Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Adunanza generale dell'Unione politica Popolare

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Questa distrettuazione risale ai rappresentanti liberali che seppero indurre il governo a rompere la continuità territoriale, come era prevista dal barone Gautsch, per due collegi privilegiati, ove il partito liberale avesse l’esito assicurato, a danno dei cosiddetti collegi rurali. Noi abbiamo protestato contro l’incoerenza, l’ipocrisia politica dei liberali e la «commedia del suffragio universale» non si cancellerà così presto dalla memoria. Ma i liberali furono più potenti di noi e non ci resta che adattarci ai fatti compiuti, confidando in tempi in cui i progressi della democrazia e della sincerità politica daranno alla nostra protesta maggior efficacia pratica. La riforma elettorale porterà anche da noi queste conseguenze: aumentando il numero degli elettori e venendo stabilita l’eguaglianza del loro diritto, diminuisce l’influsso personale di pochi, l’autorità perde della sua forza, mentre ne guadagna la convinzione. Crescendo la cerchia della partecipazione e della responsabilità politica aumenta la forza d’attrazione di idee generali, mentre indebolisce il punto di vista locale. Così il programma viene a valere più che la personalità di un candidato e all’influsso individuale viene a sostituirsi la forza collettiva dell’organizzazione. Chi vuole dunque affrontare con fiducia la lotta deve avere un programma chiaro ed un’organizzazione forte. Riassumiamo brevemente come stiamo noi riguardo a quello e a questa. Il partito fu nel concetto di molti ed è altrove forse ancora sinonimo di fazione, discordia, pregiudizio. La vita politica moderna lo ha però reso necessario, le costituzioni più avanzate ne tengono già conto come di un ente giuridico-sociale nell’organismo dello Stato: il ministro della giustizia del Belgio appoggiando la nota legge del suffragio proporzionale che espressamente presuppone i partiti, respinse tutti i rimproveri dell’individualismo liberale sentenziando: «les partis sont nécessaires dans la vie politique et parlamentaire». L’oratore poi passa a parlare dell’organizzazione nostra: «L’organizzazione di partito è l’Unione popolare politica trentina. Venute su le associazioni di coltura, le società operaie, i circoli e le associazioni economiche, le quali sono fuori della politica, ma che ne possono informare i principii, si doveva pensare ad una organizzazione generale politica. Lasciate cadere tutte le altre denominazioni, abbiamo scelto quella di popolare, nome che fissa il carattere della società. Popolare perché vuol essere organizzazione di popolo e di politica democratica, popolare, perché pur volendo propugnare gli interessi di tutte le classi, non si lega più specialmente ad alcuna, ma chiama alla rappresentanza ed alla vita politica tutto il popolo Trentino nella sua fede cristiana, nell’italianità della sua famiglia, nella varietà delle sue energie economiche. Il partito popolare doveva essere una lega generale per l’educazione politica, doveva diffondersi in tutti i nostri comuni in modo che in ogni luogo elettorale si raccogliesse un nucleo di soci addestrati, i quali, anche in tempo di elezioni, divenissero l’organo vivo in contatto con la direzione centrale. Era nostro ideale di diffondere ed organizzare l’Unione in modo che i suoi soci potessero dappertutto essere contemporaneamente i fiduciari di parte nostra, sì che le decisioni e il lavoro per l’elezione si facessero entro le nostre mura senza bisogno di estranei soccorsi. Quest’ideale è ancora ben lontano! Grande è il campo e pochi sono i lavoratori, ma un passo importante l’abbiamo fatto: in ogni collegio vi è ormai un buon numero di soci. Durante la prossima campagna elettorale si presentano ottime occasioni per diffondere l’Unione e guadagnare soci al partito. Converrebbe che in ogni comune almeno i componenti il comitato elettorale s’inscrivessero nella nostra organizzazione politica». Il dr. Degasperi, passando poi alle proposte concrete, dopo brevi motivazioni mette alla discussione prima l’ordine del giorno programmatico e poi le proposte di tattica che, con le modificazioni derivate dalla discussione, riportiamo qui letteralmente. «Noi, membri del Partito Popolare Trentino, raccolti in Trento nell’adunanza generale dell’Unione politica popolare al 6 febbraio 1907, riaffermando in generale i postulati dell’Unione politica popolare trentina: Condanniamo il' tentativo, manifestatosi recentemente, d’inaugurare anche in Austria, sull’esempio della Francia una politica antireligiosa combattendo il cristianesimo nella famiglia, nella scuola, nelle pubbliche istituzioni; Facciamo voti che il futuro Parlamento, lasciando lotte perniciose ed infeconde, promuova la riforma sociale cristiana con una legislazione moderna, a favore dei lavoratori, del ceto medio ed ad elevamento delle classi agricole; Chiediamo che la legislazione venga modificata secondo i bisogni dei nostri tempi, riformando in senso popolare la legge sulle riunioni e quella sulla stampa, riducendo la ferma militare a due anni, allargando il diritto di voto alle classi popolari anche per le Diete e per i Comuni; Noi vogliamo l’integrità nazionale del Trentino, vogliamo conservato non solo il patrimonio linguistico ma rafforzato anche lo spirito nazionale del popolo, creando in lui una coscienza nazionale positiva, ed aumentandone i beni nazionali; Noi chiediamo per il' nostro paese autonomia amministrativa, il risanamento delle finanze comunali con contributi dello Stato e della Provincia, lo sviluppo della viabilità trascurata e della rete ferroviaria, il promuovimento dell’agricoltura e dell’industria, la regolarizzazione dell’emigrazione e la tutela dell’emigrante. All’attuazione di questi postulati e del nostro programma integrale, ci auguriamo vengano eletti uomini indipendenti, attivi, buoni cristiani, bravi italiani, sinceri democratici. Proposte di tattica 1) La Direzione dell’Unione politica popolare trentina agisce in base allo statuto come comitato elettorale generale per tutto il Trentino. 2) Almeno in ogni luogo elettorale è da costituirsi un comitato locale, il quale deve annunziare entro il 15 marzo 1907 la sua costituzione alla direzione dell’Unione politica popolare. 3) Per stabilire le candidature del partito popolare trentino la Direzione dell’Unione politica popolare deve accordarsi coi fiduciari del collegio; la proclamazione definitiva è riservata alla Direzione dell’Unione politica popolare trentina 4) Preferibilmente il candidato sarà persona pertinente al collegio dove viene proposto. Criterio decisivo però dev’essere che egli sia uomo che per i suoi principii e per le sue attitudini dia seria garanzia di propugnare fedelmente ed energicamente il programma del partito e di promuovere gli interessi del suo collegio. 5) Il candidato dovrà presentarsi personalmente nel suo collegio per esporre il suo programma e in caso della sua elezione, gli è raccomandato fin d’ora di mantenere frequente contatto con gli elettori. 6) In eventuali ballottaggi decide circa la posizione del partito la Direzione dell’Unione politica popolare. 7) L’assemblea decide che il Partito Popolare proclami candidati in tutti i sette collegi delle vallate. Per i collegi di Trento e della città e borgate meridionali si rimette la decisione alla Direzione dell’Unione politica popolare trentina, la quale è incaricata di sentire sul da farsi il parere dei fiduciari. 8) Le spese elettorali per conferenze, eventuali stampati, viaggi sono a carico della Direzione dell’Unione politica popolare trentina, eventuali piccole spese che fa i comitato locale per scopi puramente locali sono a carico del comitato locale».

