lombardo s’accostò di più a quella di Rothko: in questa rinuncia di Fontana (come di Rothko) al denso colore impastato, alle compiacenze, allora dominanti
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L’opposizione alla macchia, alle scorie del tachisme e dell’action painting è stata, in certo senso, una ripetizione dell’opposizione che il
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al fatto che è ormai necessario rinunciare alle «belle forme», al «buon impasto», si accontentano di creare degli oggetti che siano in sé compiuti, che
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, la defoliazione, la crisi ecologica, i genocidi, le torture, ecc. non sembrano sovrapponibili alle opere del tutto asettiche dei gruppi costruttivisti
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consentire un giudizio complessivo sulla situazione attuale in questo settore, ma comunque assai spaesate in mezzo alle frigide strutture primarie, e
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artistici. In quest’ultimo settore, poi, oltre alle componenti autenticamente formali (o se preferiamo «stilistiche»), s’aggiunge spesso e
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al «bel colore», all’impasto, al gusto della materia in pittura, alle patine, alle corrosioni, alle ruggini, in scultura. Lo straccio e il catrame di
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alle modificazioni che il concetto di spazio ha subito anche solo dal cubismo in qua. Ma, se la «spazialità impressionista» si differenziava
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Certo, quella di Foligno non è stata né l’unica né la prima esperienza dove le opere fossero intese non più come «quadri appesi alle pareti» o
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preconizzata da tanti studiosi e filosofi moderni (Empson) e ora - consapevolmente o meno - applicata dagli artisti alle loro poesie o alle loro
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Marchegiani, dove l’elemento pop si allea alle abili costruzioni meccaniche così da offrire al pubblico (attraverso la manipolazione d’una serie di pulsanti
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ad un processo di integrazione e di interrelazione così da permettere alle singole arti di attivarsi a vicenda e di ritrovare una maggior possibilità
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venivano eseguiti bensì in base all’ordinazione e spesso con totale sottomissione dell’artista alle «norme» imposte, ma con un’innegabile partecipazione
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soddisfare alle richieste del mercato mettendo a punto oggetti che abbiano alcuni requisiti tecnici ed estetici quanto più possibile inediti ma comunque
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contro codesto stesso sistema, tuttavia quello che non è chiaro (sempre nel settore artistico) è cosa si possa opporre a questo stesso sistema, alle
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È proprio qui che s’innesta l’equivoco - da me spesso segnalato - di chi vuol rifarsi, in maniera tutt’altro che corretta, alle antiche parole di
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anodizzate, materie plastiche di inusitati spessori, ecc.). Molte di queste opere, dunque (e mi riferisco alle ormai diffusissime strutture primarie, alla
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Altre due sale dedicate alle proiezioni, tra di loro assai diverse, come quella dei «fluidi informali» di Contenotte e quella delle diapositive
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», tra razionale e irrazionale, può derivare, nella nostra età, un impulso a continuare nella realizzazione di quelle opere e di quelle situazioni alle
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vista semantico, ma, tanto più, rispetto alle altre dimensioni e alle altre valenze del messaggio artistico.
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appese alle pareti, ogni artista presentava delle azioni o delle situazioni. Si potè assistere così alla Cancellazione d’artista di Tacchi, alla foresta
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; per cui non si avrebbero mai vere e proprie «rappresentazioni visuali» (nel senso del tedesco Vorstellung), seguite alle primitive percezioni, ma solo
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alle sollecitazioni visive altre di natura cinestesica e tattile.
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piuttosto provinciali di pop art evidentemente influenzate dalle più rigogliose e violente esperienze statunitensi, che si erano alternate alle esperienze di
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collezionisti avidi di capitalizzare i loro acquisti e di appendere alle pareti delle loro dimore borghesi qualsiasi superficie bidimensionale ben incorniciata.
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corpo, alle riprese di azioni sul paesaggio (tipiche della cosiddetta land art); tutti aspetti per cui questo mezzo è tra i pochi, e forse l’unico, dove
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, ovviamente, corrispondeva alle esigenze di quel particolare periodo storico. La funzione socio-politica della pittura e in genere delle arti figurative veniva
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diacronica, l’approfondimento, per contro, d’un’impostazione sincronica e strutturalistica riguardo alle diverse forme artistiche, ci hanno portato a
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loro efficacia estetica è dovuta solo in parte alle esatte misurazioni o alle realizzazioni di formule algebriche. Un altro recente abbaglio, a
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alle tradizionali categorie istituzionalizzatesi nel corso dei secoli (quali: «pittura», «scultura», «architettura», «musica»), ma che invece si diano
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danze tribali ai movimenti ieratici e dai significati ben codificati del teatro cinese antico, delle danze sacre indiane, alle più recenti forme
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giudico «di buon gusto» le gocce di sangue che cadono sul pijama candido di Gina Pane (le macchie rosse sulla tela bianca, accostate alle rose rosse e
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«codice»? (posto che non possediamo né quello appartenente alle popolazioni dell’epoca, né quello che libri e documenti delle stesse ci abbiano
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distingue gli indirizzi artistici passati e attuali in tre grandi categorie: polisemici, pansemici, monosemici1, riservando la prima categoria alle
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Ma questa parentesi riguardante il nostro atteggiamento di fronte alle opere d’arte di civiltà lontane dalla nostra e l’efficacia «informativa» delle
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L’errore di molta critica sta nel rimanere abbarbicata alle etichette-salvagente che ancora godono d’un certo favore presso il pubblico e che
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delle circostanze ineluttabili alle quali l’umanità sarà costretta ad adeguarsi per poter sopravvivere; e, anzi, sopravvivere con una vita migliore di
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condizioni e che possono contravvenire alle stesse, proprio per un fatto che di solito non viene preso in considerazione: cioè che l’arte migliore, più
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Tobey, che può alle volte essere accusato di eccessiva minuzia, di iterazione compulsiva, rimane però il vero inventore di queste scritture
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, a considerare oltre alle attività propriamente pittoriche, quelle, non meno importanti per la nostra civiltà, dell’arte «applicata» all’industria
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., abbiano partecipato, sia pur saltuariamente, alle iniziative del movimento milanese, è la miglior prova della vitalità e dell’efficacia dello stesso.
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È raro pertanto trovare critici musicali interessati alle opere d’un Paik, d’un Chiari, d’un Hidalgo; critici d’arte interessati alle scene quasi
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Se vogliamo tentare di riandare alle radici storiche del cinetismo in Italia, sarà giocoforza, naturalmente, rifarsi a quel «dinamismo plastico» di
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’insistito aggrapparsi alle leggi — sia pur precarie - dell’ambiguità e dell’azzardo.
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Ho affermato altre volte come si possa constatare ai nostri giorni un principio di «oggettualizzazione» che si estende non solo all’uomo e alle cose
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sembrarono rivoluzionari e blasfemi (soprattutto rispetto ai materiali e alle tecniche usate: e mi riferisco ai Rauschenberg, ai Johns, ai Lichtenstein
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giudizi rivolti alle allor nuove opere d’arte; e che non si potevano assimilare i frutti della pop, dell’op, del concretismo e delle strutture primarie, a
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Duchamp o di Man Ray. L’abbaglio è evidente: senza voler togliere nessun merito alle geniali premonizioni di Duchamp, non possiamo paragonare il suo
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era considerato blasfemo mescolare la psicologia o la sociologia alle «pure» ed eccelse vicende dell’arte.
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’un bel ricettario preso a prestito a qualche altra disciplina (letteraria, scientifica, psicologica, ecc.) trasferita più o meno abilmente alle cose
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