questo soltanto non avremmo mai al certo potuto scoprire quelle morali che illuminano i cuori e gl'intelletti degli uomini, e li fanno mirare in alto alla ricerca degli ideali della virtù e della bontà. Ma questo errore non è che uno spostamento, a così dire, dei confini di questa grande ipotenusa della vita: poichè tanto il mondo morale come il mondo materiale dipendono tutti due da un solo sapientissimo ordine, di cui al certo e provvidenzialmente non troveremo mai la formola, ma che dà ragione alla grande verità scientifica della scelta e quindi della libertà di scegliere. Noi non sappiamo perchè il polline vagabondo di un fiorellino vada a fecondarne un altro lontano, in mezzo a cento della stessa specie: esso se lo è scelto. La natura non fa nulla a caso: la sua legge non è bruta: è sapiente, è divinatrice, è eterna. Il vero è che noi non sappiamo nulla di tutto questo, e che il nostro orgoglio scientifico è riassunto tutto nella sublime parola di Laplace, il quale dopo aver scoperto la pluralità dei mondi, esclama adorando: Ciò che noi sappiamo è ben poca cosa, ma ciò che ignoriamo è immenso. Ora è indubitabile che questa potenza sconosciuta della scelta c'è: noi scegliamo il buon seme, noi scegliamo la buona qualità delle cose; un bravo capitano sceglie i migliori e più forti uomini; e diciamo soldati scelti, qualità scelta, uomo scelto, e diciamo pure modi scelti. Il saper vivere si compone di pensieri, di parole, di opere e di omissioni, proprio come si dice nel catechismo. Del resto catechizzare, secondo la Crusca, vuol dire ammaestrare uno a fare e a dire una cosa. E la Crusca, che coloro i quali parlano leggermente e quindi leggermente pensano, trovano sempre addietrata e polverosa e stantìa e pedantesca, è il forziere in cui stanno riposti i tesori dell'antica sapienza paesana, la quale, all'esattezza del vocabolo univa la gentilezza della forma, e sotto la semplicità della forma lasciava apparire la fortezza del carattere nazionale. Senza la lingua, cioè senza la parola, non ci sarebbe stata la patria. E l'unità nazionale ha dovuto cominciare a formarsi sulla punta della penna di Dante, per poter compiersi con la punta della spada di Vittorio Emanuele e di Garibaldi. Il pensar bene, il parlar bene, l'operare saggiamente e l'evitare di fare cose volgari o villane o spiacevoli o sgradite ai nostri simili, omissione questa altrettanto lodevole quanto è da biasimarsi quella di non soddisfare i nostri doveri sociali, sono gli elementi principali di una squisita e civile educazione. In ciò consistono le buone maniere, le quali giovano non meno a' possessori di esse, come dice il Maestro, che la grandezza dell'animo; ed essendo esse alla portata della nostra mano, ed essendo noi nella necessità di valercene più spesso coi nostri simili, ci inducono a valutare ad una grande altezza le parole, gli atti e i modi, mediante i quali ci è permesso di entrare fra le persone bennate e mantenerci in loro compagnia, senza loro molestia e con nostra soddisfazione.

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Eva Regina

203801
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 11 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Ma viceversa non abbiamo o non ricordo, esempi speciali di felicità e di costanza nell'altro caso, nel caso del marito vecchio e della moglie giovane. Questo indurrebbe a credere che grande elemento di buona riuscita risiede nell' esperienza della donna, nella sua forza di volontà, nella coscienza della sua individualità e nel pieno sviluppo delle sue energie mentali e sentimentali, evoluzione che avviene solamente con l' età, quando non sia stata preparata (e si dovrebbe !) con un' educazione speciale.