Per la difesa nazionale a S. Sebastiano e Carbonare

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Alcide de Gasperi 2 occorrenze

Per la difesa nazionale a S. Sebastiano e Carbonare

Lo scopo della gita e del comizio è di fare omaggio al partito nazionale a S. Sebastiano e a Carbonate. È la prima volta nella storia trentina che si trova riunita una folla di tutte le classi, ma specialmente di montanari e di contadini per affermare così solennemente la propria nazionalità. Accenna a quelle persone di S. Sebastiano e di Carbonare che fecero inauditi sacrifici per sostenere la lotta giorno e notte. Vi fu un’epoca in cui noi davamo quasi perduta la causa nazionale, tanto era stato l’impeto, sì molteplici le insidie degli avversari. Pareva quasi una fiumana che invadesse, allagasse tutte le nostre valli. In quell'epoca ci apparve come diga invincibile questo paesello di cui prima quasi s’ignorava l’esistenza, Carbonare. E chi riscosse e mantenne la resistenza fu lo studente Carbonari. Fu egli forte, audace protagonista quando ormai sembrava esser giunta l’ultima ora ed è merito certo suo, se anche gli altri ripresero coraggio. Evviva Luigi Carbonari! (applausi). Signori di Trento di Rovereto, quando passa uno di questi nobili valligiani per le vostre vie, levatevi il cappello! Fate omaggio al carattere e all’integra coscienza (applausi). Serva questo comizio a riaffermare tutti nel buon proposito a continuare tutti sulla buona via. Il difendere e mantenere la nostra lingua e diritto di natura, impresso dalla Divinità creatrice nel nostro petto. È anche diritto che ci perviene per la costituzione austriaca, poiché quando all’Austria si diede il nuovo statuto, non vi si scrisse che una nazione è superiore ad un’altra, che i tedeschi potessero opprimere gli slavi, i polacchi i ruteni e così via, ma sta scritto che tutti i popoli, tutte le nazioni sotto lo scettro degli Asburgo debbano avere eguali diritti. Noi non siamo dei ribelli, dei rivoluzionari, non facciamo dell’irredentismo politico, ma vogliamo l’attuazione di quanto sta scritto nella legge. L’Imperatore, inaugurando col discorso del Trono la sessione parlamentare, disse di voler morire colla coscienza d’aver lasciato intatto ad ogni popolo il proprio possesso nazionale. Ed anche noi non vogliamo altro! Chi sono gli avversari che dobbiamo combattere? Forse i tedeschi, tutti i tedeschi? No, la maggior parte di loro vuol vivere in pace con noi. Noi combattiamo una data specie di tedeschi, e sono i prepotenti, i germanizzatori (applausi). Sono dappertutto così: in Polonia quando maltrattano i bambini nelle scuole, in Moravia quando graffiano le lapidi dei cimiteri, perché non sono scritte in tedesco. Il loro ideale è d’imporre a tutti la loro lingua, e d’intedescare i più che è possibile l’Austria per rimandarla in malora e costituire un grande Stato germanico. Per questo li chiamiamo pantedeschi o pangermanisti. Quando arrivarono al castello di Pergine, hanno issato forse la bandiera austriaca? No, sicuro, ma la tricolore germanica (abbasso!). Uno dei loro capi ad Innsbruck, il d.r Frank, ha forse chiuso il suo discorso col grido: viva l’Austria? No, ma tutti hanno gridato: viva la Pangermania! (abbasso!). Lo so, non tutti i soci del Tiroler Volksbund sono d’accordo con questo indirizzo, ma per noi basta e avanza che siano d’accordo questi mestatori e quegli emissari che vengono qui a parlare nel nome del Volksbuud! Non lasciamoci abbagliare da false promesse di vantaggi economici. È vero, dobbiamo cercare lavoro al Nord, ma sapete perché vi prendono? Non per amore, ma perché siete bravi lavoratori. Quanto vi danno non è regalato. Ed infine, perché non abbiamo lavoro in casa nostra? Chi è causa in gran parte della nostra miseria? Sempre i prepotenti, i quali per loro ottengono ferrovie, agli italiani invece della provincia lasciano l’onore di costruirgliele. Considerate un caso recente. Il capo del governo al Parlamento ha promesso ai nostri deputati di voler finalmente ricordarsi anche di noi, e di riparare all’abbandono in cui ci hanno lasciato tanti anni. Ebbene sapere chi è insorto subito contro il governo? Il partito dei prepotenti. Il loro giornale «Tiroler Tagblatt» dei 25 luglio, scrive che i tedeschi radicali staranno sull’attenti ed impediranno che si sazi la nostra fame coi denari tedeschi. Capite, ci vogliono sempre affamati perché ci trasciniamo sulle ginocchia a chiedere soccorsi dal loro Tiroler Volksbund. Qui o donne, vi mandano i vestitini, le camicette come regali a Natale, ma poi costringono i vostri uomini ad emigrare (applausi). Ora vogliono separarci, portare via tra noi la lotta per batterci. Siamo uniti, cerchiamo di formare una sola fratellanza trentina (applausi vivissimi). Chiediamo al governo quanto ci perviene per il nostro risorgimento economico, ma stiamo uniti e gridiamo: viva il Trentino nella sua fede cristiana e nella sua italianità (applausi generali).

Perché protestiamo contro i germanizzatori?

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

In Polonia quando maltrattano i bimbi nelle scuole, in Moravia quando graffiano le lapidi dei cimiteri perché non sono scritte in tedesco: il loro ideale è d’imporre a tutti la propria lingua e d’intedescare il più possibile l’Austria per mandarla in malora e costitutire un grande stato germanico. Per questo li chiamiamo pantedeschi o pangermanisti. Quando arrivarono al castello di Pergine hanno issato forse la bandiera austriaca? No, sicuro, ma la tricolore germanica. Uno dei loro capi a Innsbruck il d.r Frank, ha forse chiuso il suo discorso co] grido “Viva l’Austria”? No, ma tutti hanno gridato: Viva la Pangermania ! Lo so, non tutti i soci del Tiroler Volksbund sono d’accordo con questo indirizzo; ma per noi basta e ne avanza che siano d’accordo quei mestadori e quegli emissari che vengono qui a parlare del Volksbund. Non lasciamoci abbagliare da false promesse di vantaggi economici. È vero, dobbiamo cercare lavoro al nord. Ma sapete perché vi prendono? Non per amore ma perché siete bravi lavoratori. Quanto vi danno non è regalato. Ed infine perché non abbiamo lavoro a casa nostra? Chi è causa in gran parte della nostra miseria? Sempre i prepotenti, i quali per loro ottengono ferrovie, agli italiani invece della provincia lasciano l’onore di costruirgliele. Considerate un caso recente. Il capo del governo al Parlamento ha promesso ai nostri deputati di voler finalmente ricordarsi anche di noi e di riparare all’abbandono in cui ci hanno lasciati tanti anni. Ebbene, sapete chi è insorto subito contro il governo? Il partito dei prepotenti. Il loro giornale, il Tiroler Tagblatt dei 25 luglio scrive che i tedeschi radicali staranno in guardia ed impediranno che si sazi la nostra fame con denari tedeschi? Capito? Ci vogliono sempre affamati perché ci trasciniamo sulle ginocchia a chiedere soccorsi dal loro Tiroler Volksbund! Qui, o donne, vi mandano i vestitini, le camicette come regali di Natale, ma poi costringono i vostri uomini ad emigrare. Ora vogliono separarci, portare tra noi lotta per batterci. Stiamo uniti, cerchiamo di formare una sola fratellanza trentina. Chiediamo al governo quanto ci perviene per il nostro risorgimento economico. Ma stiamo uniti e gridiamo: viva il Trentino, nella sua fede cristiana e nella sua italianità».