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E la prima umiliazione è fatta subire dalla coscienza innanzi a cui non si può fingere come davanti agli occhi altrui. « Quante volte — scrive Amiel — siamo ipocriti restando simili a noi medesimi in apparenza e per gli altri, mentre abbiamo la coscienza di essere diventati diversi dentro di noi! » E quando la donna non più fedele ai suoi maggiori doveri si trova con quelle verso cui si dirigevano le sue critiche, le sue pungenti ironie, i suoi alteri disdegni e alle quali si sente in cuor suo livellata, china la fronte pensierosa e dolente. Indi, le sue mutate abitudini, la modificazione del suo modo di vestire, quella maggior licenza di modi nel parlare che, involontariamente, ha preso deviando dal retto cammino, permettono agli altri d'usare con lei maniere e linguaggio più liberi da cui si sente intimamente offesa, senza sentirsi poi il diritto di adontarsene palesemente. Intanto il suo amore clandestino ch' essa credeva un segreto profondo non lo è più per nessuno — tranne forse che per l'ingenuo marito. I convegni, il suo contegno in pubblico, le sue imprudenze, la poca discrezione di qualche amica, l' astuzia dei servi l'hanno tradita. Ella incontra sguardi che la fanno vibrare d' ira o avvampare di vergogna : coglie doppi sensi di frasi che le sono più amari d' un veleno mortale ; è costretta a sorridere a scherzi grossolani per cui frusterebbe volentieri in viso l'audace sconveniente autore. Il suo amante stesso va dimenticando i riguardi che a lei pareva d'essere in diritto d' esigere sempre, e certi suoi scetticismi, certe sue impazienze, certe sue brutalità significano l'assenza di quella stima che solo comanda il rispetto. Tormentata da queste punture che si ripetono quotidianamente e finiscono con esasperarla fino all'insofferenza estrema, la sventurata si sente trascinata a gridare : « Rispettatemi insomma! Io non sono di quelle! » Ma se una di quelle potesse udirla, forse le risponderebbe : « Eppure tu sei peggio di. me, che non ebbi una madre che m'educasse al bene; che non ho un marito e dei figliuoli per soccorso e difesa. Tu avevi una salvezza nelle tempeste della vita, io non l' avevo. Ora anneghiamo tutte due, ma chi più stolta e più imperdonabile, tu od io? »

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Ascoltiamo la sapienza antica che ci ammonisce per mezzo del proverbio: «Chi più spende meno spende. » Se acquistiamo un abito di qualità inferiore, dopo un anno dovremo farne un altro : e la doppia spesa del vestito nuovo e della seconda confezione supererà certo il risparmio che abbiamo fatto nella prima compera. Se pagheremo troppo poco i nostri domestici, troveremo solamente gente inesperta che deteriorerà la nostra roba, romperà e guasterà irrimediabilmente e ci costringerà a ricorrere all' aiuto delle lavoranti a giornata e dei servizi straordinarii ; quindi spenderemo di più e avremo molti inconvenienti. Se comperiamo certi generi al minuto, li avremo di qualità scadente, e infine ci troveremo danneggiati anche nel peso. E di questi esempi se ne potrebbero dimostrare a sazietà. Altro cattivo sistema è quello delle note a lunga scadenza coi fornitori. Essi sono gente d' affari e calcolano tutto: quindi per quel tempo che il loro denaro resta infruttuoso, segnano un prezzo più alto di quello che ci farebbero se pagassimo a pronti contanti. E noi, non dovendo subito metter mano al portamonete per togliere le cinque, le dieci lire, ci provvediamo di cose delle quali avremmo potuto anche fare a meno. Così il conto ingrossa, e quando siamo per liquidarlo, se ne va una bella sommetta che spesso un poco ci dissesta. Chi potrebbe chiuder l' anno senza note da saldare, si troverebbe ricco, se pure non gli rimanessero che poche lire nel borsellino. Sarà dunque ottimo sistema quello di pagare acquistando, o a fattura appena finita, e se per qualche circostanza ci si trovasse costretti a saldare dopo qualche tempo, si procuri che il termine sia il più breve. Meglio un conto alla settimana, al mese, che un conto totale a fine di stagione o d' anno.

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Questa... « L'amore non è che il persistente, tenace, forte, prepotente ricordo d'una persona... » Tutte noi abbiamo provato la verità di tale affermazione. Un ricordo che non ci lascia mai, che attira a tradimento il nostro pensiero nelle ore dell'occupazione e ci fa essere disattente, svogliate, lontane mille miglia da quello si fa o si dice intorno a noi : lontane da quello che noi stesse facciamo o diciamo, così che lo svolgere il filo delle idee, se la nostra occupazione è mentale, o il seguire il pensiero d'un autore, ci costa un continuo ed eroico sforzo di volontà : e se l'occupazione è materiale ci fa commettere errori e distrazioni di cui ci sentiamo umiliate. E nelle ore del riposo questo ricordo grandeggia così, che ci invade tutta l'anima, la sommerge in una dolcezza che paralizza ogni altro moto dell' intelletto, che offusca ogni altro sentimento, che ci avvolge, ci rapisce, ci diminuisce, ci cancella, ci travolge a segno che ci sentiamo tentate di domandare pietà...