La campagna elettorale

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Comunque, conviene che tutti quelli del nostro partito che hanno una certa cultura generale si preparino e si addestrino alla propaganda, attingendo dai giornali e da tutte le pubblicazioni più note quelle cognizioni che sono utili a rassodare la fede dei nostri e ribattere le obiezioni avversarie. Di un’altra cosa abbiamo sentito la deficienza, dei fiduciari permanenti dell’Unione. A questa impedisce la legge, la costituzione di gruppi locali, si deve quindi ricorrere alla nomina di fiduciari locali permanenti i quali tengano in evidenza i soci, riscuotano le tasse e informino i soci e d’altro canto la direzione, intorno alle attualità del movimento politico. La nomina e l’organizzazione dei fiduciari è però il compito più difficile della nostra organizzazione. La prossima direzione dovrà occuparsene sul serio. Intanto per opera specialmente degli amici Mattei e Caneppele è stato preparato un libretto del fiduciario, il quale contiene una specie di catechismo politico con esatta notizia delle leggi elettorali, delle formule più in uso per le adunanze e di un prontuario per le tasse. Il libro è già stampato, come sono stampati i block per riscuotere quest’ultime. La prossima direzione dovrà provvedere alla fissazione dei fiduciari permanenti. È consigliabile che a far ciò si approfitti delle necessarie adunanze dei delegati per le elezioni dietali. Nella propaganda elettorale è mancata anche un poco l’unità di metodo. In genere si è aspettato all’ultimo momento e in qualche luogo si è voluta la conferenza popolare, quando già vi avevano tenuta la loro i socialisti. Va tenuto per regola la quale può patire pochissime eccezioni che prevenire è sempre meglio di reagire e che anche i contraddittori sono di un’utilità molto discutibile. I contradittori non dovrebbero essere che pochi e fatti non con intenti locali, ma per scuotere il proprio partito o per provocare dal cozzo generale delle idee dei risultati che si sanno doversi ottenere. Tolti questi casi, è meglio per l’educazione politica del nostro Trentino imitare i paesi civilmente più progrediti, sì che ogni partito faccia la propaganda per conto suo. In tal riguardo nell’ultima campagna non s’e seguita dagli amici una regola generale. Quando in un paese si preannunziava una conferenza socialista si telegrafava subito alla direzione centrale chiedendo un conferenziere in contraddittorio. Ciò accadeva per lo più in quei luoghi, dove s’era prima rifiutata una conferenza nostra, sotto il pretesto che intorbidirebbe acque, limpide di natura loro. Così si disturbava poi il piano di propaganda che doveva seguire la direzione, costringendola a correre alla difesa, mentre, se tutti avessero seguiti i suoi avvertimenti dati nel giornale, si sarebbero costretti gli avversari a stare alle nostre calcagna. È dunque indispensabile per l’avvenire una maggiore unità di metodo, preferendo come ho già detto, quella che chiamerei la profilassi della propaganda. Un’osservazione ed un ammonimento ancora a proposito dell’ultima campagna. S’è constatata fino all’evidenza l’importanza della stampa. Un semplice calcolo vi dice che il numero di voti affermatisi sui nostri candidati nei vari comuni sta in proporzione diretta col numero delle copie del Trentino o della Squilla. E ancora più; il lavoro immediato più facile, più fecondo si fece là dove gli uditori erano preparati dalla stampa. Morale: volete nel momento critico risparmiarvi nel paese vostro conflitti personali, agitazioni aperte? Diffondete la stampa la quale silenziosamente e tenacemente vi preparerà il terreno, ove il raccogliere sarà facile. Un ammonimento ancora ne viene dal corso delle ultime elezioni: è indispensabile rafforzare le società apolitiche di cultura ed economiche e rinvigorire in loro i principii generali del movimento. Che cosa avrebbe ottenuto l’Unione politica senza il lavoro preparatorio delle società cattoliche locali? Sappiamo trarne i dovuti ammaestramenti. E qui il dr. Degasperi passa a riferire sulle prossime elezioni. Il vecchio sistema elettorale esclude una grande agitazione, limita gli effetti della propaganda e riduce in gran parte le competizioni dei partiti. Il fatto stesso che anche la Dieta neo-eletta non potrà avere vita duratura, perché vi si voterà la riforma elettorale, diminuisce l’intensità della lotta. Il Partito popolare deve tuttavia star bene agguerrito di fronte a qualunque eventualità. Conviene pensare alla designazione dei candidati per quei collegi, ove il partito intende competere. Per stabilire i candidati la direzione ha proposto un metodo che tutti dovranno ammettere più democratico non si potrebbe dare. Siano gli elettori di parte cattolica che per mezzo dei delegati da loro eletti facciano delle proposte circa le candidature. È naturale che l’ultima parola deve essere lasciata alla direzione poiché in caso inverso non si potrebbe parlare di organizzazione omogenea ed unitaria. In armonia a questi criteri la direzione ha anche spedita agli amici una circolare che a noi almeno pareva molto chiara: si convocassero gli elettori dietali di parte cattolica, eleggessero questi dei delegati il cui numero era precisato e il cui nome doveva venir subito comunicato alla direzione, perché si potesse radunarli in appositi convegni di collegio e passare alla proposta delle candidature. Era chiaro? E tuttavia quanto confuse e quanto poche le risposte? Qui il dr. Degasperi ne cita alcune. Propone all’assemblea di stabilire come ultimo termine entro il quale deve venir annunziata la nomina dei delegati, il 5 novembre. Passato questo termine, la direzione ha diritto di nominare da sé i delegati, di cui non si è fatto il nome dagli elettori. Infine riassume le sue proposte di tattica nei seguenti capisaldi: 1) Gli elettori dietali, consenzienti al partito popolare, designano in adunanza privata in ogni comune i loro delegati. 2) Gli elettori nominano altrettanti delegati quanti sono gli elettori eletti per le elezioni dietali, ed ove fosse introdotto il voto diretto, un delegato ogni 500 abitanti. Il nome dei delegati deve essere comunicato alla direzione prima dei 5 novembre, altrimenti è ammesso che gli elettori di quei comuni affidano alla direzione l’incarico di nominare i delegati. 3) La direzione convoca i delegati di ogni collegio dietale, ad un convegno. A questo deve assistere un delegato della direzione, il quale sull’esito finale stenderà un breve protocollo. Basandosi su esso la direzione prenderà una decisione definitiva e passerà alla proclamazione del candidato. 4) Qualora le risultanze del convegno lo richiedessero ed il delegato della direzione lo ritenesse opportuno, i delegati convenuti verranno invitati a nominare un sottocomitato ristretto di due fino a cinque membri, i quali dovranno stabilire l’accordo con la direzione, non raggiunto nel convegno. Il relatore personalmente raccomanda ancora: Nella scelta dei candidati si seguano questi criteri: 1) È conveniente ed utile che i deputati parlamentari siano di massima anche deputati dietali. 2) I candidati devono essere persone di non dubbi sentimenti sia circa il programma strettamente politico quanto intorno all’azione sociale del movimento cristiano-sociale. Sulle proposte del relatore si svolge una breve discussione dopo la quale esse vengono elevate a conchiuso nella forma surriferita. La legge impedisce che i membri della direzione superino il numero di dieci. Sarebbe d’altro canto utile che nella direzione entrassero rappresentanti diretti almeno dei vari collegi parlamentari. Abbiamo quindi stabilito di proporvi questa specie di regolamento interno: Se non è possibile avere nella direzione una rappresentanza di tutti i nove collegi, l’adunanza generale nomina dei fiduciari di collegio i quali possono assistere con voto consultivo alle sedute della direzione. Anche i deputati parlamentari, che non sono membri di direzione hanno eguale diritto. Ai membri di direzione che abitano fuori di Trento e non siano deputati parlamentari vengono rifuse le spese di viaggio. Tale diritto spetta anche agli eventuali fiduciari di collegio quando assistano alle sedute della direzione invitati da questa. Avvertenza. — Come gli amici possono dedurre dalle proposte il termine ultimo, entro il quale si devono comunicare alla direzione i nomi dei delegati, è protratto ai 5 m.c. Dopo questa data se gli elettoti nostri non avranno fatto uso del loro diritto è segno che vi rinunziano in favore della direzione. Infine ricordiamo che per una proposta fatta dal dr. Degasperi, visto l’esito delle elezioni della direzione si rimette ai convegni del collegio che prossimamente si dovranno tenere per le elezioni dietali l’eventuale compito di eleggere un rappresentante che a nome del rispettivo collegio s’aggiunge alla direzione.