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E noi che ne abbiamo vedute ancora qualcuna di quelle camicie, di quelle sottane, nel corredo delle nostre mamme, non sappiamo capacitarci come si sia potuto iniziare e condurre a termine queste imprese di pazienza, degne di leggenda. Le macchine da cucire hanno affrancato l'operaia di biancheria dalla sproporzione fra l'enorme impiego di tempo e il risultato della sua opera, non però dalla pazienza, dalla minuzia, dalla cura che la sua opera abbisogna. Ma ora coll' aiuto della macchina e il progresso delle industrie, le cucitrici creano quei vaporosi capolavori composti dalle sapienti combinazioni della batista, del merletto, dei ricami d' ogni genere, dei nastri, che fanno somigliare l'intimo abbigliamento di una donna elegante all' onda di candida spuma da cui uscì Venere dea. Pare che una giovanile testa muliebre china su un paziente lavoro, sia sommamente suggestiva, giacchè quasi tutti i poeti le hanno dedicato qualche rima. Fra i più moderni ed eminenti, rammento il Pascoli che ne La cucitrice ci dà l'immagine della pia sorella che lavora d'ago, nel tramonto

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Abbiamo la « Pensione Benefica per giovani lavoratrici » fondata, pure a Milano, da quell'elettissima educatrice che fu Felicita Morandi, un' istituzione che consiste nell'offrire l' ospitalità famigliare alle fanciulle che non hanno famiglia o l'hanno lontana e desiderano apprendere una professione. E in molte città esistono Circoli per la tutela del popolo, per Ricreatori festivi, Biblioteche popolari, Scuole gratuite, Patronati d'assistenza di ogni genere. E questa nobile attività che per la prima ha fatto uscire la donna dalle tranquille pareti della sua dimora non sarà mai encomiata e incoraggiata abbastanza, anche fra le signorine che hanno forse più tempo a loro disposizione. Vorrei anzi che in ogni città d'Italia le signorine si stringessero in sodalizio e sotto l'egida di qualche nome gentile cooperassero in qualche modo a migliorare le condizioni delle classi indigenti, o per mezzo di Biblioteche popolari o di qualche piccola Agenzia di collocamento per le giovinette povere, di un Comitato di soccorso per i bambini malati: secondo il bisogno della città in cui risiedono e la sua importanza.

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Noi tutti abbiamo veduto qualche creatura di carattere vivace e gaio ed espansivo, divenire dopo uno di questi colpi crudeli, cupa, taciturna, languida e triste : oppure un' indole serena e calma divenire ad un tratto irritabile ed inquieta ; ed anche qualche persona riflessiva, ordinata, sobria, mutarsi dopo la morte di alcuno che le era supremamente caro, in sventata, sregolata, talvolta fino alla dissolutezza. Chi infatti in uno di cotesti disastri dell' anima non ha sentito la tentazione di stordirsi, non importa in qual maniera : di rinnegare tutti i propri ideali più cari : di demolire tutto un passato di virtù, d'abnegazione, di pazienza, quasi per opporre crudeltà a crudeltà ? per un impulso di reazione forte e selvaggia contro il forte e selvaggio dolore ? Momento pericoloso e supremo che ha deciso di molti destini, che ne precipitò molti, giù, nelle tenebre. Il suicidio, la follia, il delitto, il primo passo verso l' abbrutimento, lo slancio nei vortici micidiali dell'ebbrezza, non sono che la conseguenza di uno di questi momenti, se l' anima non è temprata a superarli. Ma noi dovremo lottare contro questo elemento torbido venuto a galla dopo lo sconvolgimento della tempesta, eliminarlo dal nostro cuore perchè resti tutto purificato dal rigido lavacro e si rinvigorisca. « L' avversità è nostra madre — diceva Montesquieu — mentre la prosperità non è che nostra matrigna » e diceva questo appunto per farci riflettere che il nostro carattere ha bisogno della severità della sventura la quale gli toglie le tendenze pigre e molli, la troppa facilità ad affliggersi ed a disanimarsi per le piccole cose, gli dimostra la vanità delle frivolezze, l' utilità e la bellezza di qualche nobile ed alta missione. Ravviva un carattere freddo, tempera un' indole ardente, e richiama gli spiriti alla fede riavvicinandoli a Dio. Una donna colta e gentile, Emma Boghen Conigliani scriveva : « Dall' azione la forza, dall' amore la vita, dal dolore la virtù.

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E tutto questo per procurarci la pace che abbiamo perduta, la pace intima, più cara e necessaria della stessa vita. Ma la pace dobbiamo possederla in noi prima di tutto, diversamente sarà inutile e pericoloso perseguirla fuori. Se avremo questo bene supremo, il destino potrà percuoterci in tutti i modi, potrà privarci di tutto, potrà straziarci con le più ingegnose e moltiplicate torture, ma il talismano è nel nostro cuore ed usciremo vittoriosi da tutte le prove. E questa pace magica, invincibile, segreta, come ottenerla ? È facile e difficilissimo.... Col poter dire a noi stessi ogni giorno questa frase: Gli altri mi hanno fatto piangere: io non ho costato una lagrima ad alcuno.