L'evoluzione della cultura e la stampa quotidiana

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Alcide de Gasperi 11 occorrenze

Ciascuno di voi si sarà per naturale effetto del nostro egoismo che fa del nostro io il centro del tempo e dello spazio che ci circondano — si sarà disegnato un proprio orizzonte al di là del quale è un passato che si propende più a compatire che a studiare, entro il quale è un presente che si adula volentieri e confina con un avvenire, a cui non si pensa. Ma proviamoci un po’ a rompere questo orizzonte: figuratevi che risorgano i nostri padri antichi e camminino per le contrade d’oggi dì. Li meraviglierà anzitutto il progresso meccanico, la macchina a vapore, la macchina elettrica, il telegrafo, il telefono, il fonografo. Ma fino che osservino più addentro la vita sociale. Troveranno anzitutto mutata essenzialmente la nostra vita economica.

E vedranno l’antico droghiere, il piccolo negoziante che vendeva di tutto a tutti, a combattere anch’esso la lotta già perduta dall’artigianato contro i grandi negozi specialisti, i bazars, l’unione e la cooperazione dei consumatori e grande sarà la loro meraviglia di non trovare più nemmeno il contadino signore della terra che coltiva, ma soggetto anche egli a tener conto del raccolto di paesi remoti e ai prezzi che il grande mercato, la borsa, detteranno. Ed ecco la loro conclusione: I rapporti economici sono essenzialmente mutati.

Il potere del giornale anticlericale è giunto a tanto, che non occorre faccia nemmeno cenno di provare quanto asserisce. Basta una delle solite frasi stereotipate, perché l’effetto voluto segua incontrastato. Gesuitismo, clericalismo, manomorta sono le parole-spauracchi che servono a dirigere la folla dove si vuole; laicizzazione, libera scuola, incameramento sono le parole briccone, che legittimano e contestano per i più lo scristianizzamento, l’ateismo nella scuola, la confisca della proprietà, il ladroneccio. A che giova la pastorale del vescovo, la protesta dei cardinali, l’enciclica del pontefice se questa stampa o le sopprimerà o le storpierà a piacer suo? I cattolici, dopo lunga inerzia nella vita politica, si sono scossi ed hanno i loro deputati al parlamento. Ma che giova il loro discorso se, ignorato dalla stampa, rimarrà sepolto negli archivi parlamentari. Perché i cattolici sono rimasti indietro Riscuotiamoci dunque, o amici della causa cristiana, creiamo una stampa forte, rispettata, che s’imponga. Perché abbiamo dormito finora? Io ritorno logicamente là, donde sono partito. Perché non abbiamo compreso l’evoluzione dei tempi nostri, perché della vita che ci trascorre dinanzi non abbiamo avuto la concezione dinamica e reale. Perché noi cristiani, noi credenti abbiamo formato la grande massa inconscia fra i lettori, gli abbonati di siffatti giornali? Perché non avevamo compreso il compito fatale della stampa, quale organo della cultura contemporanea.

Migliaia e migliaia d’anni rizzano al cielo le cime loro, le superbe mon-tagne del Tibet: migliaia e migliaia d’anni le squarciano i fulmini, le fendono i ghiacci, le tormentano le bufere e pare quasi che quei giganti sotto l’ira secolare del cielo, stretti, soffocati dalle nubi che eternamente s’accumulano intorno al loro capo, soffrono di un immenso e disperato dolore e piangono da tutti i pori dalle grandi ferite del tempo, per le quali esce l’acqua copiosa, a rivi, a torrenti, a fiumi. E l’acqua continua l’opera di distruzione sulla china, alle falde, alle basi, raccoglie a valle i frammenti, i detriti, il fango strappato alla montagna nella lotta eterna degli elementi, scende il declivio, s’avvia alla pianura e qui distende pacifica il famoso limo della «terra gialla», depone quegli strati uniformi, che sono i più fertili, i più fecondi del mondo. Gli uomini vi seminano, vi fabbricano e benedicono alle acque generose. Nella pianura dell’Hoango nasce il benessere, la ricchezza, la civiltà. Ma lassù il lavoro, la distruzione continua, senza tregua; finché un giorno l’ira del cielo imperversa più forte, i frammenti della montagna precipitano al basso, spinti dal diluviare delle acque e il fiume ove l’ingordigia umana gli rizzò una diga proprio di contro oppure ove la cecità dell’uomo lo volle costringere ad una direzione opposta al naturale andare dell’elemento, abbatte argini ed ostacoli, invade e distrugge la campagna e l’abitato, porta ovunque desolazione e morte... Poi il cielo e i giganti del Tibet si concedono tregua, altri uomini traggono sul limo nuovo, nuovo benessere e nuova vita, finché non risuoni ancora il rombo del tuono e il diluvio susseguente non trovi uomini non ancora ammaestrati dalla storia delle generazioni passate. Così da millennio a millennio, da secolo a secolo. Signore e signori! La storia del fiume giallo e della sua terra è la storia della cultura umana. Anche questa ha la sua evoluzione eterna, il suo fatale andare. Nel corso delle ere più remote, nello svolgersi delle epoche più vicine, in tutte le fasi e i tempi presenti, possiamo figurarci il progresso della cultura come una dispersione dei frammenti di queste masse enormi e rozze ancora, di quella vergine montagna ove stanno accumulate tutte le energie umane: materiale greggio che viene mano mano usato dai popoli nella fattura della civiltà. E anche qui, talvolta sopravvengono dispersioni violente che interrompono la pacifica evoluzione. Sono inondazioni morali che abbattono e distruggono chi vi si pone di contro perché ignaro del limo che le acque travolgono sotto o chi senta di dar direzioni artificiose all’elemento che cammina, com’è natura sua.

Siamo e dobbiamo esserlo: va detto e ripetuto specialmente a noi cristiani che onoriamo l’Alighieri perché ha incluso nelle sue rime divine tutte le credenze nostre, il tesoro delle tradizioni e quanto nell’eterno trasformarsi delle cose sta fermo come sillaba di Dio che non si cancella. Siamo e dobbiamo esserlo: va detto in ispecie a quei cattolici che da una concezione statica della vita traggono la motivazione della loro inerzia: siamo e dobbiamo esserlo, perché solo una concezione dinamica — mi si passi la parola di voga — ci porta a conoscere i nostri tempi ed a muoversi entro il moto loro, verso gli ideali eterni ed immutabili del cattolicismo. O vogliamo noi meritarci il rimprovero di Gesù ai Farisei: «Quando scorgete alzarsi la nube da ponente, dite subito: la pioggia è vicina e così accade. E quando vedete soffiare il vento di mezzodì, voi dite: farà caldo e così avviene. Dissimulatori, voi sapete distinguere l’aspetto del cielo e della terra: come dunque non conoscete i tempi in cui ci troviamo?» Ed ecco, o signore e signori, quello che volevo dirvi oggi, quello stigma di sana modernità che vorrei le mie parole quasi un ferro rovente avessero impresso nella nostra mente, prima di accennare alla funzione del giornale nella vita quotidiana, come suona il tema mio. Dico, accenno soltanto perché non voglio ripetermi, che un anno fa avevo l’onore di parlare diffusamente e con molta ampiezza della stampa e dei suoi compiti alla quale conferenza giacché io mi sento anzitutto propagandista mi rimetto oggi per tutto quello che non abbia oggi valore di effetto immediato.

Il giornalismo è un parlamento, ossia detta le leggi della nostra vita intellettuale, la stampa è un canale, ossia l’organo che trasmette la moderna cultura, la stampa quotidiana è un cribro che lascia passare dalla vita privata a quella pubblica questo o quello, secondo l’arbitrio suo. Ebbene? È naturale che quanti hanno interesse a indirizzare la corrente ad una meta voluta, è naturale che quanti sentono la forza e la bontà delle proprie convinzioni, è naturale che quanti vogliono dare la diffusione più larga al patrimonio delle proprie idee, tentino l’impadronirsi della chiave dell’avvenire, della stampa quotidiana. È naturale ma l’abbiamo fatto noi, cristiani, noi cattolici? Mentre gli avversari ci hanno preceduto nelle aule parlamentari e in tutte le manifestazioni della democrazia, noi stavamo attoniti a codesto diluviare delle forme e delle cognizioni nuove; mentre gli avversari s’impadronivano della corrente avvenire, noi stavamo ancora inerti nella considerazione del passato. Nel parlamento, nella vita pubblica ci siamo entrati finalmente, a fatica, dopo che gli altri ebbero compiuto il loro esperimento; si può dire altrettanto per la cultura contemporanea?

Eppure, io credo che agli uomini, anche a noi moderni, niente manchi più facilmente che il concetto di questo eterno evolversi anche della nostra vita intellettuale, niente più riesca difficile che il crearsi una coscienza chiara di questo moto incessante che ne sospinge. E se è difficile essere consapevoli del moto che esiste, quanto più faticoso non dovrà essere lo stabilire le dimensioni della parabola, il conoscere dove siamo, fin dove siamo arrivati! Non è vero, o amici, che noi stessi troppo di frequente parliamo di «tempi nuovi», degli «ultimi orientamenti», dell’oggi, della cultura nostra, senza essere mai penetrati addentro nel midollo delle cose ed esserci chiesti veracemente che cosa in concreto corrisponda alla nostra troppo agevole fraseologia? Ma non è il compito mio questa sera di fissare i termini e il contenuto della nostra fase, riassumendo lo stato attuale della scienza, della letteratura, dell’arte; questo vorrei, però, o cortesi uditori, che il mio dire volesse a confermare: essere giunti noi nello sviluppo della cultura al limitare di un nuovo periodo, dover quindi noi da questa coscienza evolutiva della nostra epoca cavare quegli ammaestramenti che ci facciano non attraversare ciecamente la corrente col pericolo d’esserne travolti ma di rizzarla nei vasti campi, ove il limo del progresso fecondi gli antichi e saldi principi a forme nuove di civiltà.

Mentre il nemico è così alacre, mentre l’avversario ne precede a gran passi, non ristate, non sostate voi, né impacciate il piede con piccini interessi, con egoistiche ritenutezze. Non considerate il giornale come una impresa o un affare di alcuni, di pochi: è l‘impresa di tutti voi che ne professate le idee, il programma. Lo so, il progresso costa fatica, la cooperazione richiede lavoro. Anche nel campo intellettuale domina incontrastata la legge dello sforzo. La prima civiltà è nata dalla lotta dell’uomo contro le difficoltà della natura: il montone, a cui crebbe la lana sul dorso, non progredì, l’uomo che dovette contrastare e cibo e veste a potenze nemiche creò la civiltà: ed era la prima fase. Le lotte per la civiltà avvenire si dovranno combattere non più sul terreno materiale, quanto nel regno dello spirito. Ebbene sia la stampa cattolica nel campo della cultura quello che fu al principio della nostra era la vanga dei Benedettini nei paesi del Nord. Strappi i rovi dell’errore, asciughi le paludi del vizio, prepari i solchi per il seme della nuova civiltà essenzialmente cristiana, pienamente evangelica. Ai tempi, in cui questo seme fiorirà rigoglioso pensava Leone XIII, quando nel 1894 (enciclica Praeclara) scriveva: «Noi vediamo laggiù nel lontano avvenire un novello ordine di cose, e non conosciamo niente di più dolce che la contemplazione degli immensi benefici, che ne saranno il naturale effetto». A tale primavera guardava l’antico la lezione che si legge proprio ora nel veggente della Scrittura, quando, secondo l’Avvento, annunziava: «In quel giorno il germe della radice di Jesse (il Messia) sarà posto quale stendardo davanti ai popoli: a lui le nazioni offriranno le loro preghiere e il suo sepolcro sarà glorioso... La terra è ripiena della cognizione del Signore, come le acque coprono il mare».