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Noi tutte abbiamo conosciuta qualche persona che per aver troppo trascurato qualche incomodo, qualche anormalità del suo corpo chiese il soccorso della scienza quando, pur troppo, ogni soccorso era vano. Non si sarà mai, dunque, abbastanza cauti e pronti, quando si tratta della salute, ch' è il supremo dei beni della vita, la cui conservazione è un dovere. E non solo quando si tratta di noi, bisogna essere solleciti, ma anche quando si tratta degli altri. Non bisogna pensare subito che sia affare di sensitività eccessiva, di esagerazione, di insofferenza, di falsità; e, nei bambini, di malessere passeggero o di capriccio. Pensiamo piuttosto quale sarebbe il nostro rimorso se quei mali di cui l'adulto o il bimbo si lagna, quel malessere che dimostrano, dovessero essere i prodromi d' un' infermità grave, dovessero mutarsi, per la nostra imprevidenza, in lutto per noi ! Attente dunque ai sintomi, agli araldi di malaugurio.

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Ma sopprimere il senso della vita per una oziosa contemplazione sarebbe una specie di suicidio morale per noi che abbiamo ideali e fede così diverse da quelle dei popoli dell'Oriente. L'oblìo di sè non sarà permesso ed encomiabile e proficuo se non ci porterà a vivere per qualche cosa o per qualcuno. Dimenticheremo di soffrire o d'aver sofferto per adoperarci tutte ad alleviare i mali del prossimo, a confortarne i dolori : ci faremo insensibili ai lamenti della nostra anima ferita dalla crudeltà del destino o dalle ingiustizie, per non impietosirci che ai casi dolorosi e alle ingiustizie altrui. Bandiamo le vane fantasticherie, i lunghi rimpianti che a nulla giovano se non a sfibrarci, per sostituirli con l' azione, energica, pronta, assidua, a benefizio di chi ne abbisogna. Ed ogni volta che un pensiero, un ricordo, un rammarico, un senso ribelle, sorgerà dall'intimo nostro lo combatteremo, lo debelleremo come un pericoloso nemico, come un ostacolo alla libera esplicazione delle nostre facoltà migliori — lo recideremo come un vincolo che ci trattenga dal volo. Darsi, darsi con l'anima tutta, ad una missione di bene, grande o piccina, morale o materiale ; fatta di luce di pensiero o d' azioni benefiche, ecco il divino rimedio, ecco il farmaco onnipossente contro le più acerbe sciagure, contro i danni più irreparabili. Sentite con che armoniosi versi un poeta del passato, G. B. Guarini, esalta questo altruismo generoso :

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La nostra personalità è completa, giacchè abbiamo rinvenuto l' altra metà di noi stessi senza di cui l'anima nostra languiva di nostalgia e di tristezza. Ci sentiamo più forti, ci sentiamo più buone. L'avere a fianco un altro essere — un essere caro a cui siamo care — al quale possiamo confidar tutto in tutte le ore della giornata ; che tutto comprende, che divide ogni nostra sensazione, ogni nostro sentimento, ogni nostro atto: che ci rimanda riflesso come in uno specchio ogni vibrazione dell' anima, ogni azione della vita: quel non sentire più, mai più, il gelo della solitudine ; quel continuo ricambio d' esistenze, quella continua divisione di tutto, quel continuo avvertire il vincolo che ci lega, dà al cuore femminile assetato di dedizione, avido d' essere sorretto, coltivato, riscaldato, un' energia, una sicurezza vittoriosa. Lo sposo è ancora amante, ha ancora nella vita coniugale, iniziata appena, quei riguardi, quelle delicatezze che le donne apprezzano tanto e che ben pochi mariti serbano, passata la luna di miele : le sue occupazioni, gli amici, non lo hanno ancora ripreso : egli è tutto alla sua compagna, le dedica tuttavia ogni ora, ogni pensiero, ed essa nell'intima esultanza pensa che sarà sempre così, sempre ! Il n'y a qu' un seul petit mot qui donne de la valeur à l'éxistence — scrisse Carmen Sylva - c'est le mot pour. L'homme dit : Pour quoi ? la femme dit : Pour qui ? — Ebbene, in questo periodo di vita, la risposta è. naturale, semplice, trionfante : Per lui, per lui ! E gli prepara gentili sorprese, e gli sacrifica con gioia la sua volontà, i suoi gusti : gli chiede consiglio su ogni cosa, si uniforma in tutto e per tutto alle sue consuetudini, per armonizzare sempre maggiormente con lui, per fondersi a lui, per fare delle loro due vite una vita sola, piena, luminosa, magnifica, ardente. Ma quanti sposi fanno maturare questi magni propositi ? Quanti ricordano almeno l'inizio fiorito del sentiero che percorsero nel primo tratto così indissolubilmente congiunti? Dice bene Alfonso Karr : « Il difficile, nel matrimonio, è quando non si è che amanti di non dimenticare che si potrà diventare amici, e, più tardi, quando si è amici, di ricordarsi che si è stati amanti. »

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