Le notizie vengono smentite colle prove, impossibile a persona onesta il dubitare ancora. Eppure la campagna della stampa fa seguire una campagna di discorsi, comizi, di violenze. Perché? Perché il cribro fatale non lascia passare le prove delle smentite, le condanne dei calunniatori, sì che il gran pubblico è ancora sotto l’ossessione della calunnia lanciata, descritta, diffusa fino alla suggestione. In Austria, dopo il congresso cattolico, la Neue Freie Presse propaga la paura del pericolo clericale alle università; tutti i giornali, tutti i professori, con poche eccezioni, gran parte dei deputati, seguono l’allarme e la riduzione della cosa ai suoi veri termini a nulla approda, perché il cribro fatale non la lascia passare. Che più? Tutta la nuova era è ossessionata da questa stampa: Che è per essa la Chiesa, se non una società per l’oppressione, per i roghi? Che vale contro codesto mostro dagli infiniti tentacoli un volume poderoso, una raccolta di documenti che smentisca il concetto della Chiesa dato, impresso dal giornalismo?

Il grande giornalismo è in mano dei nostri più accaniti avversari; nella stampa loro, ch’è la più diffusa e la più influente, vengono dettate le leggi della vera cultura, e chi non s’inchina a loro non è ammesso né come scienziato né per uomo colto. Questa stampa, trascina l’opinione pubblica, la gran folla che legge e non riflette, verso la distruzione e la rovina dei campi ubertosi, fecondati dalla civiltà cristiana, questo giornalismo sopprime la notizia che porterebbe onore e gloria ai nostri principi, ai nostri uomini e, cribro fatale, fa passare le calunnie, le menzogne contro la verità di Cristo, della Chiesa, nelle menti dell’impressionabile volgo del secolo XX.

«Colui che ha studiato la cosa a fondo dice de Saint Bonet sa che dopo il primo impulso dato all’uomo da Dio, l’uomo ha creato il suo suolo, il suolo ha creato il clima; il clima ha creato il sangue; il sangue ha moltiplicato le nazioni e le nazioni hanno innalzato le anime. E quegli che ha passo passo seguito i popoli sa che quando le anime si sono affievolite le nazioni perirono, il sangue ridivenne povero, il clima inabitabile, il suolo ingrato e la rude natura che ci aveva insegnato ad usare delle nostre forze, occupò di nuovo la terra». Dio vi guardi dall’interpretare il mio pensiero, quasi a cessione al materialismo storico. No, non si tratta di una dipendenza assoluta dello spirituale dal materiale, ma di una meravigliosa cooperazione del corpo e dell’anima. Ricordate le tristi regioni d’Italia, funestate dalla malaria? Là l’uomo aveva vita breve e inferma sempre. Si risanò il suolo ed il clima parificato scacciò il linfatismo dalle vene; una fibra più robusta aumentò il volume dei muscoli, allargò i polmoni, rinvigorì la polpa cerebrale. Ma tutto questo si raggiungeva solo mediante l’energia spiegata dall’anima; così essa si sviluppava, si perfezionava nell’uomo in proporzione che egli si formava e perfezionava tutte le cose intorno a sé. Signori, possiamo dunque conchiudere: i tempi nostri sono nuovi... i tempi nostri sono nuovi non per i rivolgimenti economici soltanto, non solo per gli ordinamenti sociali, ma nuovi per le trasformazioni della nostra vita morale ed intellettuale. O padre Dante, se tu scendessi dal tuo piedistallo e muoveresti per entro la città nostra non ti meraviglieresti tanto dei rinnovamenti tecnici e meccanici, né del mutato aspetto delle abitazioni umane, né delle mura abbattute, delle vie, delle piazze allargate fuori verso l’aria, il sole, quasi senza confine. Ma i tuoi occhi profondi penetrerebbero nella mente e nei cuori dell’uomo del secolo ventesimo e tali sarebbero le cose nuove e tanti i mutati aspetti e diverse le forme e misure scoperte dagli occhi tuoi che sdegnoso scoteresti la polvere dai tuoi calzini e ritorneresti lassù, di bronzo, quasi ripetendo: …E non c’era altra via Che questa, per la quale io mi son messo

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